Estratto da:
DEI SEPOLCRI DI UGO FOSCOLO
a cura di Gennaro Barbarisi e William Spaggiari
Quaderni di Acme 80
2006, Milano
I SEPOLCRI NELLA STORIA DELLA FORTUNA DI PINDARO
di Giovanni Benedetto
1. A ottant’anni dalla pubblicazione Il Foscolo e Pindaro di Alberto Corbellini, anzi Il Foscolo e Pindaro (Appunti), rimane l’unico contributo d’assieme sulla presenza del poeta tebano nelle opere foscoliane, e specificamente nei Sepolcri. Il lavoro, di oltre settanta pagine, è compreso nel grosso
volume di Studi su Ugo Foscolo editi a cura della R. Università di Pavia nel
primo centenario della morte del Poeta, uscito nel 1927.1 Tra i ventidue interventi che costituiscono la miscellanea, sei sono in vario modo dedicati
al rapporto di Foscolo con autori dell’antichità greca: oltre al saggio di
Corbellini, quelli di Luigia Achillea Stella (Ugo Foscolo e la poesia ellenica),
di Giovanni Patroni (La poesia e la figura di Omero nei ‘Sepolcri’ del Foscolo),
di Ferdinando Losavio (Ugo Foscolo traduttore di Omero), di Ireneo Sanesi
(Ugo Foscolo traduttore di Anacreonte), e di Marco Galdi (L’intimo significato
del Commento foscoliano alla traduzione della ‘Chioma di Berenice’). Evocato
con riferimento sia ai Sepolcri sia alle Grazie, non manca Pindaro nella rassegna offerta dalla Stella degli autori greci con il più chiaro influsso sulla
produzione foscoliana dagli esordi giovanili sino alle Grazie. Pindaro è
detto, con riguardo ai Sepolcri, «nella poesia di tutti i tempi […] l’unico
grande predecessore del Foscolo», enfatico quanto tradizionale giudizio2
1
ALBERTO CORBELLINI, Il Foscolo e Pindaro (Appunti), in AA.VV., Studi su Ugo Foscolo editi a cura della R. Università di Pavia nel primo centenario della morte del Poeta, Torino, Chiantore, 1927, pp. 143-214 [CORBELLINI].
2 «Il Carme dei Sepolcri porta così una voce nuova nella nostra letteratura; e mal si
adatta ad esso la parola lirica nel senso moderno. Nella poesia di tutti i tempi Pindaro,
che partendo da limitate circostanze presenti evoca alle genti attonite un meraviglioso
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cui si legano comunque il tentativo di delineare talune forme della concreta efficacia del modello pindarico nella struttura del carme, e la volontà di indicare precisi paralleli testuali, insieme alla più generale osservazione, sostanzialmente originata dalle indicazioni dello stesso Foscolo nella Lettera a Monsieur Guillon, «forse è anche merito di Pindaro se
i Sepolcri furono, a differenza dei poemi sepolcrali inglesi, poesia civile».
Sia per l’insieme dell’attività poetica foscoliana sia per i Sepolcri maggiore
attenzione L.A. Stella riserva naturalmente a Omero («per tutta la vita il
suo autore prediletto»), nonché, per le odi e le Grazie, a Callimaco, e, per
l’Aiace, a Sofocle.3
Di gran lunga il più ampio tra i contributi del volume vertenti sul
rapporto di Foscolo con la letteratura greca è quello del Corbellini, destinato peraltro a rimanere più citato che effettivamente letto, certo anche per l’andamento prolisso e dispersivo, tale spesso da occultare utili
osservazioni che val la pena perciò ripercorrere. Indubbio merito del saggio è inseguire le tracce di Pindaro nell’intera opera foscoliana, in prosa
e in versi, a partire dalle due odi, specialmente Alla amica risanata, dove
«il mito domina la concezione generale» e «il poeta, per esso, dall’affermazione della ricuperata aurea salute passa a proclamare l’immortalità
della sua donna, come Pindaro dispensava l’immortalità a’ suoi Jeroni, e
Teroni e Arcesilai».4 Il riferimento va dunque in particolare alla strofe di
chiusura dell’ode (vv. 91-96), dedicata a quel potere eternatrice della poesia che domina lo sviluppo e gli arditi trapassi di tutta la seconda metà
del componimento, nel solco di esemplari luoghi oraziani di continuo veicolanti richiami al magistero pindarico del vates sacer.5 In generale preme
mondo scomparso di Dei e di Eroi, e li ferma in mirabili gruppi plastici o in quadri stupendi, e suggella gruppi e quadri con aforismi altissimi di etica, e tutto anima prodigiosamente e fa vivere in un’onda di musica sovrana, è l’unico grande predecessore del
Foscolo» (in Studi su Ugo Foscolo, p. 47). Il giudizio riflette quello celebre del Carducci,
sui Sepolcri quali «la sola poesia lirica, nel gran significato pindarico, che ebbe l’Italia»:
ma già il Carrer aveva osservato «scrissi più volte che la tendenza del Foscolo era alla lirica; e forse, dopo Pindaro, non v’ebbe componimento che più dei Sepolcri potesse citarsi
come idea somma di siffatto genere di poetare» (LUIGI CARRER, Vita di Ugo Foscolo [1842],
a c. di Carlo Mariani, Bergamo, Moretti e Vitali, 1995, p. 149).
3 Cfr. Studi su Ugo Foscolo, pp. 51-58. L’importanza particolare dell’Antigone per i
Sepolcri è sostenuta da NADIA EBANI, Postilla ai “Sepolcri”: «Ho desunto questo modo di poesia…», in “Filologia e critica”, V (1980), pp. 380-87.
4 CORBELLINI, p. 150.
5 Così la celebre chiusa di Hor. Carm. IV 9 (Vixere fortes ante Agamemnona / multi; sed
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al Corbellini rilevare «che il fervore dello studio pindarico occupa il Foscolo negli anni suoi più gloriosi e beati, tra il 1802 e il 1810: perciò difficilmente Pindaro è assente dai carmi di questo periodo»6. È impostazione, questa, da cui deriva una meritoria attenzione all’importanza del
lavoro sulla Chioma di Berenice (1803), in particolare al Discorso quarto. Un
cenno ai frammenti inseriti nel commento alla Chioma (quelli che Foscolo
volle presentare come «frammenti greci, ch’io credo d’un antico inno alle
Grazie»)7 consente quindi a Corbellini di passare alle Grazie, sùbito rimarcando che «della virtù delle Cariti è tutta pervasa la poesia di Pindaro». Per le Grazie lo studioso si rifà all’edizione apparsa nel 1890 per
cura di G. Chiarini a integrazione e correzione delle lemonnieriane Opere
edite e postume di Ugo Foscolo.8 L’Appendice di Chiarini alla vecchia edizione
Orlandini reca quei Frammenti abbozzati della ragione poetica, del sistema e
dell’architettura del Carme che Corbellini utilizza per la menzione che vi si
fa delle odi di Pindaro quali illustri esempi nelle letterature classiche, insieme agli inni omerici, a quelli di Callimaco e al carme LXIV di Catullo,
della natura composita propria delle Grazie:9 appunto «questa novità di
mescolare il didattico, l’epico e il lirico in un solo genere […] non è no-
omnes inlacrimabiles / urgentur ignotique longa / nocte, carent quia vate sacro), ode dove oltre
che a Simonide Alceo e Stesicoro esplicito è il richiamo a Pindaro (v. 6), e verso la quale
chiari sono i debiti del Foscolo (si veda l’attento e equilibrato commento di Franco Longoni in UGO FOSCOLO, Poesie e tragedie, pp. 399-400). I citati versi oraziani sono in parte
riportati da Foscolo in chiusura del Discorso secondo. Di Berenice, premesso alla Chioma.
6 CORBELLINI, p. 173.
7 Solo indiretto il richiamo di CORBELLINI, p. 154 («di queste [scil. Le Grazie], sin
dal 1803, in una nota alla Chioma di Berenice furono dati i primi frammenti»), forse anche in connessione allo scarso rilievo che a quei versi aveva riservato, pur pubblicandoli,
l’ultimo editore dell’incompiuto poema, il Chiarini (cfr. M. Scotti in U. FOSCOLO, Le
Grazie. Scelta dell’edizione critica con introduzione e commento a cura di Mario Scotti,
Firenze, Le Monnier, 1987, pp. 39-40). I quattro frammenti, di complessivi 67 versi,
sono tratti per i primi nove versi dalla nota al v. 57 della Coma (introdotti da Foscolo
rifacendosi a un immaginario originale greco: appunto «ne’ frammenti greci, ch’io credo
d’un antico inno alle Grazie») e per i successivi dalla Considerazione decimaseconda. Chiome
bionde.
8 Opere edite e postume di Ugo Foscolo. Vol. XII: Appendice a cura di Giuseppe Chiarini,
Firenze, Le Monnier, 1890 (cito da una ristampa 1940). È questa la seconda delle tre
edizioni delle Grazie curate dal Chiarini: le si veda descritte e discusse nell’Introduzione
in EN I, pp. 509 ss.
9 Giacché «il fondo del Carme delle Grazie è didattico, ma lo stile è fra l’epico ed
il lirico» (CHIARINI, Appendice, 309 = EN I, p. 958).
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vità, perché gl’inni attribuiti ad Omero, quei di Callimaco, le più lunghe
odi di Pindaro, che per esser narrative, sono le più belle, il poema di Catullo su le nozze di Teti e Peleo sono per l’appunto misture de’ tre generi».10 Seguendo da presso gli appunti foscoliani, Corbellini evidenzia
il variare di ambienti e di epoche nell’architettura del Carme, onde dopo
«il regno dei Lacedemoni quale era ai tempi di Leda e d’Elena, e le città
della Beozia e della Focide»
poi il lettore improvvisamente è trasportato a vagheggiare dal poggio
di Bellosguardo scene e fatti della vita moderna […] ma da Bellosguardo
il poeta passa agli Elisi e alla gloria degli eroi morti, e al campo dei Greci
sotto Ilio e […] alla strage che il verno e la fame e la guerra fecero di
tanta gioventù italiana di là dal Volga.11
E se, secondo le parole di Foscolo, «questo servirsi di materie che il
tempo e le circostanze hanno quasi immensamente disgiunte fra loro è un
privilegio della poesia e della musica»,12 Corbellini chiosa «tutto ciò è
pindarico», giacché di Pindaro è «la struttura del Carme nella sua compagine di elementi mitologici e storici e attuali».13 Osservazione che merita di essere rilevata in quanto rintraccia nelle Grazie una fondamentale
“pindaricità” tradizionalmente attribuita piuttosto ai Sepolcri sulla scorta
di ben noti cenni dello stesso Foscolo: per limitarsi a testi strettamente
connessi ai Sepolcri, è ovvio ricordare l’esplicito rimando alla particolare
liricità pindarica nella Lettera a Monsieur Guillon14, ma anche il celebre incipit («Ho desunto questo modo di poesia da’ Greci…») della premessa
alle Note,15 significativamente volta a chiarire e «le allusioni alle cose con-
10
In CHIARINI, Appendice, p. 309 s. = EN I, p. 959.
CORBELLINI, pp. 155-56 (sia parafrasando sia riprendendo alla lettera il testo in
CHIARINI, Appendice, p. 311).
12 In CHIARINI, Appendice, p. 312 = EN I, pp. 962-63.
13 Cfr. CORBELLINI, pp. 156-57.
14 «S’ella prende per elegia una poesia lirica, la colpa non è dell’autore: né Pindaro,
perché spesso pianga o sferzi, sarà men lirico» (Lettera a Monsieur Guill<on> per la sua
incompetenza a giudicare i poeti italiani in FOSCOLO, Poesie e tragedie, p. 41 n. B).
15 Per il riferimento a Pindaro delle parole di Foscolo chiare e definitive le osservazioni di VINCENZO DI BENEDETTO, Lo scrittoio di Ugo Foscolo, Torino, Einaudi, 1990, pp.
136-37; per Licofrone vd. VALERIA GIGANTE LANZARA in “Atene e Roma”, n.s. XLV
(2000), pp. 135-39.
11
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temporanee» e «le tradizioni antiche».16 Meno note ma non meno notevoli sono le menzioni di Pindaro nelle frammentarie «prose autoesegetiche» che, al pari di quanto accaduto con la Chioma di Berenice, avrebbero
dovuto accompagnare le Grazie.17 Il riferimento come modello delle Grazie a Pindaro, citato peraltro esplicitamente in apertura dell’inno terzo,18
è in quelle prose ancor più chiaro che nelle dichiarazioni foscoliane circa
i Sepolcri:
Lo stile dunque dell’autore delle Grazie è, com’egli accenna liricamente
nell’introduzione dell’inno terzo, un misto degl’inni sacri di cui l’antichità credeva maestro Anfione, delle odi di Pindaro, e della poesia latina, quale nella sua grazia nativa si trova spesso in Lucrezio e in Catullo.19
Va dunque riconosciuto a Corbellini di aver colto, in pagine dimenticate e di non agevole lettura, valore e centralità della presenza di Pindaro nella costruzione del Carme ad Antonio Canova. Più però conta osservare come lo studioso si sia basato, spesso implicitamente, sulle indicazioni dello stesso Foscolo a proposito di ragione poetica e architettura del
progettato poema. I richiami a Pindaro negli appunti foscoliani sulle Grazie20 sono determinati dalla riflessione sulla poesia lirica, in coerente sviluppo e approfondimento di temi e problemi che avevano sostanziato concezione dei Sepolcri e difesa della loro novità nelle polemiche seguite alla
16 «Ho desunto questo modo di poesia da’ Greci i quali dalle antiche tradizioni trae-
vano sentenze morali e politiche presentandole non al sillogismo de’ lettori, ma alla fantasia ed al cuore. Lasciando agl’intendenti di giudicare sulla ragione poetica e morale di
questo tentativo, scriverò le seguenti note onde rischiarare le allusioni alle cose contemporanee, ed indicare da quali fonti ho ricavato le tradizioni antiche» (In FOSCOLO,
Poesie e tragedie, p. 31).
17 Per il parallelo con il commento alla Chioma si vedano le osservazioni di MARIA
ANTONIETTA TERZOLI, Foscolo, Roma-Bari, Laterza, 2000, p. 124.
18 «Presente ecco il nitrito / De’ corsieri dircei; benché Ippocrene / Li dissetasse, e
li pascea dell’aure / Eolo, e prenunzia un’aquila volava / E de’ suoi freni li adornava il
Sole / Pur que’ vaganti Pindaro contenne / Presso il Cefiso, ed adorò le Grazie» (cito
dall’editio minor de Le Grazie a c. di M. Scotti, p. 97, di cui si vedano le annotazioni a p.
163; cfr. anche DI BENEDETTO, Lo scrittoio di Ugo Foscolo, p. 312).
19 In CHIARINI, Appendice, p. 310 = EN I, pp. 959-60.
20 Cfr. CHIARINI, Appendice, pp. 309; 310; 315 = EN I, pp. 959; 960; 970.
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pubblicazione del carme (1807). Sulla linea di uno dei passi più famosi
della risposta a Guillon,
Ella vede dalle mie note quanto ha sbagliato su’ passi da lei citati; molto
più dunque su la tessitura la quale dipende dalle transizioni. E le transizioni sono ardue sempre a chi scrive, e sovente a chi legge; specialmente in una poesia lirica, e d’un autore che, non so se per virtù o per
vizio, transvolat in medio posita, ed afferrando le idee cardinali, lascia a’
lettori la compiacenza e la noia di desumere le intermedie21
e in particolare di quanto detto sùbito dopo circa la indispensabile «disparità di colorito nel poema»,22 possono porsi le attente riflessioni intorno all’accordo di varietà e armonia nell’ordito delle Grazie. Proprio in
quanto, lucrezianamente, «la poesia congiunge l’origine del mondo al suo
stato presente ed al nuovo caos della sua distruzione», essa «deve farti passare dal noto, che mostra evidentissimamente, all’ignoto a cui tende facendolo sospettare».23 La ricerca di armonia e coesione delle parti, «obbligo […] il più necessario insieme e il più malagevole», va perciò pensata per così dire “dialetticamente”, in continua relazione con spinte opposte, egualmente necessarie all’economia del dettato poetico:
Senza disunione di parti, non hai armonia, né chiaroscuro; senza unione,
l’armonia riesce confusa; il primo difetto genera noja; l’altro confonde
il lettore. Quindi la rarità della vera poesia lirica che è il sommo dell’arte.
Se l’Autore abbia prudentemente dissotterrati tanti e sì diversi frammenti antichi, se li abbia architettati in armonia co’ moderni, altri può
giudicarlo…24
Al pari della Lettera a Monsieur Guillon anche qui, e con più incisiva
efficacia, espressione della «vera poesia lirica» risultano sia l’ardua tecnica delle transizioni, da cui dipendono armonia e chiaroscuro, sia la capacità di accostare «il mirabile antico necessario alla poesia» e la «verità
21
Lettera a Monsieur Guill<on> in FOSCOLO, Poesie e tragedie, p. 46.
«Né ella dannerebbe la disparità di colorito nel poema, s’ella potesse discernere
le mezze tinte che guidano riposatamente da un principio affettuoso ad una fine veemente» (ibid.).
23 In CHIARINI, Appendice, pp. 312-13 = EN I, p. 963.
24 In CHIARINI, Appendice, p. 313 = EN I, p. 964.
22
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delle cose contemporanee che si dipingono».25 Il genere della poesia lirica per il Foscolo dei Sepolcri e della polemica con l’abate Guillon «significava in primo luogo Pindaro»,26 e continuò a significarlo. A mezza
strada tra la composizione dei Sepolcri e il periodo in cui maggiormente
ebbe a concentrarsi il lavoro intorno alle Grazie, il fatale anno compreso
tra il gennaio/febbraio 1814 e la scelta dell’esilio alla fine del marzo 1815,27
Foscolo «schiccherò» per i milanesi “Annali di scienze, lettere ed arti” del
maggio 1811 l’articolo Della poesia lirica dove sin dall’apertura l’enfasi
cade sulla dimensione costitutivamente mitica e “eulogetica” del genere
lirico:
… la poesia lirica canta con entusiasmo le lodi de’ numi e degli eroi. La religione ed i fasti delle nazioni furono i primi ad ottenere per mezzo della
poesia lirica monumenti perpetui della letteratura…
nella cornice di consolidate memorie vichiane e ossianiche:
Finché gli uomini non avevano se non il canto, tutta la loro storia e le
loro leggi religiose e politiche doveano necessariamente trovarsi nella
tradizione delle loro canzoni. Questa opinione è avvalorata da’ libri de’
profeti ebrei e dalle storie de’ druidi e de’ bardi.28
Esaltando la poesia lirica anteriore al suo «degenerare» in Orazio e
nella tradizione oraziana29 Foscolo evoca la «inarrivabile sublimità di Pindaro»30: che questo non sia da considerarsi (solo) generico riecheggiamento del monito di Orazio sull’inimitabilità del poeta tebano (Pindarum quisquis studet aemulari…) lo indica il procedere dell’articolo, volto a
distinguere la lirica dall’elegia essenzialmente in nome dello spessore civile e di pensiero che la connota, così che «a ben considerare le poesie del
25
In CHIARINI, Appendice, p. 314 = EN I, p. 965.
DI BENEDETTO, Lo scrittoio di Ugo Foscolo, p. 221.
27 Cfr. LONGONI in Poesie e tragedie, p. 576.
28 Della poesia lirica, in EN VII, pp. 325-26.
29 Come esempio del fatto che «la poesia lirica, anzi che sgorgare con impeto
dall’animo de’ poeti, venne faticosamente finta con un entusiasmo compassato e fittizio» è citato esplicitamente operosa parvus / carmina fingo di Hor. Carm. IV 2, 31-32,
dall’ode costruita sulla recusatio dell’imitazione pindarica.
30 Cfr. CORBELLINI, p. 149; DI BENEDETTO, Lo scrittoio di Ugo Foscolo, p. 306.
26
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Petrarca, le canzoni veramente liriche sono quelle ov’ei tratta delle cose politiche
d’Italia, e le poche ove idoleggia le idee sublimi della filosofia d’amore»,
mentre «primo» a trarre «la poesia lirica a’ suoi principj» è detto il Chiabrera.31 Proprio perché «poema architettato per così dire e di frammenti
dissotterrati nell’antichità, e di materiali che abbiamo giornalmente presenti agli occhi»32 ad una tale ispirazione lirica latamente “pindarica” si
rifanno le Grazie in rapporto a quel significato politico e civile del carme
evidenziato dalla critica più recente.33 Non senza fondamento si potrebbe
anzi vedere nel così atteggiato “pindarismo” foscoliano il segno della fondamentale continuità dai Sepolcri alle Grazie, in nome di un esigente, e
infine sfibrante, ideale di poesia intesa come sintesi di passato presente e
futuro:
Ed è privilegio della sola Poesia di unire il principio al termine de’ secoli, il passato, il presente e il futuro, il reale, l’ideale e il sublime in una
sola armonia; di temperare la distanza degli oggetti, de’ tempi, e delle
idee in un solo tenore che faccia nascere l’armonia dalla varietà, e che
riunisca la varietà per mezzo dell’armonia.34
Come per reazione a Corbellini e ai molti confronti da lui tentati tra
versi pindarici e passi dei Sepolcri, nella breve ma attenta rassegna di storia della fortuna di Pindaro tracciata anni dopo da Gennaro Perrotta lapidariamente si afferma «nessun passo dei Sepolcri deriva da Pindaro», pur
risultando essi nell’ispirazione ben più «intimamente, profondamente
pindarici» delle Grazie, dove invece lo studioso rinviene «frequenti i ricordi pindarici».35 Alla ricerca di puntuali indizi della presenza pindarica nei Sepolcri tornerà, negli anni ‘60, G. Fischetti, intitolando a Foscolo
e Pindaro un’appendice del suo importante articolo sulle fonti dell’episodio di Elettra36. Merito dell’intervento del Fischetti è aver osservato l’ascen-
31
Della poesia lirica, in EN VII, p. 327 (corsivo mio).
32 EN I, pp. 973-74 (Del «Disegno»: nuove osservazioni destinate alla prima nota dell’Inno
Secondo).
33 Si veda TERZOLI, Foscolo, pp. 117 ss.
34 EN I, p. 974. Su Pindaro e le Grazie DI BENEDETTO, Lo scrittoio di Ugo Foscolo,
spec. pp. 307 ss. e 327-28.
35 GENNARO PERROTTA, Saffo e Pindaro. Due saggi critici, Messina-Firenze, D’Anna,
1967 (I ed. Bari, Laterza, 1935), pp. 105-06.
36 L’episodio di Elettra nei “Sepolcri” del Foscolo, in GSLI, CXLIII (1966), pp. 322-77,
I Sepolcri nella storia della fortuna di Pindaro
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denza pindarica della tecnica, frequente nei Sepolcri, «di ampliare e introdurre nuovi argomenti» con l’uso della congiunzione e, ma anche del
pronome che in alternanza con la congiunzione causale ché. Benché Fischetti esplicitamente non lo noti, si tratta di osservazione preziosa non
solo a livello stilistico, ma dalla portata più ampia, tale da individuare
come “pindarico” uno strumento espressivo utilizzato da Foscolo proprio
per rendere possibili quelle ardue transizioni in cui tradizionalmente si riconosce la più rilevante traccia strutturale della “pindaricità” dei Sepolcri.
Già si è ricordato che nella sua indagine sulla presenza di Pindaro nelle
opere foscoliane Corbellini non manca di menzionare il commento alla
Chioma di Berenice.37 Nell’ultimo trentennio la critica è venuta sempre più
riconoscendo nel lavoro dedicato alla Chioma «uno dei nodi genetici»38
del processo che condusse ai Sepolcri. Spiccano in particolare le impegnate
riflessioni intorno alla “poeticità” dell’antica religione greca cui Foscolo
in gran parte riserva il Discorso quarto. Della ragione poetica di Callimaco:
volto lo sguardo all’auspicato recupero, nella situazione storica dell’Italia
napoleonica, di «quel mirabile richiesto alla poesia» che «non è, come
gl’incantamenti de’ romanzieri, voto di effetto, ma fa più salde le fondamenta dello stato»,39 al pari appunto del regale catasterismo cantato da
Callimaco in onore di Berenice. Aperto da un richiamo alla lirica in quanto
espressione «del mirabile e del passionato» fondato sulla religione degli
antichi,40 con perfetta composizione ad anello il Discorso quarto si chiude
poi in GIUSEPPE FISCHETTI, Filologia e presenza dell’antico, Roma, «L’Erma» di Bretschneider, 1986, pp. 161-217 (alle pp. 355-63 = 195-203 la Postilla I. – Foscolo e Pindaro).
37 Cfr. CORBELLINI, pp. 152-53.
38 GIORGIO PETROCCHI, Dalla «Chioma di Berenice» ai «Sepolcri», in ID., L’ultima
Dea, Roma, Bonacci, 1977, pp. 271-82 (a p. 272).
39 La Chioma di Berenice poema di Callimaco tradotto da Valerio Catullo volgarizzato ed
illustrato da Ugo Foscolo, Milano, dal Genio Tipografico, 1803 in EN VI, p. 310. La
«formidabile riflessione “politica” intorno al “sacro”» sviluppata da Foscolo nel commento alla Chioma è in particolare oggetto del saggio di ROBERTO CARDINI, A proposito
del commento alla «Chioma di Berenice», in AA.VV., Atti dei Convegni foscoliani (Firenze,
aprile 1979), vol. III, Roma, Libreria dello Stato, 1988, pp. 187-208 (con il titolo A proposito del commento foscoliano alla «Chioma di Berenice», già in “Lettere italiane”, XXXIII,
1981, pp. 329-49).
40 «Esporrò l’economia di questo componimento risalendo alla natura della poesia,
e specialmente della lirica. Questo poema che per lo suo metro corre sotto il nome di
elegia, racchiude quasi tutti i fonti del mirabile e del passionato» (EN VI, p. 301).
290
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in lode di Pindaro, la cui grandezza i moderni non sanno comprendere
perché sostanziata di passione storica e civile:
Ma queste generose passioni sono in tutti i tempi sentite da pochi, e
meno ove non si tratti di popoli liberi, e di storie patrie e vicine a noi.
Da questo principio emerge la ragione per cui non comprendiamo la
grandezza di Pindaro che cantava in encomio de’ particolari cittadini i
fasti d’intere tribù e di paesi. Quegli antichi per lodare i privati encomiavano le patrie; noi abbiamo necessità di disseppellire le virtù di qualche privato per potere onorare di alcun giusto elogio le nostre città.41
Lasciando da parte l’eventuale riecheggiamento di singoli passi pindarici nei Sepolcri, per cui sarebbe in primo luogo necessario un sistematico riesame delle proposte sin qui avanzate (soprattutto da Corbellini),
mi soffermerò su un aspetto sinora trascurato. Riandando infatti alla storia dell’interpretazione e della fortuna di Pindaro nella cultura europea
tra XVI e XVIII sec. si dà occasione di meglio intendere taluni caratteri
generali e “fondanti” della presenza di Pindaro in Foscolo e negli stessi
Sepolcri. Toccherò in particolare della valutazione di “trapassi” e “voli”
nella struttura dell’ode pindarica; di Pindaro come “genio” e di Pindaro
in rapporto allo sviluppo dell’ode “filosofica” nella letteratura del XVIII
secolo.
2. Nel Piano di studj, degli ultimi mesi del 1796, Pindaro apre l’elenco
dei poeti lirici; precede Orazio, il pindareggiante Alessandro Guidi e Thomas Gray. Al catalogo di autori in versi e in prosa, «letti o da leggere»,42
e a un accenno sullo studio della scultura e sulla necessaria «cognizione
della Storia del Winchelman, de’ Poeti Greci»,43 fanno séguito righe esal-
41 EN VI, p. 311. Sull’importanza del passo nello svolgimento della poesia foscoliana cfr. FRANCO GAVAZZENI, Appunti sulla preistoria e sulla storia dei “Sepolcri”, in “Filologia e critica”, XII (1987), pp. 341-42 e ora CHRISTIAN DEL VENTO, Riflessioni e proposte per una nuova eloquenza popolare: il commento alla «Chioma di Berenice», in ID., Un allievo della rivoluzione. Ugo Foscolo dal «noviziato letterario» al «nuovo classicismo» (17951806), Bologna, CLUEB, 2003, pp. 224-25.
42 TERZOLI, Foscolo, p. 4.
43 In EN VI, p. 6, col. I: ma sulla discutibile disposizione tipografica dell’edizione
Gambarin, donde ad esempio l’indubbia difficoltà per ogni lettore «a capire che da “sui
I Sepolcri nella storia della fortuna di Pindaro
291
tanti il concetto di genio, «quel Genio divino che costituisce la miglior
parte dell’uomo, che innoltra la ragione alla cognizion delle cause, che innalza al sublime, che lumeggi gli aspetti della Natura e del Bello – il Genio in somma»,44 secondo una sensibilità che svela l’attenzione del giovane Foscolo verso uno dei motivi cardine nel rinnovamento di ascendenza
nordeuropea dell’estetica settecentesca. La parte più ampia del foscoliano
Piano di studj comprende un prospetto dei lavori realizzati, in corso d’opera
o solo divisati, tra i quali Il Genio, «Poema in tre canti sciolti incominciato ma da compirsi dopo dieci anni»,45 ispirato al poema The Pleasures
of Imagination dell’inglese Mark Akenside, pubblicato nel 1744 e tradotto
in italiano vent’anni dopo dal grecista (e pindarista) parmense Angelo
Mazza in tre canti in endecasillabi sciolti.46 Quanto ai modelli del diciottenne Foscolo, è certo inevitabile che «in questa ricognizione per ge-
capi d’opera” di EN VI 6, I col. si deve passare a “Di altri studj” di EN VI 4, II col.»,
si veda l’Appendice II. Note al «Piano di Studj» del 1796 in U. FOSCOLO, Il Sesto tomo dell’Io.
Edizione critica e commento a c. di Vincenzo Di Benedetto, Torino, Einaudi, 1991, pp.
253 ss., dove anche vengono corrette molte lezioni adottate da Gambarin, a cominciare
dal titolo Piano di studi in luogo di Piano di Studj del Foscolo.
44 EN VI, p. 4, col. II. Sulla base di una nuova collazione della riproduzione fotografica dell’autografo così legge Di Benedetto parte del passo: «Genio divino che costituisce la miglior parte dell’uomo, che innoltra la [cogni] ragione alla cognizion delle
cause, che innalza al sublime, che [illum] lumeggi gli aspetti della Natura, e del Bello»
(in FOSCOLO, Il Sesto tomo dell’Io, p. 230, cfr. anche p. 254). Per uno sguardo d’assieme
riporto tutto il brano dall’edizione del Piano di studi [1796] del Cian, dove non si ha divisione in colonne: «Scoltura. – Cognizioni della Storia del Winckelmann, de’ poeti greci,
e meditazione sui capi d’opera. Di altri studi non ho cognizione di sorte. In questi pure
ci vuole quel genio divino, che costituisce la miglior parte dell’uomo, che innoltra la ragione alla cognizione delle cause, che innalza al sublime, che lumeggia gli aspetti della
natura e del bello. Il genio, insomma» (U. FOSCOLO, Prose, a c. di Vittorio Cian, Bari,
Laterza, 1912, I, p. 4).
45 EN VI, p. 8, col. I (= FOSCOLO, Prose, a c. di V. Cian, I, p. 6). Caratteristica del
Piano di Studj è appunto riflettere «la varietà, e anche la disorganicità, di una formazione disposta a mescolare e confondere il vecchio con il nuovo, le letture con i progetti
creativi», come nota C. Mariani nella recente riedizione della Vita originariamente annessa dal Carrer alle Prose e poesie edite ed inedite di Ugo Foscolo ordinate da L. Carrer (Venezia, co’ tipi del Gondoliere, 1842), e dove per la prima volta si dava notizia del Piano:
LUIGI CARRER, Vita di Ugo Foscolo, p. 296 n. 44.
46 Cfr. DI BENEDETTO, Appendice I. Foscolo a Venezia, in FOSCOLO, Il Sesto tomo dell’Io,
pp. 229 ss.
292
Giovanni Benedetto
neri i paradigmi coincidano con quelli posti sugli altari dal gusto del
tempo, e pertanto si veda convivere Pindaro accanto al Gray»,47 come parimenti è facile ritenere che la curiosità di Foscolo verso le letterature straniere, e in particolare il mondo inglese (da Ossian a Young attraverso Gray,
Thomson, Pope ecc.), rispecchi effetti e suggestioni del magistero cesarottiano. All’àmbito degli intimi di Cesarotti apparteneva l’abate Giuseppe Greatti (1758-1812). Una sua lettera delle prime settimane di quello
stesso, fatale 1796, in risposta ad altra del Foscolo non giuntaci, è importante testimonianza dell’aprirsi di Niccolò Ugo a stimoli e inquietudini delle culture d’Oltralpe. Proprio alla vigilia della campagna d’Italia
del Bonaparte, dalla lettera di Greatti indirettamente traspaiono gli ardori del Foscolo verso i temi della sensibilità e del Genio,48 le sue insofferenze e ingenuità filtranti attraverso le parole del dotto abate, egli stesso
destinato a essere di lì a poco investito dalle passioni e dagli intrighi del
triennio giacobino:49
L’eccezione a questa regola non verrebbe a farsi che da un Genio che si
sbraccia dai legami del suo secolo. I Cinquecentisti, di cui voi parlate
con una franchezza giudiziosa, ne sono un esempio. Son essi tutti ammanierati e freddi: volendo avere lo spirito altrui hanno perduto il proprio. Tutta la loro gloria consiste nel girar attorno al pensiero di alcuno
da essi chiamato classico, senza toccarlo mai: questa spezie di Olimpiade
poetica fu il gioco dei Cinquecentisti, e non si vede in essi che la pigrizia dell’arte fare gli sforzi più miserabili per contraffare i voli, gli slanci,
le sorprese del Genio: si studiano i grandi autori, e non si imita che la
natura.50
47 RODOLFO MACCHIONI JODI, Itinerario della lirica foscoliana, Roma, Bulzoni, 1983,
p. 56.
48
«Parliamo dell’argomento della vostra lettera. Avete ragione di misurare il merito di un’opera di spirito dal grado di sensibilità che mette in azione negli animi di coloro che la leggono o l’ascoltano: è verissimo che le regole sono le pastoie del Genio, che
i precetti medesimi lo arrestano spesso, e che l’imitazione, presa come suol farsi comunemente, lo spegne, sto per dire, affatto» (Giuseppe Greatti a Niccolò Ugo Foscolo, da
Padova 13 febbraio 1796, in EN XIV = Ep. I, p. 22).
49 Sulle traversie del Greatti cfr. CARLA GIUNCHEDI BORGHESE, Documenti milanesi
inediti per una bio-ergografia di Giuseppe Greatti veneto, in “Quaderni per la storia dell’Università di Padova”, XXV (1992), pp. 475-83 e ora la voce a lui dedicata da G.P. MANTOVANI in DBI, LIX (2002), pp. 50-53.
50 Greatti a Foscolo, 13.2.1796, in EN XIV, Ep. I, p. 22.
I Sepolcri nella storia della fortuna di Pindaro
293
Appunto al Genio è dedicata in gran parte la lettera, con una menzione di Pindaro (di cui suona preannuncio l’immagine dell’«Olimpiade
poetica» applicata alle pratiche imitative dei poeti del Cinquecento):
I Poeti primitivi, Omero, Pindaro, Ossian non sono debitori che al
loro genio delle loro produzioni, e a qualche favorevole circostanza,
che ve lo destò. Essi dipingevano ciò che vedevano e ciò che sentivano
senza altra misura che quella del grado di sentimento da cui erano vivamente colpiti. Per conseguenza il carattere della loro poesia doveva
esser marcato da bellezze sublimi, qualche volta gigantesche, sempre
passionate, e non rade volte frammiste a dei difetti, che vi rimbalzano sopra dei tratti divini che vi sorprendono. Senza l’abitudine di
osservare, di distinguere, di confrontare e di scegliere, essi prendevano per bello ciò che metteva in una grata e veemente agitazione il
loro animo…51
Se a proposito del «genio» e dei «poeti primitivi» certo non stupiscono i rimandi del cesarottiano Greatti a Omero e a Ossian, merita attenzione in tale contesto la comparsa di Pindaro. Sullo “Spectator”, il foglio di Addison che vantava «to have brought Philosophy out of Closets
and Libraries, Schools and Colleges, to dwell in Clubs and Assemblies,
at Tea-Tables, and in Coffee-Houses»,52 in connessione con il concetto
di Genio il poeta tebano compariva in un noto saggio del settembre 1711:
«Pindar was a great Genius of the first Class, who was hurried on by a
natural Fire and Impetuosity to vast Conceptions of things, and noble
Sallies of imagination».53 In buoni rapporti con Addison e collaboratore
dello “Spectator” fu il giovane Pope, autore nello stesso 1711 del poemetto didattico e satirico di teoria letteraria Essay on Criticism. Alle vuote
prescrizioni di pseudocritici e scribblers vi si contrappone «la genialità
del vero critico e del vero artista, un dono quasi divino che trascende
51
Ibid.
Cito da ANDREW SANDERS, The Short Oxford History of English Literature. Second
Edition, Oxford, University Press, 2000, p. 297.
53 Il passo è ricordato nell’assai utile e poco noto lavoro di SIGMUND L
⁄ EMPICKI, Pindar im literarischen Urteil des XVII und XVIII Jahrunderts, in “Eos. Commentarii Societatis Philologae Polonorum”, XXXIII (1930-1931), pp. 419-74 (a p. 431). Con riferimento alla cultura tedesca JOCHEN SCHMIDT, Pindar als Genie-Paradigma im 18. Jahrhundert, in “Goethe Jahrbuch”, C (1984), pp. 63-73.
52
294
Giovanni Benedetto
ogni sforzo costruttivo»54 e soprattutto è indicato in Omero l’original genius per eccellenza, sì da definire «l’equivalenza fra Omero (ovvero l’antico) e la natura»,55 tematica poi ampiamente trattata nel Preface al I volume (1715) della traduzione dell’Iliade, dove l’invention omerica risulta
caratteristica fondamentale del ‘genio’ del poeta nonché «the very Foundation of Poetry». Pindaro quale espressione del ‘genio’ degli antichi era
accomunato a Omero nel citato articolo addisoniano sullo “Spectator”,56
come poi appunto nella lettera di Greatti a Foscolo. Molti e significativi
furono i legami con l’Italia e la cultura italiana del Settecento di Joseph
Addison (1672-1719), a partire dai fortunati Remarks on Several Parts of
Italy (1705)57 e soprattutto tramite l’influsso esercitato dallo “Spectator” sulle origini del “giornalismo” letterario e di costume italiano: diffuso a Venezia in traduzione francese, modello dell’“Osservatore Veneto”
(1761-1762) del Gozzi e tale riconosciuto da Baretti/Aristarco Scannabue in una pagina della “Frusta letteraria”58 di quegli stessi anni Ses-
54 FLAVIO GREGORI, Rettorica dell’epica. La dissoluzione dell’epica neoclassica e le traduzioni omeriche di Alexander Pope, Bologna, Cisalpino, 1998, p. 186 (sul tema sono da vedere in generale i capitoli 2 e 3 del volume: Le regole, il ‘genio’ e le ambivalenze critiche del
Neoclassicismo e Alexander Pope e l’epos omerico).
55 GREGORI, Rettorica dell’epica, p. 188. Si vedano i vv. 124-35, con la definizione
di Omero come modello assoluto e con il richiamo a Virgilio, che volgendosi al poema
epico rinvenne in Omero l’identità con la Natura: «Be Homer’s works your study, and
delight, / Read them by day, and meditate by night; / Thence form your judgment,
thence your maxims bring, / And trace the Muses upward to their spring. / Still with
itself compar’d, his text peruse; / And let your comment be the Mantuan Muse. / When
first young Maro in his boundless mind / A work t’outlast immortal Rome design’d,/
[…] Nature and Homer were, he found, the same» (An Essay on Criticism, in Pope. Poetical
Works. Edited by Herbert Davis. With an Introduction by Pat Rogers, Oxford-New
York, Oxford University Press, 1983, pp. 67-68; corsivo mio).
56 Nr. 160, del 3 settembre 1711.
57 Opera «destinata a influenzare […] anche ben oltre il XVIII secolo, e si vorrebbe
dire quasi fino ai nostri giorni, l’idea che gli europei avevano dell’Italia», con il contrasto tra l’ormai silente Italia “ideale” degli antichi, e in parte del Rinascimento, e l’Italia “reale” del presente, sede dell’Anticristo e di ogni nequizia: si vedano le indicazioni
di SAVERIO RICCI, Vita e cultura in Italia nell’età dell’Illuminismo, in Storia della letteratura
italiana. Diretta da Enrico Malato, VI. Il Settecento, Roma, Salerno, 1998, p. 120.
58 «Il libro dello Spettatore ha migliorato l’universal costume degli abitatori di quella
bella isola, sì maschi che femmine, sì giovani che vecchi, sì nobili che secolari […] E
questo libro dell’Osservatore, scritto appunto a imitazione di quello Spettatore, potrebbe
parimente migliorar di molto l’universale della nostra Italia, se questo universale vo-
I Sepolcri nella storia della fortuna di Pindaro
295
santa del secolo allorché il giovane Beccaria concludeva la collaborazione
al “Caffè” con un articolo dedicato a I piaceri dell’immaginazione, prima
che del poema di Akenside titolo di una serie di saggi di Addison sullo
“Spectator”.59
Il 1711 fu l’anno della Iliade d’Homère traduite en français di Madame
Dacier, nella quale si suole ravvisare l’inizio della seconda fase della Querelle des anciens et des modernes in Francia, donde l’immediato passaggio in
Inghilterra della rinnovata controversia,60 poi contemporeaneamente alimentata sulle due sponde del Canale, nel 1715, dalle postume e “paradossali” Conjectures académiques dell’abate d’Aubignac e dal primo volume
della Iliad di Pope.61 Aperta nel 1690 dallo Essay upon Ancient and Modern Learning di Sir William Temple, la prima ricezione inglese della Querelle proseguì con la replica di W. Wotton precipitando infine nella violenta polemica del 1697-1699 intorno alle Epistole di Falaride. Jonathan
Swift con The Battle of the Books, pubblicato nel 1704 ma dall’autore attribuito al 1697 («when the famous Dispute was on Foot, about Ancient
and Modern Learning»),62 offre la più nota e felice rielaborazione letteraria dei furibondi scontri personali e intellettuali di quegli anni, complicati ed esacerbati dalle conseguenze della Glorious Revolution del 1688-
lesse assomigliarsi all’universale degl’Inglesi, e leggere e rileggere l’Osservatore, come
quella oltramarina gente legge e rilegge lo Spettatore. Non è però ch’io mi lusinghi di
veder mai i miei cari compatrioti a fare una così buona cosa, perché i miei cari compatrioti non sono universalmente amanti di leggere un libro buono ed atto a migliorarli.
Leggeranno bene le commedie del Goldoni, e i romanzi del Chiari, che lasciano le persone ignoranti come le trovano, ed anche non poco peggiorate nel giudizio e nel costume, se occorre…» (L’Osservatore Veneto tomi sei del conte Gasparo Gozzi, in La Frusta
Letteraria di Aristarco Scannabue n. XX, 15 luglio 1764 = Giornalismo letterario del Settecento, a c. di Luigi Piccioni, Torino, Utet, 1949, p. 352).
59 Rimando al panorama recentemente tracciato da AUGUSTA BRETTONI, La critica
illuministica e il dibattito sulle riviste, in Storia della letteratura italiana. Diretta da Enrico
Malato, XI. La critica letteraria dal Due al Novecento. Coordinato da Paolo Orvieto, Roma,
Salerno, 2003, in part. pp. 541 e 570.
60 Si veda la bella e vivace ricostruzione di JOSEPH M. LEVINE, The Battle of the Books.
History and Literature in the Augustan Age, Ithaca and London, Cornell University Press,
1991, pp. 135 ss.
61 Su Pope and the Quarrel between the Ancients and the Moderns l’ampia trattazione di
LEVINE, The Battle of the Books, pp. 218-44.
62 In JONATHAN SWIFT, La battaglia dei libri. Introduzione di George Steiner; traduzione e note di Luciana Pirè, Napoli, Liguori, 2002, p. 14 (The Bookseller to the Reader). Si ricordi che protettore e mecenate di Swift era Sir William Temple.
296
Giovanni Benedetto
1690.63 Nella fantastica battaglia Between the Ancient and the Modern Books
ambientata da Swift nella Biblioteca reale di St. James’s Palace a Londra
non manca la partecipazione di Pindaro, presentato mentre uccide con un
implacabile fendente Abraham Cowley,64 l’autore di quelle Pindarique
Odes (1656) prototipo del pindarismo inglese secondo una visione dell’antico poeta connotata dal culto della varietà strutturale, dall’arditezza nelle
connessioni e dall’inafferrabilità dei “voli” come veicolo di altezza espressiva. Contribuirà fortemente a diffondere la nozione del legame tra poesia pindarica e concetto di Genius un più giovane contemporaneo e amico
di Addison, Edward Young (1683-1765), dalla grande fortuna europea
con i suoi Night Thoughts (1742-1745), «veri e propri sermoni che si stendono per diecimila versi»65 presto e più volte tradotti in italiano, esplicitamente evocati nella polemica con Monsieur Guillon.66 Nel suo Essay
63
Esemplari a questo proposito le vicende oggetto dello studio di LUIGI LEHNUS,
Callimaco redivivo tra Th. Stanley e R. Bentley, in “Eikasmós”, II (1991), pp. 285-309.
64 «With that, he [scil. Pindarus] raised his Sword, and with a mighty Stroak, cleft
the wretched Modern in twain» («ciò detto, sollevò la spada e con un micidiale fendente
spaccò in due il disgraziato Moderno» in SWIFT, La battaglia dei libri, pp. 68-69). Su
Pindaro tra gli Haupthelden della Querelle cfr. L⁄ EMPICKI, Pindar im literarischen Urteil,
pp. 423-29; PERROTTA, Saffo e Pindaro, pp. 95-96; MALCOLM HEATH, The Origins of
Modern Pindaric Criticism, in “Journal of Hellenic Studies”, CVI (1986), pp. 85-98 (pp.
91-92).
65 Così MARIO PRAZ, La letteratura inglese dal Medioevo all’Illuminismo, Milano, Edizioni Accademia, 1990 (I ed. 1967), p. 350; il titolo completo dell’amplissima opera in
versi sciolti di Young è The Complaint: or, Night Thoughts on Life, Death and Immortality,
diffusa in Italia come Le Notti (sulle varie traduzioni italiane in prosa e in versi a partire
dal 1770 cfr. Storia della letteratura italiana. Diretta da Enrico Malato, VI. Il Settecento,
Roma, Salerno, 1998, p. 682 n. 84 e VII. Il primo Ottocento, Roma, Salerno, 1998, pp.
494-95).
66 I confronti avanzati da Guillon con la poesia sepolcrale inglese a tutto detrimento
dei Sepolcri («Egli è alla tomba d’Achille e di Patroclo; quindi passa a quella d’Ajace al
promontorio Retèo, poi nella Troade al sepolcro d’Ilo, antico Dardanide. Young, Hervey, Gray non fecer tanti viaggi; essi si contentarono di meditar sui sepolcri, che essi
medesimi ed i loro compatriotti avean sotto gli occhi; e disser cose più commoventi, e
molto più consolanti, perocché tutti i loro canti sono allegrati dalla speranza della futura risurrezione, della quale il signor F. non dice cosa alcuna») sono da Foscolo rintuzzati con la famosa rivendicazione della propria irriducibilità a quella tradizione: «Per
censurare i mezzi d’un libro bisogna saperne lo scopo. Young ed Hervey meditarono sui
sepolcri da cristiani: i loro libri hanno per iscopo la rassegnazione alla morte e il conforto
d’un’altra vita; ed a’ predicatori protestanti bastavano le tombe de’ protestanti. […]
I Sepolcri nella storia della fortuna di Pindaro
297
on lyric poetry e poi soprattutto nelle importanti Conjectures on original composition, del 1759, Young accosta Pindaro a Shakespeare in quanto entrambi genialmente capaci di librarsi oltre le strettoie di regole e norme.67
Peraltro già nella Francia della metà del XVI secolo, in uno dei momenti
decisivi della storia del pindarismo europeo, furor poetico e lirismo pindarico venivano esplicitamente associati da Jean Dorat,68 in una delle infinite riprese dei due testi fondanti l’identità pindarica dall’Umanesimo
in poi: l’ode IV 2 di Orazio (Pindarum quisquis studet aemulari) e il giudizio di Quintiliano, che a Orazio si rifà.69
Dai precorrimenti di Alamanni e Lampridio alla stagione di Ronsard
al primo volume delle Canzoni del Chiabrera (1586) già nelle letterature
del XVI secolo la storia della fortuna e della ricezione di Pindaro segue
un percorso complesso e tortuoso, tra «labirintici intrichi di reciproci rispecchiamenti, di dotti e di poeti».70 Nella breve e interessante Vita in
terza persona, scritta in vecchiaia, Chiabrera riserva un attento cenno alla
«famigliarità» avuta in Roma, giovinetto, con Marc-Antoine Muret, udito
come docente «nello studio pubblico»71, e fonte, con Paolo Manuzio e
L’autore considera i sepolcri politicamente; ed ha per iscopo di animare l’emulazione politica degli italiani con gli esempi delle nazioni che onorano la memoria e i sepolcri degli uomini grandi: però dovea viaggiare più di Young, d’Hervey e di Gray, e predicare non
la resurrezione de’ corpi, ma delle virtù» (in FOSCOLO, Poesie e tragedie, p. 44).
67 Cfr. L
⁄ EMPICKI, Pindar im literarischen Urteil, pp. 435-37; PASCALE HUMMEL, Pindarica Academica: les traductions de l’abbé Massieu et de L.-F. de Sozzi comme jalons dans la
reconquête de Pindare au XVIIIe siècle, in “International Journal of the Classical Tradition”,
I/4 (1995), p. 70 n. 35.
68 Cfr. JEAN-EUDES GIROT, Pindare avant Ronsard. De l’émergence du grec à la publication des Quatre Premiers livres des Odes de Ronsard, Genève, Droz, 2002, pp. 389-90.
69 Inst. or. X 1,61: Novem vero lyricorum longe Pindarus princeps spiritu, magnificentia,
sententiis, figuris, beatissima rerum verborumque copia et velut quodam eloquentiae flumine: propter quae Horatius eum merito nemini credit imitabilem.
70 LUIGI CASTAGNA, Pindaro, le origini del pindarismo e Gabriello Chiabrera, in “Aevum”, LXV (1991), pp. 523-42 (a p. 540).
71 «Gabriello […] crescendo, e trattando nello studio pubblico, udiva leggere
Marc’Antonio Mureto, ed hebbe seco famigliarità»: Vita di Gabriello Chiabrera da lui
stesso descritta, in GABRIELLO CHIABRERA, Lettere (1585-1638), a c. di Simona Morando,
Firenze, Olschki, 2003, p. LV. Recentissima è una nuova edizione dell’autobiografia a
séguito del ritrovamento dell’autografo tra i manoscritti barberiniani della Biblioteca
Apostolica Vaticana: CLIZIA CARMINATI, L’autobiografia di Chiabrera secondo l’autografo,
in “Studi secenteschi”, XLVI (2005), pp. 5-43.
298
Giovanni Benedetto
Sperone Speroni, di «ammaestramenti» che agiranno in profondità
nell’animo del giovane Gabriello:
Partito poi di Roma, e dimorando nell’ozio della patria, diedesi a leggere libri di poesia per solazzo, e passo passo si condusse a volere intendere ciò ch’ella si fosse, e studiarvi attorno con attenzione. Parve a lui
di comprendere, che gli scrittori greci meglio l’havessero trattata, e di
più s’abbandonò tutto su loro; e di Pindaro si maravigliò, e prese ardimento di comporre alcuna cosa a sua somiglianza, e que’ componimenti
mandò a Firenze ad amico. Di colà fugli scritto, che alcuni lodavano fortemente quelle scritture; egli ne prese conforto, e non discostandosi da’
Greci scrisse alcune canzoni, per quanto sosteneva la lingua volgare, e
per quanto a lui bastava l’ingegno veramente non grande, alla sembianza
di Anacreonte, e di Saffo, e di Pindaro, e di Simonide. Provossi anche di
rappresentare Archiloco, ma non soddisfece a se medesimo.72
Lasciata avventurosamente la Francia intorno ai trent’anni, il Mureto
(1526-1585) era vissuto insegnando dapprima a Venezia quindi per oltre
un ventennio a Roma, dove divenne sacerdote e operò circondato da grande
e duratura fama come critico, editore di autori classici, maestro di stile
latino.73 A Parigi era stato parte del circolo di Jean Dorat, l’erudito e
poeta, docente prima all’università di Parigi poi al Collège Royal, alle cui
lezioni Ronsard si avvicinò a Pindaro, poi esplicito modello per i Quatre
premiers livres des Odes, del 1550.74 Nel 1553 esce la seconda edizione delle
72
In CHIABRERA, Lettere, p. LV = CARMINATI, L’autobiografia, p. 36.
Un breve profilo dell’attività romana del Mureto («da giovane in Francia […] a
malapena scappato al rogo») ha dato recentemente JOZEF IJSEWIJN, Marcantonio Mureto,
in AA.VV., The world of Justus Lipsius: A contribution towards his intellectual biography, ed.
by Marc Laureys, Bruxelles-Rome 1998, pp. 71-80 (= “Bulletin de l’Institut historique
belge de Rome” LXVIII, 1998).
74 Per uno sguardo su Jean Dorat poiht¬j ®ma kaã kritik’j, filologo e poeta, maestro tra gli altri di Ronsard e di Muret, si ricordino le belle pagine di RUDOLF PFEIFFER,
History of Classical Scholarship from 1300 to 1850, Oxford, Clarendon Press, 1976, 10207. Di Ronsard alla scuola di Dorat torna a trattare GIROT, Pindare avant Ronsard, pp.
313 ss. (dove senza negare «le rôle primordial» giocato da Dorat nel rivelare Pindaro a
Ronsard si intende mostrare che verso la fine degli anni Quaranta del Cinquecento a Parigi «même sans Dorat, il était possible de connaître Pindare […] et de se réclamer du
Thébain au seuil d’une œuvre poétique»); su modi e fini del richiamo ronsardiano a Pindaro nella prefazione («Au lecteur») delle Odes del 1550 cfr. spec. pp. 350 ss.
73
I Sepolcri nella storia della fortuna di Pindaro
299
Amours di Ronsard, commentate «come se avesse a che fare già con un
classico» dall’amico Muret,75 che ancora molti anni dopo a un corrispondente parigino chiede di salutare «Ronsardum pridem Pindarum, nuper
etiam Homerum Gallicum, suavissimum mihi amicissimum fratrem
meum».76 La lettera, degli anni Settanta, tocca un Ronsard “epico” e cortigiano intento a pubblicare la prima parte del poema La Franciade – cui
Muret allude – nell’anno stesso del massacro di san Bartolomeo (1572).
Da tempo (pridem appunto) il poeta francese si era lasciato alle spalle il
giovanile e “sperimentale” pindarismo77 sbocciato nella Parigi degli anni
Quaranta. Almeno dalla creazione del nuovo Collège des lecteurs royaux
(1530) diffuso era il convincimento che «qui graecizabant, lutheranizabant»:78 vicino a circoli eterodossi era stato probabilmente anche Dorat,
come in genere gli ellenisti parigini nei decenni centrali del secolo.79 Più
può stupire ricordare che Pindaro stesso risulta in quei decenni autore particolarmente legato al mondo protestante, anzi ad alcuni dei maggiori
esponenti della Riforma. Per il testo greco delle odi pindariche la prima
edizione fuori d’Italia, dopo la princeps aldina del 1513 e la romana del
1515,80 si ebbe a Basilea nel 1526 presso Andreas Cratander, curata da
U. Zwingli (1484-1531). Poco dopo la pubblicazione del suo più noto
scritto teologico, il De vera et falsa religione (1525),81 e a soli cinque anni
75
GIOVANNI MACCHIA, La letteratura francese. Dal tramonto del Medioevo al Rinascimento, Milano, Edizioni Accademia, 1989, III edizione con Bibliografia aggiornata (I ed.
1970), p. 201; cfr. GIROT, Pindare avant Ronsard, p. 168.
76 Ibid., p. 375 n. 74.
77 O piuttosto, forse, «Pindare n’est jamais vraiment apparu autrement que comme
une étape obligée sur la voie qui devait amener Ronsard à devenir le chantre officiel de
la dynastie» (GIROT, Pindare avant Ronsard, pp. 374-75).
78 Ibid., p. 229.
79 Sul Lambino, professore al Collège Royal e morto di spavento pochi giorni dopo
il massacro di San Bartolomeo, cfr. LUCIANO CANFORA, La «praefatio» di Lambino a Cornelio Nepote: un umanista nella notte di San Bartolomeo, in ID., Le vie del classicismo. 2. Classicismo e libertà, Roma-Bari, Laterza, 1997, pp. 18-43.
80 Un dettagliato elenco di edizioni, traduzioni e commenti a Pindaro dall’editio
princeps al 1630 in THOMAS SCHMITZ, Pindar in der französischen Renaissance. Studien zu
seiner Rezeption in Philologie, Dichtungstheorie und Dichtung, Göttingen, Vandenhoeck &
Ruprecht, 1993, pp. 267-308 (Anhang 1); «bibliographie analytique des éditions de
Pindare au XVIème siècle» in GIROT, Pindare avant Ronsard, pp. 405-43.
81 Se ne possono leggere alcune sezioni in traduzione italiana nell’antologia di GIUSEPPE ALBERIGO, La Riforma protestante. Origini e cause, Brescia, Queriniana, II ed. aumentata 1988 (I ed. 1977), pp. 130-37. Il trattato era dedicato al re di Francia, Francesco I.
300
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dalla morte che lo avrebbe colto combattente contro i cantoni cattolici
sul campo di Kappel, il riformatore zurighese provvide all’edizione lasciata incompiuta da J. Ceporinus aggiungendovi una epistola preloquutoria e un’appendice, due testi di grande importanza per le sorti di Pindaro
nel mondo riformato del XVI e del XVII secolo.82 Grande fortuna avrà
in particolare il parallelo divulgato da Zwingli tra Pindaro e i salmi di
Davide.83
Nella Vita come in vari passi dell’epistolario Chiabrera rievoca l’incontro con la lirica greca e con Pindaro in particolare quale decisiva e radicale esperienza personale («e di Pindaro si maravigliò, e prese ardimento
di comporre alcuna cosa a sua somiglianza»),84 sì da presentarne, scherzando, l’effetto sulla propria vicenda poetica alla stregua della scoperta di
un nuovo mondo:
82 Riproposti all’attenzione degli studiosi di storia dell’esegesi pindarica dall’articolo di WOLFGANG O. SCHMITT, Pindar und Zwingli. Bemerkungen zur Pindar-Rezeption
im frühen 16. Jahrhundert, in AA.VV., Aischylos und Pindar. Studien zu Werk und Nachwirkung, hrsg. von Ernst Günther Schmidt, Berlin, Akademie-Verlag, 1981, pp. 30322. Importanti sono anche i contributi pindarici di Melantone, sui quali ora JOHANNA
LOEHR, Pindars Begriff der Charis als Resonanzraum für Melanchthons Lektüre der Epinikien,
in AA.VV., Dona Melanchthoniana. Festgabe für Heinz Scheible zum 70. Geburtstag, hrsg.
von Johanna Loehr, Stuttgart-Bad Cannstatt, Frommann-Holzboog, 2005, pp. 267-76.
83 Così è menzionata l’edizione di Zwingli nella Bibliotheca Graeca di Fabricius-Harles: «Ceporinus hanc edit. curavit, et praefatus est Huldrichus Zwinglius, qui in praefat.
de Pindari vita ingenioque disputat. Is quoque calci adiecit epistolam, in qua praematurum Ceporini (mense Decembri 1525. denati) obitum luget, de eius ingenio moribusque quaedam disserit, et loca aliquot V. ac N.T. praecipue ex Pindaro acute explicat» (IOANNIS ALBERTI FABRICII Bibliotheca Graeca […] Editio quarta variorum curis emendatior atque auctior curante Gottlieb Christophoro Harles, vol. II, Hamburgi, apud Carolum Ernestum Bohn, 1791, p. 69). L’edizione fu ripubblicata nel 1556, sempre a Basilea, per haeredes Andreae Cratandri (SCHMITZ, Pindar in der französischen Renaissance, p.
278; GIROT, Pindare avant Ronsard, pp. 419-20). Su Pindaro nel mondo protestante del
XVI e del XVII sec. si soffermano i due recenti lavori di STELLA P. REVARD, Pindar and
the Renaissance Hymn-Ode: 1450-1700, Tempe (Arizona), Arizona Center for Medieval
and Renaissance Studies, 2001 e di JOHN T. HAMILTON, Soliciting Darkness. Pindar, Obscurity, and the Classical Tradition, Cambridge, Mass. and London, Harvard University
Press, 2003 (cap. 6: Reforming the Epinicia).
84 Vita di Gabriello Chiabrera da lui stesso descritta, in CHIABRERA, Lettere, p. LV =
CARMINATI, L’autobiografia, p. 36.
I Sepolcri nella storia della fortuna di Pindaro
301
a significare ch’alcuna cosa era eccellente, diceva ch’ell’era poesia greca;
[…] diceva ch’egli seguia Christoforo Colombo suo cittadino, e ch’egli
voleva trovare nuovo mondo o affogare.85
Lette oggi dalla critica con maggiore attenzione che in passato, queste e altre simili dichiarazioni restituiscono felicemente il sentimento di
“conquista” di nuove regioni espressive cui anche fu ispirato il pindarismo
di Chiabrera. Alla genesi di tale liberatorio impulso si può supporre non
sia stata estranea la percezione, acquisita ad esempio tramite Muret, del
carattere per più rispetti “irregolare” della poesia di Pindaro, e dei suoi
cultori. Se, nella Parigi del giovane Muret, il successo dell’esegesi zwingliana accostante Pindaro e il Salmista e la fama eterodossa dei grecisti
parigini dovettero parimenti concorrere a suggerire «une connotation
réformée à tout ce qui touche Pindare»,86 altro fu ovviamente il contesto
dell’attività di Muret e della formazione di Chiabrera nel Collegio Romano: preludio di un itinerario per il quale «traccia mai sopita della biografia chiabreresca»87 fu la consuetudine con le massime gerarchie ecclesiastiche, nel segno della lunga amicizia con Maffeo Barberini, poi papa
Urbano VIII dal 1623 al 1644, nutrita di comune passione “pindarica”.
Fregiate delle api barberiniane e con dedica al cardinal nipote Francesco
Barberini le Ode di Pindaro tradotte in parafrasi e in rima toscana di Alessandro Adimari comparvero a Pisa nel 1631, l’anno stesso di una delle
molte sontuose edizioni dei pindareggianti Poëmata di Maffeo Barberini.88
In chiusura della Vita Chiabrera volle riprodurre il breve fattogli pervenire
85 In CHIABRERA, Lettere, p. LVIII. Sulla scorta di indicazioni di Giovanni Getto,
l’incontro con gli autori greci come «lezione di libertà» per Chiabrera è particolarmente
sottolineato da GIACOMO JORI, Poesia lirica «marinista» e «antimarinista», tra classicismo
e barocco. Gabriello Chiabrera, in Storia della letteratura italiana. Diretta da Enrico Malato,
vol. V: La fine del Cinquecento e il Seicento, Roma, Salerno, 1997, pp. 658-73.
86 GIROT, Pindare avant Ronsard, p. 267.
87 Cfr. SIMONA MORANDO, Gabriello Chiabrera nello specchio delle lettere, in CHIABRERA,
Lettere, p. XII.
88 Come ricorda JORI, Poesia lirica «marinista» e «antimarinista», p. 684. La traduzione dell’Adimari «corredata di dissertazioni, commenti, figure e schemi, è una monumentale enciclopedia pindarica» (MICHELE FEO, Nel maremagno del sapere, in ARISTON
UDWR ~ Optima aqua ~ Ottima è l’acqua. Francesco Marucelli si misura con Pindaro: traduzione inedita in esametri latini della prima Olimpica, a c. di Michele Feo, Pontedera, Bandecchi & Vivaldi, 2001, p. 8).
302
Giovanni Benedetto
dal nuovo papa nel novembre 1624, assai chiaro nell’indicare quale merito precipuo del poeta savonese il rinnovamento di modi e temi della lirica volgare grazie ai modelli greci:
Interest autem Reipublicae quamplurimos reperiri imitatores studiorum Tuorum. Lirica enim poesis, quae antea vino, lustrisque confecta
in triviis et tenebris sordido cupidini famulabatur, per te nunc Graecis
divitiis aucta deducta est modo in Capitolium ad ornandos virtutum
triumphos, modo in Ecclesiam ad Sanctorum laudes concinendas.89
Appunto «l’identificazione della poesia d’encomio con la lirica»90 e
il rifiuto dell’esclusiva assimilazione della lirica alla tradizione della poesia d’amore furono temi di continuo affermati e difesi da Chiabrera nella
produzione poetica, nelle dediche alle varie raccolte, nei dialoghi in prosa.
Ottimamente lo osservò Carducci in un saggio famoso:
non pure su le forme ma anche nelle intenzioni della poesia egli volle
comporre a simiglianza di Pindaro: come Pindaro fu il poeta dell’aristocrazia greca, così il Chiabrera volle cantare i nobili e gli eroi d’Italia;
e non si rimase dal notare per questa parte il difetto della nostra lirica,
troppo ritenuta dall’ideale cavalleresco e dall’esempio del Petrarca nella
materia d’amore.91
Secondo le parole di Foscolo nel già menzionato articolo Della poesia
lirica (1811), è questo il Chiabrera che «primo ritrasse la poesia lirica a’
suoi principj».92 Nel poeta savonese Foscolo vide chi a fronte della confusione di generi invalsa da secoli, onde «i canzonieri de’ poeti si chiamarono
libri di poesia lirica», seppe recuperare attraverso Pindaro, e sia pure attraverso «l’imitazione affettata del greco», l’aurorale significato del genere: «la poesia lirica canta con entusiasmo le lodi de’ numi e degli eroi»,
e perciò «la religione ed i fasti delle nazioni furono i primi ad ottenere
89
Vita di Gabriello Chiabrera da lui stesso descritta, in CHIABRERA, Lettere, p. LIX;
traggo il breve papale dall’Appendice in CARMINATI, L’autobiografia di Chiabrera, p. 42.
90 JORI, Poesia lirica «marinista» e «antimarinista», p. 670.
91 Così in Dello svolgimento dell’ode in Italia, che cito da GIOSUE CARDUCCI, Prose critiche, a c. di Giovanni Falaschi, Milano, Garzanti, 1987, p. 691.
92 EN VII, p. 327. Appunti sul Chiabrera risalenti al corso londinese sulle Epoche
della lingua italiana si possono leggere in U. FOSCOLO, Storia della letteratura italiana.
Saggi raccolti e ordinati da Mario Alighiero Manacorda, Torino, Einaudi, 1979, p. 306.
I Sepolcri nella storia della fortuna di Pindaro
303
per mezzo della poesia lirica monumenti perpetui della letteratura».93 La
definizione foscoliana del Chiabrera lirico ritorna in Carducci, che la completa insistendo sull’ispirazione storica di quella poesia:
Così, per dirla col Foscolo, «il Chiabrera ritrasse la lirica a’ suoi principii», e le fece fare una corsa a dietro per entro la storia italiana. E tornò
agli uomini di guerra del secolo decimoquinto e anche più lontano nelle
repubbliche; e più vicino, al servizio delle monarchie straniere, e ha lodi
patriotiche, per le famiglie nobili e feudali divenute dinastie.94
Nell’incalzante rassegna della pagina carducciana «ci passano variamente innanzi» gli uomini d’arme dell’Italia tra Cinque e Seicento cantati nelle odi del Chiabrera, il quale così «osò in poche carte, o tentò, di
far lirica la storia militare d’Italia».95 Guardando al complesso dell’attività del Chiabrera («entrò nel secolo decimosettimo maestro e duca della
nuova lirica: poeta de’ cavalieri e delle armi, nelle canzoni pindariche e
nelle odi: poeta delle dame e degli amori, nelle canzonette e negli
scherzi»)96 non inaspettatamente Carducci tace un aspetto rilevante della
sua produzione “pindarica”, le canzoni sacre, in onore di santi. La lirica
ad Sanctorum laudes concinendas menzionata nel breve urbaniano più accomuna Chiabrera al riuso di forme e temi del repertorio pindarico riscontrabile nelle poesie sia italiane che latine di Maffeo Barberini. Si tratta di
componimenti attestanti la fortuna in campo controriformistico di soluzioni pindariche o pindaricheggianti piegate alla celebrazione di santi e
martiri, al ricordo delle cui virtuose imprese sono coscientemente e attentamente applicati stilemi dell’ode epinicia, qui volta a magnificare la
vittoria sul peccato e sul mondo.97
93
EN VII, p. 325.
Dello svolgimento dell’ode in Italia, in CARDUCCI, Prose critiche, p. 692.
95 Ibid. Alla sostanza “pindarica” delle canzoni del Chiabrera in onore di condottieri («non sarà difficile convincersi che questo poeta è forse il solo, il quale abbia saputo far rivivere, se non per forma, almeno per contenuto, non isolate reminiscenze, ma
la tessitura dell’ode Pindarica») riserva attenzione un dimenticato contributo di LUIGI
CERRATO, La tecnica composizione delle odi Pindariche, Genova, tipografia del R. Istituto
sordo-muti, 1888, pp. 35-36, interessante per la panoramica su l’Arte Pindarica in Italia, Francia, Germania e Inghilterra nei secoli XVII, XVIII e XIX, cui sono dedicati i
capitoli IV-VI del lavoro.
96 Dello svolgimento dell’ode in Italia, in CARDUCCI, Prose critiche, p. 698.
97 Sulle odi per santi del Chiabrera e di Maffeo Barberini, lette nell’àmbito della storia
94
304
Giovanni Benedetto
Irrigiditisi nel corso del secolo gli elementi di novità e vitalità presenti
nella rilettura chiabreresca di Pindaro e dell’ode per la vittoria, e più tardi
estenuatisi nelle aspirazioni verso una ritrovata classica “misura” da parte
«dell’iniziale Arcadia pindareggiante dei Filicaia e dei Guidi»98, dalla metà
del Settecento si fa evidente un mutamento di clima anche nell’approccio
a Pindaro come in genere ai classici greci, in accordo con esigenze di razionalità, perspicuità e ritorno all’originale. In mancanza di specifiche e
adeguate indagini sulla multiforme presenza di Pindaro nel Settecento italiano, bastino alcuni esempi. Nella nona tra le Lettere Virgiliane (1758) di
Saverio Bettinelli, prospettante una Scelta e riforma de’ poeti italiani per comodo della vita e della poesia, si sentenzia «il Chiabrera ristringasi in un solo
volume, e sia piccolo. Nessun sonetto di lui v’abbia luogo, nessun poema,
e i modi greci delle canzoni, che sono a forza italiani, mettansi in libertà».99
In realtà poco favorevole al Chiabrera risulta anche il giudizio nelle Lezioni
di Belle Lettere pronunciate da Parini negli anni ‘70 del secolo per la nuova
cattedra milanese di Eloquenza e Belle Lettere:
Gabriello Chiabrera uno de’ Principi tra i nostri Poeti, che sui passi
d’Anacreonte e di Pindaro si aperse una nuova strada fra i lirici nostri.
Molto in vero, e più che nessun altro si avvicinò costui a que’ due antichi, ma fu ben lontano dall’agguagliarli come altri ci ha voluto far credere. Uno de’ caratteri principali del greco Pindaro è per nostro aviso le
verità sublimi, che egli sorprende quasi nel seno della filosofia, e con
molta grandezza e semplicità di stile espone in sentenze, e luminosamente applica al suo soggetto.100
del pindarismo europeo, utile REVARD, Pindar and the Renaissance Hymn-Ode, pp. 262 ss. Sul
gesuita M.C. Sarbiewski, l’“Orazio polacco” nella Roma di Urbano VIII cfr. ANDRÉE THILL,
Horace polonais. Horace allemand, in AA.VV., Horace. L’œuvre et les imitations. Un siècle d’interprétation, Vandœuvres-Genève, Fondation Hardt pour l’étude de l’Antiquité classique, 1993,
[Entretiens sur l’Antiquité classique, XXXIX], pp. 381-425); su Pindaro nel Seicento spagnolo, RAFAEL HERRERA MONTERO, Sobre la fortuna de Píndaro en el Siglo de Oro, in “Cuadernos de filología clásica. Estudios griegos e indoeuropeos”, VI (1996), pp. 183-213.
98 WALTER BINNI, Classicismo e Neoclassicismo nella letteratura del Settecento, Firenze,
La Nuova Italia, 1976 (repr. dell’ed. Firenze 1963), p. 144.
99 In SAVERIO BETTINELLI, Lettere virgiliane e lettere inglesi, a c. di Ettore Bonora, Torino, Einaudi, 1977 (repr. parziale dell’ed. Milano-Napoli, Ricciardi, 1969), p. 51; il
Codice nuovo di leggi del Parnaso italiano è promulgato e sottoscritto anche da Pindaro, in
compagnia di Omero, Anacreonte, Virgilio, Orazio, Properzio, Dante, Petrarca, Ariosto «ne’ comizi poetici tenuti in Elisio» (p. 55).
100 Cito dalla recente edizione critica delle Lezioni secondo l’autografo ambrosiano L
I Sepolcri nella storia della fortuna di Pindaro
305
Benché le corrispondenti trascrizioni risultino irreperibili, si ha notizia
di lezioni su Pindaro tenute da Parini negli ultimi anni del suo insegnamento:101 esse attesterebbero dunque la presenza del poeta tebano tra gli autori che Parini in quegli anni interpretava «in modo estemporaneo», non limitandosi a dettare le lezioni.102 A cimento con il testo pindarico esordirono
come traduttori dal greco due figure in diverso modo destinate a caratterizzare gli studi classici italiani del XVIII secolo, il ventiquattrenne Cesarotti
nel 1754 e il poco più che ventenne Ennio Quirino Visconti nel 1773, il quale
accompagnò alle sue versioni dell’Olimpica XI e dell’Olimpica XII alcune Riflessioni, come Parini esortanti a valutare le odi pindariche innanzitutto per
la «beltà delle idee» e la «sublime poesia».103 Con un entusiastico «they are
Greek, they are Pindaric, they are sublime» Horace Walpole, vecchio amico
dell’autore, ebbe appunto a salutare le odi The Progress of Poesy e The Bard di
Thomas Gray (1716-1771),104 pubblicate nel 1757 con il comune sottotitolo A Pindaric Ode a sottolineare il recupero della struttura triadica in polemica con l’esibita irregolarità metrica del pindarismo inglese secentesco.
in GIUSEPPE PARINI, Prose I. Lezioni – Elementi di retorica, a c. di Silvia Morgana e Paolo
Bartesaghi, Milano, LED, 2003, pp. 247-48; il passo compariva, salvo varianti grafiche,
già nell’edizione Mazzoni (ripresa in GIUSEPPE PARINI, Poesie e prose. Con appendice di poeti
satirici e didascalici del Settecento, a c. di Lanfranco Caretti, Milano-Napoli, Ricciardi,
1951, p. 523). Su carattere e novità delle lezioni pariniane rimando alle indicazioni di
GENNARO BARBARISI, Giuseppe Parini, in Storia della letteratura italiana. Diretta da Enrico Malato, VI. Il Settecento, pp. 609-14.
101 Silvio Giuseppe Mercati affermò di possedere fogli con lezioni pariniane su Pindaro risalenti al gennaio-febbraio 1791, di cui però si è persa traccia: si veda la Premessa
a PARINI, Prose I, p. 75 e n. 122.
102 Nota al testo in PARINI, Prose I, p. 407.
103 Nelle Riflessioni sulla maniera di tradur Pindaro comparse sul “Nuovo Giornale
de’ Letterati” del 1773, studiate da GIAN FRANCO GIANOTTI, Pindaro secondo Ennio Quirino Visconti: prove di traduzione 1773, (1993) ora in ID., Radici del presente. Voci antiche
nella cultura moderna, Torino, Scriptorium Paravia, 1997, pp. 35-48 (a p. 40).
104 Sul pindarismo di Gray nell’àmbito della cultura letteraria inglese del XVIII secolo cfr. PENELOPE WILSON, ‘High Pindaricks upon stilts’: a case-study in the eighteenth-century classical tradition, in AA.VV., Rediscovering Hellenism. The Hellenic inheritance and the
English imagination, ed. by G.W. Clarke with the assistance of J.C. Eade, Cambridge,
Cambridge University Press, 1989, pp. 23-41 (alle pp. 29-30). Con Walpole il giovane
Gray compì tra il 1739 e il 1741 il tradizionale viaggio di formazione sul Continente e
in Italia, dove i due si separarono a séguito di un litigio, riconciliandosi solo alcuni anni
dopo. Ricco di indicazioni anche sulla presenza di Gray in relazione alla fortuna della
letteratura inglese nell’Italia settecentesca rimane il volume di ARTURO GRAF, L’Anglomania e l’influsso inglese in Italia nel secolo XVIII, Torino, Loescher, 1911.
306
Giovanni Benedetto
Non per la sola licenza metrica si erano distinte le odi di Abraham
Cowley (1618-1667), il maggior rappresentante della voga pindarica nel
Seicento inglese. L’autore delle Pindarique Odes (1656) pienamente adotta
gli elementi consueti alla “leggenda pindarica”, «shaped by Horace, repeated and embellished by Quintilian, Longinus, Ronsard, and Alamanni»,105 per cui la poesia di Pindaro sarebbe specialmente caratterizzata da immagini ardite, trapassi inattesi, mancanza di regolarità strutturale: temi di lì a poco al centro del capitolo riguardante il poeta tebano
nella Querelle des anciens et des modernes, preannunciato ne L’art poétique di
N. Boileau (1674) dalla difesa del beau désordre dell’impetuoso stile di Pindaro,106 poi oggetto dei sarcasmi “modernisti” di Charles Perrault e Houdar de la Motte.107 In accordo con l’ “esegesi comparatista” tra autori classici e testi scritturali cara alla cultura del XVII secolo, non manca in Cowley il paragone tra Pindaro e il profeta Isaia giacché entrambi «passano
da una cosa all’altra con quasi invisibili connessioni, e sono pieni di parole ed espressioni dei più alti e audaci voli di poesia».108 La disputa tra
i protagonisti della Querelle intorno a significato e legittimità degli écarts
pindarici109 proseguirà e svilupperà, trasmettendola “laicizzata” al secolo
successivo, la visione dell’antico poeta corrente nella cultura europea del
XVII secolo, forgiata sul Pindaro “ditirambico” dell’ode oraziana IV 2110
e contemporaneamente sulla fama di vates animato da pietà e religioso furore al pari di Davide nei salmi.111
105 HARVEY D. GOLDSTEIN, Anglorum Pindarus: Model and Milieu, in “Comparative Literature”, XVII (1965), pp. 299-310 (a p. 300).
106 Famoso è il distico di Boileau dedicato all’ode pindarica: «Son style impétueux
souvent marche au hasard: / Chez elle un beau désordre est un effet de l’art».
107 Vicende su cui torna ora HAMILTON, Soliciting Darkness, pp. 152-61.
108 «The manner of the Prophets writing, especially of Isaiah, seems to me very like
that of Pindar; they pass from one thing to another with almost invisible connexions,
and are full of words and expressions of the highest and boldest flights of Poetry» (cit.
in HAMILTON, Soliciting Darkness, p. 172).
109 Cfr. HUMMEL, Pindarica Academica, p. 69.
110 Giusta i fortunatissimi vv. 5-12: Monte decurrens velut amnis, imbres / quem super
notas aluere ripas, / fervet immensusque ruit profundo / Pindarus ore, / laurea donandus Apollinari, / seu per audacis nova dithyrambos / verba devolvit numerisque fertur / lege solutis…
111 Cosicché sino almeno alla fine del XVII secolo ebbe corso nell’Europa settentrionale «a view of Pindar as sacred “Christian” vates that the Protestant reformers of the
Renaissance had fostered» (REVARD, Pindar and the Renaissance Hymn-Ode, p. 25). Sarebbero utili indagini sull’incidenza di tale interpretazione di Pindaro nel corso del XVII
secolo in campo cattolico.
I Sepolcri nella storia della fortuna di Pindaro
307
Tra le Pindarique Odes di Cowley molte appartengono alla categoria
dell’ode “filosofica”, destinata a grande e duratura fortuna nella poesia
inglese sino al Romanticismo. Altri pindarics di contenuto “filosofico”
saranno compresi nella raccolta postuma delle Opere di Cowley (1668).112
Quel che conta ai nostri fini rilevare è non solo il costante ricorso di
Cowley al modello pindarico per attingere una più profonda, nascosta
unità a partire dall’apparente irregolarità di digressioni, transizioni improvvise, inusitate metafore.113 Notevole è altresì vedere Cowley nelle
più elaborate tra le odi filosofiche coscientemente rifarsi a Pindaro quale
guida nell’uso del mito classico (e della materia biblica) onde farne stimolo conoscitivo, strumento di connessione tra le parti, occasione per
legare il più remoto passato al presente e al futuro.114 Quando, un secolo dopo, Thomas Gray reinventerà l’ode “pindarica” di contenuto filosofico e meditativo rifiutando le strofe irregolari e la libera struttura
metrica della maniera di Cowley e seguaci,115 contemporaneamente cercherà di rifondare con la modalità del Progress poem la più forte e sostanziale valenza pindarica del carme, inteso quale riflessione sul presente, sul passato e sul loro ineludibile vincolo. Come, in Pindaro, l’ode
si apre nell’oggi, con la vittoria nell’agone, per poi spingersi nel passato mitico e quindi ritornare all’esaltazione del vincitore nel presente,
così la struttura del Progress poem invita a riflettere sulla relazione tra un
lontano, glorioso passato e le aspirazioni del presente, «in a narrative
tracing the historical progression of various arts, and especially poe-
112 The Works of Mr. Abraham Cowley, cfr. REVARD, Pindar and the Renaissance Hymn-
Ode, pp. 323 ss.
113 Cfr. GOLDSTEIN, Anglorum Pindarus, pp. 304-07; WILSON, ‘High Pindaricks upon
stilts’, p. 27.
114 Si veda in REVARD, Pindar and the Renaissance Hymn-Ode, pp. 329-34 un ampio
esame dell’ode To the Royal Society, del 1667, con la figura di Francis Bacon come liberatore della filosofia dai ceppi della scolastica e come banditore della rivoluzione scientifica, nuovo Mosè e nuovo Adamo: «In making Bacon his hero figure […] Cowley takes
his cue from Pindar in developing myth allusively rather than narratively […] While
taking the account of Moses the liberator as his central focus, he adopts the stance of a
biblical commentator and looks backward and forward in time…».
115 Osserva la WILSON, ‘High Pindaricks upon stilts’, pp. 26-27: «The chief, perhaps
the only, distinguishing characteristic of the English Pindaric of the late seventeenth
and early eighteenth century is its licence, based on a misunderstanding of Horace’s description of Pindar’s metre as free from laws, to make up one’s own rules as one went
along»; cfr. anche REVARD, Pindar and the Renaissance Hymn-Ode, p. 48.
308
Giovanni Benedetto
try».116 Tale il carattere delle due Pindaric Odes pubblicate nel 1757,
The Progress of Poesy e The Bard. Nella prima Gray delinea una sorta di
genealogia della poesia inglese, seguendo il migrare dello spirito della
poesia dalla Grecia a Roma sino in Inghilterra, con le grandi figure di
Shakespeare e di Milton come termine di confronto per la personale inadeguatezza del poeta, e l’immagine dell’inarrivabile «aquila tebana»
nella strofe conclusiva.117 Gray indica nel tramonto della libertà politica a favore dell’asservimento e della tirannia ciò che di volta in volta
ha spinto le Muse a passare dalla Grecia al Lazio all’Inghilterra.118 Più
definito è il contesto storico dell’altra ode. In The Bard è introdotto un
bardo gallese sopravvissuto alla persecuzione di re Edoardo I, che dopo
la conquista del Galles avrebbe fatto giustiziare tutti i bardi a causa del
loro patriottismo. Dalla lunga barba e dagli ispidi capelli, il cantore
stando su una roccia in attitudine profetica119 evoca con la lira gli antichi predecessori, che ricompaiono dinanzi ai suoi occhi, vendicatori
della patria.120 Profetizzata la disfatta di Edoardo e l’avvento della casa
116
WILLIAM FITZGERALD, Agonistic Poetry. The Pindaric Mode in Pindar, Horace, Hölderlin, and the English Ode, Berkeley-Los Angeles-London, University of California Press,
1987, p. 73 (dal cap. 4, Progress and Fall, cui mi rifaccio per Gray e il Progress poem).
117 Sulla funzione di Pindaro, «the Theban eagle», nell’ultima strofe di The Progress
of Poesy cfr. HAMILTON, Soliciting Darkness, pp. 198 ss. («the progress that is discernible
is a progression from one species of obscurity to another, each bearing upon the other,
performed beneath the auspices of Pindar»).
118 Cfr. i vv. 73-82: «Where each old poetic mountain / Inspiration breathed around:
/ Every shade and hallowed fountain / Murmured deep a solemn sound: / Till the sad
Nine in Greece’s evil hour / Left their Parnassus for the Latian plains. / Alike they scorn
the pomp of tyrant-power, / And coward Vice that revels in her chains. / When Latium
had her lofty spirit lost, / They sought, oh Albion! next thy sea-encircled coast» (cito da
The New Oxford Book of Eighteenth Century Verse, ed. by Roger Lonsdale, Oxford-New York,
Oxford University Press, 1992 [I ed. 1984], p. 360). Alla migrazione delle Muse dalla
Grecia in Italia non in séguito alla conquista romana della Grecia, ma a quella turca di
Costantinopoli, Foscolo dedicò il cosiddetto Inno alla nave delle Muse, frammento del progettato poema Alceo e probabilmente non distante cronologicamente dai Sepolcri: cfr. DI
BENEDETTO, Lo scrittoio di Ugo Foscolo, pp. 68-71; LORENZO BRACCESI, Poesia e memoria.
Nuove proiezioni dell’antico, Roma, «L’Erma» di Bretschneider, 1995, pp. 3-12.
119 «On a rock […] Robed in the sable garb of woe, / With haggard eyes the poet
stood / (Loose his beard and hoary hair / Streamed, like a meteor, to the troubled air); /
And, with a master’s hand and prophet’s fire, / Struck the deep sorrows of his lyre» (vv.
15-22 in The New Oxford Book of Eighteenth Century Verse, p. 362).
120 «Dear lost companions of my tuneful art, / […] Ye died amidst your dying coun-
I Sepolcri nella storia della fortuna di Pindaro
309
gallese dei Tudor, in chiusura dell’ode il bardo si getta dalla rupe nella
«notte senza fine».121
I legami con ispirazione e temi del Progress poem – diretti o debitori a
una sensibilità diffusa nella cultura europea almeno dalla metà del XVIII
secolo – sono evidenti tanto per le Grazie quanto per i Sepolcri, anche in
rapporto al “pindarismo” che li accomuna e di cui si è detto nella prima
parte del lavoro: fondamento di una concezione della lirica («le Muse /
Del mortale pensiero animatrici»!) votata a misurarsi con le «fredde ale»
del tempo e della storia. A fronte della importanza tradizionalmente assunta nella critica sui Sepolcri dalla Elegy Written in a Country Churchyard
di Gray, sin dall’attacco dell’abate Guillon e dalla risposta di Foscolo,122
quindi nelle tante indagini intorno all’influsso sul Foscolo della poesia
sepolcrale straniera, assai minore attenzione è stata prestata alle due odi
pindariche di Gray: val la pena ad esempio ricordare che The Progress of
Poesy, al pari poi dei Sepolcri, è corredato di note indicanti le fonti antiche
di particolari espressioni o vocaboli, cosicché già a proposito del primo
verso («Awake, Aeolian lyre, awake») è indicato un parallelo pindarico
per l’uso di Aeolian.123 La stessa ripresa nei vv. 49-50 dei Sepolcri («Né
passeggier solingo oda il sospiro / Che dal tumulo a noi manda Natura»)
del v. 91 dell’Elegy («Ev’n from the tomb the voice of Nature cries»), nella
traduzione latina di P. Costa posto a epigrafe dell’Ortis («Naturae clamat
ab ipso / vox tumulo»), e più in generale l’ampiamente accertata fruizione
try’s cries - / No more I weep. They do not sleep. / On yonder cliffs, a grisly band, / I
see them sit, they linger yet, / Avengers of their native land; / With me in dreadful harmony they join» (vv. 39-47).
121 «He spoke, and headlong from the mountain’s height / Deep in the roaring tide
he plunged to endless night» (vv. 143-44).
122 Cfr. supra n. 66. Sulla fortuna di Gray nel Settecento veneto, e l’«attentissima
‘regia’ inglese» sottesavi, il saggio di DUCCIO TONGIORGI, “Rozze rime e disadattate forme”:
(pre)storia di una traduzione elegiaca, in Aspetti dell’opera e della fortuna di Melchiorre Cesarotti, a c. di Gennaro Barbarisi e Giulio Carnazzi, Milano, Cisalpino, 2002, vol. II, pp.
569-95.
123 Cfr. WILSON, ‘High Pindaricks upon stilts’, p. 34. Di Gray sono conservati estratti
del testo greco delle odi, con osservazioni e note. Solo dell’Elegy si occupa l’ancor utile
e interessante articolo di GIACOMO ZANELLA, Gray e Foscolo, in “Nuova Antologia” s. II,
XXV (1881), pp. 377-401; un cenno a The Bard in relazione alla tradizione pindarica e
ai Sepolcri in TOM O’ NEILL, Of Virgin Muses and of Love. A Study of Foscolo’s “Dei Sepolcri”, Dublin, Irish Academic Press, 1981, p. 36.
310
Giovanni Benedetto
della Elegy nel tessuto sia del romanzo che del carme foscoliano, possono
utilmente leggersi anche alla luce dei molti richiami di Foscolo a Gray, e
anzi al Gray “pindarico”, in un lungo arco di anni, sin dal Piano di studj
del 1796, quando il poeta inglese compare accanto a Pindaro nella lista
dei Lirici.
Come è noto Il Bardo di Gray è più volte menzionato da Foscolo, sempre in termini elogiativi, e sempre unitamente alla Pitica IV di Pindaro,
definita nella Considerazione prima del commento alla Chioma «senza pari
in tutta la lirica sublime», felicemente seguita solo dall’oda inglese del
Gray.124 La Pitica IV, per il re Arcesilao di Cirene, è la più lunga tra le odi
pindariche a noi note. Di grande complessità strutturale, nel sovrapporsi
di diverse profezie e nell’ampia narrazione della saga degli Argonauti è
«esempio perspicuo di tecnica narrativa che rompe con la sintassi della
linearità temporale», nel quadro di una precisa destinazione politica dei
miti trattati,125 come Foscolo mostrò di ben comprendere, proprio confrontando l’ode pindarica con quella di Gray:
La spedizione prima marittima della Grecia, benché siano perite le narrazioni poetiche degli Argonauti, si trova illuminata in tutto il suo eroico
splendore da un’ode lunghissima di Pindaro (la quarta Pithia), quanto
il carattere storico de’ bardi eroi e le guerre civili dell’Inghilterra nel
Bardo di Gray.
È osservazione proveniente da un articolo apparso su una rivista inglese nel 1822,126 a quasi vent’anni dalla menzione nel commento alla
Chioma delle due odi di Pindaro e di Gray: «v’è nel Foscolo un’ostinata
fissità di idee per la quale», ha efficamente notato il Corbellini accennando a questi passi, «a distanza di un ventennio, come per associazione
124
EN VI, p. 390.
Si vedano le osservazioni di Bruno Gentili in PINDARO, Le Pitiche, a c. di Bruno
Gentili, Paola Angeli Bernardini, Ettore Cingano e Pietro Giannini, Milano, Mondadori/Fondazione Lorenzo Valla, 1998 (I ed. 1995), p. 109.
126 Della «Gerusalemme Liberata» tradotta in versi inglesi, in FOSCOLO, Saggi e discorsi critici, a c. di Cesare Foligno, Firenze, Le Monnier, 1953 [EN X]: il passo citato
è a p. 537. «The Odes of Gray and Pindar» sono associate da Foscolo anche in un cenno
nel saggio del 1819 Narrative and Romantic Poems of the Italians, che cito da U. FOSCOLO, Opere, II, p. 1722.
125
I Sepolcri nella storia della fortuna di Pindaro
311
di idee, se rammemora la IV Pitia, ripensa al Bardo».127 Non era naturalmente mancato il richiamo alla Pitica IV nella recensione foscoliana,
uscita nei primi mesi del 1808, alla traduzione di Berchet proprio del
Bardo di Tommaso Gray (1807). Lì Foscolo afferma esplicitamente che l’ode
inglese è «ispirata dalla Pitica IV di Pindaro» sùbito dopo averne dato un
giudizio per più aspetti degno di nota:
Lo stile di quest’ode sente il pindarico e lo scritturale, segnatamente
d’Ezechiello: le transizioni sono rapidissime e impercettibili quasi; i
pensieri arditi; l’armonia severa; e tutto il poema è adombrato da quel
sublime mistero nemico de’ nostri lettori di Metastasio e di Boileau, ma
gratissimo agl’intelletti […] curiosi della storia che va sempre applicata all’alta lirica…128
Nell’accostamento tra il pindarico e lo scritturale si trova qui riecheggiato il modulo interpretativo sviluppatosi nell’àmbito della Riforma, poi
ampiamente diffuso anche oltre il XVII secolo.129 Pochi mesi dopo la pubblicazione dei Sepolcri e la polemica con il Guillon, non casuale è il rilievo
accordato dalla recensione foscoliana a legittimità e valore delle transizioni «rapidissime e impercettibili quasi». Se il lettore del Foscolo dinanzi
a queste parole è tratto a pensare ai Sepolcri, è pur indubbio che esse perfettamente riflettono l’immagine dello stile pindarico allora, e da secoli,
corrente: voce di oscurità e discontinuità, capace nella cultura europea di
farsi modello esemplare in momenti storici segnati dalla radicale inquietudine di «intelletti curiosi della storia, che va sempre applicata all’alta
lirica».130
127
CORBELLINI, p. 200.
EN VI, pp. 710-11.
129 E che ben si accorda con la sensibilità da Foscolo dimostrata verso «l’interferenza tra mondo omerico e mondo biblico» comunemente ammessa dalla cultura secentesca, e ancora fondamentale per Madame Dacier, il cui influsso sul Foscolo da questo punto di vista è stato indagato da MARIA ANTONIETTA TERZOLI, Il libro di Jacopo.
Scrittura sacra nell’Ortis, Roma, Salerno, 1988, pp. 88 ss.
130 Su Pindaro «as a model for breaking all models», emergente in momenti storici in cui l’intero concetto di tradizione è posto sotto discussione, utili rilievi in HAMILTON, Soliciting Darkness, p. 11. Una concisa e intensa ricostruzione di storia della fortuna pindarica si ha in Pindaro. Olimpiche. Traduzione, commento, note e lettura critica
di LUIGI LEHNUS, Milano, Garzanti, 1981, pp. XXVIII-XXX.
128