ULTIMI RAGGUAGLI SULL ATTIVITÀ POETICA DI PIETRO SARACENI.
1. Su Pietro Saraceni, scrittore teatino vissuto tra la prima e la seconda metà del secolo
diciannovesimo, chi scrive ha avuto modo di fare già alcuni rilievi critici1. Qualche
sottolineatura aggiuntiva val la pena fare all attività del Saraceni poeta, ricordando
intanto che solo due sono le raccolte edite, e cioè le Cantiche (1853) e il volume Amore e
canto (1863). L impulso compositivo che è alla base delle Cantiche, come si può capire
sia analizzando le fonti utilizzate, sia tenendo presente la tipologia lirica, si muove su
due versanti: da una parte, Saraceni si tiene informato sulle ultime uscite dei poeti del
suo tempo, tanto per quel che concerne gli onnipresenti Aleardi e Prati, tanto nel tener
conto anche di produzioni minori, magari occhieggiate in rivista. D altro canto, la
tessitura della poesia lascia molto spazio ad autori che, all epoca in cui essa venne
composta, erano ormai considerati punti di riferimento, come Foscolo e Pindemonte. Il
sistema citazionale, poi, appare ad hoc , e ciò va senz altro ripetuto nel testo
appaiono continui riferimenti alla poesia sepolcrale e commemorativa, sia considerata
attraverso gli esempi dei grandi (appunto nel duetto Foscolo/Pindemonte), sia tenendo
presente l immortale esempio del Manzoni, sia – infine – ricavando da misconosciute
fonti qualche ispirazione che potesse dar luogo a palpiti ed emozioni non banali. In
Amore e Canto coesistono, accanto al dispiegarsi d un aleardismo del tutto coevo al
periodo storico, i toni del bozzettismo lirico e paesano (richiamante, lo si è già detto,
un sistema citazionale e motivazionale tipico della Scuola Romana dei fratelli
Maccari), senza tralasciare – val la pena ripeterlo – la forza espressiva dell innografia,
tanto civile quanto religiosa, che Manzoni aveva donato alla letteratura italiana nel
periodo immediatamente precedente le pubblicazioni del Saraceni e che, pur a fronte
di un evoluzione della poesia nostrana in senso scapigliato, il nostro autore non voleva
o non poteva abbandonare. Il sostrato neoclassico, inevitabile perfino in autori
successivi assai più noti del Saraceni, è qui adeguatamente presente, ma – come si è
detto – esso è piegato a esigenze contenutistiche, non ponendosi esclusivamente come
ornamento retorico o come puro orpello citazionale. Si è proceduto all inquisizione
filologica e alla ricerca delle fonti d un solo componimento, debitamente analizzato e
commentato, onde individuare i modelli compositivi e le sorgenti a cui la poesia
saraceniana s è abbeverata. Proprio per questa ragione, appare utile analizzare almeno
uno dei testi che il Saraceni, alla maniera della poesia encomiastica del tempo (e anche
dei tempi successivi, almeno fino al primo conflitto mondiale), ebbe a dedicare ad una
fanciulla orfana di madre2. Questo perché è necessario, ai fini della presente
discussione, mettere in evidenza quali sono le fonti a cui la lirica del teatino si
abbevera, e soprattutto in che modo si strutturano i suoi modelli compositivi, anche in
Cfr. G. PANNUNZIO, Il passato e la scena: Pietro Saraceni tra storia, dramma e poesia, Vasto (CH),
&MyBook, 2013.
2 La lirica, intitolata
“lla Gentilissima Fanciulletta “delina Cocco Orfana Della Genitrice , trovasi in
La farfalla. Strenna pel Capo d’“nno e pe’ Giorni Onomastici a Cura di Vincenzo Corsi. “nno Quinto, 1856,
Napoli, Stabilimento Tipografico Battelli, pp. 85 – 86.
1
riferimento alla collocazione diacronica o sincronica che i versi in questione potevano
venire ad avere davanti agli occhi dei contemporanei. Si è scelta proprio l ode di cui s è
appena parlato, composta in occasione dell appena sopravvenuta morte d una
gentildonna teatina e a mo di consolazione della giovane figlia che s era ritrovata –
certo improvvisamente – senza l affetto dell amata madre. In seconda battuta. E
dunque, esaminando il componimento di cui s è detto, si potrà dunque notare che esso
si nutre quasi esclusivamente d un impianto formale vicino alla poesia sepolcrale o
comunque inerente contesti di morte, di vedovanza e simili, laddove la condizione
dell orfano diviene qui un inevitabile corollario alla dipartita d una persona cara. Il
testo, tutto giocato su movenze parenetiche, si inserisce magnificamente in quel clima
esaltante la buona morte che, com ebbe a scriverne “riés3, è tipico di tanta narrativa
e diaristica ottocentesca4:
Come entro al nido vedovo5
Implume rondinella
Col pigolìo famelica
La dolce madre appella,
Così la mamma, o povera,
Chiami la notte bruna6
Che ti disciolga un cantico7,
Che t’agiti la cuna.
Ella si è morta, e l’anima
Da umane cure8 sciolta
Cfr. P. ARIÉS, L’uomo e la morte dal Medioevo a oggi, Roma-Bari, Laterza, 1985, passim.
Per comodità di esposizione, nell analisi di questa lirica s è fatto riferimento direttamente alle fonti,
senza citazione specifica o diretta che avrebbe potuto appesantire il testo.
5 Tale occorrenza si reperisce solo in una tragedia a sfondo martirologico di “ntonio Decio
[…] E
stancandosi a lei le debol ali,/ In giù rivolse il volo, e sovra il nido/ Vedovo, e voto si condusse, e pianse
[…] in un ode di Santo Minelli d imitazione manzoniana dedicata alla Pentecoste […] Perché
colomba candida/ Piange il perduto amore,/ E con lamenti teneri/ Impietosisce il cuore,/ E sovra il nido
vedovo/ Geme nel suo dolor? […] in una favola di Giovanni Gherardo De Rossi, […] Sul nido
vedovo/ Con mesto canto,/ Querulo pianto/ L afflitta Rondine/ Spargea pel tenero/ Fido consorte […]
e infine, in un contesto formalmente similare (tanto da far pensare a una dipendenza), in una lirica di
“ntonio Di ”razzà […] Di madre tenera/ Quanto è l affetto,/ E quanto barbaro/ Trafigga il petto/ Fin
quella rondine/ L intende e sente,/ Che il nido vedovo/ Scalda gemente Sempre lagnandosi/ Del
cacciator […] . Data la sostanziale analogia delle fonti, tutte settecentesche e primo ottocentesche, non
appare possibile determinare la paredra certa.
6 Il lemma e diffusissimo, ma tutte le occorrenze successive derivano da un sonetto del Tasso
[…]
Qual luce è quella, che con chiari lampi/ Colà biancheggia ne la notte bruna/ E tra Venere, e Marte è tal,
che l una,/ D invidia par, l altra d “more avampi […] .
7 Limpida citazione manzoniana, dal Cinque maggio
vv. 23 –
[…] E scioglie all urna un cantico/
Che forse non morrà […] , variamente e sparsamente imitata anche da altri autori.
8 Il lemma è enormemente diffuso, soprattutto a cavallo tra il secolo diciottesimo
e quello
diciannovesimo. Lo si reperisce in una quartina di Faustina Maratti Zappi Dolce sollievo dell umane
cure,/ “mor, nel tuo bel regno io posi il piede,/ E qual per calle incerto uom che non vede,/ Temei l
3
4
Gode nel ciel, dai martiri
Come sorella accolta.
È l’invisibil angelo9
Che ti protegge – Sai?
Sia luna o sole splendido
Non t’abbandona mai.
“nzi nell’ora tacita10
incontro delle mie sventure […] , nella tragedia Ajace di Foscolo […] “h! tornano frementi/ Le umane
cure, e m abbandona l alta/ Sicurtà della morte. “jace, fuggi/ Ove più non vedrai nè traditori,/ Nè
tiranni, nè vili; ove imitarli/ Più non dovrai, nel calunniar chi forse/ Or per te more. – O uomini infelici,
Nati ad amarvi e a trucidarvi, addio […] in “lfieri, nel Misogallo […] Uom io sono, e perciò le umane
cure, ”enché d altrui, reputo mie […] e, citando Terenzio, nella tragedia Giovanni di Giscala […]
M“RI“NN […] E che? le umane cure/ T accompagnan ancor dopo la morte?/ MANASSE: Sogni tu,
Marianne? Io non son vano/ Spettro , e impalpabil ombra. Il tuo consorte,/ Che tanto amasti e che tu
piangi, è vivo / E se non credi a me, dammi la destra […] nelle Rime di Vittoria Colonna [….] E pur
lampeggian sì che fan quest ombre/ Del sentier, ove l alma oggi cammina,/ Mal grado suo, men spesse e
meno oscure / Perchè fede fan quì della divina/ Luce là su, che d ogn intorno sgombre/ Le nostre
tenebrose umane cure [….] in un trattato erudito di Francesco Redi […] Vedi altresi Stasino, o chi si sia
il Poeta scrittore delle cose di Cipro, citato da Ateneo nel principio del libro secondo: Il vino, o Menelao,
fecer gl Iddei Ottimo a dissipar l umane cure. […] in un opera del Martello, poeta apprezzato dal
Saraceni per ragioni metriche […] E dì Quello Signor, che in sé beato,/ Non che senz Uom,
senz “ngeli pur fora,/ Prende , sol per avermi in Cielo a lato,/ Le umane cure, e per me vien , che mora
[…] in una riflessione di Giordano ”runo […] onde più e più avvicinandosi al sole intelligenziale,
rigettando la ruggine de le umane cure, dovien un oro provato e puro, ha sentimento de la divina et
interna armonia […] e infine in una lirica di G. ”erchet […] «Vieni e dimentica/ Le tue sciagure, A
che mai giovano/ Le umane cure?/ “h ! quanto è misero/ L uom che si strugge/ In brame inutili,/ Per una
vita/ Che presto fugge,/ Presto è fluita!» […] .
9 Certa appare l origine del lemma, derivato dai seguenti versi del Prati
[…] Se un aura lieve,/ O forse
l ala di vagante insetto,/ Stranamente ne fea fremer le corde,/ Ei balzava convulso onde spezzarla./ Ma,
levata la man, si sentìa colto/ Da un altra man di gelo, e alla cortina/ Da un invisibil Angelo sospinto,/ Vi
ripiombava […]
10 L occorrenza si reperisce in un ode del poeta romantico novarese Giuseppe Regaldi
[…] In fondo a
valle oscura/ Giunsi nell ora tacita/ Che s addormenta la stanca natura,/ E vidi il raggio piovere/ Della
pietosa luna/ D un tempio antico sulla torre bruna […]
nei versi idillici del conterraneo Gabriele
Rossetti […] Spesso in quell ora tacita/ Che il giorno si scolora,/ Senza avvertir le tenebre,/ Ei siede e
pensa ancora […] in un ode neoclassica di Carlo Malmusi dedicata al Muratori […] Giovinetti! oh
all ora tacita/ Quì venite riverenti!/ “i nepoti esempio splendido/ Son de grandi i monumenti […]
nella traduzione – datata 1841 – del Paradise Lost di Milton fatta da Lorenzo Mancini […] Quando
Adamo a parlar si fece ad Eva/ In questi sensi: o mia dolce compagna,/ Già l apparir di Vespero pareva/
Fugare ogni animal dalla campagna / E noi quest ora tacita pur leva/ Da bei lavori che sudor non
bagna […] in un anacreontica del poeta aleardiano “ntonio Gazzoletti […] Fine agli amplessi ora
di pace è questa, Non di feste importune e di clamor:/ Voi partite, o cortesi – e sia la festa/ Su nel cielo
soltanto e nel mio cor./ Oh, quante volte sospirai quest ora/ Tacita e fisa nel morente sol,/ Quando
l anima incerta s addolora,/ E cerca invano, onde le venga il duol! […] in una versione anonima,
uscita nel 1851, degli Argonauti di “pollonio Rodio […] Il più fatal veneno/ Sceglier brama alla morte,
e già i legami/ Scioglie al forziere d ogni indugio irosa/ Sventurata fanciulla! “llor repente/ Un orrendo
ribrezzo il cor le strinse/ Del tetro “de e si ristè lung ora/ Tacita, immota […] .
Del tuo riposo scende
Dal cielo, e tra le tenebre
Su te che dormi pende.
E ti bacia e ravviati
Del crin le spesse anella11,
Onde qual rosa rorida12
Sorgi ogni dì più bella.
Non odi ognor per l’aere
D’arpa un lene tintinno?
È la mamma che parlati,
E il suo parlare è un inno.
Senti l’olezzo etereo13
Di che la terra odora?
È la tua mamma tenera
Che la vita t’infiora.
Ve’ come tutto ammantasi
Agli occhi tuoi di luce?
Tanto splender l’etereo
Serto14 di lei produce.
Come arbor noto15 un arido
Qui lo stesso Saraceni appare inspiegabilmente riecheggiato in una lirica che Luigi Carrer dedicò alla
sorella e che fu pubblicata in volume nel
[…] Quando fortuna bieco mi guata,/ A te pensando,
sorella amata,/ L alma languente lena ripiglia / E dico ”runa gli occhi e le ciglia,/ ”runa del crine le
spesse anella,/ Ho una sorella, ho una sorella./ Dacchè la madre mi fu rapita,/ Per sempre tolto dalla
mia vita/ Credei l affetto dolce perenne/ Che m ebbe in cura, che mi sostenne […] .
12 La Rosa Rorida è un fiore delle rosacee, ma, dal punto di vista squisitamente il lemma non è
attestato prima di questa occorrenza.
13 Il lemma si trova soltanto in due
loci nel poema didascalico di Natale de ”eroaldo-Bianchini
L’armonia Universale, stampato nel
[…] Di due bell anime – gli abbracciamenti/ “lternar s odano
– tutto respiri/ L olezzo etereo – di molli accenti/ Congiunti e fervidi – caldi sospiro / Chè d ogni cantico
– sempre al Signore/ Giunge gratissimo – quel dell amore […] e infine lo si riporta solo per la sua
rarità pur essendo non coevo, sia pure sul filo di lana, al testo del Saraceni) in un ode a Francesco
Giuseppe composta dall abate Luigi ”adinelli nel 1857 ( […] Parrai che in ciel più fulgido/ Or ci
risplenda il sole,/ Che gli astri in ciel conducan/ Più rapide carole / D olezzo etereo io sento/ Spirar
fragrante il vento / ”en l universo sembrami,/ Donna, per Te un altar […] . La fonte è dunque certa.
14 La fonte, in questo caso, appare lievemente incerta. Trattasi di una lirica del Parzanese apparsa
proprio nel
[…] Egli fe cenno, e tosto/ Dalle sponde del Sole un Cherubino/ L ali aperse e volò
chè ancor non era/ Degna di racquistar quella corona/ La terra profanata. E delle nubi/ Nel vagante
oceàn già si perdea/ L etereo serto […]
oppure d un altra ode del Regaldi, apparsa nel
,
consistente in un elogio funebre […] Digli che puro spirito,/ Disciolto vanni dal corporeo velo,/ Il suo
rimpianto pargolo/ Fu visto ascender luminoso in cielo,/ E in compagnia degli angeli/ Cinto d etereo
serto/ Fra le braccia volar del Magno “lberto […] ? Si può propendere per la seconda ipotesi, viste
anche le fonti citate per un lemma precedente.
15 Il lemma, pindemontiano e collocato nella sua risposta ai Sepolcri di Foscolo, trovasi in alcuni versi
relativi proprio alla morte d una madre […] Perdóno appena la selvaggia donna,/ Che del bambin, cui
11
Tronco16 abbattuto resta,
Allor che il verno dissipa17
Le chiomi alla foresta,
Sue foglie in terra spargonsi,
Ma il germe che in sè chiude
Ciascuna, s’apre e pullula
Per natural virtude18,
Così la mamma esanime
Giacque, ma tu, mia bella?
Le sue virtù e le grazie
Mostri all’età novella…
Canuto e solitario
Il padre19 al foco accanto
Un dì lontan, baciandoti,
Fia che prorompa in pianto...
E a chi sia presso in lagrime
Dirà – Vedi, ecco Lei...
La donna amata... l’ultimo
Fiore dei giorni miei!20 –
dalle poppe Morte/ Le distaccò, va su la tomba, e spreme,/ Come di sé nutrirlo ancor potesse,/ Latte dal
seno, e lagrime dagli occhi / O il picciolo feretro all arbor noto/ Sospende, e il vede, mentre spira il
vento […] .
16 Il lemma è assai diffuso. Nel caso specifico, forse potrebbe aver avuto origine in un passo della
Conquistata di Tasso, in cui si parla della morte d un pastore circondato dalla prole […] Come
s avvien talor ch altri divella/ Dal verde mirto il suo più verde ramo,/ Che d ombra ricoprìa l erba
novella,/ Rimane il tronco quasi ignudo e gramo;/ Così vedi rapir vaga donzella,/ A cui pianto non vai,
prego, o richiamo / Cosi la madre, in cui dolor s avanza,/ D arido tronco, e muto aver sembianza// Vedi
abbracciar gemendo il vecchio stanco// L albergo, oh a nipoti alzar credea […] .
17 Il lemma, raro, si trova in un solo antecedente, la traduzione anonima di un testo parenetico del 1845,
ov è narrata la conversione di “lphonse-Marie Ratisbonne, banchiere istraelita convertito al
cattolicesimo dopo una visione mariana nel 1842 (e su cui cfr. T. DE BUSSIÈRES, La conversione di Alfonso
Maria Ratisbonne, Chieti, Amicizia Cristiana, 2008, passim
[…] La mia tristezza svaniva come una
densa nube che il vento dissipa e caccia lontano […] .
18 Il lemma a una certa diffusione, ma la paredra è sicuramente in una canzone del Petrarca
[…] Ma
non sempre alla scorza/ Ramo, né n fior né n foglia// Mostra di fuor sua natural virtude […] .
19 Occorrenza unica. Forse qualche riflesso in alcuni versi del Pellico riferiti a una giovane che non si fa
monaca pensando alla solitudine del genitore vedovo […] Ella avrebbe voluto alle promesse/ Che le
dettava il core, aggiunger quella/ Di cingere in Riffredo il santo velo,/ Ma la meschina non potea,
pensando/ Al solitario padre orbo di figli!/ Ed, ahi, forse non conscia ella a sè stessa,/ Anco pensava mal
[...] .
20 Unico luogo dove s incontra tale occorrenza è in un ode di Lorenzo Fusconi del
[…] Come
giammai non tace,/ E si consuma, e crepitando muore/ La polverosa, e stridula cicada / Così senz aver
pace/ Cantando io perdo il fiore/ Dei giorni miei siccome al Mondo aggrada / E ben sento, ch io manco a
poco a poco,/ Che forza è, che stemprando alfin mi vada / E o ch io pera a tal croce,/ O non resti,
com Eco, altro che voce […] .
Tu bella e malinconica
L’allieterai d’un riso,
E la mamma vedendovi
Godrà dal paradiso.
I modelli compositivi del Saraceni prevedono, come s è visto, un chiaro utilizzo
di autori contemporanei o coevi, accanto alle solite fonti neoclassiche e a quei fari
(Foscolo, manzoni, leopardi9 che caratterizzarono il Romanticismo nostrano. La cosa
dimostra, a livello compositivo, che l autore era in grado di integrare nei suoi testi un
duplice campo di fonti, cosa che altri minori abruzzesi, anche successivi, non si
dimostreranno in grado di fare.
2. Altro lavoro importante, e strutturato indubbiamente in modo più complesso, è il
Federico ”arbarossa all’assedio di Crema21. Alla trama di questo romanzo fanno da cornice
le vicende relative al cruento assedio della città di Crema del 1159 22, ma più in generale
in esso e riecheggiata la ben nota lotta intercorsa tra i Comuni italiani e l autorità
imperiale all epoca della dinastia sveva. In questo volume, tra le altre, emerge la figura
dell imperatore, il quale viene dipinto con colori cupi, senza tralasciare ampi
riferimenti alla sua iracondia, che sovente lo spingeva ad atti di crudeltà davvero
inaudita. Tuttavia il Saraceni non manca di notare che, quando l intrinseca rabbia si
sopiva, il sovrano era capace di atti di bontà e di cavalleria degni di lode, perdonando
coloro verso cui si era rivolta la sua ira e mostrandosi (è anche testimonianza delle
fonti coeve cavalleresco e liberale fino all eccesso. Interessante è, in tale ottica, il rilievo
saraceniano sul fatto che il Barbarossa fosse un appassionato cultore della lingua
provenzale, attendendone allo studio in modo costante e disciplinato. In un secondo
momento, poi, egli avrebbe addirittura tentato – senza grande successo, ma di certo
influenzando il suo successore Federico II23 – la strada di quella poesia trobadorica, nei
modi e nelle forme che gli sarebbero stati mostrati (ma non si è potuto appurrare se la
notiza riportata dal Saraceni sia vera) da un giovanissimo Peire Vidal nei panni di
Si veda Federico ”arbarossa all’assedio di Crema romanzo storico, Milano, C. Barbini, 1873.
Su di esso cfr. L ancor utile, quantunque certamente invecchiato, L. VIOLA, L'assedio di Crema per opera
di Federigo Barbarossa, Crema, Ti. Economica di G. Anselmi, 1889; e da ultimo RAHEWINO – O. MORENA,
L’assedio di Crema, 1159-60, cur. G. DEGLI AGOSTI, Crema, Leva Artigrafiche, 2010, dove si trova anche
un capitolo sulla ricezione degli eventi cremaschi nell epica medioevale coeva i brani sono tratti da
Ottonis et Rahewini Gesta Friderici I imperatoris, a cura di G. WAITZ – B. DE SIMSON, Hannover-Leipzig,
1969, pp. 116 – 117; p. 210). Sull'opera di Ottone di Frisinga e Rahewino cfr. O. CAPITANI, Motivi e
momenti di storiografia medievale italiana , in AA.VV., Nuove questioni di storia medievale, Milano,
Marzorati, 1969, pp. 766-768 e bibliografia ivi citata. Sui rapporti tra i comuni italiani e Federico
Barbarossa cfr. G. FASOLI, Federico ”arbarossa e le città italiane La lega lombarda. “ntecedenti,
formazione, struttura , in Vorträge und Forschunge, XII (1968), pp. 121 – 142; e 143 – 160.
23
Sull argomento, cfr., anche per il Barbarossa, W. MELIGA, Trovatori Provenzali , in
www.treccani.it/enciclopedia/trovatori-provenzali_(Federiciana), in Federiciana (2005), ult. cons. 9
giugno 2013, utilissimo e con buona bibliografia.
21
22
musico24. Saraceni, a tal proposito, introduce nel romanzo un noto descort ,
originariamente riportato addirittura dal famoso astrologo e futurologo Nostradamus,
e come da tradizione attribuendolo (la fonte sarebbe il Ginguené, ma è lecito nutrire
qualche dubbio all imperatore medesimo25:
Dalle fonti non emerge un contatto diretto tra il Vidal e Federico I. Peire Vidal, in latino Petrus Vitalis,
italianizzato in Pietro Vidale (1140 circa – 1205 circa) è stato uno dei più celebri trovatori provenzali,
identificabile molto probabilmente con Peire Pelissier. Poeta dalle origini borghesi trascorse una vita
avventurosa e inquieta. Prese spesso parte alle contese del suo tempo cambiando spesso padrone e
orientamento pur mantenendo una libera indipendenza di giudizio. Ebbe come protettori Raimondo V
di Tolosa, Blacatz, Bonifacio I di Monferrato, Alfonso II di Aragona (1190-1195) e probabilmente
Alberto Malaspina. Viaggiò molto e si recò in Ungheria, in Terra santa, a Cipro a Genova, a Pisa, a
Malta, in Spagna. I 44 testi poetici a noi pervenuti sono ricchi di riferimenti autobiografici e storici. Essi
riprendono lo stile e i temi tradizionali ma con un'ironia assai originale e con un nuovo intento
parodistico. Su di lui, anche nelle vesti di musicista, cfr. U. SESINI, Peire Vidal e la sua opera musicale,
Firenze, le Monnier, 1943.
25 Tra la versione Saraceniana e quella del Ginguené esistono almeno tre varianti (non si sa se di mano
dello stesso Saraceni) e che la lirica in questione ha avuto decine e decine di trascrizioni diverse, sicchè
non appare possibile capire a quale fonte reale il Saraceni abbia potuto attingere per i versi nella veste
in cui sono mostrati nel suo testo. Quanto al discordo, Federico I di Svevia l avrebbe composto in
Piemonte, dopo la vittoria di Milano e dopo l incontro con Ramon ”erenguer IV conte di ”arcellona e di
Provenza che era venuto in Italia per ricevere da lui l investitura della Contea di Provenza, e che morì
durante il viaggio di ritorno in Catalogna, a Borgo San Dalmazzo (e cfr. su questo, ad esempio,
Recherches sur les Theatres de France, Depuis l’année onze cens Soixante & un, jusques à present. Part M. De
Beauchamps. Tome Premier. A Paris, Chez Prault, Pere, Quai de Gêvres, au Paradis. MDCCXXXV. Avec
Approbation & Privilége du Roi, pp. 3 – 4). Qualche dato può reperirsi in una dottissima recensione di
Arturo Farinelli relativa ad un saggio erudito di Benedetto Croce (Primi contatti fra Spagna e Italia.
Memoria letta all'Accademia Pontaniana nella tornata del 19 novembre 1893 dal socio Benedetto Croce,
Napoli, Tip. della Regia Universita, 1893) apparsa sul Giornale storico della letteratura italiana , XXIV
(1894), pp. 201 – 231: a p. 209 si trascrivono i versi citati, appunto sulla base di Nostradamus, ma si
accenna vagamente all ipotesi che siano attribuibili non a Federico I, quanto piuttosto allo stesso
”erengario IV. Francesco Trucchi, nell edizione d un testo antologico riportante anche le liriche dei
primi secoli (cfr. Poesie italiane inedite di dugento autori. Dall’Origine della Lingua Infino al Secolo
Decimosettimo. Raccolte e illustrate da Francesco Trucchi etc. Volume I. Prato. Per Ranieri Guasti, 1846, p.
XIX, riporta il discordo bilingue, attribuendolo appunto a Federico ”arbarossa. Sui descortz cfr ora P.
CANETTIERI, Descortz es dictatz mot divers. Ricerche su un genere lirico romanzo del XIII secolo, Roma, Il
”agatto,
, che prò non fa nessun riferimento al testo federiciano. “ mo di riflessione finale si
ricordi che Voltaire, citato da un Ticozzi traduttore del Seroux (e vedi Storia dell’’“rte Dimostrata coi
Monumenti dalla sua Decadenza nel IV Secolo fino al suo Risorgimento nel XVI di G.B.L.G. Seroux
D’“gincourt, Tradotta ed Illustrata da Stefano Ticozzi. Volume Primo. Prato, per i Frat. Giachetti,
MDCCCXXVI, p.
, aggiungne a questi versi un osservazione che, se fosse giusta, non sarebbe
favorevole ad una parte del lavoro ch io intrapresi sc. La descrizione dei monumenti europei): dice essere
tali versi di lunga mano inferiori alle ruine degli edificj del medio evo che una materiale curiosità, priva
di buon gusto, avidamente ricerca . Tuttavia Voltaire, che pure qui mostra un certo elitario disprezzo
per certi esiti della letteratura medioevale, nel primo volume dei suoi Essai sur le moeurs, era stato il
primo che aveva tentato un approccio filologico al presunto testo del Barbarossa, ad esempio
ipotizzando al secondo verso, al posto del vocabolo onrar onorare, rendere onore , un più congruo –
da un punto di vista logico, trattandosi della mercantile Genova – ouvrar operare, darsi da fare .
Quanto alla forma “ngles o “nglez , il citato Canettieri, in riferimento a un famoso descort di
24
TESTO SARACENI
TESTO GINGUENÉ26
Plas mi cavalier Francés
E la donna Catalana
E l’onrar del Genoés
E la court de Castellana,
lou cantar Provenzales
E la dansa Trivisana
E lou corps Arragones
E la perla Jullianna,
la mans e kara d’“ngles
E lou donzel de Thuscana.
Plas my cavallier Francès
E la donna Catalana,
E l’onrar del Ginoès
E la Court de Castellana,
lou cantar Provensalès
E la dansa Trivisana
E lou corps Aragonnès
E la perla Julliana
la mans e Kara d’“nglès
E lou donzel de Thuscana.
Si sono posti l uno accanto all altro i due testi, perché la loro assoluta difformità
risulta evidente; essi sono entrambi riportati seguendo scrupolosamente il dettato degli
originali e questo lascia pensare che la fonte a cui si è ispirato il Saraceni, lungi
dall essere quel Ginguenè che egli implicitamente cita nel Federico, sia diversa (a meno
di voler pensare – stando agli interessi medioevistici del nostro – a una sua trascrizione
autonoma e a emendazioni ope ingenii dovute a lui stesso .
Ora varrà la pena, al puro scopo di comparazione semasiologica e senza nessuna
pretesa di fornire un testo filologicamente sicuro o una recensio esauriente, proporre
alcuni tra i tanti testi alternativi, tenendo presente che, salvo errore, tra quelli editi non
se ne reperisce uno che sia uguale all altro
127.
228.
Raimbaut de Vaqueiras (Descortz es dictatz cit., pp. 184 –
, dove si analizza la lirica Engles, un novel
descort , cita il vocabolo con l iniziale E , lasciando molti dubbi sulla veridicità del componimento in
questione (che dal Canettieri medesimo non è peraltro menzionato in alcun modo, datando egli il più
antico descort conosciuto e attribuito proprio a Raimbaut – Ses si tot ma don et amor – al 1196 ca.).
Si ringrazia, per l occasione, il prof. Corrado Bologna che si è gentilmente prestato ad utili suggerimenti
in proposito.
26 Storia della Letteratura Italiana di P.L. Ginguené Membro dell’Istituto di Francia. Traduzione del prof.
Benedetto Perotti. Tomo I, Milano, dalla Tipografia di Commercio, 1823, p. 223 e n. 1. Si tenga conto che, a
voler sfogliare alcune tra le opere che riportano il descortz tra il diciassettesimo e la prima parte del
diciannovesimo secolo, non se ne trova una che riporti la stessa forma presente in uno qualsiasi degli
altri testi.
27 Licée Francais ou Mélanges de Littérature er de Critique par une Société de gens de Lettres. Tome II. Paris,
Bechet, 1819, p. 225.
28 Essai sur L’Histoire de Provence, suivi d’une Notice del Provençaux celebres. Tome premier. A Marseille, de
l Imprimerie de Jean Mossy, MDCCLXXXV, p. XXVIII.
Plas my cavalier Francez,
E la donna Catalana,
E l’onvrar del Gynoez,
E la court del Castellana:
Lou cantar Prouvençalez,
E la dansa Trivyzana,
E lou cor Aragounez ,
E la perla Juliana,
Las inans é kara d’“nglez,
E lou donzel de Thuscana.
Plas–my Cavalier Francés,
E la donna Catalana,
E l’onrar del Ginoés,
E la Cour de Kastellana,
Lon kantar Provençales.
E la dansa Triuuysana,
E lou corps Aragonez,
E la perla Juliana,
Las mans & Kara d Anglez,
E la donzel de Thuscana.
329.
430.
Plas mi Cavalier Francez,
E la donna Catalana,
E l’onrar del Ginoes,
E la court de Castellana;
Lou cantar Prouençalez,
E la danza Trevisana,
E lou corps aragonez .
E la perla Juliana;
La man e Kara d’“ngles,
E lou donzel de Toscana.
Plas my cavalier francès,
È la donna Catalana,
È l’ouvrai del Ginoès,
È la cour de Castellana,
Lou Cantar prouvençalès ,
È la danza Trevizana,
È lou corps Arragones,
Ê la perla Juliana;
Las mans e cara d’“nglés,
È lou douzel de Thoscana.
531.
632.
Plas my Cavallier Francés,
E la Donna Catallana,
E I’onrar del Gynoés,
E la Cour de Kastellana.
Lou cantar Provensallés,
E la dansa Triuyzana,
E lou corps Aragonnés,
E la perla Julliana,
Plas mi cavalier frances,
E la donna catalana
E l’onrar del Ginoes,
E la court de Castellana;
Lou cantar provencales
E la danza trevisana,
E lou corps aragones,
E la perla juliana;
TICOZZI, Storia dell’'“rte cit., p. 356.
Memoires de la Société Royale des Sciences, de l’“griculture et des “rts, a Lille. 2e semester de 1827 et année
1828. “ Lille, de l Imprimerie de L. Danel, 29.
31 Recherches sur les Theatres de France, Depuis l’année onze cens Soixante & un, jusques à present. Part M. De
Beauchamps. Tome Premier. A Paris, Chez Prault, Pere, Quai de Gêvres, au Paradis. MDCCXXXV. Avec
Approbation & Privilége du Roi, pp. 3 – 4.
32 Dante e le Origini della Lingua e della Letteratura italiana. Per Fauriel. Versione Italiana con Note di Girolamo
Ardizzone. Vol. I. Palermo, presso la Società Libraria di Agostino Russo e Compagni, 1856, p. 252.
29
30
Las mans, & Kara d’“nglés,
E lou Donzel de Thuscana.
La mans e Kara d’“ngles,
E Lou donzel di Toscana.
733.
834.
Plas mi cavalier Frances
E la dona Catalana
E l’onraz del Ginoes
E la court de Castelana
Lou cantaz provençales
E la dansa trevizana
E lou corps aragones
E la perla juliana
La mans e kara d’angles
E lou donzel de Toscana.
Plas mi cavalier Frances,
Et la donna Cathalana,
Et l’ourar de Cynoes,
E La cour de Kastellana,
Lou cantar Provensales,
Et la danza Trevisana,
Et lou cor Aragonez,
La perlas de Giuliania,
Las mans e cara d’“ngles,
Et lou donzel de Toscana.
935.
1036.
Plas mi Cavalier Francès
E la donna Catallana,
E l’ontar del Gynoès
E la Cour di Kastellana;
Lou cantar Provensallès,
E la dansa Trivysana,
E lou corps Aragonnès.
E la perla Julliana;
Les mans & kara d’“ngles,
E lou Donzel de Thuscana.
Plas mi cavallier Frances
E la dama Catalana
E l’onrar del Genoes
E la Cour de Castellana.
Lo cantar Provensales
E la dansa Trivisana
E lo corps Aragones
E la perla Juliana,
La mans e cero d’“ngles,
E lo donzel da Touscana.
Histoire de la Langue Romane (Roman Provençal). Par Francisque Mandet, Paris, chez Dauvin et Fontaines,
1840, pp. 144 –
il Mandet non si sa su quali basi, attribuisce il descort al
. Un testo
formalmente uguale – tranne che per i nomi di popoli messi con la minuscola e le virgole in fine di
verso – in Le Rhin. Lettres à un ami Par Victor Hugo. Tome Premier. Paris, Nelson Editeurs, Londres,
Édimbourg et New-York, 1838, pp. 387.
34 A.L. MILLIN,
Histoire Littéraire. Essai sur la Langue et la Littérature Provençale , in Magasin
Encyclopédique, ou Journal des Sciences, des Lettres et des Arts; Rédigé par A.L. Millin, etc., a Paris, chez
Tourneisen fils, MDCCCVIII, pp. 60 – 89, in part. pp. 71 – 72. Il medesimo testo in Grammaires Romanes
Inédites, du Treizieme Siécle, pubblées d’apres les Manuscrits de Florence et de Paris, par F. Guessard. Paris,
Imprimerie de Schneider et Langrand, 1840, pp. 14 – 15.
35 J.B. MAILLY, L’esprit des Croisades, ou Historire Politique et Militaire des Guerres entreprises, par les
Chrétiens contre les Mahométans, pour le recouvrement de la Terre-Sainte, pendant les Xe. XIIe & XIIIe. Siecles.
Tome II. A Dijon; Chez L.N. Frantin, Imprimeur du Roi, MDCCLXXX, pp. 379 – 380, n. 1
36 Dell'amor patrio di Dante e del suo libro intorno al volgare eloquio, apologia composta dal Conte Giulio
Perticari. Bologna presso Giuseppe Veroli librajo. Lugo, dai Tipi di Vincenzo Melandri, 1822, p. 330 n. 2.
33
1137.
1238.
Plas mi cavallier Francés
e la donna Catalana;
el onrar del Ginoés;
e la court de Castellana;
lon cantar Provensalés,
e la dansa Trivisana;
e lon corps Aragonés;
e la perla Julliana;
la mans e kara d’“nglés,
e lon donzel de Thuscana.
Plas my Cavallier Frances
E la Dama Catalluna
E l’onrar del Gynoes
E la Cour de Kastellana
Lou Kantar Provensalles
E la Danza Triuyzana
E lou corps Aragonnes
E la Perla Julliana
Las Mans e Kara d’“ngles
E lou Donzel de Thuscana.
Come si vede, non esiste un testo che non presenti una sia pur minima variante
rispetto ad un altro, e questo rende chiara la ragione per cui nessun esegeta, neppure il
Canettieri nel suo pregevole volume sui descortz , abbia voluto occuparsi di tale
lirica (o dar credito alla sua genuinità, teste lo stesso Canettieri che praticamente e
implicitamente non la ritiene autentica). Non è scopo del presente saggio se non quello
d esortare ad un edizione critica del carme, o almeno a dar luogo a un analisi che – se
contraria alla veridicità del testo – affermi il come ed il perché di tale affermazione,
dato che, se invece la lirica è davvero attribuibile al Barbarossa, allora in tutta evidenza
essa rappresenterebbe il più antico descort conosciuto.
3. Interessante appare la corrispondenza intrattenuta dal Saraceni con F.D. Guerrazzi,
della quale non abbiamo le missive saraceniane, ma possiamo in certo qual modo
inferirne il contenuto dalle inedite minute delle risposte del Guerrazzi che sono
conservate nella Labronica di Livorno. La corrispondenza si svolse in un periodo
limitato, dal 1871 al 1873 (anno della morte del Guerrazzi), e consta solo di quattro
lettere, nelle quali il Guerrazzi si dilunga più su se stesso che sui testi del Saraceni.
Ecco la prima39:
U. FOSCOLO, Epoche della lingua italiana [
], consultato in Opere, cur. M. Puppo, Milano,
Mursia, 1962, p. 573.
38 Vite de’ Più Celebri Poeti Provenzali Scritte in Lingua Francese da Giovanni di Nostradama, E trasportate
nella Toscana, e illustrate, e accresciute da Gio. Mario Crescimbeni Arciprete di S. Maria in Cosmedia, e Custode
Generale d’“rcadia. Edizione seconda, corretta, e ampliata dallo stesso Autore. In Roma, Per “ntonio de Rossi,
certamente l archetipo .
39 Per l elenco delle lettere guerrazziane, cfr. L. TOSCHI, L'epistolario di F.D. Guerrazzi. Con il Catalogo delle
lettere edite e inedite, Firenze, Olschki, 1978. le letere sono le seguenti: 12 maggio 1871, Cecina - A Pietro
[Saraceni?], Aut., in BLL (Biblioteca Labronica Livorno), c. XI, 86 (Toschi, p. 434); 16 giugno 1872,
Cecina - A Pietro Saraceni, [Chieti?], Ms., in BLL, C. XI, 177 (Toschi, p. 437), 20 giugno 1872, Cecina - A
Pietro Saraceni, [Chieti?], Ms., in BLL, C. XI, 179 (Toschi, p. 437); 1873, Cecina - A [Pietro Saraceni?],
[Chieti?], Ms., in ”LL, c. XII,
Toschi, p.
. L ultima di queste missive è già stata pubblicata in
37
Caro signor Pietro,
L’altro dì ebbi un libro di Vs intorno a Corradino di Svevia, che non ho potuto anco leggere.
Oggi ricevo una compitissima sua lettera alla quale rispondo40 succinto, che faccia tutto ciò che
le sembra spediente,41 grato dal profondo del cuore a tanta benevolenza e devozione per me. Qui
ritirato in campagna, franco delle turpi faccende pubbliche42 scrivo anch’io un libro di lunga
lena. Il secolo che muore, composto a modo di Dramma, ma so istrappare le fasce marcite43 a a
questa Società schifosa e rea. Spiacemi non avere più l’impeto dei miei 30 anni, ma come disse
Don Giovanni alla Statua del Commendatore Loiola: farò quel che potrò.
Addio; stia sano, e vada securo che del suo affetto io lo ricambio
Aff. Suo D. Guerrazzi
Cecina, 12 maggio 1871
Da codesta lettera è facile inferire che Saraceni aveva intenzione di spedire al
Guerrazzi, oltre che il Corradino, altri suoi romanzi, vista l evidente adorazione nei
confronti dell autore livornese. Quest ultimo, dal canto suo, ribadisce il proprio
carattere alieno dai compromessi e non condiscendente con il mondo letterario che lo
circonda, dichiarando al contempo la prossima pubblicazione d un testo, Il secolo che
muore, che viene considerato una sorta di testamento spirituale44. Non si sa quanto
Saraceni potesse essere d accordo con le acerrime espressioni guerrazziane si noti
infatti la virulenza di quell voler
istrappare le fasce marcite a a questa Società
schifosa e rea , ma senza dubbio si può pensare che anche la corrispondenza con lo
scrittore di Chieti poetesse essere, per il Guerrazzi, un altra sorta di valvola di sfogo al
suo animo esacerbato e inasprito dalle proprie vicende personali.
Riguardo il Corradino, una seconda missiva, quella del 16 giugno 1872, può
aiutare a far luce sui travagli compositivi del Saraceni. essa si presenta in veste doppia,
vale adire una versione ridotta per il Saraceni sodale e un altra che si potrebbe definire
pubblica , perché, come avvenne, il Saraceni medesimo la stampasse come prefazione
PANNUNZIO, Il passato e la scena cit., pp. 63 – 64, e dunque è qui assente. Sì sono corretti gli evidenti
errori presenti nelle minute con ovvie integrazioni ope ingenii .
40 rispondendo nella minuta.
41 Senza virgola nella minuta.
42 pubblico , in minuta.
43 marciote , nel testo.
44 Cfr. F.D. GUERRAZZI, Il secolo che muore, 4 voll., Roma, Verdesi, 1885. Il secolo che muore rappresenta
una condanna totale della società e di tutte le attività professionali, condanna dalla quale – in un
rigurgito bucolico e di stampo vicino al socialismo utopistico di Owen – si salva soltanto la figura
dell agricoltore il romanzo infatti si conclude con la visione idealizzata di una società rurale, collocata
nelle pianure dell Ovest americano, che in realtà è una sorta di proiezione fantastica della stessa fattoria
ove il Guerrazzi trascorse i suoi ultimi anni.
al suo Corradino45. Come per la precedente, si riporta qui integralmente il testo di
entrambe:
Al professore Pietro Saraceni
I.
Carissimo,
Non serbo mica copia di lettere; rimandatemi la mia che la leggerò e correggerò dove mi parrà
spediente, trattandosi stamparla; piacemi la vostra discrezione e la lodo.
Ho letto il Corradino: è scritto assai bene; vi hanno scene eccellenti; ma qui avete molti di fronte
e supremi. E poi la qualità della composizione invecchia. Or subentra il periodo delle storie,
delle monografie e dei drammi e romanzi sociali.
Ai viventi preme più conoscere le miserie odierne che le antiche.
Voi lo vedete, anch’io mi sono trasformato come ho potuto ma io sono alla porta coi saggi.
Addio: statemi sano, e vogliatemi bene.
aff.mo Amico Guerrazzi
Cecina, 16 giugno 1872
II.
(lettera mandatami acciocché la stampassi)
Caro Pietro,
Dieci anni fa’ voi pubblicaste un libro sopra Masaniello, e lo voleste dedicato al mio nome. Ve ne
proffersi debite grazie, ed in compenso della vostra benevolenza vi apersi candido l’animo mio
sopra cotesta opera del vostro ingegno
Oggi, dopo dieci anni, ristampando voi quel libro, il quale (mi dite) mutato così che par rifatto,
volete rinnovarmi la prova della vostra affezione col dedicarmelo da capo; ed io ora, come allora,
ve ne ringrazio ed accetto.
Quanti più posso vi esorto a dare opera agli studi storici. che se vi sentiste chiamato ad esporre
la storia italiana per via di dramma come adoperò il Dumas padre, io vi conforterei a volgere al
Dumas la leggerezza e la jattanza, però che più che infermità io la riconosco parte essenziale del
cervello francese, in confronto al bene che avrebbe potuto il suo concetto partorire, rendendo
presso i Francesi popolare la storia del proprio paese. E se ciò non poteste conseguire pigliate ad
approfondire qualche fatto storico, merché monografie, o ad illustrare, per mezzo di biografie la
vita di qualche grande sventurato, o messo in oblio o poco conosciuto.. L’“merica e la
Inghilterra per alcuni dei nostri fecero questa opera di carità letteraria. I giovani scrittori
45
Cfr. P. SARACENI, Corradino di Svevia: racconto storico, Milano, C. Barbini, 1871.
italiani non consentano che altri paghi per loro il tributo di un pio ricorso a quelle povere anime
che da questo in fuori altro non chiesero, né possono ottenere dal mondo.
Per me ho dato l’addio al passato, innanzi al partirmi voglio conoscere più partitamente che
posso la cosi detta Civiltà in mezzo la quale vivo, e se meriti essere conservata, o disfatta.
Romito in questa terra, che ha visto morire la civiltà etrusca e la romana, detto un libro cui
diedi per titolo: il Secolo che muore. Spiacemi non avere più la veemenza dei miei trenta anni;
pazienza! Come disse Don Giovanni alla statua del Commendatore Loiola: – farò quel che potrò!
–.
State sano, e state certo che del vostro affetto io vi ricambio.
Cecina, 20 giu: 1872
Aff.mo F.D. Guerrazzi
La lettera, innanzitutto, vien fuori dalla fusione di quella scritta quattro giorni
prima con l altra del
maggio ed è – per gli studiosi del pensiero guerrazziano – la
riconferma di quanto s è detto riguardo le delusioni e le amarezze che colpirono
l ultima fase della vita dello scrittore livornese. D altro canto, è pure motivo d interesse
motivo d interesse quella difesa strenua del romanzo storico contro la sopravveniente
avanzata verista, laddove la storia, nell incipiente fine dell Ottocento, viene fatta
oggetto di studi monografici e scientifici, mentre il teatro e la narrativa di estrazione
realista sono ormai lì per prendere piede all interno del panorama letterario italiano. Il
rimpianto che si ode nelle amare parole del Guerrazzi, ben rappresentato dalla frase
secondo cui [a]i viventi preme più conoscere le miserie odierne che le antiche un
inciso certamente condiviso anche dal Saraceni), è il canto funebre di chi non sapeva
adattarsi ai tempi nuovi, ma anche la nostalgica melopea d un individuo che vedeva
morire – a poco a poco – le idealità e i modelli culturali che avevano nutrito il nostro
Risorgimento. Quanto al Saraceni, questa missiva – oltre a far comprendere,
finalmente, quali siano state le reali giustificazioni che furono alla base del suo distacco
dalla letteratura dopo il 1878 e fino alla morte – ci offre uno spaccato veridico di quali
fossero le aspirazioni del professore teatino, che ambiva forse a succedere allo stesso
Guerrazzi come capofila del romanzo storico e d avventura italiano e si veda, a tal
proposito, l accenno guerrazziano al Dumas . Se ciò non accade, fu perché nuovi tempi
urgevano, e profondamente mutati, e quel tipo dio narrativa era ormai destinata a
finire tra le mani di mestieranti certo volenterosi (come ad esempio il Salgari), ma del
tutto privi di quella forza espressiva che servisse a trarre il genere del romanzo storico
dalle secche della Trivialliterature , da dove lo avrebbero disincagliato più d un
secolo dopo scrittori nostri come Valerio Massimo Manfredi o Andrea Frediani, tanto
per fare soltanto i nomi dei due più conosciuti.