SAGGI E MEMORIE
di storia dell’arte
SAGGI E MEMORIE
di storia dell’arte
43
(2019)
Saggi e Memorie di storia dell’arte
comitato scientifico
Luca Massimo Barbero, direttore
Rosa Barovier Mentasti
Ester Coen
Francesca Flores d’Arcais
Caterina Furlan
Lauro Magnani
Jean-Luc Olivié
Wolfgang Prohaska
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Giovanna Valenzano
redazione
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SOMMARIO
Mario Cobuzzi, Intaglio e policromia nella scultura lignea del Medioevo ‘umbro’: dalle aperture di Previtali
al “sistema pittori-scultori”
7
Mauro Minardi, Paolo Uccello, Antonio di Papi e il refettorio di San Miniato al Monte
25
Francesco Saracino, Savoldo e la fortuna di Giacobbe
43
Antonio Foscari, Alla ricerca di Andrea Palladio “inzegnere” (ma non solo) nell’ala orientale del Palazzo Ducale
57
Vincenzo Mancini, “Effiggiare gli animi, e gli ingegni”. Il ritratto a Venezia sulla metà del Seicento
71
Andrea Polati, Profilo di Monsù Rinaldo dalla Montagna, “pittore raro massime nelle fortune maritime”
103
William L. Barcham, Doge Alvise IV Mocenigo’s Patronage of the Arts (Piazzetta, Pitteri, Pavona, Nazari,
Joli, Canaletto, Brustolon and Guardi, with a brief excursus on Tiepolo)
121
Roberto Caterino, Un’inedita raccolta di disegni di architettura presso la Biblioteca Comunale di Treviso
167
Elena Catra, Monica De Vincenti, Dalla Scuola Grande della Carità all’Accademia di Belle Arti di Venezia:
il ciclo scultoreo di Giovanni Maria Morlaiter e i lavori ottocenteschi per la nuova facciata
231
Giovanni Casini, “A classicism […] as hard […] as a child’s mind”: la fortuna di de Chirico in Inghilterra,
ca. 1928-1931
253
Maria Irene Bertulli, Robert Rauschenberg, Omaggio a Venezia (1975)
269
Abstract
280
42
FRANCESCO SARACINO
SAVOLDO E LA FORTUNA DI GIACOBBE
Si on avait demandé au gendre de Laban pourquoi
ses brebis, voyant toujours de l’herbe, ne faisaient
pas des agneaux verds, il aurait été bien embarrassé
Voltaire
Il Pastore col flauto di Giovanni Girolamo Savoldo conservato al
J. Paul Getty Museum di Los Angeles è uno degli esiti più felici
di quella stagione della pittura settentrionale a cui il bresciano
appartiene (tav. in apertura)1. Da quando la tela fu pubblicata
da Roberto Longhi nel 1927, l’apprezzamento degli studiosi
è stato unanime; la notorietà del quadro si è affermata anche
presso il pubblico grazie alle esposizioni monografiche di Brescia e Francoforte del 1990, e alla sua presenza in un buon numero di mostre dedicate all’arte veneziana e ai cosiddetti “pittori della realtà”2. In rapporto a questi ultimi, il dibattito acceso
nel Novecento circa le radici venete oppure lombarde dell’ispirazione di Savoldo trova oggi meno animosi schieramenti3;
Giovanni Girolamo Savoldo, Pastore col flauto (o Giacobbe). Los Angeles, The J. Paul Getty Museum
1
2
3
Tela 97×77,9 cm; 85.PA.162. Il dipinto appartenne alla collezione di Joachim Ernst duca di
Anhalt a Wörlitz; venduto congiuntamente a
Paul Cassirer (Berlino) e a Julius Böhler (Monaco), nel 1927 passò nella collezione Contini
Bonacossi; alla dispersione di questa (1970 ca.)
transitò nel mercato dell’arte prima di giungere
nel 1985 alla sede attuale. Cfr. C. Gilbert, The
Works of Girolamo Savoldo. The 1955 Dissertation with a Rewiew of Research, 1955-1985, New
York-London 1986, pp. 169, 515.
Cfr. R. Longhi, Due dipinti inediti di Giovan Gerolamo Savoldo, in “Vita artistica”, II, 1927, pp. 7275; riprodotto in Id., Saggi e ricerche, 1925-1928,
I, Firenze 1967, pp. 151-155. Per un elenco
delle esposizioni e una completa bibliografia,
si veda http://www.getty.edu/art/collection/
objects/763/giovanni-girolamo-savoldo-shepherd-with-a-flute-italian-about-1525/. Per
un’ultima comparsa del Pastore in una mostra
di ispirazione longhiana, cfr. Pittori della realtà: le
ragioni di una rivoluzione da Foppa e Leonardo a Caravaggio e Ceruti, catalogo della mostra (Cremona, Museo Civico “Ala Ponzone”; New York,
The Metropolitan Museum of Art), a cura di
M. Gregori e A. Bayer, Milano 2004, pp. 126,
158-159 (anche Painters of Reality. The Legacy of
Leonardo and Caravaggio in Lombard Painting, New
Haven-London 2004, pp. 139-140).
Per i dettagli, cfr. C. Gilbert, The Works of
4
5
6
secondo una tendenza vivace nella storiografia più vicina a noi,
alle analisi di tipo regionalista e Stilkritik si è infatti associato
qualche tentativo di definire le componenti ideologiche delle
invenzioni di Savoldo4. In tal senso, il Pastore col flauto non è
trascurato dagli studiosi che si rifanno ai metodi dell’iconologia; alla vulgata dei padri fondatori che insistevano sui caratteri
prolettici del dipinto5, è subentrata una lettura più attenta alle
implicazioni che i dettagli del quadro e l’aspetto del personaggio potrebbero racchiudere6. Inoltre, il viso piacente di questo
pastore ha fatto credere a un gentiluomo effigiato sotto mentite
spoglie, e non sono mancate identificazioni più precise circa il
milieu a cui un’immagine così singolare potesse corrispondere7.
Girolamo Savoldo, cit., pp. 227-277; F. Frangi,
Gerolamo Savoldo: difficoltà e continuità di una vicenda critica, in Giovanni Gerolamo Savoldo tra Foppa,
Giorgione e Caravaggio, catalogo della mostra
(Brescia, monastero di San Salvatore e Santa
Giulia; Francoforte, Schirn Kunsthalle), a cura
di B. Passamani et al., Milano 1990, pp. 48-52.
Si veda C. Del Bravo, Sul Savoldo come stoico, in
“l’Artista”, 2005, pp. 56-61.
Cfr. R. Longhi, Due dipinti inediti, cit., p. 153: “Il
massimo di lume e il massimo d’ombra sono qui
congiunti direttamente per opposizione e si giunge a quella sommità quasi abbagliata della casacca
sul ginocchio che, presa per sé sola, apparirebbe
come un frammento del Caravaggio, o di Velázquez del 1620”; A. Venturi, Storia dell’arte italiana,
IX, La pittura del Cinquecento, III, Milano 1928,
pp. 766-767: “Anche qui i contrapposti di lume e
d’ombra, intensi e profondi, rivelano la corposità
delle forme e delle stoffe, creando brani pittorici degni del Caravaggio o di Velazquez giovane,
quali una mano poggiata al bastone e una compatta falda di veste sopra il ginocchio…”.
Cfr. A. Gentili, Savoldo, il ritratto e l’allegoria musicale, in Giovanni Gerolamo Savoldo tra Foppa, Giorgione e Caravaggio, cit., p. 70: “Il villaggio nello
sfondo […] presenta in ordine sparso una serie
di elementi che radunati competono al luogo
della Natività di Cristo. E il nostro pastore
mostra col suo gesto che a quel luogo tra poco sarà chiamato: come se vedessimo qualche
ora prima, all’inizio del suo percorso materiale
e mentale, il pastore che compare alla sinistra di
43
7
Giuseppe nelle Natività di Brescia e di Venezia
con un rilievo individuale da co-protagonista
senza precedenti nella pittura italiana”. Per B.
Aikema, Savoldo, la città di Dio e il pellegrinaggio
della vita, in “Venezia Cinquecento”, III, 1994,
6, pp. 99-104, il dipinto è un’allegoria del pellegrinaggio spirituale del cristiano; cfr. Id., Jacopo
Bassano and his Public. Moralizing Pictures in an Age
of Reform, ca. 1535-1600, Princeton 1996, p. 64.
Cfr. M. Gregori, Riflessioni sulla pittura bresciana
della prima metà del Cinquecento, in Pittura del Cinquecento a Brescia, Milano 1986, p. 13. C. Gilbert,
Savoldo cortese, in Giovanni Gerolamo Savoldo tra
Foppa, Giorgione e Caravaggio, cit., p. 43. E. Lucchesi Ragni, ivi, pp. 174-177, associa il dipinto
alla prima parte del poema in terza rima Christilogos Peregrinorum del patrizio veneziano Pietro
Contarini (il quale possedeva “quatro telleri de
la Madona che va in Egipto” di Savoldo, menzionati nel testamento del luglio 1527; cfr. ivi,
p. 320) in cui quattro gentiluomini seguono la
Santa Famiglia durante gli eventi dell’infanzia
di Gesù “vestiti da pastori alla lombarda […]
con la tasca, il bordone, et col capello”. Maria
Maddalena è una delle narratrici della passione di Gesù nella seconda parte del poema, e C.
Gilbert, Newly Discovered Paintings by Savoldo in
Relation to their Patronage, in “Arte Lombarda”,
n.s. 96-97, 1991, 1-2, p. 38, avanza l’ipotesi
che il Pastore Getty fosse il pendant di una delle Maddalene di Savoldo che hanno dimensioni
pressoché uguali (gli esemplari, cioè, di Berlino
e Los Angeles). Il testo del Contarini (Vene-
FRANCESCO SARACINO
37-40, che la Vulgata aveva tentato di appianare9. In ogni caso,
fu il segmento più significativo della pia fraus ad imprimersi nella memoria dei lettori occidentali:
Senza escludere la validità di tali interpretazioni, vorremmo affrontare il quesito ancora irrisolto del soggetto del Pastore Getty
da una prospettiva diversa. A nostro avviso, l’immagine costituisce la precoce apparizione in un quadro da camera di un
tema che solo dopo Savoldo otterrà una risonanza visiva pari
alla sua importanza ideologica. La nostra proposta richiede per
giustificarsi un impianto probatorio articolato su piani differenti. Prima di concentrarci sugli aspetti che fanno del Pastore un incunabolo prezioso, dovremo considerare le mutazioni
ermeneutiche cui andò incontro un episodio della Bibbia che
coinvolge il patriarca Giacobbe, e successivamente la fortuna
di questa vicenda nella pittura del XVII secolo. Una procedura
così frastagliata si rende necessaria per favorire l’accesso al Giacobbe di Savoldo e alla tipologia del suo quadro nell’esperienza
del Rinascimento.
A tal fine, eviteremo di indugiare su considerazioni di ordine
tecnico e stilistico relative al dipinto, che abbondano invece
nella letteratura sul pittore. Per quanto riguarda la cronologia,
propendiamo a fissarla verso la fine degli anni trenta, per le somiglianze che la tela Getty presenta rispetto alle opere databili
di Savoldo, la Lamentazione già a Berlino del 1537 e le Natività
di Brescia (Pinacoteca Tosio Martinengo) e Venezia (San Giobbe), entrambe del 15408.
Tollens ergo Jacob virgas populeas virides, et amygdalinas, et ex platanis,
ex parte decorticavit eas: detractisque corticibus, in his, quæ spoliata
fuerant, candor apparuit; illa vero quæ integra fuerant, viridia permanserunt; atque in hunc modum color effectus est varius. Posuitque eas in
canalibus, ubi effundebatur aqua, ut cum venissent greges ad bibendum,
ante oculos haberent virgas, et in aspect earum conciperent. Factumque
est ut in ipso calore coitus, oves intuerentur virgas, et parerent maculosa,
et varia, et diverso colore respersa.
Et prese Iacob virgha di popolo verde, et di nocciuolo, et di
castagno, et scorticò in esse le corteccie bianche, scoprendo il
bianco che era nella virgha. Et pose le virghe, le quali scorticò,
ne canali, abbeveratoi di acque, ai quali venivano le pecore per
bere, allo incontro delle pecore, et vennono in caldo nel venire a
bere. Et vennono in caldo le pecore dalle verghe, et partorivano
le pecore macchiate nelle legature, puntate et macchiate 10.
Per ottenere le pecore dal vello screziato che gli sarebbero appartenute secondo gli accordi, Giacobbe intagliò dei rami di
tre alberi e li dispose nei canali dove si abbeveravano le pecore
bianche (quelle di Labano che egli custodiva); così, mentre bevevano ed erano montate da arieti bianchi, le bestie concepivano una prole maculata e screziata guardando i bastoni incisi
che avevano davanti a sé. In tal modo, le pecore bianche appartenenti al suocero figliavano gli agnelli pezzati che sarebbero
toccati al genero; Giacobbe si arricchì, apprestandosi a lasciare
Kharran per dare inizio a un nuovo ciclo di avventure.
Gli esegeti moderni di indirizzo storico-letterario non vanno al
di là della constatazione dei fatti narrati quando commentano
Genesi 30, richiamandosi al folklore pastorale o alle pratiche tradizionali dell’allevamento11. Invece, gli interpreti antichi erano
stimolati dalle allegorie che, secondo loro, il testo racchiudeva
ed estrassero dalla superficie letterale di questo racconto una
massa di significati teologici, spirituali ed etici a cui vogliamo in
primo luogo accennare, poiché furono moneta corrente sino ai
predicatori del Barocco.
Dagli albori della cristianità, il bastone di Giacobbe fu infatti ri-
Le pecore di Giacobbe
Uno degli episodi della Bibbia che nel XVII secolo ottennero
un improvviso risalto nell’immaginazione dell’Occidente è certamente quello del gregge di Giacobbe; poiché ai nostri giorni
è esiliata dalla memoria collettiva, occorre richiamare la vicenda
nei dettagli per poterne valutare le conseguenze inattese.
Le vicissitudini di Giacobbe raccontate nel libro della Genesi
annoverano uno stratagemma da lui escogitato in Kharran allo
scopo di rifarsi delle angherie del suocero Labano, il quale, per
tenerlo a lavorare con sé e approfittare più a lungo della fortuna
che accompagna il benedetto, gli aveva appioppato un’indesiderata Lia al posto dell’amata Rachele, e a caro prezzo gli concesse anche quest’ultima (Genesi 30, 25-43).
Gli esegeti del Pentateuco riconoscono ancora oggi le difficoltà
del testo ebraico relativo all’espediente descritto in Genesi 30,
8
9
zia, Biblioteca Marciana, ms. Ital. Cl. IX, 95 [=
6454]) è accostato alla Fuga in Egitto di Jacopo
Bassano (Pasadena, Norton Simon Museum,
M.1969.35.P) da B.L. Brown, Travellers on the
Rocky Road to Paradise: Jacopo Bassano’s Flight into
Egypt, in “Artibus et Historiae”, XXXII, 2011,
64, pp. 193-219.
In tal senso, e per la notizia su pareri differenti,
cfr. F. Frangi, Savoldo. Catalogo completo dei dipinti,
Firenze 1992, pp. 122-123; A. Ballarin, La Salomè del Romanino e altri studi sulla pittura bresciana
del Cinquecento, a cura di B.M. Savy, Cittadella
2006, I, pp. 195-216.
Si veda l’elenco delle irregolarità testuali del
brano in S.B. Nagel, Sex, Sticks, and the Trickster
10
11
in Gen. 30:31-43: A New Look at an Old Crux, in
“Journal of Ancient Near Eastern Society”, 25,
1997, pp. 7-17, con una soluzione a sua volta
poco soddisfacente.
Riportiamo la versione di Brucioli, contemporanea all’esecuzione del Pastore; cfr. La Biblia
quale contiene i sacri libri del Vecchio Testamento, tradotti nuovamente da la hebraica verità in lingua toscana
da Antonio Brucioli, Vinegia 1532, p. 10.
Ad esempio, J. Skinner, A Critical and Exegetical Commentary to the Book of Genesis, Edinburgh
1910, p. 393; G. von Rad, Genesi, Brescia 1978,
pp. 405-406; C. Westermann, Genesis 12-36. A
Commentary, London 1986, pp. 482-484; K.A.
Mathews, Genesis 11, 27-50, 26, Nashville 2005,
44
12
pp. 501-502. Per una sintesi delle interpretazioni moderne, si veda P.D. Vroolijk, Jacob’s Wealth.
An Examination into the Nature and Role of Material Possession in the Jacob-Cycle (Gen 25, 19-35, 29),
Leiden-Boston 2011, pp. 169-179.
Questa esegesi risale a Giustino; cfr. S. Giustino, Dialogo con Trifone, a cura di G. Visonà, Milano 1988, p. 372, per altri riferimenti antichi. In
seguito, ad esempio, Ugo di Saint-Cher (XIII
secolo), Opera omnia in universum Vetus et Novum
Testamentum, I, Lugduni 1669, f. 42v; G. Bosio,
La trionfante e gloriosa croce, Roma 1610, p. 210.
Per esempi nel genere oratorio del Seicento, cfr.
T. Carretto, Ragionamenti pastorali, Milano 1609,
f. 116v: “Verga scorticata fu Christo flagella-
SAVOLDO E LA FORTUNA DI GIACOBBE
1
Giusto de’ Menabuoi, Giacobbe e il gregge di Labano. Padova, Battistero del Duomo
ferito alla croce di Cristo e ai suoi effetti salvifici, come tutti gli
alberi e gli arnesi di legno che figurano nell’Antico Testamento12. Inoltre, le verghe scortecciate erano un’opportuna legittimazione dell’esegesi allegorica della Scrittura diffusa nei primi
secoli della Chiesa; alle parole contenute nella Bibbia occorreva
che i maestri sfilassero la ‘corteccia’ del senso letterale per far
affiorare i misteri dello Spirito, e così aiutare i fedeli a concepire
e generare una prole di buone opere13. I predicatori utilizzarono i bastoni scorticati di Giacobbe per incoraggiare l’uditorio
a rimuovere le escrescenze del peccato; inoltre, le verghe del
patriarca convenivano ai pastori della Chiesa che avevano il
compito di pascolare ed accrescere il loro gregge14.
Si tratta di idee che solo a prezzo di forzature convengono
all’astuzia di Giacobbe; alcune di esse hanno influito sulle rap-
13
to, coronato di spine, e trapassato da chiodi,
in questo debbiamo rimirare”; T. Basile, Eroici
discorsi, Firenze 1621, p. 196: “[Cristo] pose la
verga funesta e sanguigna della sua croce e passione ne’ canali del pane e del vino ove noi giornalmente costumiamo d’accostarci per prendere ’l necessario cibo”; G.A. Rusca, Discorsi morali
sopra tutti li vangeli de la Quadragesima, Pavia 1668,
p. 334: “Verghe insensate scorticate da un Giacobbe mutano delle bestie i concetti, e un Dio
scorticato per amor del’Huomo non mutarà il
cuore e i pensieri di un’anima peccatrice?”.
Cfr. Gregorio Magno, Moralia in Job, PL 76,
187-188; Garnerio di San Vittore, Gregorianum,
PL 193, 104-105; elaborazioni originali sullo
14
15
presentazioni medievali dell’episodio, ma altri dovettero essere i fattori che suscitarono la sua fortuna nei secoli seguenti.
L’accorgimento descritto in Genesi 30, 25-43 (e diversamente
in Genesi 31, 10-13) fu raffigurato nei cicli tipologici che nel
Medioevo illustravano la saga del patriarca, sia nei contesti monumentali (fig. 1) sia in varie tipologie di manoscritti15, ma non
trovò prima del Seicento una configurazione riconoscibile nei
quadri da camera.
Fantasie ovine
L’iniziativa spregiudicata del figlio di Isacco dovette aspettare
il secolo dei mercanti per gratificare senza rimorsi i privati
stesso tema in Guiberto di Nogent, Moralia
in Genesin, PL 230, 231. Fino al XVII secolo,
queste interpretazioni furono costantemente
ripetute.
Cfr. J. Barcia y Zambranas, Despertador christiano, II, Madrid 1693, pp. 187-188; J. de la Haye,
Commentarii literales et conceptuales in Genesim, Lutetiae Parisiorum 1636, p. 606; C. Labia, Dell’imprese pastorali, Venetia 1685, p. 1109.
Per un esempio paleocristiano, rinviamo a una
delle storie di Giacobbe nei mosaici di Santa
Maria Maggiore a Roma; Giusto de’ Menabuoi
diede il più grande rilievo all’episodio nel ciclo
del Battistero di Padova (fig. 1), come anche
un artista fiorentino del primo Quattrocento
45
nell’ambito della decorazione del Chiostro Verde di Santa Maria Novella. Numerose sono le
attestazioni nei codici medievali (ad esempio,
un’illustrazione della Bible historiale, L’Aja, Museum Meermanno, ms. MMW, 10 B 23, f. 34r).
In generale, per l’iconografia relativa al patriarca, cfr. C.M. Kauffmann, Jakob, in Lexikon der
christlichen Ikonographie, 2, Freiburg, ecc. 1970,
pp. 370-383; per l’episodio capitale di Genesi 28,
10-22, cfr. C. Heck, L’échelle céleste. Une histoire
de la quête du ciel, Paris 1997; per la tradizione
‘esoterica’ relativa a Giacobbe e al trono di Dio,
cfr. A.A. Orlov, From Apocalypticism to Merkabah
Mysticism. Studies in the Slavonic Pseudoepighrapha,
Leiden-Boston 2007, pp. 399-419.
FRANCESCO SARACINO
che richiesero la sua immagine. Alcuni esempi del Seicento
saranno utili a introdurre retroattivamente il tema di Savoldo.
Uno dei soggetti fortunati che uscirono dallo studio di Jusepe
de Ribera riguardò appunto la storia di Giacobbe, l’incremento del gregge del patriarca dovuto a un’idea letteralmente fantastica. Lo Spagnoletto dipinse vari esempi di questa dimostrazione della provvidenza di Dio, in cui, accanto alle pecore
di Labano che bevono davanti allo sterpo, vediamo Giacobbe
volgersi al cielo (El Escorial, Monasterio de San Lorenzo,
1632; Londra, National Gallery, 1638 [fig. 2]; Madrid, Museo
Cerralbo [copia])16; queste tele appartengono alla produzione
più eletta di Ribera, e furono alacremente replicate dagli artisti napoletani17.
Gli esempi si potrebbero moltiplicare poiché l’episodio della
Genesi inondò l’immaginazione europea del XVII secolo. Le
sue raffigurazioni si ripartiscono in tre sequenze principali:
I la decisione ispirata del patriarca; questa fase è segnalata dal
bastone/ramo non ancora scalfito (Palma il Giovane, Giuseppe
Marullo, ecc.)18
II la sbucciatura del bastone (Guido Cagnacci, ecc.)19
III l’introduzione del bacchio o dei rami nell’abbeveratoio delle pecore o in un corso d’acqua (Pedro Orrente, Salvator Rosa,
Ribera, ecc.)20
2
memoria, e il fenomeno era utilmente trasferibile sul piano
della genetica umana. Come preciseremo in seguito, nell’aneddotica erudita e in quella popolare abbondavano i racconti di parti meravigliosi associati alle fantasie delle mamme
durante il concepimento; una, guardando un servo di colore
che aveva in casa, per l’impressione aveva concepito un figlio
negro, e altre si circondavano prudentemente di bei fanciulli
per la buona riuscita del parto22. Gli umanisti e i religiosi accoglievano volentieri aneddoti del genere e li confermavano
appunto col riferimento a Giacobbe; a partire da Girolamo,
Davanti a queste immagini che attestano la diffusione di una
vicenda finora estranea agli spazi privati, è tempo di accennare
a un fattore che ci trasporta al di là della storia dell’arte.
Ben prima del Seicento, infatti, il gregge di Giacobbe era diventato tra i teologi e i filosofi dell’Occidente un riferimento
prezioso per avallare con la Bibbia i poteri dell’immaginazione. Per dirla con Thomas Mann, il figlio benedetto di Isacco “scoprì il fenomeno delle cosiddette voglie materne”21.
Le pecore avevano concepito agnellini striati a causa della
traccia immaginativa del ramo sbucciato impressa nella loro
16
17
Cfr. N. Spinosa, L’opera completa del Ribera, Milano 1978, pp. 103, 113-114, 129; Id., Ribera. L’opera completa, Napoli 2003, pp. 289, 315. La tela
dell’Escorial proviene dalla raccolta del II duca
di Medina de las Torres, viceré di Napoli dal
1638 al 1644; cfr. F. Bouza, De Rafael a Ribera y
de Nápoles a Madrid: nuevos inventarios de la collección Medina de las Torres-Stigliano (1641-1656), in
“Boletín del Museo del Prado”, XXVII, 2009,
49, p. 64.
Cfr. F. Saracino, Cristo a Napoli. Pittura e cristologia
nel Seicento, Napoli 2012, pp. 30-33. La ricorrenza del soggetto a Napoli potrebbe giustificarsi
anche a causa dell’importanza che gli conferì
Giovanni Battista della Porta nella seconda edizione del trattato sulla magia naturale. Cfr. G.B.
Della Porta, Magiæ naturalis libri viginti, Neapoli
1589, p. 39. Due esemplari con questo tema
attribuiti a Gil Blas e a Orrente sono elencati nell’inventario del duca di Alcalá, viceré di
Napoli (1629-1632); cfr. J. Brown, R.L. Kagan,
The Duke of Alcalá: His Collection and Its Evolution, in “The Art Bulletin”, 69, 1987, p. 249 (III,
18
Jusepe de Ribera, Giacobbe e il gregge di Labano. Londra, The National Gallery
6); p. 252 (V, 11). A proposito dell’iconografia
del soggetto in Spagna, fa interessanti osservazioni J. Irigoyen-García, The Spanish Arcadia.
Sheep-Herding, Pastoral Discourse, and Ethnicity in
Early Modern Spain, Toronto 2014, pp. 60-74,
anche se non condividiamo la proposta relativa
alla purezza di sangue come chiave ermeneutica
per le tele di Murillo, Orrente e Ribera. Alcuni esempi del tema sono elencati da A. Pigler,
Barockthemen. Eine Auswahl von Verzeichnissen zur
Ikonographie des 17. und 18. Jahrhunderts, I, Budapest 1956, p. 62. Tra i molti casi non riconosciuti, segnaliamo una tela di Bourdon pubblicata
in Sébastien Bourdon 1616-1671, catalogo della
mostra (Montepellier, Musée Fabre; Strasburgo, Musées de Strasbourg), a cura di J. Thuillier,
Paris 2000, p. 166 (1640 ca.) e una tela di Andrea de Lione transitata da Sotheby’s, Londra, il
12 luglio 2001, lotto 84.
Per il dipinto di Palma il Giovane, si veda oltre.
La tela di Marullo transitò da Blindarte, Napoli, 17 dicembre 2006, lotto 65. Il bastone può
anche mancare, come in una tela apparsa da
46
19
20
21
22
Bonhams, Londra, il 28 aprile 2010, lotto 215,
impropriamente riferita alla cerchia di Domenico Brandi. Nei casi che citiamo, la verga di Giacobbe è a volte differenziata dal ramo immerso
in acqua.
Per la versione di Cagnacci ad Hampton Court,
cfr. Guido Cagnacci, catalogo della mostra (Rimini, Museo della Città), a cura di D. Benati e
M. Bona Castellotti, Milano 1993, pp. 150-151,
accanto a Giacobbe, qui compaiono Rachele e
Lia, come spesso nel Seicento.
Una tela con questo soggetto di Salvator Rosa
già a Bridgewater House, passata da Christie’s,
Londra, il 18 ottobre 1946, è erroneamente intitolata Labano e il gregge di Giacobbe in L. Salerno,
L’opera completa di Salvator Rosa, Milano 1975, p.
101 (1665 ca.) e da C. Volpi, Salvator Rosa (16151673) “pittore famoso”, Roma 2014, p. 575 che
però riconosce il nostro episodio in un altro
dipinto di Rosa (ivi, pp. 562-563).
T. Mann, Le storie di Giacobbe, Milano 1980, p. 313.
Una raccolta delle testimonianze antiche e più
recenti è in B. Bablot, Dissertation sur le pouvoir de
SAVOLDO E LA FORTUNA DI GIACOBBE
di molti che a volte si immaginano presenti alla nascita del
Signore e lo acclamano assieme agli angeli, gli lavano i pannolini, lo accompagnano in Egitto… e immaginano tutto questo
con tanta forza da subire delle estasi, e da dialogare con Dio,
da avere visioni e mirabili rivelazioni, sempre rimanendo in
questa potenza [l’immaginazione], che a volte sono ingannevoli e pericolose a volte legittime e autentiche24.
Le pecore di Giacobbe suscitarono nella psicologia e nella
spiritualità dell’Occidente una vasta riflessione sui meccanismi fisiologici che, attraverso le immagini interne ed esterne,
regolano le aspirazioni e le vicende degli individui25. I moralisti sapevano quanto la phantasia incide sulle dinamiche affettive che spingono gli animali razionali alle decisioni di una
vita. Secondo i maestri spirituali, il vero problema consisteva
nella qualità delle figure che occupano l’anima e che istigano
ad agire.
Sviluppi
3
Durante uno scambio di battute fra Antonio, Bassanio e
Shylock, il mercante di Venezia si richiama al sotterfugio di
Giacobbe per difendere la logica che sottende il suo mestiere: “This was a way to thrive, and he was blest: And thrift is
blessing, if men steal it not”. Antonio postilla di rimando:
“The devil can cite Scripture for his purpose”, ma fu l’avallo
fornito da Genesi 30, 25-43 alla disinvoltura imprenditoriale
di uomini come Shylock a favorire l’immagine del patriarca
nell’età nuova26.
Per riavvicinarci a Girolamo Savoldo, scegliamo tra i molti
esempi seicenteschi una tela di Jan Victors (1619-1679) che da
alcuni anni transita nel mercato dell’arte con il titolo A Shepherd
with his Staff (fig. 3)27. Il personaggio non riconosciuto del dipinto corrisponde bene a Giacobbe: egli accenna eloquente-
Jan Victors, Giacobbe. Collezione privata
gli esegeti della Genesi si abituarono ad elencare questi mirabilia, che vennero a formare una delle sezioni più gustose
dei commentari al primo libro di Mosè23. Da parte loro, gli
autori spirituali impiegavano il gregge di Giacobbe per raccomandare il buon uso della fantasia ai devoti che spesso ne
trascuravano i rischi:
La forza di questa potenza è provata attraverso ciò che accadde a Giacobbe… Io non condanno affatto la semplicità
23
24
l’imagination des femmes enceintes, Paris 1787; altri
esempi gustosi in G.S. Menochio, Stuore, I, Padova 1701, pp. 62-63. Per gli effetti dell’immaginazione e la storia del problema, cfr. P. Zambelli, L’oscura natura della magia, Milano 1991, pp.
53-75; A. Faivre, Accès de l’ésoterisme occidental, II,
Paris 1996; T. Griffero, Immagini attive. Breve storia dell’immaginazione transitiva, Firenze 2003; Id.,
Vive attive e contagiose. Il potere transitivo delle immagini, in “Horti hesperidum”, 2015, pp. 277-299.
Gli argomenti di Girolamo, Quaestiones Hebraicae
in Genesim, PL 23, 984-986, furono ripetuti fino
al XVIII secolo, come si constata nel repertorio
di Bablot, cit., 1787. La tradizione del giudaismo
diffuse lo stesso tema; cfr. Commento alla Genesi
(Berešit Rabba), a cura di A. Ravenna e T. Federici, Torino 1978, p. 606 (73, 10), e, per un caso
esemplare, Il trattato delle Benedizioni (Berakhot), a
cura di S. Cavalletti, Torino 1968, p. 197 (20a).
J. de los Angeles, Tratado spiritual de la presencia
de Dios, in Obras místicas, Madrid 1912, pp. 460463. Il gesuita Daniello Bartoli utilizzerà la storia di Giacobbe in rapporto alle virtualità tras-
25
26
formanti dell’immagine del Crocifisso; cfr. D.
Bartoli, Delle grandezze di Christo in se stesso e delle
nostre in lui, Roma 1675, pp. 419-420. Al contrario, il domenicano Vincenzo Ferrini equipara la
vicenda agli inganni mondani: “Così il mondo
pone ne’ canali de’ sensi, dove ha da venire
l’intelletto a bere onori, fiori e diletti; acciò di
quelli invaghito partorisca opere vane, a quelli
conforme”; cfr. V. Ferrini, Secondo alfabeto essemplare, Venetia 1590, p. 255.
Un compendio sull’argomento, che però limita
l’influenza ideoplastica della fantasia, si deve al
medico fiammingo T. Fienus, De viribus imaginationis tractatus, Lovanii 1608. A proposito del
summenzionato Ribera, Joachim von Sandrart
racconta che la moglie di Nicolas van Uffel concepì un bambino con deformazioni articolari
alle mani a causa di un Issione dello Spagnoletto
che il collezionista esponeva nella sua dimora di
Amsterdam. Cfr. J. de Sandrart, Academia nobilissimae artis pictoriae, Noribergae 1683, p. 182.
W. Shakespeare, The Merchant of Venice, I, III
(1600). Per l’interpretazione delle parole di
47
27
Shylock, cfr. J.J. Harris, Sick Economies. Drama,
Mercantilism, and Disease in Shakespeare’s England, Philadelphia 2004, pp. 76-79. Rispetto
a Shylock, fu costante nelle interpretazioni
ebraiche il tentativo di minimizzare o respingere considerazioni di interesse e accorgimenti
disonesti da parte di Giacobbe. Filone di Alessandria non commenta Genesi 30, 25-43, mentre si dilunga su considerazioni psicologiche e
metafisiche a proposito di Genesi 31, 10-13 (De
somnis, XXXIII, 189-227); Giuseppe Flavio
accenna all’episodio con reticenza (Antiquitates judaicae, I, 320-321); il Liber antiquitatum biblicarum, che nel Rinascimento era attribuito a
Filone, stabilisce il simbolismo delle verghe in
rapporto al sacerdozio di Aronne (XVII, 3-4). I
midrashim giudaici insistono sull’intervento degli
angeli ed escludono sotterfugi; cfr. L. Ginzberg,
The Legends of the Jews, I, Philadelphia 1909, pp.
370-371; V, 1925, p. 300; si veda però la nota 23.
Dorotheum, Vienna, 10 dicembre 2004, lotto
243; Sotheby’s, New York, 29 gennaio 2016,
lotto 752 (84,1×66,7 cm).
FRANCESCO SARACINO
mente al bastone che reca i segni di numerosi intagli, mentre
sullo sfondo un servo impiega una pertica28. Rispetto al nostro
tema, tuttavia, la tela del discepolo di Rembrandt presenta un
dettaglio inatteso; oltre la verga, Giacobbe indica lo scopo del
suo gesto, la mutazione prodigiosa non di pecore, come nel
racconto biblico, ma di vacche (una è bianca, l’altra pezzata).
Per dar conto della sostituzione effettuata da Victors dobbiamo risalire ad Agostino, il quale ricondusse l’aspetto dei buoi
pezzati (in rapporto all’egizio Apis) ad un’azione demonica parallela a quella di Giacobbe, un convincimento ripetuto fino
al XVII secolo29. Una variante meno fantasiosa della credenza
fu convalidata da Giovanni Battista della Porta nel trattato del
1589 riedito ad Amsterdam nel 1664; il naturalista napoletano,
scrivendo de vi mira imaginationis, estendeva il caso di Giacobbe
ad esempi di allevatori che con accorgimenti simili modificano
le razze di cavalli, di suini, bovini, cani e uccelli30. La compilazione biblica di Samuel Bochart (1663) confermava punto
per punto la casistica nell’ambiente riformato per cui Victors
operò, e con vasto apparato di autorità31. Alla luce di questa
persuasione, non è irragionevole spiegare il mandriano di Victors in rapporto a una finalità benaugurante dell’immagine di
Giacobbe nella dimora di un benestante dei Paesi Bassi con
interessi specifici32.
Nelle immagini che consideriamo si assiste perciò a uno slittamento dal fattore ‘scientifico’ che intrigò gli eruditi e i naturalisti dell’Occidente a quello pratico e auspicale che più da
vicino coinvolgeva i proprietari dei quadri. La verga di Giacobbe portava bene e, se era utilizzabile al di là degli ovini, la
virtus racchiusa nelle tele che la effigiano poteva estendersi ad
altri campi, in funzione di aspettative ancorate alla fiducia nella
provvidenza divina. La pecora (pecus) e il bestiame si associano
a parole quali pecunia, peculio, peculato… che nelle fantasie dei
committenti evocavano scenari di onesta opulenza. Lo stesso
autore del testo sacro termina il suo racconto con queste paro-
28
29
Non ancora riconosciuto, un Giacobbe a mezza
figura di Pier Francesco Mola (Oxford, Ashmolean Museum, WA1960.73, forse pendant di
un Aronne in collezione privata) raffigura il patriarca col bastone del viandante (cfr. Genesi 32,
10, in rapporto a Deuteronomio 26, 5). Per l’associazione caratteristica del bastone a Giacobbe,
cfr. C. Musso, Prediche quadragesimali, I, Vinezia
1587, p. 392; Discorsi del P. Gregorio Mastrilli della
Compagnia di Giesu sopra la passione e morte di Christo nostro redentore, Roma 1607, pp. 277, 337. Il
Giacobbe di Oxford è catalogato come Ritratto di
beduino in F. Petrucci, Pier Francesco Mola (16121666). Materia e colore nella pittura del ’600, Roma
2012, p. 244 (ivi, p. 322, per l’Aronne).
Cfr. Agostino, De civitate Dei, PL 41, 564: “Non
enim magnum erat daemonibus ad eos decipiendos phantasiam talis tauri, quam sola cerneret, ostentare vaccae concipienti atque praegnanti, unde libido matris adtraheret quod in
ejus fetu jam corporaliter appareret: sicut Jacob
de virgis variatis, ut oves et caprae variae nascerentur, effecit”. Per la ripresa di queste affermazioni, si veda F. Vallesius, De sacra philosophia,
30
31
32
33
le: “Ditatusque est homo [scil. Iacob] ultra modum, et habuit
greges multos, ancillas et servos, camelos et asinos” (Genesi 30,
43)33. Insomma, il desiderio di avere in casa un Giacobbe è meglio comprensibile se si pensa alla garanzia che l’immagine offriva come talismano della fortuna.
Parallelamente, la storia del patriarca divenne un’apologia del
mestiere degli artisti e del loro ruolo insostituibile in una comunità premoderna; dalla loro abilità nel mettere in scena i fantasmi della fortuna dipendeva in buona parte la stimolazione e, in
qualche caso, la soddisfazione dei desideri legittimi34.
Due versioni di Savoldo
Che sotto le spoglie del Pastore di Savoldo si celasse un personaggio biblico fu un’eventualità cui accennò lo stesso Longhi
nel commentare il dipinto che rese noto nel 1927:
qui non vien fatto di provare sul modello che i nomi di battesimo più comuni nelle campagne del Veneto, di Zorzi o di
Nane, anche se, alla fine, si dovesse scoprire ch’egli non è che
il servo di Abramo in atto di additare presso il pozzo, ad attinger acqua, la piccola Rebecca35.
Anche Adolfo Venturi tentò la carta della Scrittura, ma la liquidava come irrisoria, optando anche lui per la condizione
contadina:
La stessa scelta del soggetto esce dal mondo veneto: che se
pure il contadino con boraccia e zufolo figurasse un personaggio biblico, quale il Figliuol prodigo o Giuseppe [sic] al
pozzo, noi lo vedremmo sempre tradotto in soggetto di genere, da quel suo pacifico e pieno riposo nella calma laboriosa
dei campi36.
Augustae Taurinorum 1587, pp. 130-131; T.
Fienus, De viribus imaginationis, cit., p. 123.
G.B. Porta, Magiæ naturalis libri viginti, Amstelodami 1664, pp. 89-92. Così già C. Agrippa, De
occulta philosophia libri tres, Coloniae 1533, pp.
LXXXVI-LXXXVII.
S. Bochart, Hierozoicon, sive bipertitum opus de animalibus S. Scripturae, Francofurti ad Moenum
1675, pp. 546-547. Victors, da conoscitore della
Bibbia, non poteva confondere pecore con vacche; egli è anche autore di una Spartizione delle
greggi fra Labano e Isacco (ubicazione sconosciuta;
Sumowski 1730).
Nel Getty Provenance Index si individuano numerosi soggetti del ciclo di Giacobbe (non sempre
identificati con precisione negli inventari) e raffigurazioni singole del patriarca fra le collezioni
neerlandesi del XVII secolo.
Un asino appare in una fedele raffigurazione
di Genesi 30, 37-40 eseguita da Pedro Orrente (Raleigh, North Carolina Museum of Art,
52.9.181). Un Giacobbe col gregge di Labano
dell’ambito di Francisco Antolínez y Sarabia
(1644-1700) passato da Bonhams, Kidlington,
48
34
il 3 novembre 2010, lotto 232, mostra il pastore col bastone che siede davanti al gregge e a
un asino.
Cfr. Dell’arte historica d’Agostino Mascardi trattati
cinque, Venetia 1655, pp. 274-275: “[…] dalla
sagacità di Giacobbe […] Le pitture dunque
historiali, che da’ giovanetti principalmente curiosamente si mirano, non solamente lasciano
impresse ne’ cuori l’attioni ch’esprimono le tele,
ma perché quella apunto è l’età in cui si concepiscono i primi proponimenti della futura vita;
per mezo loro, o la virtù o ‘l vitio, secondo la
qualità degli esempi dipinti, tinge del suo colore
i parti dell’animo, ond’altri o virtuoso riesce o
vitioso dalla scuola della pittura”. Un più tardo
apologeta scriverà “Sur cela, pour témoigner
davantage les prérogatives de cet Art, nous
remarquasmes comment dans la formation
des corps animez, elle est mesme capable de
remedier aux défauts qu’ils pourroient recevoir
de la nature. Nous nous souvinsmes de ce que
l’Ecriture rapporte des brebis de Jacob”. Cfr.
A. Félibien, Entretiens sur les vies et sur les ouvrages
des plus excellens peintres anciens et moderns, I, Paris
SAVOLDO E LA FORTUNA DI GIACOBBE
4
za programmatica al bastone in rapporto al gesto che compie
il personaggio riferendosi alla scena sul fondo. Un impianto
siffatto non era infrequente nel Rinascimento, come mostra il
San Giacomo di Benvenuto Tisi nella Galleria Palatina di Firenze
(1515 ca.), dove l’apostolo, identificato dal bastone del pellegrino sulla spalla, si rivolge allo spettatore e indica l’episodio della
cattura di Gesù che lo implica lontano sullo sfondo (fig. 4)38.
Il medesimo ordinamento compositivo favorisce l’intelligenza
dei due esemplari del Pastore di Savoldo.
L’eccellenza del dipinto di Los Angeles, infatti, non deve far
trascurare una seconda versione del soggetto ora in Scozia
(Longniddry, Gosford House), che, pur versando in condizioni deplorevoli, lascia ravvisare una qualità non indegna del
pittore bresciano (fig. 5)39. Savoldo era notoriamente incline a
replicare le soluzioni più riuscite con varianti sottili, e il Pastore
di Gosford House si distingue dal suo gemello californiano
per l’aspetto del personaggio e la dilatata spazialità della scena, accresciuta dal bellissimo cielo striato che annuncia la fine
del giorno.
La tela di Gosford House è ancora più idonea di quella di Los
Angeles a candidarsi come un ‘ritratto’ di Giacobbe, e potrebbe
anzi precederla. Il dipinto manifesta una maggiore congruenza
del gesto della mano che, arretrata di poco rispetto all’esemplare Getty, riguarda ugualmente il bastone puntato sotto l’ascella
e lo sfondo (come avviene nella tela di Victors [fig. 3])40. Rispetto al dettato biblico (“detractisque corticibus, in his, quæ spoliata fuerant, candor apparuit”), le intaccature del bastone non
sono visibili; il pittore si riferisce perciò alla decisione ispirata
di Giacobbe che precede la sbucciatura (sequenza I) e riguarda
le pecore che si abbeverano più lontano (fig. 6)41.
La posizione più avanzata della mano destra nella tela Getty
e l’introduzione nel fondo di un minuscolo pastore che soffia
la piva sotto il pioppo hanno indotto a cogliere una relazione disgiuntiva tra l’effigiato in primo piano e la scena visibile
Benvenuto Tisi, detto il Garofalo, San Giacomo Maggiore. Firenze, Galleria
Palatina di Palazzo Pitti
L’intuizione rimossa dai due padri fondatori non era lontana
dal vero: secondo noi, il Pastore di Girolamo Savoldo raffigura
Giacobbe, colui che ha carpito la benedizione di Isacco suo padre e in tal modo fruisce per sé e per gli altri i vantaggi della
promessa fatta da Adonaj alla discendenza di Abramo.
Nel quadro di Savoldo, la fiasca al cinto e il flauto indicano la
condizione di un pastore37, ma l’artista conferisce un’importan-
35
36
37
1685, p. 81. In rapporto alla traduzione greca di
Genesi 47, 31 (LXX: “si inchinò alla punta del
suo bastone”), la verga di Giacobbe fu un appiglio per i difensori ecclesiastici delle immagini,
a partire da Atanasio di Alessandria; cfr. H.L.
Kessler, Spiritual Seeing. Picturing God’s Invisibility
in Medieval Art, Philadelphia 2000, p. 122.
R. Longhi, Due dipinti inediti, cit., p. 152. Il riferimento a Genesi 24 fu ripreso da W. Suida, Savoldo, Giovanni Girolamo, in U. Thieme, F. Becker,
Allgemeines Lexikon der bildenden Künstler, XXIX,
Leipzig 1935, p. 511, secondo cui il soggetto
sarebbe “vielleicht auf Eleazar, den Diener
des Abraham, den auf Rebekka am Brunnen
hinweist, zu deuten”.
A. Venturi, Storia dell’arte italiana, IX, La pittura del
Cinquecento, III, cit., p. 767. Cfr. A. Ballarin, Savoldo, Milano 1966, s.p.: “Non si sa se rappresenti
un personaggio biblico o una persona reale”.
Il flauto è un attributo fisso del pastore sin
dall’età classica; per la fiasca, si vedano due celebri opere di Tiziano, l’Adorazione di un pastore
alla National Gallery di Londra (NG 4; 1510
ca.) e la Madonna del Coniglio (Vierge au lapin) del
38
39
40
Louvre (inv. 743; 1525-1530 ca.).
Cfr. F. Saracino, Davanti al San Giacomo di Garofalo, in “Arte Cristiana”, CIX, 2020, 916, pp.
68-73. Si veda anche la fig. 9.
Tela 101×87 cm. Cfr. J.A. Crowe, G.B. Cavalcaselle, A History of Painting in North Italy, London
1871, II, p. 429. Il dipinto fu a volte considerato
una copia; tale la ritiene C. Gilbert, The Works
of Girolamo Savoldo, cit., p. 170, ma egli riporta il
parere di Bernard Berenson secondo cui “it has
an equal claim with the Contini version to be
original”; così anche F. Frangi, Savoldo. Catalogo
completo, cit., pp. 125-126, secondo cui spartisce
col Pastore Getty “una collocazione tarda nel percorso del pittore” (1540 ca.). Per alcune notizie,
cfr. C. Parisio, Aggiunte ai cataloghi. Un Moretto e un
Savoldo sul mercato d’arte internazionale, in “Atlante
Bresciano”, 5, 1985, pp. 111-112; R. Stradiotti,
in Giovanni Gerolamo Savoldo tra Foppa, Giorgione
e Caravaggio, cit., p 190. C. Gilbert, The Works of
Girolamo Savoldo, cit., p. 170, menziona una copia
più piccola (66×55 cm) in collezione privata a
Berna, a suo dire tratta dall’esemplare Getty.
W. Suida, Savoldo, cit., p. 511, rimarcò una si49
41
mile disposizione nel Ritratto di giovane come san
Giorgio a Washington, National Gallery of Art
(1952.5.74).
Uno dei rari studi del Savoldo per una figura
intera rappresenta un uomo seduto con un
bacchio; il disegno potrebbe convenire a vari personaggi, e anche a una prima idea per il
Giacobbe, tratta da un modello abbigliato con
una tunica (Vienna, Albertina, 22982). Fra le
immagini di Savoldo, solo i due pastori della
Natività di Torino (Galleria Sabauda) usano il
bastone. L’incrocio del flauto col bastone nei
due esemplari di Savoldo corrisponde a un tipo
di quadrante diffuso fin dall’antichità e noto nel
XVI secolo come bastone di Giacobbe; tuttavia, se
non è casuale, è più facile riferire l’incrocio alla
tradizionale associazione tra la verga del patriarca e la croce. L’impiego della verga di Giacobbe
(al pari di quella di Mosè) a scopi magici o rabdomantici è noto agli esperti del settore e data
dal tardo Medioevo. In rapporto al presunto
soggetto pastorale del dipinto, si vedano le considerazioni di C. Gilbert, The Works of Girolamo
Savoldo, cit., pp. 341-342.
FRANCESCO SARACINO
5
che Giacobbe intende effettuare in rapporto alle bianche (affidategli da Labano) che ora bevono e che, a manovra compiuta,
figlieranno agnellini striati. Volendo, nelle due donne al pozzo
si potrebbero riconoscere Rachele e Lia (per Longhi, invece,
“la piccola Rebecca”), forse anche le serve rispettive, i famuli
e i figli adolescenti di Lia nelle altre figurine al lavoro; occorre
controllare, Bibbia alla mano, perché con Savoldo non si sa
mai. Sin da quella primizia che è l’Elia ora a Washington, gli
sfondi sono essenziali nell’economia narrativa dei quadri del
bresciano45; a quanto ricordiamo, vi appaiono sovente pecore
al pascolo, ma solo nei nostri due esempi si abbeverano a un
canale, ricavato dal corso d’acqua che attraversa il paese. Anche
il pozzo, un fattore ricorrente nelle vicende dei patriarchi e legato soprattutto all’incontro di Giacobbe e Rachele (Genesi 29,
2ss), non è replicato altrove.
L’impressione che nel Pastore si celi il ritratto di un gentiluomo
in disguise è piuttosto condivisa dagli studiosi di Savoldo e non
vogliamo smentirla. Il catalogo del bresciano annovera tre casi
in cui il personaggio dipinto riveste gli attributi di un santo (Ritratto di gentiluomo come san Giorgio, Washington, National Gallery
of Art) e di una santa (Ritratto di gentildonna come santa Margherita,
Roma, Pinacoteca Capitolina; Santa Caterina, collezione privata),
e due autoritratti più dubbi in cui il pittore si sarebbe identificato
con San Girolamo (Brescia, collezione privata) e con un Profeta
(Vienna, Kunsthistorisches Museum)46; non sembra perciò eccessivo individuare la stessa modalità nel quadro Getty, pur in
assenza di fattori particolarmente caratterizzati nel viso dell’uomo (del resto, la stessa genericità si ravvisa nelle effigi di San
Giorgio e Santa Caterina). Questa prassi tipica del ritratto devoto
permetteva agli effigiati di attirare su di sé i benefici riversati
dal santo patrono di cui recavano il nome, o che desideravano
ingraziarsi nel bisogno. La gentildonna ritratta da Savoldo con
il drago di santa Margherita nella tela capitolina doveva essere
incinta, a giudicare dalla caratteristica mano al fianco, e voleva
garantirsi del parto immedesimandosi nella santa delle gravidanze. Allo stesso modo, il Giacobbe di Savoldo avrebbe recato a
qualcuno dei tanti Giacobo, Jacopo, Jacomo e Jacometto veneziani il conforto della benedizione che accompagnò il patriarca:
egli portava la fortuna nel nome (Genesi 25, 26)47.
Giovanni Girolamo Savoldo, Pastore col flauto (o Giacobbe). Longniddry, Scotland, Gosford House
indietro (fig. 7)42. A nostro parere, il rapporto fra i due piani dell’immagine è invece congiuntivo, e il dipinto di Gosford
House rende palese il legame tra la causa (il bastone) e l’effetto
(il gregge che si abbevera di sera) concepito dal pittore43. La
tela Getty enfatizza piuttosto il ritorno delle pecore all’ovile
introducendo il pastore sullo sfondo che, terminata la fatica
del giorno, si rilassa col suo strumento44. Nei due casi, Savoldo
diversifica gli edifici antichi del fondale (a Los Angeles, “i resti
di una specie di Settizonio” [Longhi]; il Colosseo, a Gosford
House), ma ripete la situazione nell’aia davanti alla fattoria,
evidentemente essenziale per riconoscere il tema e la funzione
dell’immagine: due donne si affaccendano attorno a un pozzo
e ai loro piedi il gregge di pecore bianche e qualche agnello
bevono a un canale. Palese è pertanto il richiamo all’operazione
42
Cfr. B. Aikema, Savoldo, cit., p. 103: “Possiamo
dunque concludere che nel quadro del Savoldo
l’uomo seduto sullo sfondo è un tipico ‘uomo
carnale’, peggio ancora, un falso pellegrino che,
come testimonia la masseria e la presenza delle
poderose rovine… si è dedicato totalmente al
peccato. Spiccato il contrasto con il pellegrino
in primo piano, padrone delle proprie passioni,
squisito, cortese, anche lui porta uno strumento a fiato ma il suo flauto è troncato e quindi
inutilizzabile: convertitosi, egli ha superato il
peccato, il che dà ulteriore lustro al suo pellegrinaggio”. L’osservazione circa il flauto troncato
non ci sembra esatta; l’integrità dello strumento
è verificabile paragonandolo a un qualsiasi flauto da pastore ancora in uso in certe zone (ad
esempio il su pippiolu sardo). L’affermazione che
la piva è “uno strumento dal significato partico-
43
larmente negativo” è vera solo in un contesto
connotato in senso sfavorevole da altri fattori, altrimenti essa è lo strumento pastorale per
eccellenza, assieme al flauto, e non squalifica il
pastore sullo sfondo; quest’ultimo suona tranquillamente per sé, per le pecore e per chi vuol
ascoltarlo, come si osserva in tante illustrazioni
medievali. In rapporto al poema di Contarini,
la posizione di E. Lucchesi Ragni, in Giovanni
Gerolamo Savoldo tra Foppa, Giorgione e Caravaggio,
cit., p. 176, è più sostenibile.
In senso congiuntivo (in relazione alla presunta
Rebecca sullo sfondo) valevano i suggerimenti di
Longhi e Suida a proposito di Eleazar (cfr. nota 35). Così anche K. Christiansen, in The Age
of Caravaggio, catalogo della mostra (New York,
The Metropolitan Museum of Art; Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte), a cura di Id.,
50
44
New York 1985, p. 81: “When this shepherd
raises his wooden flute to his lips, the music
that he makes will be as pastoral as the bagpipe
played by his companion in the distance”.
In riferimento al fondo della tela di Gosford
House, Stradiotti, in Giovanni Gerolamo Savoldo tra Foppa, Giorgione e Caravaggio, cit., p. 190,
scrive di “un’alba rossastra”. È vero che Paolo
Pino elogia il bresciano “della cui mano vidi
già alcune aurore con rifletti del sole” (Dialogo
di pittura, a cura di E. Camesasca, Milano 1954,
pp. 69-70), ma non v’è motivo di scorgere solo albe nei dipinti di Savoldo; la situazione dei
nostri due quadri richiede invece un tramonto
(le pecore tornate all’ovile, il riposo del pastore
con la piva), e in tal senso si esprime C. Gilbert,
in The Genius of Venice 1500-1600, catalogo della
mostra (Londra, The Royal Academy of Arts),
SAVOLDO E LA FORTUNA DI GIACOBBE
6
Giovanni Girolamo Savoldo, Pastore col flauto (o Giacobbe), particolare. Longniddry, Scotland, Gosford House
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gli guardando dei bei corpi (a prescindere dall’avvenenza dei
mariti), fu ribadita per secoli nelle civiltà tradizionali e approda ai nostri giorni. Gli effetti performativi della phantasia nei
casi delle gravide che già abbiamo ricordato erano rafforzati
dall’opportunità di avere disponibili immagini manufatte che
fungessero da sostituti per quei bei corpi difficili da aver sempre sott’occhio48. In proposito, i lettori ricorderanno il concepimento di Clorinda (bianca da genitori etiopi) che Torquato
Tasso fa rievocare dall’eunuco Arsete, insistendo sulla preghie-
Talismani
La sequenza concettuale dei nostri argomenti riguarda l’episodio di Genesi 30, 37-40 impiegato 1) per spiegare le fantasie
ideoplastiche attraverso un rimando biblico; 2) per legittimare
l’utilità delle immagini che favorivano tali fantasie; 3) per costituire con la figura di Giacobbe un dispositivo di incremento
patrimoniale nelle dimore che lo esibivano.
La casistica relativa alle donne che concepiscono dei bei fi-
45
a cura di J. Martineau e C. Hope, London 1983,
p. 203 (“that this is evening is insisted upon by
the fact that the sheep have been brought into
the fold”), confermato da Christiansen, in The
Age of Caravaggio, cit., p. 81. Nella sua parafrasi
al primo libro del Pentateuco, Aretino riferisce
l’episodio agli armenti che vengono “la sera e
la mattina a beverare”; cfr. Il Genesi di M. Pietro
Aretino, Vinegia 1539, p. 76.
Cfr. A.M. Casciello, Per l’iconografia del profeta
Elia di Girolamo Savoldo, in “Rivista dell’Istituto
Nazionale d’Archeologia e Storia dell’arte”, s.
3, XLI, 2018, 73, pp. 245-281. Per l’identificazione del viaggio della famiglia di Lazzaro nello
sfondo della Maddalena di Savoldo alla National
Gallery di Londra, NG 1031, cfr. F. Saracino, Il
più forte. Visioni del Messia risorto, Terlizzi 2012,
pp. 183-184.
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47
48
Giovanni Girolamo Savoldo, Pastore col flauto (o Giacobbe), particolare. Los
Angeles, The J. Paul Getty Museum
Cfr. C. Gilbert, Newly Discovered Paintings, cit.,
pp. 41-44.
Per l’indispensabile avallo etico, valevano assicurazioni come quella di Brucioli, il quale concludeva la sua esegesi di Genesi 30: “Onde non
sono cattive le ricchezze, le quali da il Signore
a pii, et acciò che le usino legittimamente, et
sieno aiuti della virtù, et materia di beneficare,
et uficii di esercitare la charità verso il prossimo”. Cfr. Commento di Antonio Brucioli in tutti i
sacrosanti libri del Vecchio e del Nuovo Testamento, I,
Venetia 1546, p. 33. In realtà, lo stratagemma di
Giacobbe ha sempre inquietato i moralisti della
Chiesa, che si sforzarono di neutralizzare l’inganno implicito.
Per altre attestazioni di tali credenze, da Leon
Battista Alberti al XVIII secolo, cfr. J.M. Musacchio, Imaginative Conceptions in Renaissance Italy,
51
in Picturing Women in Renaissance and Baroque Italy,
a cura di G.A. Johnson e S.F. Matthews Grieco, Cambridge 1997, pp. 42-60; U. Pfisterer,
Kunst-Geburten. Kreativität, Erotik, Körper in der
Frühen Neuzeit, Berlin 2014, pp. 57-59; J.-F. Corpataux, Pro-création. Pouvoirs de l’image et fécondité
dynastiques à la Renaissance, Fribourg 2019. Ancora Bernini converserà sull’argomento con Luigi
XIV, entrambi assai convinti da esempi di famiglia; cfr. P. Fréart de Chantelou, Journal du voyage
du Cavalier Bernin en France, a cura di L. Lalanne,
Paris 1885, p. 201. Per l’uso delle immagini mariane a questo scopo, cfr. G.A. Johnson, Beautiful
Brides and Model Mothers. The Devotional and Talismanic Functions of Early Modern Marian Reliefs, in
The Material Culture of Sex, Procreation, and Marriage in Premodern Europe, a cura di A. McClanan
e K. Encarnación, London 2002, pp. 135-161.
FRANCESCO SARACINO
ra della madre davanti a un quadro di San Giorgio e la principessa
che segnò il destino della figlia ben al di là del colore della pelle
(Gerusalemme liberata, XII, 23)49.
Come è prevedibile, anche il caso di Giacobbe fu riferito alla topica dei quadri che influiscono sulla formazione dei feti
umani. Un legame tra le immagini ideoplastiche manufatte e la
vicenda del patriarca fu asserito a partire da Agostino (loc. cit.);
ai tempi di Savoldo, parlava in tal senso di causalità anche Ludovico Domenichi, uno scrittore ben introdotto negli ambienti
in cui l’artista era noto a Venezia50. In una glossa a Plinio, il
collaboratore di Aretino afferma:
fluxus) nell’immaginazione delle pecore, ottenendo gli stessi
effetti dei quadri negli episodi ricordati da Quintiliano e Ippocrate54.
Infine, un riferimento alle famose pecore valeva anche per le
statue, come mostrano i consigli di Giovanni Battista della
Porta:
In questo proposito molti si vagliono dell’essempio del patriarca Giacob, quando mise nel fiume innanzi a gli occhi di
tutto il gregge del suocero la verga mezza rimonda e l’essempio non sarebbe fuor di proposito se ciò non fosse stato più
per divin volere, che per cagion naturale. Da questo par che
sia hoggi nato il costume fra i Signori di tener per le camere
quadri nobilissimi di pitture, perché da simili oggetti le donne
prendano imagination bella51.
Questa forza dell’anima nostra, e della imaginatione molto
ben conobbe Giacob, come ne fan fede a noi le sacre lettere…
Havendo io molte volte detto ad una Signora questi precetti,
la qual molto desiderava partorir bei figliuoli, subito si locò in
sua camera un bambino di marmore bianchissimo, et intagliato da un eccellente artefice, perché desiava haver un figlio di
quelle fattezze, la quale havendolo sempre innanzi gli occhi, e
nella concettione, e mentre lo portò in ventre, e così essendo
nato poi, me lo mostrò, grassetto e benissimo fatto, simile al
simulacro di marmore, ma così pallido che imitava il marmore
nella forma come nel colore, e conobbe esser vero quanto io
gli dissi. Alcune altre si sono lodate dell’artificio, essendole
riuscito come io le diceva55.
L’allusione di Domenichi al “divin volere” o alla “cagion naturale” operativi nell’atto del patriarca riguarda un’annosa discussione circa le cause e gli effetti (naturali o soprannaturali)
del suo stratagemma52. Nei giorni in cui Savoldo eseguiva il
Pastore e a quattro passi dalla sua abitazione a San Zanipolo53,
anche Francesco Zorzi si interrogava sul tema nel convento
di San Francesco della Vigna. Questo protagonista della vita
intellettuale di Venezia affrontò il dilemma nel commentare Genesi 30, affermando che una disposizione conveniente
dei fattori fisici poté attirare in quella circostanza l’energia
soprannaturale, al modo in cui l’acqua e la parola richiamano nel battesimo la grazia sacramentale. Giacobbe fu così
sapiente da dirigere col bastone l’influsso celeste (superni in-
L’accostamento delle pecore di Giacobbe all’impressione delle immagini verificabile nelle alcove era destinato a estendersi
agli altri beni che costituiscono il patrimonio di una famiglia.
Nel Rinascimento funzionavano in tal senso le terracotte di
Dovizia disposte nei luoghi strategici della casa56, e anche dipinti quali le Dame col piatto di frutta o con lo scrigno delle gioie usciti
dalla bottega di Tiziano sono da ricondurre a questa categoria57. Tintoretto dipinse nel 1567 un Ritratto di Ottavio Strada
(Amsterdam, Rijksmuseum) esemplare in proposito: il figlio di
un altro ricco Jacopo riceve da Fortuna il corno dell’Abbondanza da cui, al posto dei frutti, sgorgano monete d’oro e d’argento58. Per scopi simili, dovette sembrar naturale al committente
di Savoldo richiedere la figura di Giacobbe che ai suoi occhi
49
50
51
I casi esposti da Ippocrate (in Girolamo, Quaestiones Hebraicae in Genesim, PL 23, 985; un ritratto), Galeno (De theriaca, V, 9; il quadro di
un bambino), Eliodoro (Aethiopica, X, 14-15;
un quadro di Andromeda), Plutarco (Placita
philosophorum, V, 12; dipinti e sculture di Empedocle) e Agostino (Contra Iulianum, PL 44, 813;
una bella pittura) entrarono nel canone degli
umanisti e influirono sulla richiesta di immagini
(in marmi, tavole, cassoni, deschi da parto, tele,
maioliche, ecc.) adattabili a scopi eugenetici durante il Rinascimento e oltre.
Cfr. A. Piscini, Domenichi, Ludovico, in Dizionario
Biografico degli Italiani, 40, Roma 1991, pp. 595600. L’amicizia con Pietro Aretino si raffreddò
dopo la partenza del Domenichi da Venezia
nel 1546; al dicembre del 1548 risale la lettera
dell’Aretino al pittore Gian Maria (Fadini?) che
contiene le lodi del “valente Gian Girolamo da
Brescia”; cfr. Il quinto libro delle lettere di M. Pietro
Aretino, Parigi 1609, p. 66.
Historia naturale di G. Plinio secondo tradotta per
M. Lodovico Domenichi, Vinegia 1561, p. 191. Si
tratta di una postilla ad un brano della Storia
52
53
naturale (VII, 12) tradotta da Domenichi negli
anni quaranta e relativo alle somiglianze tra i
genitori e i figli.
Gli esegeti latini adottarono l’interpretazione
‘naturale’ di Girolamo, a differenza della posizione ‘soprannaturale’ difesa su questo punto dai
commentatori greci, e specialmente da Giovanni
Crisostomo nella Omelia LVII sulla Genesi; cfr.
Œuvres complètes de Saint Jean Chrisostome, a cura
di J. Bareille, VIII, Paris 1867, p. 184. L’episodio
delle verghe aprì la strada per ammettere in Occidente la legittimità di una magia naturale (quella cioè che non faceva intervenire i demoni e le
anime dei morti nelle sue pratiche), un’evenienza
che preoccupava i teologi ma che incoraggiò i filosofi della natura dal Medioevo fino al Seicento.
Secondo la dichiarazione dell’orefice Bernardino da Bexana nel testamento del 28 giugno
1532, il pittore abitava “in calle da la Testa
apresso a santo Gioanne et Paulo”; cfr. Giovanni Gerolamo Savoldo tra Foppa, Giorgione e Caravaggio, cit., pp. 320-321. Nel novembre 1539,
Savoldo continuava a risiedere “in cale de la
Testa”, come si ricava dal testamento dell’inci52
54
sore Giovanni Antonio Gandino (ivi, p. 322).
Cfr. F. Zorzi, In Scripturam Sacra problemata,
Venetiis 1536, ff. 28v-29; per quanto riguarda
Quintiliano, il frate rimanda a una testimonianza di Girolamo (cfr. PL 23, 984-985). Francesco
Zorzi aveva già impiegato la vicenda di Giacobbe nel contesto di una discussione circa la fede
nel De harmonia mundi (1525), dove il patriarca
svolge un ruolo fondamentale come typus di
Cristo; cfr. F. Zorzi, L’armonia del mondo, a cura
di S. Campanini, Milano 2010, p. 1488, 1723 e
passim. Per un caso esemplare di legame ideologico tra Zorzi e Tiziano, cfr. F. Saracino, Il
Nome dipinto, Genova-Milano 2007, pp. 40-49.
La questione delle immagini attive fu considerata nell’ambito della teurgia rinascimentale
(Ficino, ecc.) soprattutto in rapporto alle figure
astrologiche; Zorzi la estende invece ai quadri
e alle statue osservati dalle mamme. Così anche Agrippa, De occulta philosophia, cit., p. CXCI:
“Est et adhuc imaginum modus, non secundum
similitudinem figurarum cœlestium, sed secundum similitudinem illius quod desiderat animus
operantis, cuius sunt effigie set vestigia, sic ad
SAVOLDO E LA FORTUNA DI GIACOBBE
aveva il vantaggio di una legittimazione biblica e di una consolidata efficacia performativa.
Paralleli
Non possediamo notizie esterne sull’uso di un quadro di Giacobbe come portafortuna, ma il Pastore del bresciano potrebbe essere una delle prime comparse del soggetto approntato
a tal fine, una novità destinata al successo nel secolo a venire59. Questa raffigurazione, tuttavia, non emerge in un vacuum,
poiché, se la nostra proposta è valida, il dipinto rientrerebbe
nell’iconografia del figlio di Isacco che a Venezia e in Veneto
fu vivace durante il Cinquecento (Palma il Vecchio, Girolamo da Treviso, ecc.). È quanto attesta la frequenza dei temi
giacobiti nella produzione dei Bassano, che va considerata
specialmente in rapporto alla domanda di immagini legate alle
fortune del patriarca60.
A causa delle ambiguità costitutive di ogni immagine di tipologia ‘giorgionesca’, è difficile individuare nella pittura contemporanea o di poco successiva a Savoldo esempi certi con l’episodio delle verghe, dal momento che i possibili candidati si prestano a letture eterogenee. Tuttavia, accenneremo a un dipinto
che potrebbe sostenere una relazione siffatta, anche se non in
modo costringente. Un Pastore con flauto e bastone riferibile
con dubbio alla prima attività del padovano Nicolò Frangipane
imita gli archetipi veneziani del primo Cinquecento e potrebbe
anche ispirarsi a una delle versioni di Savoldo, invertendo la
composizione di quest’ultimo61; il giovane è raffigurato nell’atto di indicare il bastone impugnato dalla destra e, al contempo,
un gregge sullo sfondo agreste (fig. 8). L’immagine potrebbe
visualizzare la decisione di Giacobbe preliminare all’esecuzione
del piano, dal momento che il bastone è integro e le pecore
ancora brucano (sequenza I). L’effigiato è cinto inoltre di ede-
55
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57
58
amore fabricamus imagines se invicem amplectentes, ad discordam se percutientes […]”.
Citiamo dal volgarizzamento di P. Sarnelli, Della
magia naturale del Signor Gio. Battista della Porta napolitano libri XX, Napoli 1677, pp. 73-76.
A Firenze e in Toscana queste immagini si ispiravano alla scultura di Donatello collocata su
una colonna nel Mercato Vecchio (1428-1430
ca.); cfr. S. Blake Wilk, Donatello’s Dovizia as an
Image of Florentine Political Propaganda, “Artibus
et Historiae”, VII, 1986, 14, pp. 9-28. Un esemplare in terracotta invetriata di Giovanni della
Robbia reca l’iscrizione «gloria et divitie in domo tua» (Minneapolis, Institute of Arts, 15.211;
1520 ca.); cfr. G. Gentilini, I della Robbia. Scultura
invetriata nel Rinascimento, Firenze 1992, p. 309;
anche ivi, p. 400, e S. Blake Wilk, Donatello’s Dovizia, cit., p. 14.
Si veda, nonostante l’insistenza unilaterale sul
simbolismo nuziale, S. Brevaglieri, Tiziano, le Dame con il piatto e l’allegoria matrimoniale, in “Venezia Cinquecento”, V, 1995, 10, pp. 123-160.
Cfr. D. Bull, D.J. Jansen, W. de Ridder, in Titien,
Tintoret, Véronèse…: rivalités à Venise, catalogo del-
59
8
Niccolò Frangipane (?), Pastore (Giacobbe?). Ubicazione ignota
ra, un simbolo tradizionale di attaccamento coniugale, per cui è
intrigante l’eventualità che la tavola raffiguri un marito sotto le
spoglie di Giacobbe, e fosse in tal modo di buon auspicio per
la prole e il patrimonio62.
A nostra conoscenza, un testimone sicuro dell’episodio a Venezia è ravvisabile solo ai primi anni del XVII secolo, nell’ambito
di un ciclo di ignota destinazione dedicato a Isacco e a Giacobbe da Jacopo Palma il Giovane; la tela nelle collezioni di palazzo Thiene a Vicenza include i vari elementi della sequenza I,
la mostra (Parigi, Musée du Louvre), a cura di
V. Delieuvin e J. Habert, Paris 2009, pp. 200-213
(ivi, p. 207, per la probabile appartenenza agli
Strada della Dama col piatto di frutta di Tiziano ora
a Berlino, Gemäldegalerie, inv. 166). La presunta
Avarizia che E. Panofsky, Dürer. La vita e le opere, Milano 1967, p. 153, riconobbe sul verso del
Ritratto di uomo di Dürer eseguito a Venezia nel
1507 (Vienna, Kunsthistorisches Museum, inv.
849) non sarebbe evidentemente di buon auspicio per un giovane (infatti, l’autore pensò a una
vendetta del pittore per la spilorceria dell’effigiato!); la vecchia con un sacco di monete d’oro è, al
contrario, un peculiare emblema della fortuna, o
anche del mestiere del modello (l’Usura di Ripa).
Il contributo “capriccioso e sofistico” di Savoldo all’immaginazione del suo tempo fu riconosciuto da Vasari, ed è oggi ribadito da vari
studiosi. Cfr. M. Pardo, The Subject of Savoldo
Magdalene, “The Art Bulletin”, 71, 1989, pp. 6791; C. Nichols, Rethinking Savoldo’s Magdalenes:
A “Muddle of Maries”?, in “California Italian
Studies”, 5, 2014, pp. 175-203; J.-F. Corpataux,
Pro-création, cit. pp. 79-83.
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61
62
B. Aikema, Jacopo Bassano and his Public, cit., pp. 8491, posa invece l’accento sul moralismo delle scene bassanesche relative al viaggio dei patriarchi.
Il dipinto fu attribuito in passato a Bartolomeo
Veneto e a Giulio Campagnola ed è attualmente irreperibile. Per la vicenda critica, cfr. L.
Pagnotta, Bartolomeo Veneto. L’opera completa, Firenze 1997, pp. 310-311. Se la tavola fosse una
ripresa giorgionesca di Frangipane, potrebbe
datarsi alla metà degli anni settanta; il pittore è
documentato a Venezia dal 1563 e, dopo il soggiorno romagnolo degli anni ottanta, vi ritornò
nel decennio seguente; cfr. M. Mancini, Frangipane, Niccolò, in Dizionario Biografico degli Italiani,
50, Roma 1998, pp. 239-240.
Si vedano, a confronto, i due giovani sposi di
Jacopo Palma il Vecchio a Budapest, Szépművészeti Múzeum, 3460, 936, entrambi incoronati di
edera. Una seconda e assai restaurata versione
del Pastore è apparsa da Wannenes, Genova, il 26
maggio 2015, lotto 65, e presenta alcune varianti:
lo sfondo è diverso e al posto delle pecore appare un bue, offrendo un precedente allo scambio
fra ovini e bovini nella tela di Victors (fig. 3).
FRANCESCO SARACINO
9
Jacopo Palma il Giovane, Giacobbe e il gregge di Labano. Vicenza, Pinacoteca di Palazzo Thiene
con l’aggiunta di Rachele e Lia sul fondo e una rappresentanza
di bovini nel gregge di Labano (fig. 9)63.
Il quadro del bresciano si distingue da raffigurazioni come
quella del Palma che dopo di lui illustreranno senza ambiguità
le sequenze della storia di Giacobbe. Savoldo adatta il figlio di
Isacco alla ‘poetica’ del giorgionismo in voga presso i collezionisti del suo tempo; pur con un indice più elevato di adesione
ai fenomeni, egli evoca la vicenda del pastore in termini velati, e
non secondo i modi narrativi e didattici dei pittori del Seicento.
A causa della novità, era necessario possedere una chiave di
accesso a questo organismo di segni, e non dovette esser facile
conservare la memoria del soggetto al di là della cerchia per cui
fu eseguito. Ma non fu questo un destino condiviso da tante
immagini nelle dimore veneziane del Rinascimento?
54
SAVOLDO E LA FORTUNA DI GIACOBBE
Immagini vive
genza di sguardo, gesti, e natura che si tramuta in un phantasma rassicurante per la coscienza, e produttivo nell’esercizio
esterno. Quando al mattino si alzava, il proprietario del dipinto poteva assicurarsi il buon esito del giorno lanciandogli
un’occhiata, come altri erano certi di sopravvivere guardando
un San Cristoforo.
Si potrebbe aggiungere che le immagini di dovizia, le varie tipologie di ‘natura morta’ o la figura di un Giacobbe interessassero
specialmente i padri di famiglia preoccupati di accrescere le loro fortune, mentre le dame, secondo i nostri scrittori, erano
attratte dai bei corpi in pittura per motivi eugenetici. Queste
ripartizioni di ‘genere’ andrebbero sviluppate, e forse rivedute,
in uno studio complessivo dedicato alle immagini in rapporto
ai ruoli familiari e patrimoniali come si sono definiti nelle comunità premoderne65.
Altro discorso meriterebbe un tema correlativo ai nostri ragionamenti, vale a dire il ruolo svolto dai prophetic pictures per influenzare le decisioni degli osservatori al punto da determinare
come un destino le loro esistenze66. A noi basta sostare con
occhi nuovi davanti al quadro di Savoldo, raggiunti dallo sguardo del pastore benedetto da Dio che instilla la fiducia di poter
incrementare la vita.
La tradizione giudaica riconobbe in Giacobbe-Israele la prima attuazione delle promesse fatte ad Abramo da Adonaj, e
fu ispirandosi alla sua storia che i cristiani esaltarono la discendenza del Messia, senza dimenticare la benedizione che
accompagnò le iniziative del patriarca. Mentre il clero si richiamava a Giacobbe come a una “figura di Gesù Cristo”,
i laici estesero il suo patronato alle sfere della riproduzione
e del capitale e, come accadde ai santi protettori, l’immagine che lo effigiava fu concepita come ‘viva’, irradiando da sé
stessa la propria efficacia.
Dopo la pubblicazione del libro di David Freedberg, il “potere delle immagini” è divenuto un tema ricorrente nella nuova
storiografia dell’arte e fra i visual studies64. Da parte nostra, ci
permettiamo di aggiungere alla casistica delle ‘immagini vive’
un soggetto che, attraverso i dinamismi reciproci della messa in
figura, della disponibilità psicologica e delle attese degli spettatori, avrebbe sortito esiti in vari campi di applicazione.
Osservare un quadro siffatto ingenerava effetti paragonabili
a quelli suscitati dagli archetipi religiosi. Davanti al Giacobbe,
lo spettatore era in grado di rispecchiare in sé quella conver-
63
Il ciclo di cui sono note tre tele (Rebecca al pozzo,
Visione di Giacobbe, Giacobbe e il gregge di Labano),
è attestato nel 1793 fra i quadri di Chiara Grimani, vedova Tron, nel suo palazzo a San Stae.
Cfr. S. Mason Rinaldi, Palma il Giovane. L’opera
completa, Milano 1984, p. 149 (verso il 1620); P.
Gaudioso, in La Pinacoteca di Palazzo Thiene. Collezione della Banca Popolare di Vicenza, a cura di F.
Rigon, Milano 2001, pp. 107-108. In rapporto
agli episodi di Genesi 30-31 va menzionata una
tela di tardo ambito veronesiano che nell’Archivio Zeri (Bologna, Fondazione Zeri, Archivio
Fotografico, scheda n. 58449) reca il titolo Labano e il gregge di Giacobbe, al posto di Giacobbe e
il gregge di Labano. Oltre al figlio di Isacco con
la verga, compaiono qui una capra e un cane,
un pastore che spinge un capro (per la monta?),
Rachele e Lia, anch’essa col bastone. Potrebbe
trattarsi dei preparativi della famiglia di Gia-
64
cobbe per la partenza da Kharran (Genesi 31,
17ss), un soggetto spesso illustrato dai Bassano,
ma anche l’episodio delle verghe si candida per
dar senso a questa scena curiosa. Genesi 30, 35
riguarda la separazione di capre e pecore, ma
la Vulgata riferì l’accoppiamento seguente solo
ad arieti e pecore; non è escluso che il quadro
veronesiano sia una revisione consapevole della
vicenda in rapporto al testo ebraico di Genesi
31, 10-12, dove il resoconto di Giacobbe è fatto
alle mogli e concerne solo capre.
Si vedano per i riferimenti, le prefazioni dell’autore alle varie traduzioni del libro, raccolte in D.
Freedberg, Il potere delle immagini. Il mondo delle
figure: reazioni e emozioni del pubblico, Torino 2009,
pp. XXV-LIII. Anche le teorie degli atti iconici
potrebbero utilizzarsi in rapporto al quadro di
Savoldo; cfr. H. Bredekamp, Immagini che ci guardano. Teoria dell’atto iconico, Milano 2015.
55
65
66
In rapporto alla fluidità dei ruoli che invece
caratterizzano i moderni, è significativo che
Thomas Mann attribuisca a Giacobbe stesso
il desiderio di procreare un secondo Giuseppe
da un’altra donna, quando apprende la scomparsa del figlio diletto: “Io voglio generare con
lei tenendo gli occhi consapevolmente fissi
sull’immagine di Giuseppe che io ben conosco”. Cfr. T. Mann, Il giovane Giuseppe, Milano
1981, p. 239.
Il racconto di Nathaniel Hawthorne (The Prophetic Pictures, 1837) offre un bel riscontro letterario
al fenomeno delle immagini che determinano le
vicende dei loro proprietari. Una lista dei quadri ‘attivi’ nella letteratura occidentale sarebbe
lunga; per un orientamento, cfr. M. Niqueux,
Ekphrasis et fantastique dans La Vénitienne de
Nabokov ou l’art comme envoûtement, in “Revue des
études slaves”, 72, 2000, pp. 475-484.
ABSTRACT
mario cobuzzi
francesco saracino
CARVING AND POLYCHROMY IN ‘UMBRIAN’
MEDIEVAL WOOD SCULPTURE: FROM
THE BEGINNINGS ESTABLISHED BY PREVITALI
TO THE “PAINTER-SCULPTOR SYSTEM”
SAVOLDO AND THE SUCCESS OF JACOB
The subject of Giovanni Gerolamo Savoldo’s Shepherd with a
flute (Los Angeles, J.P. Getty Museum) has not yet been identified. This article attempts to link Savoldo’s painting to a tradition that legitimised the performative effects of the imagination with an episode from the story of Jacob related in the
book of Genesis. The painting is one of the first occurrences
to appear in a chamber context of a subject that would become
widespread, particularly in the seventeenth century, because of
its multiple applications.
[email protected]
Starting from a reinterpretation of Giovanni Previtali’s fundamental essays on fourteenth-century wood sculpture in Umbria, this article addresses the topic of the relationship between
painters and sculptors involved in the production of medieval
wood sculpture in Umbria, Abruzzo and the Marches; in particular, the article discusses the methodological validity of the
“painter-sculptor system” advanced by a number of scholars,
which conflates the figures of various painters and sculptors
from the Spoleto area. By analysing medieval technical treatises,
various complicated inscriptions and a number of particularly significant works, the author calls into question the validity
of this “system”, demonstrating that the available historical information shows that it is unlikely that the painters were also
wood-carvers. A more in-depth analysis is devoted to the representative case of the painter known as the Maestro di Fossa and
the sculptor known as the Maestro della Madonna del Duomo
di Spoleto, whom some scholars conflate into a single artist.
antonio foscari
SEARCHING FOR ANDREA PALLADIO
THE “INZEGNERE” (AND MORE BESIDES)
IN THE EAST WING OF THE PALAZZO DUCALE
There are no archival documents that confirm precisely what
restoration works were carried out by Andrea Palladio (together with Gian Antonio Rusconi) in his role as an inzegnere, or
engineer, engaged by the overseer, Antonio Da Ponte, to repair the fire damage that had compromised the roofs on the
northern part of the east wing of the Palazzo Ducale in 1574.
Through an exploration of the alterations carried out on the
facades of that wing in the years 1574-1577, Antonio Foscari
has been able to determine the extent of these works and how
some of them were executed.
[email protected]
[email protected]
mauro minardi
PAOLO UCCELLO, ANTONIO DI PAPI AND
THE REFECTORY OF SAN MINIATO AL MONTE
The documentation relating to the murals in the refectory of
the monastery of San Miniato al Monte in Florence that were
painted by Paolo Uccello and Antonio di Papi between 1454
and 1455 can be linked to the fragments of frescoes that still
survive in one of the rooms in the ancient building. This article argues that these portions should be attributed to Paolo
Uccello and his associate, and explains that the room should
be considered to have originally served as the monastery’s refectory, which was renovated in the years just before the fresco
cycle was painted. The particular iconography of the paintings
– which can be deduced only hypothetically, given their current
state – is discussed in the context of the characteristics of Olivetan spirituality and the commissioning of the work is linked
to Abbot Giuliano da Firenze, who in 1461 appears to have
engaged Paolo Uccello to produce the cycle in the monastery’s
upper cloister.
[email protected]
Vincenzo mancini
“EFFIGGIARE GLI ANIMI, E GLI INGEGNI”.
PORTRAITURE IN VENICE IN
THE MID-SEVENTEENTH CENTURY
This essay offers a new interpretation of the evolution of portrait painting in Venice in the decades before and after 1650,
when the generation of specialists who had been born in the
sixteenth century (Strozzi, Tinelli) gave way to the main players of the seventeenth-century revival. The legacy of Tinelli was crucial; he is studied in the first part of the research,
which is limited to his late work and the consequences of his
death intestate in 1639. The essay also focuses extensively on
Chiara Varotari and Gerolamo Forabosco, who had connections with Tinelli. In competition with the latter were a group
of foreigners headed by Nicolas Regnier and Daniel van den
Dijk, who are depicted through new documents and attributions. The text re-evaluates the contribution of Pietro Liberi
280
ABSTRACT
patriottico anziché raffinatezza estetica. Ma attraverso una ricerca sulle sue strategie politiche, questa biografia culturale di
un doge degli ultimi anni della Serenissima arricchisce la nostra
conoscenza di un erudito ed elegante esponente dell’élite politica, dedito alla tradizione del servizio pubblico.
as one of the possible inspirations for Sebastiano Bombelli,
who was responsible for how painting was treated up to the
eighteenth-century revival.
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andrea polati
PROFILE OF MONSÙ RINALDO DALLA
MONTAGNA, “PITTORE RARO MASSIME NELLE
FORTUNE MARITIME”
roberto caterino
A PREVIOUSLY UNPUBLISHED COLLECTION
OF ARCHITECTURAL DRAWINGS AT THE
BIBLIOTECA COMUNALE IN TREVISO
This article constitutes the first documented profile of Rinaldo dalla Montagna, otherwise known as Monsù Montagna, a
Dutch painter who specialised in painting storms at sea and
shipwrecks. Rinaldo, who until now has been confused with
Matthijs and Nicolas van Plattenberg, to whom he has no
links, was probably born in Amsterdam around 1601 and died
in Padua on 2 January 1664. After finishing his apprenticeship
in his homeland, he moved to Italy, where he travelled with
his family to the main cities of the time (Venice, Florence and
Rome). Monsù Montagna was often commissioned by important Italian patrons and collectors. He was linked above all to
the Medici family, for whom he produced numerous paintings,
many of which are today preserved in the Uffizi. Rinaldo dalla
Montagna was the first to raise awareness of and to spread the
genre of stormy-seas throughout Italy, at a much earlier date
than his compatriot Pieter Mulier, known as the Cavalier Tempesta, whose popularity would later outshine that of the older
painter. This essay aims to finally reassess Monsù Montagna’s
reputation in its context.
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The Biblioteca comunale di Borgo Cavour in Treviso safeguards a rich documentary heritage, parts of which have yet to
be explored. This is the case of a portfolio of miscellaneous architectural drawings, the study of which has made it possible to
determine more or less exact timescales, and to identify subjects
and contexts, with proposed attributions and identifications
that are open to critical appraisal. Significant fragments emerge
of more or less well-known events in the architecture of the
Venetian area, from the end of the sixteenth century to the early
twentieth century, with the greatest point of interest undoubtedly lying in the nineteenth-century urban history of Venice.
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elena catra, monica de Vincenti
FROM THE SCUOLA GRANDE DELLA CARITÀ
TO THE ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI VENEZIA:
GIOVANNI MARIA MORLAITER’S SCULPTURE
SERIES AND THE NINETEENTH-CENTURY
WORKS FOR THE NEW FACADE
William l. barcham
IL MECENATISMO NELLE ARTI
DEL DOGE ALVISE IV MOCENIGO
(PIAZZETTA, PITTERI, PAVONA, NAZARI,
JOLI, CANALETTO, BRUSTOLON E GUARDI,
CON UN BREVE EXCURSUS SU TIEPOLO)
This article presents four unpublished drawings relating to the
refurbishment of the facade of the Gallerie dell’Accademia in
1823, which, together with the documentary evidence found in
the Archivio dell’Accademia di Belle Arti and in the Archivio
di Stato di Venezia shed new light on the entire process and on
those involved in it.
One of the most significant of the drawings is the survey of
Giovanni Battista Cecchini’s eighteenth-century facade of the
Scuola della Carità, which was taken apart and transformed
into the facade we know today. The drawing, in fact, represents
the most detailed iconographic source related to the lost monument; thanks to this paper, it has been possible to trace part
of the statues produced by Giovanni Maria Morlaiter between
1758 and 1761.
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Il ruolo di mecenate nelle arti di Alvise IV Giovanni Mocenigo
(1701-1778), doge di Venezia dal 1763 al 1778, è stato a lungo ignorato. Sebbene né il suo testamento né l’inventario dei
suoi beni sia ad oggi venuto alla luce, il presente saggio ricorre
a un’ampia serie di fonti contemporanee e documenti trovati nell’Archivio di Stato di Venezia per indagare sul suo cursus
honorum e giustapporre i ruoli pubblici che ha ricoperto con le
pregevoli opere d’arte che ha commissionato nel corso di una
carriera politica durata oltre quarant’anni e culminata nell’elezione al soglio dogale. Esaminato sotto questa luce, il gusto di
Alvise appare conformista e persino egoistico, dal momento
che Mocenigo ha preferito dipinti che esprimevano sentimento
281
ABSTRACT
gioVanni casini
maria irene bertulli
“A CLASSICISM […] AS HARD […] AS A CHILD’S
MIND”: DE CHIRICO’S SUCCESS IN ENGLAND,
AROUND 1928-1931
ROBERT RAUSCHENBERG, HOMAGE TO VENICE
(1975)
The American artist Robert Rauschenberg (1925-2008) was the
winner of the Grand Prize for Painting at the Venice Biennale
in 1964. Ten years later, in 1975, Italian critics noted his return
to the city with an important exhibition at the Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro. The event was heralded
as a “Homage to Venice” because of the great significance of
the artist’s presence in Venice once again. For the occasion,
Rauschenberg decided to exhibit his most recent artistic explorations from the nineteen-seventies. This text aims to understand how the exhibition fits into Rauschenberg’s stylistic and
aesthetic approach and into his complex relationship with the
city of Venice, which has never yet been explored.
By analysing Giorgio de Chirico’s two solo exhibitions at the
Arthur Tooth & Sons Gallery in London in October-November 1928 and in April-May 1931, this essay aims to reconstruct
various episodes of the critical and visual reception of De
Chirico’s art in Britain before the Surrealist movement definitively took root in the years after 1936. In studying the case of
de Chirico, a network of contacts, exchanges and of circulating artworks and artists between England and the European
continent emerges, in which we find key figures such as art
dealer Léonce Rosenberg, patron of the arts Osbert Sitwell,
artists Edward Wadsworth, Paul Nash, John Armstrong and
Tristram Hillier, all of whom facilitated the development of
a transnational artistic language in the climate of the so-called
“return to order”.
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