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I "Sepolcri" nella storia della fortuna di Pindaro

Giovanni Benedetto 282 mondo scomparso di Dei e di Eroi, e li ferma in mirabili gruppi plastici o in quadri stupendi, e suggella gruppi e quadri con aforismi altissimi di etica, e tutto anima prodigiosamente e fa vivere in un'onda di musica sovrana, è l'unico grande predecessore del Foscolo» (in Studi su Ugo Foscolo, p. 47). Il giudizio riflette quello celebre del Carducci, sui Sepolcri quali «la sola poesia lirica, nel gran significato pindarico, che ebbe l'Italia»: ma già il Carrer aveva osservato «scrissi più volte che la tendenza del Foscolo era alla lirica; e forse, dopo Pindaro, non v'ebbe componimento che più dei Sepolcri potesse citarsi come idea somma di siffatto genere di poetare» LUIGI CARRER, Vita di Ugo Foscolo [1842], a c. di Carlo Mariani, Bergamo, Moretti e Vitali, 1995, p. 149). 3 Cfr. Studi su Ugo Foscolo, pp. 51-58. L'importanza particolare dell'Antigone per i Sepolcri è sostenuta da NADIA EBANI, Postilla ai "Sepolcri": «Ho desunto questo modo di poe-sia…», in "Filologia e critica", V (1980), pp. 380-87. 4 CORBELLINI, p. 150. 5 Così la celebre chiusa di Hor. Carm. IV 9 (Vixere fortes ante Agamemnona / multi; sed Giovanni Benedetto 284 10 In CHIARINI, Appendice, p. 309 s. = EN I, p. 959. 11 CORBELLINI, pp. 155-56 (sia parafrasando sia riprendendo alla lettera il testo in CHIARINI, Appendice, p. 311). 12 In CHIARINI, Appendice, p. 312 = EN I, pp. 962-63. 13 Cfr. CORBELLINI, pp. 156-57. 14 «S'ella prende per elegia una poesia lirica, la colpa non è dell'autore: né Pindaro, perché spesso pianga o sferzi, sarà men lirico» (Lettera a Monsieur Guill<on> per la sua incompetenza a giudicare i poeti italiani in FOSCOLO, Poesie e tragedie, p. 41 n. B). 15 Per il riferimento a Pindaro delle parole di Foscolo chiare e definitive le osservazioni di VINCENZO DI BENEDETTO, Lo scrittoio di Ugo Foscolo, Torino, Einaudi, 1990, pp. 136-37; per Licofrone vd. VALERIA GIGANTE LANZARA in "Atene e Roma", n.s. XLV (2000), pp. 135-39. I Sepolcri nella storia della fortuna di Pindaro 285 16 «Ho desunto questo modo di poesia da' Greci i quali dalle antiche tradizioni traevano sentenze morali e politiche presentandole non al sillogismo de' lettori, ma alla fantasia ed al cuore. Lasciando agl'intendenti di giudicare sulla ragione poetica e morale di questo tentativo, scriverò le seguenti note onde rischiarare le allusioni alle cose contemporanee, ed indicare da quali fonti ho ricavato le tradizioni antiche» (In FOSCOLO, Poesie e tragedie, p. 31). 17 Per il parallelo con il commento alla Chioma si vedano le osservazioni di MARIA ANTONIETTA TERZOLI, Foscolo, Roma-Bari, Laterza, 2000, p. 124. 18 «Presente ecco il nitrito / De' corsieri dircei; benché Ippocrene / Li dissetasse, e li pascea dell'aure / Eolo, e prenunzia un'aquila volava / E de' suoi freni li adornava il Sole / Pur que' vaganti Pindaro contenne / Presso il Cefiso, ed adorò le Grazie» (cito dall'editio minor de Le Grazie a c. di M. Scotti, p. 97, di cui si vedano le annotazioni a p. 163; cfr. anche DI BENEDETTO, Lo scrittoio di Ugo Foscolo, p. 312). 19 In CHIARINI, Appendice, p. 310 = EN I, pp. 959-60. 20 Cfr. CHIARINI, Appendice, pp. 309; 310; 315 = EN I, pp. 959; 960; 970. Giovanni Benedetto 286 21 Lettera a Monsieur Guill<on> in FOSCOLO, Poesie e tragedie, p. 46. 22 «Né ella dannerebbe la disparità di colorito nel poema, s'ella potesse discernere le mezze tinte che guidano riposatamente da un principio affettuoso ad una fine veemente» (ibid.). 23 In CHIARINI, Appendice, pp. 312-13 = EN I, p. 963. 24 In CHIARINI, Appendice, p. 313 = EN I, p. 964. Giovanni Benedetto 288

Estratto da: DEI SEPOLCRI DI UGO FOSCOLO a cura di Gennaro Barbarisi e William Spaggiari Quaderni di Acme 80 2006, Milano I SEPOLCRI NELLA STORIA DELLA FORTUNA DI PINDARO di Giovanni Benedetto 1. A ottant’anni dalla pubblicazione Il Foscolo e Pindaro di Alberto Corbellini, anzi Il Foscolo e Pindaro (Appunti), rimane l’unico contributo d’assieme sulla presenza del poeta tebano nelle opere foscoliane, e specificamente nei Sepolcri. Il lavoro, di oltre settanta pagine, è compreso nel grosso volume di Studi su Ugo Foscolo editi a cura della R. Università di Pavia nel primo centenario della morte del Poeta, uscito nel 1927.1 Tra i ventidue interventi che costituiscono la miscellanea, sei sono in vario modo dedicati al rapporto di Foscolo con autori dell’antichità greca: oltre al saggio di Corbellini, quelli di Luigia Achillea Stella (Ugo Foscolo e la poesia ellenica), di Giovanni Patroni (La poesia e la figura di Omero nei ‘Sepolcri’ del Foscolo), di Ferdinando Losavio (Ugo Foscolo traduttore di Omero), di Ireneo Sanesi (Ugo Foscolo traduttore di Anacreonte), e di Marco Galdi (L’intimo significato del Commento foscoliano alla traduzione della ‘Chioma di Berenice’). Evocato con riferimento sia ai Sepolcri sia alle Grazie, non manca Pindaro nella rassegna offerta dalla Stella degli autori greci con il più chiaro influsso sulla produzione foscoliana dagli esordi giovanili sino alle Grazie. Pindaro è detto, con riguardo ai Sepolcri, «nella poesia di tutti i tempi […] l’unico grande predecessore del Foscolo», enfatico quanto tradizionale giudizio2 1 ALBERTO CORBELLINI, Il Foscolo e Pindaro (Appunti), in AA.VV., Studi su Ugo Foscolo editi a cura della R. Università di Pavia nel primo centenario della morte del Poeta, Torino, Chiantore, 1927, pp. 143-214 [CORBELLINI]. 2 «Il Carme dei Sepolcri porta così una voce nuova nella nostra letteratura; e mal si adatta ad esso la parola lirica nel senso moderno. Nella poesia di tutti i tempi Pindaro, che partendo da limitate circostanze presenti evoca alle genti attonite un meraviglioso 282 Giovanni Benedetto cui si legano comunque il tentativo di delineare talune forme della concreta efficacia del modello pindarico nella struttura del carme, e la volontà di indicare precisi paralleli testuali, insieme alla più generale osservazione, sostanzialmente originata dalle indicazioni dello stesso Foscolo nella Lettera a Monsieur Guillon, «forse è anche merito di Pindaro se i Sepolcri furono, a differenza dei poemi sepolcrali inglesi, poesia civile». Sia per l’insieme dell’attività poetica foscoliana sia per i Sepolcri maggiore attenzione L.A. Stella riserva naturalmente a Omero («per tutta la vita il suo autore prediletto»), nonché, per le odi e le Grazie, a Callimaco, e, per l’Aiace, a Sofocle.3 Di gran lunga il più ampio tra i contributi del volume vertenti sul rapporto di Foscolo con la letteratura greca è quello del Corbellini, destinato peraltro a rimanere più citato che effettivamente letto, certo anche per l’andamento prolisso e dispersivo, tale spesso da occultare utili osservazioni che val la pena perciò ripercorrere. Indubbio merito del saggio è inseguire le tracce di Pindaro nell’intera opera foscoliana, in prosa e in versi, a partire dalle due odi, specialmente Alla amica risanata, dove «il mito domina la concezione generale» e «il poeta, per esso, dall’affermazione della ricuperata aurea salute passa a proclamare l’immortalità della sua donna, come Pindaro dispensava l’immortalità a’ suoi Jeroni, e Teroni e Arcesilai».4 Il riferimento va dunque in particolare alla strofe di chiusura dell’ode (vv. 91-96), dedicata a quel potere eternatrice della poesia che domina lo sviluppo e gli arditi trapassi di tutta la seconda metà del componimento, nel solco di esemplari luoghi oraziani di continuo veicolanti richiami al magistero pindarico del vates sacer.5 In generale preme mondo scomparso di Dei e di Eroi, e li ferma in mirabili gruppi plastici o in quadri stupendi, e suggella gruppi e quadri con aforismi altissimi di etica, e tutto anima prodigiosamente e fa vivere in un’onda di musica sovrana, è l’unico grande predecessore del Foscolo» (in Studi su Ugo Foscolo, p. 47). Il giudizio riflette quello celebre del Carducci, sui Sepolcri quali «la sola poesia lirica, nel gran significato pindarico, che ebbe l’Italia»: ma già il Carrer aveva osservato «scrissi più volte che la tendenza del Foscolo era alla lirica; e forse, dopo Pindaro, non v’ebbe componimento che più dei Sepolcri potesse citarsi come idea somma di siffatto genere di poetare» (LUIGI CARRER, Vita di Ugo Foscolo [1842], a c. di Carlo Mariani, Bergamo, Moretti e Vitali, 1995, p. 149). 3 Cfr. Studi su Ugo Foscolo, pp. 51-58. L’importanza particolare dell’Antigone per i Sepolcri è sostenuta da NADIA EBANI, Postilla ai “Sepolcri”: «Ho desunto questo modo di poesia…», in “Filologia e critica”, V (1980), pp. 380-87. 4 CORBELLINI, p. 150. 5 Così la celebre chiusa di Hor. Carm. IV 9 (Vixere fortes ante Agamemnona / multi; sed I Sepolcri nella storia della fortuna di Pindaro 283 al Corbellini rilevare «che il fervore dello studio pindarico occupa il Foscolo negli anni suoi più gloriosi e beati, tra il 1802 e il 1810: perciò difficilmente Pindaro è assente dai carmi di questo periodo»6. È impostazione, questa, da cui deriva una meritoria attenzione all’importanza del lavoro sulla Chioma di Berenice (1803), in particolare al Discorso quarto. Un cenno ai frammenti inseriti nel commento alla Chioma (quelli che Foscolo volle presentare come «frammenti greci, ch’io credo d’un antico inno alle Grazie»)7 consente quindi a Corbellini di passare alle Grazie, sùbito rimarcando che «della virtù delle Cariti è tutta pervasa la poesia di Pindaro». Per le Grazie lo studioso si rifà all’edizione apparsa nel 1890 per cura di G. Chiarini a integrazione e correzione delle lemonnieriane Opere edite e postume di Ugo Foscolo.8 L’Appendice di Chiarini alla vecchia edizione Orlandini reca quei Frammenti abbozzati della ragione poetica, del sistema e dell’architettura del Carme che Corbellini utilizza per la menzione che vi si fa delle odi di Pindaro quali illustri esempi nelle letterature classiche, insieme agli inni omerici, a quelli di Callimaco e al carme LXIV di Catullo, della natura composita propria delle Grazie:9 appunto «questa novità di mescolare il didattico, l’epico e il lirico in un solo genere […] non è no- omnes inlacrimabiles / urgentur ignotique longa / nocte, carent quia vate sacro), ode dove oltre che a Simonide Alceo e Stesicoro esplicito è il richiamo a Pindaro (v. 6), e verso la quale chiari sono i debiti del Foscolo (si veda l’attento e equilibrato commento di Franco Longoni in UGO FOSCOLO, Poesie e tragedie, pp. 399-400). I citati versi oraziani sono in parte riportati da Foscolo in chiusura del Discorso secondo. Di Berenice, premesso alla Chioma. 6 CORBELLINI, p. 173. 7 Solo indiretto il richiamo di CORBELLINI, p. 154 («di queste [scil. Le Grazie], sin dal 1803, in una nota alla Chioma di Berenice furono dati i primi frammenti»), forse anche in connessione allo scarso rilievo che a quei versi aveva riservato, pur pubblicandoli, l’ultimo editore dell’incompiuto poema, il Chiarini (cfr. M. Scotti in U. FOSCOLO, Le Grazie. Scelta dell’edizione critica con introduzione e commento a cura di Mario Scotti, Firenze, Le Monnier, 1987, pp. 39-40). I quattro frammenti, di complessivi 67 versi, sono tratti per i primi nove versi dalla nota al v. 57 della Coma (introdotti da Foscolo rifacendosi a un immaginario originale greco: appunto «ne’ frammenti greci, ch’io credo d’un antico inno alle Grazie») e per i successivi dalla Considerazione decimaseconda. Chiome bionde. 8 Opere edite e postume di Ugo Foscolo. Vol. XII: Appendice a cura di Giuseppe Chiarini, Firenze, Le Monnier, 1890 (cito da una ristampa 1940). È questa la seconda delle tre edizioni delle Grazie curate dal Chiarini: le si veda descritte e discusse nell’Introduzione in EN I, pp. 509 ss. 9 Giacché «il fondo del Carme delle Grazie è didattico, ma lo stile è fra l’epico ed il lirico» (CHIARINI, Appendice, 309 = EN I, p. 958). 284 Giovanni Benedetto vità, perché gl’inni attribuiti ad Omero, quei di Callimaco, le più lunghe odi di Pindaro, che per esser narrative, sono le più belle, il poema di Catullo su le nozze di Teti e Peleo sono per l’appunto misture de’ tre generi».10 Seguendo da presso gli appunti foscoliani, Corbellini evidenzia il variare di ambienti e di epoche nell’architettura del Carme, onde dopo «il regno dei Lacedemoni quale era ai tempi di Leda e d’Elena, e le città della Beozia e della Focide» poi il lettore improvvisamente è trasportato a vagheggiare dal poggio di Bellosguardo scene e fatti della vita moderna […] ma da Bellosguardo il poeta passa agli Elisi e alla gloria degli eroi morti, e al campo dei Greci sotto Ilio e […] alla strage che il verno e la fame e la guerra fecero di tanta gioventù italiana di là dal Volga.11 E se, secondo le parole di Foscolo, «questo servirsi di materie che il tempo e le circostanze hanno quasi immensamente disgiunte fra loro è un privilegio della poesia e della musica»,12 Corbellini chiosa «tutto ciò è pindarico», giacché di Pindaro è «la struttura del Carme nella sua compagine di elementi mitologici e storici e attuali».13 Osservazione che merita di essere rilevata in quanto rintraccia nelle Grazie una fondamentale “pindaricità” tradizionalmente attribuita piuttosto ai Sepolcri sulla scorta di ben noti cenni dello stesso Foscolo: per limitarsi a testi strettamente connessi ai Sepolcri, è ovvio ricordare l’esplicito rimando alla particolare liricità pindarica nella Lettera a Monsieur Guillon14, ma anche il celebre incipit («Ho desunto questo modo di poesia da’ Greci…») della premessa alle Note,15 significativamente volta a chiarire e «le allusioni alle cose con- 10 In CHIARINI, Appendice, p. 309 s. = EN I, p. 959. CORBELLINI, pp. 155-56 (sia parafrasando sia riprendendo alla lettera il testo in CHIARINI, Appendice, p. 311). 12 In CHIARINI, Appendice, p. 312 = EN I, pp. 962-63. 13 Cfr. CORBELLINI, pp. 156-57. 14 «S’ella prende per elegia una poesia lirica, la colpa non è dell’autore: né Pindaro, perché spesso pianga o sferzi, sarà men lirico» (Lettera a Monsieur Guill<on> per la sua incompetenza a giudicare i poeti italiani in FOSCOLO, Poesie e tragedie, p. 41 n. B). 15 Per il riferimento a Pindaro delle parole di Foscolo chiare e definitive le osservazioni di VINCENZO DI BENEDETTO, Lo scrittoio di Ugo Foscolo, Torino, Einaudi, 1990, pp. 136-37; per Licofrone vd. VALERIA GIGANTE LANZARA in “Atene e Roma”, n.s. XLV (2000), pp. 135-39. 11 I Sepolcri nella storia della fortuna di Pindaro 285 temporanee» e «le tradizioni antiche».16 Meno note ma non meno notevoli sono le menzioni di Pindaro nelle frammentarie «prose autoesegetiche» che, al pari di quanto accaduto con la Chioma di Berenice, avrebbero dovuto accompagnare le Grazie.17 Il riferimento come modello delle Grazie a Pindaro, citato peraltro esplicitamente in apertura dell’inno terzo,18 è in quelle prose ancor più chiaro che nelle dichiarazioni foscoliane circa i Sepolcri: Lo stile dunque dell’autore delle Grazie è, com’egli accenna liricamente nell’introduzione dell’inno terzo, un misto degl’inni sacri di cui l’antichità credeva maestro Anfione, delle odi di Pindaro, e della poesia latina, quale nella sua grazia nativa si trova spesso in Lucrezio e in Catullo.19 Va dunque riconosciuto a Corbellini di aver colto, in pagine dimenticate e di non agevole lettura, valore e centralità della presenza di Pindaro nella costruzione del Carme ad Antonio Canova. Più però conta osservare come lo studioso si sia basato, spesso implicitamente, sulle indicazioni dello stesso Foscolo a proposito di ragione poetica e architettura del progettato poema. I richiami a Pindaro negli appunti foscoliani sulle Grazie20 sono determinati dalla riflessione sulla poesia lirica, in coerente sviluppo e approfondimento di temi e problemi che avevano sostanziato concezione dei Sepolcri e difesa della loro novità nelle polemiche seguite alla 16 «Ho desunto questo modo di poesia da’ Greci i quali dalle antiche tradizioni trae- vano sentenze morali e politiche presentandole non al sillogismo de’ lettori, ma alla fantasia ed al cuore. Lasciando agl’intendenti di giudicare sulla ragione poetica e morale di questo tentativo, scriverò le seguenti note onde rischiarare le allusioni alle cose contemporanee, ed indicare da quali fonti ho ricavato le tradizioni antiche» (In FOSCOLO, Poesie e tragedie, p. 31). 17 Per il parallelo con il commento alla Chioma si vedano le osservazioni di MARIA ANTONIETTA TERZOLI, Foscolo, Roma-Bari, Laterza, 2000, p. 124. 18 «Presente ecco il nitrito / De’ corsieri dircei; benché Ippocrene / Li dissetasse, e li pascea dell’aure / Eolo, e prenunzia un’aquila volava / E de’ suoi freni li adornava il Sole / Pur que’ vaganti Pindaro contenne / Presso il Cefiso, ed adorò le Grazie» (cito dall’editio minor de Le Grazie a c. di M. Scotti, p. 97, di cui si vedano le annotazioni a p. 163; cfr. anche DI BENEDETTO, Lo scrittoio di Ugo Foscolo, p. 312). 19 In CHIARINI, Appendice, p. 310 = EN I, pp. 959-60. 20 Cfr. CHIARINI, Appendice, pp. 309; 310; 315 = EN I, pp. 959; 960; 970. 286 Giovanni Benedetto pubblicazione del carme (1807). Sulla linea di uno dei passi più famosi della risposta a Guillon, Ella vede dalle mie note quanto ha sbagliato su’ passi da lei citati; molto più dunque su la tessitura la quale dipende dalle transizioni. E le transizioni sono ardue sempre a chi scrive, e sovente a chi legge; specialmente in una poesia lirica, e d’un autore che, non so se per virtù o per vizio, transvolat in medio posita, ed afferrando le idee cardinali, lascia a’ lettori la compiacenza e la noia di desumere le intermedie21 e in particolare di quanto detto sùbito dopo circa la indispensabile «disparità di colorito nel poema»,22 possono porsi le attente riflessioni intorno all’accordo di varietà e armonia nell’ordito delle Grazie. Proprio in quanto, lucrezianamente, «la poesia congiunge l’origine del mondo al suo stato presente ed al nuovo caos della sua distruzione», essa «deve farti passare dal noto, che mostra evidentissimamente, all’ignoto a cui tende facendolo sospettare».23 La ricerca di armonia e coesione delle parti, «obbligo […] il più necessario insieme e il più malagevole», va perciò pensata per così dire “dialetticamente”, in continua relazione con spinte opposte, egualmente necessarie all’economia del dettato poetico: Senza disunione di parti, non hai armonia, né chiaroscuro; senza unione, l’armonia riesce confusa; il primo difetto genera noja; l’altro confonde il lettore. Quindi la rarità della vera poesia lirica che è il sommo dell’arte. Se l’Autore abbia prudentemente dissotterrati tanti e sì diversi frammenti antichi, se li abbia architettati in armonia co’ moderni, altri può giudicarlo…24 Al pari della Lettera a Monsieur Guillon anche qui, e con più incisiva efficacia, espressione della «vera poesia lirica» risultano sia l’ardua tecnica delle transizioni, da cui dipendono armonia e chiaroscuro, sia la capacità di accostare «il mirabile antico necessario alla poesia» e la «verità 21 Lettera a Monsieur Guill<on> in FOSCOLO, Poesie e tragedie, p. 46. «Né ella dannerebbe la disparità di colorito nel poema, s’ella potesse discernere le mezze tinte che guidano riposatamente da un principio affettuoso ad una fine veemente» (ibid.). 23 In CHIARINI, Appendice, pp. 312-13 = EN I, p. 963. 24 In CHIARINI, Appendice, p. 313 = EN I, p. 964. 22 I Sepolcri nella storia della fortuna di Pindaro 287 delle cose contemporanee che si dipingono».25 Il genere della poesia lirica per il Foscolo dei Sepolcri e della polemica con l’abate Guillon «significava in primo luogo Pindaro»,26 e continuò a significarlo. A mezza strada tra la composizione dei Sepolcri e il periodo in cui maggiormente ebbe a concentrarsi il lavoro intorno alle Grazie, il fatale anno compreso tra il gennaio/febbraio 1814 e la scelta dell’esilio alla fine del marzo 1815,27 Foscolo «schiccherò» per i milanesi “Annali di scienze, lettere ed arti” del maggio 1811 l’articolo Della poesia lirica dove sin dall’apertura l’enfasi cade sulla dimensione costitutivamente mitica e “eulogetica” del genere lirico: … la poesia lirica canta con entusiasmo le lodi de’ numi e degli eroi. La religione ed i fasti delle nazioni furono i primi ad ottenere per mezzo della poesia lirica monumenti perpetui della letteratura… nella cornice di consolidate memorie vichiane e ossianiche: Finché gli uomini non avevano se non il canto, tutta la loro storia e le loro leggi religiose e politiche doveano necessariamente trovarsi nella tradizione delle loro canzoni. Questa opinione è avvalorata da’ libri de’ profeti ebrei e dalle storie de’ druidi e de’ bardi.28 Esaltando la poesia lirica anteriore al suo «degenerare» in Orazio e nella tradizione oraziana29 Foscolo evoca la «inarrivabile sublimità di Pindaro»30: che questo non sia da considerarsi (solo) generico riecheggiamento del monito di Orazio sull’inimitabilità del poeta tebano (Pindarum quisquis studet aemulari…) lo indica il procedere dell’articolo, volto a distinguere la lirica dall’elegia essenzialmente in nome dello spessore civile e di pensiero che la connota, così che «a ben considerare le poesie del 25 In CHIARINI, Appendice, p. 314 = EN I, p. 965. DI BENEDETTO, Lo scrittoio di Ugo Foscolo, p. 221. 27 Cfr. LONGONI in Poesie e tragedie, p. 576. 28 Della poesia lirica, in EN VII, pp. 325-26. 29 Come esempio del fatto che «la poesia lirica, anzi che sgorgare con impeto dall’animo de’ poeti, venne faticosamente finta con un entusiasmo compassato e fittizio» è citato esplicitamente operosa parvus / carmina fingo di Hor. Carm. IV 2, 31-32, dall’ode costruita sulla recusatio dell’imitazione pindarica. 30 Cfr. CORBELLINI, p. 149; DI BENEDETTO, Lo scrittoio di Ugo Foscolo, p. 306. 26 288 Giovanni Benedetto Petrarca, le canzoni veramente liriche sono quelle ov’ei tratta delle cose politiche d’Italia, e le poche ove idoleggia le idee sublimi della filosofia d’amore», mentre «primo» a trarre «la poesia lirica a’ suoi principj» è detto il Chiabrera.31 Proprio perché «poema architettato per così dire e di frammenti dissotterrati nell’antichità, e di materiali che abbiamo giornalmente presenti agli occhi»32 ad una tale ispirazione lirica latamente “pindarica” si rifanno le Grazie in rapporto a quel significato politico e civile del carme evidenziato dalla critica più recente.33 Non senza fondamento si potrebbe anzi vedere nel così atteggiato “pindarismo” foscoliano il segno della fondamentale continuità dai Sepolcri alle Grazie, in nome di un esigente, e infine sfibrante, ideale di poesia intesa come sintesi di passato presente e futuro: Ed è privilegio della sola Poesia di unire il principio al termine de’ secoli, il passato, il presente e il futuro, il reale, l’ideale e il sublime in una sola armonia; di temperare la distanza degli oggetti, de’ tempi, e delle idee in un solo tenore che faccia nascere l’armonia dalla varietà, e che riunisca la varietà per mezzo dell’armonia.34 Come per reazione a Corbellini e ai molti confronti da lui tentati tra versi pindarici e passi dei Sepolcri, nella breve ma attenta rassegna di storia della fortuna di Pindaro tracciata anni dopo da Gennaro Perrotta lapidariamente si afferma «nessun passo dei Sepolcri deriva da Pindaro», pur risultando essi nell’ispirazione ben più «intimamente, profondamente pindarici» delle Grazie, dove invece lo studioso rinviene «frequenti i ricordi pindarici».35 Alla ricerca di puntuali indizi della presenza pindarica nei Sepolcri tornerà, negli anni ‘60, G. Fischetti, intitolando a Foscolo e Pindaro un’appendice del suo importante articolo sulle fonti dell’episodio di Elettra36. Merito dell’intervento del Fischetti è aver osservato l’ascen- 31 Della poesia lirica, in EN VII, p. 327 (corsivo mio). 32 EN I, pp. 973-74 (Del «Disegno»: nuove osservazioni destinate alla prima nota dell’Inno Secondo). 33 Si veda TERZOLI, Foscolo, pp. 117 ss. 34 EN I, p. 974. Su Pindaro e le Grazie DI BENEDETTO, Lo scrittoio di Ugo Foscolo, spec. pp. 307 ss. e 327-28. 35 GENNARO PERROTTA, Saffo e Pindaro. Due saggi critici, Messina-Firenze, D’Anna, 1967 (I ed. Bari, Laterza, 1935), pp. 105-06. 36 L’episodio di Elettra nei “Sepolcri” del Foscolo, in GSLI, CXLIII (1966), pp. 322-77, I Sepolcri nella storia della fortuna di Pindaro 289 denza pindarica della tecnica, frequente nei Sepolcri, «di ampliare e introdurre nuovi argomenti» con l’uso della congiunzione e, ma anche del pronome che in alternanza con la congiunzione causale ché. Benché Fischetti esplicitamente non lo noti, si tratta di osservazione preziosa non solo a livello stilistico, ma dalla portata più ampia, tale da individuare come “pindarico” uno strumento espressivo utilizzato da Foscolo proprio per rendere possibili quelle ardue transizioni in cui tradizionalmente si riconosce la più rilevante traccia strutturale della “pindaricità” dei Sepolcri. Già si è ricordato che nella sua indagine sulla presenza di Pindaro nelle opere foscoliane Corbellini non manca di menzionare il commento alla Chioma di Berenice.37 Nell’ultimo trentennio la critica è venuta sempre più riconoscendo nel lavoro dedicato alla Chioma «uno dei nodi genetici»38 del processo che condusse ai Sepolcri. Spiccano in particolare le impegnate riflessioni intorno alla “poeticità” dell’antica religione greca cui Foscolo in gran parte riserva il Discorso quarto. Della ragione poetica di Callimaco: volto lo sguardo all’auspicato recupero, nella situazione storica dell’Italia napoleonica, di «quel mirabile richiesto alla poesia» che «non è, come gl’incantamenti de’ romanzieri, voto di effetto, ma fa più salde le fondamenta dello stato»,39 al pari appunto del regale catasterismo cantato da Callimaco in onore di Berenice. Aperto da un richiamo alla lirica in quanto espressione «del mirabile e del passionato» fondato sulla religione degli antichi,40 con perfetta composizione ad anello il Discorso quarto si chiude poi in GIUSEPPE FISCHETTI, Filologia e presenza dell’antico, Roma, «L’Erma» di Bretschneider, 1986, pp. 161-217 (alle pp. 355-63 = 195-203 la Postilla I. – Foscolo e Pindaro). 37 Cfr. CORBELLINI, pp. 152-53. 38 GIORGIO PETROCCHI, Dalla «Chioma di Berenice» ai «Sepolcri», in ID., L’ultima Dea, Roma, Bonacci, 1977, pp. 271-82 (a p. 272). 39 La Chioma di Berenice poema di Callimaco tradotto da Valerio Catullo volgarizzato ed illustrato da Ugo Foscolo, Milano, dal Genio Tipografico, 1803 in EN VI, p. 310. La «formidabile riflessione “politica” intorno al “sacro”» sviluppata da Foscolo nel commento alla Chioma è in particolare oggetto del saggio di ROBERTO CARDINI, A proposito del commento alla «Chioma di Berenice», in AA.VV., Atti dei Convegni foscoliani (Firenze, aprile 1979), vol. III, Roma, Libreria dello Stato, 1988, pp. 187-208 (con il titolo A proposito del commento foscoliano alla «Chioma di Berenice», già in “Lettere italiane”, XXXIII, 1981, pp. 329-49). 40 «Esporrò l’economia di questo componimento risalendo alla natura della poesia, e specialmente della lirica. Questo poema che per lo suo metro corre sotto il nome di elegia, racchiude quasi tutti i fonti del mirabile e del passionato» (EN VI, p. 301). 290 Giovanni Benedetto in lode di Pindaro, la cui grandezza i moderni non sanno comprendere perché sostanziata di passione storica e civile: Ma queste generose passioni sono in tutti i tempi sentite da pochi, e meno ove non si tratti di popoli liberi, e di storie patrie e vicine a noi. Da questo principio emerge la ragione per cui non comprendiamo la grandezza di Pindaro che cantava in encomio de’ particolari cittadini i fasti d’intere tribù e di paesi. Quegli antichi per lodare i privati encomiavano le patrie; noi abbiamo necessità di disseppellire le virtù di qualche privato per potere onorare di alcun giusto elogio le nostre città.41 Lasciando da parte l’eventuale riecheggiamento di singoli passi pindarici nei Sepolcri, per cui sarebbe in primo luogo necessario un sistematico riesame delle proposte sin qui avanzate (soprattutto da Corbellini), mi soffermerò su un aspetto sinora trascurato. Riandando infatti alla storia dell’interpretazione e della fortuna di Pindaro nella cultura europea tra XVI e XVIII sec. si dà occasione di meglio intendere taluni caratteri generali e “fondanti” della presenza di Pindaro in Foscolo e negli stessi Sepolcri. Toccherò in particolare della valutazione di “trapassi” e “voli” nella struttura dell’ode pindarica; di Pindaro come “genio” e di Pindaro in rapporto allo sviluppo dell’ode “filosofica” nella letteratura del XVIII secolo. 2. Nel Piano di studj, degli ultimi mesi del 1796, Pindaro apre l’elenco dei poeti lirici; precede Orazio, il pindareggiante Alessandro Guidi e Thomas Gray. Al catalogo di autori in versi e in prosa, «letti o da leggere»,42 e a un accenno sullo studio della scultura e sulla necessaria «cognizione della Storia del Winchelman, de’ Poeti Greci»,43 fanno séguito righe esal- 41 EN VI, p. 311. Sull’importanza del passo nello svolgimento della poesia foscoliana cfr. FRANCO GAVAZZENI, Appunti sulla preistoria e sulla storia dei “Sepolcri”, in “Filologia e critica”, XII (1987), pp. 341-42 e ora CHRISTIAN DEL VENTO, Riflessioni e proposte per una nuova eloquenza popolare: il commento alla «Chioma di Berenice», in ID., Un allievo della rivoluzione. Ugo Foscolo dal «noviziato letterario» al «nuovo classicismo» (17951806), Bologna, CLUEB, 2003, pp. 224-25. 42 TERZOLI, Foscolo, p. 4. 43 In EN VI, p. 6, col. I: ma sulla discutibile disposizione tipografica dell’edizione Gambarin, donde ad esempio l’indubbia difficoltà per ogni lettore «a capire che da “sui I Sepolcri nella storia della fortuna di Pindaro 291 tanti il concetto di genio, «quel Genio divino che costituisce la miglior parte dell’uomo, che innoltra la ragione alla cognizion delle cause, che innalza al sublime, che lumeggi gli aspetti della Natura e del Bello – il Genio in somma»,44 secondo una sensibilità che svela l’attenzione del giovane Foscolo verso uno dei motivi cardine nel rinnovamento di ascendenza nordeuropea dell’estetica settecentesca. La parte più ampia del foscoliano Piano di studj comprende un prospetto dei lavori realizzati, in corso d’opera o solo divisati, tra i quali Il Genio, «Poema in tre canti sciolti incominciato ma da compirsi dopo dieci anni»,45 ispirato al poema The Pleasures of Imagination dell’inglese Mark Akenside, pubblicato nel 1744 e tradotto in italiano vent’anni dopo dal grecista (e pindarista) parmense Angelo Mazza in tre canti in endecasillabi sciolti.46 Quanto ai modelli del diciottenne Foscolo, è certo inevitabile che «in questa ricognizione per ge- capi d’opera” di EN VI 6, I col. si deve passare a “Di altri studj” di EN VI 4, II col.», si veda l’Appendice II. Note al «Piano di Studj» del 1796 in U. FOSCOLO, Il Sesto tomo dell’Io. Edizione critica e commento a c. di Vincenzo Di Benedetto, Torino, Einaudi, 1991, pp. 253 ss., dove anche vengono corrette molte lezioni adottate da Gambarin, a cominciare dal titolo Piano di studi in luogo di Piano di Studj del Foscolo. 44 EN VI, p. 4, col. II. Sulla base di una nuova collazione della riproduzione fotografica dell’autografo così legge Di Benedetto parte del passo: «Genio divino che costituisce la miglior parte dell’uomo, che innoltra la [cogni] ragione alla cognizion delle cause, che innalza al sublime, che [illum] lumeggi gli aspetti della Natura, e del Bello» (in FOSCOLO, Il Sesto tomo dell’Io, p. 230, cfr. anche p. 254). Per uno sguardo d’assieme riporto tutto il brano dall’edizione del Piano di studi [1796] del Cian, dove non si ha divisione in colonne: «Scoltura. – Cognizioni della Storia del Winckelmann, de’ poeti greci, e meditazione sui capi d’opera. Di altri studi non ho cognizione di sorte. In questi pure ci vuole quel genio divino, che costituisce la miglior parte dell’uomo, che innoltra la ragione alla cognizione delle cause, che innalza al sublime, che lumeggia gli aspetti della natura e del bello. Il genio, insomma» (U. FOSCOLO, Prose, a c. di Vittorio Cian, Bari, Laterza, 1912, I, p. 4). 45 EN VI, p. 8, col. I (= FOSCOLO, Prose, a c. di V. Cian, I, p. 6). Caratteristica del Piano di Studj è appunto riflettere «la varietà, e anche la disorganicità, di una formazione disposta a mescolare e confondere il vecchio con il nuovo, le letture con i progetti creativi», come nota C. Mariani nella recente riedizione della Vita originariamente annessa dal Carrer alle Prose e poesie edite ed inedite di Ugo Foscolo ordinate da L. Carrer (Venezia, co’ tipi del Gondoliere, 1842), e dove per la prima volta si dava notizia del Piano: LUIGI CARRER, Vita di Ugo Foscolo, p. 296 n. 44. 46 Cfr. DI BENEDETTO, Appendice I. Foscolo a Venezia, in FOSCOLO, Il Sesto tomo dell’Io, pp. 229 ss. 292 Giovanni Benedetto neri i paradigmi coincidano con quelli posti sugli altari dal gusto del tempo, e pertanto si veda convivere Pindaro accanto al Gray»,47 come parimenti è facile ritenere che la curiosità di Foscolo verso le letterature straniere, e in particolare il mondo inglese (da Ossian a Young attraverso Gray, Thomson, Pope ecc.), rispecchi effetti e suggestioni del magistero cesarottiano. All’àmbito degli intimi di Cesarotti apparteneva l’abate Giuseppe Greatti (1758-1812). Una sua lettera delle prime settimane di quello stesso, fatale 1796, in risposta ad altra del Foscolo non giuntaci, è importante testimonianza dell’aprirsi di Niccolò Ugo a stimoli e inquietudini delle culture d’Oltralpe. Proprio alla vigilia della campagna d’Italia del Bonaparte, dalla lettera di Greatti indirettamente traspaiono gli ardori del Foscolo verso i temi della sensibilità e del Genio,48 le sue insofferenze e ingenuità filtranti attraverso le parole del dotto abate, egli stesso destinato a essere di lì a poco investito dalle passioni e dagli intrighi del triennio giacobino:49 L’eccezione a questa regola non verrebbe a farsi che da un Genio che si sbraccia dai legami del suo secolo. I Cinquecentisti, di cui voi parlate con una franchezza giudiziosa, ne sono un esempio. Son essi tutti ammanierati e freddi: volendo avere lo spirito altrui hanno perduto il proprio. Tutta la loro gloria consiste nel girar attorno al pensiero di alcuno da essi chiamato classico, senza toccarlo mai: questa spezie di Olimpiade poetica fu il gioco dei Cinquecentisti, e non si vede in essi che la pigrizia dell’arte fare gli sforzi più miserabili per contraffare i voli, gli slanci, le sorprese del Genio: si studiano i grandi autori, e non si imita che la natura.50 47 RODOLFO MACCHIONI JODI, Itinerario della lirica foscoliana, Roma, Bulzoni, 1983, p. 56. 48 «Parliamo dell’argomento della vostra lettera. Avete ragione di misurare il merito di un’opera di spirito dal grado di sensibilità che mette in azione negli animi di coloro che la leggono o l’ascoltano: è verissimo che le regole sono le pastoie del Genio, che i precetti medesimi lo arrestano spesso, e che l’imitazione, presa come suol farsi comunemente, lo spegne, sto per dire, affatto» (Giuseppe Greatti a Niccolò Ugo Foscolo, da Padova 13 febbraio 1796, in EN XIV = Ep. I, p. 22). 49 Sulle traversie del Greatti cfr. CARLA GIUNCHEDI BORGHESE, Documenti milanesi inediti per una bio-ergografia di Giuseppe Greatti veneto, in “Quaderni per la storia dell’Università di Padova”, XXV (1992), pp. 475-83 e ora la voce a lui dedicata da G.P. MANTOVANI in DBI, LIX (2002), pp. 50-53. 50 Greatti a Foscolo, 13.2.1796, in EN XIV, Ep. I, p. 22. I Sepolcri nella storia della fortuna di Pindaro 293 Appunto al Genio è dedicata in gran parte la lettera, con una menzione di Pindaro (di cui suona preannuncio l’immagine dell’«Olimpiade poetica» applicata alle pratiche imitative dei poeti del Cinquecento): I Poeti primitivi, Omero, Pindaro, Ossian non sono debitori che al loro genio delle loro produzioni, e a qualche favorevole circostanza, che ve lo destò. Essi dipingevano ciò che vedevano e ciò che sentivano senza altra misura che quella del grado di sentimento da cui erano vivamente colpiti. Per conseguenza il carattere della loro poesia doveva esser marcato da bellezze sublimi, qualche volta gigantesche, sempre passionate, e non rade volte frammiste a dei difetti, che vi rimbalzano sopra dei tratti divini che vi sorprendono. Senza l’abitudine di osservare, di distinguere, di confrontare e di scegliere, essi prendevano per bello ciò che metteva in una grata e veemente agitazione il loro animo…51 Se a proposito del «genio» e dei «poeti primitivi» certo non stupiscono i rimandi del cesarottiano Greatti a Omero e a Ossian, merita attenzione in tale contesto la comparsa di Pindaro. Sullo “Spectator”, il foglio di Addison che vantava «to have brought Philosophy out of Closets and Libraries, Schools and Colleges, to dwell in Clubs and Assemblies, at Tea-Tables, and in Coffee-Houses»,52 in connessione con il concetto di Genio il poeta tebano compariva in un noto saggio del settembre 1711: «Pindar was a great Genius of the first Class, who was hurried on by a natural Fire and Impetuosity to vast Conceptions of things, and noble Sallies of imagination».53 In buoni rapporti con Addison e collaboratore dello “Spectator” fu il giovane Pope, autore nello stesso 1711 del poemetto didattico e satirico di teoria letteraria Essay on Criticism. Alle vuote prescrizioni di pseudocritici e scribblers vi si contrappone «la genialità del vero critico e del vero artista, un dono quasi divino che trascende 51 Ibid. Cito da ANDREW SANDERS, The Short Oxford History of English Literature. Second Edition, Oxford, University Press, 2000, p. 297. 53 Il passo è ricordato nell’assai utile e poco noto lavoro di SIGMUND L ⁄ EMPICKI, Pindar im literarischen Urteil des XVII und XVIII Jahrunderts, in “Eos. Commentarii Societatis Philologae Polonorum”, XXXIII (1930-1931), pp. 419-74 (a p. 431). Con riferimento alla cultura tedesca JOCHEN SCHMIDT, Pindar als Genie-Paradigma im 18. Jahrhundert, in “Goethe Jahrbuch”, C (1984), pp. 63-73. 52 294 Giovanni Benedetto ogni sforzo costruttivo»54 e soprattutto è indicato in Omero l’original genius per eccellenza, sì da definire «l’equivalenza fra Omero (ovvero l’antico) e la natura»,55 tematica poi ampiamente trattata nel Preface al I volume (1715) della traduzione dell’Iliade, dove l’invention omerica risulta caratteristica fondamentale del ‘genio’ del poeta nonché «the very Foundation of Poetry». Pindaro quale espressione del ‘genio’ degli antichi era accomunato a Omero nel citato articolo addisoniano sullo “Spectator”,56 come poi appunto nella lettera di Greatti a Foscolo. Molti e significativi furono i legami con l’Italia e la cultura italiana del Settecento di Joseph Addison (1672-1719), a partire dai fortunati Remarks on Several Parts of Italy (1705)57 e soprattutto tramite l’influsso esercitato dallo “Spectator” sulle origini del “giornalismo” letterario e di costume italiano: diffuso a Venezia in traduzione francese, modello dell’“Osservatore Veneto” (1761-1762) del Gozzi e tale riconosciuto da Baretti/Aristarco Scannabue in una pagina della “Frusta letteraria”58 di quegli stessi anni Ses- 54 FLAVIO GREGORI, Rettorica dell’epica. La dissoluzione dell’epica neoclassica e le traduzioni omeriche di Alexander Pope, Bologna, Cisalpino, 1998, p. 186 (sul tema sono da vedere in generale i capitoli 2 e 3 del volume: Le regole, il ‘genio’ e le ambivalenze critiche del Neoclassicismo e Alexander Pope e l’epos omerico). 55 GREGORI, Rettorica dell’epica, p. 188. Si vedano i vv. 124-35, con la definizione di Omero come modello assoluto e con il richiamo a Virgilio, che volgendosi al poema epico rinvenne in Omero l’identità con la Natura: «Be Homer’s works your study, and delight, / Read them by day, and meditate by night; / Thence form your judgment, thence your maxims bring, / And trace the Muses upward to their spring. / Still with itself compar’d, his text peruse; / And let your comment be the Mantuan Muse. / When first young Maro in his boundless mind / A work t’outlast immortal Rome design’d,/ […] Nature and Homer were, he found, the same» (An Essay on Criticism, in Pope. Poetical Works. Edited by Herbert Davis. With an Introduction by Pat Rogers, Oxford-New York, Oxford University Press, 1983, pp. 67-68; corsivo mio). 56 Nr. 160, del 3 settembre 1711. 57 Opera «destinata a influenzare […] anche ben oltre il XVIII secolo, e si vorrebbe dire quasi fino ai nostri giorni, l’idea che gli europei avevano dell’Italia», con il contrasto tra l’ormai silente Italia “ideale” degli antichi, e in parte del Rinascimento, e l’Italia “reale” del presente, sede dell’Anticristo e di ogni nequizia: si vedano le indicazioni di SAVERIO RICCI, Vita e cultura in Italia nell’età dell’Illuminismo, in Storia della letteratura italiana. Diretta da Enrico Malato, VI. Il Settecento, Roma, Salerno, 1998, p. 120. 58 «Il libro dello Spettatore ha migliorato l’universal costume degli abitatori di quella bella isola, sì maschi che femmine, sì giovani che vecchi, sì nobili che secolari […] E questo libro dell’Osservatore, scritto appunto a imitazione di quello Spettatore, potrebbe parimente migliorar di molto l’universale della nostra Italia, se questo universale vo- I Sepolcri nella storia della fortuna di Pindaro 295 santa del secolo allorché il giovane Beccaria concludeva la collaborazione al “Caffè” con un articolo dedicato a I piaceri dell’immaginazione, prima che del poema di Akenside titolo di una serie di saggi di Addison sullo “Spectator”.59 Il 1711 fu l’anno della Iliade d’Homère traduite en français di Madame Dacier, nella quale si suole ravvisare l’inizio della seconda fase della Querelle des anciens et des modernes in Francia, donde l’immediato passaggio in Inghilterra della rinnovata controversia,60 poi contemporeaneamente alimentata sulle due sponde del Canale, nel 1715, dalle postume e “paradossali” Conjectures académiques dell’abate d’Aubignac e dal primo volume della Iliad di Pope.61 Aperta nel 1690 dallo Essay upon Ancient and Modern Learning di Sir William Temple, la prima ricezione inglese della Querelle proseguì con la replica di W. Wotton precipitando infine nella violenta polemica del 1697-1699 intorno alle Epistole di Falaride. Jonathan Swift con The Battle of the Books, pubblicato nel 1704 ma dall’autore attribuito al 1697 («when the famous Dispute was on Foot, about Ancient and Modern Learning»),62 offre la più nota e felice rielaborazione letteraria dei furibondi scontri personali e intellettuali di quegli anni, complicati ed esacerbati dalle conseguenze della Glorious Revolution del 1688- lesse assomigliarsi all’universale degl’Inglesi, e leggere e rileggere l’Osservatore, come quella oltramarina gente legge e rilegge lo Spettatore. Non è però ch’io mi lusinghi di veder mai i miei cari compatrioti a fare una così buona cosa, perché i miei cari compatrioti non sono universalmente amanti di leggere un libro buono ed atto a migliorarli. Leggeranno bene le commedie del Goldoni, e i romanzi del Chiari, che lasciano le persone ignoranti come le trovano, ed anche non poco peggiorate nel giudizio e nel costume, se occorre…» (L’Osservatore Veneto tomi sei del conte Gasparo Gozzi, in La Frusta Letteraria di Aristarco Scannabue n. XX, 15 luglio 1764 = Giornalismo letterario del Settecento, a c. di Luigi Piccioni, Torino, Utet, 1949, p. 352). 59 Rimando al panorama recentemente tracciato da AUGUSTA BRETTONI, La critica illuministica e il dibattito sulle riviste, in Storia della letteratura italiana. Diretta da Enrico Malato, XI. La critica letteraria dal Due al Novecento. Coordinato da Paolo Orvieto, Roma, Salerno, 2003, in part. pp. 541 e 570. 60 Si veda la bella e vivace ricostruzione di JOSEPH M. LEVINE, The Battle of the Books. History and Literature in the Augustan Age, Ithaca and London, Cornell University Press, 1991, pp. 135 ss. 61 Su Pope and the Quarrel between the Ancients and the Moderns l’ampia trattazione di LEVINE, The Battle of the Books, pp. 218-44. 62 In JONATHAN SWIFT, La battaglia dei libri. Introduzione di George Steiner; traduzione e note di Luciana Pirè, Napoli, Liguori, 2002, p. 14 (The Bookseller to the Reader). Si ricordi che protettore e mecenate di Swift era Sir William Temple. 296 Giovanni Benedetto 1690.63 Nella fantastica battaglia Between the Ancient and the Modern Books ambientata da Swift nella Biblioteca reale di St. James’s Palace a Londra non manca la partecipazione di Pindaro, presentato mentre uccide con un implacabile fendente Abraham Cowley,64 l’autore di quelle Pindarique Odes (1656) prototipo del pindarismo inglese secondo una visione dell’antico poeta connotata dal culto della varietà strutturale, dall’arditezza nelle connessioni e dall’inafferrabilità dei “voli” come veicolo di altezza espressiva. Contribuirà fortemente a diffondere la nozione del legame tra poesia pindarica e concetto di Genius un più giovane contemporaneo e amico di Addison, Edward Young (1683-1765), dalla grande fortuna europea con i suoi Night Thoughts (1742-1745), «veri e propri sermoni che si stendono per diecimila versi»65 presto e più volte tradotti in italiano, esplicitamente evocati nella polemica con Monsieur Guillon.66 Nel suo Essay 63 Esemplari a questo proposito le vicende oggetto dello studio di LUIGI LEHNUS, Callimaco redivivo tra Th. Stanley e R. Bentley, in “Eikasmós”, II (1991), pp. 285-309. 64 «With that, he [scil. Pindarus] raised his Sword, and with a mighty Stroak, cleft the wretched Modern in twain» («ciò detto, sollevò la spada e con un micidiale fendente spaccò in due il disgraziato Moderno» in SWIFT, La battaglia dei libri, pp. 68-69). Su Pindaro tra gli Haupthelden della Querelle cfr. L⁄ EMPICKI, Pindar im literarischen Urteil, pp. 423-29; PERROTTA, Saffo e Pindaro, pp. 95-96; MALCOLM HEATH, The Origins of Modern Pindaric Criticism, in “Journal of Hellenic Studies”, CVI (1986), pp. 85-98 (pp. 91-92). 65 Così MARIO PRAZ, La letteratura inglese dal Medioevo all’Illuminismo, Milano, Edizioni Accademia, 1990 (I ed. 1967), p. 350; il titolo completo dell’amplissima opera in versi sciolti di Young è The Complaint: or, Night Thoughts on Life, Death and Immortality, diffusa in Italia come Le Notti (sulle varie traduzioni italiane in prosa e in versi a partire dal 1770 cfr. Storia della letteratura italiana. Diretta da Enrico Malato, VI. Il Settecento, Roma, Salerno, 1998, p. 682 n. 84 e VII. Il primo Ottocento, Roma, Salerno, 1998, pp. 494-95). 66 I confronti avanzati da Guillon con la poesia sepolcrale inglese a tutto detrimento dei Sepolcri («Egli è alla tomba d’Achille e di Patroclo; quindi passa a quella d’Ajace al promontorio Retèo, poi nella Troade al sepolcro d’Ilo, antico Dardanide. Young, Hervey, Gray non fecer tanti viaggi; essi si contentarono di meditar sui sepolcri, che essi medesimi ed i loro compatriotti avean sotto gli occhi; e disser cose più commoventi, e molto più consolanti, perocché tutti i loro canti sono allegrati dalla speranza della futura risurrezione, della quale il signor F. non dice cosa alcuna») sono da Foscolo rintuzzati con la famosa rivendicazione della propria irriducibilità a quella tradizione: «Per censurare i mezzi d’un libro bisogna saperne lo scopo. Young ed Hervey meditarono sui sepolcri da cristiani: i loro libri hanno per iscopo la rassegnazione alla morte e il conforto d’un’altra vita; ed a’ predicatori protestanti bastavano le tombe de’ protestanti. […] I Sepolcri nella storia della fortuna di Pindaro 297 on lyric poetry e poi soprattutto nelle importanti Conjectures on original composition, del 1759, Young accosta Pindaro a Shakespeare in quanto entrambi genialmente capaci di librarsi oltre le strettoie di regole e norme.67 Peraltro già nella Francia della metà del XVI secolo, in uno dei momenti decisivi della storia del pindarismo europeo, furor poetico e lirismo pindarico venivano esplicitamente associati da Jean Dorat,68 in una delle infinite riprese dei due testi fondanti l’identità pindarica dall’Umanesimo in poi: l’ode IV 2 di Orazio (Pindarum quisquis studet aemulari) e il giudizio di Quintiliano, che a Orazio si rifà.69 Dai precorrimenti di Alamanni e Lampridio alla stagione di Ronsard al primo volume delle Canzoni del Chiabrera (1586) già nelle letterature del XVI secolo la storia della fortuna e della ricezione di Pindaro segue un percorso complesso e tortuoso, tra «labirintici intrichi di reciproci rispecchiamenti, di dotti e di poeti».70 Nella breve e interessante Vita in terza persona, scritta in vecchiaia, Chiabrera riserva un attento cenno alla «famigliarità» avuta in Roma, giovinetto, con Marc-Antoine Muret, udito come docente «nello studio pubblico»71, e fonte, con Paolo Manuzio e L’autore considera i sepolcri politicamente; ed ha per iscopo di animare l’emulazione politica degli italiani con gli esempi delle nazioni che onorano la memoria e i sepolcri degli uomini grandi: però dovea viaggiare più di Young, d’Hervey e di Gray, e predicare non la resurrezione de’ corpi, ma delle virtù» (in FOSCOLO, Poesie e tragedie, p. 44). 67 Cfr. L ⁄ EMPICKI, Pindar im literarischen Urteil, pp. 435-37; PASCALE HUMMEL, Pindarica Academica: les traductions de l’abbé Massieu et de L.-F. de Sozzi comme jalons dans la reconquête de Pindare au XVIIIe siècle, in “International Journal of the Classical Tradition”, I/4 (1995), p. 70 n. 35. 68 Cfr. JEAN-EUDES GIROT, Pindare avant Ronsard. De l’émergence du grec à la publication des Quatre Premiers livres des Odes de Ronsard, Genève, Droz, 2002, pp. 389-90. 69 Inst. or. X 1,61: Novem vero lyricorum longe Pindarus princeps spiritu, magnificentia, sententiis, figuris, beatissima rerum verborumque copia et velut quodam eloquentiae flumine: propter quae Horatius eum merito nemini credit imitabilem. 70 LUIGI CASTAGNA, Pindaro, le origini del pindarismo e Gabriello Chiabrera, in “Aevum”, LXV (1991), pp. 523-42 (a p. 540). 71 «Gabriello […] crescendo, e trattando nello studio pubblico, udiva leggere Marc’Antonio Mureto, ed hebbe seco famigliarità»: Vita di Gabriello Chiabrera da lui stesso descritta, in GABRIELLO CHIABRERA, Lettere (1585-1638), a c. di Simona Morando, Firenze, Olschki, 2003, p. LV. Recentissima è una nuova edizione dell’autobiografia a séguito del ritrovamento dell’autografo tra i manoscritti barberiniani della Biblioteca Apostolica Vaticana: CLIZIA CARMINATI, L’autobiografia di Chiabrera secondo l’autografo, in “Studi secenteschi”, XLVI (2005), pp. 5-43. 298 Giovanni Benedetto Sperone Speroni, di «ammaestramenti» che agiranno in profondità nell’animo del giovane Gabriello: Partito poi di Roma, e dimorando nell’ozio della patria, diedesi a leggere libri di poesia per solazzo, e passo passo si condusse a volere intendere ciò ch’ella si fosse, e studiarvi attorno con attenzione. Parve a lui di comprendere, che gli scrittori greci meglio l’havessero trattata, e di più s’abbandonò tutto su loro; e di Pindaro si maravigliò, e prese ardimento di comporre alcuna cosa a sua somiglianza, e que’ componimenti mandò a Firenze ad amico. Di colà fugli scritto, che alcuni lodavano fortemente quelle scritture; egli ne prese conforto, e non discostandosi da’ Greci scrisse alcune canzoni, per quanto sosteneva la lingua volgare, e per quanto a lui bastava l’ingegno veramente non grande, alla sembianza di Anacreonte, e di Saffo, e di Pindaro, e di Simonide. Provossi anche di rappresentare Archiloco, ma non soddisfece a se medesimo.72 Lasciata avventurosamente la Francia intorno ai trent’anni, il Mureto (1526-1585) era vissuto insegnando dapprima a Venezia quindi per oltre un ventennio a Roma, dove divenne sacerdote e operò circondato da grande e duratura fama come critico, editore di autori classici, maestro di stile latino.73 A Parigi era stato parte del circolo di Jean Dorat, l’erudito e poeta, docente prima all’università di Parigi poi al Collège Royal, alle cui lezioni Ronsard si avvicinò a Pindaro, poi esplicito modello per i Quatre premiers livres des Odes, del 1550.74 Nel 1553 esce la seconda edizione delle 72 In CHIABRERA, Lettere, p. LV = CARMINATI, L’autobiografia, p. 36. Un breve profilo dell’attività romana del Mureto («da giovane in Francia […] a malapena scappato al rogo») ha dato recentemente JOZEF IJSEWIJN, Marcantonio Mureto, in AA.VV., The world of Justus Lipsius: A contribution towards his intellectual biography, ed. by Marc Laureys, Bruxelles-Rome 1998, pp. 71-80 (= “Bulletin de l’Institut historique belge de Rome” LXVIII, 1998). 74 Per uno sguardo su Jean Dorat poiht¬j ®ma kaã kritik’j, filologo e poeta, maestro tra gli altri di Ronsard e di Muret, si ricordino le belle pagine di RUDOLF PFEIFFER, History of Classical Scholarship from 1300 to 1850, Oxford, Clarendon Press, 1976, 10207. Di Ronsard alla scuola di Dorat torna a trattare GIROT, Pindare avant Ronsard, pp. 313 ss. (dove senza negare «le rôle primordial» giocato da Dorat nel rivelare Pindaro a Ronsard si intende mostrare che verso la fine degli anni Quaranta del Cinquecento a Parigi «même sans Dorat, il était possible de connaître Pindare […] et de se réclamer du Thébain au seuil d’une œuvre poétique»); su modi e fini del richiamo ronsardiano a Pindaro nella prefazione («Au lecteur») delle Odes del 1550 cfr. spec. pp. 350 ss. 73 I Sepolcri nella storia della fortuna di Pindaro 299 Amours di Ronsard, commentate «come se avesse a che fare già con un classico» dall’amico Muret,75 che ancora molti anni dopo a un corrispondente parigino chiede di salutare «Ronsardum pridem Pindarum, nuper etiam Homerum Gallicum, suavissimum mihi amicissimum fratrem meum».76 La lettera, degli anni Settanta, tocca un Ronsard “epico” e cortigiano intento a pubblicare la prima parte del poema La Franciade – cui Muret allude – nell’anno stesso del massacro di san Bartolomeo (1572). Da tempo (pridem appunto) il poeta francese si era lasciato alle spalle il giovanile e “sperimentale” pindarismo77 sbocciato nella Parigi degli anni Quaranta. Almeno dalla creazione del nuovo Collège des lecteurs royaux (1530) diffuso era il convincimento che «qui graecizabant, lutheranizabant»:78 vicino a circoli eterodossi era stato probabilmente anche Dorat, come in genere gli ellenisti parigini nei decenni centrali del secolo.79 Più può stupire ricordare che Pindaro stesso risulta in quei decenni autore particolarmente legato al mondo protestante, anzi ad alcuni dei maggiori esponenti della Riforma. Per il testo greco delle odi pindariche la prima edizione fuori d’Italia, dopo la princeps aldina del 1513 e la romana del 1515,80 si ebbe a Basilea nel 1526 presso Andreas Cratander, curata da U. Zwingli (1484-1531). Poco dopo la pubblicazione del suo più noto scritto teologico, il De vera et falsa religione (1525),81 e a soli cinque anni 75 GIOVANNI MACCHIA, La letteratura francese. Dal tramonto del Medioevo al Rinascimento, Milano, Edizioni Accademia, 1989, III edizione con Bibliografia aggiornata (I ed. 1970), p. 201; cfr. GIROT, Pindare avant Ronsard, p. 168. 76 Ibid., p. 375 n. 74. 77 O piuttosto, forse, «Pindare n’est jamais vraiment apparu autrement que comme une étape obligée sur la voie qui devait amener Ronsard à devenir le chantre officiel de la dynastie» (GIROT, Pindare avant Ronsard, pp. 374-75). 78 Ibid., p. 229. 79 Sul Lambino, professore al Collège Royal e morto di spavento pochi giorni dopo il massacro di San Bartolomeo, cfr. LUCIANO CANFORA, La «praefatio» di Lambino a Cornelio Nepote: un umanista nella notte di San Bartolomeo, in ID., Le vie del classicismo. 2. Classicismo e libertà, Roma-Bari, Laterza, 1997, pp. 18-43. 80 Un dettagliato elenco di edizioni, traduzioni e commenti a Pindaro dall’editio princeps al 1630 in THOMAS SCHMITZ, Pindar in der französischen Renaissance. Studien zu seiner Rezeption in Philologie, Dichtungstheorie und Dichtung, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1993, pp. 267-308 (Anhang 1); «bibliographie analytique des éditions de Pindare au XVIème siècle» in GIROT, Pindare avant Ronsard, pp. 405-43. 81 Se ne possono leggere alcune sezioni in traduzione italiana nell’antologia di GIUSEPPE ALBERIGO, La Riforma protestante. Origini e cause, Brescia, Queriniana, II ed. aumentata 1988 (I ed. 1977), pp. 130-37. Il trattato era dedicato al re di Francia, Francesco I. 300 Giovanni Benedetto dalla morte che lo avrebbe colto combattente contro i cantoni cattolici sul campo di Kappel, il riformatore zurighese provvide all’edizione lasciata incompiuta da J. Ceporinus aggiungendovi una epistola preloquutoria e un’appendice, due testi di grande importanza per le sorti di Pindaro nel mondo riformato del XVI e del XVII secolo.82 Grande fortuna avrà in particolare il parallelo divulgato da Zwingli tra Pindaro e i salmi di Davide.83 Nella Vita come in vari passi dell’epistolario Chiabrera rievoca l’incontro con la lirica greca e con Pindaro in particolare quale decisiva e radicale esperienza personale («e di Pindaro si maravigliò, e prese ardimento di comporre alcuna cosa a sua somiglianza»),84 sì da presentarne, scherzando, l’effetto sulla propria vicenda poetica alla stregua della scoperta di un nuovo mondo: 82 Riproposti all’attenzione degli studiosi di storia dell’esegesi pindarica dall’articolo di WOLFGANG O. SCHMITT, Pindar und Zwingli. Bemerkungen zur Pindar-Rezeption im frühen 16. Jahrhundert, in AA.VV., Aischylos und Pindar. Studien zu Werk und Nachwirkung, hrsg. von Ernst Günther Schmidt, Berlin, Akademie-Verlag, 1981, pp. 30322. Importanti sono anche i contributi pindarici di Melantone, sui quali ora JOHANNA LOEHR, Pindars Begriff der Charis als Resonanzraum für Melanchthons Lektüre der Epinikien, in AA.VV., Dona Melanchthoniana. Festgabe für Heinz Scheible zum 70. Geburtstag, hrsg. von Johanna Loehr, Stuttgart-Bad Cannstatt, Frommann-Holzboog, 2005, pp. 267-76. 83 Così è menzionata l’edizione di Zwingli nella Bibliotheca Graeca di Fabricius-Harles: «Ceporinus hanc edit. curavit, et praefatus est Huldrichus Zwinglius, qui in praefat. de Pindari vita ingenioque disputat. Is quoque calci adiecit epistolam, in qua praematurum Ceporini (mense Decembri 1525. denati) obitum luget, de eius ingenio moribusque quaedam disserit, et loca aliquot V. ac N.T. praecipue ex Pindaro acute explicat» (IOANNIS ALBERTI FABRICII Bibliotheca Graeca […] Editio quarta variorum curis emendatior atque auctior curante Gottlieb Christophoro Harles, vol. II, Hamburgi, apud Carolum Ernestum Bohn, 1791, p. 69). L’edizione fu ripubblicata nel 1556, sempre a Basilea, per haeredes Andreae Cratandri (SCHMITZ, Pindar in der französischen Renaissance, p. 278; GIROT, Pindare avant Ronsard, pp. 419-20). Su Pindaro nel mondo protestante del XVI e del XVII sec. si soffermano i due recenti lavori di STELLA P. REVARD, Pindar and the Renaissance Hymn-Ode: 1450-1700, Tempe (Arizona), Arizona Center for Medieval and Renaissance Studies, 2001 e di JOHN T. HAMILTON, Soliciting Darkness. Pindar, Obscurity, and the Classical Tradition, Cambridge, Mass. and London, Harvard University Press, 2003 (cap. 6: Reforming the Epinicia). 84 Vita di Gabriello Chiabrera da lui stesso descritta, in CHIABRERA, Lettere, p. LV = CARMINATI, L’autobiografia, p. 36. I Sepolcri nella storia della fortuna di Pindaro 301 a significare ch’alcuna cosa era eccellente, diceva ch’ell’era poesia greca; […] diceva ch’egli seguia Christoforo Colombo suo cittadino, e ch’egli voleva trovare nuovo mondo o affogare.85 Lette oggi dalla critica con maggiore attenzione che in passato, queste e altre simili dichiarazioni restituiscono felicemente il sentimento di “conquista” di nuove regioni espressive cui anche fu ispirato il pindarismo di Chiabrera. Alla genesi di tale liberatorio impulso si può supporre non sia stata estranea la percezione, acquisita ad esempio tramite Muret, del carattere per più rispetti “irregolare” della poesia di Pindaro, e dei suoi cultori. Se, nella Parigi del giovane Muret, il successo dell’esegesi zwingliana accostante Pindaro e il Salmista e la fama eterodossa dei grecisti parigini dovettero parimenti concorrere a suggerire «une connotation réformée à tout ce qui touche Pindare»,86 altro fu ovviamente il contesto dell’attività di Muret e della formazione di Chiabrera nel Collegio Romano: preludio di un itinerario per il quale «traccia mai sopita della biografia chiabreresca»87 fu la consuetudine con le massime gerarchie ecclesiastiche, nel segno della lunga amicizia con Maffeo Barberini, poi papa Urbano VIII dal 1623 al 1644, nutrita di comune passione “pindarica”. Fregiate delle api barberiniane e con dedica al cardinal nipote Francesco Barberini le Ode di Pindaro tradotte in parafrasi e in rima toscana di Alessandro Adimari comparvero a Pisa nel 1631, l’anno stesso di una delle molte sontuose edizioni dei pindareggianti Poëmata di Maffeo Barberini.88 In chiusura della Vita Chiabrera volle riprodurre il breve fattogli pervenire 85 In CHIABRERA, Lettere, p. LVIII. Sulla scorta di indicazioni di Giovanni Getto, l’incontro con gli autori greci come «lezione di libertà» per Chiabrera è particolarmente sottolineato da GIACOMO JORI, Poesia lirica «marinista» e «antimarinista», tra classicismo e barocco. Gabriello Chiabrera, in Storia della letteratura italiana. Diretta da Enrico Malato, vol. V: La fine del Cinquecento e il Seicento, Roma, Salerno, 1997, pp. 658-73. 86 GIROT, Pindare avant Ronsard, p. 267. 87 Cfr. SIMONA MORANDO, Gabriello Chiabrera nello specchio delle lettere, in CHIABRERA, Lettere, p. XII. 88 Come ricorda JORI, Poesia lirica «marinista» e «antimarinista», p. 684. La traduzione dell’Adimari «corredata di dissertazioni, commenti, figure e schemi, è una monumentale enciclopedia pindarica» (MICHELE FEO, Nel maremagno del sapere, in ARISTON UDWR ~ Optima aqua ~ Ottima è l’acqua. Francesco Marucelli si misura con Pindaro: traduzione inedita in esametri latini della prima Olimpica, a c. di Michele Feo, Pontedera, Bandecchi & Vivaldi, 2001, p. 8). 302 Giovanni Benedetto dal nuovo papa nel novembre 1624, assai chiaro nell’indicare quale merito precipuo del poeta savonese il rinnovamento di modi e temi della lirica volgare grazie ai modelli greci: Interest autem Reipublicae quamplurimos reperiri imitatores studiorum Tuorum. Lirica enim poesis, quae antea vino, lustrisque confecta in triviis et tenebris sordido cupidini famulabatur, per te nunc Graecis divitiis aucta deducta est modo in Capitolium ad ornandos virtutum triumphos, modo in Ecclesiam ad Sanctorum laudes concinendas.89 Appunto «l’identificazione della poesia d’encomio con la lirica»90 e il rifiuto dell’esclusiva assimilazione della lirica alla tradizione della poesia d’amore furono temi di continuo affermati e difesi da Chiabrera nella produzione poetica, nelle dediche alle varie raccolte, nei dialoghi in prosa. Ottimamente lo osservò Carducci in un saggio famoso: non pure su le forme ma anche nelle intenzioni della poesia egli volle comporre a simiglianza di Pindaro: come Pindaro fu il poeta dell’aristocrazia greca, così il Chiabrera volle cantare i nobili e gli eroi d’Italia; e non si rimase dal notare per questa parte il difetto della nostra lirica, troppo ritenuta dall’ideale cavalleresco e dall’esempio del Petrarca nella materia d’amore.91 Secondo le parole di Foscolo nel già menzionato articolo Della poesia lirica (1811), è questo il Chiabrera che «primo ritrasse la poesia lirica a’ suoi principj».92 Nel poeta savonese Foscolo vide chi a fronte della confusione di generi invalsa da secoli, onde «i canzonieri de’ poeti si chiamarono libri di poesia lirica», seppe recuperare attraverso Pindaro, e sia pure attraverso «l’imitazione affettata del greco», l’aurorale significato del genere: «la poesia lirica canta con entusiasmo le lodi de’ numi e degli eroi», e perciò «la religione ed i fasti delle nazioni furono i primi ad ottenere 89 Vita di Gabriello Chiabrera da lui stesso descritta, in CHIABRERA, Lettere, p. LIX; traggo il breve papale dall’Appendice in CARMINATI, L’autobiografia di Chiabrera, p. 42. 90 JORI, Poesia lirica «marinista» e «antimarinista», p. 670. 91 Così in Dello svolgimento dell’ode in Italia, che cito da GIOSUE CARDUCCI, Prose critiche, a c. di Giovanni Falaschi, Milano, Garzanti, 1987, p. 691. 92 EN VII, p. 327. Appunti sul Chiabrera risalenti al corso londinese sulle Epoche della lingua italiana si possono leggere in U. FOSCOLO, Storia della letteratura italiana. Saggi raccolti e ordinati da Mario Alighiero Manacorda, Torino, Einaudi, 1979, p. 306. I Sepolcri nella storia della fortuna di Pindaro 303 per mezzo della poesia lirica monumenti perpetui della letteratura».93 La definizione foscoliana del Chiabrera lirico ritorna in Carducci, che la completa insistendo sull’ispirazione storica di quella poesia: Così, per dirla col Foscolo, «il Chiabrera ritrasse la lirica a’ suoi principii», e le fece fare una corsa a dietro per entro la storia italiana. E tornò agli uomini di guerra del secolo decimoquinto e anche più lontano nelle repubbliche; e più vicino, al servizio delle monarchie straniere, e ha lodi patriotiche, per le famiglie nobili e feudali divenute dinastie.94 Nell’incalzante rassegna della pagina carducciana «ci passano variamente innanzi» gli uomini d’arme dell’Italia tra Cinque e Seicento cantati nelle odi del Chiabrera, il quale così «osò in poche carte, o tentò, di far lirica la storia militare d’Italia».95 Guardando al complesso dell’attività del Chiabrera («entrò nel secolo decimosettimo maestro e duca della nuova lirica: poeta de’ cavalieri e delle armi, nelle canzoni pindariche e nelle odi: poeta delle dame e degli amori, nelle canzonette e negli scherzi»)96 non inaspettatamente Carducci tace un aspetto rilevante della sua produzione “pindarica”, le canzoni sacre, in onore di santi. La lirica ad Sanctorum laudes concinendas menzionata nel breve urbaniano più accomuna Chiabrera al riuso di forme e temi del repertorio pindarico riscontrabile nelle poesie sia italiane che latine di Maffeo Barberini. Si tratta di componimenti attestanti la fortuna in campo controriformistico di soluzioni pindariche o pindaricheggianti piegate alla celebrazione di santi e martiri, al ricordo delle cui virtuose imprese sono coscientemente e attentamente applicati stilemi dell’ode epinicia, qui volta a magnificare la vittoria sul peccato e sul mondo.97 93 EN VII, p. 325. Dello svolgimento dell’ode in Italia, in CARDUCCI, Prose critiche, p. 692. 95 Ibid. Alla sostanza “pindarica” delle canzoni del Chiabrera in onore di condottieri («non sarà difficile convincersi che questo poeta è forse il solo, il quale abbia saputo far rivivere, se non per forma, almeno per contenuto, non isolate reminiscenze, ma la tessitura dell’ode Pindarica») riserva attenzione un dimenticato contributo di LUIGI CERRATO, La tecnica composizione delle odi Pindariche, Genova, tipografia del R. Istituto sordo-muti, 1888, pp. 35-36, interessante per la panoramica su l’Arte Pindarica in Italia, Francia, Germania e Inghilterra nei secoli XVII, XVIII e XIX, cui sono dedicati i capitoli IV-VI del lavoro. 96 Dello svolgimento dell’ode in Italia, in CARDUCCI, Prose critiche, p. 698. 97 Sulle odi per santi del Chiabrera e di Maffeo Barberini, lette nell’àmbito della storia 94 304 Giovanni Benedetto Irrigiditisi nel corso del secolo gli elementi di novità e vitalità presenti nella rilettura chiabreresca di Pindaro e dell’ode per la vittoria, e più tardi estenuatisi nelle aspirazioni verso una ritrovata classica “misura” da parte «dell’iniziale Arcadia pindareggiante dei Filicaia e dei Guidi»98, dalla metà del Settecento si fa evidente un mutamento di clima anche nell’approccio a Pindaro come in genere ai classici greci, in accordo con esigenze di razionalità, perspicuità e ritorno all’originale. In mancanza di specifiche e adeguate indagini sulla multiforme presenza di Pindaro nel Settecento italiano, bastino alcuni esempi. Nella nona tra le Lettere Virgiliane (1758) di Saverio Bettinelli, prospettante una Scelta e riforma de’ poeti italiani per comodo della vita e della poesia, si sentenzia «il Chiabrera ristringasi in un solo volume, e sia piccolo. Nessun sonetto di lui v’abbia luogo, nessun poema, e i modi greci delle canzoni, che sono a forza italiani, mettansi in libertà».99 In realtà poco favorevole al Chiabrera risulta anche il giudizio nelle Lezioni di Belle Lettere pronunciate da Parini negli anni ‘70 del secolo per la nuova cattedra milanese di Eloquenza e Belle Lettere: Gabriello Chiabrera uno de’ Principi tra i nostri Poeti, che sui passi d’Anacreonte e di Pindaro si aperse una nuova strada fra i lirici nostri. Molto in vero, e più che nessun altro si avvicinò costui a que’ due antichi, ma fu ben lontano dall’agguagliarli come altri ci ha voluto far credere. Uno de’ caratteri principali del greco Pindaro è per nostro aviso le verità sublimi, che egli sorprende quasi nel seno della filosofia, e con molta grandezza e semplicità di stile espone in sentenze, e luminosamente applica al suo soggetto.100 del pindarismo europeo, utile REVARD, Pindar and the Renaissance Hymn-Ode, pp. 262 ss. Sul gesuita M.C. Sarbiewski, l’“Orazio polacco” nella Roma di Urbano VIII cfr. ANDRÉE THILL, Horace polonais. Horace allemand, in AA.VV., Horace. L’œuvre et les imitations. Un siècle d’interprétation, Vandœuvres-Genève, Fondation Hardt pour l’étude de l’Antiquité classique, 1993, [Entretiens sur l’Antiquité classique, XXXIX], pp. 381-425); su Pindaro nel Seicento spagnolo, RAFAEL HERRERA MONTERO, Sobre la fortuna de Píndaro en el Siglo de Oro, in “Cuadernos de filología clásica. Estudios griegos e indoeuropeos”, VI (1996), pp. 183-213. 98 WALTER BINNI, Classicismo e Neoclassicismo nella letteratura del Settecento, Firenze, La Nuova Italia, 1976 (repr. dell’ed. Firenze 1963), p. 144. 99 In SAVERIO BETTINELLI, Lettere virgiliane e lettere inglesi, a c. di Ettore Bonora, Torino, Einaudi, 1977 (repr. parziale dell’ed. Milano-Napoli, Ricciardi, 1969), p. 51; il Codice nuovo di leggi del Parnaso italiano è promulgato e sottoscritto anche da Pindaro, in compagnia di Omero, Anacreonte, Virgilio, Orazio, Properzio, Dante, Petrarca, Ariosto «ne’ comizi poetici tenuti in Elisio» (p. 55). 100 Cito dalla recente edizione critica delle Lezioni secondo l’autografo ambrosiano L I Sepolcri nella storia della fortuna di Pindaro 305 Benché le corrispondenti trascrizioni risultino irreperibili, si ha notizia di lezioni su Pindaro tenute da Parini negli ultimi anni del suo insegnamento:101 esse attesterebbero dunque la presenza del poeta tebano tra gli autori che Parini in quegli anni interpretava «in modo estemporaneo», non limitandosi a dettare le lezioni.102 A cimento con il testo pindarico esordirono come traduttori dal greco due figure in diverso modo destinate a caratterizzare gli studi classici italiani del XVIII secolo, il ventiquattrenne Cesarotti nel 1754 e il poco più che ventenne Ennio Quirino Visconti nel 1773, il quale accompagnò alle sue versioni dell’Olimpica XI e dell’Olimpica XII alcune Riflessioni, come Parini esortanti a valutare le odi pindariche innanzitutto per la «beltà delle idee» e la «sublime poesia».103 Con un entusiastico «they are Greek, they are Pindaric, they are sublime» Horace Walpole, vecchio amico dell’autore, ebbe appunto a salutare le odi The Progress of Poesy e The Bard di Thomas Gray (1716-1771),104 pubblicate nel 1757 con il comune sottotitolo A Pindaric Ode a sottolineare il recupero della struttura triadica in polemica con l’esibita irregolarità metrica del pindarismo inglese secentesco. in GIUSEPPE PARINI, Prose I. Lezioni – Elementi di retorica, a c. di Silvia Morgana e Paolo Bartesaghi, Milano, LED, 2003, pp. 247-48; il passo compariva, salvo varianti grafiche, già nell’edizione Mazzoni (ripresa in GIUSEPPE PARINI, Poesie e prose. Con appendice di poeti satirici e didascalici del Settecento, a c. di Lanfranco Caretti, Milano-Napoli, Ricciardi, 1951, p. 523). Su carattere e novità delle lezioni pariniane rimando alle indicazioni di GENNARO BARBARISI, Giuseppe Parini, in Storia della letteratura italiana. Diretta da Enrico Malato, VI. Il Settecento, pp. 609-14. 101 Silvio Giuseppe Mercati affermò di possedere fogli con lezioni pariniane su Pindaro risalenti al gennaio-febbraio 1791, di cui però si è persa traccia: si veda la Premessa a PARINI, Prose I, p. 75 e n. 122. 102 Nota al testo in PARINI, Prose I, p. 407. 103 Nelle Riflessioni sulla maniera di tradur Pindaro comparse sul “Nuovo Giornale de’ Letterati” del 1773, studiate da GIAN FRANCO GIANOTTI, Pindaro secondo Ennio Quirino Visconti: prove di traduzione 1773, (1993) ora in ID., Radici del presente. Voci antiche nella cultura moderna, Torino, Scriptorium Paravia, 1997, pp. 35-48 (a p. 40). 104 Sul pindarismo di Gray nell’àmbito della cultura letteraria inglese del XVIII secolo cfr. PENELOPE WILSON, ‘High Pindaricks upon stilts’: a case-study in the eighteenth-century classical tradition, in AA.VV., Rediscovering Hellenism. The Hellenic inheritance and the English imagination, ed. by G.W. Clarke with the assistance of J.C. Eade, Cambridge, Cambridge University Press, 1989, pp. 23-41 (alle pp. 29-30). Con Walpole il giovane Gray compì tra il 1739 e il 1741 il tradizionale viaggio di formazione sul Continente e in Italia, dove i due si separarono a séguito di un litigio, riconciliandosi solo alcuni anni dopo. Ricco di indicazioni anche sulla presenza di Gray in relazione alla fortuna della letteratura inglese nell’Italia settecentesca rimane il volume di ARTURO GRAF, L’Anglomania e l’influsso inglese in Italia nel secolo XVIII, Torino, Loescher, 1911. 306 Giovanni Benedetto Non per la sola licenza metrica si erano distinte le odi di Abraham Cowley (1618-1667), il maggior rappresentante della voga pindarica nel Seicento inglese. L’autore delle Pindarique Odes (1656) pienamente adotta gli elementi consueti alla “leggenda pindarica”, «shaped by Horace, repeated and embellished by Quintilian, Longinus, Ronsard, and Alamanni»,105 per cui la poesia di Pindaro sarebbe specialmente caratterizzata da immagini ardite, trapassi inattesi, mancanza di regolarità strutturale: temi di lì a poco al centro del capitolo riguardante il poeta tebano nella Querelle des anciens et des modernes, preannunciato ne L’art poétique di N. Boileau (1674) dalla difesa del beau désordre dell’impetuoso stile di Pindaro,106 poi oggetto dei sarcasmi “modernisti” di Charles Perrault e Houdar de la Motte.107 In accordo con l’ “esegesi comparatista” tra autori classici e testi scritturali cara alla cultura del XVII secolo, non manca in Cowley il paragone tra Pindaro e il profeta Isaia giacché entrambi «passano da una cosa all’altra con quasi invisibili connessioni, e sono pieni di parole ed espressioni dei più alti e audaci voli di poesia».108 La disputa tra i protagonisti della Querelle intorno a significato e legittimità degli écarts pindarici109 proseguirà e svilupperà, trasmettendola “laicizzata” al secolo successivo, la visione dell’antico poeta corrente nella cultura europea del XVII secolo, forgiata sul Pindaro “ditirambico” dell’ode oraziana IV 2110 e contemporaneamente sulla fama di vates animato da pietà e religioso furore al pari di Davide nei salmi.111 105 HARVEY D. GOLDSTEIN, Anglorum Pindarus: Model and Milieu, in “Comparative Literature”, XVII (1965), pp. 299-310 (a p. 300). 106 Famoso è il distico di Boileau dedicato all’ode pindarica: «Son style impétueux souvent marche au hasard: / Chez elle un beau désordre est un effet de l’art». 107 Vicende su cui torna ora HAMILTON, Soliciting Darkness, pp. 152-61. 108 «The manner of the Prophets writing, especially of Isaiah, seems to me very like that of Pindar; they pass from one thing to another with almost invisible connexions, and are full of words and expressions of the highest and boldest flights of Poetry» (cit. in HAMILTON, Soliciting Darkness, p. 172). 109 Cfr. HUMMEL, Pindarica Academica, p. 69. 110 Giusta i fortunatissimi vv. 5-12: Monte decurrens velut amnis, imbres / quem super notas aluere ripas, / fervet immensusque ruit profundo / Pindarus ore, / laurea donandus Apollinari, / seu per audacis nova dithyrambos / verba devolvit numerisque fertur / lege solutis… 111 Cosicché sino almeno alla fine del XVII secolo ebbe corso nell’Europa settentrionale «a view of Pindar as sacred “Christian” vates that the Protestant reformers of the Renaissance had fostered» (REVARD, Pindar and the Renaissance Hymn-Ode, p. 25). Sarebbero utili indagini sull’incidenza di tale interpretazione di Pindaro nel corso del XVII secolo in campo cattolico. I Sepolcri nella storia della fortuna di Pindaro 307 Tra le Pindarique Odes di Cowley molte appartengono alla categoria dell’ode “filosofica”, destinata a grande e duratura fortuna nella poesia inglese sino al Romanticismo. Altri pindarics di contenuto “filosofico” saranno compresi nella raccolta postuma delle Opere di Cowley (1668).112 Quel che conta ai nostri fini rilevare è non solo il costante ricorso di Cowley al modello pindarico per attingere una più profonda, nascosta unità a partire dall’apparente irregolarità di digressioni, transizioni improvvise, inusitate metafore.113 Notevole è altresì vedere Cowley nelle più elaborate tra le odi filosofiche coscientemente rifarsi a Pindaro quale guida nell’uso del mito classico (e della materia biblica) onde farne stimolo conoscitivo, strumento di connessione tra le parti, occasione per legare il più remoto passato al presente e al futuro.114 Quando, un secolo dopo, Thomas Gray reinventerà l’ode “pindarica” di contenuto filosofico e meditativo rifiutando le strofe irregolari e la libera struttura metrica della maniera di Cowley e seguaci,115 contemporaneamente cercherà di rifondare con la modalità del Progress poem la più forte e sostanziale valenza pindarica del carme, inteso quale riflessione sul presente, sul passato e sul loro ineludibile vincolo. Come, in Pindaro, l’ode si apre nell’oggi, con la vittoria nell’agone, per poi spingersi nel passato mitico e quindi ritornare all’esaltazione del vincitore nel presente, così la struttura del Progress poem invita a riflettere sulla relazione tra un lontano, glorioso passato e le aspirazioni del presente, «in a narrative tracing the historical progression of various arts, and especially poe- 112 The Works of Mr. Abraham Cowley, cfr. REVARD, Pindar and the Renaissance Hymn- Ode, pp. 323 ss. 113 Cfr. GOLDSTEIN, Anglorum Pindarus, pp. 304-07; WILSON, ‘High Pindaricks upon stilts’, p. 27. 114 Si veda in REVARD, Pindar and the Renaissance Hymn-Ode, pp. 329-34 un ampio esame dell’ode To the Royal Society, del 1667, con la figura di Francis Bacon come liberatore della filosofia dai ceppi della scolastica e come banditore della rivoluzione scientifica, nuovo Mosè e nuovo Adamo: «In making Bacon his hero figure […] Cowley takes his cue from Pindar in developing myth allusively rather than narratively […] While taking the account of Moses the liberator as his central focus, he adopts the stance of a biblical commentator and looks backward and forward in time…». 115 Osserva la WILSON, ‘High Pindaricks upon stilts’, pp. 26-27: «The chief, perhaps the only, distinguishing characteristic of the English Pindaric of the late seventeenth and early eighteenth century is its licence, based on a misunderstanding of Horace’s description of Pindar’s metre as free from laws, to make up one’s own rules as one went along»; cfr. anche REVARD, Pindar and the Renaissance Hymn-Ode, p. 48. 308 Giovanni Benedetto try».116 Tale il carattere delle due Pindaric Odes pubblicate nel 1757, The Progress of Poesy e The Bard. Nella prima Gray delinea una sorta di genealogia della poesia inglese, seguendo il migrare dello spirito della poesia dalla Grecia a Roma sino in Inghilterra, con le grandi figure di Shakespeare e di Milton come termine di confronto per la personale inadeguatezza del poeta, e l’immagine dell’inarrivabile «aquila tebana» nella strofe conclusiva.117 Gray indica nel tramonto della libertà politica a favore dell’asservimento e della tirannia ciò che di volta in volta ha spinto le Muse a passare dalla Grecia al Lazio all’Inghilterra.118 Più definito è il contesto storico dell’altra ode. In The Bard è introdotto un bardo gallese sopravvissuto alla persecuzione di re Edoardo I, che dopo la conquista del Galles avrebbe fatto giustiziare tutti i bardi a causa del loro patriottismo. Dalla lunga barba e dagli ispidi capelli, il cantore stando su una roccia in attitudine profetica119 evoca con la lira gli antichi predecessori, che ricompaiono dinanzi ai suoi occhi, vendicatori della patria.120 Profetizzata la disfatta di Edoardo e l’avvento della casa 116 WILLIAM FITZGERALD, Agonistic Poetry. The Pindaric Mode in Pindar, Horace, Hölderlin, and the English Ode, Berkeley-Los Angeles-London, University of California Press, 1987, p. 73 (dal cap. 4, Progress and Fall, cui mi rifaccio per Gray e il Progress poem). 117 Sulla funzione di Pindaro, «the Theban eagle», nell’ultima strofe di The Progress of Poesy cfr. HAMILTON, Soliciting Darkness, pp. 198 ss. («the progress that is discernible is a progression from one species of obscurity to another, each bearing upon the other, performed beneath the auspices of Pindar»). 118 Cfr. i vv. 73-82: «Where each old poetic mountain / Inspiration breathed around: / Every shade and hallowed fountain / Murmured deep a solemn sound: / Till the sad Nine in Greece’s evil hour / Left their Parnassus for the Latian plains. / Alike they scorn the pomp of tyrant-power, / And coward Vice that revels in her chains. / When Latium had her lofty spirit lost, / They sought, oh Albion! next thy sea-encircled coast» (cito da The New Oxford Book of Eighteenth Century Verse, ed. by Roger Lonsdale, Oxford-New York, Oxford University Press, 1992 [I ed. 1984], p. 360). Alla migrazione delle Muse dalla Grecia in Italia non in séguito alla conquista romana della Grecia, ma a quella turca di Costantinopoli, Foscolo dedicò il cosiddetto Inno alla nave delle Muse, frammento del progettato poema Alceo e probabilmente non distante cronologicamente dai Sepolcri: cfr. DI BENEDETTO, Lo scrittoio di Ugo Foscolo, pp. 68-71; LORENZO BRACCESI, Poesia e memoria. Nuove proiezioni dell’antico, Roma, «L’Erma» di Bretschneider, 1995, pp. 3-12. 119 «On a rock […] Robed in the sable garb of woe, / With haggard eyes the poet stood / (Loose his beard and hoary hair / Streamed, like a meteor, to the troubled air); / And, with a master’s hand and prophet’s fire, / Struck the deep sorrows of his lyre» (vv. 15-22 in The New Oxford Book of Eighteenth Century Verse, p. 362). 120 «Dear lost companions of my tuneful art, / […] Ye died amidst your dying coun- I Sepolcri nella storia della fortuna di Pindaro 309 gallese dei Tudor, in chiusura dell’ode il bardo si getta dalla rupe nella «notte senza fine».121 I legami con ispirazione e temi del Progress poem – diretti o debitori a una sensibilità diffusa nella cultura europea almeno dalla metà del XVIII secolo – sono evidenti tanto per le Grazie quanto per i Sepolcri, anche in rapporto al “pindarismo” che li accomuna e di cui si è detto nella prima parte del lavoro: fondamento di una concezione della lirica («le Muse / Del mortale pensiero animatrici»!) votata a misurarsi con le «fredde ale» del tempo e della storia. A fronte della importanza tradizionalmente assunta nella critica sui Sepolcri dalla Elegy Written in a Country Churchyard di Gray, sin dall’attacco dell’abate Guillon e dalla risposta di Foscolo,122 quindi nelle tante indagini intorno all’influsso sul Foscolo della poesia sepolcrale straniera, assai minore attenzione è stata prestata alle due odi pindariche di Gray: val la pena ad esempio ricordare che The Progress of Poesy, al pari poi dei Sepolcri, è corredato di note indicanti le fonti antiche di particolari espressioni o vocaboli, cosicché già a proposito del primo verso («Awake, Aeolian lyre, awake») è indicato un parallelo pindarico per l’uso di Aeolian.123 La stessa ripresa nei vv. 49-50 dei Sepolcri («Né passeggier solingo oda il sospiro / Che dal tumulo a noi manda Natura») del v. 91 dell’Elegy («Ev’n from the tomb the voice of Nature cries»), nella traduzione latina di P. Costa posto a epigrafe dell’Ortis («Naturae clamat ab ipso / vox tumulo»), e più in generale l’ampiamente accertata fruizione try’s cries - / No more I weep. They do not sleep. / On yonder cliffs, a grisly band, / I see them sit, they linger yet, / Avengers of their native land; / With me in dreadful harmony they join» (vv. 39-47). 121 «He spoke, and headlong from the mountain’s height / Deep in the roaring tide he plunged to endless night» (vv. 143-44). 122 Cfr. supra n. 66. Sulla fortuna di Gray nel Settecento veneto, e l’«attentissima ‘regia’ inglese» sottesavi, il saggio di DUCCIO TONGIORGI, “Rozze rime e disadattate forme”: (pre)storia di una traduzione elegiaca, in Aspetti dell’opera e della fortuna di Melchiorre Cesarotti, a c. di Gennaro Barbarisi e Giulio Carnazzi, Milano, Cisalpino, 2002, vol. II, pp. 569-95. 123 Cfr. WILSON, ‘High Pindaricks upon stilts’, p. 34. Di Gray sono conservati estratti del testo greco delle odi, con osservazioni e note. Solo dell’Elegy si occupa l’ancor utile e interessante articolo di GIACOMO ZANELLA, Gray e Foscolo, in “Nuova Antologia” s. II, XXV (1881), pp. 377-401; un cenno a The Bard in relazione alla tradizione pindarica e ai Sepolcri in TOM O’ NEILL, Of Virgin Muses and of Love. A Study of Foscolo’s “Dei Sepolcri”, Dublin, Irish Academic Press, 1981, p. 36. 310 Giovanni Benedetto della Elegy nel tessuto sia del romanzo che del carme foscoliano, possono utilmente leggersi anche alla luce dei molti richiami di Foscolo a Gray, e anzi al Gray “pindarico”, in un lungo arco di anni, sin dal Piano di studj del 1796, quando il poeta inglese compare accanto a Pindaro nella lista dei Lirici. Come è noto Il Bardo di Gray è più volte menzionato da Foscolo, sempre in termini elogiativi, e sempre unitamente alla Pitica IV di Pindaro, definita nella Considerazione prima del commento alla Chioma «senza pari in tutta la lirica sublime», felicemente seguita solo dall’oda inglese del Gray.124 La Pitica IV, per il re Arcesilao di Cirene, è la più lunga tra le odi pindariche a noi note. Di grande complessità strutturale, nel sovrapporsi di diverse profezie e nell’ampia narrazione della saga degli Argonauti è «esempio perspicuo di tecnica narrativa che rompe con la sintassi della linearità temporale», nel quadro di una precisa destinazione politica dei miti trattati,125 come Foscolo mostrò di ben comprendere, proprio confrontando l’ode pindarica con quella di Gray: La spedizione prima marittima della Grecia, benché siano perite le narrazioni poetiche degli Argonauti, si trova illuminata in tutto il suo eroico splendore da un’ode lunghissima di Pindaro (la quarta Pithia), quanto il carattere storico de’ bardi eroi e le guerre civili dell’Inghilterra nel Bardo di Gray. È osservazione proveniente da un articolo apparso su una rivista inglese nel 1822,126 a quasi vent’anni dalla menzione nel commento alla Chioma delle due odi di Pindaro e di Gray: «v’è nel Foscolo un’ostinata fissità di idee per la quale», ha efficamente notato il Corbellini accennando a questi passi, «a distanza di un ventennio, come per associazione 124 EN VI, p. 390. Si vedano le osservazioni di Bruno Gentili in PINDARO, Le Pitiche, a c. di Bruno Gentili, Paola Angeli Bernardini, Ettore Cingano e Pietro Giannini, Milano, Mondadori/Fondazione Lorenzo Valla, 1998 (I ed. 1995), p. 109. 126 Della «Gerusalemme Liberata» tradotta in versi inglesi, in FOSCOLO, Saggi e discorsi critici, a c. di Cesare Foligno, Firenze, Le Monnier, 1953 [EN X]: il passo citato è a p. 537. «The Odes of Gray and Pindar» sono associate da Foscolo anche in un cenno nel saggio del 1819 Narrative and Romantic Poems of the Italians, che cito da U. FOSCOLO, Opere, II, p. 1722. 125 I Sepolcri nella storia della fortuna di Pindaro 311 di idee, se rammemora la IV Pitia, ripensa al Bardo».127 Non era naturalmente mancato il richiamo alla Pitica IV nella recensione foscoliana, uscita nei primi mesi del 1808, alla traduzione di Berchet proprio del Bardo di Tommaso Gray (1807). Lì Foscolo afferma esplicitamente che l’ode inglese è «ispirata dalla Pitica IV di Pindaro» sùbito dopo averne dato un giudizio per più aspetti degno di nota: Lo stile di quest’ode sente il pindarico e lo scritturale, segnatamente d’Ezechiello: le transizioni sono rapidissime e impercettibili quasi; i pensieri arditi; l’armonia severa; e tutto il poema è adombrato da quel sublime mistero nemico de’ nostri lettori di Metastasio e di Boileau, ma gratissimo agl’intelletti […] curiosi della storia che va sempre applicata all’alta lirica…128 Nell’accostamento tra il pindarico e lo scritturale si trova qui riecheggiato il modulo interpretativo sviluppatosi nell’àmbito della Riforma, poi ampiamente diffuso anche oltre il XVII secolo.129 Pochi mesi dopo la pubblicazione dei Sepolcri e la polemica con il Guillon, non casuale è il rilievo accordato dalla recensione foscoliana a legittimità e valore delle transizioni «rapidissime e impercettibili quasi». Se il lettore del Foscolo dinanzi a queste parole è tratto a pensare ai Sepolcri, è pur indubbio che esse perfettamente riflettono l’immagine dello stile pindarico allora, e da secoli, corrente: voce di oscurità e discontinuità, capace nella cultura europea di farsi modello esemplare in momenti storici segnati dalla radicale inquietudine di «intelletti curiosi della storia, che va sempre applicata all’alta lirica».130 127 CORBELLINI, p. 200. EN VI, pp. 710-11. 129 E che ben si accorda con la sensibilità da Foscolo dimostrata verso «l’interferenza tra mondo omerico e mondo biblico» comunemente ammessa dalla cultura secentesca, e ancora fondamentale per Madame Dacier, il cui influsso sul Foscolo da questo punto di vista è stato indagato da MARIA ANTONIETTA TERZOLI, Il libro di Jacopo. Scrittura sacra nell’Ortis, Roma, Salerno, 1988, pp. 88 ss. 130 Su Pindaro «as a model for breaking all models», emergente in momenti storici in cui l’intero concetto di tradizione è posto sotto discussione, utili rilievi in HAMILTON, Soliciting Darkness, p. 11. Una concisa e intensa ricostruzione di storia della fortuna pindarica si ha in Pindaro. Olimpiche. Traduzione, commento, note e lettura critica di LUIGI LEHNUS, Milano, Garzanti, 1981, pp. XXVIII-XXX. 128