Papers by CARLANGELO MAURO
Del suono kiok, kiok, del verso teck, teck : sulla poesia di Giampiero Neri, 2018
Studi Novecenteschi, 2019
Giampiero Neri \ue8 oggi il maestro della poesia in prosa italiana. L'esordio tardivo, giunto... more Giampiero Neri \ue8 oggi il maestro della poesia in prosa italiana. L'esordio tardivo, giunto alle soglie dei cinquant'anni, ha rafforzato l'originalit\ue0 di un autore lontano da ogni moda, cha ha posto al centro della propria indagine il "problema del male" sulla scena del mondo, un "Teatro naturale" dove gli attori recitano "mossi da una oscura volont\ue0 che li trascende". Gli interventi di questo volume ne perlustrano l'opera attraverso questioni formali (la dialettica tra poesia e prosa) e di contenuto (il cortocircuito tra una scrittura oggettiva, impersonale, e i fantasmi della memoria individuale, nonch\ue9 il rapporto di quest'ultima con la storia collettiva), sollevando problemi che per la loro complessit\ue0 artistica, filosofica, morale, sono destinati a suscitare interrogativi profondi
Giovanni Episcopo e la ripetizione come destino, 2012
Tra le ultime raccolte della copiosa produzione del poeta e critico Luigi Fontanella, docente uni... more Tra le ultime raccolte della copiosa produzione del poeta e critico Luigi Fontanella, docente universitario di Letteratura italiana nell"Università statale di New York, Stony Brook, spicca Disunita ombra, che può essere analizzata come una testimonianza letteraria di uno junghiano processo di individuazione del Sé. In un gioco di specchi e di "doppi", l"autore opera una "riflessione" che mira a costituire un"opera ricca di riferimenti e di ri-letture. Con l"attraversamento di celebri testi letterari e di psicanalisi, come il saggio di Freud sulla Gradiva e la novella omonima di Jensen, Disunita ombra trova una degna conclusione nella sua VI sezione, in cui confluisce il poemetto, già edito, Bertgang. Fantasia onirica. L"unità del Libro nasce da un dittico che si integra organicamente, a coronamento della ritrovata unione dell"opera e della persona.
Oggi, quando le categorie dell"impegno sono state "squalificate" già a suo tempo dalla neoavangua... more Oggi, quando le categorie dell"impegno sono state "squalificate" già a suo tempo dalla neoavanguardiasi ricorderà Balestrini che proclamava «l"intimo fascismo di tutti gli storicismi»e non molti autori italiani, tra i più noti nel quadro della poesia contemporanea, affrontano tematiche civili, scrivere dei libri come il Silenzio dei nomi (2002), Il tempo dell'attesa (2006), Indice delle distanze (2013), implica certamente coraggio, oltre ad una fondamentale abilità tecnica per non scadere nella retorica. Qualità che vanno riconosciute a Rafanelli. Parlare dei «padri laceri nella guerra», nel primo libro, sembra condurci indietro, verso altre epoche, sulle tracce della lirica europea ed italiana sul secondo conflitto, così come i versi che evocano il tempo dei partigiani che «erano lì sulla linea / di dolorosa morte nelle vesti». Ma è la crudele postmodernità, che ha scoperto, mediaticamente, le guerre con bombe e missili "intelligenti", a rivelarsi a Rafanelli, nel Silenzio dei nomi, nella sua più bestiale cecità. I «bianchi balcani» che nel loro gelido deserto di ogni civiltà hanno visto, negli anni "90, nella ex iugoslavia le atrocità più terribili e, ancora una volta, bombardamenti, campi di concentramento, pulizia etnica, i balcani luoghi di guerra dominati dal «gelo degli antichi sguardi» e dalle «piaghe di marmo», sono l"immagine di un nuovo, oscuro medioevo, che non ha nulla di intelligente, nulla di umano. Ma il poeta sembra non fermarsi qui e prosegue, apparentemente divagando, tra il ricordo della tragedia della grande squadra del Torino, perita nel noto incidente aereo del 4 maggio 1949 (Superga), e quello di più recenti tragedie private, come la morte di G., un amico impiccatosi (Anni di silenzio accanto), o quella di una persona cara vittima di un incidente stradale. L"ultimo episodio gli ispira Ho visto nel fiume il fratello, dove scrive, quasi a mo" di poetica, che «le morti sono fisse / nel tempo». Così come è fissa nel tempo la memoria dei padri e delle madri, della civiltà contadina dei «pani neri» e della «fame dei bambini», la ricerca «nella voce degli uomini» de «il grano, l"orzo, la segale», la presenza dei «muri dove i vecchi sono passati con le loro neri vesti» (Nei legni dal forte sole), che è poi l"altro tema fondamentale della poesia di Rafanelli, tema che si affianca a quello sull"inciviltà della guerra e della violenza. La «terra nera» di San Severo, si distende in una diagonale «che tocca il cielo», dove la preghiera dei vecchi si apre alla speranza, «sollievo pietoso / nella città assiepata dal respiro del grano». Anche ne Il tempo dell'attesa c"è una poesia su San Severo, «sulla sapienza / antica che indicava il tragitto». Se la forma, come detto, salva questa poesia dalla retorica, la materia nella sua varietà torna sempre al suo centro, a voler dire una parola su ciò che, quasi per rispetto, richiederebbe il silenzio. Non c"è consolazione in questa circolarità, ma un rimarcare più a fondo che i valori Per le poche citazioni di interventi critici si rimanda all"Antologia della critica presente sul sito http://www.lorettorafanelli.altervista.org .
Carlo Cipparrone nella sua lunga carriera di poeta e di collaboratore di riviste di poesia e lett... more Carlo Cipparrone nella sua lunga carriera di poeta e di collaboratore di riviste di poesia e letteratura − è tra i fondatori e redattore, attualmente, di "Capoverso" rivista prodotta e distribuita da Edizioni Orizzonti meridionali di Franco Alimenaha pubblicato non molti libri di versi: Le oscure radici (1963), L'ignoranza e altri versi (1985), Strategie nell'assedio (1999) e Il poeta è un clandestino. Non ha certo contribuito all"inflazione poetica in atto causata dai molti "autori di un libro all"anno". Ha vissuto la poesia come un"attività da coltivare in semiclandestinità, riservandosi degli spazi di collaborazione di qualità, ma stando lontano da quell"idea di "managerialità" del "mestiere" di poeta con insistenza mediatica sulla propria immagine (per quanto sia possibile oggi nel campo poetico). C"è da aggiungere che molte poesie di Cipparrone, però, sono inedite o disperse in varie riviste ed antologie. A suo onore c"è poi la pubblicazione sulla rivista "Marsia" nel 2011 del melologo Sirene, che tra poesia e musica è ispirato ai naufragi nei pressi di Lampedusa. A suo onore, perché riflettere su eventi del genere, ormai triste cronaca dei nostri giorni, riflettere sull"orribile metamorfosi del mediterraneo − oggi che le dimensioni del problema dei profughi hanno assunto proporzioni apocalittiche − in un mare di morti, sembra divenire un dovere morale. O meglio denunciarne implicitamente o esplicitamente la tragicità dovrebbe essere dovere di ogni intellettuale-poeta che non abbia paura della trita e ritrita accusa di retorica e di buonismo. È la scelta linguistica, la perizia tecnica, non l"argomento in sé che condanna alla retorica. Cipparrone anzi ha fatto dell"attacco ad ogni forma di retorica, compresa quella del ruolo del poeta oggi (quale poi?) un dovere etico. Riprendendo i temi del crepuscolarismo, egli ha fatto della "vergogna" del poeta, del sentirsi dire "poeta", il fondamento del suo discorso, «celato agli occhi degli altri». Il senso di colpa si tramuta in senso di responsabilità della parola. Cipparrone sa di parlare ad un pubblico molto ristretto, nicchia nella nicchia in cui è rinchiusa oggi la poesia per vari e complessi motivi, ma vuole comunque farsi capire preferendo «l"aperta campagna» nei confronti dell"«estetica del fiore fragile [...]». Abbassa come i crepuscolari il tono poetico, si definisce «perdente» perché sa in anticipo che non passerà alla storia, ma non lotta certo per farlo («non vado in cerca di editori»), consapevole che «dei milioni di poeti / vissuti in venti secoli, / pochi hanno conquistato la gloria, / un posto nella Storia». Si sente un clandestino anche, o forse soprattutto, di fronte a chi uccide il significato, vale a dire si ostina, a suo dire, «a uccidere il senso / nei propri versi» per porsi sempre all"avanguardia, magari barando le carte, mentre Cipparrone vuole nel suo viaggio (cfr. p. 23) stringere «a sé il bagaglio del senso». Egli sembra voler ritornare, rifunzionalizzando il motivo di Saba, alla "poesia onesta"in epigrafe pone i versi del poeta triestino: Parlavo a un popolo di morti. / Morto al loro rifiuto chiedo oblio − agli «onesti poemi» rigettati dalla critica e dagli stessi compagni poeti che bandiscono chi si è già esiliato da solo. Insomma leggere le sue poesie è un buon antidoto alla presunzione, alle allucinazioni di sentirsi vati sedendosi su una delle grandi tradizioni poetiche (non esiste ovviamente solo quella lirica), quando ormai il poeta ha perso da tempo l"aureola, teste Baudelaire, quindi ogni forma di mandato sociale e quando molti in cuor loro coltivano illusioni destinate a cadere senza aver consapevolezza né dei loro limiti né della condizione del poeta oggi: «[...] spargo semi che il vento disperde / in riarsi campi / infecondi come uteri sterili». Scorrendo i testi di questo autore sulla necessità del limite, del tenere ben saldi «i piedi in terra», dell"umiltà (da humus) in chi pratica la scrittura poetica, fa sorridere il motivo della reincarnazione contenuto nel testo Povertà dell'anima: nel "personaggio che dice io" rivive l"anima di un grande poeta (la tradizione) che però ha già dato fondo a tutte le sue risorse non lasciandogli più nulla: «Per mia sfortuna / quel fottuto genio scialacquatore / ne aveva dilapidato le sostanze / lasciandomi in dote / un"anima ridotta in miseria». Come a dire che noi, nani sulle spalle dei giganti, rimaniamo nani e il nostro sguardo è, deve essere, quello di un «animale di terra». Ristabilire un confine, in primo luogo al narcisismo di ogni io-poetico, sembra essenziale per l"autore di Il poeta è un clandestino, come anche il confine, appunto, della clandestinità del discorso poetico rispetto ad un pubblico che non c"è e che preferisce altri ambiti di comunicazione: «amici distratti [...] dimenticano» le parole della poesia per cui esse non bastano più (cfr. il titolo della prima sezione). Si tratta in
ha definito Uno, nessuno e centomila, il romanzo testamentario di Pirandello, «un affannoso e più... more ha definito Uno, nessuno e centomila, il romanzo testamentario di Pirandello, «un affannoso e più o meno consapevole esperimento di autoanalisi nonché di autoterapia». Il percorso di ricerca del protagonista, che si conclude, nel suo «nichilismo vitalistico» (Pupino), con la dispersione dell'identità, il rifiuto del nome, l'estasi panica nel flusso vitale della natura, sembra esprimere, dialetticamente, secondo le parole dell'autore, «il lato positivo del suo pensiero»: "l'annunciatore della vita" come ipostasi del poeta e dello scrittore, archetipo simbolico raggiunto in un lungo percorso di individuazione. Giancarlo Mazzacurati defined One, No One and a Hundred Thousand, as Pirandello's testamentary novel, a breathless and more or less conscious experiment of self-analysis as well as of self-therapy». The protagonist's research, which concludes itself in his «vitalistic nihilism» (Pupino), with the fragmentation of the identity, the refusal of the name, the panic ecstasy in the vital stream of nature, seems to express, dialectically, as the author says, «the positive side of his thought»: "the announcer of life" as hypostasis of the poet and of the writer, symbolic archetype reached in a long way of identification. Parole chiave Pirandello, romanzo, Uno, nessuno e centomila Contatti [email protected] 1. Il naso. Il guardarsi di Moscarda dentro la narice allo specchio, strumento topico del doppio, è l'abbrivio gogoliano dell'autoscopia di Uno, nessuno e centomila, libro che risente di diversi spunti e influenze del romanzo europeo, soprattutto del Tristam Shandy di Sterne. 1 La fisiognomica, a Pirandello ben nota, insegna che il volto è specchio dell'anima ed è sul naso, per Lavater una delle parti più importanti e meno camuffabili del volto, su cui si concentra Moscarda spinto dalla moglie Dida. Già l'autore, che «interpretava il suo nome come pyros anghelos» e di cui Vitangelo «è evidente alter ego onomastico », 2 in un passaggio dell'Umorismo (1908), si sofferma sul naso: «Che faccia ci hanno dato per rappresentare la parte del vivo? Un brutto naso? Che pena doversi portare a spasso un brutto naso per tutta la vita...». 3 Quando la moglie dice al suo Gengé che il naso di lui pende a destra,
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