A
Collana DOCUMENTA
PAESAGGIO
VIRIDIS
SUSSISTENZA
A QUELLO DELLA
WILDERNESS
DAL
DELLA
LAPIS
La necropoli di Craveggia e
pietra ollare
in Valle
VigezzoVal Grande
Illaterritorio
del Parco
Nazionale
come
di lettura eVal
interpretazione
Museolaboratorio
del Parco Nazionale
Grande
diacronica del paesaggio
a cura di Giuseppina Spagnolo Garzoli
a cura di Claudia Cassatella
Parco Nazionale Val Grande
Collana DOCUMENTA
1.
2.
3.
4.
SILVANO CARNESECCHI, Il tempo della buzza, 2011
GIUSEPPINA SPAGNOLO GARZOLI a cura di, Viridis lapis. La necropoli di Craveggia e la pietra
ollare in Valle Vigezzo. Museo del Parco Nazionale Val Grande, 2012
FABIO COPIATTI, ELENA POLETTI ECCLESIA a cura di, Messaggi sulla pietra. Censimento e studio
delle incisioni rupestri del Parco Nazionale Val Grande, 2014
CLAUDIA CASSATELLA a cura di, Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness.
Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica
del paesaggio, 2016
Collana DOCUMENTA
Dal paesaggio della
sussistenza a quello
della wilderness
Il territorio del Parco Nazionale
Val Grande come laboratorio di lettura
e interpretazione diacronica
del paesaggio
a cura di
Claudia Cassatella
Parco Nazionale Val Grande
Edito da Ente Parco Nazionale Val Grande
Ideazione e coordinamento generale:
Tullio Bagnati (Parco Nazionale Val Grande), con
la collaborazione di Gianni Pizzigoni (Museo
del Paesaggio, Verbania) e Barbara Grippa
Graphic design: Dario Martinelli
Fotografie: Archivio fotografico Enzo Azzoni,
Tullio Bagnati, Daniela Boglioni, Fabio Copiatti,
Eugenio Galbiati, Giacomo Gallarate,
Maurizio Gomez Serito, Raffaele Marini,
Cristina Movalli, Giancarlo Martini,
Massimo Mattioli, Andrea Mosini,
Giancarlo Parazzoli, Manuel Piana, Dino Perrotta,
Bianca Maria Seardo, Tim Shaw,
Marco Tessaro, Bernhard Herold Thelesklaf,
Claudio Venturini Delsolaro,
Carlo Zanetta, Marco Zerbinatti
Pagine 186-187 riproduzione «Veduta di Intra
dal lago» di Luigi Litta, per gentile concessione
Libreria Spalavera (Via Ruga / Pallanza/ VB)
La pubblicazione dei documenti cartografici
è autorizzata dall’Archivio di Stato di Torino
(autorizzazione n. 2515/28.28.00-60 del
15.06.2016) e dall’Istituto Geografico Militare
(autorizzazione n. 6893 del 03.06.2016)
Progetto di ricerca e mostra realizzati
nell’ambito del programma EXPO e i Territori,
APQ, Delibera CIPE n.49/2014 Ministero
dell’Ambiente - Parco Nazionale Val Grande.
Azione n. 42 «Ecomuseo delle Valli Intraschae
(o Vallintrasche)» della Carta Europea del Turismo
Sostenibile (CETS), quinquennio 2013 - 2017.
Stampa:
Tipolitografia Press Grafica Srl,
Gravellona Toce (VB)
Copyright © 2016, Parco Nazionale
Val Grande e degli autori per i testi.
Tutti i diritti riservati
ISBN: 9788897068068
Il volume costituisce l’esito della ricerca
«Dal paesaggio della sussistenza a quello della
wilderness. Il territorio del Parco Nazionale
della Val Grande come laboratorio di lettura
ed interpretazione diacronica del paesaggio»,
svolta da gennaio a settembre 2016, per incarico
dell’Ente Parco, dal Dipartimento Interateneo
di Scienze, Progetto e Politiche del Territorio
del Politecnico e Università di Torino (DIST) e
in particolare dalla Scuola di Specializzazione
in Beni Architettonici e del Paesaggio e dal
Centro Europeo di Documentazione sulla
Pianificazione dei Parchi Naturali (CED-PPN).
La ricerca si è avvalsa di numerosi contributi,
spesso integrati in modo interdisciplinare.
Restando di ciascun autore la responsabilità
del proprio scritto, questa nota descrive le
competenze che sono state generosamente
messe a disposizione del lavoro collettivo.
Coordinamento scientifico:
Claudia Cassatella (Politecnico di Torino,
DIST), Roberto Gambino (Politecnico di
Torino, CED-PPN), Carlo Tosco (Scuola di
Specializzazione in Beni Architettonici e
Paesaggio del Politecnico di Torino, Direttore)
Coordinamento operativo: Bianca Maria
Seardo (Politecnico di Torino, DIST)
Gruppo di ricerca
Claudia Cassatella (Politecnico di Torino, DIST),
Roberto Gambino (Politecnico di Torino, CEDPPN), Gabriella Negrini (Politecnico di Torino,
CED-PPN), Bianca Maria Seardo (Politecnico di
Torino, DIST): aspetti pianificatori territoriali e
paesaggistici, sintesi paesaggistiche e strutturali;
indagine sociale (Bianca Maria Seardo)
Federica Corrado (Politecnico di Torino, DIST)
e Giacomo Pettenati (Università di Torino,
DCPS): aspetti socio-economici e territoriali.
Carlo Tosco, Chiara Devoti, Chiara Tanadini
(Politecnico di Torino, Scuola di Specializzazione
BAeP): aspetti storico-territoriali.
Federica Larcher e Lucia Salvatori (Università
di Torino, DISAFA): aspetti agro-ecologici.
Gabriele Garnero e Paola Guerreschi
(Università di Torino, DIST): elaborazioni
fotogrammetriche e GIS per l’interpretazione
diacronica del paesaggio.
Maurizio Gomez Serito (Politecnico di
Torino, DIATI): aspetto geologici.
Marco Zerbinatti (Politecnico di Torino, DISEG,
Scuola di Specializzazione BAeP): aspetti
tecnologico-costruttivi del patrimonio costruito.
Il curatore e gli autori desiderano ringraziare
l’Ente Parco per l’attiva collaborazione
alle attività di ricerca e gli abitanti del
territorio per la loro disponibilità e
preziosa partecipazione all’indagine.
Indice
Presentazione
Interrogarsi sul paesaggio
Tullio Bagnati
I.
La Val Grande tra wilderness, Parco ed Ecomuseo
Roberto Gambino
II. Wilderness, paesaggio, natura protetta: i termini della questione
Claudia Cassatella, Gabriella Negrini
III. Il territorio e i suoi valori
Bianca Maria Seardo
IV. L’interpretazione strutturale del paesaggio
Bianca Maria Seardo, Claudia Cassatella, Roberto Gambino
Una rassegna tipologica riassuntiva dei paesaggi della Val Grande e delle Vallintrasche
I paesaggi della wilderness
I paesaggi delle creste
I paesaggi dei boschi
I paesaggi insediati e coltivati
I paesaggi della contemporaneità
Il paesaggio del lago
V.
La Val Grande dal popolamento alla Wilderness: un percorso storico
Carlo Tosco
VI. Le trasformazioni della struttura territoriale nell’area del Parco della Val Grande.
Persistenze e variazioni a partire dai catasti storici.
Chiara Devoti
Mappare le trasformazioni del territorio:
dalla piattaforma per la georeferenziazione dei dati alle carte tematiche
Chiara Tanadini
VII. Metodologie geomatiche in supporto all’attività di analisi e interpretazione del paesaggio
Gabriele Garnero, Paola Guerreschi
Volo GAI
Ripresa regionale «Ferretti»
Ripresa regionale 1991
Ripresa regionale Alluvione 2000
VIII. I paesaggi agroforestali: struttura, qualità e dinamiche.
Federica Larcher, Lucia Salvatori
Cicogna
Intragna
Colloro
IX. La montagna utilizzata come sistema produttivo
Marco Zerbinatti
X.
Le pietre utili della Val Grande
Maurizio Gomez Serito
XI. La montagna percepita
Claudia Cassatella, Bianca Maria Seardo
XII. L’economia e le società locali
Federica Corrado, Giacomo Pettenati
XIII. Riflessioni conclusive
Roberto Gambino
Riferimenti bibliografici
6
7
13
21
51
67
72
72
74
76
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80
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219
La presentazione del libro « Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness» è prima di tutto il passaggio conclusivo di un
percorso iniziato con EXPO che ha avuto, tra le sue tappe, la mostra dallo stesso titolo e la produzione del video «Terre di Mezzo».
In realtà il termine conclusivo non è corretto perché – se da un lato si chiude un percorso- dall’altro se ne apre un altro ben più
affascinante e stimolante.
La mostra, il cortometraggio, ora il volume con i risultati della ricerca, consentono infatti una serie di riflessioni storiche,
sociali, economiche di grande attualità ed utilità anche per definire politiche di conservazione e tutela da un lato, di crescita,
identitarie e di sviluppo sostenibile dall’altro.
La Val Grande infatti è un territorio che in passato è stato segnato in maniera importante dalla presenza dell’uomo e solo negli anni a partire dal primo dopoguerra si è assistito ad un ritorno allo stato naturale di un territorio in molti ambiti fortemente
antropizzato.
Il tema della WILDERNESS DI RITORNO quindi è un filo rosso che ci consente di studiare la storia, l’economia, le comunità
valgrandine.
Ed è questo – a mio modo di vedere – l’altra grande utilità del lavoro iniziato con la mostra che svolta tra le iniziative EXPO
vede la sua parziale conclusione con l’edizione di questo libro.
Oltre alle dinamiche della wilderness – quindi conservazione e tutela – nel testo si analizzano anche le dinamiche socio economiche delle «Terre di mezzo» mettendo in correlazione valori naturali con valori identitari e di sviluppo sostenibile.
Può sembrare una contraddizione ma la vera sfida infatti sarà quella di fare della wilderness una delle leve economiche dello
sviluppo locale in cui conservazione e sviluppo sostenibile sono parti dello stesso disegno.
Nella realtà ciò sta già avvenendo: nel territorio del Parco sono infatti presenti iniziative imprenditoriali di successo che hanno
scommesso sugli elementi distintivi del territorio.
E qui si innesta la riflessione finale, forse la più importante di tutte; i ragionamenti fin qui svolti acquistano valore se diventano patrimonio condiviso da parte delle comunità locali che si identificano nella storia del proprio territorio e ne fanno un
elemento da cui partire per pianificare crescita e sviluppo futuri.
In questo senso il progetto – che nasce anche dal lavoro che ha ispirato questo libro – dell’Ecomuseo delle Terre di Mezzo
che ha preso l’avvio e vuole rappresentare non solo un luogo fisico ma soprattutto un luogo ideale in cui le comunità si
identificano nella loro storia, nel paesaggio con le sue mutazioni, negli elementi che lo compongono traendo dalla storia gli
elementi per pianificare – dal basso – la propria crescita.
Buona lettura e buona Val Grande a tutti.
Massimo Bocci
Presidente Parco Nazionale Val Grande
Interrogarsi sul paesaggio
La Val Grande, intesa nella sua connotazione di «città estiva», di spazi coltivati, di alpeggi «caricati», è ormai silente da decenni.
E attraverso il momento del silenzio, ci rammenta Eugenio Turri, si ha il senso del tempo: «così nel silenzio, nell’auscultazione
delle voci profonde della natura, ci scopriamo improvvisamente assoggettati al tempo e alla storia, non solo in quanto essere
viventi, ma soprattutto – ciò che più conta – in quanto agenti trasformatori della natura e costruttori di forme. Le quali durano
sin quando non decidiamo, spinti dall’ansia di un presente insaziabile, che esse vanno sostituite con nuove forme…»1.
Così il paesaggio della Val Grande osservato oggi, privo di attività, esprime, nel suo essere silente, la sua essenza di spazio connotato di segni e sedimentazioni entro una natura che, nella sua fissità/evoluzione ci fa percepire i fili del tempo.
La metafora letteraria della «città estiva» (VANNI OLIVA), – si contavano infatti 178 i diversi corti e alpeggi della Val Grande che si
riempivano ed animavano stagionalmente per le diverse attività agro-silvo-pastorali –, lascia dunque il posto alla concretezza
del paesaggio percepito oggi nel suo intreccio tra il passato ed il presente, ma anche alla lettura di quella «invisibilità» d’azione
di edificatori di paesaggi rurali (richiamati da Carlo Cattaneo prima, e da Eugenio Turri poi, passando per Emilio Sereni), attori del
passato che ci introducono ai tempi lunghi della storia, che danno sostanza storica al paesaggio.
Sull’archetipo del «paesaggio della sussistenza», contrapposto a quello della wilderness, si è fatto leva per delineare il percorso
di ricerca che si presenta con questo nuovo volume della collana Documenta, e per darne sinteticamente il riferimento metodologico di tipo diacronico. Lo svelamento del sistema dei segni, di quanto dà sostanza storica al paesaggio valgrandino e che
ci fa parlare di uno specifico paesaggio culturale, e l’ascolto delle voci che di questo paesaggio raccontano, è quanto si è iniziato
con la ricerca interdisciplinare svolta con il Dipartimento Interateneo di Scienze, Progetto e Politiche del Territorio (DIST) del Politecnico e dell’Università di Torino. Segni e testimonianze che vanno nella direzione della costruzione di quella geografia della
memoria avviata con le precedenti pubblicazioni della collana, ma soprattutto segni che dobbiamo interpretare per raccordarli
al nostro agire e/o non agire nel territorio del parco e del suo intorno.
Verso un progetto di paesaggio per la Val Grande
La necessità di un «progetto di paesaggio», inteso come strumento di conoscenza, di diffusione e di presa di coscienza dei
caratteri costitutivi ed evolutivi del territorio valgrandino, è allo stesso tempo fondativo delle finalità della ricerca, e di prospettiva per le azioni future del parco, prima fra tutte quella ecomuseale. L’intento iniziale era infatti quello di formare una maggiore
consapevolezza verso il valore di un paesaggio ed i suoi caratteri complessi e processuali, senza ridurlo in facili icone e definizioni, declinandolo essenzialmente entro l’antinomia sussistenza/wilderness. Allo stesso tempo gli elementi di conoscenza e
interpretazione possono costituire, come ci ricorda Roberto Gambino nelle sue riflessioni conclusive, non solo il contesto ideale
per testare le nuove concezioni del paesaggio, ma finanche per costruire risposte (anche attraverso un progetto di paesaggio)
agli interrogativi sottesi alle politiche di governo del territorio del parco in relazione al rapporto wilderness e identità locali, alle
1
E. TURRI (2004), Il paesaggio e il silenzio, Marsilio Venezia, p. 16
ragioni della natura e le percezioni ed aspirazioni degli abitanti.
Da una parte l’obiettivo della ricerca è stato quello di mettere a punto e sviluppare un processo di lettura diacronica della struttura sistemica del paesaggio a partire da tre linee di approfondimento ed un ambito territoriale di sperimentazione: quello della
bassa Val Grande, della Valle Intrasca e della bassa Ossola, ovvero i territori del parco corrispondenti alle cosiddette «terre di
mezzo», aree insediate permanentemente sia con abitati stabili, sia con attività stagionali.
Le tre linee di analisi, studio e approfondimento dovevano indagare i caratteri geo-strutturali, naturali e culturali del paesaggio dei
territori individuati, la formazione e le trasformazioni nel tempo, la sua percezione sociale.
Le osservazioni paesistiche e la lettura descrittiva del paesaggio dovevano svolgersi attraverso un approccio multidisciplinare alla
conoscenza delle relazioni, delle interconnessioni che legano tra loro fenomeni diversi, sia d’ordine naturale che culturale.
I saggi che seguono, danno dunque compiutamente conto di una lettura, interpretazione e classificazione teorico disciplinare per
matrici antropiche, matrici naturali, matrici socio-culturali e matrici percettive, ma anche di una identità socio-locale espressa dal
lavoro in campo con incontri ed interviste.
Nel suo duplice aspetto di apporto tecnico-disciplinare e di rapporto con testimoni del tempo e del territorio (vecchi e nuovi abitanti), la ricerca porta ad alcune riflessioni, le une sulle acquisizioni progressive di più discipline scientifiche all’analisi paesaggistica vuoi
nei suoi portati storico rappresentativi (si vedano i capitoli V, VI, e VII su persistenze e variazioni a partire dall’analisi dei catasti storici),
vuoi in quelli ecologici, ambientali e insediativi; le altre alle nozioni di cultura e di patrimonio culturale.
Quest’ultima, come richiama l’UNESCO in diversi programmi e documenti, si è ampliata notevolmente spostando il baricentro dai
monumenti ai beni culturali, dagli oggetti alle idee, dal materiale all’immateriale. Il patrimonio inoltre rimanda a simboli e rappresentazioni, ai «luoghi della memoria», e quindi all’identità.
Nell’ottica ecomuseale il patrimonio culturale è, in accordo con H. De Varine, «il risultato, materiale ed immateriale, dell’attività creativa continua e congiunta dell’uomo e della natura: in questo senso lega concretamente il passato al presente e al futuro», diventando quindi anche per il parco e il suo paesaggio «uno scenario e una risorsa per lo sviluppo»2. La sfera del patrimonio culturale
investe l’insieme della sfera comunitaria, quella estetica, quella emotiva e simbolica, oltre che i modi in cui, nella sua manifestazione
paesistica, ed in linea con la Convenzione Europea del Paesaggio, è riconosciuto e fatto proprio dalla comunità, e fatto oggetto di
progettualità nella sua possibile declinazione ecomuseale, ma non solo.
Di sfondo infatti a questo patrimonio culturale sedimentato, che dà sostanza storica al paesaggio, ed una comprensione
e interpretazione dei caratteri costitutivi ed evolutivi del territorio valgrandino, c’è il tema cruciale, oggi «identitario», del
rapporto con la wilderness.
Interrogarsi sul paesaggio
Guardiamo al paesaggio per comprendere il senso del nostro agire che concretamente possa incidere sul territorio del parco, ma
anche per trovare risposte a quanto origina la cosiddetta «wilderness di ritorno», la Val Grande silente.
La conoscenza storica dei processi territoriali, parte tangibile e articolata della ricerca del Dipartimento Interateneo di Scienze, Progetto e Politiche del Territorio (DIST) del Politecnico e dell’Università di Torino insieme a quella interpretativa e comunicativa3, unita
2
H. DE VARINE (2005), Le radici del futuro. Il patrimonio culturale al servizio dello sviluppo locale. CLUEB Bologna
3
Si ricorda infatti che il gruppo interdisciplinare di ricerca ha predisposto contenuti e suggerimenti museografici, per l’allestimento della mostra «dal paesaggio della
sussistenza a quello della wilderness» realizzata nel 2015 nell’ambito delle iniziative EXPO del parco nazionale, poi divenuta allestimento permanente del Centro
visita del parco di Intragna.
a nuove acquisizioni istituzionali e disciplinari (in particolare sul tema del rapporto tra capitale naturale e dimensione culturale) ci
aiutano ad organizzare su basi più consapevoli il nostro rapporto con il paesaggio.
In questa prospettiva due riferimenti sono strategici per l’azione del parco: sotto il profilo dei principi, la Carta di Roma (2014) è oggi
lo strumento finalizzato ad aumentare la consapevolezza di quanto sia essenziale, nei processi decisionali, considerare insieme
capitale naturale e capitale culturale, nonché a incrementare l’integrazione delle tematiche relative alla biodiversità nelle politiche
di settore, anche in un’ottica di sviluppo di una economia sempre più verde; sotto il profilo operativo sono invece le acquisizioni
teorico disciplinari del paesaggio come entità multifunzionale complessa, del paesaggio come erogatore di beni e servizi, a costituire i nuovi possibili paradigmi ponte per nuove pratiche gestionali territoriali.
Di sfondo a questi rifermenti rimane per altro la particolare connotazione territoriale del parco nazionale e del suo intorno
che lo ascrive, a tutti gli effetti, entro quelle che oggi riconosciamo come «aree interne». Ovvero di aree caratterizzate da
un capitale territoriale abbandonato o non utilizzato contraddistinto da un’elevata qualità ambientale e importanti risorse
naturali (sistemi agricoli, foreste, risorse idriche, paesaggi naturali e umani) e culturali (beni culturali, insediamenti storici,
edifici religiosi, piccoli musei, cultura materiale ed immateriale), da elevati costi sociali derivanti dal dissesto idrogeologico,
dalla perdita di conoscenze territoriali, di paesaggi peculiari e di coesione sociale; una «cittadinanza limitata» dall’essere
spesso distante dai principali centri di offerta di servizi essenziali.
Per affrontare i nodi critici delle cosidette aree interne, l’Italia ha adottato, nel 2014, una Strategia Nazionale per le Aree Interne
(SNAI), in corso di implementazione attraverso la programmazione 2014-2020 dei fondi comunitari combinati con le risorse dedicate nelle leggi di stabilità e basata su azioni di sistema mirate ad aumentare l’attrattività delle aree che integrino diversi ambiti di
intervento e, dall’altro, su azioni specifiche volte a migliorare la vita quotidiana e il benessere dei residenti. Entro tale cornice di sistema si colloca per altro anche una azione specifica del parco che la vede come opportunità di approccio integrato. Si tratta di una
scommessa su un aspetto particolare del paesaggio come quello dei terrazzamenti che sembra non averne più: un’azione plurima
su una unità di paesaggio particolare nella direzione di un potenziamento e innovazione delle economie locali, valorizzazione del
patrimonio e dell’identità culturale, prevenzione e riduzione del rischio idrogeologico, promozione di attività di educazione/formazione e di contenuti innovativi di carattere scientifico e tecnologico, comunicazione e promozione delle risorse e delle potenzialità
del territorio.
La Carta di Roma sul Capitale Naturale e Culturale
Il paradigma paesistico, tra natura e cultura, trova nella Carta di Roma un articolato disposto tra principi d’azione, criteri guida e
riferimenti strategici, oltre che cornice istituzionale, utile all’azione del parco.
La Carta di Roma, approvata dai Direttori della Natura dell’Unione Europea nel novembre 2104, è infatti una proposta ponte sulle
interrelazioni e interazioni tra capitale naturale e culturale. Essa mira a rafforzare le politiche in materia di natura e biodiversità, e a
migliorarne l’integrazione con le altre politiche connesse con il territorio e con l’economia.
Per la Carta, oltre a rafforzare l’attuazione delle Direttive Habitat e Uccelli e realizzare la visione a lungo termine del 7° Piano d’Azione
Ambientale dell’UE, si tratta di considerare di importanza strategica quegli investimenti che sostengono il ripristino e la conservazione del capitale naturale e lo sviluppo di sinergie tra capitale naturale e culturale, come ad esempio la Strategia per le infrastrutture
verdi (COM 2013/249). L’obiettivo generale dell’azione è quello di attingere contemporaneamente da questi capitali per generare
benefici economici, opportunità di lavoro e sostenere i settori chiave quali il turismo. Anche ovviamente la strategia dell’UE sulla
biodiversità (COM 2011/ 244), è di riferimento poiché mira alla protezione dell’ intrinseco valore della biodiversità riferendosi al man-
tenimento e alla valorizzazione degli ecosistemi e dei loro servizi promuovendo al tempo stesso coesione economica,
territoriale e sociale e salvaguardia del patrimonio culturale dell’UE.
In un progetto di paesaggio lungimirante l’agenda della Carta di Roma consente di fissare strategicamente i passaggi
operativi.
Tre sono i criteri guida ed i nodi di azione verso il capitale naturale:
a) migliorare e sostenere le conoscenze scientifiche a livello internazionale, nazionale e locale, incluse ricerche sui
benefici arrecati alla società; rendere disponibili le informazioni, i set di dati di qualità per la ricerca e il processo decisionale; mappare, valutare, monitorare, pianificare e gestire gli ecosistemi e i loro servizi;
b) investire sul Capitale Naturale per favorire e sostenere una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva;
c) garantire la funzionalità degli ecosistemi naturali e integri, poiché ecosistemi sani e resilienti sono in grado di
fornire alla società una gamma completa di beni e servizi economicamente valutabili.
Due invece i criteri di azione verso il capitale culturale. Da una parte si tratta di legare il capitale culturale e naturale prendendo in considerazione la dimensione sociale e culturale della gestione degli ecosistemi, promuovendo conoscenze adattate a livello locale, collegare benefici, beni e servizi derivanti dagli ecosistemi (offerta) con i modelli della cultura, della
società e l’economia (domanda).
Dall’altra si devono creare le opportune sinergie tra le infrastrutture verdi, le zone rurali e urbane. Specie, habitat, ecosistemi, unità territoriali e le infrastrutture sono parte di una struttura multifunzionale e spazialmente interconnessa di aree
naturali e semi-naturali. In tale contesto assumono rilievo le infrastrutture verdi (ad esempio i terrazzamenti sopra citati)
per collegare aree naturali e semi-naturali con le aree urbane e rurali, anche in uno scenario di economia verde in grado di
connettere i diversi ambiti naturale, culturale, sociale ed economico.
Come si può ben comprendere siamo nell’ambito non solo della tutela e conservazione dei beni naturali e culturali propri
della funzione istituzionale di un parco nazionale, ma anche in quello essenziale che mette in campo le scelte ed i metodi
degli stessi processi decisionali.
I servizi ecosistemici
Tra le priorità individuate nella Strategia Nazionale sulla Biodiversità e cruciali nella Carta di Roma, i servizi ecosistemici (SE),
che il Millennium Ecosystem Assessment (2005) definisce come «i benefici multipli forniti degli ecosistemi al genere umano», sono per i parchi, e non solo, il nuovo orizzonte strategico operativo per la gestione del capitale naturale riconosciuto
ed approvato anche dalle più recenti determinazioni di Governo con l’approvazione del Collegato Ambientale che ne fa
uno degli assi strategici per riconsiderare gli stessi termini economici della sostenibilità, supportare strategie di sostenibilità
e di perequazione territoriale, anche a fronte dei cambiamenti globali nel breve, medio e lungo periodo.
In una crescente complementarietà tra le politiche del paesaggio e quelle della natura il paradigma dei SE può costituire la
base per un cambiamento dei termini economici con cui considerare il territorio e i suoi capitali attraverso una governance
e una pianificazione territoriale più consapevole del significato dei processi ecologici e più orientata verso una sostenibilità
concreta e durevole.
Se assumiamo il paesaggio come entità multifunzionale complessa, come sistema di sistemi ambientali, o ecomosaico
dove un insieme di patches ne determinano il carattere prevalente e la stessa matrice del paesaggio, ne consegue la sua
funzione e lettura anche come erogatore di servizi4: dunque una possibile nuova chiave di lettura della qualità del sistema
d’area vasta costituito dal parco e dal suo intorno.
Uno spazio per la biodiversità
L’attenzione ai servizi ecosistemici costituisce uno spostamento di attenzione e di approccio cruciale anche nella lettura
delle dinamiche e delle trasformazioni del territorio e del paesaggio della Val Grande, e della wilderness di ritorno in particolare. Se infatti come richiama sempre Roberto Gambino nelle considerazioni conclusive sugli esiti della ricerca, si assume la
wilderness non come «un dato», ma come «un programma», essa potrà essere contestualizzata e valutata rispetto le dinamiche complessive del capitale naturale e della biodiversità in particolare. Attraverso la valutazione di entità, distribuzione
e vulnerabilità di quel particolare capitale naturale costituito dalla «widerness», o dal paesaggio della wilderness, è possibile
individuare quelle soglie di criticità utili a fissare i limiti e le condizioni di sostenibilità degli interventi e delle trasformazioni
pianificabili (il «programma») in un nuovo rapporto e declinazione dell’antinomia paesaggio naturale vs paesaggio culturale, o tra paesaggio della sussistenza e paesaggio della wilderness. Quindi per poter caratterizzare il capitale naturale del
parco come elemento strategico per garantirne i servizi ecosistemici (direi forse garantire anche una scala spazio-temporale della sua biodiversità potenziale), in particolare per definirne quella effettiva e particolare funzione di servizio di tipo
estetico-percettiva: ovvero di forte sostenibilità del paesaggio come entità multifunzionale complessa.
Tullio Bagnati
Direttore Parco Nazionale Val Grande
4
R. SANTOLINI (2008), Paesaggio e sostenibilità: i servizi ecosistemici come nuova chiave di lettura della qualità del sistema d’area vasta. In: Riconquistare il Paesaggio, la
Convenzione Europea del Paesaggio e la conservazione della biodiversità in Italia, MIUR - WWF Italia, pp. 232-244
12
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
Capitolo I
13
La Val Grande tra wilderness, Parco ed Ecomuseo
Roberto Gambino
F
Fig.1.1
Veduta dell’Alpe Piaggia, Aurano.
in dagli accesi dibattiti che prepararono la sua costituzione, l’accostamento alla Val
Grande del titolo di «wilderness» non è tanto o soltanto frutto di un riconoscimento
neutrale ed oggettivo, quanto piuttosto di un programma di lavoro: una dichiarazione
«politica», ancor prima che scientifica e culturale, di un lavoro che si intende compiere, di
una meta da raggiungere. È con questo spirito che il Dipartimento DIST del Politecnico e
dell’Università di Torino ha accolto la richiesta delle istituzioni interessate a collaborare per lo
sviluppo dei progetti di valorizzazione di questa eccezionale risorsa ambientale.
È questo il senso della sfida che col presente contributo si è inteso raccogliere, nella consapevolezza dell’utilità e del significato che tale contributo può assumere nell’attuale fase
di dibattito e di riflessione sui problemi della conservazione della natura e, più in generale,
delle politiche ambientali. Una fase di svolta, forse davvero radicale e «rivoluzionaria», che
ha messo impietosamente a nudo i fallimenti di molte speranze ed illusioni, ma anche le
crescenti responsabilità della società contemporanea nei confronti delle terre che abita,
gestisce e incessantemente riproduce. In questo contesto critico, che mette in questione
la possibilità di continuare impunemente a «consumare la natura» e le sue risorse anziché
«collaborare» con essa, si colloca l’operazione Val Grande: col tentativo di rovesciare l’atteggiamento fin qui tenuto - volto a sottrarre spazi e risorse alla natura per cederle ai più diversi
fini umani - proponendo al suo posto una logica «restitutiva» che miri a contrastare gli squilibri posti in atto dall’uomo e a lasciare alla natura stessa ogni ricerca di nuovi più autonomi
equilibri. Un tentativo non certo isolato ma che trova in questa esperienza risonanze emblematiche a livello internazionale.
La duplice connotazione della Val Grande - ricca di sedimenti storici ma anche di risorse
naturali - ha indotto fin dall’inizio a qualificarla come un’area «wilderness di ritorno». Espressione che costringe a misurarsi con vaste e palesi ambiguità, quali quelle che sorgono dalle
complesse intersezioni tra dinamiche della biodiversità e dinamiche degli spazi naturali per
effetto dei processi d’abbandono. Sembra quindi imporsi la necessità di un ripensamento della logica di fondo, basando la stessa definizione di «wilderness» non già su precarie
condizioni o dotazioni, quanto piuttosto sull’impegno istituzionale a recuperare almeno in
parte la «selvaggità» dell’area (se con questa espressione si intende alludere a forme radicali
di isolamento, solitudine e silenzio). La wilderness non come un dato ma come un programma. Ed è questa caratteristica evolutiva e programmatica, non già la condizione statica dell’area, a motivarne la connotazione istituzionale. In questo senso, il presente volume
14
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
non intende affermare la necessità di una revisione istituzionale per riconoscere i caratteri
evolutivi della wilderness Val Grande, quanto piuttosto la necessità di una interpretazione
storicamente argomentata, che valga a chiarire le tappe e le modalità principali di questa
evoluzione. È infatti evidente che quanto più il concetto di wilderness si stacca dai dati fisici
e spaziali, tanto è maggiore l’esigenza di interpretarlo storicamente, sulla base di accurate
analisi diacroniche atte a comprendere l’articolazione sul territorio delle successioni ecosistemiche, delle discontinuità e delle potenzialità evolutive tuttora riscontrabili. Tanto più
che la Val Grande, lungi dal costituire un ambito omogeneo, presenta ambiti fortemente
differenziati, anche ai fini dell’eventuale enucleazione di ambiti specificamente destinati alla
wilderness. Qui, più che altrove, per comprendere la wilderness del territorio è necessario
ricostruirne la storia.
Queste considerazioni valgono a maggior ragione se si riparte dal percorso istituzionale che
ha preso le mosse dalla nascita del Parco su parte della Val Grande - un territorio che, va
ricordato, ospita con ampie sovrapposizioni due diverse Riserve naturali, il Parco Nazionale,
larghe fasce di contiguità (le «terre di mezzo») e il margine stesso del Lago Maggiore. Va su-
La Val Grande tra wilderness, Parco ed Ecomuseo
Fig. 1.2
Rio Pogallo, il ponte di Calenesc.
15
bito notato che il percorso istituzionale parte dal Parco Nazionale (categoria di area protetta
che fa parte delle sei categorie definite dall’IUCN) e non dà riscontro alla vocazione di wilderness strenuamente attribuita nei dibattiti e nelle proposte scientifiche e culturali per la Val
Grande. Certo non è difficile rilevare una continuità ideale tra le concezioni dei Parchi Nazionali quali strumenti di celebrazione della natura, sostenute dai padri fondatori circa a metà
dell’’800, e le concezioni della wilderness che hanno accompagnato la nascita del Parco.
Tuttavia si tratta di concezioni diverse, che inducono a ricercare approcci interpretativi atti a
meglio valutare le intenzioni dei sostenitori della wilderness.
A questo scopo, si può guardare al paesaggio come una categoria interpretativa particolarmente utile nel nostro caso, e alla Val Grande come al contesto ideale per testare le nuove
concezioni del paesaggio. Concezioni che una letteratura ormai ampia e variegata ha frequentato, strappandole dalle visioni meramente estetizzanti, visibilistiche o descrittive, che
pur vantano, soprattutto in Italia, prestigiose tradizioni. Ma è qui importante sottolineare il
ruolo complesso che il concetto di paesaggio ha da tempo assunto negli studi e nei dibattiti
concernenti il territorio, soprattutto a partire dalla Convenzione Europea del Paesaggio, lan-
16
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
Fig. 1.3 Il Geolab, laboratorio geologico
a Vogogna.
ciata nel 2000 dal Consiglio d’Europa. Essa infatti impegna a considerare il paesaggio come
«componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni, espressione della diversità
del loro comune patrimonio culturale e naturale e fondamento della loro identità». Per
cogliere il rapporto tra wilderness e paesaggio va notato anzitutto che la Convenzione
impegna altresì ad estendere le politiche del paesaggio all’intero territorio e a prendere in
considerazione tutte le altre politiche a vario titolo suscettibili di incidere sul paesaggio.
Di qui l’importanza della Convenzione (e dei suoi strumenti attuativi) ai fini di quella «territorializzazione del paesaggio» che costituisce una linea portante del presente volume. In
Italia infatti, in sede di recepimento della Convenzione, lo strumento chiave per la difesa e la
valorizzazione del paesaggio è stato individuato nella pianificazione paesaggistica, affidata
alle Regioni, che costituisce il quadro di riferimento strategico e regolativo per ogni altro
tipo e livello di piano – compresi i piani dei parchi, fra i quali ovviamente il Piano per il Parco
della Val Grande. Lungo questa linea, quindi, si snodano altre considerazioni. Il panorama
in cui si situa la Val Grande è più vasto e complesso di quanto non appaia dai perimetri istituzionali, include certo le determinazioni dell’IUCN (che ha classificato il Parco Nazionale come
una delle 6 categorie di Aree Naturali Protette proposte fin dal 1994, e che ha altresì riconosciuto altri ambiti d’interesse mondiale, come il Sesia-Val Grande Geopark, incluso nella lista
l’UNESCO dei Geoparchi) del Consiglio d’Europa (che ha lanciato nel 2000 la citata Convenzione) e della Comunità Europea (in particolare per la realizzazione della Rete Natura 2000).
Se a questi si aggiungono le Regioni, i Comuni ed altri organismi cui spettano competenze
rilevanti ai nostri fini (come ALPARC o la Convenzione delle Alpi), è facile osservare che il
contesto territoriale interessato dalla Val Grande è ampiamente coperto da studi e documentazioni. Questa constatazione consente di precisare il significato essenzialmente interpretativo della ricerca svolta dal DIST, in particolare nei confronti dei piani sovraordinati,
prima di tutto il Piano del Parco (che sovrasta, o addirittura sostituisce in base alla L.394, i
La Val Grande tra wilderness, Parco ed Ecomuseo
17
Piani dei Comuni del Parco), il Piano della Performance e le decine di progetti puntuali già
avviati o previsti. Questa constatazione sposta l’attenzione dai tradizionali apparati «regolatori» alle forme più innovative di guida, stewardship, visioning ed approcci strategici. Le
nuove forme del planning richiedono e consentono condivisioni sugli obiettivi e le strategie
da parte dei diversi soggetti che operano, con maggiore o minore autonomia decisionale,
sul contesto territoriale interessato. Il presente lavoro si configura come un contributo ad
un processo complesso di comunicazione sociale, che può avvalersi di strumenti ed opportunità diversificate, come ecomusei, forum, mostre e «osservatori del paesaggio».
Particolarmente significativo il ruolo dell’Ecomuseo, per il quale fin dal 2003 dibattiti
ed esperienze, soprattutto nella costruzione della Rete Ecomuseale del Piemonte, hanno messo a fuoco una serie di princìpi-guida, di notevole interesse ai nostri fini, a partire dall’idea che il sistema di valori che l’Ecomuseo intende esprimere non è un dato
oggettivamente e neutralmente rilevabile, ma prende senso all’interno di un progetto
collettivo di conservazione innovativa. Progetto di auto-valorizzazione endogena che
non può cadere dall’alto ma deve nascere dal locale. Come in altri documenti pressoché contemporanei si mise allora in rilievo (non senza equivoci), un nuovo modo di
pensare i progetti di tutela e valorizzazione, come processi aperti di interpretazione,
immaginazione collettiva e valutazione critica.
Se si accetta l’idea che la wilderness della Val Grande non è un semplice dato ma un programma, non è difficile cogliere nell’ampio quadro della cultura del paesaggio, ridisegnato
nel 2000 dalla Convenzione Europea del Paesaggio, un’essenziale matrice di riferimento. Spingono in questa direzione alcune circostanze chiave, come il ponte natura-cultura
che il paesaggio vi ha storicamente costruito, la rilevanza dei valori scenici, e rappresentativi,
il radicamento identitario delle culture locali. Circostanze che convergono a spostare l’attenzione – ai fini della gestione del Parco ma non solo, dagli apparati tradizionali di tutela a
salvaguardia di singole risorse e beni comuni, verso i processi e di valorizzazione che possono interessare il territorio nella sua complessità e integrità. Si profila quindi, sulla scia della
Convenzione Europea, un contesto denso di rischi ed opportunità di cambiamento, in cui
possono a vario titolo interagire le reti delle aree protette ivi compresi i siti Natura 2000) con
quelle degli ecomusei e degli osservatori del paesaggio, istituiti ai sensi della Convenzione
ed anche del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
Lungi dal potersi esaurire in approcci inventariali, il riconoscimento dei valori e dei rischi in
atto richiede la maturazione di visioni olistiche e sistemiche, suscettibili di riflettere processi
aperti e pluralisti di confronto e condivisione. Al centro di tali processi, si può collocare l’«interpretazione strutturale del territorio», luogo di convergenza e di confronto dei contributi
scientifici multi-disciplinari, praticato in una relativamente ampia serie di esperienze applicative (incluso il Piano Paesaggistico della Regione Piemonte) e di riflessioni critiche. La
motivazione di fondo di questa interpretazione critica è quella di cogliere selettivamente
18
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
nelle realtà territoriali (o più esattamente nel «territorio storico» ereditato) i fattori, i fatti, gli
oggetti, le componenti di grande rilievo e di lunga durata, che configurano delle «invarianze» rispetto ai processi generali di modificazione incessante del territorio e su cui si basano
prioritariamente le capacità di resistenza e di resilienza.
I fenomeni su cui si è concentrata l’attenzione sono principalmente relativi all’assetto
geo-morfologico, agro-ecologico, storico-culturale, percettivo-identitario. Essi sono illustrati estesamente nei capitoli di questo volume e poi messi in relazione tra loro nel capitolo
sull’interpretazione strutturale, per approdare ad una visione e rappresentazione sintetica. Fermi restando i contenuti e il senso complessivo dell’interpretazione, si è titolato tale
capitolo «interpretazione strutturale del paesaggio», poiché il paesaggio è la chiave interpretativa centrale, peraltro sviluppata in un’ottica «territorialista».
L’interpretazione offre per ogni assetto paesistico indicazioni atte a sviluppare il processo di
conoscenza e pianificazione sopra richiamato, con particolare attenzione per i valori paesistici e storico-culturali connessi ai fattori strutturanti e caratterizzanti del territorio. Vi sono
certamente problemi, rischi e potenzialità ambientali, segnalati dal quadro interpretativo,
sui quali tali segnalazioni possono considerarsi gravide di implicazioni dirette per i piani e i
protocolli di gestione. Ma le indicazioni devono emergere da letture incrociate che tengono conto congiuntamente dei diversi approcci tematici: è il caso dei «dispositivi visivi» che
approfittano della peculiare conformazione geomorfologica per proporre le visioni dall’alto,
o della singolare «rivelazione» invernale dei paesaggi terrazzati, privati ormai della loro funzione produttiva. Il quadro interpretativo sembra dunque aprirsi in duplice direzione. Da
un lato, nel guidare quegli approfondimenti tematici che possono saldare il sapere esperto
con i sapere locale. Dall’altro, nell’offrire la possibilità di cogliere direttamente nelle immagini paesistiche le sintesi trans-settoriali che il quadro propone in forma prevalentemente
astratta e perciò «da disegnare».
La limitazione del quadro interpretativo lascia nell’ombra molti fattori sicuramente rilevanti
nella costruzione paesistica. Soprattutto quelli intangibili od immateriali, solo parzialmente qui considerati, che hanno a che fare con le dinamiche sociali, culturali, antropologiche
(coi loro rilevanti depositi nelle memorie collettive, nei riti e nelle tradizioni), o quelle che
interessano la storia dell’arte o dell’architettura o l’archeologia del paesaggio. Tutti aspetti
che potranno a buon diritto rientrare negli sviluppi ulteriori del quadro interpretativo e dei
progetti di comunicazione già previsti o prevedibili.
Il presente volume offre un primo parziale contributo nel dar voce agli abitanti, mediante una serie di interviste in profondità. Soprattutto ai «nuovi abitanti» che hanno scelto di
vivere in Val Grande, nonostante le carenze di servizi e di trasporti. E un altro contributo
riguarda il turismo. Si parte qui da una facile constatazione: come in altre aree di montagna
l’abbandono dell’alpicoltura e delle altre pratiche agricole tradizionali, unitamente alla crisi
La Val Grande tra wilderness, Parco ed Ecomuseo
19
delle attività produttive di fondovalle non è stato bilanciato dallo sviluppo del turismo, se
non in poche aree e in forme limitate. Ma nel nostro caso l’impatto economico e ambientale è più complesso. Da un lato le implicazioni dei cambiamenti piuttosto rapidi agro-forestali: ad es. la sospensione della monticazione ha comportato e comporta la riduzione
della biodiversità e la «semplificazione» paesistica, anche a danno di quel capitale culturale
che si vorrebbe recuperare in nome dell’identità e delle culture locali. Dall’altro lato, l’auspicato sviluppo del turismo sembra trovarsi a un bivio: se orientato alla wilderness (tanto
più quanto più se rilanciato a livello internazionale, come sembra possibile) rischia di essere
frenato dai tentativi di recupero del patrimonio culturale (ad es. per interventi sulle reti di
percorrenza, che non dovrebbero rendere più accessibili le aree più selvagge); se orientato
al turismo tradizionale, rischia a sua volta di frenare l’attrattività a scala internazionale della
risorsa wilderness. In entrambi i casi, per assicurare una pur limitata reciproca compatibilità
alle due bandiere (identità/wilderness) sembra necessario agire con interventi molto cauti
sull’insieme delle risorse di comune interesse. Questa considerazione suggerisce un rilievo
conclusivo, sul ruolo che la wilderness potrebbe svolgere in funzione dello sviluppo economico, sociale e culturale della Val Grande. A fronte dell’ipotesi di una difficile coabitazione
tra le misure per la wilderness e le misure per il rilancio del patrimonio identitario, si può
forse immaginare che la wilderness vada pensata come una «alternativa strategica» da giocare - senza sprecarla - nei progetti collettivi di rilancio conservativo, nelle forme e nei modi
che la comunità locale sarà in grado di precisare.
Capitolo II
21
Wilderness, paesaggio, natura protetta:
i termini della questione
Claudia Cassatella, Gabriella Negrini1
I
nterpretare il territorio cui appartiene il Parco Nazionale della Val Grande mette in
tensione i concetti alla base dei nostri paradigmi interpretativi: natura, cultura, paesaggio. Un territorio noto come area wilderness, protetto per motivi naturalistici, frequentato proprio in virtù della sua selvatichezza, ma in realtà un territorio tutt’altro che
privo di una storia di antropizzazione. Sfruttamento, abbandono, inselvatichimento:
una storia comune a ampie parti del territorio alpino (e non solo). Qui però lo slogan «la
wilderness più ampia d’Europa» (coniato nella fase di istituzione del Parco e non esatto,
stando ai criteri e ai dati odierni) diventa un motivo di identità e riconoscibilità all’esterno. Ma com’è possibile coniugare l’idea di uno spazio dove l’uomo non interferisce con
la natura, con l’idea di un territorio abitato, coltivato, frequentato dal turismo internazionale? Il binomio può tradursi in prospettive di gestione e, auspicabilmente, di sviluppo?
Scopo di questo scritto è proporre un’ordinata trattazione dei concetti di wilderness,
paesaggio culturale e natura protetta, con riferimento ai paradigmi e alle prospettive
affermatesi negli ultimi decenni nel campo della conservazione della natura e del paesaggio a livello internazionale ed europeo, nella prospettiva delle politiche e della gestione del territorio. Dunque una prospettiva orientata, che illumina alcune distinzioni
e alcune possibilità, a scapito di alcune sottigliezze concettuali.
Il paradigma paesistico, tra
natura e cultura
Fig. 2.1 Incisioni rupestri a forma di «coppelle», presenti nell’Alpe Prà e nell’Alpe
Sassoledo, dimostrano la profondità
storica della presenza umana nel territorio
della Val Grande.
1
Il primo concetto da esplicitare, perché permea il nostro paradigma interpretativo,
è quello di paesaggio. Tra le numerose definizioni di paesaggio, in ragione della sua
polisemicità e dell’attenzione da parte di diverse discipline, appare ormai accettata
quella che vede nel paesaggio la sintesi tra natura e cultura, una sintesi che può essere
«nei fatti» (ovvero, nella materialità di un territorio plasmato da processi naturali ed antropici), o nello sguardo, nell’inevitabile ruolo della percezione in ogni atto di significazione, anche di ambienti completamente naturali (Fig. 2.2). Tutto ciò è espresso in una
definizione che ha anche valore giuridico, ovvero la definizione contenuta all’art. 1 della
Convenzione Europea del Paesaggio (d’ora in poi, CEP): «Paesaggio designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva
dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni» (CoE 2000, Conven-
La ricerca di base è stata condotta congiuntamente dalle autrici, tuttavia la stesura dei paragrafi è da attribuire in particolar modo come segue: paragrafo Il
paradigma paesistico, tra natura e cultura, a cura di Claudia Cassatella e paragrafo La Natura protetta. Il Parco Nazionale della Val Grande nel sistema delle politiche
di protezione della natura, a cura di Gabriella Negrini.
22
Fig. 2.2
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
Paesaggio rurale a Trontano.
zione Europea del Paesaggio, Art. 1, a). La CEP, ratificata da 37 paesi del Consiglio d’Europa, è dunque un riferimento importante per le politiche dei paesi europei, non solo
nel campo del paesaggio, ma anche di altri settori, come l’ambiente e l’agricoltura. La
definizione assunta, tale da applicarsi a ogni tipo di paesaggio (naturale o antropico,
urbano o rurale, e così via), invita a considerare un ventaglio di politiche, dalla conservazione, alla gestione, alla pianificazione. Tutto ciò tenendo conto dei valori e delle
aspirazioni delle popolazioni interessate, ma anche degli ormai irrinunciabili obiettivi
di sostenibilità ambientale.
Il concetto di paesaggio, grazie alla sua capacità di sintesi (cui soggiace una più o meno
implicita idea di «equilibrio» tra uomo e natura) ha assunto un ruolo sempre più significativo anche nell’elaborazione scientifica e nell’azione politica di organismi che si
dedicano, rispettivamente, al patrimonio culturale e a quello naturale. È interessante
notare, in particolare, la convergenza di alcune posizioni di UNESCO (United Nations
Educational, Scientific and Cultural Organization), e IUCN (International Union for Conservation of Nature).
L’UNESCO, nel definire il «Patrimonio dell’umanità», utilizza le distinte categorie
«patrimonio naturale e culturale» (separati o misti) e «paesaggio culturale». I paesaggi culturali rappresentano «il lavoro combinato della natura e dell’uomo»
Wilderness, paesaggio, natura protetta: i termini della questione
Fig. 2.3 Il processo di gestione del patrimonio naturale e culturale, in prospettiva
internazionale (fonte: UNESCO, ICCROM,
ICOMOS, IUCN, 2013).
2
23
(UNESCO, 1992, 2015)2. La Convenzione UNESCO (World Heritage Convention, 1972)
individua i World Heritage Sites sulla base del concetto selettivo di «valore universale
eccezionale», dunque come luoghi unici al mondo. Il concetto di «Paesaggio culturale»,
più in generale, è invece applicabile estesamente, soprattutto in contesti di antica e
intensa antropizzazione, come i nostri.
La IUCN utilizza, nella classificazione internazionale delle Aree Protette proposta (1994,
2008), una categoria specifica per quelle aree protette il cui valore è legato all’interazione tra uomo e natura, e tra i cui obiettivi gestionali ha particolare rilevanza la fruizione. Un «paesaggio protetto» (terrestre o marino) è: «Un’area protetta dove l’interazione
tra uomo e natura nel corso del tempo ha prodotto un’area di specifico carattere con un
significativo valore ecologico, biologico, culturale e scenico, e dove salvaguardare l’integrità di questa interazione è fondamentale per proteggere e sostenere l’area e i suoi
valori naturali e diversi» (DUDLEY 2008, traduzione a cura del CED PPN). È interessante
notare come in Europa, rispetto al resto del mondo, i «paesaggi protetti» mostrino un
trend in crescita e costituiscano la categoria IUCN più rappresentata: considerando 41
paesi EU, circa il 49,9% delle Aree Protette ricadono infatti nella categoria IUCN(V)-Protected Landscapes/Seascapes (fonte: dati European Environment Agency – EEA, Nationally designated areas - CDDA, 2013, elab. CED PPN 2015).
Pur con le differenze dovute alla diversa focalizzazione (storia e cultura, o natura; cfr. anche
PHILIPS 2005), ciò che accomuna i paesaggi di UNESCO e i «Paesaggi Protetti» di IUCN è
una concezione patrimoniale, un’istanza conservativa. Ma anche la consapevolezza del
ruolo dell’uomo nella conservazione e gestione dell’ambiente. Un’alleanza possibile e
necessaria, secondo gli orientamenti più recenti (GAMBINO, PEANO 2015) e che porta inevitabilmente a ragionare di «gestione» come di un complemento indispensabile alla conservazione. Non a caso, «Managing natural and cultural heritage» è una linea guida esito
dello sforzo congiunto di UNESCO, ICOMOS, IUCN. Se guardiamo all’insieme del natural
and cultural heritage, non vediamo forse il paesaggio? (Fig.2.3)
«Therefore we can see landscape as a meeting ground between: Nature and people – and
how these have interacted to create a distinct place; Past and present – and how therefore
landscape provides a record of our natural and cultural history; Tangible and intangible
values – and how these come together in the landscape to give us a sense of identity.»
(PHILLIPS 2005). L’ «approccio paesaggistico» è diventato ormai un modello internazionale
nelle politiche delle aree protette della IUCN. Con l’espressione «the protected landscape
Secondo la Convenzione tali paesaggi «... sono illustrativi della evoluzione della società umana e degli insediamenti nel tempo, avvenuta sotto l‘influenza dei condizionamenti fisici e/o delle opportunità presentate dall‘ambiente naturale e dalla successive azione dei fattori sociali, economici e culturali, sia interni che esterni» (UNESCO 1992).
«Cultural landscapes are cultural properties and represent the ‘combined works of nature and of man’ designated in Article 1 of the Convention. They are illustrative of the
evolution of human society and settlement over time, under the influence of the physical constraints and/or opportunities presented by their natural environment and of
successive social, economic and cultural forces, both external and internal» (UNESCO 2015).
24
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
fig. 2.4 Lo spettacolo delle creste in
Val Grande, dalla Colma Piana
al Pizzo Ragno.
approach» (BROWN, MITCHELL, BERESFORD 2005) si intende infatti un approccio che riconosce
la centralità del ruolo dell’uomo nel prendersi cura dell’ambiente, e nel generare diversità
di ambienti e paesaggi. Questo approccio innova il modello tradizionale di gestione: «Protected landscapes are cultural landscapes that have co-evolved with the human societies
inhabiting them. They are protected areas based on the interactions of people and nature
over time. Living examples of cultural heritage, these landscapes are rich in biological diversity and other natural values not in spite of but rather because of the presence of people. It follows that their future relies on sustaining people’s relationship to the land and its
resources» (BROWN, MITCHELL, BERESFORD 2005).
Salvaguardare l’interazione tradizionale tra uomo e natura, attraverso forme di sviluppo
sostenibile e promuovendo la consapevolezza delle relazioni tra le popolazioni e il proprio
paesaggio è tra gli obiettivi delle politiche internazionali per i «paesaggi protetti», enunciato
con chiarezza nell’ IUCN World Conservation Congress di Durban 2003, e via via rafforzatosi
nei congressi seguenti (fino a Sidney 2014). Da tempo, dunque, nelle politiche per la natura
protetta lo sviluppo socioeconomico delle popolazioni è un obiettivo nient’affatto estraneo,
da affermare non in astratto, ma ricercando localmente, e nella storia dei luoghi, il significato della presenza umana, il ruolo dell’uomo nell’evoluzione (talvolta, nella diversificazione)
degli ecosistemi. La ricerca dell’alleanza uomo natura appare più che mai pertinente nei
«paesaggi protetti» (GAMBINO, PEANO 2015; NEGRINI, BONGIOVANNI ivi).
Il paradigma paesistico non è limitato ad una visione conservativa, anzi (GAMBINO 1997,
GAMBINO, PEANO 2015). Proprio la consapevolezza dell’inevitabile natura dinamica dei
processi, siano essi naturali o antropici, e del ruolo e della responsabilità dell’uomo, porta a
considerare il progetto, la pianificazione, la creazione di nuovi paesaggi come opzioni possibili ed auspicabili. La ricerca di una sintesi tra ambiente naturale e ambiente antropico,
tra diritto di esistenza delle altre specie e aspirazioni delle popolazioni, è dunque l’obiettivo
condiviso dalle politiche internazionali in diversi campi, che implica un ruolo attivo dell’uomo. Che cosa succede quando si applica questo paradigma ad aree wilderness?
Wilderness, paesaggio, natura protetta: i termini della questione
25
Una prospettiva culturale sulla natura selvaggia:
interazioni tra paesaggio e wilderness
«As Phillips writes here, ‹[l]andscape is universal. It is found everywhere that people and nature have interacted›. At the same time, our cultural perspective shapes how we understand the
idea of landscape, just as it shapes our view of the idea of wilderness. Writing from very different parts of the world, many of the authors here challenge us to broaden our view of landscape, and to consider that many seemingly ‹untouched› lands are, in fact, cultural landscapes»
(BROWN, MITCHELL, BERESFORD 2005).
In prospettiva culturale, wilderness è un concetto che ha più a che fare con la filosofia che
con le scienze naturali. Esso infatti chiama in causa la concezione stessa di natura. Che cos’è
«davvero» naturale? L’uomo fa parte della natura? Può vivere in armonia con essa? È possibile
conoscere la natura selvaggia? È lecito entrare in contatto con essa, distruggendo così il carattere incontaminato e quindi l’oggetto stesso dell’osservazione? Il fine della conservazione di
un habitat giustifica l’interferenza con i processi naturali attuato attraverso la gestione?
Questi e altri interrogativi ci pone il concetto di wilderness, ossia quello della natura selvaggia, la natura senza l’uomo. Come premesso, nell’affrontarli trascureremo gli sfondi filosofici e
degli immaginari, privilegiando le concezioni che guidano le politiche per la protezione della
natura e dell’ambiente. Tuttavia, per utilizzare in modo accorto le categorie e le proposte che
circolano in campo politico e tecnico, è utile ricordare le origini del concetto e le sue ambiguità.
Come ha ben puntualizzato Nash, la wilderness ha più a che fare con la percezione
di un luogo che con le sue qualità biofisiche: «Wilderness is a human construction»
(NASH 1967)3. Proprio in virtù dell’importanza della dimensione percettiva, possiamo
affermare che wilderness è un concetto più vicino a quello di paesaggio che a quello
di ambiente. Wilderness e paesaggio appaiono associati non solo nella considerazione
3
«Civilisation created wilderness»(NASH R. 1967); «The wild West» and the «frontier» were products of the pioneer mind; so was the idea of wilderness» (NASH R. 1976).
26
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
degli studiosi4, ma anche nelle politiche5.
La storia del concetto di wilderness nel mondo occidentale, a partire dalle celebri opere
di Thoreau, mostra che esso si modifica ma sempre rappresentando un’antitesi anche
morale al mondo abitato, alla società umana. «The different perceptions of wilderness
essentially have in common that an area is regarded as a moral counter-world to culture» (KIRCHHOFF, VICENZOTTI 2015). Il mondo naturale appare puro, un luogo dove anche
l’uomo può ritrovare l’innocenza («L’homme naît bon, c’est la société qui le corrompt»,
è la celebre tesi di Rousseau), l’armonia («comunione con la natura», eremitaggio...), la
spiritualità6. Ma anche fare esperienza dell’estremo, del pericolo, della sfida alle proprie
capacità. Più recentemente, è il «diritto di esistenza» delle altre specie, indipendentemente dalle esigenze umane, ad essere invocato. O, al contrario, l’utilità di conservare
ambienti nei quali si potrebbe, in futuro, scoprire nuove risorse utili (il valore d’uso categorizzato in «servizi ecosistemici»).
A questi concetti si richiamano diversamente movimenti di opinione, associazioni e organismi, come The Wild Foundation, The European Wilderness Society, PanParks, Wild
Europe, Mountain Wilderness, European Rewilding Network, o movimenti più generalmente associati alla cosiddetta ecologia profonda. In Italia l’idea di natura allo stato
selvaggio è stata sostenuta in particolare dall’Associazione Italiana per la Wilderness
(AIW), fondata nel 1985.
Proteggere la wilderness
«La wilderness è una risorsa che può diminuire ma mai aumentare. Le distruzioni possono essere bloccate o limitate in maniera tale da rendere un’area ancora fruibile per
la ricreazione, o per la scienza, o per la fauna, ma la creazione di nuova wilderness nel
vero senso della parola è impossibile. Ne consegue, allora, che ogni programma di
conservazione che riguardi la widerness è un’azione difensiva, mediante la quale la sua
degradazione può essere ridotta al minimo.» (LEOPOLD A. 1949).
Gli Stati Uniti (dove, com’è noto, la natura selvaggia è elemento costitutivo delle narrazioni identitarie) sono stati i primi a legiferare sulla protezione della wilderness. Con il
Wilderness Act del 1964 viene sancita infatti la preservazione della wilderness e viene
creato il National Wilderness Preservation System degli Stati Uniti. Alcuni grandi parchi
nazionali, divenuti icona della natura selvaggia, come lo Yosemite, lo Yellowstone, ecc.,
4
Da segnalare un recente convegno internazionale sul rapporto tra wilderness e paesaggio: Newcastle University, Landscape Research Group, Landscape wilderness
and the wild, Proceedings of the International Conference, Newcastle (23-28 March 2015).
5
Indicativa la Strategia 2015-2021 della EUROPARC Federation (actions 1.3b e 1.3c): «promuovere la wilderness e la protezione dei paesaggi».
6
«La rivalutazione della natura selvaggia è una delle più straordinarie rivoluzioni intellettuali nella storia del pensiero umano riguardo all’atteggiamento verso la terra...
Da inferno terrestre, la wilderness è diventata un rifugio di quiete dove i visitatori possono avvicinarsi, felici, alla dimensione divina sull’onda delle parole dell’ambientalista John Muir e delle melodie di John Denver...» (NASH R. 1967).
Wilderness, paesaggio, natura protetta: i termini della questione
27
sono nati e gestiti per questa finalità. Questa idea di natura ha influenzato anche l’Europa dove i parchi e le aree naturali protette assumono caratteri dimensionali e ambientali molto diversi. Specifiche leggi sulla protezione delle aree wilderness si riscontrano
in USA, Canada, Nuova Zelanda, Australia, Sud Africa, Kenia, Finlandia (fonte: www.ecologiaprofonda.com).
Nel contesto delle politiche europee e comunitarie, la promozione della wilderness è
oggetto della risoluzione del Parlamento Europeo (2008/2210(NI) on Wilderness in Europe)7, delle EU Guidelines on Wilderness in Natura 2000 del 2013, della Strategia 20152021 della EUROPARC Federation (actions 1.3b e 1.3c): «promuovere la wilderness e la
protezione dei paesaggi».
Tra i paesi europei che si sono impegnati nella protezione della wilderness si possono richiamare in particolare, la Scozia, dove il National Trust ha sviluppato una politica di protezione delle wild land fin dagli inizi del secolo scorso, e la Finlandia, unico paese europeo ad
aver legiferato in tema di wilderness con l’emanazione del Act on Wilderness Reserves del
19918. In Italia la wilderness, come categoria di tutela, non è istituzionalmente riconosciuta
dalla legge quadro nazionale sulle aree protette (Legge n°394/91) e non esistono aree naturali protette classificate nella categoria IUCN (Ib)-Wilderness Area (cfr. par. 2.2).
La wilderness nel mondo
Ma quanta superficie terrestre è interessata da aree wild? Naturalmente, la risposta
dipende dalla definizione adottata. In prima istanza, è possibile calcolare l’estensione
delle aree soggette a protezione proprio in virtù dei provvedimenti citati. Un riferimento importante è costituito dalla classificazione, non normativa, proposta dalla IUCN
(The International Union for Conservation of Nature) per le Aree Protette. La IUCN propone 6 categorie di Aree Protette, legate non solo alle caratteristiche intrinseche, ma
soprattutto agli obiettivi gestionali (DUDLEY 2008; cfr. par. 2.2). Le Aree Protette classificate in categoria (Ib)-Wilderness Area, «Sono aree generalmente vaste, intatte o poco
modificate, che mantengono il loro carattere e ruolo naturale, senza abitazioni umane
permanenti o significative, protette e gestite in modo da preservare le loro condizioni
naturali» (DUDLEY 2008, traduzione del CED PPN).
Nella categoria Ib è classificato solo il 4% delle aree protette istituite a livello europeo,
presenti prevalentemente nel Nord Europa9. Con una semplificazione, si possono ac-
7
La risoluzione nasce dal messaggio di Praga (Prague Conference on Wilderness and Large Natural Habitat Areas, COLEMAN A., AYKROYD T. 2009), ed ha avuto per conseguenza la promozione di studi per definire, monitorare e promuovere la wilderness in Europa (Alterra et al. 2012, EU 2012, EU 2014).
8
Attraverso questo atto sono state designate 12 wilderness areas nei territori della Lapponia, per una superficie di 1.490.300 ha con la finalità di conservare la natura
selvaggia, preservare la cultura e le tradizioni del popolo Sámi.
9
La wilderness è ancora presente in alcuni luoghi, in particolare in alcune parti della Finlandia, Svezia, Norvegia, Ucraina e Russia Occidentale e nei sistemi montuosi
dell’Europa centrale e meridionale (EEA 2012; Wild Europe, EC 2010).
28
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
costare le Aree Protette classificate in categoria (Ia)-Strict Nature Reserve (2%) e in categoria (II)-National Park (14%) (dati EEA-CDDA 2013, elaborazione CED PPN 2015, 41
Paesi EU) (Fig.2.5). Con riferimento all’Italia, nelle categorie (Ia)-Strict Nature Reserve e
(II)-National Park, ricadono rispettivamente circa l’1,8% e il 44,4% del territorio protetto
nazionale.
Come si è detto, queste percentuali rappresentano solo un sottoinsieme della wilderness: quella parte protetta come tale dalle legislazioni nazionali (infatti l’Italia, che non
ha una categoria simile nella propria legislazione nazionale, non può classificare come
tale il Parco Nazionale Val Grande o altre aree). Per una visione più globale, occorre
scegliere criteri ed indicatori misurabili.
Fig. 2.5 Le Aree Protette in Europa
(41 paesi), suddivise per categorie IUCN
(fonte: European Environmental AgencyCDDA 2013, elaborazione CED PPN, 2015).
Definizioni e criteri
In realtà, è impossibile trovare un set di criteri che non porti in sé un progetto implicito. Inoltre, la letteratura propone soprattutto criteri elaborati per l’implementazione
delle politiche di protezione (ad esempio, EU 2012). Il lessico si articola e si amplia: wilderness, wildness, wild, second wilderness e rewilding, ... le distinzioni consentono di
articolare opzioni e strategie differenziate.
Nel 1964, The US Wilderness Act definisce la wilderness «Una zona dove la terra e la relativa comunità vivente non sono ostacolate dalla presenza dell’uomo; in cui l’uomo stesso è un ospite che non rimane, ma se ne va subito» (traduzione V. GIULIANO 2004). Una
definizione che afferma un principio e un obiettivo.
Nel 2013, l’Unione Europea adotta una definizione più articolata, più tecnica che di
principî: «Wilderness è un’area governata da processi naturali. È composta da specie
ed habitat nativi, e sufficientemente ampia per il funzionamento ecologico dei processi naturali. È immodificata, o lievemente modificata, e priva di attività intrusive o
estrattive, insediamenti, infrastrutture o disturbi visivi dovuti all’uomo» (EU 2013: 10,
trad. ns)10. «La definizione include quattro qualità della wilderness: a) naturalità, b) assenza di disturbi, c) assenza di insediamenti e d) scala; una variabile generale e mutevole che, per definizione, è centrale per il concetto di wilderness»11 (EU 2013).
A partire dalle Linee guida dell’EU (2013) si possono elencare i seguenti criteri:
• vasta area naturale;
• immodificata;
• conservazione delle condizioni naturali;
10 «A wilderness is an area governed by natural processes. It is composed of native habitats and species, and large enough for the effective ecological functioning of natural
processes. It is unmodified or only slightly modified and without intrusive or extractive human activity, settlements, infrastructure or visual disturbance».
11 «Wild areas refer generally to large areas of existing or potential natural habitat, recognizing the desiderability of progressing over time through increased stages of naturalness – via restoration of native vegetation and moving towards natural rather than built infrastructure»…
Wilderness, paesaggio, natura protetta: i termini della questione
•
•
•
•
•
•
•
29
prevalenza delle forze naturali;
evoluzione spontanea della natura;
predominanza dei processi ecologici;
autonomia dei processi ecologici;
nessuna presenza o intervento dell’uomo ;
assenza di abitazioni permanenti;
assenza di infrastrutture.
Criteri così rigorosi limitano la possibilità di applicazione nel contesto europeo. Nello stesso documento dell’EU si allarga dunque l’attenzione anche alle wild areas, che rispondono solo ad alcuni
dei criteri dati, aree eventualmente più piccole, ma dove l’obiettivo delle politiche è proprio ripristinare o raggiungere uno stato più naturale, tipicamente un habitat potenziale12. Entra dunque in
gioco un «progetto» di wilderness, o meglio, di naturalità.
Nelle definizioni della wilderness, oltre ai criteri biologici hanno un peso crescente i fattori culturali,
legati alla percezione, alla fruizione e alla rappresentazione dei luoghi: del resto, la stessa wilderness
come precedentemente richiamato è una costruzione umana. Nelle citate Linee guida dell’Unione
Europea (EU 2013) si richiamano, accanto ai criteri biologici, le seguenti qualità delle aree wild:
• opportunità straordinaria di fare esperienza della solitudine, o di un’esperienza «primitiva»;
• esperienza spirituale;
• wilderness come qualità attribuita dalla società.
Per facilitare l’adozione di strategie coordinate, a livello europeo è stato proposto uno standard comune: l’European Wilderness Quality Standard and Audit System (EU 2014). Esso
riguarda sia aree selvagge sia aree rinaturalizzate. Infatti, alla base vi è il riconoscimento
dell’esistenza di un «wilderness continuum» (LESSLIE E TAYLOR 1985), e la volontà di sostenere azioni di rewilding, anche in contesti precedentemente compromessi13 (Fig. 2.6).
12 «The term ‘wild area’ is used for sites in protected areas and outside protected areas where only some of the wilderness qualities are found, where the conservation objectives
aim at achieving only part of the wilderness qualities, or where the objective is to fully restore natural processes and features with the aim to extend the wilderness core zone.»
(EU 2013: 12) «Wild areas refer generally to large areas of existing or potential natural habitat, recognizing the desiderability of progressing over time through increased stages
of naturalness – via restoration of native vegetation and moving towards natural rather than built infrastructure» (EU, Wild Life 2009; EEA 2010).
13 Secondo la EU Resolution «Calls on the Commission and the Member States to develop wilderness areas; stresses the need for the provision of special funding for reducing
fragmentation, careful management of re-wilding areas, development of compensation mechanisms and programmes, raising awareness, building understanding and
introducing wilderness-related concepts such as the role of free natural processes and structural elements resulting from such processes into the monitoring and measurement
of favourable conservation status; considers that this work should be carried out in cooperation with the local population and other stakeholders».
30
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
Fig. 2.6 Il grado di «wilderness» in
Europa, secondo il Wilderness Quality
Index dell’Unione Europea. In verde le
aree a maggiore naturalità
(fonte: EU 2014).
Wilderness, paesaggio, natura protetta: i termini della questione
Fig. 2.7 Da sinistra: Cappella di Terza,
Laurasca dal bivacco Scaredi, Torrente San
Bernardino.
31
Agire o non agire? Dalla teoria alla pratica
Come si è visto, nel contesto europeo è piuttosto accettata l’idea di un’azione antropica che
interferisca a favore della natura selvaggia. Ciò ha naturalmente a che fare con le caratteristiche del continente. In altri contesti, si è potuto osservare come la presenza umana (di
popolazioni native in condizioni «primitive») faccia parte dei cicli ecologici (che si vogliano o
meno considerare «equilibri»). Sono noti anche casi in cui, con l’istituzione di parchi, i soggetti gestori hanno dovuto ripristinare o simulare pratiche, un tempo proprie delle popolazioni
indigene, essenziali per il mantenimento degli habitat (ad esempio, incendi periodici, oppure
attività di pascolo). In sintesi, la gestione di un’area protetta ai fini del mantenimento della
wilderness pone la situazione paradossale di agire per mantenere uno stato (o un processo) e
interferire con qualcosa che si vorrebbe, per definizione, remoto e intoccato. Senza contare
il fatto che l’interferenza umana può essere indiretta (come mostrano i fenomeni di inquinamento e i cambiamenti climatici). La pianificazione delle aree protette interviene per guidare
il processo, nello spazio e nel tempo, articolandolo nello spazio.
In Italia, in particolare, la designazione di riserve naturali (integrali o meno), o di aree di riserva
naturale all’interno di aree protette più vaste, risponde all’obiettivo di impedire ogni attività
antropica, e persino l’accesso (salvo casi eccezionali, e motivi di ricerca scientifica)14. Come già
richiamato, non essendo riconosciute esplicitamente come categoria di area protetta nella
legislazione nazionale, le aree wilderness sono generalmente comprese nelle riserve e nei
parchi nazionali.
Tuttavia, una wilderness totalmente sottratta all’accesso di visitatori non fornisce più quell’esperienza che è alla base stessa delle motivazioni di tutela. Come abbiamo visto, se è vero
che è ormai diffusa la consapevolezza del valore di esistenza delle altre specie, è però vero
14 L’articolo 2 (Classificazione delle aree naturali protette) della legge quadro sulle aree protette 394/91 definisce le riserve naturali (statali e regionali) come segue:
«Le riserve naturali sono costituite da aree terrestri, fluviali, lacuali o marine che contengono una o più specie naturalisticamente rilevanti della flora e della fauna, ovvero
presentino uno o più ecosistemi importanti per le diversità biologiche o per la conservazione delle risorse genetiche. Le riserve naturali possono essere statali o regionali in
base alla rilevanza degli interessi in esse rappresentati» (art. 2, comma 3).
32
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
che la sensibilizzazione del pubblico è favorita dalla conoscenza diretta, e il sostegno alle
politiche di protezione è rafforzato da quei servizi ecosistemici, chiamati «servizi culturali»:
esperienza estetica, spirituale, ricreazione, didattica...15 (Fig. 2.7).
La ricerca di soluzioni, teoriche e pratiche, a questo dilemma accompagna il secolo e mezzo
di storia dei parchi. In tutte le altre aree protette, vi sono regole da rispettare per accedere
senza alterare gli habitat o comunque limitando la propria «impronta». Le soluzioni spesso
sono assai puntuali, specifiche e diverse quanto sono gli habitat: da meccanismi di visione
a distanza, a passerelle sospese tra le fronde della foresta (canopy walkway) o su delicati
habitat umidi. In sintesi, l’interdizione completa non è più la sola opzione possibile.
La «seconda wilderness»
Le considerazioni precedenti assumono ancora nuovi significati nelle situazioni in cui la natura selvaggia è, prevalentemente, una rappresentazione umana e non corrisponde ad una
significativa qualità biologica. È ben noto come ambienti disturbati dall’azione antropica
possano essere ricolonizzati da specie invasive, talvolta esotiche, portando ad ecosistemi
non particolarmente ricchi in biodiversità o addirittura degradati rispetto alla situazione
precedente. Eppure, nella percezione comune essi possono apparire «più verdi». Anche
quando il sistema evolve verso la vegetazione potenziale dell’area, avviene che ad una diversità di ambienti si sostituisce un solo tipo di habitat: è il caso di vaste aree alpine, in cui
l’abbandono di pascoli e coltivi ha favorito la ripresa del bosco, causando la perdita di radure
e fasce ecotonali. I casi di studio, in cui la perdita di biodiversità è stata monitorata, sono ormai numerosi. Così come sono state elaborate tecniche di restoration ecology per favorire
invece lo sviluppo di nuovi ecosistemi, tanto alla micro quanto alla macroscala (si pensi ai
progetti di reti ecologiche a scala nazionale in Germania).
In questi casi, siamo di fronte a luoghi in cui prevalgono i processi naturali, anche se precedentemente toccati dall’uomo. Luoghi non remoti, ma accessibili, certo più facilmente
di altre aree wild. Luoghi che hanno un buon potenziale per accogliere forme di ecoturismo. L’approccio ecoturistico (un turismo ad orientamento ecologico e naturalistico)16 è
in costante aumento a livello internazionale; è un turismo di scoperta, che risponde anche
alle strategie di coniugazione tra conservazione e sviluppo di ambienti peculiari, di scarse
risorse, come quelli montani.
Dunque, le iniziative di rewilding (con finalità ecologiche), insieme a quelle di ecoturismo
15 «Except for uninhabitable archaeological remains Wilderness areas represent a vital element of Europe’s natural and cultural heritage. In addition to their intrinsic value, they
offer the opportunity for people to experience the spiritual quality of nature in the widest experiential sense - beyond mere physical and visual attributes, and in particular its
psychological impact.They also provide important economic, social and environmental benefits, including ecosystem services, for local communities, landholders and society
at large.» (European Union 2012).
16 L’ecoturismo può essere definito «…Un viaggio ecologicamente responsabile e una visita ad aree naturali relativamente indisturbate per godere e apprezzare la natura (e
ogni dotazione culturale collegata, sia storica che attuale), un viaggio che promuove la conservazione, riduce al minimo l’impatto negativo dei visitatori e stimola il coinvolgimento della popolazione locale nella condivisione dei benefici socio-economici» (CEBALLOS-LASCURÀIN, IUCN 1996, citato in NICCOLINI F., MARZO D. 2012).
Wilderness, paesaggio, natura protetta: i termini della questione
33
(con finalità ricreative), appaiono una prospettiva particolarmente interessante per generare
insieme nuovi paesaggi della wilderness.
Paesaggi della wilderness in Val Grande e valli intrasche.
Un esempio emblematico
Il Parco Nazionale della Val Grande è un esempio significativo non di «wilderness» in
senso stretto, bensì dei processi attraverso i quali la wilderness si è imposta nel territorio, creando paesaggi fisici e mentali. Questa immagine di naturalità dell’area, fortemente sostenuta dall’Associazione Italiana Wilderness nel momento della candidatura
dell’area protetta, è divenuta un’immagine emblematica e distintiva rispetto ad altre
Aree Protette, anche di maggiore estensione. Tuttavia, si tratta di un’estesa «wilderness
di ritorno» che fa seguito all’abbandono da parte dell’uomo da quasi cinquanta anni,
dopo secoli di profonda e articolata attività antropica i cui segni sono ancora in parte visibili nel territorio del Parco: non vi sono boschi che non siano stati, in passato, sfruttati
o coltivati. Infatti, l’area è stata abitata fin dall’epoca preistorica, come dimostrano anche le incisioni rupestri (una di queste è stilizzata nel logo del Parco). I territorio è stato
a più riprese coltivato, attraversato, fruito, rappresentato e narrato: paesaggio naturale
o piuttosto paesaggio culturale? Wilderness, ma nel senso tratteggiato nei paragrafi
precedenti: in una certa misura, la wilderness della Val Grande è uno stato d’animo, da
cui deriva un obiettivo delle politiche di tutela.
Lo slogan celebrativo del Parco Nazionale Val Grande («L’area wilderness più grande
d’Italia») apre un problema rilevante, quello della dimensione. Si può evidenziare come
la superficie della parte di territorio del parco destinata a riserva naturale, di circa 3.400
ettari (comprendente le due riserve del Pedum e del Mottac), si avvicini alla superficie
media europea delle Aree Protette classificate nella categoria IUCN (Ib)-Wilderness area
(3.296,47 ha, CED PPN 2015).
Molte delle aree che oggi consideriamo ‘naturali’ sono, in realtà, «rinaturalizzate», ovvero frutto di processi di inselvatichimento, seguito all’abbandono del pascolo, dello
sfruttamento del bosco, delle coltivazioni e degli insediamenti. Non sempre la wilderness è sinonimo di qualità ecologica e di biodiversità, dipende infatti dalla qualità dei
processi di rinaturalizzazione. «Il territorio del parco presenta peculiarità floristiche e
vegetazionali solo in relazione alle aree che anche un tempo non erano utilizzate e cioè
alle forre e a tutte le aree rocciose più o meno umide, ai boschi ripariali montani, ai pascoli alpini di alta quota e alle poche zone umide» (dal Piano Direttore del PNVG).
I processi di rinaturalizzazione non interessano solo l’area protetta, ma anche valli limitrofe, le valli intrasche. Queste, tra val Grande, val d’Ossola e lago Maggiore, presentano nuclei spopolati e terrazzamenti, segni ormai illeggibili sotto il bosco di un passato
di territorio abitato. Accettare la dinamica dei processi di rinaturalizzazione, allargan-
34
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
do ulteriormente la seconda wilderness? Senza intervenire, o cercando di indirizzare i
processi? Provare ad invertire la dinamica, a partire da processi economici e territoriali
(nuovi abitanti, ecoturismo), è davvero plausibile, o il processo è giunto ad un punto di
non ritorno?
Le dinamiche evolutive di molte aree montane del nostro paese disegnano traiettorie
analoghe, perciò il Parco può essere considerato «un laboratorio di analisi e previsione
per territori più ampi» (dal Piano direttore del PNVG).
La Natura protetta.
Il Parco Nazionale della Val
Grande nel sistema delle
politiche di protezione della
natura
Il tema qui affrontato riguarda la natura protetta: l’uomo che si prende cura della natura. Nel quadro del percorso evolutivo delle politiche di conservazione della natura
a livello internazionale, si introduce la storia istituzionale del Parco Nazionale della
Val Grande, contestualizzando il Parco nei sistemi delle Aree Protette alle diverse scale:
europea, comunitaria, alpina, nazionale, regionale e locale.
Fig. 2.8 Il logo del parco, stilizzazione
dell’incisione rupestre alberiforme all’Alpe
Sassoledo, rappresenta allo stesso tempo
l’uomo e la natura.
Progetto del designer F. Bellato 1995.
Da Riserva naturale integrale a Parco Nazionale.
Nascita e crescita delle politiche di tutela in Val Grande.
Il progetto di tutela per il territorio della Val Grande ha radici piuttosto lontane. La fine
del taglio dei boschi, iniziato nel XIV secolo e l’abbandono degli alpeggi alla fine degli
anni ’60 hanno contribuito all’acquisto di gran parte del territorio da parte dello Stato,
affidandone la vigilanza al Corpo Forestale. Risale infatti alla metà degli anni ’50 la
prima proposta di creazione di una vasta area di foresta di proprietà dello Stato
(VALSESIA 2008). Nel 1967 (con decreto attuativo del 1971) viene istituita la Riserva Naturale Integrale della Val Grande, più nota come «Riserva naturale integrale del Pedum»: caratterizzata dall’articolato massiccio montuoso del Pedum, «la cima più ricca
di fascino e mistero della Val Grande», dall’aspetto arcigno e imponente, connotata
dalla forma a triangolo, la riserva si estende tra i 550 m. e i 2111 m. e copre una superficie di 973 ettari (VALSESIA 2008) (Fig.2.9).
Wilderness, paesaggio, natura protetta: i termini della questione
Fig. 2.9 A sinistra: Pogallo, luogo emblematico del processo di rinaturalizzazione
conseguente all’abbandono; accanto il
Monte Pedum, la montagna «simbolo»
della Val Grande.
35
Come recita il decreto ministeriale istitutivo «tale zona, di difficile accesso, ricca di acque, comprende boschi naturali, di conifere e latifoglie, anche plurisecolari, ed è racchiusa entro contrafforti rocciosi ed eccelse cime che presentano condizioni ideali di
rifugio e di nidificazione per l’aquila e il camoscio».
Questa forma di protezione implica uno stretto regime di tutela, entro il suo perimetro
infatti «è consentito l’accesso esclusivamente per ragioni di studio, per compiti amministrativi e di vigilanza, restando vietata qualsiasi attività antropica» (art. 2).
Successivamente, nel 1970 (con decreto attuativo del 1971), viene istituita la Riserva
Naturale Orientata del Monte Mottac, che si estende tra i 900 m e i 2256 m con una
superficie di 2410 ettari. Come rileva il decreto istitutivo «tale territorio, adiacente alla
Riserva del Pedum, di cui costituisce una fascia di protezione, è di notevole importanza dal punto di vista botanico-ecologico, ed è considerato un campione unitario
rappresentativo degli orizzonti vegetazionali delle Alpi Centrali italiane». Per questa
nuova categoria di protezione il regime di tutela risulta meno rigido, entro il perimetro
della riserva infatti «è consentito l’accesso esclusivamente per ragioni di studio, per fini
educativi, per escursioni naturalistiche, per compiti amministrativi e di vigilanza, nonché ricostituivi di equilibri naturali, restando vietata qualsiasi altra attività antropica»
(art. 2). (VALSESIA 2008).
Il progetto di tutela continua nel corso degli anni ’70 e ’80 con l’idea di creare una vasta area per la tutela e la fruizione, un parco naturale, «un polmone alpino» per Novara,
Varese e Milano, a circa 100 km.
La Val Grande, considerata «la più bella e più vasta wilderness italiana», viene individuata come Area Wilderness di interesse internazionale e proposta come prima Area
Wilderness d’Europa, anche grazie al sostegno dell’Associazione Italiana per la Wilder-
36
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
Fig. 2.10 La tutela e la gestione del territorio è esercitata, dal 1992, anno della sua
istituzione, dal Parco Nazionale Val Grande.
ness (AIW), che dagli anni ‘80 è impegnata nella diffusione della filosofia wilderness
(secondo la quale «la natura vada conservata in quanto valore di per sé e patrimonio
spirituale per l’uomo») e nella sua concreta applicazione, anche a livello nazionale17.
«[La Val Grande] una zona con valori di wilderness che deve essere salvata ad ogni
costo, un luogo unico che non ha eguali non solo da noi ma anche in molte nazioni
europee. Esso rappresenta una rarità, un’isola sopravvissuta all’incalzare della civiltà»
(ZUNINO F. citato in: VALSESIA T. 2008, p. 51).
L’idea di creare un Parco Nazionale trova concretizzazione nel 1992, con la legge quadro nazionale sulle aree naturali protette (L. 394/91). Viene così istituito il Parco Nazionale della Val
Grande, ampliando il territorio precedentemente incluso nelle due Riserve Naturali statali,
su una superficie di circa 12.000 ettari, comprendente il bacino orografico della Val Grande
e della Val Pogallo, all’interno della Provincia del Verbano-Cusio-Ossola. Successivamente,
con il decreto del 1998, la superficie del Parco viene ampliata, anche su richiesta delle autorità locali e della popolazione, interessando una superficie di 14.598 ha. Il territorio si allarga
venendo a comprendere le «Terre di mezzo», territori insediati permanentemente dall’uomo fra montagna, fondovalle del Toce e costa del Lago Maggiore, tra cui le valli intrasche,
comprendenti storicamente la bassa Val Grande, la bassa Val Pogallo, la Valle di Intragna
e le rispettive valli minori, e che da terre al «margine» sul perimetro delle riserve naturali,
si vengono a trovare potenzialmente in una posizione di «cerniera» fra questi territori così
diversi. «E così l’ultimo Paradiso è diventato Parco Nazionale» (VALSESIA T. cit.) (Fig. 2.10).
Con l’istituzione a Parco Nazionale, l’area protetta deve dotarsi degli strumenti di pianificazione e gestione introdotti dalla L. 394/91: il Piano del Parco (approvato dall’Ente nel 1999),
il Piano Pluriennale Economico e Sociale (approvato dalla Comunità del Parco nel 2002) e il
Regolamento (approvato dall’Ente nel 1999). Il Piano del Parco disciplina gli usi del territorio
secondo un diverso grado di tutela articolando il territorio in 4 zone (Tab. 2.1 e Fig. 2.11).
Nasce così l’Ente Parco Nazionale Val Grande, organo preposto alla tutela e alla gestione dell’ambiente naturale e della wilderness e all’attuazione di politiche di sviluppo
compatibili. La politiche di gestione del Parco si intrecciano strettamente con quelle
del territorio esterno e delle amministrazioni locali, per ragioni di connettività ecologica e in funzione della fruizione e della promozione dello sviluppo locale (Peano 1996,
Parco Nazionale della Val Grande 1999).
17 Lo scopo dell‘AIW è infatti quello di diffondere il concetto originario di wilderness, nato in America nei primi decenni del 1800 (HENRY DAVID THOREAU, ALDO LEOPOLD,..),
al fine di «preservare gli angoli più selvaggi della Terra nel loro stato più primitivo». «Wilderness è quindi, prima di tutto e soprattutto, conservazione degli spazi
selvaggi attraverso formali impegni di salvaguardia che siano il più duraturi possibile» (ZUNINO F. 2001).
«Oggi, per molte riviste di natura, è ‘Wilderness’ il Parco d’Abruzzo o la Majella, il Pollino o la Val Grande, ecc., tutti territori che pur racchiudendo dei luoghi possedenti
dei -valori di Wilderness-, nessuna autorità ha mai provveduto a designarli come tali in forma ufficiale, impegnandosi a preservarli e, soprattutto, a gestirli coerentemente contro un uso turistico-ricreativo di massa come implicherebbe l’utilizzo di tale termine…» (ZUNINO F. 2001 2003).
37
Wilderness, paesaggio, natura protetta: i termini della questione
Fig. 2.11 Il Piano del Parco articola il
territorio in zone a diverso grado di
tutela. Nell’immagine, la carta della
Zonizzazione, dal Piano del Parco; in rosso
la Zona A, Riserva integrale (fonte: PNVG,
Piano del Parco, 1999).
CARTA DELLA ZONIZZAZIONE
ZONA A Area di Riserva integrale
(Riserva del monte Pedum).
ZONA B Area di Riserva generale
e orientata, di conservazione attiva
dell’ambiente.
ZONA C Area di protezione, di
integrazione fra conservazione della
natura e utilizzazione dei prati-pascolo ed alto-montani.
ZONA D Area di promozione
economica e sociale.
Tab. 2.1 Zonizzazione del Parco
Nazionale individuata dal Piano del Parco
(fonte: PNVG 1999).
Zona A
Riserva integrale (coincidente per il PNVG con la Riserva del Monte Pedum), nella
quale l’ambiente naturale è conservato nella sua integrità ecologica. Qui l’accesso è
limitato a lle persone autorizzate dall’amministrazione del Parco per motivi di studio,
ricerca scientifica e di sorveglianza.
Zona B
Area di riserva generale e orientata nella quale è vietato realizzare nuove opere
edilizie e di trasformazione del territorio. Sono consentite le utilizzazioni produttive
tradizionali di tipo agro-silvo-pastorale e artigianale. L’obiettivo di questa zona è la
conservazione attiva dell’ambiente.
Zona C
Area di protezione, dove vengono continuare e favorite secondo gli usi
tradizionali, le attività agro-silvo-pastorali, nonché quelle agrituristiche ricettive
autorizzate dall’amministrazione del Parco purché compatibili con l’equilibrio
ambientale. Obiettivo specifico è l’integrazione fra la conservazione dei processi
naturali e l’utilizzazione dei prati pascolo ed alto-montani, anche per i valori di
mantenimento della biodiversità locale che rappresentano.
Zona D
Area di promozione economica e sociale. Qui si trovano gli «spazi abitati», dove
gli insediamenti storici possono essere restaurati nel rispetto dei materiali e delle
tipologie tradizionali, per la promozione della vita e delle collettività locali in stretta
armonia e coesistenza con le attività del Parco.
38
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
Il Parco Nazionale Val Grande nel sistema
delle Aree Protette europee e nell’Arco alpino
Tab. 2.2 - I «nuovi paradigmi»
per la conservazione della natura
(A. PHILLIPS 2003)
• Obiettivi anche economici e
sociali
• Governance plurale
• Gestione da, per e con
la popolazione locale
• Pianificazione e gestione in rete
• Valori locali ed internazionali
• Gestione adattativa
• Finanziamenti plurimi
• Gestione multidisciplinare
(fonte: A. PHILLIPS 2003, rielaborazione CED PPN )
Il panorama internazionale ed europeo
Il Parco Nazionale della Val Grande si inserisce nel panorama internazionale ed europeo
delle Aree Naturali Protette. Si tratta di organizzazioni e sistemi di tutela molto diversi, per
definizioni, concetto di natura, contesti ambientali, culturali, istituzionali. Gli spazi naturali
protetti presenti nel contesto europeo si diversificano infatti molto da quelli ad esempio dei
grandi sistemi asiatici, africani o americani.
Le aree protette in Europa e nel mondo sono cresciute costantemente negli ultimi decenni,
diffondendosi anche in prossimità o all’interno dei territori urbanizzati. L’originaria concezione di parco, intesa come «wilderness» o «santuario della natura», separato dall’ambiente
umanizzato, si è nel tempo evoluta. Le Aree Protette hanno assunto un ruolo crescente in
termini ecologici, scientifici, culturali e socio-economici. Il significato della conservazione
a livello internazionale è infatti cambiato negli ultimi decenni nel campo della conservazione della natura (così come nel campo della conservazione del paesaggio e del patrimonio culturale), ponendo sempre più l’attenzione sulla stretta relazione tra natura e cultura
che caratterizza le aree protette, soprattutto nel contesto europeo, e sulla necessità di una
maggior integrazione con le politiche dello sviluppo (cfr. par. 2.1). La necessità di estendere
le politiche di conservazione e valorizzazione anche al territorio di contesto e di costruire
un’alleanza con le comunità locali, considerate risorsa indispensabile ai fini dell’istituzione
e della gestione dell’area protetta, sono al centro dei «nuovi paradigmi» della conservazione della natura (PHILLIPS 2003), affermatasi a partire dagli anni ’90 dai Congressi mondiali
IUCN di Durban 2003 e di Bangkok 2004, frutto della consistente evoluzione concettuale
maturata negli ultimi trent’anni a livello mondiale (NEGRINI, SALIZZONI 2008). Tali paradigmi,
riaffermatasi nei successivi Congressi IUCN (Barcellona 2008, Jeju 2012, Sidney 2014), hanno
continuato a stimolare il dibattito, non solo in ambito IUCN, a livello internazionale, europeo
e nazionale, ribadendo l’esigenza di integrazione tra conservazione e sviluppo e tra aree
protette e territorio (GAMBINO 2004; PEANO 2013; GAMBINO, PEANO 2015) (Tab. 2.2).
Oggi le tipologie di aree naturali protette sono un’ampia gamma, anche inclusive della presenza umana, con finalità più articolate e con diverso grado di tutela. Esse rappresentano
una realtà articolata ed eterogenea, definita dalle singole legislazioni nazionali con obiettivi
e criteri diversificati, anche in riferimento alla classificazione normativa delle Aree Protette. Esse sono infatti articolate in un’ampia gamma di categorie: più di cento sono le definizioni utilizzate dall’insieme dei diversi paesi, espressione delle specifiche politiche e tradizioni
culturali (GAMBINO et al. 2008, GAMBINO, PEANO 2015). In molti Stati, inoltre, come in Italia, ad
esse si aggiungono altre categorie create dalle legislazioni regionali o sub-nazionali.
Nel rispondere all’esigenza di costruire un quadro comparativo a livello globale tra i diversi
sistemi nazionali di Aree Protette e quindi di «costruire un linguaggio comune» per coordi-
Wilderness, paesaggio, natura protetta: i termini della questione
39
Fig. 2.12 Distribuzione delle Aree Protette
in Europa (41 paesi) per categorie IUCN
(fonte: European Environmental Agency –
CDD 2013, elaborazione CED PPN, 2015).
Il PNVG è classificato nella categoria IUCN
(II)-National Park.
nare le rispettive politiche (BISHOP, DUDLEY, PHILLIP, STOLTON 2004, IUCN Almeria 2007), la già
citata IUCN, la più antica e prestigiosa organizzazione mondiale per la conservazione della
natura e della biodiversità, fondata nel 1948, ha proposto un sistema di classificazione
«orientativa» delle Aree Protette istituite nel mondo, da quelle create con lo scopo di tutela
integrale degli habitat ai «paesaggi protetti» (IUCN Guidelines 1994, 2008). Il sistema si arti-
40
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
Tab. 2.3 Le definizioni delle 6 categorie IUCN
di aree protette. Traduzione a cura del CED
PPN, Fonte: DUDLEY, N. 2008.
cola in 6 categorie di Aree Protette, individuate secondo un «criterio di scopo»18, in base al
quale le categorie si distinguono in funzione dei diversi obiettivi di gestione individuati e ai
requisiti ad esse assegnati (Tab. 2.3). Ad ogni categoria corrisponde un obiettivo principale,
obiettivo che non può essere disatteso, e che deve essere applicato ad almeno ¾ dell’area
protetta (il restante 25% può essere gestito per altri scopi, che non interferiscano con l’obiet-
Category Ia: Strict nature reserve
“Category I are strictly protected areas set aside to protect biodiversity and also
possibly geological/geomorphological features, where human visitation, use and
impacts are strictly controlled and limited to ensure protection of the conservation
values. Such protected areas can serve as indispensable reference areas for scientific
research and monitoring”.
Riserva naturale integrale/Area di riserva integrale
Sono aree protette sottoposte a uno stretto regime di tutela, destinate alla
protezione della biodiversit e anche, eventualmente, delle caratteristiche
geologiche / geomorfologiche, dove la presenza umana, l‘uso e gli impatti
sono rigorosamente controllati e limitati per garantire la tutela dei valori della
conservazione. Tali aree protette possono servire come aree di riferimento
indispensabili per la ricerca scientifica e il monitoraggio.
Category Ib: Wilderness area
“Category Ib protected areas are usually large unmodified or slightly modified areas,
retaining their natural character and influence, without permanent or significant
human habitation, which are protected and managed so as to preserve their natural
condition”.
Area di wilderness
Sono aree generalmente vaste, intatte o poco modificate, che mantengono il loro
carattere e ruolo naturale, senza abitazioni umane permanenti o significative,
protette e gestite in modo da preservare le loro condizioni naturali.
Category II: National park
“Category II protected areas are large natural or near natural areas set aside to
protect large-scale ecological processes, along with the complement of species
and ecosystems characteristic of the area, which also provide a foundation
for environmentally and culturally compatible spiritual, scientific, educational,
recreational and visitor opportunities”.
Parco Nazionale
Sono aree naturali o pressoch naturali, riservate alla protezione a larga scala
dei processi ecologi, anche in riferimento a specie ed ecosistemi caratteristici,
che costituiscono la base per le opportunit di visita e ricreazione, spirituali,
scientifiche e formative, ambientalmente e culturalmente compatibili.
Category III: Natural monument or feature
“Category III protected areas are set aside to protect a specific natural monument,
which can be a landform, sea mount, submarine cavern, geological feature such as a
cave or even a living feature such as an ancient grove. They are generally quite small
protected areas and often have high visitor value”.
Monumento Naturale
«Sono aree protette destinate alla protezione di uno specifico monumento
naturale, che pu essere un elemento morfologico, una montagna sottomarina,
una grotta sottomarina, un elemento geologico, come una caverna o anche un
elemento vivente, come un boschetto antico. Esse sono generalmente aree
protette molto piccole e spesso hanno un elevato valore per il visitatore».
Category IV: Habitat/species management area
“A protected area where the interaction of people and nature over time has
produced an area of distinct character with significant ecological, biological, cultural
and scenic value: and where safeguarding the integrity of this interaction is vital to
protecting and sustaining the area and its associated nature conservation and other
values”.
Area per la gestione di habitat e specie
«Aree protette il cui scopo la protezione di particolari specie o habitat e la
gestione riflette questa priorit. Molte aree protette di categoria IV necessiteranno
di interventi periodici e attivi per rispondere alle esigenze di particolari specie o
per mantenere gli habitat, ma questo non un requisito della categoria».
Category V: Protected landscape/Seascape
“A protected area where the interaction of people and nature over time has
produced an area of distinct character with significant ecological, biological, cultural
and scenic value: and where safeguarding the integrity of this interaction is vital to
protecting and sustaining the area and its associated nature conservation and other
values”.
Paesaggi terrestri e marini protetti
«Un‘area protetta dove l‘interazione tra uomo e natura nel corso del tempo ha
prodotto una area di specifico carattere con un significativo valore ecologico,
biologico, culturale e scenico: e dove salvaguardare l‘integrit di questa interazione
fondamentale per proteggere e sostenere l‘area e i suoi valori naturali e diversi».
Category VI: Protected area with sustainable use of natural resources
“Category VI protected areas conserve ecosystems and habitats, together
with associated cultural values and traditional natural resource management
systems. They are generally large, with most of the area in a natural condition, where
a proportion is under sustainable natural resource management and where lowlevel non-industrial use of natural resources compatible with nature conservation is
seen as one of the main aims of the area”.
Aree per la gestione sostenibile delle risorse
«Le aree protette della Categoria VI conservano gli ecosistemi e gli habitat,
insieme ai valori culturali associati e ai sistemi tradizionali di gestione delle risorse
naturali. Esse sono generalmente di grandi dimensioni, prevalentemente in una
condizione di naturalità, in cui una parte sottoposta alla gestione sostenibile
delle risorse naturali e dove il basso livello di uso non industriale delle risorse
naturali compatibili con la conservazione della natura considerata uno dei
principali obiettivi dell'area».
18 Su tale tema si può richiamare il contributo fornito al dibattito internazionale dagli studi e ricerche sviluppati a livello nazionale, tra i quali le ricerche svolte dal CED
PPN (Politecnico di Torino) a partire dai primi anni novanta (Ministero dell’Ambiente, CED PPN 2003, GAMBINO et al. 2008, GAMBINO, PEANO 2015).
Wilderness, paesaggio, natura protetta: i termini della questione
Fig. 2.13 Le forre del Torrente
San Bernardino presso il ponte
Rovegro-Cossogno.
41
tivo principale). La classificazione non implica una gerarchia di valore, come ripetutamente
raccomandato dalla IUCN, ma ogni categoria ha un ruolo specifico nel sistema.
Tale sistema di classificazione ha acquistato sempre maggiore importanza, in particolare in
Europa (IUCN Summit, Almeria 2007; IUCN World Conservation Congress, Barcellona 2008),
in quanto non costituisce solo un riferimento formale, bensì, nell’ottica di strategie integrate
di governo, un importante contributo alla formazione di politiche di sistema per la conservazione della natura e del paesaggio e una guida utile per la pianificazione e la gestione
delle aree protette19 (NEGRINI 2010).
19 Le problematiche che hanno interessato le politiche delle AP, effetto dei grandi cambiamenti sociali e territoriali avvenuti, hanno posto in evidenza l’esigenza di
pensare a nuove forme e processi di governo del territorio sempre più partecipativi, dove risulta centrale il ruolo delle comunità locali. In tale direzione, la IUCN ha
proposto, in occasione del WCC Barcellona 2008, di definire, per ogni categoria di Aree Protette, un modello appropriato di governance, individuando quattro categorie di gestione, da quelle più tradizionali, come le aree protette gestite dal governo, a quelle più comunitarie gestite direttamente dalle comunità locali, come le
ICCAs (BORRINI-FEYERABEND G., DUDLEY N. 2007).
42
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
1,8% Ia
14% V
44% II
40% IV
0.2% III
0% N/A
0% VI
0% Ib
Fig. 2.13 Le Aree Protette in Italia suddivise per categorie IUCN (fonte: European
Environmental Agency-CDDA 2013,
elaborazione CED PPN, 2015). Prevale la
catagoria IUCN(II)-National Park, alla quale
appartiene anche il PNVG.
Che cosa è un’Area Protetta?
Le IUCN Guidelines del 2008, pur riproponendo le categorie definite nel 1994, introducono
una nuova definizione di area protetta e rafforzano il concetto di natura legandolo a quello
di biodiversità, che diviene infatti obiettivo prioritario per ciascuna categoria:
«A protected area is a clearly-defined geographical space, recognized, dedicated and managed, through legal or other effective means, to achieve the long-term conservation of nature with associated ecosystem services and cultural values» (DUDLEY 2008, p. 8) (Fig. 2.12).
I caratteri essenziali del quadro europeo delle Aree Protette possono essere così riassunti:
la presenza di un esteso patrimonio di valori naturali e culturali: 41 Paesi europei che ospitano oltre 86.000 Aree Protette che coprono una superficie di circa 102 milioni di ettari (2013);
una grande ricchezza e varietà di ambienti e di paesaggi (dalle aree più naturali, ai paesaggi
culturali, ai contesti urbanizzati) e di modelli di tutela, gestione e pianificazione;
una realtà in continuo movimento che ha mostrato una straordinaria e continua crescita
(+ 23% ha, nel 2008, decennio 1996-2006), trend che sembra continuare;
una notevole incidenza territoriale del territorio europeo considerato (20,3% al 2013 rispetto
al territorio complessivo);
un parte significativa della popolazione europea coinvolta (circa il 25%, nel 2008).
Caratterizza il panorama europeo la prevalenza delle Aree Protette classificate nella categoria IUCN (V) -Protected Landscapse/Seascapes» (circa il 50%), tendenza che sembra confermarsi (fonte EEA-CDDA 2013, elab. CED PPN, 2008, 2015).
Come già accennato, il Parco Nazionale della Val Grande, a cui viene internazionalmente
riconosciuto il carattere «wilderness», non è classificato nella categoria IUCN (Ib)-Wilderness
area, ma, per i suoi specifici caratteri ambientali, risponde agli obiettivi di gestione individuati dall’IUCN per la categoria II-National Park.
Alla categoria IUCN II, molto rappresentata nel quadro europeo e nel contesto alpino, vengono attribuiti, come obiettivi principali la gestione naturalistica, la protezione degli ecosistemi e la fruizione sociale a scopi ricreativi. Tale categoria mostra un’incidenza in termini di
superficie, a livello europeo di circa il 14%, a livello nazionale di circa il 44% rispetto all’insieme delle aree protette (Fig.2.13). Secondo le Guidelines IUCN 2008, i Parchi Nazionali sono
definiti: «aree naturali, la cui istituzione è motivata dall’esigenza di proteggere l’integrità
ecologica di uno o più ecosistemi per le presenti e future generazioni, escludendo utilizzazioni o occupazioni del suolo che si pongono in conflitto con tale esigenza e al fine di fornire
opportunità di fruizione spirituale, scientifica, educativa e ricreativa compatibili dal punto di
vista ambientale e culturale» (DUDLEY 2008, traduzione a cura del CED PPN).
Wilderness, paesaggio, natura protetta: i termini della questione
43
ll Parco Nazionale Val Grande nel sistema delle Aree Protette Alpine
Il territorio della Val Grande assume un ruolo di rilievo nel contesto alpino. Esso fa anche parte della regione biogeografica alpina caratterizzata da un eccezionale patrimonio faunistico e floristico (circa 30.000 specie animali, 900 diverse comunità vegetali e
circa 13.000 specie vegetali), nonché da un patrimonio storico e culturale ricco e diversificato, caratterizzato da una grande diversità linguistica (fonte: ALPARC, 2015). Con riferimento alla classificazione IUCN, ben rappresentate nel nella regione alpina risultano,
oltre alla catetoria categoria II-National Park, le categorie (Ib)-Wilderness area e (Ia)-Strict Nature Reserve. La Riserva Integrale della Val Grande o del «Pedum», corrispondente
alla zona più interna del Parco, istituita nel 1967, è stata la prima Riserva naturale integrale dell’Arco Alpino.
Il Parco rappresenta inoltre uno dei 14 Parchi Nazionali della Rete delle Aree Protette
Alpine, una rete di habitat naturali e paesaggi culturali che riunisce numerose aree protette delle Alpi di grandi dimensioni (> 100 ettari): circa 900 aree, pari a circa il 25% della
superficie interessata dalla Convenzione delle Alpi, rappresentative delle principali categorie di protezione20, in otto Paesi alpini, dalla Francia alla Slovenia (fonte: ALPARC
2015). (Fig. 2.14)
Fig. 2.14 ALPARC, Carta della Rete delle
Aree Protette Alpine, (fonte ALPARC 2015).
20 La rete ALPARC è costituita da: 14 Parchi Nazionali, 70 Parchi regionali/naturali, 300 Riserve naturali, 10 Riserve della Biosfera UNESCO, 2 Siti del Patrimonio Mondiale
UNESCO, 3 Riserve Geologiche, più altre aree e siti a protezione speciale (es. biotopi, aree di protezione del paesaggio, siti classificati, ecc., fonte ALPARC, http://www.
alparc.org/it/le-aree-protette/le-aree-protette-alpine-in-cifre).
44
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
La Rete ALPARC lavora da vent’anni nell’obiettivo di promuovere la cooperazione internazionale dei gestori delle aree protette Alpine, di realizzare progetti in comune, di
creare «un continuum ecologico» tramite corridoi biologici tra le aree protette, di informare il grande pubblico sull’azione dei parchi e delle riserve delle Alpi (fonte: ALPARC,
http://www.alparc.org).
La Val Grande, situata infatti nella zona di transizione tra la fascia alpina e prealpina è
un’area «unica» sia per «conformazione geografica che retroterra culturale»: un ambiente alpino con caratte ristiche peculiari, dove la maggior parte del territorio si estende
tra i 600 m. e i 1.800 m. con una grande varietà di paesaggi e usi del suolo (pascoli, castagneti, faggete, boschi…). Un patrimonio naturalistico e una biodiversità di elevato
interesse che cela una stratificazione di antichi segni della civiltà contadina la cui storia,
come è stato sottolineato, «è scritta tutta in salita» (PNVG, CETS 2012).
Proprio lo straordinario interesse geologico dell’area ha determinato il prestigioso riconoscimento internazionale UNESCO con il quale nel 2013 il Parco viene a far parte
del Sesia-Val Grande Geopark entrando così nella lista mondiale e portando a nove il
numero dei geoparchi presenti in Italia, primo paese europeo per numero di geoparchi
istituiti. A livello europeo, l’European Geoparks Network comprende 65 Geoparchi in
22 Paesi europei.
Tale riconoscimento UNESCO nonché l’adesione del Parco alla Carta Europea del Turismo Sostenibile nelle Aree Protette (CETS) promossa da EUROPARC Federation, risultano di particolare importanza ai fini di una strategia innovativa per un turismo sostenibile, scientifico e naturalistico, attraverso il quale valorizzare e gestire il patrimonio
naturale e culturale del territorio.
La valenza comunitaria del Parco Nazionale della Val Grande
ll Parco della Val Grande costituisce un nodo importante della rete ecologica a scala europea, nazionale e regionale. È infatti un’area riconosciuta di importanza europea in quanto
inserita nella Rete Natura 2000, il principale programma per la protezione della biodiversità
previsto dall’Unione Europea a cui oggi aderiscono 28 Paesi e che trova riferimento istituzionale nella Direttiva 92/43/CEE «Habitat». L’obiettivo della Rete è quello di garantire il mantenimento a lungo termine degli habitat naturali e delle specie di flora e fauna minacciati
o rari a livello comunitario21. (Fig. 2.15) La Rete Natura 2000 individua, raccoglie e protegge
numerosi siti caratterizzati dalla presenza di habitat naturali e seminaturali, proteggendone
la flora e la fauna (CROSA LENZ, PIROCCHI 2011); non solo siti sottoposti a una rigida protezione
dove le attività umane sono escluse, ma la Direttiva Habitat tiene anche «conto delle esi21 La Rete è costituita dai Siti di Interesse Comunitario (SIC), identificati dagli Stati Membri, successivamente designati quali Zone Speciali di Conservazione (ZSC) - e
dalle Zone di Protezione Speciale (ZPS) istituite ai sensi della Direttiva concernente la conservazione degli uccelli selvatici, Direttiva 2009/147/CE «Uccelli» che ha
sostituito la «Direttiva Uccelli»del 1979, con la quale vengono protetti vasti territori importanti per la presenza di specie di uccelli rare o a rischio di estinzione.
Wilderness, paesaggio, natura protetta: i termini della questione
Fig. 2.15 La natura in Val Grande. Da sinistra: Gheppio; Camoscio; Campanula excisa;
Faggeta in Val Pogallo.
45
genze economiche, sociali e culturali, nonché delle particolarità regionali e locali» (Art. 2),
riconoscendo l’importanza di alcuni elementi del paesaggio che svolgono un ruolo di connessione per la flora e la fauna selvatiche (art. 10).
Va richiamato che i Siti Natura 2000 sono in parte sovrapposti tra loro e ampiamente sovrapposti alle Aree Protette conformi ai criteri IUCN, le quali coprono una superficie territoriale
superiore. In Europa i Siti Natura2000 coprono circa il 18,3% della superficie dei 28 Paesi
interessati e in Italia essi coprono circa il 19% del territorio terrestre nazionale (EU DG ENV B2,
Natura 2000 Barometer, dicembre 2013).
Nel territorio del Parco sono stati identificati (Piano Direttore, 199) una APS (Area di Protezione Speciale) ai sensi della Direttiva 409/79/CEE (Direttiva Uccelli Selvatici) - Riserva naturale
Monte Mottac e Val Grande di circa i 3.400 ettari, e un SIC (Sito di Importanza Comunitaria)
ai sensi della direttiva 43/92/CEE (Direttiva Habitat) - Parco Nazionale Val Grande con una superficie di circa 11.855 ettari. Al proposito, il Piano del Parco (1999) individua trai suoi obiettivi la conservazione e la protezione a lungo termine degli habitat di rilievo comunitario e la
connessione funzionale con gli altri SIC limitrofi.
L’area della Val Grande è inoltre inserita nell’elenco delle I.B.A. (Important Bird Areas) elaborato da BirdLife International.
Il Parco Nazionale Val Grande nel sistema delle Aree Protette
nazionale, regionale e locale
ll livello nazionale
Come detto, il Parco della Val Grande è classificato come «Parco Nazionale» secondo la legge n. 394/91, Legge quadro sulle Aree Protette, riferimento giuridico principale in materia di
tutela e gestione delle aree protette. Essa individua un «sistema nazionale di aree protette»
costituito da diverse categorie di tutela: parchi nazionali, parchi naturali regionali e interregionali, riserve naturali (statali e regionali), altre aree naturali protette regionali, aree protette
marine nazionali ed internazionali, zone umide di importanza internazionale (Ramsar)».
46
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
Secondo l’art. 2 della legge 394/9 i Parchi Nazionali (categoria i cui obiettivi di gestione
corrispondono a quelli definiti dalla IUCN per la analoga categoria II), «sono costituiti da
aree terrestri, fluviali, lacuali o marine che contengono uno o più ecosistemi intatti o anche parzialmente alterati da interventi antropici, una o più formazioni fisiche, geologiche
geomorfologiche, biologiche, di rilievo internazionale o nazionale per valori naturalistici,
scientifici, estetici, culturali, educativi e ricreativi tali da richiedere l’intervento dello Stato
ai fini della loro conservazione per le generazioni presenti e future» (art. 2, comma 1).
Come richiamato, le categorie nazionali definite dalla legge 394/91 non rappresentano
tutte le categorie della classificazione internazionale proposta in ambito IUCN, non sono
contemplati ad esempio i «paesaggi protetti», le «aree wilderness» e i «monumenti naturali», presenti invece nelle classificazioni nazionali di alcuni Paesi europei. La classificazione nazionale, basandosi su un criterio di «interesse istituzionale» (internazionale, nazionale, regionale), non si coordina con la già richiamata classificazione IUCN i cui criteri sono
invece legati agli obiettivi di gestione attribuiti alla categoria di area protetta.
Al proposito, è stato evidenziata l’opportunità di integrare l’attuale classificazione nazionale inserendo alcune nuove categorie, in coerenza con il sistema definito a livello internazionale, tra le quali i «paesaggi protetti» e le «aree widerness», aree queste ultime che
potrebbero assumere un ruolo importante in ragione dei processi di rinaturalizzazione
dei territori d’abbandono in atto nel paese («wilderness di ritorno»), in particolare nei sistemi montani (Ministero dell’Ambiente, CED PPN 2003).
In ambito nazionale si rileva un ricco e diversificato sistema di ambienti e paesaggi, composto
da 870 Aree Protette riconosciute ufficialmente dal Ministero dell’Ambiente (fonte: VI EUAP,
MATM 2010), che coprono una superficie territoriale di 3.459.367 ettari, pari a circa l’11,5%
del territorio nazionale (a cui si aggiunge l’area protetta «Santuario dei mammiferi marini»
che interessa una superficie di ben 2.557.258 ettari). Sono inoltre presenti altre categorie di
aree protette istituite a livello regionale e sub-regionale, che specificano o integrano le aree
protette definite dalla legge quadro, non inserite nell’EUAP. Una realtà in crescita fortemente
rappresentata dai parchi naturali sia nazionali che di livello sub-nazionale.
In particolare, i 24 Parchi Nazionali istituiti coprono complessivamente una superficie di
1.537.493 ha, pari circa il 5 % del territorio nazionale. Essi ospitano la gran parte degli habitat fondamentali per la vita delle 56.000 specie di animali presenti in Italia, paese europeo tra i più ricchi di biodiversità (MAATM, 2013).
Va inoltre considerata la presenza di altre aree protettre che discendono da normative comunitarie o da designazioni internazionali, quali i già citati Siti di Importanza Comunitaria
(SIC) e Zone di Protezione Speciale (ZPS), le Riserve della Biosfera (UNESCO), i Siti del Patrimonio Mondiale (UNESCO), i Siti Ramsar, le Riserve Biogenetiche, le Aree specialmente
protette di importanza mediterranea.
Wilderness, paesaggio, natura protetta: i termini della questione
Fig. 2.16 Il Parco Nazionale
della Val Grande nel
sistema delle aree protette
del Piemonte. In evidenza
la Provincia del VerbanoCusio-Ossola (fonte:
Regione Piemonte, elab.
CED PPN 2015).
47
48
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
Figg. 2.17, 218 La Val Grande fa parte
della storia dell’escursionismo alpino. Nelle
immagini, il rifugio Bocchetta di Campo, uno
dei rifugi del Club Alpino Italiano, inaugurato
nel 1897.
Le Aree Protette della Regione Piemonte
e della Provincia del Verbano-Cusio-Ossola
Nel sistema regionale delle aree protette la Val Grande rappresenta uno dei due Parchi
Nazionali istituiti nella Regione Piemonte, Regione che da quarant’anni è impegnata nella
conservazione della natura attraverso l’istituzione delle aree protette e che ha festeggiato
il 4 giugno 2015 l’anniversario della sua prima legge regionale sulle aree protette (Legge
regionale 4 giugno 1975, n. 43, «Norme per l’istituzione dei parchi e delle riserve naturali»). Attualmente il riferimento legislativo in materia è costituito dalla legge regionale n°19
del 2009 «Testo unico sulla tutela delle aree naturali e della biodiversità».
Un sistema regionale costituito da 94 aree protette, articolato tra parchi naturali, riserve
naturali, zone naturali di salvaguardia, riserve speciali, oltre ai due Parchi Nazionali, del Gran
Paradiso (parte piemontese), istituito nel 1922 e della Val Grande, per una superficie complessiva di 185.832 ha, pari al 7,3 % del territorio regionale (Regione Piemonte 2015). Fanno
parte del sistema anche i sette «Sacri Monti» (Crea, Varallo, Orta, Ghiffa, Belmonte, Domodossola e Oropa) inseriti nel 2003 nella Lista del Patrimonio Mondiale UNESCO. Sono inoltre presenti 146 Siti della Rete Natura 2000, con una superficie di 398.660 ha, pari al 15,7%
del territorio regionale (Fig. 2.16).
In particolare, il territorio della Provincia VCO, in cui è situato il Parco, presenta un elevato
valore ambientale (Regione Piemonte, 2009). La tutela della natura prende avvio con la
nascita nel 1969 dell’Oasi faunistica di Macugnaga. Successivamente, nel 1978, viene istituito il primo Parco naturale piemontese dell’Alpe Veglia a cui segue negli anni ’80 e ‘90
l’istituzione di altre Riserve naturali e di Oasi fino al 1992, anno della creazione del Parco
Nazionale della Val Grande.
Wilderness, paesaggio, natura protetta: i termini della questione
49
Fig. 219 Una recente esperienza di
ecoturismo («i campi wilderness a impatto
zero»).
Le aree protette provinciali22 interessano una superficie 31.778,30 ettari, pari al 14,05% del
territorio. Sono inoltre presenti due Sacri Monti, inseriti dall’UNESCO nel 2003 nella Lista
del Patrimonio dell’Umanità (insieme ad altri cinque piemontesi e lombardi), la Riserva naturale speciale del Sacro Monte Calvario di Domodossola e la Riserva naturale speciale del
Sacro Monte della Santissima Trinità di Ghiffa e quattro Siti di interesse comunitario (SIC),
Campello Monti, Rifugio M. Luisa (Alta Val Formazza), Greto del Toce tra Domodossola e
Villadossola, Boleto – Monte Avigno.
La storia del territorio del Parco Nazionale della Val Grande è un esempio rappresentativo
di quanto accade in Europa, dove le aree protette sono caratterizzate da una inscindibile
interazione tra natura e cultura, tale per cui si rende necessario stabilire un’integrazione
delle politiche di conservazione della natura nelle politiche territoriali, nella direzione indicata dai nuovi paradigmi lanciati dalla IUCN (Phillips 2003, Durban 2003, Bangkok 2004),
riferimento ormai consolidato nel dibattito internazionale, europeo e nazionale. In tale
direzione, fondamentale è la ricerca di un’alleanza tra le politiche delle Aree Protette e
le politiche del paesaggio, poiché queste ultime, riguardando l’intero territorio, possono
contribuire ad allargare l’influenza delle misure di protezione, valorizzazione e sviluppo,
promuovendo l’integrazione territoriale delle Aree Protette ed arricchendo il significato
socio-culturale delle politiche di conservazione della natura (GAMBINO, in GAMBINO, PEANO
2015). Nel contesto europeo, tale auspicato coordinamento può trovare formale riferimento nella Convenzione Europea del Paesaggio (CoE 2000).
22 Il sistema comprende le aree protette: il Parco Nazionale della Val Grande, Il Parco naturale dell’Alpe Veglia e dell’Alpe Devero, Il Parco naturale dell’Alta Valle Antrona,
Parco naturale Alta Valsesia e Val Strona, La Riserva naturale speciale di Fondotoce.
Capitolo III
51
Il territorio e i suoi valori
Bianca Maria Seardo
Le geometrie del territorio e
le scale di analisi
Fig. 3.1
Alpe Terza.
S
e lo studio incentra l’attenzione sui paesaggi delle valli intrasche, si noterà tuttavia
- scorrendo il testo di questo libro - che ogni approfondimento disciplinare esprime la necessità di descriverlo, interpretarlo e analizzarlo tenendo maglie più o
meno strette, ingrandendo o diminuendo il fattore di scala e estendendo secondo logiche differenti i confini del paesaggio d’attenzione. Occorre qui, in via introduttiva, una
precisazione su questo aspetto che, a prima vista, potrebbe indurre il lettore a pensare
ad una disomogeneità nell’impianto della ricerca. Come riferimento territoriale, infatti, si
noterà che abbiamo l’intero territorio del Parco Nazionale e il suo contesto che comprende almeno le valli contermini (Ossola, Vigezzo, Cannobina) con la fascia lacustre del lago
Maggiore; si spazierà fino ad un inquadramento regionale o addirittura nell’arco alpino,
almeno per quanto riguarda l’individuazione di fattori di strutturazione del paesaggio e
di dinamiche sociali e territoriali, come si vedrà nei capitoli a seguire. È bene pertanto
chiarire preventivamente le geometrie spaziali a cui ci si riferisce con i diversi toponimi
utilizzati nella ricerca.
Il bando dell’Ente Parco Nazionale Val Grande indetto nel 2014 per la definizione
dell’oggetto della presente ricerca definisce i paesaggi oggetto di indagine con la locuzione «Terre di mezzo», intendendo i territori limitrofi alla Val Grande, ma che se ne
distinguono e contemporaneamente sono fra essi accomunati da caratteri illustrati in
seguito. Si tratta di una locuzione utilizzata per indicare una specifica fascia di territorio
compresa fra Parco Nazionale e Lago Maggiore e fra Parco e valle del Toce, sul versante
ossolano (Fig. 3.1).
Con il termine valli intrasche, toponimo geografico più consolidato del precedente, ci si riferisce invece a quella porzione delle Terre di mezzo limitata alla sola valle Intrasca (o valle di
Intragna), bassa Val Grande e Valle del San Giovanni.
Questi territori fanno parte di un contesto complessivo al quale lo studio non può non
fare riferimento come area minima di indagine, comprendente anche il territorio del
Parco Nazionale Val Grande.
È da considerare un’ulteriore geometria territoriale, cioè quella costituita dai Comuni
rientranti nella Carta Europea del Turismo Sostenibile (di cui anche il presente studio è
parte integrante) cioè i Comuni del Parco considerati nella loro totale estensione.
Infine, il territorio in esame è «perimetrabile» secondo ulteriori criteri se letto attraverso
la lente interpretativa degli strumenti di pianificazione di area vasta che, nei rispettivi
52
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
Fig. 3.1 Il Parco Nazionale Val Grande
e le «Terre di mezzo».
quadri conoscitivi, fanno emergere connotazioni diverse. L’interpretazione strutturale
del Piano Paesaggistico Regionale (Regione Piemonte 2015), ad esempio, considera l’arco alpino piemontese come il più importante connotato naturale strutturante il paesaggio regionale. Ciò che pesa in questa rappresentazione/interpretazione è il concetto di
unitarietà: non sono le singole vallate alpine, o i singoli comparti montani, ma la loro
appartenenza a un unico contesto a pesare, anche in prospettiva politico-decisionale. L’area di studio, quindi, è geograficamente identificata anche in base a questo fondamentale connotato paesaggistico (Fig. 3.2)
Inoltre, la ricerca volta alla costruzione di una lettura critica ed evolutiva dei paesaggi
delle valli intrasche è stata operativamente condotta a tre livelli o scale di osservazione,
denominate territorio / paesaggi / luoghi.
In ecologia, disciplina che ha fortemente influenzato la plasmazione del concetto di
paesaggio (soprattutto a partire dal ‘900) questo è strettamente legato all’idea di una
specifica «scala spaziale» atta ad esaminare fenomeni e dinamiche specifici degli ecosistemi: FORMAN (1995) definisce «paesaggio» quel «mosaico formato da un raggruppamento di ecosistemi che si ripetono nello spazio con forma similare, in un intervallo chilometrico, con dei confini identificabili [ovvero uno] specifico livello dell’organizzazione
biologica della vita». Alla scala di paesaggio si manifestano infatti particolari strutture
e processi non rilevabili ad altri livelli di analisi, come le reti ecotonali, la connettività fra
ecosistemi, i tipi di porosità della matrice paesistica, le dinamiche di paesaggio, le strategie di metastabilità (INGEGNOLI 1999). In questo senso, al paesaggio è spesso attribuito
Il territorio e i suoi valori
Fig. 3.2 L’area di studio rappresentata e
interpretata a diverse scale e sotto diversi
aspetti e geometrie spaziali. Nella dimensione del paesaggio regionale, le Terre di
mezzo sono da leggere come parte del sistema montano piemontese e della fascia
boscata che corre quasi continua lungo
tutta la corona alpina e prealpina regionale (Fonte: Piano Paesaggistico Regionale
piemontese, adottato nel 2015, tavola P.1
Quadro strutturale).
53
anche uno specifico fattore di scala che lo distingue da altri livelli di osservazione. Per
la biologia della conservazione, ma anche per la storia del territorio, per l’economia etc.,
alla scala di paesaggio emergono quindi dinamiche e processi difficilmente descrivibili
ad altre scale (es. quella strettamente locale o, all’estremo opposto, alla scala mondiale);
ad esempio, l’effettiva comprensione delle dinamiche di popolazione animale all’interno di specie che coprono lunghe rotte di migrazione, richiede una visione dei fenomeni
alla scala di paesaggio (LAVEN et al. 2005). Nel nostro caso «paesaggio» corrisponde ad
una scala intermedia fra quella propriamente territoriale (l’arco alpino, la provincia del
Verbano Cusio Ossola…) e quella delle singole località delle valli intrasche.
Tuttavia, è necessario soffermarsi anche sul valore interpretativo associato al termine «paesaggio», poiché esso sottende – nell’accezione strumentale seguita in questo lavoro – un
duplice valore semantico ulteriore a quello del fattore di scala – che, come fa notare PRIORE
(2006), è quello sotteso nella Convenzione Europea sul Paesaggio (CoE 2000). Nel testo di
questo trattato internazionale troviamo infatti impiegate sia la parola «Paesaggio» (singolare maiuscolo) sia la parola «paesaggi» (plurale minuscolo). Per Paesaggio intendiamo una
categoria concettuale che rimanda ad una realtà fisica modellata dall’uomo e/o dalla natura
nel corso della storia e, al tempo stesso, anche l’immagine di quella realtà (secondo la teoria degli «iconemi» proposta da TURRI, 1998). Si tratta dunque di intendere il paesaggio
come lente interpretativa, a prescindere dalla scala di osservazione. Pertanto, accostandosi
all’interpretazione dei paesaggi concreti della Val Grande e delle valli intrasche, sia la scala
«territoriale» sia quella più prossima ai «luoghi» sono interpretate secondo lo sguardo paesaggistico, che implica la pluridimensionalità fisica e immateriale. Vale a dire che anche
alla scala territoriale e di luogo, l’oggetto delle indagini che seguono nei prossimi capitoli
sarà sempre il paesaggio inteso come complessità di dimensioni (storica, agro-ecologica,
percettiva…) e come elemento dinamico.
Sempre secondo la lettura di Priore, i paesaggi (plurale minuscolo) non sono invece un concetto, bensì gli «spazi effettivamente percepiti […] caratterizzati dalla loro diversità e complessità, come anche da valori sempre diversi» (p. 43, op cit.). Si tratta quindi dei paesaggi
identificabili concretamente nelle valli intrasche, distinguibili per stati e dinamiche sotto i
diversi profili di lettura (geologico-geomorfologico, agro-silvo-pastorale, storico-territoriale,
scenico-percettivo, socio-economico…) e identificabili attraverso iconemi grazie all’individuazione di luoghi che li rappresentano in maniera emblematica.
Il ricorso – e il continuo oscillare – fra queste dimensioni di lettura e interpretazione è comune ai diversi contributi specialistici che sono illustrati nel prosieguo del rapporto di ricerca.
54
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
I territori del Parco e delle
valli intrasche
In «Val Grande. Ultimo paradiso», uno dei più famosi conoscitori contemporanei dei territori della Val Grande, Teresio Valsesia, racconta così la difficoltà nel rintracciare questi
luoghi: «Nella Carta degli Stati Sardi di Terraferma, pubblicata nella prima metà dell’800
non c’è traccia del Pedum. E sulla prima carta del Regno compare ma con un’ubicazione
errata. Anche il suo nome è variabile: Pedom, Pedul e infine Pedum che forse è un errore dei
cartografi poiché nei documenti della Sezione Verbano del CAI (compresi quelli attinenti alla
prima ascensione, nel 1882) il toponimo usato è Pedul. Toponomastica ignorata e pasticciata: nulla di nuovo sotto il sole della Val Grande, che è rimasta per secoli un non-luogo. L’inesistente e l’inesplorato. L’«hic sunt leones…» (Estratto da: VALSESIA 1985).
Il Parco Nazionale della Val Grande è chiuso tra le montagne dell‘Ossola, il bacino del
Lago Maggiore e le Valli Vigezzo e Cannobina. Non distante da Milano, Torino, Locarno
e Briga in Svizzera, esso si configura come un’isola di natura in un contesto urbanizzato.1 Quasi 15.000 ettari, compresi in 13 Comuni aventi i nuclei abitati esterni ai confini
dell’area protetta. L’abitato di Cicogna (frazione del Comune di Cossogno) è l’unico entro i confini del Parco.
La dimensione reticolare che può essere adottata per analizzare l’area mette in luce
aspetti identificativi. Attengono a questa dimensione sia i sistemi di relazioni immateriali sia materiali, ossia i sistemi di relazioni sociali e culturali e le strutture fisiche che
Fig. 3.3 Le reti della viabilità e le reti della fruizione lenta. (Fonti: Base cartografica
Shuttle Radar Topography Mission, SRTM,
Nasa, 2009 NASA/JPL-Caltech/National
Geospatial Intelligence Agency. Viabilità
estratta dai dati del Geoportale Nazionale
del Ministero dell’Ambiente. Rete sentieristica da Sistema Informativo Territoriale
dell’Ente Parco Nazionale Val Grande).
1 Per la storia dell’istituzione del Parco, si vedano i cenni in questo rapporto di ricerca (in particolare, Cassatella e Negrini, infra), nonché Valsesia, 2007. Per inquadramento demografico e socio-economico: Pettenati e Corrado, infra.
Il territorio e i suoi valori
55
permettono tali relazioni. Ne fanno parte la rete dell’accessibilità e di fruizione, la continuità ambientale… In particolare, la permeabilità fruitiva dell’area protetta è variabile:
se nessuna strada attraversa questa wilderness eccetto la provinciale per Cicogna, al
contrario la rete sentieristica è fitta e il percorso della Gran Traversata delle Alpi lambisce il quadrante nord orientale dell’area (Fig. 3.3).
Isolati, selvaggi ma allo stesso tempo frutto di secoli di antropizzazione, se visti alla scala regionale, i territori del Parco sono parte del sistema alpino e in particolare, dal punto
di vista paesaggistico, di un sistema quasi privo di soluzioni di continuità quale quello
costituito dalla copertura boscata (Fig. 3.2).
Le valli intrasche e le «Terre di mezzo», in generale, sono collocate a corona rispetto
al «cuore della wilderness» del Parco Nazionale e connotate da paesaggi «a balcone»
sulla bassa Valle Ossola, sul Toce e sul Lago Maggiore. Un ambito ricco di varietà visiva
e di micro paesaggi: da quelli rurali a quelli prettamente «wild», dai nuclei di matrice
antica e pastorale alle propaggini della periferia urbana di Verbania, passando per le
signorili residenze di villeggiature dei primi del Novecento, in odore di lago ma protese
nell’entroterra, così come di visuali in profondità e di panorami di ampio respiro. Ad accomunare tutto ciò è la presenza permanente dell’uomo che abita tuttora questi luoghi
e li trasforma con modalità e forme in sospeso fra passato e presente: «Il dipanarsi delle
56
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
attività umane su un piano inclinato, come quello che corre dalla sponda del Lago alla cima
del suo versante, ha composto un paesaggio molto più strutturato che altrove. Quello che
si ritrova in un fondovalle, qui lo riconosciamo aggrappato fra le sponde e la montagna, vale
a dire che gli abitati, il loro contorno di coltivi terrazzati, la prima fascia boschiva castanile, il
maggengo, la seconda fascia boschiva, l’alpeggio sommitale». (Fig. 3.4)
Fig. 3.4
Una rappresentazione efficace
applicabile come approccio descrittivo alle
«Terre di mezzo» fra Parco Nazionale Val
Grande e i suoi territori di contesto ambientale e storico-culturale, in un’immagine del
Touring Club italiano che individuava uno
schema insediativo tipico della montagna
alpina italiana. Didascalia originaria: “Gli elementi del paesaggio alpino e gli insediamenti
umani nelle Alpi”. Immagine tratta da: Touring
Club Italiano, 1963, Il Paesaggio, Collana
Conosci l’Italia, Touring Club Italiano Editore,
Milano. Vol. VII, p. 13.
Valori, rischi, criticità
Le dinamiche territoriali in corso
Il territorio della Val Grande e delle valli intrasche è studiato e regolamentato da numerosi
strumenti di pianificazione territoriale che definiscono anche gli indirizzi di sviluppo territoriale individuati per i diversi territori e paesaggi. A seconda del livello istituzionale che se ne
occupa (Regione, Provincia, Autorità di Bacino del Po…), o del tema di interesse (paesaggio,
assetto idrogeologico, usi del suolo…), emergono valori, potenzialità e rischi.
In generale, tutti gli strumenti di pianificazione riconoscono come valori di questo territorio
sia il grado di naturalità attuale sia la presenza di testimonianze dell’opera dell’uomo, mentre come principale problema emerge quello dell’abbandono. Insistentemente si pone
come obiettivo il delicato equilibrio fra conservazione della natura e valorizzazione delle
potenzialità abitative, turistiche ed economiche di questi luoghi.
Di seguito si ricostruisce in sintesi in quadro costituito per la Val Grande e le Terre di mezzo
dai principali strumenti di pianificazione territoriale di area vasta a livello regionale: il Piano
Territoriale Regionale (PTR, approvato con DCR n. 122-29783 del 21 luglio 2011) e il Piano
Paesaggistico Regionale (PPR, adottato dalla Giunta Regionale con D.G.R. n. 20-1442 del 18
57
Il territorio e i suoi valori
Tab. 3.1 Fonte: Piano Territoriale della
Regione Piemonte, approvato nel 2009
maggio 2015) del Piemonte. Si tratta dei piani di più recente elaborazione sul territorio regionale, che quindi forniscono la più aggiornata fotografia di questi luoghi e soprattutto dei
sistemi territoriali e paesaggistici di cui essi sono parte.
Il senso di questa lettura per «piani di area vasta» è allontanare momentaneamente il punto
di osservazione per cogliere le principali dinamiche sovra locali in cui la Val Grande si inserisce e quindi, in definitiva, ricomprendere il locale in una dimensione arricchita di significati.
Per il Piano Territoriale Regionale, i Comuni del Parco e delle valli intrasche ricadono negli
Ambiti di Integrazione Territoriale o AIT: 1-Domodossola e 2-Verbania Laghi.
Ricordiamo che per AIT si intendono quelle «Unità territoriali di dimensione intermedia fra
quella comunale e quella provinciale che evidenziano le relazioni di prossimità tra fatti, azioni e progetti che interagiscono negli stessi luoghi. Queste relazioni riguardano l’ambienAIT 1-Domodossola
AIT 2-Verbania Laghi
51,5% pari a 80.131 ettari
63,83% pari a 45.676 ettari
77.467 ettari
34.354 ettari
RISORSE PRIMARIE, AMBIENTALI E PATRIMONIALI
Superficie boscata
Boschi di origine naturale
Foreste pubbliche
47.790 ettari
22.072 ettari
Foreste private
32.341 ettari
23.603 ettari
Territorio con pendenza superiore al 30%
86,68%
68,67%
59.871 ettari
19.341 ettari
Popolazione residente
63.514
102.213
Densità di popolazione
Superficie tutelata da parchi e aree protette
INSEDIAMENTI E ATTIVITÀ ECONOMICHE
40,48 abitanti/mq
142,29 abitanti/Kmq
Numero di abitazioni totali
42.765
61.630
Numero di abitazioni non occupate
17.674
19.853
Numero di addetti in agricoltura e allevamento
3.834
3.180
Numero totale di addetti nelle imprese
8.241
16.539
Numero di addetti nell’impresa manifatturiera
4.490
10.264
Numero di addetti nell’industria mineraria
281
83
Cave di pietra ornamentale
52
4
-
3
Cave su versante e sotterranee
Impianti idroelettrici
36
1
Numero di addetti nelle attività innovative e di ricerca
44
263
Numero delle imprese riconosciute dalla Regione Piemonte come “Eccellenze
artigiane”
57
112
Numero di presenze turistiche italiane e straniere nel 2005
242.616
2.109.928
Distanza dal più vicino aeroporto internazionale (Malpensa)
90 Km
64 Km
14
12
0,73%
10,02%
PRESSIONI E RISCHI
Siti contaminati di interesse regionale e nazionale
Superficie agraria intensiva sulla superficie agricola utile
58
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
te, il paesaggio, i beni culturali, le risorse primarie, le attività produttive, la circolazione, il
commercio, il turismo, le identità locali, il «capitale» cognitivo locale, le istituzioni… è una
visione di insieme delle interazioni fra tutti questi elementi, che sfuggirebbe a singole visioni
settoriali, e sono orientati alla conoscenza, alla valutazione e alla formulazione di strategie e
politiche per i territori» (PTR p. 66)
Beura-Cardezza, Malesco, Premosello Chiovenda, Trontano e Vogogna, insieme ad altri
Comuni, fanno parte dell’AIT 1-Domodossola che ha come centri maggiori Domodossola,
Santa Maria Maggiore e Villadossola. Si tratta di un vasto bacino vallivo che penetra profondamente nella catena alpina, percorso da sempre dalle principali direttrici dei traffici continentali nord-sud. Ciò ha contribuito storicamente allo sviluppo economico e demografico
di un territorio altrimenti piuttosto periferico, anche se dotato di risorse primarie notevoli:
idriche, minerarie (pietre ornamentali), forestali e paesaggistico-ambientali, che costituiscono rilevanti potenzialità.
L’ambito ha maggiore interazione con l’area di gravitazione lombarda (Varese, Milano) piuttosto che con quella piemontese (Novara) e riveste un ruolo di cerniera transfrontaliera con il cantone svizzero del Valais e, tramite la Val Vigezzo, con il Canton Ticino e il suo ruolo internazionale deriva soprattutto dall’ospitare la direttrice ferroviaria e stradale del Sempione-Loetschberg.
Il cammino di sviluppo tra fine XIX e la seconda metà del XX secolo si è basato sul trasporto
ferroviario, industria estrattiva e manifatturiera, realtà oggi in crisi o in fase di riconversione
e ridimensionamento. La riconversione manifatturiera dei settori maturi va sostenuta, nel
quadro delle politiche regionali definite dal PTR, dall’innesto di nuove attività tecnologicamente avanzate, formazione superiore e trasferimento tecnologico e marketing.
Un forte impegno è richiesto in particolare per la promozione di un turismo diffuso, legato
alle risorse ambientali, agricole e artigianali, da inserire nel circuito dei laghi, anche per sostenere la precaria trama insediativa e demografica delle aree montane interne.
Aurano, Cambiasca, Caprezzo, Cossogno, Cursolo Orasso, Intragna, Mergozzo, Miazzina, San
Bernardino Verbano, insieme ad altri Comuni, fanno invece parte dell’AIT 2-Verbania Laghi
che ha come centri maggiori Verbania, Cannobio, Gravellona Toce, Omegna e Stresa.
L’ambito occupa quasi per intero l’affaccio piemontese del lago Maggiore, con la conca del
lago d’Orta, il bacino del torrente Strona e la piana del Toce.
L’eccezionalità climatica e paesaggistica, la prossimità a Novara e alla Lombardia, la posizione di cerniera con il Canton Ticino sono alla base del suo sviluppo, che da tempo si fonda
sul turismo, sull’industria (sistema distrettuale dei casalinghi e della rubinetteria), sui servizi
e sulle funzioni amministrative.
Il richiamo turistico a livello internazionale ha segnato storicamente la specializzazione di
questi luoghi contribuendo a creare un paesaggio edificato di pregio, ma, negli ultimi decenni, anche una crescita problematica di carico edilizio, diffusione urbana, congestione del
traffico e inquinamento delle acque.
Il territorio e i suoi valori
Fig. 3.5 Suolo consumato al 1991 e al
2008. (Fonte: tutti i dati sul consumo di suolo
sono tratti da Regione Piemonte, 2012. I dati
sono consultabili in Internet alle pagine del
Sistema Informativo Territoriale Ambientale
Diffuso degli enti pubblici piemontesi
www.sistemapiemonte.it/serviziositad e in
quelle del portale Geovagando.
59
I limiti della crescita quantitativa indotta dal turismo suggeriscono ora progetti che puntino
su un turismo diverso, di filiere più articolate comprendenti anche le risorse ambientali e
culturali dell’entroterra lacustre, della montagna e dei più vasti circuiti dell’area insubrica.
Altre notevoli risorse sono quelle forestali, minerarie, pedologico-climatiche (per la floricoltura e il vivaismo), la prossimità all’area più sviluppata del nord-ovest (Milano-Novara-Varese), la buona accessibilità (autostrada e aeroporto), le attività terziarie avanzate (università,
parco scientifico-tecnologico, reparti ospedalieri specializzati).
La Tab. 3.1 mostra una serie di dati a confronto fra i due AIT. Leggendoli unitariamente, si
notano in particolare le percentuali di superficie boscata che superano la metà della superficie territoriale totale, con una prevalenza di foreste pubbliche su quelle private e una forte
acclività media. Significativi, per le attività economiche, i dati relativi alle presenze turistiche
registrate (anno 2005) che superano i 2 milioni di presenze e la numerosità delle imprese
riconosciute dalla Regione Piemonte come «Eccellenze artigiane».
Infine, uno sguardo al consumo di suolo. Il monitoraggio delle dinamiche del consumo di
suolo in Piemonte, promosso dalla Regione in collaborazione con Ipla e CSI Piemonte, mostra
una fotografia al 2008. Fra tutte le province piemontesi, quella del Verbano-Cusio-Ossola è
tra le più basse per consumo di suolo (3,9% di suolo consumato sul totale della superficie
provinciale contro ad es. il 10,5% della provincia di Biella e il 9,1% della provincia di Torino),
ma la più alta per dispersione insediativa (65,6% contro i 60,9% e 52,4% delle stesse provincie). Invece la situazione per comuni presenta un consumo di suolo concentrato nei comuni
ossolani di fondovalle e in quelli lacustri, configurando una dinamica «a corona» attorno al
Parco Val Grande. Per la Valle Intrasca la situazione è diversa fra i due versanti, con quello
sinistro del Rio San Giovanni interessato da maggiori fenomeni di consumo di suolo (Fig. 3.5).
60
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
Fig. 3.6 A sinistra, vigneti a Trontano,
accanto Alpe Scogno.
I valori, le criticità e gli obiettivi per il paesaggio
Il Piano Paesaggistico Regionale (PPR) affronta il tema del paesaggio alla scala territoriale, permettendo di leggere il nostro territorio di studio con uno sguardo di sintesi e nel
complesso di dinamiche paesaggistiche più vaste .
Il carattere del paesaggio risulta essere dato dalla estesissima copertura boscata. La lettura strutturale a livello regionale caratterizza parte dei boschi della Val Grande come
«Boschi seminaturali o con variabile antropizzazione storica connotanti il territorio nelle
diverse fasce altimetriche». L’individuazione dei «paesaggi agrari e forestali» – fra gli altri «seminativi», «arbusteti», «abetine», «castagneti», ma anche «coltivi abbandonati» e
«rimboschimenti» – si basa però su una chiave di lettura incentrata sulla registrazione
dello stato di fatto, che non permette di cogliere, ad esempio, l’origine di alcuni tipi di
formazioni (ad esempio i castagneti sono solitamente antiche piantagioni da frutto)…e
dunque quali sono le dinamiche prevedibili, come l’evoluzione in altri tipi forestali, il degrado e così via. L’introduzione di una prospettiva evolutiva che integri questa lettura
statica è approcciata nel capitolo 8 di questo volume (a cura di LARCHER, SALVATORI).
Oltre a quella boscata, la Regione rileva come principali componenti del paesaggio i
nuclei alpini connessi agli usi agro-silvo-pastorali e le aree sommitali delle montagne,
Il territorio e i suoi valori
61
costituenti fondali e altamente riconoscibili per il loro skyline.
Ognuna di queste «componenti del paesaggio» è disciplinata da indirizzi e direttive
per una salvaguardia attiva.
Il PPR riconosce inoltre l’articolazione del paesaggio regionale in 76 «Ambiti di paesaggio»
individuati (anche ai sensi del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio) sulla base dei sistemi di relazioni che li caratterizzano.
In particolare, i Comuni del Parco e delle valli intrasche ricadono negli Ambiti di Paesaggio
9-Valle Ossola, 10-Val Grande e 12-Fascia costiera nord del lago Maggiore. Vediamo in sintesi quali tratti paesaggistici di identificano.
Trontano, Beura Cardezza, Vogogna, Premosello Chiovenda e Mergozzo, insieme ad altri
Comuni, fanno parte dell’Ambito di Paesaggio 9-Valle Ossola. Quest’ambito di paesaggio
si caratterizza per la presenza del fiume Toce il cui alveo forma una pianura alluvionale
delimitata da versanti erti, spesso incombenti. In termini naturalistici e geomorfologici la
rarità di questo ambito è elevata perché – insieme alla Val Susa – la Val d’Ossola è l’unica
significativa piana alluvionale fluviale in ambiente montano a livello regionale. Qui il valore naturalistico è rappresentato dagli ambienti perifluviali del fiume, con le Zona di ProFig. 3.7 Da sinistra Alpe Capraga, accanto
tezione Speciale «Fiume Toce», il Sito di Interesse Comunitario «Greto del torrente Toce tra
fondovalle del fiume Toce.
62
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
Fig. 3.8 PPR, ambito di paesaggio 10,
Val Grande. Ambienti forestali.
Domodossola e Villadossola» e l’Oasi Naturale del Bosco Tenso di Premosello Chiovenda.
L’integrità del paesaggio è però intaccata nel fondovalle dall’espansione edilizia diffusa recente, che non ha tenuto conto dei caratteri dell’edilizia tradizionale locale, e dalla localizzazione in aree sensibili di zone produttive e commerciali che compromettono la leggibilità
del paesaggio e dei panorami. L’agricoltura è progressivamente abbandonata o relegata in
aree marginali con conseguenze evidenti sull’evoluzione delle boscaglie di invasione.
Riqualificazione paesaggistica lungo il fiume Toce e nelle aree industriali dismesse,
azioni coordinate per il recupero del patrimonio edilizio storico con il suo contesto
paesaggistico sono gli obiettivi di qualità del paesaggio da perseguire, indicati dalla
pianificazione regionale.
Gli ambiti di paesaggio non seguono le delimitazioni amministrative, bensì di omogeneità paesistica, pertanto ritroviamo Trontano, Beura Cardezza, Vogogna, Premosello
Chiovenda e Mergozzo, con Santa Maria Maggiore, Malesco insieme alle parti alte di San
Bernardino Verbano, Cossogno e Miazzina nell’Ambito di Paesaggio 10-Val Grande.
È un’area alpina caratterizzata da estrema irregolarità, con valli e vallecole che si sviluppano a corona attorno al cuore del sistema rappresentato dalla Val Grande. Questo
ambito di paesaggio comprende quasi interamente il Parco Nazionale e si distingue
per essere uno degli ambienti a maggior grado di integrità paesaggistica dell’intero
Piemonte e la più vasta area di wilderness di ritorno delle Alpi: il bacino della Val Grande, impervio e isolato, è stato teatro di una economia rurale legata principalmente al
taglio del bosco fino al secondo dopoguerra, per poi essere completamente spopolato, raggiungendo una tipica situazione di wilderness di ritorno.
Il bosco caratterizza ora la quasi totalità dell’ambito costituendo un grande valore na-
Il territorio e i suoi valori
Fig. 3.9 PPR, ambito di paesaggio 10,
Val Grande. Aspetti insediativi
(da sinistra: Colloro, cappelletta del Leigio
in alta valle San Giovanni, Tregugno).
63
turalistico, tuttavia la scomparsa del paesaggio antropizzato elimina ambienti particolari detti ecotoni e radure, riduce la biodiversità, nasconde e degrada il patrimonio
storico-culturale costruito dall’uomo nei secoli (alpeggi, nuclei rurali, carbonaie, mulini, cappelle e altri segni della devozione) e modifica la qualità percettiva dei luoghi.
Gli indirizzi del piano paesaggistico regionale guidano verso la preservazione dell’alto
valore naturalistico, il potenziamento delle strutture ricettive per turismo naturalistico
ed escursionistico rispettosi, la salvaguardia e il recupero delle borgate di alta quota e
il recupero delle aree aperte presso gli insediamenti rurali.
I paesi della Valle Intrasca, San Bernardino Verbano, Miazzina, Cossogno, Cambiasca,
Caprezzo, Aurano con Scareno, Intragna, insieme a quelli più prossimi a Verbania e al
lago fino a Carpugnino e al Mottarone fanno parte dell’Ambito di Paesaggio 12-Fascia
costiera nord del lago Maggiore. Si tratta di un paesaggio insubrico con alto carattere di unicità e di rarità, essendo testimonianza dell’imponente azione dei ghiacciai
alpini, nel tempo oggetto di rappresentazioni artistiche e letterarie, meta privilegiata
del «Grand Tour», che conserva un fascino unico dato dalla complessità e dalla mutevolezza dei quadri panoramici. La riserva naturale speciale di Fondo Toce è fra le principali rilevanze ambientali, mentre il sistema di edifici religiosi, medievali e di stampo
controriformista (che culminano nel sacro Monte di Ghiffa), le ville storiche e i giardini
sono gli elementi del paesaggio culturale che connotano ancora fortemente questo
ambito. Alcune dinamiche rischiano di compromettere definitivamente uno dei paesaggi più internazionalmente conosciuti: espansioni costruite sulle pendici collinari,
edilizia fuori scala e tipologie costruttive incoerenti.
Gli indirizzi del piano paesaggistico sono chiari: conservare il patrimonio edilizio sto-
64
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
rico delle borgate e dei nuclei collinari e montani ai fini della domanda turistica potenziando il rapporto lago-montagna e migliorare l’accessibilità e l’offerta turistica dei
primi rilievi collinari, alleggerendo la pressione turistica sulle sponde lacustri e riequilibrando la fruizione dell’entroterra.
Quelli individuati alla scala vasta sono indirizzi che sembrano confermare le indicazioni provenienti dal livello locale. Il territorio montano ricopre la maggior parte della
provincia del VCO ed è soggetto a fenomeni diffusi di spopolamento, abbandono e
mancanza di presidio al territorio. Benché risalente a parecchi anni fa (1995-96), il Piano Direttorio delle Zone Montane dell’Alto Novarese individuava problemi e risorse
strategiche, tuttora validi, del paesaggio montano, su cui basare le politiche di rilancio
di queste zone: tradizioni peculiari, prodotti tipici, patrimonio costruito di valore storico-documentario (fra cui molti edifici dismessi o abbandonati in attesa di recupero
e rifunzionalizzazione), una rete viabilistica minore da riqualificare per gli abitanti e i
turisti, la presenza di impianti e infrastrutture sportive, aree a pascolo diffuse. Il Piano
direttorio delle aree montane esprimeva la necessità di potenziare il turismo dolce e
destagionalizzato favorito dalla bellezza dei luoghi, dalla presenza di impianti, attrezzature e strutture di cura specializzate.
Anche il Piano Territoriale di Coordinamento (PTC) della provincia del Verbano-Cusio-Ossola (adottato nel 2009) individua come elementi distintivi i paesaggi della
montagna alpina, caratterizzati da praterie e pascoli d’alta quota e i paesaggi della
naturalità, con conifere e latifoglie. Il rilancio delle attività sostenibili e il recupero delle risorse storico-culturali richiedono politiche ad ampio respiro, atte ad incidere sui
principali problemi, quali quelle agro-silvo-pastorali e le politiche di gestione delle acque. Queste ultime allargano il campo d’attenzione a tutto il complesso sistema delle
acque sotterranee e superficiali.
I corpi idrici della Val Grande e delle valli intrasche fanno parte del grande distretto
idrico del Po e, in particolare, della idro-ecoregione2 delle Alpi Occidentali. Le tavole
dell’Atlante cartografico del Piano di Gestione del distretto idrografico del fiume Po
mostrano lo stato delle risorse idriche dei nostri territori e gli obiettivi di qualità fissati
per fiumi, torrenti e laghi; rendono conto dei risultati del continuo monitoraggio sulle
acque sotterranee e superficiali e delle vulnerabilità.
Il Parco Nazionale della Val Grande viene definito come una delle poche aree wilderness, forse la più vasta, in Italia. E come area protetta da Parco Nazionale gode
di politiche di gestione specifiche, che inevitabilmente possono costituire l’innesco
di politiche coordinate con il contesto territoriale, in particolare quello delle Terre di
2 Idroecoregione: «Area che presenta al proprio interno una limitata variabilità delle caratteristiche chimiche, fisiche e biologiche relative alle acque». Atlante cartografico del Piano di Gestione del distretto idrografico del fiume Po, Versione del 24 febbraio 2010.
Il territorio e i suoi valori
65
mezzo, fino alla fascia costiera lacustre, come dimostra l’attuazione in corso della Carta
Europea del Turismo Sostenibile, partecipata da numerosi soggetti «esterni» ai confini
dell’area protetta.
Il Piano del Parco (1999) individua le dinamiche di abbandono dell’alta montagna
come fulcro per ripensare gli scenari futuri dell’area protetta: a causa del progressivo
abbandono, della scomparsa delle attività agro-pastorali, e del cessato sfruttamento
delle risorse, vi è infatti in atto un rapido recupero degli ecosistemi naturali verso condizioni di maturità forse più vicine alle condizioni originali. Ma l’abbandono ha effetti
diversi sulle varie componenti del sistema. Mentre gli elementi culturali e le testimonianze dei passati processi economici e sociali tendono al degrado fino alla scomparsa
definitiva, i processi ecologici si stanno evolvendo in maniera naturale seguendo le
normali dinamiche successioni ecologiche. Le politiche per questa area naturale si
muovono quindi sul filo di un delicato equilibrio fra rispetto di questa fama consolidata di wilderness europea e patrimonializzazione del deposito della complessa storia
umana e naturale (Piano del Parco 1999).
Capitolo IV
67
L’interpretazione strutturale del paesaggio
Bianca Maria Seardo, Claudia Cassatella, Roberto Gambino
Verso una visione olistica
del paesaggio
1
I
l paradigma paesistico proposto dalla Convenzione Europea (Consiglio d’Europa,
2000) ben si presta ad una applicazione in chiave «territorialista». Con questa espressione1 facciamo riferimento ad un approccio critico alla lettura delle risorse territoriali,
lette piuttosto in chiave di «patrimonio», da mettere al centro di qualsiasi opzione di trasformazione e sviluppo, in opposizione ai processi di degrado e perdita di beni pubblici
e valori collettivi. Il patrimonio territoriale è costituito da un insieme di fattori e di processi di lunga durata (talvolta indicati con l’espressione «invarianti strutturali», MAGNAGHI
2012), di natura sia fisica sia culturale, la cui conoscenza è imprescindibile per immaginare traiettorie evolutive, per valutare gli impatti delle trasformazioni attese, per progettare il futuro nella tensione dinamica tra conservazione e innovazione (GAMBINO 1997).
L’individuazione del patrimonio territoriale è dunque il centro dell’attenzione analitica di metodi come l’interpretazione strutturale del paesaggio (CASSATELLA e GAMBINO
2005). Tale metodo si propone anche di favorire il confronto e l’integrazione tra le diverse letture settoriali, inevitabilmente plurime e dotate ciascuna del proprio apparato
valutativo, espresso in criteri e linguaggi specialistici, proponendo una comune griglia
di valutazione, una sorta di linguaggio di interscambio, per rispondere alle domande:
che cosa è irrinunciabile, che cosa è di valore, che cosa è un problema?
La griglia, che incrocia l’incisività degli impatti con la consistenza e qualità degli assetti
territoriali, individua nel territorio e nel paesaggio fattori strutturanti, fattori caratterizzanti e fattori qualificanti, fattori di criticità.
I fattori strutturanti costituiscono l’ossatura portante del territorio, di lunga durata,
tendenzialmente «invarianti». I fattori caratterizzanti si sono depositati sulla struttura
determinando una particolare fisionomia, tipica di uno specifico territorio. Qualificanti
sono tutti gli altri elementi ritenuti di valore, tuttavia non legati in particolare all’area in
esame e individuabili anche in altri contesti (nel quadro interpretativo proposto, fattori
caratterizzanti e qualificanti sono stati accorpati, per semplicità di lettura).
La griglia di lettura che viene proposta è sinteticamente riferita a quattro «assetti del
paesaggio» che corrispondono ai diversi approfondimenti tematici e disciplinari affrontati (geomorfologia, agro-ecologia, assetto storico del territorio, paesaggio scenico e
identitario) per ognuno dei quali sono individuati i tre diversi tipi di fattori. Il quadro
Si può parlare di una vera e propria «scuola territorialista», nella quale si riconosce, in particolare, la Società dei territorialisti.
68
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
interpretativo si riassume così in una griglia a doppia entrata2.
L’adozione di una prospettiva sistemica non esime infatti dal dedicare specifiche attenzioni
ai diversi assetti riconoscibili nella realtà sotto esame. Diversità che possono incidere fortemente nel determinare la capacità di resistenza e di resilienza dei sistemi locali e delle singole risorse.
Assetto
geomorfologico
Assetto
agro-ecologico
Assetto
storico territoriale
Assetto
percettivo e
identitario
Fattori strutturanti
Fattori
caratterizzanti
e qualificanti
Fattori critici
Tab. 4.1 Griglia di lettura per l’interpretazione strutturale del paesaggio.
I fattori paesistici, individuati attraverso le molteplici analisi settoriali, si compongono tra
loro in modo peculiare generando paesaggi diversificati, talvolta unici. Il prodotto dell’interpretazione è dunque anche una rappresentazione olistica in grado di cogliere la rilevanza
dei sistemi di relazioni e le interconnessioni latenti che plasmano e strutturano il territorio,
conferendogli valenza paesistica (Fig. 4.1).
Grazie all’interpretazione strutturale è dunque possibile disegnare, sulla base dei sistemi di
relazioni tra fattori, aree di caratterizzazione paesaggistica. In prospettiva di governo del
territorio, tale metodo può condurre all’individuazione degli ambiti di paesaggio (così, ad
esempio, nel caso del Piano paesaggistico regionale del Piemonte3) – ovvero quelle partizioni del territorio funzionali all’articolazione degli indirizzi normativi, ai sensi del Codice dei
beni culturali e del paesaggio. In questa sede, si preferisce dunque utilizzare l’espressione
«area di caratterizzazione paesaggistica», riservando «ambito di paesaggio» alle unità di
valore normativo (si veda SEARDO, infra, per un commento sui riconoscimenti di valore e gli
indirizzi vigenti sul territorio in esame). Similmente, le aree di caratterizzazione paesaggistica sono concettualmente distinte da altri tipi di perimetrazioni, legati alla tutela di singoli
beni o risorse. Ogni perimetrazione risponde ad un progetto, nel nostro caso un progetto
conoscitivo, ovviamente ricco di implicazioni per i piani e protocolli di gestione.
2
Per facilità di redazione e lettura, la griglia a doppia entrata è qui trasposta in forma di elenco, in tab. 4.1.
3
Regione Piemonte, Piano paesaggistico regionale (adozione 2009, ri-adozione 2015). Cfr. In particolare, la Relazione illustrativa. Gli studi per la formazione del piano
furono svolti dal Politecnico di Torino con il coordinamento scientifico di Roberto Gambino.
69
L'interpretazione strutturale del paesaggio
La modellazione glaciale segna il
paesaggio “intorno” alla Val Grande
e alle valli intrasche: la valle del
Toce e l’invaso del lago Maggiore
sono i suoi affetti più visibili. Altrove,
sparsi nel territorio montuoso, gole
e canyon, la visibilità dell’orientamento e della verticalità dei piani
di giacitura rendono ancora oggi
percepibile la storia geologica e gli
antichi processi naturali.
i piani di giacitura verticali (come le
lenti di marmo) e le rocce del mantello sono visibili.
Le forme del rilievo plasmano il paesaggio. La faglia della linea insubrica che attraversa le Alpi, nel tratto
Ivrea-Verbano, ha netto orientamento nord-est / sud-ovest e attraversa la Val Grande; sono percepibili
Alcuni fattori ambientali costituiscono invarianti del paesaggio e
pongono le condizioni per la presenza di forme di vita e degli insediamenti umani: è il caso del clima
con la grande piovosità e della forte
La riserva integrale del Pedum, oasi
naturale quasi inaccessibili all’uomo, ospita specie rare e da proteggere, sia in termini vegetazionali sia
faunistici. È luogo su cui si è imperniato un alto valore identitario per
le popolazioni.
acclività dei versanti. Strutturano il
paesaggio anche le formazioni vegetali stabili quali i boschi di faggio,
qualli di castagno secolari e la vegetazione delle aree rupicole.
Oggi, queste aree, chiamate anche
“terre di mezzo”, costituiscono un
balcone naturale affacciato sul lago
Maggiore e una cerniera con l’alta
montagna e le aree interne.
Il sistema degli insediamenti di
mezzacosta testimonia l’antica e
tradizionale attività agro-silvo-pastorale. Dall’epoca viscontea inizia
il processo di colonizzazione delle
“terre alte”…
Le aree sommitali costituiscono
fondali e skyline riconoscibili a distanza e, allo stesso tempo, straordinari punti di osservazione verso
l’esterno, ad alta panoramicità, anche notturna.
Assetto geomorfologico
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
Fattori strutturanti
• Faglia della linea Insubrica.
• Netto orientamento nord-est / sud-ovest della stretta fascia della zona Ivrea-Verbano.
• Percepibilità dei piani di giacitura verticali (tra questi, le lenti di marmo) e visibilità delle rocce della crosta profonda (stronaliti
e granuliti) e del mantello (peridotiti), tutti fattori raramente visibili che tuttavia determinano anche la notorietà sovralocale
dell’area.
• Modellazione glaciale (montonatura) dei versanti fino a 1500 metri s.l.m. della valle del Toce e dell’invaso del lago Maggiore;
altrove gole a canyon.
• Fascia fluviale del Toce, significativa a livello regionale come piana alluvionale fluviale in ambiente montano.
Fattori caratterizzanti e qualificanti
• Lente di marmo di Candoglia con le sue cave.
• Versanti molto acclivi dell’area centro-settentrionale; le morfologie erosive producono torrioni, incisioni profonde e regolari,
gole profonde e rettilinee.
• Piccoli circhi glaciali sospesi dell’area centrale.
• Diversa connotazione fra la litologia del dominio euroasiatico e la litologia di quello africano. Condizione che si rispecchia nei
materiali costruttivi (ad esempio, scisti nelle valli Intrasche, beola).
Fattori critici
• La conformazione del rilievo rende difficile percorribilità e accessi (ma al contempo è elemento di richiamo per esperti
escursionisti e sportivi appassionati di condizioni «estreme»).
• Possibilità di fruire del territorio-paesaggio in maniera discontinua e limitata: soltanto da alcuni punti, in alcuni tratti e da
alcune angolature.
Assetto agro-ecologico
70
Fattori strutturanti
• La forte acclività è elemento determinante oggi come in passato per la configurazione delle tipologie vegetazionali, sia di tipo
naturale, sia dovute a sfruttamento agro-silvo-pastorale.
• Formazioni vegetali stabili quali faggete e castagneti storici (altri castagneti di più recente origine sono nuclei in evoluzione da
considerarsi più come elementi caratterizzanti).
• Aree rupicole caratterizzate da rocce affioranti o formazioni erbacee o arbustive su suolo superficiale.
• Formazioni boscate di forra.
• Area wilderness della riserva naturale integrale del Pedum quale oasi naturale quasi inaccessibile all’uomo con presenze rare e
da proteggere in termini vegetazionali e faunistici.
• Area core nell’ambito della rete ecologica alpina.
Fattori caratterizzanti e qualificanti
• Il prato pascolo, pur in sensibile diminuzione, determina una varietà di habitat e garantisce l’alternanza tra spazi chiusi e aperti
fondamentale per la biodiversità e gli ungulati selvatici.
• La formazione forestale del betuleto, frutto di processi di abbandono ed invasione, in evoluzione (in genere verso faggeta).
• Aree terrazzate e piccoli orti ancora visibili, presenti a ridosso dei borghi come testimonianza dell’agricoltura di sussistenza.
Fattori critici
• Processo di contrazione dei prato-pascoli per abbandono attività pastorale con avanzamento delle superfici arbustate (alneti
di ontano verde e betuleti di invasione).
• Alcuni impianti forestali di conifere, incongrui, soprattutto dal punto di vista percettivo.
• L’abbandono della gestione del bosco genera depauperamento di qualità ecologica e biodiversità.
• I processi di inselvatichimento (wilderness di ritorno) possono generare lo sviluppo di vegetazione di scarsa qualità: sono stati
segnalati nuclei di vegetazione esotica invasiva, esempio i Robinieti.
• Perdita di produzioni agrarie (frutteti, vigneti e ortaggi).
Tab. 4.2 L’interpretazione strutturale del paesaggio della Valgrande e delle valli intrasche
Assetto storico territoriale
71
Fattori strutturanti
• Sistema di comunicazioni transalpine di fondovalle lungo la valle del Toce
• (già strada del Toce in epoca romana; ferrovia del Sempione) e delle permanenze della via Borromea a mezzacosta, che
giustifica l’attuale collocazione dei nuclei abitati.
• Mansio, poi Castello visconteo, a Vogogna.
• Sistema delle pievi medievali organizzate in due sistemi, lungo Toce e lungo la Val Vigezzo.
• Sistema policentrico dei comuni di valle, dall’ epoca viscontea. Colonizzazione delle terre alte nel tardo medioevo (alpeggi).
• Sistema degli insediamenti di mezzacosta e dei nuclei alpini che testimoniano la tradizionale attività silvo-pastorale.
Fattori caratterizzanti e qualificanti
• I terrazzamenti hanno perso il ruolo strutturante: il processo di abbandono delle colture appare ormai difficilmente reversibile,
il bosco predomina (e svolge anche funzione protettiva del suolo). Essi appaiono, «come un fantasma del passato», nella
stagione invernale, mostrando un carattere del paesaggio ormai fossile.
• Sistema devozionale diffuso caratterizzato da parrocchiali, oratori con i rispettivi campanili, vie crucis, cappelle votive
• Compattezza degli insediamenti, per giacitura.
• Tradizioni costruttive diversificate per diverse aree di influenza culturale e in relazione a litotipi localmente disponibili. Uso
quasi esclusivo di pietra (beola, gneiss tabulari o granitoidi, serizzi) e legno (castagno, rovere, larice) come materiale da
costruzione.
• Strada Cadorna come importante, per certi aspetti unico, attraversamento dell’area.
• Tracce delle attività proto industriali.
Fattori critici
• Disordine edilizio e eterogeneità di materiali a scala edilizia.
• Espansione edilizia diffusa recente nel fondovalle del Toce e, in misura minore, nei centri abitati delle valli intrasche.
• Degrado e oblio del patrimonio storico-culturale costruito dall’opera dell’uomo nei secoli.
Assetto percettivo e identitario
L'interpretazione strutturale del paesaggio
Fattori strutturanti
• Percepibilità della storia geologica, dell’orientazione e della verticalità dei piani (in particolare delle lenti di marmo).
• Aree sommitali costituenti fondali e skyline riconoscibili a distanza e allo stesso tempo punti di osservazione verso l’esterno, ad
alta panoramicità.
• Le aree wilderness e in particolare la riserva del Pedum come luogo identitario.
• Il «balcone naturale» delle terre di mezzo affacciate sul lago Maggiore e sul fondovalle del Toce.
Fattori caratterizzanti e qualificanti
• Intervisibilità fra montagna e lago.
• Tessitura dei terrazzamenti, ove visibile.
• Diffusi segni della religiosità popolare (anche come luoghi simbolico-identitari).
• Numerosi luoghi simbolico-identitari e memoriali legati alla Resistenza.
• Cave, in particolare quelle di Candoglia, come elemento identitario e di notorietà sovralocale
• L’immagine della wilderness associato alla Val Grande, nel mondo dell’escursionismo.
Fattori critici
• Disordine visivo degli insediamenti di mezzacosta a osservazione ravvicinata derivante da interventi non consoni con
l’ambiente.
• Difficoltà di percezione del paesaggio antropizzato.
• Esuberanza della vegetazione come ostacolo ai panorami ampi e alla intervisibilità prima presente.
• Inquinamento luminoso nelle viste verso piana.
72
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
Una rassegna tipologica riassuntiva
dei paesaggi della Val Grande e delle
valli intrasche
L’interpretazione strutturale del paesaggio applicata a Val Grande e valli intrasche ha prodotto, oltre alla griglia dei fattori in
Tab. 4.1, una rappresentazione di sintesi (Fig. 4.1) e l’individuazione di sei distinte caratterizzazioni, descritte di seguito e, in forma
di atlante, nelle schede grafiche.
tipi di paesaggio
I paesaggi della wilderness
Dal punto di vista dei paesaggi naturali, è un’area circoscritta, coincidente con la riserva naturale del Pedum (2.111 m)
oasi naturale quasi inaccessibile all’uomo in cui “l’ambiente è conservato nella sua integrità” con presenze rare e da
proteggere in termini vegetazionali e faunistici. Le peculiarità di questa wilderness fanno di quest’area protetta un nodo
della rete ecologica alpina. Dal punto di vista del paesaggio percepito, le aree wilderness e in particolare la riserva del
Pedum sono anche luoghi identitari nell’immaginario delle comunità. Tuttavia, dal punto di vista della percezione,
anche altre parti del territorio offrono l’esperienza dell’immersione multisensoriale nella natura (connotata però
come wilderness di ritorno), come la parte montuosa alle spalle di Vogogna (Genestredo) e la parte interna della Valle
Intrasca: le scene e le visuali di scorcio sono racchiuse negli stretti e profondi bacini vallivi caratterizzati da copertura
forestale pressoché continua, intervallata da brevi radure e abitati sviluppati sui versanti più esposti assecondando le
curve di livello (Caprezzo, Intragna, Aurano, fa eccezione la frazione di Ramello posta quasi sul fondo della valle del
torrente San Giovanni) non mancano punti di osservazione che aprono a panorami ampi e profondi, ma in questo caso
sui versanti più interni della Valle Intrasca. Qui, La presenza stessa degli insediamenti è un fulcro visivo nel “mare verde”
della copertura forestale.
Alta Valle Intrasca
L‘Arca
Cossogno
73
L'interpretazione strutturale del paesaggio
riserva integrale del Pedum
Con i suoi 2.111 metri di altezza il Pedum è il cuore della wilderness
del Parco e prima riserva integrale a essere costituita nell’arco alpino
italiano.i. Il suo skyline inconfondibile, e associato a diverse immagini,
fra cui quella del profilo di un uomo disteso, è un luogo identitario
nell’immaginario comune delle comunità delle valli intrasche, anche
grazie all’opera del CAI verbanese che lo “scoprì” dal punto di vista
escursionisitco nella seconda metà dell’800.
Area wilderness della riserva naturale
integrale del Pedum come oasi
naturale quasi inaccessibile all’uomo
con presenze rare e da proteggere
in termini vegetazionali e faunistici.
Area centrale nell’ambito della rete
ecologica alpina.
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
tipi di paesaggio
74
I paesaggi delle creste
Un tempo era il paesaggio degli alpeggi, numerosissimi ma ormai abbandonati: l’insediamento umano era
caratterizzato dagli alpeggi delle quote maggiori, spesso situati in posizione aperta sulle aree sommitali che
chiudono le testate della valli: l’Alpe Ragozzale, la più alta, domina con lo sguardo la Val Grande dai suoi 1906 m.
Ora paesaggio del residuo prato pascolo e della vegetazione rupicola, connotata ancora nella memoria locale come
luogo di valori, ricordi e aneddoti del periodo della monticatura estiva (Alpe Busarasca, Alpe Bettina…), scenario
dell’infanzia di molti attuali abitanti delle valli intrasche.
Dall’esterno, l’ambito dei bacini del San Bernardino e del Rio Pogallo si presenta chiuso alla vista da una apparentemente
insormontabile barriera (fisica e visiva) delle creste che cingono a corona la gran parte del territorio vallivo, ma,
guadagnate le creste, si scopre una formidabile “balconata panoramica” sui laghi Maggiore e di Varese e sulla pianura
Padana, verso est, e sul massiccio del Monte Rosa, a ovest, quando non – addirittura – sulla catena appenninica.
Le alte quote del territorio non sono esenti dal custodire luoghi di particolare valore identitario (“Strette del Casé”…),
o connessi alle prima “colonizzazione” turistica della montagna (il Sentiero Bove e i rifugi storici di Pian Cavallone e
Bocchetta di Campo...), o ancora segni “eroici” dell’insediamento temporaneo: bivacchi e alpeggi in posizioni spettacolari.
Corni di Nibbio
Cima della Laurasca
75
L'interpretazione strutturale del paesaggio
Bocchetta di Campo
È il paesaggio dell’area centro-occidentale del
Parco, con versanti molto acclivi e poco ospitali.
Le morfologie erosive producono torrioni, incisioni
profonde e regolari.
Gli accessi alla Val Grande e alle altre
valli interne sono di norma in quota e
solitamente percettivamente molto marcati:
strette “porte” e “bocche” - fessure scavate
nelle pareti di roccia – e selle dal profilo
aguzzo sono veri e propri portali di accesso al
cuore della wilderness. (Bocchetta di Campo,
Porta Ragozzale, Colma di Premosello…).
Fondale panoramico, skyline
riconoscibile a distanza,
barriera visiva verso il cuore
della wilderness e al contempo
balcone panoramico verso i
laghi e il massiccio del Rosa, il
paesaggio delle creste ha un’alta
valenza scenica.
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
tipi di paesaggio
76
I paesaggi dei boschi
La copertura boscata connota gran parte del paesaggio della Val Grande e delle valli intrasche, dando luogo tuttavia
a paesaggi distinti: faggete e castagneti, in particolare, essendo testimonianza dell’economia rurale delle popolazioni,
racchiudono un valore simbolico e memoriale nell’immaginario collettivo, più che un elemento ancora funzionale
all’economia di sussistenza (inoltre alcuni singoli esemplari sono riconosciuti come simulacri di episodi indelebili della
storia partigiana, come il faggio presso l’Alpe Piana…). Queste formazioni, inoltre, hanno caratteri peculiari, distinguibili
anche ai meno esperti e suggestivi per la fruizione. Tuttavia l’abbandono e la mancata gestione del bosco riduce via
via radure ed ex pascoli, ricoprendo poco a poco i segni del lavoro dell’uomo. I betuleti, boschi “di transizione” che dal
punto di vista naturalistico ed ecologico indicano l’abbandono di superfici prative e pascolate, sul piano percettivo
offrono effetti gradevoli e caratteristici in alcune aree sommitali già vocate alla frequentazione turistica (Alpe Pala, Pian
Cavallo…).
In generale, i panorami sono racchiusi negli stretti e profondi bacini vallivi caratterizzati da copertura forestale
pressoché continua, intervallata dalle radura degli ex pascoli.
Faggeta
Betuleto
77
L'interpretazione strutturale del paesaggio
Pogallo
L’abbandono della gestione del bosco e del
pascolo e i processi di inselvatichimento
(wilderness di ritorno) generano
depauperamento della qualità ecologica
e della biodiversità e possono generare lo
sviluppo di vegetazione di scarsa qualità.
L’esuberanza della vegetazione
è spesso causa, insieme
all’abbandono, del progressivo
oblio del patrimonio storicoculturale costruito dall’opera
dell’uomo nei secoli.
Più uniformi e meno pregiate, sia dal punto di vista
naturalistico, sia dal punto di vista della fruizione, le
neoformazioni di specie pioniere e d’invasione mettono
a repentaglio la godibilità di alcune viste panoramiche
in aree ad alta sensibilità visiva e rendono difficoltosa la
percezione del paesaggio antropizzato.
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
tipi di paesaggio
78
I paesaggi insediati e coltivati
Sono i paesaggi delle valli intrasche, le “terre di mezzo”, caratterizzati tutt’oggi da morfologie del paesaggio di chiara
origine antropica, un tempo coltivati, con insediamenti a mezza costa affacciati come “balconi” verso laghi e fondovalle.
Tuttora leggibile la scansione del sistema insediativo “verticale”, costituito da nucleo insediato permanentemente
(Colloro, Cicogna, Intragna, Pogallo, Orfalecchio, Velina…) con le pertinenze coltivate e, salendo, il bosco, il maggengo.
È (era?) però un tutt’uno funzionale con i paesaggi di alta quota, dove l’economia rurale e di sussistenza trovavano il
completamento estivo negli alpi e nelle corti con le casere, le stalle e gli altri elementi funzionali.
I centri, solitamente collegati da mulattiere e ponti tutt’oggi ammirabili come opere significative anche sotto il profilo
ingegneristico, si organizzano in piccole “corti” man mano che si sale (Corte Bué, Corte Lorenzo, Corte del Bosco...).
Una certa integrità visiva degli insediamenti è caratterizzante, sebbene presenti episodi di scostamento dalle tipologie
edilizie tradizionali, nell’uso di intonaci e di tinteggiature coprenti con toni difformi, nell’installazione di coperture di
diversa fattura per colore e materiale.
E’ il territorio maggiormente sfruttato, in passato, per l’abbondanza di legname; sono evidenti i segni di questa attività
nei resti delle teleferiche, delle “serre” e cenge per la flottazione del legname, ma anche in ciò che rimane di latterie,
cartiere, torbiere, mulini, follatoi e in numerose altre opere, ridotte prevalentemente a tracce semi-nascoste dalla
vegetazione, ma spesso vive nella memoria collettiva come un recente passato.
Aurano e Scareno
Pezza Blena
79
L'interpretazione strutturale del paesaggio
Cicogna
Altrettanto ricche sono le testimonianze
sulla diversità bioculturale di questi
luoghi un tempo coltivati, ora leggibile in
labili tracce.
L’integrità visiva degli insediamenti è caratterizzante: la
compattezza dei nuclei edificati, il generale orientamento
delle aperture verso valle e il colore chiaro degli intonaci,
l’uso della pietra e del legno come principali materiali da
costruzione di primaria importanza e di facile reperibilità, li
connotano con un carattere di omogeneità.
La scarsa altezza dei rilievi non scongiura
un’estrema acclività dei versanti, all’origine
della diffusa e imponente opera di
terrazzamento e ciglionamento, ancora visibile
in molti tratti, sebbene quasi sempre ormai
obliterata dall’avanzamento del bosco.
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
tipi di paesaggio
80
I paesaggi della contemporaneità
Pendenze e acclività nei versanti interni della Val Grande hanno ridotto sensibilmente, se non addirittura
impedito, la formazione di veri e propri ghiacciai. La forza erosiva dei grandi ghiacciai ha invece avuto modo
di esplicarsi senza risparmio su tutto il versante esterno in particolare nell’antica valle del Ticino (oggi lago
Maggiore) e quella del Toce sui versanti fino ad alte quote.
La grande piana alluvionale del fondo Toce, con la sua ampia sezione a “U”, è – insieme alla Val Susa – un elemento
di rarità a livello regionale in ambiente montano.
Storicamente la valle costituisce l’asse di attraversamento in direzione del passo del Sempione e di sviluppo
degli insediamenti e delle attività produttive. Interessata dalla presenza di centri di rango territoriale elevato
(Domodossola, Vogogna), la valle del Toce è strutturata sull’antico sistema policentrico dei comuni di fondovalle.
Oggi è un paesaggio urbanizzato, simile, per molti aspetti a molti altri paesaggi degli insediamenti lineari della
Val Padana (frammentazione delle aree rurali e rarefazione delle attività agricole, diffusione insediativa e perdita
dei caratteri costruttivi tradizionali), ma sovrastato dalle vette alpine.
Il fondovalle mantiene infatti uno stretto rapporto, anche visivo, con gli ambiti collinari e di bassa montagna con
insediamenti a mezza costa delle “terre di mezzo” affacciati come “balconi” verso il fondovalle.
Statale del Sempione
Premosello Chiovenda
81
L'interpretazione strutturale del paesaggio
Piana urbanizzata del Toce: Premosello
sul fondovalle. Colloro a mezzacosta.
La forza erosiva dei grandi ghiacciai ha
invece avuto modo di esplicarsi senza
risparmio su tutto il versante esterno in
particolare nell’antica valle del Ticino
(oggi lago Maggiore) e quella del Toce sui
versanti fino ad alte quote.
Le dinamiche insediative e le variazioni
d’uso nelle aree intorno alla riserva ed
esterne al Parco possono dare luogo a
processi di frammentazione degli habitat
a scala locale e della rete ec ologica a scala
più vasta.
Storicamente area di
attraversamento e interessata
da insediamenti e attività
produttive, la valle del Toce è
strutturata sull’antico sistema
policentrico dei comuni
di fondovalle. Oggi è un
paesaggio urbanizzato simile
a molti della Val Padana, ma
sovrastato dalle vette alpine.
I paesaggi della
contemporaneità
mantengono uno
stretto rapporto, anche
visivo, con gli ambiti
collinari e di bassa
montagna delle “terre
di mezzo” affacciate
come “balconi” verso il
fondovalle.
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
tipi di paesaggio
82
Il paesaggio del lago
L’antica valle del Ticino (oggi lago Maggiore) è frutto visibile della forza erosiva dei grandi ghiacciai.
La vicenda legata all’attività di scavo e trasporto del marmo al cantiere del Duomo di Milano ha coinvolto in
maniera estesa il territorio della Val Grande e, insieme, del lago Maggiore: insieme al marmo, venivano cavati
serizzi e ricavato legname, necessari per i ponteggi di cantiere e per le stesse zattere di trasporto. Da Candoglia
a Milano, infatti il trasporto seguiva una via d’acqua: dalla Cava Madre, al Toce, poi sul Lago Maggiore e il Ticino,
fino in città a due o trecento metri dal cantiere della cattedrale.
Val Grande e valli intrasche sono riparati, alle spalle del lago, con alcuni rapporti di reciprocità visiva. Tuttavia,
la fascia di transizione (dalla costa verso le prime propaggini collinari, come l’ingresso della Valle Intrasca) è un
paesaggio misto, di ville, di seconde case con giardini ornamentali, di sentieri e attrezzature per il loisir, centri di
cura di impianto primo novecentesco. Il carattere di fondo è quello dell’urbanità, dove la posizione sull’entroterra
collinare non smentisce la diretta connessione con la vita urbana del capoluogo di provincia e del suo contesto
ambientale lacustre: industrie, quartieri operai che ospitavano la manodopera giunta dall’entroterra, ville
novecentesche, nuove periferie, ad intaccare, in alcuni casi, l’integrità visiva di alcune scene naturali (pendici
del Monte Rosso). Sono paesaggi dell’insediamento permanente e di villeggiatura connessa al lago in cui, in un
tessuto urbano, emergono tuttavia tratti di percorsi panoramici con viste ampie e a cavallo fra montagna e lago,
gli sfondi naturali delle montagne e delle colline all’imbocco della Valle Intrasca.
Villa Giulia, Verbania
Scorcio sul lungolago
83
L'interpretazione strutturale del paesaggio
Lago Maggiore nei pressi di Pallanza
La grande valle del Ticino (oggi
Lago Maggiore) è il segno nel
paesaggio dell’azione dei grandi
ghiacciai che hanno invece
solamente lambito la Val Grande.
Dalla Val Grande alla fabbrica del Duomo di
Milano, i preziosi materiali per la costruzione
del famoso edificio viaggiavano via acqua
attraversando anche il Lago Maggiore.
Val Grande e valli intrasche sono riparati, alle spalle del
lago, ma intrattengono con esso importanti relazioni
anche di carattere visivo: percorsi panoramici e punti di
osservazione a mezzacosta e in quota offrono scorci sul
Lago, sul Duomo di Verbania, oltre che su mete visive a
grandissima distanza.
Capitolo V
85
La Val Grande dal popolamento alla Wilderness:
un percorso storico
Carlo Tosco
L
’ interesse del Parco Nazionale della Val Grande consiste nel grado di naturalità che il suo
territorio conserva, nonostante si collochi non lontano da aree di forte antropizzazione
e di espansione urbana. È importante però ricordare che questa caratteristica ambientale non è un dato immutabile nel tempo, ma il prodotto storico di un processo di sviluppo.
Come tutti i territori alpini, anche la Val Grande ha attraversato periodi diversi di trasformazione, con notevoli fluttuazioni del popolamento e del grado di pressione antropica.
Può essere utile quindi ripercorrere a grandi linee questo processo di sviluppo, considerando che, fino ad oggi, la storiografia locale risulta alquanto frammentata e che mancano tuttora lavori di sintesi adeguati all’importanza che l’area riveste nel quadro dell’arco alpino e,
in particolare, della montagna piemontese. Sarà necessariamente un percorso sintetico e di
longue durée, che non rispetta le scansioni abituali della storiografia manualistica (antichità,
medioevo, rinascimento, etc.), ma che tenta di calibrare una periodizzazione sui processi che
hanno caratterizzato il sistema locale.
La strada di margine
Fig. 5.1 Baita nei pressi di Miazzina
(foto Erminio Meschia, Museo del Paesaggio,
Verbania).
Un carattere strutturale del paesaggio storico della Val Grande è il rapporto tangente
con il sistema delle comunicazioni transalpine. Il tracciato della strada che sale al passo
del Sempione e al territorio svizzero del Vallese mostra una forte stabilità nel corso del
tempo, imposta dalle condizioni orografiche e dalla presenza dell’asta fluviale del Toce
(CONSALVI, 1999; SCHNEKENBURGER, 2002). Il percorso era sicuramente già utilizzato dalle
popolazioni dell’età del Ferro e dai celti lepontini, ma è soltanto a partire dalla conquista romana che possiamo stabilire con chiarezza la presenza di una strada imperiale,
gestita dall’amministrazione pubblica. I resti archeologici confermano la frequentazione del percorso, con il ritrovamento di tratti lastricati e di una iscrizione rupestre presso
Vogogna, che attesta lavori di manutenzione della strada nel 196 d.C., durante l’impero
di Settimio Severo (MENNELLA, 1992).
In verità il Sempione non compare mai nelle fonti antiche e la via dell’Ossola non assumeva l’importanza di altri percorsi molto più utilizzati in età romana per scopi militari e
commerciali, come la via delle Gallie che risaliva verso Aosta e il Gran San Bernardo e la
«via Regina», che costeggiava il lago di Como per raggiungere la regione alpina di Coira
e il lago di Costanza. La strada del Toce comunque aveva assunto una certa importanza,
aumentata probabilmente nel tardo impero, nel quadro di un rafforzamento a scopo
difensivo dei claustra Alpium, a fronte della minaccia barbarica.
86
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
La via dell’Ossola era inserita nel sistema che collegava il Lago Maggiore al Ticino e quindi
ai nuclei urbani della pianura, dove la città di Novara assumeva il ruolo di centro amministrativo preminente. Nella zona alpina il popolamento doveva configurarsi con un carattere intercalare, basato su insediamenti di ridotte dimensioni, collegati al tracciato viario.
I ritrovamenti archeologici più consistenti si concentrano nei comprensori di Mergozzo e
di Domodossola, con la presenza di nuclei sepolcrali datati a partire dall’età augustea, ma
anche i comuni del Parco furono coinvolti nel processo di romanizzazione, come nel caso
di Miazzina, dove è stata ritrovata una vasta area funeraria (POLETTI ECCLESIA, 2008). Tra i siti
identificati di recente la scoperta più importante si colloca in Valle Vigezzo, con la necropoli
di Craveggia, dove le tombe attestano una frequentazione di lungo periodo, dalla seconda
metà del I secolo d.C. fino al basso medioevo (SPAGNOLO GARZOLI, 2012a).
È importante rilevare che quello stesso percorso mantiene la sua vitalità nel medioevo. Tracce di manutenzione e di risistemazione dei tratti lastricati restano ben visibili, e le testimonianze di uso della strada d’origine romana non mancano negli anni successivi al Mille. Un
segnale importante dell’utilizzo medievale è la fondazione nel XIV secolo, presso Vogogna,
di una mansio (stazione di sosta) controllata dai cavalieri Gerosolimitani in località Masone,
che nel toponimo conserva il ricordo della funzione antica. Nel tardo medioevo il dominio
visconteo era ben consapevole dell’importanza strategica del controllo dell’area di strada,
che assicurava le comunicazioni con l’Ossola, entrata a pieno titolo nel quadro dello stato milanese. Anche in età moderna, con l’intensificarsi dei rapporti con i cantoni svizzeri, il
Sempione vedeva aumentare il suo ruolo, sebbene il lungo tragitto che attraversava la valle
del Rodano, da Briga a Martigny, rendessero il passo difficoltoso per raggiungere il Lago di
Ginevra. Dopo l’acquisizione sabauda si attua una politica di rafforzamento delle comunicazioni transalpine, tenendo conto che la politica dei Re di Sardegna aveva promosso in modo
preferenziale i valichi delle Alpi Cozie, con la strada del Moncenisio e l’asse Torino-Lione. Una
nuova importanza viene assunta dal Sempione durante il dominio napoleonico, con impegnativi interventi di miglioramento delle strutture viarie promossi negli anni 1801-1805. Sarà
l’avvento della ferrovia a rivoluzionare la viabilità del settore, riconfigurando il sistema dei
valichi transfrontalieri. Nel 1898, dopo lunghi dibattiti e ricerche, iniziava la costruzione del
traforo del Sempione, conclusa in tempi brevi nel 1906, seguendo il successo ottenuto dal
vicino traforo del Gottardo, inaugurato nel 1882.
Nel contesto territoriale che stiamo esaminando, la maggiore area di strada ha dunque
mantenuto nei secoli una costante stabilità, inserita in nel vasto sistema delle relazioni transalpine. È importante allora rilevare la natura tangente del percorso rispetto al
massiccio montuoso della Val Grande, che manca per la conformazione orografica di
un sistema interno di attraversamento a facile percorribilità. Le comunicazioni interne
erano infatti affidate ad un reticolo di mulattiere che raggiungevano i centri abitati e i
pascoli d’altura, del tutto eccentrico rispetto alla grande viabilità della valle del Toce. È
La Val Grande dal popolamento alla Wilderness: un percorso storico
87
questa quindi la prima premessa territoriale alla wilderness della Val Grande: la natura
periferica del suo sistema di comunicazioni.
Il popolamento: la prima fase
di espansione
La presenza umana nell’area rispecchia a livello locale le grandi fasi rilevabili in tutto l’arco
alpino. Lo sfruttamento della montagna era da tempo praticato dalle popolazioni attive nel
territorio, con una rete insediativa a maglie larghe e concentrata nelle fasce di fondovalle.
In questo settore dell’arco alpino l’allevamento è attestato già a partire dall’età del Rame
(3500-2200 a.C.), con pratiche pastorali transumanti di bovini e di ovi-caprini. Nell’età del
Bronzo (2200-900 a.C.) il popolamento s’intensifica anche nelle zone montane e nella nostra area si segnalano sporadici rinvenimenti di reperti in metallo (GIANADDA, 2012). Più tardi,
nella prima età del Ferro, la cultura di Golasecca estende fino alla zona del Lago Maggiore la
sua portata, in collegamento con i valichi alpini (GAMBARI, 2004).
La colonizzazione romana, a partire dall’età augustea, aveva certamente rafforzato il sistema
insediativo lasciando tracce, come abbiamo visto, lungo l’area di strada (SPAGNOLO GARZOLI,
2012b). I dati archeologici, limitati a complessi funerari e a ritrovamenti sporadici, non consentono per l’età romana di ricostruire un quadro del popolamento e delle strutture insediative. Appare accertato comunque che si trattava di piccoli villaggi, collocati preferibilmente
nei fondovalle, dove le comunità praticavano attività commerciali a lungo raggio, come
attestano i ritrovamenti nei corredi tombali. La necropoli leponzia di Ornavasso, a partire
dal II secolo a.C., documenta lo sviluppo delle popolazioni celtiche, in contatto diretto con
il percorso viario (ARSLAN, 2001). L’allevamento e lo sfruttamento del patrimonio forestale
rappresentavano le risorse più importanti per le popolazioni locali. Anche le pratiche estrattive dovevano assumere un notevole rilievo nel quadro socio-economico, in particolare per
i giacimenti di pietra ollare, ben attestata nei ritrovamenti archeologici della Valle Vigezzo.
I reperti archeologici divengono più rari dopo il IV sec. d.C. e, in seguito alla disgregazione dell’impero, nell’alto medioevo le tracce di antropizzazione diminuiscono la
loro consistenza. La stessa presenza di popolazioni gote e longobarde rimane incerta
nell’area della Val Grande. Non mancano però attestazioni archeologiche di continuità
insediativa di lungo periodo, come nella necropoli di Craveggia, che dall’età imperiale
giunge al basso medioevo.
La documentazione fornita dalle fonti scritte riprende a partire dal X secolo, e diviene via via
più consistente (RIZZI, 1995). Le prime testimonianze sono legate alle presenze monastiche
e al dominio signorile. Diverse abbazie collocate nella zona del Lago Maggiore mantenevano possedimenti fondiari periferici nelle aree montane, e in particolare tra l’Ossola e la
val Grande sono attestati i beni pertinenti al monastero benedettino di San Graciniano di
Arona. Nelle carte monastiche compaiono per la prima volta le «alpi», i soggiorni estivi delle
mandrie. Lo sfruttamento dei pascoli d’altura diviene così una pratica sempre più diffusa,
destinata ad intensificarsi nel tardo medioevo, costellando le valli interne di una rete d’in-
88
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
sediamenti stagionali. Le selve che ricoprono le pendici montane vengono intaccate da una
prima attività di disboscamento finalizzata ad aprire radure adatte per le pratiche di allevamento. D’altra parte si afferma anche la presenza signorile laica, che estende i diritti feudali
sui boschi, sui pascoli e sugli alpeggi, in particolare i conti di Castello, che detenevano la curtis
regia di Pallanza. A partire dal XII secolo i conti avevano consolidato la loro presenza dalla
sponda occidentale del Lago Maggiore alla Valle Intrasca, esercitando la loro autorità sui coloni, ufficialmente riconosciuta da un diploma imperiale di Federico Barbarossa del 1152.
Per i secoli centrali del medioevo, in mancanza di una documentazione sistematica, il
metodo più affidabile per valutare il grado di sviluppo degli insediamenti è quello di
esaminare la collocazione delle chiese, che funzionavano come elementi di riferimento
per i centri demici in espansione.
La Val Grande si collocava nell’ambito territoriale della diocesi di Novara, e nel medioevo si
rafforza quindi quel legame con la città di pianura più vicina che già si era delineato nell’età
antica. I vescovi di Novara mantengono possedimenti fondiari nell’area ed esercitano un
controllo diretto sul sistema delle pievi, organizzate in funzione dello sviluppo della popolazione nei rilievi alpini (GAVAZZOLI TOMEA, 1980). Non stupisce constatare che le pievi risultano
collocate lungo il tracciato della strada romana che, come abbiamo visto, aveva conservato
la sua importanza in età medievale. Le quattro sedi plebane infatti vengono stabilite a Intra,
Fig. 5.2 Da sinistra, Vogogna, iscrizione
del II sec. d.C. riferita alla strada romana.
Corredo di età romana da Toceno.
presso il lago Maggiore, a Mergozzo, a Pieve Vergonte e a Domodossola, con una scansione
regolare che segue il corso del Toce. Si riconoscono così due assi ben distinti di sviluppo
insediativo rispetto all’area attuale del Parco: a sud troviamo le dipendenze della pieve di
Mergozzo (Candoglia e Bracchio), a nord quelle della pieve di Domodossola, con Beura,
Trontano, Masera, Santa Maria Maggiore e Malesco, che documentano l’importanza assunta dalla val Vigezzo. In questo settore è attestata nel medioevo una strada pubblica che da
Domodossola attraversa la valle e raggiunge Locarno, all’estremo nord del Lago Maggiore.
La Val Grande dal popolamento alla Wilderness: un percorso storico
89
La presenza delle chiese romaniche, inserite del quadro territoriale delle pievi, è un primo
segno della crescita demografica del territorio tra XI e XII secolo.
Dunque in sintesi il popolamento medievale assume con la nascita degli edifici religiosi, che
costituiscono in molti casi il nucleo primitivo dei centri comunali, una collocazione di margine, che circonda il nucleo interno dei rilievi, dove si colloca la «core zone» del Parco. Il popolamento aumenta in corrispondenza dei fondovalle e dei pianori che si prestano a forme di
sfruttamento agricolo, mentre verso l’interno si collocano i pascoli d’altura, sfruttati con lo
sviluppo della transumanza verticale. La nascita dei comuni che si suddividono il territorio
del Parco avviene quindi nei secoli centrali del medioevo, dopo una fase di abbandono e di
spopolamento dell’insediamento sparso che caratterizzava la colonizzazione romana.
Nel corso del Trecento l’inquadramento territoriale delle valli ossolane nel sistema di potere
visconteo colloca la nostra zona in un contesto politico più vasto. È ancora l’area di strada ad
aumentare di conseguenza la sua importanza, e questo processo si misura efficacemente
sul territorio con la costruzione del castello di Vogogna, tuttora ben conservato, che assumeva la funzione di controllo del percorso strategico che risaliva la valle del Toce. Già negli
anni 1340-1350 il villaggio era stato rafforzato con la costruzione di una cinta muraria e del
palazzo pretorio, e poco tempo dopo iniziava il cantiere della fortezza soprastante, sotto la
minaccia di attacchi provenienti dai cantoni svizzeri del Vallese.
A fronte di questa organizzazione signorile, le comunità rispondono con forme embrionali di autogoverno. È bene ricordare che l’ascesa viscontea si colloca in un contesto territoriale dove l’incastellamento non aveva assunto una grande espansione, soprattutto
se confrontato con altre aree limitrofe, come l’Ossola superiore o il Cusio. I borghi si configuravano comunque con un carattere tendenzialmente accentrato tra XIII e XIV secolo,
e si erano dotati di strutture amministrative locali, le viciniae, comunità di villaggio che
gestivano i beni comuni. Nel 1251 sono documentati per la prima volta due «sindici» che
operano a nome degli uomini di Cossogno. Ad una scala più ampia è attestata precocemente la formazione di «comuni di valle», che riunivano diversi villaggi in un quadro amministrativo territoriale. Già negli anni 1222-1223, con la stipula dei patti di alleanza con
la città di Vercelli, durante la guerra contro Novara, sono attestate le unioni dei comuni
delle valli Intrasca e Vigezzo. Nei decenni successivi queste associazioni policentriche conosceranno un crescente rafforzamento, ormai inserite nel sistema di governo signorile
visconteo. L’interesse delle comunità è indirizzato soprattutto all’amministrazione dei
beni collettivi, i vasti territori alpini che assumono un’importanza vitale per l’espansione
dell’allevamento e per l’utilizzo dei boschi. Un documento del 1254 attesta le modalità
di sfruttamento delle risorse del monte Pizzone, tra Buè e Ompio, tramite l’accordo di
comunità della Valle Intrasca e dell’Ossola (CROSA LENZ, 2014). Dopo una fase di sperimentazione e di gestione basata sulle antiche consuetudini, tramandate in forma orale,
si rende necessaria la stesura degli statuti, che formano il primo quadro di norme scritte.
90
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
Nella val Grande gli statuti più antichi vengono redatti alla fine del XIV secolo, a Mergozzo nel 1378 e nelle valli di Intra e d’Intrasca nel 1393 (ANDERLONI, SELLA, 1914).
Si delinea così alla fine del medioevo un quadro di forte espansione demografica
e di riorganizzazione territoriale, grazie al dinamismo delle comunità alpine. In tale
contesto si collocano due fenomeni concomitanti: la colonizzazione pastorale delle
zone liminari, in grado di assorbire la crescita della popolazione, e l’innesco di movimenti migratori, a carattere inizialmente stagionale, indirizzati verso i cantoni svizzeri
e le regioni più lontane della Francia e della Germania. La conquista di nuove terre
«alte» e lo sfruttamento transumante dei pascoli assumevano una portata crescente,
che raggiungeva il culmine verso la metà del Cinquecento. Dove le fonti offrono una
documentazione più consistente, a carattere seriale, è possibile stabilire un quadro di
misurazione di tali fenomeni di crescita. Così per la vicina Valsesia la popolazione era
passata da sei/settemila abitanti del Duecento a 36.625 anime conteggiate nel 1520,
stando alla stima del Liber omnium benefitiorum Civitatis Novariae.
All’inizio dell’età moderna si delinea un fenomeno nuovo: lo sfruttamento dei boschi
per l’esportazione del legname. Inizialmente l’importanza economica delle foreste era
ridotta, limitata alle esigenze di base delle popolazioni (riscaldamento e opere edilizie),
ma il grande serbatoio formato dalle estensioni di faggi e di conifere nelle terre comuni assume un’importanza maggiore a partire dalla metà del XVI secolo, anche per le attività di esportazione. Uno stimolo decisivo viene dalle cave di Candoglia, concesse da
Gian Galeazzo Visconti nel 1387 alla Fabbrica del Duomo di Milano, insieme ai boschi
circostanti, in grado di fornire il legname per le esigenze di trasporto. I marmi venivano
cavati in altura e trasportati fino alla riva del Toce, dove erano caricati su zattere fino al
lago e condotti a Milano attraverso le acque del Ticino e del Naviglio Grande. La città
però richiedeva sempre più legname per le sue opere edilizie e, a fianco della pietra, si
sviluppava l’attività di taglio, con la partecipazione attiva delle comunità locali, spesso
in contrasto con i diritti vantati dalla Fabbrica del Duomo, in virtù delle concessioni
viscontee. Si apriva così l’età dei grandi disboscamenti, funzionali anche all’espansione
dei pascoli, destinata ad aumentare in modo progressivo per la disponibilità del «capitale naturale» offerto dalle foreste. Le mutazioni climatiche, con l’avvento di quella
che viene comunemente definita «Piccola età glaciale», dalla seconda metà del Cinquecento all’inizio del XIX secolo, favoriranno la crescita delle foreste, per l’aumentata
piovosità e per l’irrigidimento generale delle condizioni atmosferiche.
L’aumento demografico però, e la conseguente moltiplicazione dei nuclei insediati
nel territorio alpino, non registra un andamento continuo, ma fasi di fluttuazione e
di stagnazione. Dopo la crescita tardo-medievale il popolamento segna una battuta d’arresto nel XVII secolo, a causa della crisi economica, dell’ondata di epidemie e
dell’instabilità dovuta allo stato endemico di guerra. È probabile che in questo periodo
La Val Grande dal popolamento alla Wilderness: un percorso storico
91
si verifichi una prima contrazione degli insediamenti alpini, ancora difficile da quantificare in mancanza di studi sistematici. La situazione tende a cambiare nuovamente nel
XVIII secolo, quando questo settore del Piemonte è investito da una nuova riorganizzazione politico-amministrativa.
Il nuovo inquadramento
territoriale
Fig. 5.3 Pastorella a Miazzina, inizio
secolo, (foto Erminio Meschia, Museo del
Paesaggio, Verbania).
Dopo la lunga dominazione spagnola infatti (1535-1714), in due fasi distinte il territorio viene
inserito in un quadro unitario di moderne strutture statali, passando prima sotto il controllo
asburgico (1731-1743) e in seguito sotto quello sabaudo, che si afferma definitivamente con la
pace di Aquisgrana (1748). Gli stati dell’ancien régime impongono una riorganizzazione degli
insediamenti, del sistema fiscale e una gestione più attenta dell’area di strada. Con l’Impero
austriaco infatti il governo del territorio inaugura lo strumento del catasto figurato, che rappresenta un metodo moderno di registrazione sistematica delle proprietà e di ripartizione
del carico fiscale. La mappe del catasto Teresiano, conservate all’Archivio di Stato di Torino,
offrono per la prima volta la possibilità di conosce in modo approfondito il sistema territoriale, la distribuzione degli insediamenti, i tracciati stradali, la consistenza demografica, la distribuzione delle colture. La Tabella I offre un riscontro della ricchezza della documentazione
archivistica offerta dal catasto Teresiano, che resta ancora in gran parte da esplorare. In questi
anni l’economia locale resta legata alla pastorizia e all’agricoltura, che conosce un incremento
con l’introduzione della patata, in espansione soprattutto nel corso dell’Ottocento. Gli unici
settori che registrano attività di esportazione a lungo raggio sono quelli della pietra da costruzione e del legname, grazie alla crescente domanda nel settore edilizio esercitata dalle
grandi città di pianura.
92
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
Tabella I Mappe del Catasto Teresiano
(Archivio di Stato di Torino).
Catasto Teresiano
Comune
Numero mappe
Cardezza
27
Caprezzo
16
Cossogno
75
Cursolo
34
Orasso
15
Intragna
21
Malesco
53
Miazzina
36
Premosello
54
San Bernardino Verbano
13
Santa Maria Maggiore
7
Trontano
106
Vogogna
30
TOTALE
487
In seguito, con il passaggio ai Savoia, la documentazione aumenta ulteriormente e disponiamo di una fonte preziosa: le relazioni degli intendenti, che vengono inviati dal governo centrale per esaminare e rilevare con mezzi statistici lo stato dei territori di nuova acquisizione.
Nel nostro caso si distingue la relazione del marchese Vincenzo Alessandro Ferrero d’Ormea,
governatore di Novara, redatta nel 1768. Il documento offre un quadro prezioso della struttura sociale e delle risorse produttive del territorio, mettendo in luce i problemi economici e lo
stato di arretratezza delle comunità montane.
Infine, dopo la parentesi napoleonica, a partire dalla Restaurazione le fonti per la conoscenza
della regione alpina divengono ancora più numerose, grazie al lavoro sistematico condotto sul territorio dai corografi, primo fra tutti il Dizionario del Casalis (1833-1856). Negli anni a
ridosso dell’Unità s’impone la stesura dal catasto Rabbini, che arriva a coprire tutti i comuni
della nostra area. Già nel XVIII secolo si erano realizzati i primi impianti industriali, con la nascita della Regia Fabbrica dei Cristalli di Intra, che sfruttava l’ampia disponibilità di legname delle
valli. È nel corso però dell’Ottocento che si sviluppa in modo diffuso una rete manifatturiera,
certo di estensione limitata ma in grado di fornire una risorsa economica integrativa per il
settore primario. Mentre nel fondovalle del Toce si collocano gli impianti maggiori, anche nei
paesi d’altura si segnala una proliferazione di microindustrie. A Cossogno ad esempio, lungo
il corso del torrente San Bernardino, il Casalis registra la presenza di fabbriche di cotone, di
segherie e di filature per la seta. Le industrie davano lavoro a molti residenti e la popolazione
raggiungeva 1150 abitanti.
93
La Val Grande dal popolamento alla Wilderness: un percorso storico
Il grado massimo di espansione demografica si registra proprio verso la metà del XIX secolo.
Un confronto sistematico dei dati offerti dal Casalis e della situazione odierna, condotto sui
comuni che compongono la Val Grande di cui disponiamo di notizie sicure, appare molto
eloquente (Tabella II).
Tabella II Andamento demografico dal
1830-40 al 2011.
Comune
Casalis 1830-1840
Anno 2011
Comprensorio
Aurano
780
103
valle Intrasca
Beura-Cardezza
500
1437
val Toce
Caprezzo
580
170
valle Intrasca
Cossogno
1150
588
valle Intrasca
Cursolo-Orasso
130
106
val Cannobina
Intragna
1240
107
valle Intrasca
Malesco
640
1465
val Vigezzo
Miazzina
774
414
valle Intrasca
Premosello-Chiovenda
1590
2034
val Toce
S. Maria Maggiore
980
1260
val Vigezzo
Trontano
1200
1702
val Vigezzo
Diviene così possibile misurare il grado dello spopolamento raggiunto nel nostro territorio. Il
crollo demografico, che coinvolge com’è noto tutto l’arco alpino piemontese, nasce dalla crisi
dell’economia montana e dall’attività delle aree industriali nate nel dopoguerra nelle zone di
pianura.
Si tratta però di uno spopolamento selettivo, che colpisce soltanto le aree dove non si verifica
lo sviluppo turistico legato alla «nuova vita» della montagna, uno sviluppo che ha alterato
profondamente le strutture del paesaggio. Nella Val Grande questo sviluppo è rimasto in alcune zone marginale e il paesaggio ha conservato i suoi caratteri, con sensibili differenze a
seconda dei centri comunali. Così nella val Vigezzo la potenzialità turistica ha consentito una
tenuta della popolazione: a Santa Maria Maggiore gli abitanti erano 980 nel 1830, 1188 nel
1861 e oggi sono 1260, a Malesco si contavano 640 residenti nel 1840, 1010 nel 1861 e oggi ne
raggiunge 1465. Diversa è la situazione dei comuni più interni, come Caprezzo, cha contava
580 abitanti alla metà dell’Ottocento, 450 nel 1861 e scende a 170 nelle ultime rilevazioni. È in
tale congiuntura che si colloca la nascita del Parco e il nuovo scenario aperto ai nostri giorni.
Una montagna spopolata dove la natura ha ripreso il sopravvento, al termine di un «grande
ciclo» che si era aperto negli anni intorno al Mille. Per comprendere oggi la wilderness della
Val Grande, è necessario ricostruire la sua storia.
94
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
Capitolo VI
95
Le trasformazioni della struttura territoriale nell’area
del Parco della Val Grande.
Persistenze e variazioni a partire dai catasti storici
Chiara Devoti
Struttura storica e immagine
cartografica dalle carte dello
Stato ai catasti
1
I
l territorio della Val Grande e più in specifico l’area occupata dal Parco, nonostante una
notevole persistenza della propria struttura storica1, sono incorsi nelle naturali fasi o
per meglio dire negli inevitabili processi di revisione, nella forma consueta del riassetto
intervallivo e del rinsaldarsi della relazione prevalentemente con il fondovalle, che caratterizzano la trasformazione delle zone montane e premontane.
A fronte quindi di una notevole persistenza di alcuni elementi fondativi (per esempio la
prevalenza di un’organizzazione agro-silvo-pastorale nella quale il bosco ha da tempi antichi una netta preminenza)2, altri sono variati in ragione delle mutate condizioni insediative
e delle logiche nuove di transito (in prevalenza ciò riguarda il sistema infrastrutturale di
bassa e media quota)3. Le tracce del mutamento sono particolarmente evidenti dal raffronto della cartografia storica, sia di ampio respiro, come di più minuto raggio e maggiore
dettaglio, una documentazione iconografica della quale la Val Grande è assai ricca: oltre
alle grandi carte redatte per la conoscenza dello Stato, in particolare a valle dell’acquisizione di questi territori da parte sabauda4, l’area è censita con dovizia di particolari dal cosiddetto catasto teresiano degli anni venti del XVIII secolo5 (per molti versi il corrispettivo,
di qualche anno più vecchio, del catasto antico che caratterizza i territori in mano sarda)6
e poi dal catasto Rabbini, della seconda metà del XIX secolo7, con una sola «mancanza»
nella catastazione storica, rappresentata dal catasto francese o napoleonico8, cui peraltro è
Si tratta di una questione fondamentale, quella della distinzione, tra storia del territorio e struttura storica del territorio a cui si accompagna quella della riconoscibilità
delle caratteristiche dell’area d’indagine attraverso la lettura dei fenomeni periodizzati che su questa lasciano segni ancora decodificabili. Il rimando imprescindibile
è a COMOLI 1984, ripresa poi ancora in VIGLINO DAVICO 1987 e più recentemente in COMOLI 2004, pp. 13-15 e in specifico p. 13.
2
COPIATTI 2012, pp. 212-216.
3
Per le variazioni alla struttura storica e la loro interpretazione metodologica DEVOTI, DEFABIANI 2012, pp. 19-32.
4
Cartografia di grande respiro realizzata alla metà del XVIII secolo a scopo di censimento delle capacità produttive delle diverse aree che componevano il frastagliato
mosaico dei possedimenti entro gli Stati Sardi.
5
TOSCO in questo stesso volume.
6
ZANGHIERI 1973, pp. 759-806. Per il processo di applicazione delle norme per la perequazione si rimanda ai contributi in Longhi 2008 e al fondamentale ROGGERO 1996,
pp. 49-59. Per le tecniche di rilevamento SERENO 1981, pp. 284-296 e in particolare p. 288 sg. Applicato a tutto lo Stato, il catasto antico o sardo presenta due aree di
anomalia: il Ducato d’Aosta, dove la catastazione verrà recepita con ritardo (lettere patenti del 1788) e senza la redazione delle mappe, ma solo con registri a base
descrittiva (DEVOTI 2012a, pp. 593-606 e tavole fuori testo), e i territori che saranno compresi nel regno solo dopo la pace di Aquisgrana (1748), i quali, essendo alla data
della redazione dello strumento sabaudo ancora sotto il governo austriaco, si rifacevano a una catastazione analoga, ma leggermente diversa, che va sotto il nome
appunto di catasto teresiano.
7
Il nome deriva dal geometra Antonio Rabbini, chiamato sin dal 1853 a dirigere il nuovo Ufficio del Catasto.
8
Rimasto in vigore sino all’inizio del secolo successivo, il sistema catastale antico (sardo o teresiano, recepito dal regno di Sardegna per le aree di nuova annessione che
lo impiegavano), viene messo a riposo dall’avvento napoleonico che, annesso il territorio piemontese a quello francese, procederà a una doppia catastazione, prima
per masse di coltura (1802-1806) e poi particellare (dal 1808), peraltro senza che l’operazione si compia per tutto il territorio in modo completo. DEVOTI 2012b, p. 76.
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Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
possibile sopperire con cartografia di più ampia area, ma con datazione compatibile e un
dettaglio assolutamente eccezionale nella strepitosa qualità grafica9. Nella stessa misura
appare come il grande quadro di riferimento al catasto Rabbini la ricognizione dello Stato
nota volgarmente come Gran Carta degli Stati Sardi, del 185210. In tal modo attenzione alla
scala vasta e minuto rilevamento particellare sono posti costantemente e reciprocamente
a confronto e a conferma l’uno dell’altro, come impone lo studio di un contesto della straordinaria ricchezza di un parco nazionale.
Il rilevamento teresiano:
territorio, misuratori,
rappresentazioni
9
In auge nel contesto dei territori appartenenti allo Stato di Milano, il catasto teresiano, come
già si disse, precede di poco la catastazione sabauda. Fondato sul ricorso alla particella come
minima unità avente lo stesso proprietario e la medesima coltivazione e sulla redazione oltre
che di sommarioni11, anche di mappe grafiche, il catasto appare all’avanguardia sicché lo Stato Sardo eviterà di procedere a una nuova – e tra l’altro costosa – ricatastazione per le aree
annesse prima con il trattato di Vienna (8 novembre 1738), ossia il Novarese e il Tortonese, e
indi, con il trattato di Aquisgrana (15 ottobre 1748) il Vigevanasco, l’Alto Novarese, il Bobbiese
e l’Oltrepò Pavese. L’operazione di misura è affidata a una «giunta» nominata il 3 dicembre
1718 da Carlo VI d’Asburgo e presieduta da Vincenzo Miro12, ma di fatto la maggior parte delle
misurazioni sono riconducibili a due fasi, una prima degli anni ’20-’30 del secolo e una seconda più tarda, dal 1749, questa volta sotto la guida di Pompeo Neri, legata proprio alla nuova
sovrana Maria Teresa, e successiva all’annessione di una parte delle aree nei territori sabaudi13.
Come è stato efficacemente messo in luce «gli esordi del censimento lombardo del secolo
XVII […] ricalcano abbastanza fedelmente quelli dell’estimo cinquecentesco [detto anche
Estimo di Carlo V], sia nell’impostazione generale, sia nelle operazioni preliminari, sia nelle
modalità di finanziamento, quasi a voler rimarcare il più possibile la continuità fra le due iniziative di riordino tributario. Addirittura l’atto di nomina della Real Giunta del censimento, che
risale al 7 settembre 1718, oltre a riproporre la costituzione di un organo composto da quattro
‘ministros’, tutti forestieri, menziona espressamente il decreto di don Ferrando Gonzaga del 1°
novembre 1546 per conferire ai membri appena designati i medesimi poteri e la medesima
autorità, di trattare, disporre e decidere, che era stata attribuita ai loro predecessori»14. Ciò che
appare rilevante è la diversa formazione dei tecnici incaricati delle procedure, ora non più solo
di registrazione, ma di misura e di rappresentazione delle misure prese, un procedimento al
Si tratta in particolare della Carta Topografica degli Stati di Terra Ferma di S.S.R.M. Carlo Alberto Re di Sardegna, fatta dal Corpo dello Stato Maggiore comandato dal Ten.te
Gen.le B.ne di Monthoux, scala 1:50.000, 1816-31 e relativi fogli. Istituto Geografico Militare (IGM), Firenze, Archivio Topocartografico, cartografia antica.
10 CORPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO SARDO, Carta degli Stati di S.M. in Terraferma, detta Gran Carta degli Stati Sardi, 1852. Archivio di Stato di Torino (ASTO), Carte
topografiche segrete, B5-bis nero.
11 Allegato F., Libri catastali relativi alle mappe dell’Allegato A per i paesi di nuovo acquisto, in ASTO, Sezioni Riunite, Finanze, Catasti, Catasto Teresiano.
12 Dalla scheda a catalogo dell’ASTO.
13 Per uno studio delle potenzialità di analisi del catasto nell’area si vedano BARIATTI, MARGARINI 2001.
14 ZANINELLI 1963, p. 23.
97
L'interpretazione storica attraverso i catasti
quale contribuisce in modo determinante l’arrivo a Milano del matematico di corte Giovanni
Giacomo Marinoni, in servizio alla corte di Vienna, che avrebbe dovuto definire in modo preciso le nuove norme15: in effetti, come richiamato efficacemente, egli «propose che la superficie dovesse essere misurata in modo uniforme in tutto lo Stato, adottando una sola unità di
misura, e rappresentata graficamente attraverso le mappe, che dovevano riportare i confini
della superficie riprodotta, le strade pubbliche, le rogge, gli argini, i fossi, i caratteri colturali; e
inoltre suggerì di abbandonare lo squadro, ossia lo strumento goniometrico in uso da secoli
per misurare la terra, e di adottare la tavoletta pretoriana, strumento goniografico, che avrebbe permesso al rilevatore di riprodurre direttamente sul posto la superficie in scala oggetto
della misurazione, senza attraversare i campi. […] La misurazione delle terre si svolse dal 1721
al 1723 e, con l’ausilio della tavoletta pretoriana, fu redatta una mappa per ciascuna comunità
dello Stato, dalla quale risultano la figura di ogni particella, la coltura praticata, la dimensione,
la distribuzione degli edifici. Per la comprensione di tali rappresentazioni grafiche vennero
compilati i ‘Sommarioni’, dove sono annotati tutti gli appezzamenti disegnati e numerati nella
mappa, con l’indicazione della rispettiva misura, espressa in pertiche milanesi, del nome del
possessore, della qualità colturale con cui il terreno fu ritrovato»16. Esattamente come sarebbe avvenuto più o meno in contemporanea nel contiguo Stato Sardo, all’inizio è attestata, nei
misuratori, una diffusa osmosi tra tecnici provenienti dai ranghi civili e misuratori estratti dal
genio militare, ma con l’estendersi dell’operazione catastale, dalle semplici «piazze» di misuratori si passa a un vero e proprio servizio di geometri e misuratori camerali, espressamente
addestrati per il servizio allo Stato, operativi presso l’ «Ufficio del Censo», appositamente istituito alla metà del secolo per la revisione proprio del Catasto Teresiano nella sua prima stesura17.
I misuratori con i quali abbiamo a che fare per le aree prese in considerazione nel presente
lavoro, ossia Intragna, Colloro e Cossogno, si qualificano tutti come «geometri», assistiti da
misuratori minori, quelli che per l’area sabauda sono i «trabuccanti» e qui presumibilmente
«perticanti»: a Colloro (nel mandamento di «Premosello – val d’Ossola») Giulio Ricchino con
l’ausilio di Alessandro Origgio, Antonio Milano, Gio Ant.io Peverino, Giò Antonio Delforte e
Ant.o Arcioli (con come «dissegnatori» Gioanbattista Aliprandi, Nicola Sovico, Giacomo Acra e
Pietro Martorino); a Intragna («pieve d’Intra, Ducato di Milano») Giacomo Antonio Biughi con
l’assistenza di Giuseppe Bolla, Giò Maria Paltaro, Gioan Buono e Antonio Riattino (quali copisti
Marco Groppi, Antonio Girelli e Francesco Maunate); infine a Cossogno («Valle d’Intragna Lago
Maggiore Ducato di Milano») il geometra Giovanni Della Torre, senza indicazione di aiuti (e
con la copiatura dei «dissegnatori» Gaspare Pozzo, Giò Chiesa e dello stesso Giò Della Torre)18.
É indubbio che l’impiego della tavoletta pretoriana, in un certo senso imposto da Marinoni,
15 MARINONI 1751; ID., 1719.
16 ZAPPA 1999, p. 303.
17 FERRARESI, VISIOLI 2012, p. 68
18 Dalle intestazioni della prima tavola delle mappe, tutte in ASTO, Sezioni Riunite, Finanze, Catasti, Catasto Teresiano.
98
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
nonostante ancora, in questa primissima fase – il 1722 per la Val Grande – non si sia stabilito un apposito corpo di misuratori, garantisca, grazie alla massiccia presenza di agrimensori,
geometri, e di esperti disegnatori (tutti accuratamente indicati a riprova della ampia considerazione del loro ruolo e della loro perizia), una rappresentazione grandemente omogenea
e raffrontabile. Per quanto ingenuo possa apparire il tratto e difficile la comprensione della
complessa orografia per chi è ormai «viziato» dalle isoipse, le indicazioni del matematico e
le relative prescrizioni da parte della Giunta garantiscono una immediata riconoscibilità della
natura dei coltivi – qui in prevalenza boschi – con qualche area di ridotta estensione a campo,
soprattutto nelle poche aree pianeggianti, poi pascoli e ampi greti e aree golenali di torrenti
classicamente a «incolto produttivo», una definizione che la dice lunga sulla capacità di cavare
mezzi di sostentamento anche da quelle che nell’area della Valsesia sono indicate espressivamente come «grillaie»19…
Il catasto Rabbini:
geometrizzazione delle terre
e precisione di rilievo
«Nel complesso decennio di preparazione all’Unità d’Italia, tra le molte iniziative intraprese, si colloca anche l’ipotesi di una nuova catastazione basata su saldi principi di rilevamento. Con decreto del 1855 viene promosso il Catasto stabile degli Stati Sardi di
Terraferma, da appoggiarsi all’Ufficio del Catasto creato nel 1853 presso il Ministero delle
Finanze, e diretto da Antonio Rabbini, autore del fondamentale testo Dell’accertamento
catastale, dell’attuazione e conservazione del Catasto, del 1855, analisi programmatica delle
modalità anche topografiche di attuazione della misurazione.
Iniziate nel 1856 le operazioni catastali, con mappe in scala variabile (dall’1:6000 all’1:750), del
cosiddetto ‘Catasto Rabbini’, scontratesi con le difficoltà legate all’unificazione e ai trasferimenti della capitale, si arenano entro il 1870, censendo i soli circondari di Novara, dell’Ossola,
di Pallanza, Pinerolo, Susa, Torino e Varallo»20. La ricerca dell’equità nell’imposta prediale e
nello stesso tempo la volontà di istituire un catasto stabile, al cui servizio porre una schiera
di tecnici dalla salda formazione e per i quali lo stesso geometra Rabbini aveva predisposto
un adeguato corpus teorico (a cominciare proprio dal volume Dell’accertamento catastale. Dell’attuazione e conservazione del Catasto. Sunto delle lezioni tenute da Antonio Rabbini
Direttore Capo dell’Ufficio del Catasto alle Scuole Censuarie istituite a Torino dal Ministero delle Finanze del 1855 e dal complementare Atlante di Tavole Planimetriche relative alle Lezioni
sull’Accertamento Catastale […] sempre del medesimo anno), guidano una impostazione
all’insegna della più alta modernità per il tempo e del più elevato grado di professionalità da
parte dei misuratori (il Corpo dei Rilevatori e degli Estimatori) impegnati sul campo21.
Il rigore estremo del rilevamento, su base trigonometrica, con l’impiego dell’onnipresen-
19 Per l’uso del termine DEVOTI, DEFABIANI 2012.
20 DEFABIANI 2012, pp. 345-355 e in specifico p. 345.
21 Ibid., p. 352.
99
L'interpretazione storica attraverso i catasti
te tavoletta pretoriana, ma integrata da diottra a cannocchiale e da teodolite, costruisce
una vera e propria serie di reti di I e II categoria, incentrate su punti coerenti a quelli definiti dall’Ufficio del Corpo di Stato Maggiore dell’Esercito, in una perfetta continuità con
il prodotto della prima Restaurazione (il già richiamato rilevamento degli anni 1816-30)
e con quanto propugnato dalle Écoles de Guerre di età napoleonica, i cui insegnamenti
Andrea Gatti – presso il quale aveva compiuto il proprio tirocinio professionale Rabbini –
aveva tentato di mettere in pratica quasi un mezzo secolo prima con il rilevamento della
capitale del Regno di Sardegna, Torino22.
Il nuovo rilevamento – basato sull’accertamento dei beni stabili e sulla misura parcellare
con l’indicazione dei possessori e della qualità e destinazione – poneva le basi anche
per una migliore attività a livello pubblico come privato, rendendo evidente dimensione
e natura di ogni bene terriero o immobiliare, ma introduceva anche una evidente durezza di tratto, una «geometrizzazione» sempre più spinta, fino a – come ha messo in
luce efficacissimamente Paola Sereno – offrire una immagine rigidamente geometrica
del territorio, che quasi deve adattarsi alla misura e non viceversa determinarne le regole. Nonostante quello che può apparire un limite, ossia l’eliminazione del tratto pittorico
ed evocativo, la riduzione del colore, ormai riservato solo ai fabbricati (rosso) e ai corsi
d’acqua naturali come artificiali (blu), il tracciato netto del catasto Rabbini promuove,
nel processo di semplificazione estrema, la massima leggibilità, senza offrire il fianco a
equivoco di sorta, e procedendo a misura e parcellizzazione di ogni porzione del suolo
comunale, cime di montagne e greti di torrenti compresi.
I Sommarioni, poi, appaiono come vere e proprie descrizioni figurali, nelle quali la complessità e specificità dei testi, sopperisce ampiamente all’assenza di colore ed evita ogni
possibile dubbio su estensione e valore del terreno o del bene, cui corrisponde infatti
sempre un rigoroso estimo in funzione anche della «bontà» del terreno censito. Come
messo in luce da analisi condotte in altre aree raggiunte dalla catastazione di Rabbini,
il dettaglio nella individuazione della natura dei coltivi si fa estremo e «fotografa» la
grande variabilità delle colture o delle coperture vegetazionali. I «boschi» del catasto
teresiano, al massimo connotati dalla qualifica «d’alto fusto», si arricchiscono qui delle di
«bosco ceduo forte», «bosco ceduo dolce», «bosco d’alto fusto misto», «bosco d’alto fusto
ceduo», «bosco d’alto fusto dolce», «bosco ceduo misto», «bosco d’alto fusto forte», ma
non mancano anche le «ripe con cespugli», le «ripe boschive a bosco ceduo dolce», cui
associare le «alluvioni con bosco ceduo dolce», se necessario23.
Estremo rigore nella misura, complessità di ampiezza di definizione, seguita da detta-
22 Andrea Gatti, geometra misuratore, aveva collaborato con il fratello Alberto, inventore di un sistema celerimetrico di misurazione, sotto Napoleone e poi aveva proseguito
con gli stessi criteri in fase di prima Restaurazione. Dal 1823 Rabbini è il suo più stretto collaboratore. DEFABIANI 2012, p. 348.
23 Per tutte le categorie commentate ancora Idib., p. 355.
100
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
gliata descrizione e da relativo accurato estimo (il cui precedente risiede nell’arpentage
napoleonico) contrassegnano l’operazione, estendendo di quasi un secolo quel procedimento di controllo e di valutazione minuziosa che avevano accompagnato il censimento
delle risorse naturali (boschi, miniere, acque) delle aree di nuova acquisizione, come testimoniato da ampie e ricchissime cartografie24. In queste il riconoscimento, secondo uno
schema quasi proprio dei cabrei25, e l’estimo occupavano in effetti una posizione di tutto
rilievo, con accurate distinzioni in funzione della natura «d’alto fusto», «dolce» o viceversa
«forte» delle specie arboree, fino alla loro precisa identificazione («faggij», «larici», «peccie», «roveri», «castagni», «verne»).
Le mappe a disposizione per l’area che ci interessa confermano appieno queste caratteristiche e la loro lunga continuità: Colloro (che appartiene al comune di Premosello, dotato di
numerosi fogli, compreso il quadro d’unione e la tavola dei punti trigonometrici e delle linee
di triangolazione) appare chiaramente riconoscibile nel suo impianto compatto e composto
da due nuclei nettamente distinti, collegati da una evidente viabilità. Premosello è attraversato da un affluente del Toce, che taglia l’abitato in due, mentre verso il corso del fiume
si addensano gli spazi coltivi, con un’ampia area di greto fluviale (indicata come «proprietà
comunale»), avanzo o continuità evidente delle aree tenute «pro indiviso» nella società medievale. Un discorso assolutamente analogo può essere svolto per Cossogno, del quale
si riconoscono i compatti nuclei (compreso quello – peraltro esiguo – di Cicogna); sempre
nella stessa misura, presso i centri demici, si assiste alla rigidissima divisione delle particelle
a coltura e dei boschi di immediata pertinenza. La notevole rete trigonometrica del comune mostra il prevedibile infittirsi delle poligonali in corrispondenza proprio di questi centri
demici e del loro immediato intorno, a partire, come raccomandato proprio dalle istruzioni
dello stesso Rabbini, dai punti emergenti, di cui quello principale all’incontro tra «meridiana»
e «perpendicolare»; la scala metrica è nel rapporto 1:7500, consueto per le aree «miste» con
abitato e ampie estensioni coltive o boschive.
Di grande interesse la mappa relativa a Intragna, in scala 1:2000, vista la presenza massiccia dell’abitato, ma senza quella densità che caratterizzava Premosello (non a caso al
1:1000). Anche in questo caso si confermano il nucleo compatto principale, le borgate sparse e il sistema fitto degli appezzamenti coltivati rispetto alla predominanza dei boschi.
24 Si vedano le relative schede e il saggio di apertura in Il teatro delle terre 2006. A solo titolo di esempio si veda il caso ricchissimo di dettaglio in GIOVANNI BATTISTA SOTTIS, Carta
topografica e descrizione delle serve della valle di Vigezzo, parte dell’Ossola superiore nell’alto Novarese, 1785. ASTO, Carte Topografiche per A e B, Novarese, 3.
25 Per la natura e la logica dei cabrei, nonché per un loro repertorio, DEVOTI, SCALON 2014.
101
L'interpretazione storica attraverso i catasti
Un territorio dalla costante
identità
Limitato per i catasti storici ai soli «circondari» di Colloro, Cossogno e Intragna, in quanto analizzati da altre indagini e quindi facilmente confrontabili nei dati e negli esiti, lo
studio si integra tuttavia con quanto emerge dalla cartografia di ampia scala (a cominciare dal rilevamento del 1816-30, reso ufficiale nel 183126, più volte richiamato, per finire con la cosiddetta Gran Carta degli Stati Sardi del 185227). Ciò che il confronto – o per
meglio dire il riconoscimento delle tracce più o meno latenti dei fenomeni in grado di
definire la struttura storica del territorio – mostra è una eccezionale «longue durée» dei
sistemi strutturanti, un perdurare della vocazione allo sfruttamento accorto delle risorse
agro-silvo-pastorali, un’ottima rispondenza delle attività antropiche alle caratteristiche di
specificità del territorio stesso. Se quindi si addiviene al «riconoscimento della struttura
storica [preminentemente] attraverso l’individuazione delle persistenze e delle varianti
del sistema infrastrutturale (strade – di diverso livello di importanza – strade ferrate, bealere e canali) in un contesto abbastanza ampio ruotante sull’intorno [degli insediamenti
considerati], l’estensione di questo intorno è determinata dalla necessità di graficizzare
i grandi assi portanti della viabilità storica, rispetto ai quali questi nuclei risultano ampiamente periferici»28. Se infatti Premosello si attesta già al 1860 (catasto Rabbini) sulla
«Strada Nazionale del Sempione» – una delle grandi direttrici della revisione stradale
dello Stato sin dal 181729, allora come strada regia (e come tale nella cartografia di prima
Restaurazione), poi dal 1859 strada nazionale – gli altri nuclei appaiono viceversa connessi da una minuta viabilità intercomunale, che non conoscerà trasformazioni che in tempi
relativamente recenti. Nonostante queste variazioni infrastrutturali, legate al massiccio
impiego di autovetture, il tessuto portante territoriale appare in gran parte immutato,
saldamente ancorato alla connotazione eminentemente boschiva e alla coltivazione
solo delle aree nelle immediate vicinanze dei centri demici, con una netta prevalenza in
corrispondenza dei corsi d’acqua. Se allora di caratteri identitari è bene parlare, questo –
assai più di altri territori, massicciamente compromessi da fenomeni imperanti di globalizzazione – appare come un contesto dalla fortissima persistenza nelle sue componenti
strutturanti, nel quale la «wilderness» proposta dall’indagine, nonostante gli inevitabili
adeguamenti more moderno, non sembra un dato artificiale, ma una effettiva costante.
26 Carta Topografica degli Stati di Terra Ferma di S.S.R.M. Carlo Alberto Re di Sardegna, fatta dal Corpo dello Stato Maggiore comandato dal Ten.te Gen.le B.ne di Monthoux,
scala 1:50.000, 1816-31.
27 CORPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO SARDO, Carta degli Stati di S.M. in Terraferma, detta Gran Carta degli Stati Sardi, 1852. ASTO, Carte topografiche segrete, B5-bis nero.
28 DEFABIANI, DEVOTI 2011, pp. 215-224 e in specifico p. 221.
29 Le patenti del 1817 individuano come strade regie sette direttrici di Milano, di Piacenza, di Francia, di Genova, del Sempione, di Nizza, di Fenestrelle. Dal 1859 queste saranno
definite come «nazionali». GUDERZO 1961, pp. 83-88.
102
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
Territorio di Cossogno valle d’Intragna
Lago Maggiore Ducato di Milano Misurato
dal Geometra Giovanni Della Torre in occasione della Misura Generale del Novo
Censim.to dello Stato di MIL. principiata il
giorno … e terminata il giorno … coll’assistenza … Copiata dalli Dissegnatori
Gaspare Pozzo, Giò Chiesa, & Gio Della
Torre in fogli 25.
Territorio più esteso, composto da 75 fogli, contrassegnato da una notevole presenza di vette (accuratamente annotate
come monti dalla specifica toponomastica) e da una consistente copertura di
foreste, le quali nel foglio XXV confinano
con «li boschi comunali di Rovegro Sunna
Cavandone e Fabrica del Domo di Milano».
Al foglio LVIII, seppure nella estrema sinteticità del disegno, il complesso reticolo di
corsi d’acqua minori, che contrassegnano
altrettante vallette tra la ricca copertura vegetazionale, appare chiaramente indicato,
elemento di assoluta persistenza anche
oggi. I centri insediati, con ridotte porzioni a coltivo, apprezzabili negli immediati
dintorni, definiti da un acceso colore rosso
e dalla perfetta riconoscibilità delle singole particelle immobiliari, sono connessi
da una viabilità prevalentemente intercomunale, nella forma di strade poderali e
mulattiere. Non mancano alcuni insediamenti sparsi, a carattere isolato, di modestissime dimensioni, raggiungibili di fatto
con sentieri. La scala, indicata al foglio
LXXV, è di «Trabucchi Cento di Milano».
L'interpretazione storica attraverso i catasti
Mappa del Territorio di Premosello Val
d’Ossola giurisdizione di Vogogna, Ducato
di Milano, fatta in occasione della Misura
Generale di questo Stato dal Geometra
Giulio Ricchino, principiata li 6 Giugno,
e terminata il primo Agosto 1722 coll’assistenza di Alessandro Origgio, Antonio
Milano, Gio. Ant.io Peverino Giò Antonio
Delforte ed Ant.o Arcioli. Coppiata dalli Dissegnatori Gioabattista Aliprandi,
Nicola Sovico, Giacomo Acra, e Pietro
Martorino.
Le parti scoscese indicate con precisi tratti
di bruno, a individuare l’orografia delle valli,
i corsi d’acqua di un blu-turchese intenso,
non si ravvisano che raggruppamenti sparsi di edifici di natura prevalentemente rurale, salvo alcuni addensamenti maggiori nei
fogli 29 e 40, nel contesto di un territorio
rappresentato in 53 fogli. Verso il corso
del fiume (vistosamente enfatizzato) si sviluppa invece il più esteso centro demico,
Premosello, con un articolato e regolare sistema di appezzamenti di coltivi, a lunghe
strisce prevalentemente Il nucleo, di notevoli dimensioni, appare diviso in due porzioni dal corso del fiume, con la più estesa
a ponente. Lo sfruttamento intensivo della porzione piana e fertile, che si estende
a sud e a est (evidentissimo nella fitta trama degli appezzamenti), appare anche
connotato da un denso innervamento di
strade camperecce in grado di connettere il centro abitato con i suoi campi. Le
aree fittamente segnate dai diversi lotti si
spingono fino al greto del fiume e alle aree
esondabili, in certe porzioni del territorio
anche di notevole superficie. Al foglio 32
notevole riferimento cardinale e «Scala di
Trabucchi Cento Ottanta Milanesi».
103
104
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
Mappa d’Intragna Pieve d’Intra Ducato di
Milano, misurato dal Geometra Giaccomo
Antonio Biughi, d’Ordine della C.R.G. del nuovo Censimento, principiata li 10 Settembre, e
terminata li 18 Ottobre 1722, con l’assistenza
di Giuseppe Bolla, Giò: Maria Paltano, Gioan
Buono, e d’Antonio Riattino. Coppiata da
Matteo Groppi, Antonio Girelli, & Fran.co
Maunate in foglij 21.
In «Scala di Trabucchi Cento Venti
MILANESI» (segnata al foglio XXI) insieme
con il quadro d’unione, questo rilevamento territoriale è quello a più alta densità di
centri abitati, per quanto di modeste dimensioni, tutti ricollegati da una viabilità
minuta, a prevalente carattere di strada vicinale; centri demici che occupano estese
radure – ampiamente lottizzate a strisce
lunghe o larghe, per meglio sfruttare l’orografia, poste anche in gran parte lungo
corsi d’acqua (affluenti del corso maggiore) – ricavate all’interno di una densa selva,
di alberi d’alto fusto, come si evince dal ricorrente simbolo corrispondente a questa
caratteristica, alternati a specie meno imponenti, indicate da generici cerchi verdi
più o meno densamente ravvicinati.
L'interpretazione storica attraverso i catasti
105
Carta Topografica degli Stati di Terra Ferma di S.S.R.M. Carlo Alberto Re di Sardegna fatta dal Corpo dello Stato Maggiore comandato dal Ten.te Gen.le
B.ne di Monthoux alla scala di 1 50.000, 1831, Foglio G.12 Pallanza. IGM Firenze, Archivio Topocartografico, carte preunitarie.
L’intera ispezione e il conseguente rilevamento trovano espressione in 112 fogli di eccezionale qualità grafica, a china e acquerello, sulla base di rilievi
– compiuti negli anni 1816-30 e poi messi in pulito entro il 1831 – di cui esistono ampie attestazioni. La scala nominale, 1:50.000, è anche integrata da
scale grafiche di 1600 trabucchi e miglia di Piemonte. Le diverse tavolette (che corrispondono alla precisa scacchiera del quadro d’unione) coprono i soli
stati di terraferma, escludendo la Sardegna. «Essa servì di originale, dopo le opportune ricognizioni sul terreno, per il disegno della corrispondente carta
topografica della quale fu decretata la pubblicazione nel 1851. Messe a confronto le due carte, le cui suddivisioni in fogli non corrispondono, si notano
differenze più o meno sensibili secondo le diverse zone, tanto nella topografia quanto nella toponomastica. Le zone di alta montagna appaiono rappresentate in modo più sommario e inesatto» (dalla scheda IGM). La strepitosa finezza del segno grafico appare in effetti irriproducibile nella scelta di semplificazione (semplice bicromia) operata per la cosiddetta Gran Carta degli Stati Sardi del 1851-52, dove solo i fiumi e in generale i corsi d’acqua appaiono
di colore azzurro, mentre le acclività sono indicate da tratti ravvicinati in nero e le colture con lettere. Qui al contrario, in continuità con la cartografia dello
Stato di XVIII secolo, i centri demici spiccano per il colore rosso acceso, i campi per il giallo pallido, i prati per il verde, i boschi per varie sfumature di verde a
seconda della specie; segni convenzionali indicano la qualità delle strade, tra cui il giallo ocra per quelle progettate e in via di realizzazione.
106
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
[Catasto Rabbini] Allegato H, Mappa originale del Comune di Cossogno. Scala Metrica nel rapporto di 1 al 4.000.
L’abitato di Cossogno, costantemente caratterizzato da compattezza, appare connesso con Cicogna, assai distante, da una strada intercomunale, trasformazione della assai più stretta mulattiera che compariva nella cartografia di prima Restaurazione. Anche l’insediamento di Cicogna si mostra privo di
grandi variazioni rispetto alla carta precedente, mentre appare decisamente più identificabile rispetto al corrispettivo nel catasto teresiano. Immutata la
condizione di preminenza della copertura boschiva, mentre è evidente oggi – rispetto al rilevamento del catasto Rabbini – una consistente riduzione delle aree coltive, vistose almeno nell’immediato intorno dell’insediamento e ricavate, come era consuetudine, con taglio delle selve ed esteso roncamento.
Si tratta quindi, nella situazione attuale, di ampio rinselvatichimento o bosco di ritorno.
L'interpretazione storica attraverso i catasti
107
Mappa originale del Comune di Premosello. Scala metrica nel rapporto di 1:1000.
La mappa riporta in calce anche la data precisa di inizio del «processo verbale», 17 settembre 1867, nonché la relativa approvazione della misura, controfirmata
da «Rossi Carlo delegato di Premosello»; seguono le firme di «Ferraris Federico incaricato delle verifiche» e di due teste. L’insediamento di ampie dimensioni
di Premosello, posto lungo la «Strada Nazionale del Sempione» e vistosamente attraversato da un affluente del fiume Toce, il «Rivo Grande», è collegato con
Colloro da una strada minore, diramantesi dall’estremo settentrionale della porzione di ponente dell’abitato e indicata come «Strada detta Balmasso». La porzione di levante è invece più saldamente connessa con Colloro dalla «Strada Comunale di Coloro». Questo diverso sistema di collegamento dipende dalla
natura stessa del centro demico periferico, distinto in due nuclei, nettamente separati tra loro e anche relativamente distanti, indicati indistintamente con
l’appellativo di «Borgata Coloro». La cappella dell’abitato si trova in ogni caso nel comparto di levante, a sua volta evidentemente composto da porzioni
diverse, in grado di sfruttare al meglio le potenzialità – anche in termini di coltivi – offerte dal territorio. Si nota infatti una minuta parcellizzazione fondiaria, che segue precisamente l’orografia dei luoghi, adattando le strisce ai declivi.
108
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
Allegato O. Mappa originale del Comune di Intragna. Foglio VII. Riduzione alla Scala di 1 a 2000.
L’insediamento corrispondente al comune di Intragna, che come era evidente sin dalla cartografia più antica, è formato di fatto da tre nuclei, di cui quello
omonimo «Borgata Intragna» dotato di chiesa parrocchiale (che funge da punto trigonometrico principale per il rilevamento), e quelli secondari «Borgata
Vico» a levante e «Borgata Cambiesso» a Nord-Ovest, legati in modo evidente allo sfruttamento agro-silvo-pastorale. Rispetto al rilevamento di prima
Restaurazione, l’aggregato di Borgata Vico appare fortemente in espansione, probabilmente anche in ragione del più efficace collegamento (assicurato
da una mulattiera) con altri insediamenti di notevole richiamo, a partire da Intra. Si nota infatti una derivazione rispetto alla direttrice principale, che
attraversa Intragna propriamente detta, qualche chilometro prima dell’abitato, e si dirige in modo vistoso verso levante, denominata nel catasto «Strada
Comunale a Vico». Il collegamento tra Intra e Intragna è viceversa garantito dalla «Strada Comunale d’Intra». Quello con Cambiesso, più labile nelle
cartografie precedenti, è rinsaldato ora dalla relativa «Strada Comunale Cambiesso». È interessante questa inversione di pesi soprattutto se si considera
la presenza, in questa «borgata» di una cappella, assente invece a Vico. Minutissimo, ovunque, il parcellare, ancora una volta a indicare un accorto sfruttamento delle risorse offerte dal territorio.
109
L'interpretazione storica attraverso i catasti
Mappare le trasformazioni del territorio:
dalla piattaforma per la georeferenziazione dei dati
alle carte tematiche
Chiara Tanadini
La gestione delle conoscenze:
la cartografia storica
interpretata attraverso il
sistema GIS
Intragna, Cossogno e
Premosello-Chiovenda
L
o studio del territorio e delle sue modificazioni attraverso l’analisi comparativa
della cartografia storica analizzata nella prima parte di questo capitolo da Chiara
Devoti si avvale del supporto interpretativo offerto dal sistema GIS (Geographic
Information System) o più correttamente di un Sistema Informativo Geografico (o territoriale), una piattaforma georeferita per la gestione, l’analisi e la visualizzazione delle
informazioni con contenuto geografico-spaziale in grado di gestire l’informazione
tramite insiemi di dati, definiti metadati1, che costituiscono modelli di fenomeni geografici, cioè riferibili al territorio, utilizzando strutture di dati semplici e generiche2.
Base del GIS è la «geovisualizzazione», ossia la sua capacità di visualizzare l’informazione geografica secondo varie modalità, tra le quali mappe interattive, modelli tridimensionali, carte e tabelle di sintesi, rappresentazione di eventi temporali e viste
schematiche delle relazioni all’interno di una rete, consentendo la produzione di rappresentazioni territoriali di base e avanzate (mappe) dei dati contenuti nei database
geografici. Considerato che le mappe sono il principale strumento per veicolare l’informazione a carattere geografico agli utenti e consentirne l’interazione, l’utilizzo dei
sistemi GIS per lo studio del territorio storico permette – attraverso la possibilità di
superamento della cartografia tradizionale, per sua natura non modificabile e statica
e, spesso, non facilmente interpretabile dai non addetti ai lavori – di rendere immediatamente comprensibili i dati significativi che la ricerca vuole evidenziare. Infine, i
dataset geografici possono rappresentare misurazioni grezze (ad esempio immagini satellitari), informazioni interpretate e compilate dagli analisti (ad esempio strade,
costruzioni e tipi di suolo), o informazioni derivate da altre sorgenti di dati usando
algoritmi di analisi e di modellazione.
Per semplicità di comparazione e confrontabilità dei dati, il territorio analizzato è
quello già preso in considerazione da altri autori di questo volume, cioè quello rappresentato dai «circondari» di Cossogno, nello specifico della frazione di Cicogna –
«piccola capitale» del parco – dell’area del comune di Intragna e di quella di Premosel-
1
Per il significato del termine «metadato» e per il suo fondamentale valore nella costruzione di GIS e ipertesti si veda PANZERI M., FARRUGGIA A., 2009.
2
Nel contesto di questo lavoro si è impiegata la piattaforma Quantum GIS (QGIS), ossia un GIS Desktop open-source per la gestione, visualizzazione, modifica, analisi
di dati geografici. Il progetto QGIS nasce ufficialmente nel Maggio 2002 e la prima applicazione completa è lanciata nel 2009, con funzionalità completa in ambiente
Linux, Unix, Mac OSX e Windows, nonché con capacità di supportare formati di dati vettoriali, raster e i database. QGIS è rilasciato con licenza GNU Public License.
110
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
lo-Chiovenda, con particolare attenzione alla frazione di Colloro, punto di partenza (o
di arrivo) di uno dei più famosi e suggestivi percorsi presenti all’interno del parco. Di
queste porzioni di territorio sono state analizzate le persistenze e le trasformazioni in
termini di estensione dei centri abitati e di utilizzo agro-silvo-pastorale degli intorni
dei nuclei residenziali, la presenza o assenza di eminenti poli religiosi riconoscibili già
dalla cartografia storica e l’assetto delle infrastrutture viarie principali e secondarie
identificabili tanto nella cartografia storica quanto in quella attuale.
I risultati di queste analisi sono estremamente interessanti poiché confermano l’importanza storica dei territori considerati, dettata, principalmente, della permanenza
e dall’ampliamento, in termini di insediamenti umani, delle frazioni minori quanto
dei nuclei principali, uno sviluppo connaturato con la sempre maggiore attrattività
dell’area del parco e al conseguente incremento dello sfruttamento produttivo del
territorio e del suo sistema infrastrutturale.
L’analisi dell’espansione dei centri demici, attuata attraverso lo studio della cartografia
storica presa in considerazione in questa sede – il catasto Teresiano del 1722 e il catasto Rabbini del 1864 – consente, infatti, di trarre conclusioni che avvalorano la tesi
della sempre maggiore rilevanza che questi sistemi culturali territoriali hanno assunto
nel corso della storia.
Un caso particolarmente significativo è quello del nucleo di Cicogna, che rappresenta
oggi una porzione importantissima del parco e che, all’inizio del Settecento, altro non
era che un ridottissimo insieme di fabbricati circondati da aree coltivate, all’interno di
un’area principalmente boschiva raggiungibile mediante un unico collegamento che
aveva origine dal nucleo principale e che, già un secolo più tardi, presenta un’estensione di almeno dieci volte superiore, destinata a ulteriore, consistente, incremento
nel secolo successivo.
Per quanto riguarda l’aspetto infrastrutturale, invece, oltre alla preminente, anche per
il suo ruolo di connessione transfrontaliera, «Strada Nazionale del Sempione», attestata sul territorio già dal 1860 (catasto Rabbini), è opportuno segnalare come le modificazioni alla minuta viabilità intercomunale, dettate principalmente dalla maggiore
diffusione dei veicoli a motore, siano particolarmente rilevanti nello stabilizzarsi e
svilupparsi dei collegamenti tra i diversi nuclei e, viceversa, essenzialmente irrilevanti
in quelli interni ai nuclei stessi. Lampante è il caso del tracciato della strada di collegamento di III categoria tra il comune di Cossogno e il nucleo di Cicogna, perfettamente
riconoscibile sia nella cartografia settecentesca, sia in quella odierna.
Quale il rilievo scientifico dell’applicazione del GIS alla gestione della cartografia storica reperita alla fine dell’analisi? Certamente la possibilità di un’interrogazione integrata in grado di mostrare su una base georiferita persistenze e trasformazioni territoriali,
ma anche e soprattutto la possibilità offerta dallo strumento di mettere a sistema
L'interpretazione storica attraverso i catasti
111
i diversi sistemi, proponendo visualizzazioni multiple e interrelate, complesse come
complessa è la realtà territoriale che le mappe storiche, allo stesso modo di quelle
attuali, ci offrono. Non quindi solo un tecnicismo, o il gusto per una «novità» (che peraltro non è nemmeno più tale vista la lunga sperimentazione), ma uno sfruttamento
consapevole delle potenzialità che lo strumento informatico mette al servizio della
comprensione dei fenomeni e delle tracce lasciate da questi sul territorio.
Giacomo Stagnone, Carta corografica degli
Stati di S.M. il Re di Sardegna data in luce
dall’ingegnere Borgonio nel 1683 corretta e
accresciuta nell’anno 1772. Archivio di Stato
di Torino (ASTo), Corte, Carte Topografiche
per A e B, Piemonte 23, dettaglio
La grande ricognizione dello Stato, rappresentata dalla notissima opera di Giovanni
Tommaso Borgonio, Carta generale degli
Stati di Sua Altezza Reale (nota come “Carta
di Madama Reale”), del 1683, conosce una
revisione dopo i trattati che annettono
ai possedimenti sabaudi le aree verso il
Milanese. Pur non trattandosi di una analisi
della raffinatezza di un catasto, la rilettura
territoriale operata da Stagnone (e incisa
da Belgrano) rappresenta un punto di notevole rilievo nel processo di conoscenza
delle aree di nuovo acquisto e, nonostante
il ricorso al tratto volutamente – insistitamente – passatista che la deve legare alla
più celebre carta di partenza, dichiarata
sin dal titolo, si configura come una matrice di interpretazione territoriale di certo
valore. I centri demici, oggetto dell’analisi
tramite impiego di piattaforma GIS, si definiscono prevalentemente come toponimi
(soprattutto in quest’area), con scarse connotazioni di status, mentre i corsi d’acqua,
i laghi (qui preponderanti) e le strade, in
particolare quelle cosiddette “regie” prima
delle revisioni della Restaurazione, appaiono quali tratti connotanti essenziali.
La mappa, di cui qui si propone un dettaglio relativo all’area oggetto di studio,
rappresenta quindi un imprescindibile
trait-d’union tra il catasto teresiano e il catasto Rabbini e conferma la continuità di
certi processi insediativi come delle logiche di gestione territoriale messe in luce
dalle interrogazioni omologhe del GIS.
112
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
Carta tematica generata dalla georeferenziazione del catasto Teresiano di Cossogno
Il catasto Teresiano del territorio di
Cossogno, su base digitalizzata dall’Archivio di Stato di Torino e convertito in dato
geografico attraverso lo strumento di
georeferenziazione del software QGis ai
fini della ricerca, rappresenta il punto di
partenza dell’indagine realizzata in questa
sede e lo strumento necessario alla creazione delle carte tematiche risultanti dalle
interrogazioni Gis effettuate. In questo
caso, a fini esplicativi del progetto nel suo
complesso, l’interrogazione comprende
due dei metadati principali del database:
quello relativo alla parcellizzazione e quello riferito alle infrastrutture viarie. I dati,
visualizzati sotto forma di aree e linee con
differenti cromatismi, organizzati secondo
specifiche categorie precedentemente
stabilite, consentono di comprendere i
cambiamenti antropici e naturali del territorio a partire dalla situazione attuale. Il
confronto è stato effettuato utilizzando
come base principale per l’interrogazione
e la georeferenziazione la cartografia attuale (Carta Tecnica Regionale del Piemonte
del 2015 e Ortofotocarta della Regione
Piemonte del 2015 – reperite presso il geoportale della Regione Piemonte) sulla base
della quale sono stati individuati i riconoscimenti degli elementi storici. Dalla carta
tematica risultante dall’interrogazione è
immediatamente identificabile il tracciato dei confini comunali, rimasti invariati
dall’inizio del Settecento a oggi, ed è possibile trarre alcune conclusioni in merito
alla permanenza dei segni relativi dello
sfruttamento agricolo del territorio come,
in egual misura, dei tracciati viari di collegamento tra il nucleo principale e quelli
secondari, identificati in legenda come
infrastrutture di III categoria, essenzialmente invariati fino all’età contemporanea. È
possibile anche notare l’assenza di alcuni
dei nuclei edificati identificabili sulla cartografa attuale come, per esempio, l’intera
frazione di Runchio; parte del nucleo di
Cicogna che altro non era, in questa scansione temporale, che un ridottissimo insieme di fabbricati circondato da campi coltivati e prati, e le frazioni di Pogallo e Pogallo
Dentro, delle quali è già però riconoscibile
la piana su cui sorgeranno i nuclei edificati.
L'interpretazione storica attraverso i catasti
113
Carta tematica generata dalla georeferenziazione del catasto Rabbini del Comune di Premosello-Chiovenda
Il catasto Rabbini del territorio del Comune di Premosello-Chiovenda, su base digitalizzata dall’Archivio di Stato di Torino e convertito in dato geografico
attraverso lo strumento di georeferenziazione del software QGis ai fini della ricerca, rappresenta il punto intermedio dell’indagine realizzata in questa sede
e, come nel caso del catasto settecentesco, lo strumento necessario alla creazione delle carte tematiche risultanti dalle interrogazioni Gis effettuate. In
questo caso l’interrogazione comprende i metadati precedentemente utilizzati, ai quali si aggiunge quello relativo ai singoli edifici, identificabili grazie
alla diversa scelta di scala di rappresentazione. I dati, visualizzati sotto forma di aree e linee con differenti cromatismi e organizzati secondo specifiche
categorie precedentemente stabilite, consentono di comprendere i cambiamenti antropici e naturali del territorio rispetto alla situazione attuale. Anche
in questo caso il confronto è stato effettuato utilizzando come base principale per l’interrogazione e la georeferenziazione la cartografia attuale (Carta
Tecnica Regionale del Piemonte del 2015 e Ortofotocarta della Regione Piemonte del 2015 – reperite presso il geoportale della Regione Piemonte) sulla
base della quale sono state effettuate le operazioni di riconoscimento degli elementi relativi alla sezione di periodizzazione considerata rispetto alla situazione attuale. Dalla carta tematica risultante dall’interrogazione sono immediatamente identificabili, seppur con estensioni ridotte, i nuclei insediati del
comune di Premosello e della sua frazione Colloro e i tracciati delle infrastrutture di II categoria (strade provinciali) e III categoria (strade comunali), alcuni
ancora oggi identificabili. Per quanto riguarda la parcellizzazione agraria, invece, non è possibile facendo capo alla sola componente cartografia del
catasto Rabbini procedere all’identificazione delle destinazioni agrarie delle singole porzioni di territorio, in quanto queste non venivano specificate sul
disegno, ma unicamente sui «sommarioni» allegati. Per questo motivo, e nella logica della presente analisi, è stata identificata unicamente la differenza
tra la parcellizzazione a vocazione agricola da quella limitrofa all’abitato, classificata come «urbana». Pur delegando l’identificazione della vocazione delle
singole parcelle del territorio all’allegato descrittivo, tuttavia, il catasto Rabbini consente, per la primissima volta, l’identificazione dei singoli edifici distinguendone la funzione civile– in viola scuro nella carta tematica – da quella religiosa – in rosso –attraverso una differente grafia.
114
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
Carte tematiche generate dalla georeferenziazione dei catasti Teresiano e Rabbini del territorio di Intragna
Le carte tematiche qui riportate sono frutto delle stesse interrogazioni poste in essere per i precedenti comuni, alle quali è stata aggiunta, a scopo esemplificativo, l’immagine raster della cartografia storica georeferita dal software. Come è già stato sottolineato precedentemente, vi è una sostanziale differenza di rappresentazione dei metadati tra i due diversi documenti, legata soprattutto alla scala metrica delle carte e alla porzione di territorio che queste
comprendono. Tale diversità è controbilanciata dall’uniformità cromatica dei tematismi rappresentati nelle carte generate dal Gis. Nel catasto Teresiano,
L'interpretazione storica attraverso i catasti
115
per esempio, data la scala di rappresentazione molto minuta, gli elementi dell’edificato, identificati non da singoli edifici, ma dall’insieme di questi in un’unica porzione di territorio, sono riconoscibili dallo stesso cromatismo utilizzato nel catasto Rabbini per le porzioni di territorio risultanti dalla query: parcellare=urbano, che identifica le porzioni di territorio su cui insistono gli edifici, rappresentati invece con un differente colore. Per quanto riguarda l’estensione dell’edificato, si può certamente affermare che, come nel caso del comune di Cossogno, già nel Settecento il territorio di Intragna aveva un’importanza
non indifferente che sarà confermata e incrementata nel secolo successivo. I tracciati viari, invece, seppur per differenti motivi, non sono identificabili in
nessuna delle due cartografie analizzate. Nel catasto Rabbini, infatti, l’infrastrutturazione viaria è identificabile solo nella porzione cosiddetta urbana del
territorio a causa dell’interruzione del disegno oltre quel limite e, nel catasto Teresiano non risulta identificabile perché diversa da quella odierna.
Capitolo VII
117
Metodologie geomatiche in supporto all’attività di
analisi e interpretazione del paesaggio
Gabriele Garnero, Paola Guerreschi
L
e tecniche e le modalità attraverso le quali vengono oggi prodotte e, potenzialmente, aggiornate le basi dati territoriali, mettono a disposizione degli operatori
non solo strumenti di conoscenza affidabili ed accurati, ma consentono di impostare differenti modalità operative attraverso le quali fondare i processi di pianificazione
e gestione del territorio.
Nel presente saggio vengono illustrate le esperienze applicative poste in atto in supporto alle attività di analisi condotte.
Le prese fotogrammetriche
storiche per l’interpretazione
diacronica del paesaggio
Il territorio italiano, nella sua storia recente, è stato oggetto di numerose riprese aeree fotogrammetriche: nel periodo del secondo conflitto mondiale sono state effettuate numerose
campagne di ripresa per scopi bellici, e nei primi anni del dopoguerra (1954 – 1956) è stata
effettuata una ripresa aerea stereoscopica coprente l’intero territorio nazionale ad opera del
Gruppo Aeronautico Italiano (GAI).
L’impiego di tali supporti per la ricostruzione della dinamica territoriale costituisce un elemento di sicuro interesse per l’analisi dell’evoluzione del territorio.
Nel corso degli anni si è infatti verificata una notevole modificazione della società e del
suo assetto economico e produttivo: l’abbandono dei territori marginali e il conseguente
incremento degli abitanti nei grandi centri urbani o l’estensione delle superfici dedicate
all’edificazione di attività residenziali e/o industriali sono clamorosi esempi di come si siano
modificati gli usi sociali, le dinamiche socio-economiche e quindi le conseguenti modalità
di utilizzo dei territori e delle risorse.
Dopo adeguate forme di processamento, che prevedono la rasterizzazione, la definizione dei
parametri metrici di presa e l’ortorettifica, i fotogrammi diventano un prezioso strumento di
lettura delle dinamiche territoriali passate: con le attuali metodologie di restituzione e rappresentazione è possibile effettuare una fedele ricostruzione di tali assetti, con la possibilità di
analizzarne e quantificarne gli aspetti peculiari come, ad esempio, la stima delle superfici dedicate alle singole attività produttive o occupate da aree naturali ed i loro rapporti quantitativi.
La ripetizione del processo con prese di differenti epoche di acquisizione permette di
effettuare comparazioni diacroniche e di determinare, tramite l’impiego di metodologie
proprie della landscape ecology, indici descrittivi dell’evoluzione dell’assetto territoriale
nel tempo (change detection).
118
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
L’impiego di tali supporti per la ricostruzione della dinamica territoriale costituisce un elemento di sicuro interesse per l’analisi dell’evoluzione del paesaggio. Gli ostacoli principali
sono costituiti dallo stato di conservazione delle immagini, ovviamente in formato cartaceo
e oggetto di deformazioni e strappi che pregiudicano, in taluni casi, l’impiego di alcuni fotogrammi, e dalla reperibilità delle informazioni ancillari: i certificati di calibrazione non sono
sempre disponibili ed in certi casi il supporto cartaceo è ritagliato in modo anomalo, con
conseguente asportazione dei repères e conseguente impossibilità di impiego dei dati di
calibrazione per il processamento dell’immagine.
I fotogrammi storici
disponibili per il territorio
italiano
Nel periodo del secondo conflitto mondiale, sul territorio nazionale sono state effettuate
numerose campagne di ripresa per scopi bellici (l’individuazione di obiettivi strategici, la
verifica dell’efficacia di azioni di bombardamento, …) dalle differenti forze schierate sul territorio nazionale quali Luftwaffe, RAF, Regia Aeronautica, USAAF.
La Royal Air Force (RAF) e la United States of America Air Force (USAAF) hanno effettuato riprese planimetriche e stereoscopiche tra il 1943 ed il 1945, focalizzate su obiettivi di
interesse strategico con scale medie variabili tra 1:10.000 e 1:50.000 a seconda delle focali
impiegate, con formato 24x24 o 18x24; la forza aerea britannica ha compiuto i voli sull’Italia
meridionale, mentre gli statunitensi hanno effettuato i voli sull’Italia del Nord.
Con analoghe modalità e obiettivi sono state realizzate le riprese da parte della Luftwaffe e
della Regia Aeronautica.
Nei primi anni del dopoguerra (1954 – 1956) è stata effettuata una prima ripresa aerea stereoscopica coprente l’intero territorio nazionale ad opera del Gruppo Aeronautico Italiano
(GAI) con scala media di 1:33.000 per la parte peninsulare, minore nelle zone alpine (http://
immagini.iccd.beniculturali.it/).
Le attività svolte
sul territorio del Parco
L’indagine preliminare sulla consistenza e periodizzazione delle fonti cartografiche e fotogrammetriche è stata indispensabile per verificare la fattibilità di successive indagini settoriali eseguite da altri specialisti, quali storici del territorio, naturalisti, agronomi e paesaggisti
e per rappresentare in forma divulgativa le modificazioni in atto e quelle avvenute in passato sul paesaggio del Parco Val Grande.
La carenza di basi cartografiche dei periodi necessari all’analisi ha consigliato l’utilizzo di riprese fotogrammetriche aeree: a partire dal Volo GAI, sono state esaminate le successive
coperture poste in essere dalla Regione Piemonte per i primi atti pianificatori degli anni ‘70
del secolo scorso quali il volo Ferretti, il volo del 1991, il volo effettuato in occasione dell’Alluvione 2000, per giungere alla moderna ripresa fotogrammetrica realizzata nel 2010 con
apparati digitali nota come Ripresa ICE (camera fotogrammetrica + apparato LiDAR).
Approfondiamo di seguito le caratteristiche principali di ogni singolo volo citato.
Metodologie geomatiche in rapporto all'attività di analisi e interpretazione del paesaggio
Fig. 7.1
Fotoindice del Volo GAI
Fig. 7.2 Mosaico dei fotogrammi del Volo
GAI relativi alla Val Grande (elaborazione
degli autori)
119
120
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
Volo GAI
Costituisce come detto la prima ripresa
aerea stereoscopica in bianco e nero
dell’intero territorio nazionale, risalente
alla metà degli anni ‘50 del secolo scorso.
È stata realizzata dal Gruppo Aeronautico
Italiano (GAI) per cui prende il nome
«volo GAI», su commissione dell’Istituto
Geografico Militare. Le riprese nella zona
di interesse sono avvenute tra il luglio del
1954 e il luglio del 1955.
Sono state utilizzate camere da presa
di fabbricazione americana Fairchild XF
311 con focale 153.16 mm con formato
23x23 cm.
Tutti i negativi del volo nazionale sono
reperibili e acquistabili presso l’Istituto
Geografico Miliare (IGM) di Firenze.
La Regione Piemonte ospita sul suo
Geoportale – visualizzabile come servizio
Webgis – il fotoindice di Arpa Piemonte
(Fig. 7.1) della ripresa aerofotografica del
volo GAI (Figg. 7.2-7.3).
7.3 Fotogramma
del volo GAI
Ripresa regionale «Ferretti»
La Regione Piemonte a metà degli anni
‘70 ha commissionato la realizzazione di
una ripresa aerea alla CGR di Parma, con
pellicole sia all’infrarosso sia a colori: negli
anni 1976/77 venne coperto il territorio
delle province di Alessandria, Asti, Novara
e Vercelli, mentre qualche anno dopo, nel
1979/80, fu completata la ripresa per il
territorio delle province di Cuneo e Torino.
Lo scopo dell’Amministrazione regionale
era orientato alla produzione delle prime
cartografie tematiche dell’intera Regione,
la carta forestale e quella dell’uso del suolo.
I fotogrammi cartacei di questo volo, come
delle altre riprese regionali, (a eccezione
ovviamente dell’ultima che nasce in
formato digitale) sono stati scansiti con
scanner piano non fotogrammetrico a
una risoluzione di 600 dpi. Il materiale
è consultabile e può essere richiesto al
Settore Cartografico dalla Regione che li
distribuisce con una licenza d’uso - CC-BY
2.5 Italia (Fig. 7.4).
7.4 Fotogramma
del Volo Ferretti
Metodologie geomatiche in rapporto all'attività di analisi e interpretazione del paesaggio
Ripresa regionale 1991
Nel 1991 la Regione Piemonte ha appaltato alla Compagnia Generale Ripreseaeree di Parma (CGR) e alla Ditta ROSSI
di Brescia la realizzazione della Carta
Tecnica Regionale e della ortoimmagine alla scala 1:10.000 sulla base di una
ripresa aerea alla scala 1:37.000 (quota
di volo relativa pari a circa 5650 metri),
con ricoprimenti longitudinali dell’80%
e trasversali del 15%.
Per poter produrre l’ortoimmagine
del territorio oggetto di studio sono
stati elaborati circa un centinaio di
fotogrammi (Fig. 7.5).
7.5 Fotogramma
della Ripresa aerea
del 1991
Ripresa regionale Alluvione 2000
La Giunta regionale del Piemonte, a seguito dell’alluvione avvenuta nell’ottobre del 2000 sul territorio della Regione,
ha commissionato alla CGR di Parma per
il nord e centro del Piemonte e alla Ditta
ROSSI di Brescia per il Sud Piemonte la ripresa aerofotogrammetrica a colori meglio nota come «Volo Alluvione 2000»,
con fotogrammi alla scala 1:15.000.
Questa fu la prima significativa ripresa
di un territorio regionale gestita con tecniche GIS, con fotogrammi immediatamente scansiti e fotoindici informatizzati
e distribuzione al pubblico su DVD.
Come per il volo del ‘91, per il progetto di
ricerca sono stati utilizzati un centinaio
di fotogrammi (Fig. 7.6).
7.6 Fotogramma
della Ripresa aerea
Alluvione2000
121
122
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
Per utilizzare per le elaborazioni i moderni software di processamento fotogrammetrico, i fotogrammi sono stati preventivamente riquadrati sui 4 repères presenti, eliminando le zone della cornice ove erano presenti i parametri del volo (altimetro, numero del
fotogramma, data e l’ora del volo, …), recuperando in tal modo la parte principale delle
deformazioni di scansione con l’utilizzo di una procedura semi-automatica che opera a
seguito della collimazione manuale dei repères.
Le operazioni
di processamento
Fig. 7.7
Ortofoto derivata dal Volo GAI
Per la produzione delle ortoimmagini sono sperimentalmente stati utilizzati vari software, quali Pix4D Mapper di Pix4D SA (CH), 3DFZehir di 3DFlow (I), APS di Menci Software (I) e
PhotoScan di Agisoft (RU) nonché alcune soluzioni open source: ciò ha permesso di confrontare le differenti modalità operative e valutare anche le diversità nella produzione
delle ortoimmagini, consentendo quindi di valutare operativamente le varie soluzioni
che offre il mercato.
I vari software eseguono in principio un orientamento relativo dei singoli fotogrammi,
combinandoli tra di loro e producendo un modello complessivo che risulta non in scala
e in un sistema spaziale di riferimento non noto.
Metodologie geomatiche in rapporto all'attività di analisi e interpretazione del paesaggio
Fig. 7.8
Fotoindice del Volo 1991
Fig. 7.9
Ortofoto derivata dal Volo 1991
123
124
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
Per poter ottenere un modello correttamente orientato e scalato in un sistema di coordinate noto, sul quale fosse possibile desumere informazioni metriche, abbiamo individuato, in un progetto GIS, una trentina di punti di appoggio di cui abbiamo provveduto
a determinare le coordinate cartografiche. Data la modesta qualità metrica prevista e
necessaria, non si è ritenuto di provvedere alla determinazione topografica dei punti di
appoggio: queste sono state derivate dalle ortoimmagini regionali attuali, disponibili
come servizio WMS sul Geoportale regionale, mentre la quota è stata interpolata sul
DTM di Livello 4/IntesaGIS disponibile sempre sul Geoportale.
Date le modificazioni territoriali intercorse, la piccola scala e la qualità fotografica dei
fotogrammi disponibili, questa operazione è stata particolarmente onerosa in termini
di tempo.
Gli scarti residui sui Check Point, ovvero lo scostamento tra le coordinate del punto di
controllo sull’ortofoto attuale e quelle misurate sull’ortofoto prodotta, sono risultati
dell’ordine dei 10 m, risultato compatibile con le finalità del progetto (Fig. 7.7).
La metodologia qui presentata è stata applicata successivamente per tutte le riprese
disponibili (Figg. 7.8-7.9).
Gli elaborati prodotti sono quindi stati implementati all’interno di un sistema informativo per consentire agli operatori specialisti di estrarre le informazioni necessarie.
Moderni strumenti GIS
per l’analisi del paesaggio
Le produzioni cartografiche oggi in atto da parte di soggetti differenti (amministrazioni
centrali, enti locali, …) sono caratterizzate da una impostazione basata su una struttura
di dati spaziali multi-scala costituita da un insieme di oggetti ciascuno dei quali è caratterizzato da:
• codice identificativo univoco;
• geo metria 3D (punto, polilinea, area) georeferenziata in un dato sistema di riferimento cartografico (UTM/WGS84);
• attributi alfanumerici (tabelle).
A livello nazionale, le attività di coordinamento delle produzioni cartografiche sono
state portate avanti nell’ambito dell’Intesa tra Stato, Regioni ed Enti Locali sui Sistemi
Informativi Geografici (IntesaGIS), i cui lavori sono stati avviati a partire dal 1996: questo
progetto rappresentava all’epoca il tentativo più organico di modificare in termini positivi la situazione dell’Informazione Geografica in Italia, per creare uno stimolo verso
una partecipazione più ampia delle istituzioni, delle imprese e del mondo scientifico
(Fig. 7.10). A livello europeo è attiva invece la Direttiva INSPIRE (INfrastructure for SPatial
InfoRmation in Europe), che istituisce un’infrastruttura per l’informazione territoriale nella Comunità europea.
La Direttiva è entrata in vigore il 15 maggio 2007 e intende creare, grazie a norme comuni di attuazione integrate da misure comunitarie, una struttura comune che renda
Metodologie geomatiche in rapporto all'attività di analisi e interpretazione del paesaggio
125
Fig. 7.10 IntesaGIS
l’informazione territoriale dei vari Stati compatibile e utilizzabile in un contesto transfrontaliero, in modo da superare i problemi riguardo alla disponibilità, alla qualità,
all’organizzazione e all’accessibilità dei dati.
Questi, in sintesi, gli aspetti più importanti della Direttiva:
• INSPIRE si basa sulle infrastrutture per l’informazione territoriale create dagli Stati
membri: a tal fine l’infrastruttura deve essere stabilita e resa operativa dai singoli Stati, che devono garantire che i dati territoriali siano archiviati, resi disponibili e conservati al livello più idoneo, al fine di evitare duplicazioni di dati: questi vanno raccolti
una sola volta e gestiti laddove ciò può essere fatto in maniera più efficiente. Non è
richiesta la raccolta di nuovi dati spaziali, ma qualsiasi dato territoriale dovrà adeguarsi alle indicazioni della Direttiva;
• l’interesse principale della Direttiva è rivolto alle politiche ambientali comunitarie e
alle politiche o alle attività che possono avere ripercussioni sull’ambiente. Quando
sarà pienamente operativa permetterà di combinare dati transfrontalieri da uno Stato
membro all’altro con continuità e condividerli con le applicazioni e tra gli utilizzatori;
126
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
• la Direttiva mira ad agevolare la ricerca dei dati spaziali attraverso il web, tramite servizi di rete che ne permettano l’utilizzo in molteplici modi, dalla visualizzazione, al
downloading, alle varie trasformazioni. I dati devono essere facilmente individuabili e
adatti ad un uso specifico, facili da comprendere ed interpretare.
Tornando all’ambito nazionale, i disposti dei vari Gruppi di Lavoro che hanno portato
avanti le tematiche di standardizzazione dei dati territoriali sono ora racchiusi nei quattro decreti del 10 novembre 2011, emanati dal Ministro per la Pubblica amministrazione
e l’innovazione di concerto con il Ministro dell’Ambiente e della tutela del territorio e del
mare, pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale n. 48 del 27 febbraio 2012 (Suppl. Ord. n. 37) e,
per la prima volta nel nostro Paese, arrivano ad avere un valore di legge e sono pertanto
norma da applicarsi nella produzione dei dati territoriali finanziati con soldi pubblici.
Attraverso queste norme, a completamento dell’iter previsto dall’articolo 59 comma 5 del
CAD (Codice dell’Amministrazione Digitale, D. L. 7 marzo 2005, n. 82), sono state adottate le
prime specifiche definite dal Comitato per le regole tecniche sui dati territoriali delle pubbliche amministrazioni.
In particolare, i quattro provvedimenti in questione riguardano, rispettivamente:
• Adozione del Sistema di riferimento geodetico nazionale;
• Regole tecniche per la definizione delle specifiche di contenuto dei database geotopografici;
• Regole tecniche per la definizione del contenuto del Repertorio nazionale dei dati
territoriali, nonché delle modalità di prima costituzione e di aggiornamento dello
stesso;
• Regole tecniche per la formazione, la documentazione e lo scambio di ortofoto digitali alla scala nominale 1:10000.
Lo stesso CAD, all’Art. 59, definisce il concetto di dato territoriale come qualunque
informazione geograficamente localizzata; definisce altresì il concetto di base dati di
interesse nazionale (Art. 60) come l’insieme delle informazioni raccolte e gestite digitalmente dalle pubbliche amministrazioni, omogenee per tipologia e contenuto e la cui
conoscenza è utilizzabile dalle pubbliche amministrazioni per l’esercizio delle proprie
funzioni.
In relazioni alle applicazioni oggetto della presente attività di analisi, vengono di seguito riportate unicamente alcune indicazioni per quanto attiene ai DTM.
Le Specifiche per i DTM
Relativamente ai DTM (Digital Terrain Model), le principali indicazioni formalizzate nelle
Specifiche sono relative ai seguenti aspetti:
• il cambiamento di tendenza è rappresentato dal fatto che il principale prodotto relativamente all’altimetria è ora rappresentato dal DTM, mentre le curve di livello assumono unicamente una funzione di rappresentazione cartografica, derivata dal mo-
127
Metodologie geomatiche in rapporto all'attività di analisi e interpretazione del paesaggio
dello digitale stesso e finalizzato all’osservazione da parte dell’utente: per gli aspetti
legati alle elaborazioni si privilegia l’utilizzo dei DTM;
• le Specifiche definiscono una serie di requisiti qualitativi dal punto di vista della precisione cui devono soddisfare i DTM, in particolare istituendo una serie di differenti
Livelli, caratterizzati ciascuno dal punto di vista della precisione e della risoluzione di
griglia;
• vengono definite le specifiche per la produzione, tra le quali:
− ordinariamente è prevista la produzione di un TIN (Triangulated Irregular Network)
da cui ottenere il grigliato regolare del DTM per interpolazione;
− per la produzione dei modelli digitali è necessario impiegare tutte le informazioni disponibili riconducibili al suolo, quindi tutti gli elementi che costituiscono la
planimetria delle rappresentazioni cartografiche, ristretta ai soli elementi la cui
quota è riferita al suolo;
− per la generazione del modello digitale è necessario integrare con punti (mass
points) e linee di discontinuità (breaklines) rilevati unicamente per la produzione
del DTM (senza valenza cartografica). Per la misura dei punti isolati è auspicabile
utidell’autocorrelazione ovvero le tecniche LiDAR, a seconda del livello che ci si
propone di ottenere;
− Dall’ultima versione del documento CISIS (Centro Interregionale per i Sistemi
Informatici, geografici e Statistici) «Ortoimmagini e modelli altimetrici a grande
scala - Linee Guida», in Tab. 7.1 si riportano i valori dei Livelli di maggior diffusione (valori in metri).
Livello
Tab. 7.1 Valori caratteristici dei principali
Livelli per DTM e DSM [m]
1
Tipologia
Accuratezza in quota: in campo aperto PH(a)
Accuratezza in quota: con copertura arborea
> 70% PH(b) (nel caso di DEM)
Accuratezza in quota: edifici (nel caso di
DSM) PH(c)
Tolleranza in quota: in campo aperto TH(a)
Tolleranza in quota: con copertura arborea >
70% TH(b) (nel caso di DEM)
Tolleranza in quota: edifici (nel caso di DSM)
TH(c)
2
3
4
DEM o DSM DEM o DSM DEM o DSM DEM o DSM
5
10
2
1
1/4 altezza 1/4 altezza
media alberi media alberi
0.30
0.60
5
2.50
1.50
0.40
10
4
2
0.60
20
1/2 altezza 1/2 altezza
media alberi media alberi
1.20
10
5
3
0.80
Accuratezza planimetrica: PEN
5
2
1
0.30
Tolleranza planimetrica: TEN
10
4
2
0.60
Passo di griglia:
20
20
10
5
128
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
Nuove rappresentazioni:
analisi della sensibilità visiva
del paesaggio
Fig. 7.11 Particolare di Viewshed
del Belvedere Pizzo Pernice
Le basi dati disponibili consentono di contribuire alla costruzione di nuove rappresentazioni, che possono fornire valori aggiunti sia alle più tradizionali attività di gestione
(SIT comunali, gestione delle utility, gestione della strumentazione urbanistica, incrocio
con le basi catastali, …), sia a moderne modellazioni territoriali non altrimenti possibili.
Tra le varie esemplificazioni possibili, nella presente attività si è affrontata la problematica, oggetto di recenti sperimentazioni da parte del gruppo di ricerca cui gli autori
appartengono, focalizzata al controllo della qualità estetico-percettiva del paesaggio
attraverso un approccio «quantitativo» basato sull’uso dei SIT.
Le aree maggiormente visibili del territorio possono essere individuate in modo automatico ed informatizzato: le analisi dei bacini visuali (Viewshed Analysis) consentono
di ottenere una simulazione complessa delle relazioni tra morfologia del paesaggio e
punti di osservazione. È infatti una tecnica di analisi spaziale che utilizza gli algoritmi
delle lines of sight per determinare la visibilità di aree da un determinato punto di osservazione del territorio.
La tecnica consiste nel calcolare e visualizzare il campo di osservazione (bacino visuale)
rispetto alla posizione e al cono visivo di un osservatore: sulla base di un DTM è infatti
possibile determinare la visibilità relativa da punti di vista predeterminati (oppure da
una successione di punti, come nel caso dei percorsi) per ogni cella in cui è discretizzata
Metodologie geomatiche in rapporto all'attività di analisi e interpretazione del paesaggio
129
Fig. 7.12 Viewshed a 10 km dei 14
Belvedere
l’area di studio. Il prodotto risultante di tale analisi è un’immagine raster il cui contenuto informativo dipende dal particolare modello di visibilità adottato (binary viewshed,
cumulative viewshed, identifying viewshed, ecc.). Attraverso la funzione Viewshed nell’ambiente ESRI ArcGIS 10 (ma sono disponibili analoghe funzionalità operanti in ambiente
open source) è possibile ottenere un’immagine raster che rappresenta la visibilità a partire da un determinato punto di osservazione: la viewshed analysis consente di ottenere
un’immagine raster in cui il valore di ogni cella può essere «0» (non visibile) o «1» (visibile) e che rappresenta il bacino visivo dal punto prescelto (Fig. 7.11).
Ottenuta un’immagine per ogni punto di osservazione oppure quella relativa ad un
percorso, è possibile effettuare un overlay tra i diversi risultati ed ottenere una nuova
elaborazione raster, che mette in risalto la «visibilità assoluta» del paesaggio dall’insieme dei punti di vista (Fig. 7.12).
Applicazioni al caso
della Val Grande
Le funzionalità descritte sono state utilizzate nello studio per il Parco Nazionale Val
Grande come supporto alle analisi sceniche e per dare un contributo alla descrizione
del paesaggio che una fotografia non può dare.
Per poter effettuare un’analisi di visibilità tramite GIS è necessario disporre di un modello digitale dell’andamento morfologico del terreno e settare determinati parametri
relativi alla posizione dell’osservatore, alla direzione e all’ampiezza della visualizzazione
a diverse distanze.
La Regione Piemonte mette a disposizione sul Geoportale differenti modelli digitali:
130
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
• il DTM (Digital Terrain Model) a passo 50x50 storico e ormai obsoleto;
• il DTM con griglia regolare quadrata di 5 metri estratto dalla ripresa ICE del 2009-11 con
tecnica LiDAR;
• un Digital Surface Model (DSM) (fornito solo su richiesta), anch’esso a maglia 5x5 che descrive quindi anche la volumetria dell’edificato e dal sistema del verde.
Si è scelto di utilizzare quale supporto cartografico nell’analisi di visibilità il DTM a griglia
5x5 in quanto i punti analizzati sono tutti dei «belvedere», ovvero punti di osservazione
del paesaggio riconosciuti: la presenza quindi di eventuali edifici o aree verdi di una certa rilevanza, che potessero essere considerati «detrattori visivi» e quindi creare impedenza alla visione, è stata considerata quasi nulla.
Il volo aerofotogrammetrico dal quale è stato estratto il DTM è stato prodotto a partire da
una ripresa alla quota relativa di circa 4500 m, e ha comportato l’acquisizione, oltre alla
classica ripresa fotografica, anche di un rilievo LiDAR con densità di un punto ogni 4 mq.
Per semplificare i principi generali che regolano il funzionamento di questa tecnica, un
impulso laser viene lanciato da un apparato aviotrasportato verso la superficie terrestre
e ne viene misurato il suo tempo di ritorno.
L’impulso laser può incontrare elementi diversi, e quindi dar luogo a «echi differenziati»:
il primo impulso (first pulse) rappresenta la risposta del primo ingombro trovato sulla traiettoria del raggio laser e dal totale dei primi impulsi di ritorno, opportunamente filtrati
mediante algoritmi particolari, si genera il DSM.
L’ultimo impulso (last pulse) rappresenta l’ultimo ostacolo identificabile con il terreno, e
questo ultimo permette quindi di generare il DTM.
L’insieme dei punti ottenuti, che ha una distribuzione relativamente irregolare, viene
successivamente interpolato per dar luogo ad un grigliato a maglia regolare.
Per elaborare le viewshed relative ai punti riconosciuti, preventivamente è stato necessario creare uno shapefile (un file vettoriale contenente geometrie, in questo contesto,
di tipo puntuale) per ciascuno dei 14 belvedere oggetto di analisi; nei file di attributi
interni agli shapefiles sono stati successivamente predisposti tutti i fields necessari ad
ospitare le informazioni relative ai parametri del cono visivo (angolo orizzontale o azimuth, angolo verticale o vert e profondità del cono visivo o radius) (Fig. 7.13).
Vista la morfologia del territorio del Parco Val Grande, abbiamo imposto come parametri per tutti i punti il valore dell’azimut pari a 360° visto che il contesto è di tipo montano, l’apertura verticale considerata nel suo valore massimo ovvero 180° e come profondità del cono visuale rispettivamente 2.500 metri ove si identificano elementi posti in
secondo piano, e 10.000 metri dove altresì si distinguono prevalentemente i profili e le
131
Metodologie geomatiche in rapporto all'attività di analisi e interpretazione del paesaggio
Fig. 7.13 I parametri per l’analisi
di visibilità
Profondità
cono visuale
Altezza
osservatore
Apertura
orizzontale
o azimuth
Apertura
verticale
sagome delle grandi masse (piano di sfondo).
Solo per il belvedere Monte Zeda è stata elaborata la visibilità a 300 km (fig. 11.3), per
verificare oggettivamente quanto veniva affermato, ovvero la possibilità di vedere il
Duomo di Milano e parte della Pianura Padana, nelle giornate più terse.
Capitolo VIII
133
I paesaggi agroforestali:
struttura, qualità e dinamiche
Federica Larcher, Lucia Salvatori
C
Prati e terrazzamenti a Capraga
onsiderando il paesaggio in modo olistico come stratificazione di elementi fisici, biologici e culturali in un luogo e volendo identificare ogni tipo di paesaggio come combinazione unica e distinguibile degli stessi in un dato momento, il
contributo intende fornire i principali elementi interpretativi relativi alle relazioni tra le
componenti fisiche del territorio e lo sfruttamento, anche su base diacronica, dei suoli a
scopo produttivo agro-silvo-pastorale.
Seppur in apparente contrasto con la volontà di valorizzazione del paesaggio della «wilderness di ritorno», diffusasi in Europa come strategia di conservazione della natura e di
cui il Parco Nazionale Val Grande rappresenta uno dei primi esempi, il presente saggio
traccia una sintesi dei caratteri del paesaggio agroforestale in Val Grande e nelle valli
intrasche muovendosi tra racconti popolari, testimonianze iconografiche, studi scientifici e specifici approfondimenti applicativi elaborati nell’ambito della presente ricerca.
Risulta infatti del tutto condiviso il fondamentale ruolo svolto dall’agricoltura per l’economia montana ed il mantenimento del paesaggio culturale alpino. Tuttavia l’agricoltura di montagna, dovendo superare limitazioni alla produzione dovute soprattutto
a condizioni topografiche, edafiche e climatiche sfavorevoli, non è competitiva con
l’agricoltura delle zone di collina e pianura maggiormente vocate. Nelle Alpi, recenti
studi hanno evidenziato come tra il 1980 ed il 2000 ben il 40% delle aziende agricole sia
stato abbandonato (COCCA ET AL., 2012) e come questo abbia determinato sconvolgenti
trasformazioni in termini biologici e paesaggistici. In particolare i tradizionali e secolari
sistemi di allevamento estensivo, basati sulla massimizzazione dell’uso del foraggio in
quota, hanno disegnato mosaici unici e creato habitat di grande valore ecologico. Nel
tempo l’abbandono ha favorito il ritorno della foresta nelle aree un tempo coltivate e
pascolate attraverso un processo di naturale successione vegetazionale che, senza ulteriore disturbo antropico, può essere definita wild ovvero come area autonoma, non
controllata, autoregolata (SCHNITZLER, 2014). In Europa le aree di foresta incontaminata
sono molto rare (1,4%), pertanto da alcuni anni si è diffusa l’idea di ri-creare zone wilderness e di favorirne lo sviluppo attraverso politiche di conservazione. L’abbandono
dell’attività agricola ha tuttavia determinato non solamente conseguenze in termini
di perdita di biodiversità, ma anche cambiamenti nella percezione del paesaggio alpino con perdita di elementi di identità e cultura locale e attrattività turistica. Alla scala
paesaggistica sicuramente le condizioni pedo-climatiche sembrano essere i maggiori
134
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
drivers di tali dinamiche, tuttavia ad una scala più generale i fattori economici e sociali sono
i principali motori del cambiamento che hanno agito a partire dal secondo dopoguerra.
In tale contesto, e tenendo conto degli altri approfondimenti metodologici e tematici
presenti nel volume, il presente saggio si articola in quattro parti:
1. l’inquadramento ambientale come supporto conoscitivo indispensabile per la determinazione dei tipi di paesaggio agroforestale;
2. la descrizione dei paesaggi agroforestali individuati, delle loro principali caratteristiche ecologiche e la loro distribuzione sul territorio considerato;
3. l’analisi diacronica dei tipi di paesaggio individuati con particolare riferimento alle
valli intrasche, su base descrittiva e con approfondimenti cartografici e quantitativi;
4. la discussione conclusiva in merito alla futura evoluzione.
Inquadramento ambientale
Fig. 8.1 Fasce altimetriche: verde scuro
0-600 m s.l.m., verde 600-1200 m s.l.m., beige
1200-1800 m s.l.m., beige scuro 1800-2200
m s.l.m. e marrone 2200-2500 m s.l.m.. (Fonte:
elaborazione Larcher-Salvatori del Modello
Digitale del Terreno da CTRN 1:10000).
L’area alpina situata nel Verbano e racchiusa tra la Val Ossola e la Val Vigezzo presenta caratteristiche fisiche uniche e peculiari che costituiscono, oggi come in passato, il principale
elemento strutturante il paesaggio.
L’altitudine varia dai 400-800 m s.l.m. dei fondovalle, ai 1800-2000 m delle cime. La Vetta più
alta è il Monte Togano con i suoi 2301 m. La maggior parte del territorio si trova tra le quote
di 600 m e di 1800 m determinando ampie potenzialità di formazioni forestali e prato-pascolive di grande valenza quali-quantitativa (Fig. 8.1). Tuttavia i caratteri di forte acclività dei versanti (la maggior parte del territorio ha una pendenza compresa tra i 30° e i 40°) e l’inaccessi-
I paesaggi agroforestali: struttura, qualità e dinamiche
135
Fig. 8.2 Topographic Position Index (TPI):
mette in evidenza le forme del rilievo distinguendo tra forme convesse ovvero i crinali
(in giallo), forme concave ovvero impluvi e
torrenti (in blu) e i versanti (in grigio). (Fonte:
elaborazione Larcher-Salvatori del Modello
Digitale del Terreno da CTRN 1:10000)
bilità hanno fortemente influenzato le possibilità di sfruttamento e gestione antropica.
L’idrografia principale circonda l’area con il Lago Maggiore, il Lago di Mergozzo ed il fiume
Toce che delimitano il lato sud-occidentale. Una fitta rete di torrenti, rii minori e pochi piccoli
laghi alpini determinano e completano il quadro idrografico interno al Parco delineando un
sistema geomorfologico molto articolato ed irregolare.
Le valli hanno per la maggior parte profilo a «V» (Fig. 8.2), dovuto alla prevalente azione modellante dei corsi d’acqua; non si identificano direzioni vallive preferenziali, né un sistema regolare
di versanti a diversa esposizione. Il Rio Val Grande e il Rio Pogallo hanno inciso valli incassate
con strette forre, grandi massi e assenza di una vera propria fascia ripariale (Fig. 8.3).
Fig. 8.3 Bassa Val Grande: vista e profilo
altimetrico, caratteristici i versanti con pendenza regolare. (Fonte: immagine archivio
fotografico PNVG; sezione elaborazione
Larcher-Salvatori del Modello Digitale del
Terreno da CTRN 1:10000).
136
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
Il torrente San Giovanni ha modellato versanti meno scoscesi e accidentati, con un reticolo
idrografico meno denso.
Il clima della Val Grande è di tipo «insubrico oceanico» con precipitazioni abbondanti anche
nel periodo estivo ed una escursione termica annua inferiore ai 20°C. La precipitazione media annua varia da 1200 a 2000 mm, in corrispondenza dei valori massimi registrati in Piemonte. La temperatura media annua è di 12°C. In particolare le aree più meridionali (sino a
quote di 800-1000 m) rientrano nel distretto esalpico, sottodistretto umido con inverni un po’
meno freddi che in pianura e precipitazioni annue tra 1200 e 1500 mm, di cui 250-400 mm
nel periodo estivo (clima insubrico con temperatura media superiore ai 12°C e minimi assoluti
molto contenuti). Le restanti aree ricadono nel distretto mesalpico (che comprende la gran
parte dei settori vallivi), sottodistretto umido con precipitazioni medie annue tra 1200 e 2100
mm di cui 300-400 nel periodo estivo (zona subatlantica, con minori scarti di temperatura fra
l’estate e l’inverno e una più o meno elevata umidità dell’aria).
Tali condizioni pedoclimatiche hanno determinato una specifica configurazione floristica. Il
territorio della Val Grande è caratterizzato prevalentemente da vegetazione acidofila distribuita
su due orizzonti, submontano e montano. Vista la mancanza di un vero orizzonte subalpino, le
principali formazioni forestali sono boschi misti di latifoglie in cui il querceto di rovere (Quercus
petraea), l’acero-tiglieto e l’acero-frassineto (Acer pseudoplatanus, Tilia spp. e Fraxinus excelsior;
Fig. 8.4 Carta dei Piani Forestali Territoriali
rappresentanti le formazioni potenziali) sono limitati o misti a causa degli interventi antropici
(Regione Piemonte, 1996-2005).
I paesaggi agroforestali: struttura, qualità e dinamiche
137
del passato. Rare sono le conifere (abeti bianchi, Abies alba), salvo alcuni boschi di abete rosso
(peccete, Picea excelsa) favoriti da rimboschimenti mirati risalenti agli anni ‘60 del 1900.
La formazione boschiva dominante è la faggeta (Fagus sylvatica), mesofila e acidofila, caratterizzata da strati arbustivi ed erbacei quasi assenti a causa della fittezza delle chiome e delle
conseguenti condizioni d’ombra. Le faggete risultano pure sui versanti meridionali tra 1000
e 1400 m di altitudine; miste all’abete bianco nei versanti esposti a nord alle medesime quote.
Al di sopra ed ai margini della faggeta prevale la brughiera alpina con alneti di ontano verde
(Alnus viridis) in formazione pura o mista con specie rupestri da suolo superficiale.
Gli alneti di ontano bianco (Alnus incana) e gli acero-tiglieti caratterizzano gli impluvi e le forre.
Le praterie di alta e media quota si alternano a zone di rocce affioranti e macereti. Molte
aree un tempo strappate al bosco e sfruttate a pascolo ora sono colonizzate da arbusti nani
come il rododendro rosso (Rhododendron ferrugineum) e il mirtillo nero (Vaccinium myrtillus),
precursori delle successioni arbustive che evolvono in alneti e verso la faggeta. Altrove, a
quote inferiori, si trovano i betuleti (Betula pendula), formazioni pioniere direttamente connesse all’abbandono delle attività agro-silvo-pastorali ed agli incendi, ma di rilevante valenza
paesaggistica.
Spostandosi verso i margini sud del Parco e le valli intrasche prevalgono i castagneti (Castanea sativa), boschi oggi molto fitti e con esemplari di grandi dimensioni a testimonianza di un
passato di sfruttamento produttivo.
I paesaggi agroforestali
Fig. 8.5 Distribuzione dei paesaggi agroforestali secondo l’altitudine. Si nota che le
aree coltivate si collocano principalmente
sotto i 600 m, i boschi sono presenti in tutti gli orizzonti ed abbondano in particolar
modo tra 600 e 1200 m, prati e pascoli predominano alle alte quote dove sono presenti naturalmente.
Al fine di individuare i tratti paesaggistici del Parco e delle valli intrasche determinati
dai fattori naturali e dallo sfruttamento argo-silvo-pastorale, sono stati analizzati i dati
cartografici riguardanti la geomorfologia e la vegetazione naturale e semi-naturale.
138
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
Fig. 8.6 Distribuzione
dei
paesaggi
agroforestali per esposizione. Da notare
l’indifferenza dei paesaggi boschivi all’esposizione che invece ha influenza sulla
distribuzione del paesaggio dei pascoli,
maggiormente diffusi a Sud-Est per condizioni pedoclimatiche più favorevoli.
Le basi cartografiche utilizzate sono il Modello Digitale del Terreno (Regione Piemonte,
Ripresa aerea ICE 2009-2011 – DTM), la Carta degli Habitat, elaborata dall’Ente Parco
(2010) e la Carta dei Piani Forestali Territoriali (Regione Piemonte, 1996-2005. (Fig. 8.4) a
copertura regionale.
Mediante l’accorpamento delle categorie di vegetazione simili e l’incrocio con l’altimetria, l’esposizione e la pendenza (Fig. 8.5 e Fig. 8.6) è stato possibile individuare quelli che
qui vengono definiti come i paesaggi agroforestali.
Si tratta infatti di una nuova tematizzazione volta a delimitare aree omogenee per usi
del suolo agroforestale atte ad essere lette in sovrapposizione con le ulteriori interpretazioni tematiche svolte dal gruppo interdisciplinare al fine della definizione più ampia
dei paesaggi della Val Grande e delle valli intrasche, obiettivo ultimo del presente studio.
In particolare sono stati descritti e identificati spazialmente i paesaggi dei pascoli e
quelli dei boschi. Per quanto riguarda i paesaggi coltivati, attualmente molto ridotti e
difficilmente delimitabili attraverso il metodo a scala vasta su basi conoscitive esistenti
utilizzato per il presente studio, si è proposta una descrizione su base storica dei principali prodotti legati all’agricoltura di sussistenza tipica delle vallate alpine.
I paesaggi agroforestali: struttura, qualità e dinamiche
139
Paesaggio dei pascoli
Le Alpi sono etimologicamente definite come terra di pascoli ed in Val Grande si riferisce
di 180 alpeggi attivi nel passato di cui molti fino al 1960.
Molti alpeggi erano organizzati in due-quattro unità, poste ad altitudini diverse e funzionalmente collegate. Tipicamente lo schema di monticazione nel corso della stagione vegetativa si svolgeva partendo dal paese per raggiungere i corti ad altitudini intermedie e poi andare in quota verso l’alpe.
L’organizzazione dell’attività pastorale ha previsto l’accesso a maggenghi e alpeggi con
sentieri e mulattiere che oggi sono i principali e soli percorsi in alcune remote parti
della Val Grande.
Fig. 8.7 Alpe Ompio, bassa Val Grande,
foto del ‘900.
Le aree aperte a prato o prato-pascolo, seppur ormai molto ridotte in termini di superficie, costituiscono un fondamentale tassello nella caratterizzazione paesaggistica della
Val Grande (Fig. 8.7 e Fig. 8.8). L’insieme di prati ad uso pastorale rappresenta infatti una
fonte primaria sia di biodiversità sia di diversità paesistica (CAVALLERO, 2004). Essi sono
oggi caratterizzati da formazioni povere come varieti a Festuca scabriculmis, nardeti a
Nardus stricta, molinieti a Molinia arundinacea e cariceti a Carex sempervirens. La razionale gestione dei pascoli rappresenta una delle strategie prioritarie per la conservazione di questo paesaggio bio-culturale. Ne è un esempio il recente Piano di pascolo di
Straolgio (LONATI & CAVALLERO, 2014) a cui dovrebbero seguire appropriati investimenti
di promozione delle attività silvo-pastorali al fine di attrarre in loco nuovi imprenditori.
Fig. 8.8 Alpe Ompio, bassa Val Grande, il
paesaggio attuale.
Paesaggio dei boschi
Il territorio della Val Grande e delle valli intrasche è caratterizzato da una copertura
pressoché continua di boschi, che è stato in passato elemento essenziale per la produzione di legname sia ad uso locale sia esportato verso le grandi città come Milano,
sfruttando le vie d’acqua (Fig. 8.9 e Fig. 8.10).
140
Fig. 8.9
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
Boscaioli, foto del ‘900.
Fig. 8.10 Barconi con legname sulla riva
del Lago Maggiore.
Le faggete rappresentano la fisionomia dominante nella maggior parte del territorio
del Parco (quasi il 40% della superficie del Parco), sia nelle vallate interne che nelle parti
più esterne, in una fascia altitudinale compresa tra i castagneti e i boschi di rovere inferiormente e gli arbusteti a rododendro rosso e le formazioni con ontano verde e sorbo
degli uccellatori (Sorbus aucuparia) superiormente.
Seguono in termini di superficie i castagneti (circa il 15% del territorio dei comuni del
Parco). La maggior parte dei castagneti è distribuita nella parte sud del Parco, all’inizio
della Val Pogallo tra Ponte Velina e Cicogna, a Colloro (Alpe Lut e località I Ronchi) e sopra Dresio, ad una quota media di 700 m, senza un’esposizione preferenziale. La passata
gestione è visibile sia nella struttura ceduata di alcuni di questi boschi, usati per il taglio
della legna, sia nella fisionomia tipica del castagneto da frutto, in cui le castagne erano
usate come fonte di cibo. Si osservano allora, come nei pressi di Colloro, esemplari molto
grandi e distanziati tra loro, per permettere la maturazione ottimale delle castagne. Il rimaneggiamento operato dall’uomo su questi boschi è evidente anche dalla distribuzione
stessa delle selve a castagno, disperse in altre tipologie vegetazionali.
Seguono i boschi ad aghifoglie miste (circa 5% della superficie del Parco), situati nella parte sud del Parco, presso i Comuni di Caprezzo e Intragna. Si tratta di formazioni
dovute a opere di piantumazione dominate da abete rosso accompagnato da faggio,
abete bianco, pino silvestre (Pinus sylvestris) e, talvolta, conifere esotiche (soprattutto
Pinus strobus) tra gli 800 e i 1600 m.
In tutto il Parco della Val Grande, in modo frammentario, soprattutto nelle aree di recente ricolonizzazione si trovano i betuleti (4% della superficie del Parco). Formazioni
pioniere in Val Grande sono prevalentemente di sostituzione: sono quindi impostati
su aree a pascolo abbandonate o boschi sottoposti in passato a intensa ceduazione a
141
I paesaggi agroforestali: struttura, qualità e dinamiche
TIPI DI PAESAGGIO
AGROFORESTALE
Tab. 1
Tipi di paesaggio e loro valore
naturalistico, storico-culturale e paesaggistico.
VALORE NATURALISTICO
VALORE STORICOCULTURALE
VALORE
PAESAGGISTICO
PASCOLI
Elevato
Elevato
Elevato
FAGGETE
Basso (F. acidofile)
Elevato (F. neutrofile)
Medio
Elevato
CASTAGNETI
Medio
Elevato
Elevato
BETULETI
Medio
Basso
Medio
AGHIFOGLIE
Basso
Medio
Medio
turno breve. Senza disturbi antropici, evolvono verso la vegetazione potenziale ovvero rovereti (del Quercion robori-petraeae(MALCUIT, 1929) BR.-BL. 1937) a quote basse e
faggete (del Luzulo-Fagion Lohmeyeret R. Tx. in R. TX. 1954) a quote più alte. Lo stadio
precedente è rappresentato dagli arbusteti a Cytisus scoparius e Pteridium aquilinum.
Infine ontaneti di ontano nero e bianco, acero-frassineti e acero-tiglieti sono formazioni
di elevato valore naturalistico e legate agli ambienti di forra ma non determinano veri e
propri paesaggi riconoscibili ai fini della presente ricerca.
In sintesi si riporta una tabella (Tab. 1) con i principali paesaggi agroforestali ed i loro
valori naturalistico, storico-culturale e paesaggistico.
Il paesaggio coltivato
Fig. 8.11 Al lavoro nell’orto. (foto Erminio
Meschia, Museo del Paesaggio, Verbania).
Fig. 8.12 Viticoltura a Trontano.
Il maggiore fattore di cambiamento per gli ecosistemi nelle Alpi negli ultimi cinquant’anni è stato la variazione di usi del suolo ed in particolare il passaggio da aree
coltivate ad aree boscate (Fig. 8.11 e Fig. 8.12). L’abbandono delle pratiche agricole e silvo-pastorali è infatti riconosciuto come il fattore determinante il volto attuale del paesaggio alpino ancora prima del cambiamento climatico, di cui oggi si iniziano a valutare
le conseguenze in prospettiva futura.
142
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
Il paesaggio coltivato, ormai non più riconoscibile attraverso l’analisi della cartografia,
si può descrivere attraverso gli elementi fisici di trasformazione antropica del territorio
ancora visibili sotto il manto forestale. Il modellamento del terreno per facilitare lo sfruttamento dei suoli a fini produttivi, a seconda della pendenza dei siti e della destinazione
delle superfici, ha infatti prodotto qui come altrove nelle Alpi (GORLIER ET AL., 2011):
• terrazzamenti, con ripiano utilizzabile sub-orizzontale con muri di sostegno in pietra
a secco;
• ciglionamenti, con modellamento della superficie utilizzabile meno accentuato e ripa
o ciglione di sostegno del ripiano in terreno ciottoloso inerbito o arbustato;
• gradoni con modellamento superficiale del suolo assai modesto, sostenuto ove necessario da muretti a secco irregolari variamente disposti e raccordati al pendio.
Oggi questi elementi sono quasi completamente nascosti dall’avanzare del bosco. Solo
la stagione invernale con il bosco spoglio e la copertura nivale permette di riconoscere
questi elementi lungo i versanti esposti a sud delle valli intrasche.
Utili alla descrizione di questo paesaggio sono l’iconografia, le testimonianze raccolte in
loco ed i numerosi documenti messi a disposizione dal Parco. In particolare, con riferimento a CARETTI «Storie di Caprezzo», si è cercato di tracciare una cronistoria dell’agricoltura di sussistenza attraverso coltivazioni e produzioni.
Nel 1800 vengono coltivati cereali come segale, miglio, grano saraceno. Mulini ad acqua
e forni per il pane ne testimoniano l’utilizzo alimentare, i tetti in paglia l’uso edilizio. Si
parla di vigna come di un terreno a vite per uva da tavola e da vino (nera e bianca) spesso associato al prato e all’orto (fagioli) e situato a corona dell’abitazione. Non mancano
alberi di noce e castagni sfruttati per i loro molteplici prodotti: frutti, legname, foglie per
lettiera, malli e bucce per tingere e così via (BOUNOUS, 2004). Si coltiva la canapa ad uso
tessile con pozzi per macerare gli steli. Dai prati si colgono le erbe spontanee ad uso alimentare e officinale e dai boschi i piccoli frutti (more, mirtilli) e i funghi.
Dalla seconda metà del 1800 si opta per l’uva varietà america (non adatta a far vino), si
tralascia la canapa ed aumentano i frutteti con meli, peri e ciliegi. Continua e si rafforza
l’attività pastorale tanto che viene fondata la Latteria sociale turnaria per la lavorazione
del latte e la produzione di burro e formaggi (in attività fino al 1961).
Dopo la prima guerra mondiale (1920-1960) rimane solo più la pastorizia con un taglio annuo di fieno nei prati di alpeggio e tre tagli in paese. Si coltivano anche patate e pomodori.
Dal 1960 ad oggi si assiste al periodo recessivo, le filiere della sussistenza nel tempo si indeboliscono e vengono a mancare forza lavoro, strumenti e conoscenze. Con l’abbandono
dell’agricoltura, dell’attività pastorale e della selvicoltura i prati diventano bosco a partire da
quelli più lontani e impervi, e i boschi si inselvatichiscono, ritorna la natura!
I paesaggi agroforestali: struttura, qualità e dinamiche
L’analisi diacronica: i casi di
Intragna, Cicogna e Colloro
143
Il fenomeno dell‘abbandono delle attività agro-silvo-pastorali e la conseguente ripresa della
naturale evoluzione della vegetazione si è verificato progressivamente dal dopoguerra agli
anni ’80-‘90 del 1900.
Analogamente a quanto elaborato per gli alpeggi di alta quota, come ad esempio a Pogallo
(GARBARINO & PIVIDORI, 2006), si è voluta elaborare un‘analisi diacronica per le valli intrasche e
finalizzata a individuare i processi di «rinaturalizzazione» della vegetazione, in modo da rappresentare la fase iniziale del processo, un tappa intermedia e la situazione più recente. La
cartografia elaborata copre tre zone campione individuate nei comuni di Intragna, Cicogna
e Colloro per una superficie complessiva di circa 1700 (Fig. 8.13) ha ed è stata elaborata per
utilizzazioni a scala tra 1:10.000 a 1:25:000. Le aree scelte rappresentano tre casi emblemati-
Fig. 8.13 In verde le tre zone campione dell’analisi diacronica: «Colloro»,
«Cicogna» e «Intragna».
ci di zone intermedie, le cosiddette Terre di Mezzo, con grande potenziale dal punto di vista
di un loro recupero in termini di valorizzazione territoriale.
Le fonti reperite sono state le ortofoto IGM - volo GAI del 1954 (bianco e nero), le ortofoto della Regione Piemonte - volo 1991 (bianco e nero). La predisposizione dei fotogrammi acquisiti per il presente lavoro è stata descritta in un apposito capitolo metodologico del presente volume. Per la situazione più recente si è fatto riferimento alla
cartografia dei Piani Forestali Territoriali elaborata da I.P.L.A. S.p.A. negli anni 1996-2005.
Si sottolinea che la fotointerpretazione ha comportato alcune approssimazioni dovute alla diversa qualità delle immagini di partenza ed alle diversità di formazioni per le
tre periodizzazioni. In particolare per il volo 1954 la maggiore difficoltà si concentra
nelle zone di impluvio perchè troppo scure o ombreggiate. Per il volo 1991 invece la
dinamica in atto determina margini sfumati, poco netti (es. bosco-prato) per perdita
144
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
di struttura del paesaggio, risulta quindi complesso definire un confine tra le diverse
coperture. Infine le categorie di copertura del suolo e vegetazione della carta dei Piani
Forestali Territoriali sono state riclassificate secondo le categorie utilizzate nella fotointepretazione accorpando categorie precedentemente rilevate.
Al fine di quantificare le variazioni della vegetazione, le ortofoto sono state fotointerpretate riconducendo le tipologie di copertura del suolo a sette categorie, comuni alle
tre fasi temporali ed ai tre ambiti scelti.
Nell‘impossibilità di ricostruire la composizione delle cenosi vegetali mediante fotointerpretazione, le tipologie utilizzate distinguono la vegetazione su base fisionomica,
pertanto le categorie utilizzate sono:
• Bosco: copertura continua di vegetazione arborea;
• Bosco rado: copertura discontinua di vegetazione arborea;
• Prato-cespuglieto in evoluzione: copertura arbustiva irregolare, frequentemente mista
a prato e alberi;
• Prato-pascolo arborato: prato con presenza di alberi isolati o che costituiscono piccoli
nuclei arborati;
• Prato-pascolo: copertura erbacea;
• Rocce: utilizzata per rocce affioranti di ampie dimensioni e mosaici con vegetazione
in cui la roccia copra più del 50% dell’area;
• Aree edificate: edifici e nuclei abitati riconoscibili.
Nella scheda di approfondimento n. 4 vengono riportate le cartografie esito dell’analisi diacronica.
L’area analizzata «Intragna» (830 ha circa) permette di evidenziare una sequenza esem-
Fig. 8.14 Evoluzione delle diverse tipologie di vegetazione nella zona «Intragna».
Fig. 8.15 Evoluzione delle diverse tipologie
di vegetazione nella zona «Cicogna».
Fig. 8.16 Evoluzione delle diverse tipologie di vegetazione nella zona «Colloro».
I paesaggi agroforestali: struttura, qualità e dinamiche
145
plare di come si svolgeva lo sfruttamento del foraggio dalla primavera all’autunno.
Il pascolo ad Intragna si svolgeva utilizzando l’Alpe Occhio (892 m) come corte maggengale (il corte era una stazione 800-1500 m slm intermedia e usata nei periodi primaverile e autunnale da marzo a novembre) alla confluenza tra il Rio dei Belmi e il torrente San Giovanni;
da qui si saliva al corte superiore di Onunchio e al gran corte di Piaggia per poi ritornare a
Intragna (SANTINI & STUCCHI, 1999). Anche il Corte Le Creste gravitava su Intragna. Nel 1954
l’area a prato-pascolo era notevolmente più ampia rispetto a quella attuale.
Nel 1991 e nel 2000 (e con piccole variazioni ad oggi) a fronte di una contrazione di oltre
il 18% di prati si è assistito ad un aumento del bosco pari al 20% e ad una notevole diffusione di superfici a cespuglieto o bosco rado destinate presto a chiudersi diventando
anch’esse bosco fitto e impenetrabile.
L’area di «Cicogna» (310 ha circa), attuale sede del Parco e di un paio di nuovi insediamenti
agricoli, è da sempre una zona molto più boscata rispetto ad Intragna (oltre 80% è bosco),
dove però l’attività di pascolamento di svolgeva in ampie zone a prato-pascolo arborato e
nel sottobosco rado. Oggi tali aree si sono quasi completamente chiuse.
L’area di «Colloro» (560 ha circa) è una zona con diffusi affioramenti di roccia. Le aree
identificate come categoria «rocce» sono di grandi dimensioni, almeno un lato superiore di 20 m, e occupate da oltre il 50% da affioramenti. Tutte le categorie sono un
mosaico con rocce in cui però l’affioramento è inferiore al 50% della superficie.
Seppur diverse nella configurazione le tre aree mostrano andamenti simili nel tempo,
con dinamiche rapide e categorie intermedie in evoluzione maggiormente rappresentate nei periodi intermedi (1991). Questo indica la presenza di più tipi ed habitat nella
fase intermedia e quindi un paesaggio più eterogeneo e diversificato ma con tendenza
alla omologazione verso il bosco di latifoglie nel medio periodo.
146
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
Paesaggi stabili e paesaggi in
transizione tra vegetazione
potenziale e resilienza
Come già affermato da numerosi studiosi e illustrato nei precedenti paragrafi, due sono
le caratteristiche principali che rendono questo Parco unico in Italia: la sua morfologia
accidentata che, con strette forre che rappresentano le uniche vie di accesso alle vallate
interne, ha impedito la costruzione di strade e l’abbandono pressoché totale, avvenuto
dopo la seconda guerra mondiale, da parte degli alpigiani e dei boscaioli.
Al termine del presente capitolo occorre riportare l’attenzione su alcuni aspetti generali
che aiutano a comprendere come i paesaggi agroforestali del territorio analizzato potranno evolversi nel futuro, quali qualità ambientali potranno esprimere e a quali minacce
potranno andare incontro: il paesaggio è infatti per sua natura dinamico e cerca continuamente nuovi stati di equilibrio, metastabilità, nei quali esprimere tutte le sue potenzialità.
Riguardo le componenti in oggetto i concetti di vegetazione potenziale e di resilienza
ecologica risultano fondamentali per ragionare in termini di scenari evolutivi.
Vegetazione naturale
potenziale1
Il Parco della Val Grande è caratterizzato prevalentemente da vegetazioni acidofile a
carattere sub-oceanico impostate su substrati cristallini e sviluppate altitudinalmente
su due orizzonti: submontano e montano (ROTONDI, 2004).
Nell’orizzonte submontano, compreso generalmente tra i 600 e i 1000 m di quota, la
vegetazione potenziale è rappresentata dai boschi misti di latifoglie, con querce caducifoglie (roveri, farnie, roverelle) e castagno (alleanza Quercion roboripetraeae, con l’associazione Phyteumati betonicifolii-Quercetum petraeaeEll. & Kl. 1972). Il querceto misto
è una tipologia vegetazionale con elevata biodiversità che, in assenza di disturbo antropico, è infatti caratterizzata quercia, tiglio, acero, frassino maggiore e olmo nello strato
arboreo, mentre in quello arbustivo dominano il nocciolo, il biancospino e il sambuco.
L’orizzonte montano, tra i 1000 e i 1600 m di quota, è caratterizzato da faggete mesofile
e acidofile, talvolta mescolate con abete rosso ed abete bianco. Nel caso della Val Grande le faggete mesofile su suoli poco maturi sono inserite in Luzulo-Fagion (Quercetalia
roboris), mentre quelle su suoli con humus rientrano in Fagion sylvaticae (Fagetalia sylvaticae). In generale si tratta di formazioni sciafile, in cui lo strato arboreo è dominato
dal faggio, mentre gli strati arbustivi ed erbacei hanno bassissime coperture a causa
dell’aduggiamento della volta arborea. La fascia superiore dell’orizzonte montano è
costituita da cespuglieti a ontano verde e sorbo degli uccellatori. Manca quindi un vero
orizzonte subalpino costituito da peccete o lariceti, come ad indicare un processo graduale di ritorno a condizioni più selvagge e a dinamiche naturali.
La Val Grande, rimasta un’area marginale per lungo tempo, è stata colonizzata lentamente,
prima per la monticazione del bestiame e successivamente per lo sfruttamento dei boschi
che si è fatto sempre più intenso fino alla prima metà del XX secolo; fonti bibliografiche
1
comunità vegetale matura che esisterebbe in un determinato ambiente come conseguenza della successione naturale in assenza di interferenze antropiche.
147
I paesaggi agroforestali: struttura, qualità e dinamiche
(VALSESIA, 2008) segnalano che non ci sono boschi delle Val Grande e Val Pogallo che non
siano stati utilizzati. Dopo la Seconda Guerra mondiale la valle si è rapidamente spopolata
e le caratteristiche bioclimatiche del luogo hanno fatto sì che la vegetazione abbia ripreso
rapidamente ad evolversi secondo le dinamiche naturali: le radure aperte per ottenere pascoli sono state rapidamente invase da arbusti e colonizzate da alberi mentre i boschi hanno
iniziato ad evolversi verso stadi maturi.
Nonostante il rigoglio della vegetazione, tuttavia i boschi della Val Grande risentono tutt’oggi della passata gestione: è infatti ancora possibile rintracciare i segni di conduzioni a ceduo
o del disboscamento operato per recuperare pascoli o terre da coltivare.
Gli studi effettuati sulla vegetazione boschiva mostrano come, conseguentemente a tale
passato, la qualità ecologica dei boschi sia generalmente non elevata, in particolare per
quanto riguarda la differenziazione e la biodiversità specifica dei diversi habitat forestali
(HÖCHTL & LEHRINGER, 2004). Al contempo il patrimonio di biodiversità, sia vegetale che
animale, legato ai prati e ai pascoli risulta essere a rischio in quanto l’attività di monticazione si è estremamente ridotta.
Venendo infatti a mancare il disturbo che ha prodotto e mantenuto tale patrimonio, i pascoli collocati altitudinalmente sotto il livello del bosco si trasformano rapidamente e diventano
prima arbusteti, poi giovani boschi, con diversa velocità delle successioni In funzione della
quota: si può affermare che in media in 20 anni si possa passare dal prato (vegetazione semi-naturale) alla bosco (vegetazione potenziale) in assenza di pascolo o sfalcio (Tab. 2).
Altrettanto succede alle aree coltivate anche nei pressi dei centri abitati: dal confronto delle
Figure 8.17 e 8.18 (ortofoto degli anni 1954 e 2010 in località Caprezzo) si può apprezzare la
scomparsa dei terrazzamenti, sono stati invasi dal bosco circostante.
Tab. 2 Evoluzione dei prati nei diversi
orizzonti altitudinali.
Resilienza ecologica2
2
Quota
Stadio iniziale
I ° Stadio
post-abbandono
II° Stadio
post-abbandono
III° Stadio
post-abbandono
(vegetazione potenziale)
>1600
Prato
Brughiera alpina
(rododendro e mirtillo)
Brughiera
Betuleto
Alneto di ontano verde
1000-1600
Prato
Arbusteto
(ginestra, felce aquilina)
Betuleto
Faggeta
Faggeta
600-1000
Prato
Cespuglieto o prato
arborato (nocciolo,
biancospino, sambuco)
Betuleto
Boschi misti di latifoglie
Castagneto
Negli anni dell’istituzione del Parco il ritorno della natura selvaggia, la wilderness, è stato
assimilato alla protezione della natura e al pregio ecologico.
Sebbene wilderness in ecologia non sia necessariament e sinonimo di qualità ecologica,
è possibile intravedere nelle comunità vegetali del Parco elementi di resilienza ecologica,
La capacità di un ecosistema di ritornare allo stato iniziale, dopo essere stato sottoposto a un disturbo (eventi naturali o attività antropiche).
148
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
Figure 8.17 e 8.18 Località Caprezzo
ortofoto anni 1954 e 2010: l’area all’interno
della linea arancione indica l’estensione
dei terrazzamenti nel 1954.
come la scarsità di specie esotiche presenti. Queste infatti si stabiliscono facilmente in
ecosistemi alterati e degradati e, entrando in competizione con le specie autoctone,
possono provocare ingenti danni alla biodiversità locale e alle attività agro-silvo-pasto-
I paesaggi agroforestali: struttura, qualità e dinamiche
149
rali. Nella Val Grande è segnalata solo la presenza della robinia (BOUVET, 2013), mentre
nei versanti ossolani e nei fondivalle sono presenti specie invasive legate ad ambienti
fortemente disturbati come margini stradali, greti, coltivazioni annue e pascoli quali ad
esempio Solidago gigantea, Senecio inaequidens e Ailanthus altissima.
Inoltre, a scala più vasta, il Parco Nazionale Val Grande costituisce un importante tassello della Rete Ecologica del Verbano Cusio Ossola. Rilevanti per flora e vegetazione e
per tutti i gruppi animali, le aree «Val Grande ed aree limitrofe» e «Versante termofilo sovrastante Vogogna-Premosello Chiovenda» sono aree prioritarie per la conservazione
della biodiversità ed hanno funzione di area sorgente, ovvero aree ad elevata naturalità
dove le specie naturali possono vivere e riprodursi e dalle quali possono diffondersi
altrove (SINDACO et al., 2008).
Le valli intrasche, zone in cui nel passato si concentrava l’attività di tipo agricolo e dove vivevano le comunità nei mesi invernali, sono invece da considerarsi buffer zones rispetto alla
Riserva Integrale e al Parco, core zone. Le buffer zones hanno funzione di protezione della
core area e di connessione tra diverse core areas; inoltre le forme del paesaggio determinano l’attitudine della buffer area stessa ad assolvere a tali funzioni ecologiche.
La ricchezza di specie, habitat e paesaggi delle valli intrasche è il prodotto congiunto della
natura e dell’azione dell’uomo; l’abbandono della montagna e l’ulteriore diminuzione delle
attività agro-silvo-pastorali tradizionali sono quindi la principale minaccia della biodiversità. Le aree agricole e pastorali sono pertanto elementi fondamentali per il mantenimento
dell’equilibrio ecologico dell’intero Parco ed anche la protezione della wilderness.
Fig. 8.19 Paesaggio terrazzato.
150
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
CICOGNA
analisi diacronica
1954
1991
I paesaggi agroforestali: struttura, qualità e dinamiche
2000
151
analisi diacronica
152
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
INTRAGNA
1954
1991
I paesaggi agroforestali: struttura, qualità e dinamiche
2000
153
analisi diacronica
154
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
COLLORO
1954
1991
I paesaggi agroforestali: struttura, qualità e dinamiche
2000
155
Capitolo IX
157
La montagna utilizzata come sistema produttivo
Marco Zerbinatti
I
modi ricorrenti di conformare un ambiente o uno spazio alle esigenze di vita e di utilizzo (di un nucleo familiare, di una comunità) attraverso l’impiego dei materiali locali
sono i segni di maggiore rilevanza espressiva dell’azione dell’uomo in un dato contesto. Ne sono testimonianza tangibile le opere di infrastrutturazione, di colonizzazione
agricola e pastorale, di costruzione di insediamenti prodotte nella plurisecolare vicenda
di adattamento ai luoghi da parte degli individui, mediante azioni coordinate e sistematiche. Per esempio, i sistemi terrazzati e altri modelli di sistemazione del suolo per fini
agricoli, i sistemi di copertura degli edifici, i reticoli di collegamento pedonale e carrabili (sentieri, mulattiere, rampe di salita…), integrano, con le loro tecniche realizzative,
le tecnologie edilizie nel dar luogo a diversificate morfologie insediative connotanti un
determinato ambito, in relazione con la storia e la cultura della gente che lo abita.
Pietra e legno come risorse
Negli ambienti presi in esame, nella Val Grande e ai suoi margini, con alcuni approfondimenti nelle zone di bordo delle «valli intrasche», in relazione ai diversi luoghi e alle risorse utilizzabili sul posto, questa vicenda di plurisecolare adattamento assume talvolta
caratteri similari o unitari, altre volte di marcata differenza tra ambienti. Ne emerge un
quadro variegato di modi di costruire – più o meno ricorrenti – legato a consuetudini
progressivamente filtrate e migliorate alla luce delle esperienze precedenti, insieme
confluenti in una tradizione che connota la «[...] coerenza espressiva di aree culturalmente
omogenee. […]»1.
Al pari delle espressioni dialettali, nelle costruzioni diverse forme della tradizione possono essere interpretate (giocando con il termine) come le forme della «dizione tra»2:
ovverosia, il frutto di un complesso di regole e consuetudini non scritte per modi di
fare, tramandate oralmente attraverso le generazioni e consolidate nel tempo come
patrimonio comune e distintivo della propria comunità. Al contempo, le stesse regole
sono state affinate o arricchite con elementi attinti o mutuati da analoghi repertori formali o espressivi di comunità vicine o conosciute.
Un’influenza rilevante sui modi di operare e di costruire dell’uomo lo riveste la geologia
1
CONTI, G. M.; ONETO, G, Paesaggio di pietra, alberi e colore, Alberti Libraio Editore, Intra, 2008, p. 5.
2
Questa espressione è stata utilizzata in più occasioni da STEFANO DELLA TORRE, ingegnere e architetto, docente al Politecnico di Milano. Non è rilevante, qui, sapere da
chi sia stata coniata; di fatto, tale scomposizione del termine serve, in modo efficace, a sottolineare e ribadire l’importanza della trasmissione nel tempo di consuetudini, usi e costumi, modelli e norme tra generazioni.
158
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
dei luoghi; per ovvie ragioni di comodità nell’approvvigionamento, l’uso dei materiali
locali è quasi sempre stato il fil rouge che ha accompagnato la realizzazione delle costruzioni e, di conseguenza, in ampia misura ne ha determinato gli esiti tecnici e formali.
L’uso della pietra come principale materiale da costruzione è ovviamente il primo tratto
distintivo anche nel Parco Val Grande e nei territori limitrofi. Il legno, anch’esso materiale da costruzione di primaria importanza e di facile reperibilità, nelle aree in esame fu
utilizzato in modo prevalente (pressoché quasi esclusivo) per le strutture di copertura
degli edifici, per le strutture intermedie di orizzontamento (travi, impalcati e tavolati),
per architravi di passate, per le lobbie (i balconi), oltre che per i serramenti e le chiusure.
Cenni sull’approvvigionamento dei materiali e sulle loro applicazioni.
I materiali lapidei.
I materiali lapidei impiegati per le sistemazioni esterne, in un ambiente o paesaggio
Fig. 9.1 Affioramento di materiale lapi- rurale, sono quasi sempre stati quelli reperibili in prossimità o sul luogo di esecuziodeo scistoso lungo l’antica strada di collene delle opere; per esempio, per i terrazzamenti buona parte dei materiali deriva dallo
gamento tra Rovegro e Cossogno, oltre il
spietramento3 dei terreni destinati poi a essere coltivati.
cosiddetto “ponte romano”.
Vi era poi l’approvvigionamento da raccolta, operata in modo selettivo lungo i greti di
fiumi e torrenti, nelle pietraie di montagna, o anche sulle rive dei laghi.
O ancora, attraverso l’uso dei massi erratici, detti anche i trovanti: massi di grande dimensione lasciati sul posto dai movimenti glaciali o trasportati a valle da alluvioni, sezionati per ottenere elementi strutturali, pietre da cantoni (i cantunài), spallette, architravi e soglie delle aperture da materiale da costruzione reperibile a breve distanza. Si
tratta di modalità di approvvigionamento cui è estranea l’attività estrattiva intesa in
senso strettamente contemporaneo; infatti, le cave erano utilizzate di solito per le opere più importanti (in misura limitata, quindi), mentre i materiali «residui» erano utilizzati
per le costruzioni correnti.
Da questo punto di vista, per quanto potuto sinora appurare, all’ingresso delle valli intrasche (in particolare durante i sopralluoghi in Valle Intragna) i materiali impiegati nelle
costruzioni ordinarie (come abitazioni, stalle e fienili) sono estremamente eterogenei,
con pezzature anche molto variabili e con tessiture poco curate, non particolarmente
rilevanti dal punto di vista tecnologico per le apparecchiature murarie realizzate.
L’utilizzo dei materiali localmente disponibili, nel tempo ha generato stratificazioni
dove continuità e varietà si alternano (o, forse meglio, si intrecciano), in ragione di modi
ricorrenti di utilizzare i materiali stessi immediatamente, ma anche a minor costo. Costanti e varianti, innanzitutto sono rilevabili nel modo di trattare i materiali lapidei.
3
«[...] Per spietramento si intende l’opera di accantonamento di tutte le pietre di medie e grosse dimensioni trovate durante l’opera di ripulitura del terreno destinato a uso
agricolo o ricavate da scavi per fondazioni o sbancamenti. […]», CONTI, ONETO, cit., p.146.
159
La montagna utilizzata come sistema produttivo
Figg. 9.2, 9.3 e 9.4 La lavorazione in conci
regolari, con le superfici lavorate alla punta
grossa, alla gradina (a volte alla martellina), in
questa zona sono proprie di edifici di importanza maggiore (come la chiesa), mentre sono
meno frequenti sugli edifici di abitazione o di
servizio. Gli esempi sono relativi alla chiesa di
Rovegro (2) e a una cappella a Cossogno (3, 4).
Qui i cantonali sono lavorati in modo regolare
mentre le pareti presentano scapoli eterogeni
e scaglie sottili, per i vuoti e mantenere l’andamento sub-orizzontale dei ricorsi. Anche le
mensole e le lastre del tettuccio laterale sono
lavorate in modo più raffinato.
Come trovare le vene dei blocchi lapidei e sezionarli secondo filo, controfilo e trincante
(oggi, gergalmente, si usa di più dire al verso e al contro), come usare i cunei di ferro per
ottenere elementi costruttivi di dimensioni adeguate e regolari, come lavorare le superfici
alla puntazza, piuttosto che con altri attrezzi metallici erano abilità tecniche appartenenti a
molti artigiani della pietra del tempo passato. Poi, analogie e similitudini ricorrono anche nel
modo di porre in opera i materiali, nell’adottare
soluzioni tecniche comunque legate alle loro
caratteristiche intrinseche.
Ai fini pratici, per gli studi sui manufatti edilizi
e sulle opere di infrastrutturazione dell’ambiente antropizzato riveste interesse particolare ciò che i processi di trasformazione geologica hanno messo a disposizione dell’uomo,
quali litotipi più facilmente reperibili4.
Le differenze rilevanti tra i diversi litotipi in
questione sono riconducibili in gran parte
alla presenza della Linea del Canavese (In-
4
Si rimanda al contributo di MAURIZIO GOMEZ SERITO in questo volume, Le pietre utili e alla letteratura di settore.
160
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
Fig. 9.5 Rustico di servizio a Rovegro. La
tessitura muraria è eterogenea e composta con scapoli di piccola dimensione, non
è curata e la presenza di conci angolari di
legatura si verifica solo nelle parti inferiori. Man mano che si sale verso le parti più
alte delle murature d’ambito, i cantonali si
riducono sino a sparire in molti casi. Le pietre sono utilizzate tal quali, senza alcuna
lavorazione di rifinitura. Le malte di allettamento, se presenti, sono povere di legante,
frequentemente miscelate anche con argilla in aggiunta alla calce. L’aggiunta di argilla
(o terra) nelle malte risponde a due precise
esigenze: ridurre la quantità di calce come
legante (il materiale più costoso), aiutare a
compensare la distribuzione granulometrica degli aggregati di origine fluviale, di
solito caratterizzati dalla ridotta presenza di
“fini”, asportati facilmente nei corsi d’acqua
montani a carattere torrentizio.
Figg. 9.6 e 9.7 Pagina a fronte, manto
di piode di un rustico nelle valli intrasche.
L’andamento degli elementi lapidei è decisamente irregolare; essi sono lavorati prevalentemente a spacco, ma restano con forme e dimensioni eterogenee tipiche degli
elementi impiegati tal quali. Molte scaglie
sono inframmesse tra le piode più grandi,
in modo da livellare al meglio gli elementi.
L’eterogeneità è riconducibile alla natura
del materiale litoide disponibile nelle località di approvvigionamento. L’immagine
finale è sostanzialmente diversa da quella
dei manti di piode ossolani. La presenza di
vegetazione e il colore del manto testimoniano la vetustà dell’intervento.
subrica) e della Linea del Pogallo5 e sono state messe in evidenza dagli studiosi della
disciplina6.
Un esempio può essere offerto dai manti di copertura. Su questi versanti che guardano
il Verbano, la roccia alle quote medie e basse è costituita in prevalenza da scisti micacei,
più gelivi e meno compatti. Dunque, la natura dei litotipi usati in prevalenza per ottenere piode per i manti di copertura, ha dato luogo a manti differenti da quelli ossolani
(composti con beole); nelle valli intrasche le pietre per le coperture hanno forme e dimensioni più contenute ed eterogenee rispetto all’Ossola. I manti di vecchia o antica
fattura, risultano così composti da elementi con pezzature variabili da molto piccole
sino a elementi di maggiore dimensione, con spessori anch’essi variabili e non molto
5
Quest’ultima è di particolare rilevanza poiché marca una divisione tra la zona con presenza di kinzigiti e la zona più ricca di scisti dei laghi e metasedimenti.
6
Semplificando in modo estremo, a nord di Vogogna sono ampiamente diffusi i serizzi e la beola, comunque le rocce gneissiche a struttura tabulare, con scistosità
più o meno marcate ma tali da favorirne la lavorabilità secondo piani paralleli, in particolare per ottenere lastre con spessore medio o elevato. Vi sono parecchie
varianti locali, con caratteristiche legate ad alcune specificità (beola di Beura-Cardezza, beola di Pallanzeno, beola di Trontano, per esempio). A sud di Vogogna si
entra nella zona del Basamento Cristallino Sudalpino (Serie dei Laghi), caratterizzato dalla elevata presenza di granodioriti e graniti: siamo nei luoghi di impiego dei
graniti di Baveno, di Montorfano (più a ovest di Alzo), del granito verde di Mergozzo, della diorite di Anzola, del granito rosso di Omegna. Le pietre delle formazioni
geologiche che caratterizzano in parte anche il territorio della Val Grande: sulle dioriti BERGAMASCHI riporta che «[…] Il loro affioramento, piuttosto raro, si riconosce
lungo una striscia che si estende dal Limidario vero il Monte Torrigia, i monti Zeda e Laurasca, per poi continuare all’interno della Val Grande […]». Ma sono anche di zone
con sedimenti lasciati o lavorati dai ghiacciai, con una commistione di rocce diverse che hanno favorito l’impiego di materiale eterogeneo, ottenuto spesso da massi
erratici o depositi alluvionali. Cfr.: BERGAMASCHI, A., Cannobina. La Borromea e dintorni, Alberti Libraio Editore, Verbania, 2011, p. 14.
La montagna utilizzata come sistema produttivo
Fig. 9.8 Reimpiego di piode da tetto di
grandi dimensioni quali gradini e copertura di un muro di pietra a secco. Su alcuni
elementi lapidei permangono segni di lavorazione con attrezzi metallici.
161
regolari7; è molto frequente l’impiego di piccolissimi elementi per «incuneare» quelli
maggiori, utili per ricercare una regolarità di posa più fittizia che effettiva.
L’immagine di questi manti non è, in molti casi, connotata da un andamento o un disegno
regolare degli elementi (salvo i casi di manutenzioni recenti, magari eseguite con elementi
nuovi lavorati in modo più «industriale»).
Trattando dell’uso delle rocce nelle costruzioni, pare anche opportuno ricordare che la complessa orogenesi di questa parte delle Alpi occidentali, ha fatto in modo che tra i principali
orizzonti geologici e le pieghe della crosta terrestre si siano inserite delle formazioni che
hanno consentito di giungere, localmente, all’estrazione di rocce ornamentali particolari8.
Nell’affrontare i temi legati al patrimonio edilizio diffuso, l’importanza dei marmi o delle
rocce ornamentali di pregio è decisamente ridotta, poiché anche questi erano solitamente destinati a cantieri di maggiore prestigio. Tuttavia, la loro estrazione ha avuto
alcuni importanti riflessi sul paesaggio, dati dagli evidenti segni lasciati dalle attività di
coltivazione delle cave.
Cenni sull’approvvigionamento dei materiali e sulle loro applicazioni. Il legno.
Le brevi riflessioni raccolte considerano soltanto modi ricorrenti e consuetudini diffusi nelle
valli intrasche e nelle aree al bordo del Parco Val Grande (valli Ossola, Vigezzo, Cannobina),
quindi con esclusione delle aree di influenza Walser.
Nella zona di diffusione delle latifoglie, le essenze più usate per le carpenterie lignee
7
Per le piode, durante i sopralluoghi sono state segnalate zone non lontane dai centri abitati dove, a memoria d’uomo, sono ancora ricordate alcune località di approvvigionamento. Per esempio, fuori Rovegro, in direzione Nord - Ovest rispetto al nucleo, verso l’Alpe Bué.
8
Sulla nomenclatura delle valli a monte di Verbania, si fa riferimento alle definizioni in: CHIOVINI N., Cronache di terra lepontina. Malesco e Cossogno: una contesa di cinque
secoli, Tararà Edizioni, Verbania, 2^ edizione, 2007 pp. 10 e 11.
162
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
Fig. 9.9 Cossogno. Rudere di edificio con
funzione agricola e abitativa. Gli elementi
lapidei della muratura sono eterogenei,
con cantonali di maggiori dimensioni nella
parte bassa, usati tal quali senza lavorazioni aggiuntive (non sono stati riquadrati o
sbozzati). Nella parte centrale del palinsesto murario troviamo gli scapoli con dimensione più contenuta. Tracce di intonaco di fattura grossolana permangono su
parte del prospetto.
Fig. 9.10 Rovegro. Rustico di servizio con
due generi di tessitura muraria; la parte inferiore ha grandi cantonali di legatura nelle
due direzioni ortogonali allo spigolo dell’edificio, intervallati con scapoli più piccoli e
irregolari. Da circa 2,5 m dal piano di spiccato la muratura cambia in modo evidente
la propria tessitura, evidenziando quasi un
piano inclinato come segno indicatore; tale
caratteristica, che prosegue anche sull’altro
lato, sembra indicare un parziale rifacimento
dell’edificio.
sono il castagno e il rovere (diffusi nella fascia di quota che giunge sino a circa 800
metri s.l.m. . Il legno ricco di tannino è il più indicato per opere ove è importante il
requisito di elevata durabilità). Oltre, si trovano boschi di faggio, che si mescolano tra i
1.300 e i 1.500 metri di altitudine alle conifere; tra queste ultime, l’essenza più indicata
per i lavori di carpenteria, ma anche per altri manufatti da esporre all’esterno, senza
dubbio è il larice.
Sulle modalità di taglio (stagione o periodo, fasi lunari, condizioni meteorologiche), di
stagionatura (tempi e modalità), di lavorazione c’era una cultura tradizionale propria, conosciuta e rispettata da molti, tema che può essere approfondito in specifiche pubblicazioni. Un aspetto riscontrato durante i sopralluoghi effettuati è stato quello legato all’uso
abbastanza diffuso del larice anche a quote basse (zona di latifoglie) per la realizzazione
di portoni di ingresso di stalle, fienili e anche di case; talvolta, l’uso di questa conifera è
frammisto, per esempio per elementi di sostituzione (quasi certamente più recenti).
Il trasporto del larice e del legname in genere verso le quote inferiori non costituiva un
grande problema: se non effettuato facendo scivolare i tronchi sulla neve, anche i torrenti (come il San Bernardino) erano utili per questo scopo9.
Nelle stesse costruzioni, i tavolati dei balconi (solitamente impiegati al secondo piano, in
quanto al primo erano ancora di lastre di pietra) erano ottenuti da tronchi di latifoglie. Le
tavole poste su mensole (anch’esse lignee) in aggetto (fig. 9.11) erano accostate, in modo
9
CARNESECCHI, S., Il tempo della buzza, (a cura di PIZZIGONI, G.), Parco Nazionale Val Grande, 2011, p. 69 - 70.
La montagna utilizzata come sistema produttivo
163
da lasciare passare l’acqua ed evitando i ristagni. Le mensole sono al più decorate con
Fig. 9.11 Balcone di secondo piano di abitazione a Rovegro.
Figg. 9.12 - 9.13 Portoni di ingresso a stalle
e fienili (Rovegro). Tra le essenze usate, la più
diffusa tra quelle individuate è il castagno;
tuttavia, in numerosi casi è stato osservato
l’uso del larice, anche frammisto a legno di
latifoglie (forse per operare la sostituzione
di alcuni elementi rovinati). Nei serramenti
a doppia anta è stata posta la dovuta attenzione per utilizzare elementi ricavati da un’unica tavola, in modo da dare continuità alla
venatura del legno su entrambi i battenti (in
particolare, agli elementi traversi).
Figg. 9.14, 9.15 Due balconi a Rovegro. Il
balcone dell’immagine superiore è lo stesso della foto 9.12, quello sotto è al primo
piano di un rustico del centro abitato. Nella
seconda figura, il disegno con motivo ripetuto degli elementi verticali del parapetto
è più ricercato rispetto alla media delle
lobbie osservate nei sopralluoghi.
motivi semplici, mentre i parapetti (sostenuti da montanti fissati alla struttura del tetto)
sono formati con bacchette a sezione quadrata ruotate a 45° e innestate sui traversi (superiore e inferiore), conferendo un disegno «a losanga» di maggiore efficacia estetica.
Sistemi e tecnologie
costruttive
Sistemi e sub-sistemi tecnologici: sistemi terrazzati.
«[…] Si può collocare tra il XIV e il XVI secolo l’epoca dei terrazzamenti su vasta scala. Sono ciclopici lavori collettivi di reperimento e di adattamento di terreno coltivabile (su terreni scoscesi e talvolta dirupati), che fanno perno sulla costruzione e la colmatura di muri a secco di contenimento,
talvolta colossali, per trasformare terreni impervi in campi a terrazze profonde da due a otto/dieci
metri, unite le une alle altre da rudimentali scale laterali di servizio in pietra. Oggi codeste terrazza
sono diventate monumento agli uomini di quei secoli, che il tempo e l’incuria hanno intaccato
ma non ancora cancellato. […]»10. La loro utilità non si espleta solo nell’ottenimento di aree
coltivabili e nella conservazione del suolo come risorsa, ma anche nell’utilizzazione ottimale
e nella regolazione di un’altra risorsa di superficie: l’acqua11.
10 CHIOVINI N., cit., 2007, pp. 35-36.
11 BRANCUCCI G., MASETTI M., I sistemi terrazzati: un patrimonio, un rischio, in: SCARAMELLINI G. e VAROTTO M. (a cura di), Paesaggi terrazzati dell’arco alpino – Atlante, Marsilio
Editori, Venezia, 2008, p. 46.
164
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
Figg. 9.16, 9.17 Schema assonometrico
dei principali elementi costitutivi un sistema terrazzato ossolano (disegno di P.
PIUMATTI) e sezione schematica trasversale
verticale di un muro di sostegno di un terrazzamento, realizzato con pietre posate a
secco.
percorsi di collegamento principali
percorsi di collegamento secondari
Più in generale, i terrazzamenti realizzati dall’uomo appartengono a quelle «[…] tecniche
materiali che rendono possibile la pratica dell’insediamento attraverso il dissodamento […]»,
fondamentali per la sussistenza dell’uomo nelle valli alpine12. I terrazzamenti montani costituiscono, in molti casi, un patrimonio di grande valore esposto a un elevato rischio di perdita
irreversibile; la loro conservazione passa attraverso una manutenzione pressoché costante, mentre la mancata cura e l’abbandono possono portare, in un breve arco temporale, al
dissesto di questi sistemi con conseguenze negative anche sotto l’aspetto idrogeologico.
Complice di tale situazione, può essere il ritorno incontrollato e invasivo del bosco.
Per molti decenni i paesaggi terrazzati sono stati destinati all’oblio, sia dagli studiosi sia dagli
amministratori; soltanto verso la fine del Novecento è stata rivolta verso di essi una maggiore attenzione, oggi crescente. La ricerca più estesa sui terrazzamenti alpini è quella sviluppata nel progetto Interreg ALPTER- Paesaggi terrazzati dell’arco alpino13, che però non ha
interessato il Verbano-Cusio-Ossola14.
12 SALSA A., Il paesaggio alpino fra natura e cultura, in: MARZATICO F., NUCCIO M. (a cura di), Apsat 7, Conoscenza e valorizzazione dei paesaggi trentini, Mantova, Società
Archeologica.
13 Cfr. www.alpter.net.
14 PIUMATTI P., Rilievo e rappresentazione di sistemi tradizionali di strutturazione del territorio (Cap. 2, par. 2.2), in: Manuale per il recupero del patrimonio architettonico di pietra
tra Verbano Cusio Ossola e Canton Ticino, Provincia del Verbano Cusio Ossola, 2014.
La montagna utilizzata come sistema produttivo
165
Dalla letteratura specifica sono state assunte le seguenti definizioni:
- terrazzamento: la pratica e la costruzione artificiale di superfici pseudo-orizzontali di
terreno coltivabile mediante muri o scarpate;
- sistema terrazzato: il sistema complesso costituito non solo dai terrazzamenti ma anche dal sistema di relazioni con il contesto (per esempio il sistema di gestione delle
acque, il sistema delle reti di comunicazione, il sistema di produzione agricola, ecc.);
- paesaggio terrazzato: il paesaggio (inteso come paesaggio culturale) caratterizzato
dalla presenza di sistemi terrazzati15.
Nelle espressioni dialettali locali, i terrazzamenti in Ossola sono chiamati susti, mentre
«[...] in valle Intrasca conservano ancora oggi quello di campèi (sing. campèia, da cui l’equivalente latino medievale campegus), mentre ad Aurano e in parte della Valle Intragna sono
chiamati pinezz (sing. pinezza). [...]»16.
Sistemi e sub-sistemi tecnologici: sistemi terrazzati: sistemi di copertura.
Lo schema assonometrico di figura 9.19 è relativo a un fabbricato rurale tipico. La distribuzione di un edificio rustico di servizio, di solito prevede al piano inferiore la presenza
Fig. 9.18 Schema assonometrico di fabbricato rurale con distribuzione di funzioni e impostazione caratteristici nelle valli intrasche; andamento orografico e scelta del sito potevano
influenzare la distribuzione. Disegno ispirato
all’originale di D. Martinelli.
Legenda:
1 scala di accesso al fienile; 2 porta di accesso
ad ambienti accessori (ripostiglio, porcilaia);
3 porta di accesso alla stalla; 4 stalla; 5 tavolato
ligneo; 6 fienile; 7 catena lignea (cadèn); 8 trave di colmo (culmegna); 9 puntone (cantée);
10 correntini; 11 cavicchi di legno (cavicc);
12 manto in piode (piod).
Fig. 9.19 Edificio con stalla (piano terreno) e
fienile sovrastante, su declivio; nella volta interna che separa stalla e fienile è tutt’ora utilizzato
il foro che permette di «scaricare» il fieno al di
sotto, per distribuirlo nelle mangiatoie.
della stalla (4), al piano superiore la collocazione del fienile (6).
In assenza di un ingresso sul lato a monte in grado di permettere l’accesso «al piano»
15 PIUMATTI P., cit., 2014.
16 CHIOVINI N., cit., 2007.
166
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
(sfruttando la differenza di quota planoaltimetrica quando l’edificio è posto su un declivio), era costruita una scala esterna (1) per colmare tale dislivello tra i due piani.
La copertura del disegno è del genere con dormienti e colmo (9), diffusamente rilevata
nelle valli intrasche; i dormienti poggiano su catene trasversali di legamento (7). In taluni
casi, il sistema prevede anche la presenza di capriate.
Nel caso rappresentato i puntoni sono innestati nel dormiente, sorreggono i correnti (10,
a loro volta fissati sull’estradosso del puntone mediante cavicchi di legno) e sono posti a
distanza ravvicinata per permettere l’alloggiamento delle piode del manto (12). Le piode
Fig. 9.21 Rovegro. Testata di edificio rustico hanno una pendenza verso il filo di gronda di pochi punti percentuali, mentre il rilievo efcon falsi puntoni esterni poggianti sul colmo
fettuato su diverse falde, ha dato come riscontro pendenze tra il 58% e il 72% (pendenza
e collegati alle banchine sui muri d’ambito.
complessiva). La regolarità del manto per utilità riportata nel disegno è meno rispondente all’immagine dei tetti «storici», composti con elementi molto eterogenei .
I sistemi di copertura di questo genere pongono in evidenza le differenze con i sistemi
di copertura più diffusi in Val d’Ossola, improntati in modo praticamente esclusivo con
capriate giuntate a mezzo legno e senza la presenza del colmo; inoltre i puntoni sono
innestati sulla catena (appoggiata sul dormiente).
Alcuni esempi sono stati rilevati a Gurro e in altre località prossime ai confini del Parco.
Nella pagina seguente lo schema di figura 9.25 riporta l’impostazione ricorrente di molFig. 9.22 Gurro (Valle Cannobina). Testata ti tetti ossolani, dove gli elementi componenti l’orditura principale sono:
Fig. 9.20 Rovegro. Edificio rustico ancora in uso, con stalla al piano inferiore e fienile al livello superiore.
L’interno del fienile, con la struttura a puntoni
su dormiente e colmo (visibili anche all’esterno), con correnti molto fitti non formati con
elementi pseudo cilindrici, bensì con elementi misti molti dei quali a forma parallelepipeda. L’orditura principale è di larice.
di edificio con tamponamento realizzato
successivamente (edificio a timpano aperto, originariamente). La struttura del tetto è
del genere a capriate con mutuo incastro
dei puntoni a mezzo legno e innesto degli
stessi sulla catena.
BA dormiente o banchina | CA catena | PU puntone | Plg pioda di gronda | CO correnti
Nello schema la banchina si trova sotto la catena della capriata. L’inclinazione delle falde
nei tetti ossolani è di circa 42° (seguiva la regola dei «2/3» ovverosia: stabilita la profondi-
La montagna utilizzata come sistema produttivo
Figg. 9.23, 9.24 Alpeggio di Piaggia
(Aurano). Interni di edificio con tetto impostato secondo lo schema grafico di fig. 9.18. Foto
di G. Morandi.
All’interno del fienile è visibile la struttura
a puntoni su dormiente e colmo (visibili
anche all’esterno), con correnti molto fitti
non formati con elementi pseudo cilindrici, bensì con elementi misti, molti dei quali
a forma parallelepipeda. L’orditura principale è di larice.
Fig. 9.25 Schema grafico relativo all’impostazione dell’orditura di un tetto ossolano
(disegno di S. FASANA).
(Schemi grafici fuori scala).
167
tà di manica, con una corda la si misurava, si piegava la corda in modo da ottenere 3 segmenti di eguale lunghezza, poi con un raggio equivalente a 2/3 si puntava prima su di
uno spigolo (vertice del muro) poi sul suo omologo all’estremità opposta della manica: il
punto di intersezione in alto diveniva il nodo di incastro tra i due puntoni della capriata).
In testa alla manica dell’edificio, le soluzioni di chiusura non erano improntate a una sola
soluzione; alcune delle possibili varianti per la testata degli edifici sono schematizzate
negli schemi grafici riportati. Pur se riferiti in prevalenza a casi di studio ossolani, analoghe soluzioni sono stati rilevati anche in Valle Cannobina e in edifici di borgate ai margini
del Parco Val Grande.
Capitolo X
169
Le pietre utili della Val Grande
Maurizio Gomez Serito
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unicità della geologia del luogo (Fig. 10.1) ha una ricaduta evidentissima e senza conCenni di geologia e
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geomorfologia
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fronti sulla geomorfologia.JOTDBHMJFSFMBUJWBNFOUFQJDDPMF
L’area del parco si trova a cavallo
della Linea Insubrica, o
DIJBNBUPjDSPTUBx*ODPOUBUUPDPOMFQSFEPNJOBOUJSPDDFHSBOJUJDIFFDPOHBTSJDDIJJO
del Canavese, la grande faglia trascorrente che segna il limite di contatto fra il paleo$0 MBQFSJEPUJUFTVCJTDFVOBUSBTGPSNB[JPOFEFGJOJUB
WBQPSF
)0 FBOJESJEFDBSCPOJDB
continente africano
e quello paleoeuropeo
che, scontrandosi alla fine del Giurassico, circa
jNFUBNPSGJTNPJESPUFSNBMFxMBSPDDJBBTTPSCFJHBTFEFWFOUVBMNFOUFEFMTJMJDJP 4J0 F
150 milioni di anni fa, hanno dato luogo all’orogenesi alpina. Essa oggi definisce il confine
TJGPSNBOPOVPWJNJOFSBMJ DPNFJMUBMDP DBSCPOBUJ DMPSJUFFBOGJCPMP SJDDIJEVORVFEJ)0
meridionale
dell’edificio alpino, separandolo dalle Alpi meridionali o prealpi.
F$0-FGPSUJEFGPSNB[JPOJDIFBDDPNQBHOBOPRVFTUFSFB[JPOJ BQQJBUUJTDPOPFTUJSBOP
L’enorme spinta tettonica ha prodotto il corrugamento alpino che, sotto forma di falde
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sovrapposte
e coricate si estende in direzione del versante europeo, mentre nel versante
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interno,
per noi fra Vogogna e Mergozzo, ha profondamente plasmato quella che i geologi
4PWFOUFMB[POBEJSFB[JPOFÒMJNJUBUBBMMFQBSUJFTUFSOFEJRVFTUFMFOUJFDJSDPOEBVOOPEVMP
chiamano
«zona Ivrea-Verbano», una stretta fascia con andamento nord-est/sud-ovest, che
QJáEVSP2VFTUJQSPDFTTJTJTWPMHPOPBEVOBQSPGPOEJUËEJLNJODPOEJ[JPOJEJQSFTTJP
Fig. 10.1 Schema geologico strutturale
è immediatamente
riconoscibile, anche nelle carte geologiche a piccola scala, per la marcaOFFUFNQFSBUVSFFMFWBUFµTPMBNFOUFHSB[JFBMMFSPTJPOFDIFTFHVFMBGPSNB[JPOFEJVOB
'JH
4DIFNBHFPMPHJDPTUSVUUV
dell‘area (da
cartografia
di B. Biggioggero,
DBUFOBNPOUVPTBDIFRVFTUFTUSVUUVSFBGGJPSBOPJOTVQFSGJDJFFBQQBJPOPBJOPTUSJPDDIJ
ta orientazione
delle sue formazioni.
SBMF
EBDBSUPHSBGJBEJ##JHHJPHHFSP
A. Boriani, A.
Colombo,
A. Gregnanin). Estratto
-BEJTUSJCV[JPOFHFPHSBGJDBEFHMJBGGJPSBNFOUJEJQJFUSBPMMBSFTVMMFBMQJTFHVFMBOEBNFOUP
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"(SFHOBOJO
dal volume Viridis Lapis, PNVGR, pag. 218
La particolare evidenza di tale orientazione dipende dal fatto che nell’ultima fase orogeneti-
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L’
170
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
Fig. 10.2 La bancata di marmo di Candoglia all‘interno della cava. Le vene verticali
indicano la giacitura del sistema geologico
dell‘area; quelle più scure vengono eliminate in fase di riquadratura dei blocchi, per
valorizzare la varietà dal caratteristico colore bianco rosato.
ca, questa porzione di crosta profonda, ha subito un notevolissimo sollevamento verso l’alto
che ha portato alla luce il contatto col mantello; inoltre la sua sequenza è stata fittamente
ripiegata e stirata per essere poi quasi perfettamente verticalizzata.
Le rocce che costituiscono tale formazione sono Stronaliti e Kinzigiti: antichi sedimenti
prevalentemente di tipo pelitico completamente trasformati dal metamorfismo. Essi
hanno una composizione silicatica ricca di alluminio, per cui abbondano granati, biotite,
feldspati e pirosseni.
A queste rocce si intercalano sottili lenti di marmo che a causa di una relativamente maggiore erodibilità sono spesso riconoscibili a colpo d’occhio.
Nel caso di Condoglia la lente, in realtà un banco marmoreo più volte ripiegato assialmente e stirato fino a ridursi allo spessore di pochi metri, pare attraversare per intero la
montagna verticalmente dal Toce al San Bernardino e oltre (Fig. 10.2).
Le pietre utili della Val Grande
171
Questa fitta trama verticale si evidenzia in molti aspetti di un’area centro settentrionale
del parco, oltre la linea di Pogallo, sempre con versanti molto acclivi e poco ospitali.
Le morfologie erosive di quest‘area producono torrioni, incisioni profonde e regolari,
quasi canali artificiali perfettamente incassati e paralleli o, in generale costringono i corsi
d’acqua a percorrere geometrie rette e tornanti con tratte perfettamente parallele fra loro
o più semplicemente gole profonde e rettilinee.
Fig. 10.3a ingresso della grande caverna
Inospitale paesaggio, in cui sono percorribili quasi solo le creste, almeno nella zona setdella Cava Madre del Duomo di Milano.
tentrionale del territorio.
Soltanto nella parte meridionale del territorio, in corrispondenza delle valli intrasche
cioè a sud sud/est della linea tettonica di Pogallo, la geologia e la morfologia mutano aspetto. Si passa qui a una diversa litologia appartenente alla cosiddetta «Serie dei
Laghi» in gran parte costituita da gneiss micacei, paragneiss e micascisti, che formano
versanti ad acclività variabile, ma in genere ridotta rispetto a quelli sopra descritti grazie
anche a una maggiore erosione glaciale.
Tali versanti meno acclivi sono caratterizzati da morfologie tipiche nell‘area alpina occidentale che si caratterizzano in terrazzi sospesi e gole la cui origine è anche legata a
una fitta rete di faglie sub verticali orientate in direzione nord-sud.
Fig. 10.3 Il ripido versante montonato di
Candoglia visto dalla cava di Ornavasso. Al
centro l‘ingresso della grande caverna della Cava Madre da cui si estrae da oltre sei
secoli del marmo del Duomo di Milano.
Durante le fasi glaciali del quaternario il territorio dell‘attuale parco doveva apparire
come un‘isola emergente tra due enormi ghiacciai: quello del Toce a ovest e, quello
assai maggiore, del Ticino a est.
I due ghiacciai principali lambivano lateralmente il territorio arroccato dell’attuale Val
172
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
Grande dove, fatta salva la valle Loana e parte delle valli intrasche, non esistevano le
condizioni perché potessero formarsi vere e proprie lingue di ghiaccio in grado di scorrere in una valle.
Questo proprio a causa delle pendenze estreme dei versanti interni della Val Grande
che hanno sostanzialmente impedito la formazione di lingue glaciali in movimento.
Nell‘area si riconoscono piuttosto piccoli circhi glaciali sospesi che hanno addolcito
soltanto le morfologie in quota e di cresta, non a caso i soli luoghi adatti al pascolo e
all’edificazione di alpeggi.
La forza erosiva dei grandi ghiacciai ha invece avuto modo di esplicarsi senza risparmio
su tutto il versante esterno del territorio, in particolare nell’antica valle del Ticino (oggi
lago Maggiore) e quella del Toce sui versanti fino ad alte quote dove è possibile riconoscere le rocce montonate cioè levigate e arrotondate dall‘azione dei ghiacciai (Fig. 10.3).
Le pietre utili
La pietra ollare ha composizione petrografica variabile che può essere definita come
scisto cloritico serpentinoso di colore grigio verde ricco di talco. È una roccia ultrabasica
cioè povera di silice e ricca di ferro e di magnesio, la presenza di talco la rende facilmente
lavorabile al tornio, ben scolpibile e untuosa al tatto. Inoltre ha doti di refrattarietà che la
rendono resistente al fuoco. La pietra ollare è quindi un ottimo materiale per pentole e
olle, ma anche stufe, caminetti, ma per le doti di lavorabilità, adatta anche alla realizzazione di tubi e oggetti da decorazione.
Dalla tarda antichità queste montagne ne hanno viste scavare ed esportare notevoli
quantità, non sempre o necessariamente da siti di cava ben definiti o noti ma, dato il suo
pregio e utilità, anche da trovanti o piccoli affioramenti intercalati alle rocce scistose più
comuni, non documentati ma relativamente diffusi nell‘area.
La presenza di affioramenti di marmo in quota ha permesso il loro sfruttamento, oltre
che per elementi architettonici, per la produzione di calce ad uso locale. All’interno del
parco sono conosciute, e in parte recuperate, alcune antiche fornaci di forma circolare.
La pietra da calce veniva ridotta in piccole scaglie e cotta per molte ore a temperature superiori agli 800 °C; dopo il raffreddamento l’ossido di calcio, o calce viva, veniva successivamente posto in vasche a contatto con acqua per produrre calce spenta in forma di polvere o
di grassello di calce.
Gli gneiss e le «beole» sono i materiali lapidei tipici dell‘edilizia locale.
In particolare nella zona di Beura si cavano da secoli gneiss tabulari per diversi tipi di impiego.
La beola è usata in lastre a spacco naturale da sempre impiegata per tetti, pavimenti, rivestimenti, balconi nell’edilizia locale tradizionale. È certamente il materiale che ne caratterizza in
maniera più originale l’aspetto influenzandone i caratteri paesaggistici.
La vista dall‘alto delle borgate della valle mostra la caratteristica tessitura dei tetti in «piode».
Le pietre utili della Val Grande
173
Materiale di gran pregio, la sua produzione ha avuto nell’ultimo secolo una forte espansione
per la grande richiesta del mercato internazionale.
Fig. 10.5 Nei pressi dei laboratori, vicino
alla moderna passerella pedonale, è ancora presente l‘antica «piarda d‘imbarco» da
cui partivano i blocchi di marmo destinati,
per via d‘acqua, al cantiere del Duomo di
Milano.
Fig. 10.6 Il laghetto di Santo Stefano nel
centro di Milano, in un‘incisione d‘epoca. Qui,
a quattrocento metri dal Duomo, venivano
scaricati i blocchi di marmo per il cantiere. Al
centro dell‘immagine si vede la gru a «falconetto» impiegata per il trasbordo dalle chiatte
ai carri.
Fig. 10.7 Il Duomo di Milano è interamente
realizzato impiegando marmi delle cave di
Candoglia o di Ornavasso. La varietà più pura,
di colore bianco rosato, è riservata alle decorazioni scultoree, quella venata è riconoscibile
nei paramenti murari.
Marmo di Candoglia
Il marmo rosa di Condoglia, dal 1387 (privilegio di Gian Galeazzo Visconti 24 ottobre 1387) cavato ad esclusivo uso della Fabbrica del Duomo di Milano, era in realtà già noto e impiegato
in età romana.
La vicenda legata all’attività di scavo e trasporto del marmo a Milano ha coinvolto in maniera
estesa il territorio della Val Grande e le sue diverse competenze. Insieme al marmo, venivano infatti cavati in zona anche i serizzi utilizzati nell’anima delle murature e dei pilastri della
grande fabbrica, ma dallo stesso territorio venivano ricavati anche i legnami necessari per i
ponteggi di cantiere, come anche quelli per la cava e per realizzare le zattere necessarie al
trasporto per via d’acqua da Candoglia a Milano.
Esso era un lungo viaggio che è possibile ancora in gran parte ripercorrere. Dopo la
discesa a valle dalla cava Madre (Fig. 10.3), il trasporto prevedeva un primo tratto sul
Toce (Fig. 10.5) e poi sulle acque del lago, transitando sotto la rocca di Angera, ultimo
punto da cui si può scorgere le propaggini della Val Grande da sud (Fig. 10.1), e luogo
da cui già da secoli si cavavano pietre per i più importanti edifici milanesi (Sant’Ambrogio, San Babila per indicare i più antichi).
Si proseguiva poi lungo il Ticino e il Naviglio Grande fino a dentro la città alla darsena
di Sant’Eustorgio; attraverso il sistema di chiuse si arrivava fino al Laghetto di Santo
Stefano (Fig. 10.6), vero porto di approdo a poche centinaia di metri dal cantiere della
cattedrale (Fig. 10.7).
Il trasporto era esente da dazi e per dimostrare il privilegio, si apponeva in maniera visibile
174
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
sui blocchi la sigla AUF, abbreviazione di Ad Usum Fabricae, cioè ad uso della fabbrica, da cui
deriva ancora oggi l’espressione «a ufo» cioè «a scrocco».
Ma la fabbrica ebbe tempi lunghissimi per cui lo sfruttamento delle cave e il trasporto diventarono attività strutturali e continue per secoli. L’edificio fu concluso soltanto dopo infinite
vicende nel XIX secolo.
Abbandonate le vie d’acqua con l’avvento delle ferrovie, l’attività di cava è invece ancora oggi fiorente per le necessità di manutenzione e conservazione dell’edificio.
Ai piedi delle cave sono attivi laboratori per la realizzazione di elementi di ornato che
vengono sostituiti secondo necessità prendendo la parte originale e ammalorata per
modello (Fig. 10.8, fig.10.9).
Se la parte di sgrossatura è affidata a macchine a controllo numerico, quella di scultura
e finitura è compito di scalpellini e scultori esperti che lavorano ancora, tra i pochi in
Italia, secondo le tradizioni millenarie dell’architettura lapidea.
Ma non si restaura soltanto l’apparato decorativo: l’intero edificio del duomo è realizzato in pietra e marmo e anche la parte strutturale può aver bisogno di significativi
interventi. È ad esempio noto quello, che negli anni ’70 del secolo scorso, in seguito
a dissesti provocati alla realizzazione della linea 1 della metropolitana e dal passaggio
dei treni, si dovette intervenire nella sostituzione di ampie parti dei quattro piloni che
sostengono il tiburio.
Fu un intervento di eccezione, che richiese un importante sforzo produttivo anche in cava.
È proprio in questi anni che a Candoglia si interviene nel consolidamento della caverna principale con la costruzione del grande portale in calcestruzzo armato e di enormi
contrafforti interni per predisporre lo scavo delle molte centinaia di metri cubi di marmo necessari al restauro (Fig. 10.3).
Le pietre utili della Val Grande
Fig. 10.8 e 10.9
Nei laboratori di
Candoglia, ai piedi delle cave, il marmo
viene lavorato secondo le tecniche della
tradizione. Qui si riproducono alla perfezione gli elementi architettonici del
Duomo degradati e bisognosi di sostituzione.
175
Capitolo XI
177
La montagna percepita
Claudia Cassatella, Bianca Maria Seardo1
G
razie agli enunciati della Convenzione Europea del Paesaggio (Council of Europe,
2000) e delle numerose iniziative intraprese dal momento del suo lancio, è oramai
assodato che la percezione del paesaggio da parte delle popolazioni deve avere un
ruolo rilevante nella definizione di politiche, piani e interventi sul paesaggio. Sul versante
scientifico, la percezione sociale del paesaggio è materia di ricerca specifica in diversi settori
disciplinari (dalla sociologia, alla geografia, all‘urbanistica) dotata di propri strumenti e metodi
di indagine, spesso campo di sperimentazione e affinamento.
Ma è possibile indagare la «percezione sociale» di una natura «incontaminata» (o presunta
tale) come quella della Val Grande? Sempre la CEP ci ricorda inoltre che «tutto il territorio è
paesaggio»; quindi anche la «natura incontaminata» è suscettibile di diventare paesaggio dal
momento che, come suggerisce RAFFESTIN (2005, p. 29): «...l’ambiente costituisce la materia
prima sulla quale lavora l’uomo […] per produrre il territorio che diventa […] per effetto dello
sguardo […] paesaggio. Il paesaggio non è una costruzione materiale, ma la rappresentazione ideale di quella costruzione». Inoltre, la tesi di fondo di questa ricerca è che Val Grande
e valli intrasche possano essere pienamente lette sotto la categoria dei «paesaggi culturali»
(cfr. GAMBINO; CASSATELLA e NEGRINI, infra), in ragione delle profonde trasformazioni impresse
dall‘antropizzazione su questi luoghi, sia in termini di manufatti, insediamenti e infrastrutture
(cfr. in part. TOSCO e ZERBINATTI, infra), sia di plasmazione - e anche abbandono - degli ecosistemi (cfr. in part. LARCHER e SALVATORI, infra).
È bene ricordare che l‘abbandono della montagna più impervia della Val Grande è relativamente recente. Ciò fa sì che non risulti obliterata, nella popolazione locale, la memoria di
ambienti, attività e modi di vita. Aspetto che contribuisce ad alimentare altresì proiezioni,
auspici e progettualità sul futuro assetto dei luoghi. Diversa la situazione nelle valli intrasche,
aree tutt’oggi abitate, anche con trend - seppur deboli - di crescita demografica, e con interessanti fenomeni di insediamento da parte di «nuovi montanari» (cfr. in part. PETTENATI,
infra). Dinamiche territoriali differenti, ma in vario modo collegabili alla percezione sociale
della wilderness, alla sua presenza o assenza (si pensi alla domanda di «natura incontaminata»
da parte dei fruitori e dei turisti o, al contrario, all‘urbanizzazione delle aree collinari), al suo
ritorno o alla sua scomparsa. Ecco dunque, perché ha senso un‘indagine della percezione
1
Il capitolo è stato impostato congiuntamente dalle due autrici. La ricerca sul campo, e in particolare le interviste, è stata svolta da B.M. Seardo, cui si deve anche
integralmente il paragrafo: Le percezioni degli abitanti e i loro sguardi al futuro.
178
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
sociale della wilderness in Val Grande e nelle valli intrasche.
L‘indagine si è articolata in tre parti, volte ad approfondire la percezione dei paesaggi da molteplici punti di vista e a rappresentare sia la visione esperta sia quella non esperta.
A questo proposito, si è agito secondo gli indirizzi della Convenzione Europea sul Paesaggio
(CEP, d’ora in poi). La Raccomandazione recante le linee guida per l‘applicazione della CEP
(Council of Europe, 2008) indica infatti la necessità di integrare conoscenza esperta e conoscenza «dal basso», sia in fase di analisi, sia in fase di valutazione del paesaggio. Il coinvolgimento degli abitanti e degli users del paesaggio è messo in evidenza in diversi passaggi: ‘...
Recognition of characteristics and value systems based on analysis by experts or knowledge
of the social perceptions of landscape. This knowledge can be gained through various forms
of public involvement in the process of landscape policy definition...’ (II.2.1 Knowledge of the
landscapes: identification, analysis, assessment); ‘...Participation implies two-way communication from experts and scientists to the population and vice versa. The population possesses empirical knowledge [...] that may be useful in completing and contextualising specialist knowledge...’
(II.2.3 Participation, awareness raising, training, education).
Oltre alla percezione sociale, si è dato rilievo a quella visiva, ritenuto un fenomeno di rilievo
nel contesto territoriale individuato. In particolare:
a) È stata svolta un’analisi scenica della struttura che supporta i processi di significazione (approfonditi nei punti successivi). Con l’ausilio del metodo viewshed analysis2, alcune mappe
identificano i canali di fruizione visiva, l’ampiezza e la profondità dei panorami, anche grazie
all’utilizzo di modelli cartografici tridimensionali.
b) Ulteriore rappresentazione è quella dell’outsider, l’osservatore esperto di analisi paesaggistiche, ma esterno al territorio in esame. Il metodo applicato è quello del Landscape Character
Assessment.
c) Infine si è indagata la percezione dell’insider, l’abitante, la comunità radicata nei luoghi, attraverso il metodo delle interviste in profondità.
La percezione «esogena» del
paesaggio
2
Il primo approccio alla percezione del paesaggio è di tipo visivo. Esso è guidato e condizionato dai «canali di fruizione», ovvero dai punti e dai percorsi dai quali si può effettivamente
osservare il paesaggio. La mappatura di punti di belvedere, percorsi (panoramici e non),
sentieri, è dunque il primo passo per ragionare sulla fruibilità visiva del paesaggio e sul tipo
di esperienza che esso può offrire. Da questi canali di fruizione infatti si potranno analizzare
le mete visive, e in particolare i fulcri che emergono (siano essi vette, altri elementi naturali, o
manufatti e componenti dell’ambiente insediativo, come torri e castelli). La Regione Piemonte, nell’ambito della formazione del Piano paesaggistico regionale, ha dedicato agli aspetti
Le elaborazioni cartografiche si devono al Laboratorio LARTU del DIST. Sugli aspetti geomatici, si veda il capitolo di GUERRESCHI e GARNERO, infra.
La montagna percepita
179
scenici e percettivi del paesaggio un’attenzione
sia ricognitiva sia normativa3, oggetto anche di
specifiche Linee guida (CASSATELLA 2014). Il metodo adottato per l’area in esame è modellato su
quello regionale.
In un paesaggio montano come quello indagato, assumono particolare importanza i panorami, per la loro ampiezza e profondità, legati alla
morfologia del territorio. Grazie agli strumenti
di analisi e modellazione 3D è possibile individuare l‘area visibile da un punto determinato, ricavando la sua viewshed, vale a dire il suo bacino
visivo potenziale (CASSATELLA, 2014; CASSATELLA e
GUERRESCHI, 2013). I punti di osservazione analizzati sono 14: Monte Faié, Pizzo Pernice, Cima
della Laurasca, Monte Zeda, Pian Cavallone,
Monte Todum, Testa di Menta, Monte Tognolino,
Monte Togano, Cima Pedum, Monte Mottac, Belvedere Piancavallo, Colma di Premosello e Pizzo
Rossola (Fig. 11.1). La loro selezione si è orientata
principalmente sulle vette e i luoghi indicate da
VALSESIA (2008), selezionando quelle vette da cui
sono state scattate fotografie, di cui è documentata l‘accessibilità e quindi l‘effettivo valore come
punti di belvedere.
I bacini visivi ottenuti incorporano già gli ostacoli
dovuti alla morfologia del terreno, all‘orografia e
alla curvatura terrestre, mentre non tengono in
considerazione altri ingombri quali l‘edificato e,
infine, si intendono in condizioni atmosferiche
ottimali. L‘area di osservazione teorica è stata
calcolata su tre raggi distinti: 2,5 km; 10 km e
Fig. 11.1-11.2 Analisi dei bacini visivi dai prin- 300 km. I primi due raggi permettono di rappresentare i rapporti visivi fra Val Grande e valli
cipali punti di belvedere dell’area. In giallo, le
intrasche, con il lago Maggiore e le valli contermini (Fig. 11.1 e 11.2).
aree visibili nel raggio di 10 km, in giallo scuro,
quelle visibili a distanza più ravvicinata, 2,5 km. L‘area di osservazione a 300 km, calcolata dal Monte Zeda, mette in luce la visibilità dalla Val
Grande delle principali vette dell‘arco alpino occidentale, fra cui il Monviso e il Monte Rosa. Si
3
Regione Piemonte, Piano paesaggistico regionale (adozione 2009, ri-adozione 2015).
180
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
Fig. 11.3 «Portali», «bocche» e selle aguzze
segnano gli ingressi in quota alla Val Grande.
noti la visibilità a grande distanza anche su porzioni della val Padana e dell‘Appennino ligure
e tosco- emiliano (Fig. 11.3).
Le aree di caratterizzazione
scenica
4
Il carattere scenico del paesaggio è connotato da una peculiare soggettività. Tuttavia, le
analisi sul paesaggio scenico-percettivo sono sempre più all‘ordine del giorno nell‘ambito
degli strumenti per la trasformazione del territorio: dalle indagini conoscitive dei piani paesaggistici alla scala regionale, alle relazioni paesaggistiche che accompagnano il progetto
degli interventi soggetti a specifica autorizzazione (CASSATELLA, 2014). Proprio per il loro
carattere di soggettività, esse richiedono metodologie specifiche, che permettano di formulare giudizi secondo procedure comunicabili e verificabili. Fra i principali e più recenti
riferimenti si ricordano gli studi e le applicazioni di Natural England (TUDOR 2004), da cui deriva il metodo applicato in questa sede.
L‘analisi si è svolta anche grazie a sopralluoghi che hanno permesso di individuare i caratteri
del paesaggio scenico-percettivo, per arrivare a identificare - con un‘operazione di sintesi
interpretativa - le aree di caratterizzazione del paesaggio scenico delle valli intrasche4.
Per un glossario ragionato in lingua italiana sulla terminologia tecnica delle analisi sceniche si veda CASSATELLA C., 2012, Aspetti scenico-percettivi del paesaggio.
Criteri e metodi per l‘interpretazione e la disciplina dalla scala regionale alla scala locale, in VOLPIANO M., a cura di, Territorio storico e paesaggio. Metodologie di analisi e
interpretazione. Quaderni del progetto Mestieri reali. Strumenti per la conoscenza, il restauro e la valorizzazione dell‘architettura storica in Piemonte e valle d‘Aosta,
Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, L‘Artistica Editrice, Savigliano.
La montagna percepita
Fig. 11.4 Fessure e passaggi a formare strette porte.
Fig. 11.5 Aree di caratterizzazione scenica.
(Elaborazione DIST)
181
Uno sguardo d‘insieme
La Val Grande è un territorio interno alle Prealpi e alle Alpi Lepontine, difficilmente accessibile, lambito da canali di comunicazione solo ai suoi bordi (l’autostrada, la ferrovia,
ma anche le rotte di navigazione), pertanto, per chi lo osservi da fuori, è un insieme di
vette, visibili anche dal Lago, di cui è difficile formarsi un’immagine d’insieme. Anche
per questo, probabilmente, l’area è stata a lungo assente nell’ampia pubblicistica sui
paesaggi italiani.
La prima connotazione di questo paesaggio, allo sguardo dall‘esterno, è quello di maestoso «fondale»: fondale fosco e ombroso, quando osservato percorrendo la stretta valle del Toce, e innevata cornice sullo sfondo delle soleggiate coste del lago Maggiore. Il
ruolo di «fondale» non è sintomo di deprezzamento, anzi: la zona è vincolata ai sensi del
Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio in quanto: «Zona panoramica della Val Grande
e della Val Pogallo…riveste notevole interesse panoramico [godibile da numerosi tratti di
strade pubbliche] in quanto tali valli, comprese tra la Val d’Ossola, la Val Cannobina e la
Val Vigezzo, sono delimitate da catene montuose, che rendono difficoltoso l’accesso e pertanto conferiscono, a questi luoghi, una particolare compattezza. Soprattutto per quanto
riguarda la Val Grande ciò ha determinato uno sviluppo faunistico e floreale non controllato
rendendo così le zone selvagge» (Estratto del testo del vincolo paesaggistico [10178] (ora
art. 136, Immobili ed aree di notevole interesse pubblico, D.Lgs. 42/2004 e s.m.i.).
L’accesso alla Val Grande e alle altre valli interne avviene di norma attraverso passaggi
percettivamente molto marcati: strette «porte» e «bocche» - fessure scavate nelle pareti
di roccia – e selle dal profilo aguzzo sono veri e propri portali di accesso al cuore della
wilderness (Fig. 11.4). Per l’osservatore che si inoltri nelle pieghe interne, il paesaggio è
fatto di un’infinità di scorci, di ambiti chiusi, che infine si aprono dalle cime in panorami
vasti, sulle Alpi [il Massiccio del Monte Rosa, il Sempione] e i laghi.
In cresta si riguadagnano rapporti visivi di ampio raggio anche e soprattutto con l’e-
182
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
Fig. 11.6a Montagne e colline all’imbocco
della Valle Intrasca sono lo sfondo naturale
del contesto urbano. (Disegno di B.M. Seardo)
Fig. 11.6b La visibilità della cornice montuosa è garantita dalla presenza di spazi aperti a carattere seminaturale e rurale. (Disegno di
B.M. Seardo)
Fig. 11.6c Gran parte degli assi stradali di
attraversamento dell’area sono altamente
panoramici e offrono viste ampie sui rilievi
della Val Grande e sulle colline delle valli
intrasche. (Disegno di B.M. Seardo)
sterno della Val Grande e delle valli intrasche. Una fruizione necessariamente lenta, per
percorsi impervi, dunque un’esperienza immersiva e multisensoriale: lontana dall’interferenza delle aree urbane, dove le luci, i suoni e gli odori sono quelli della natura.
Le valli intrasche e le Terre di mezzo, individuabili con una disposizione quasi a corona
del Parco nazionale della Val Grande, si caratterizzano in maniera differente, non essendo connotate da un carattere di wilderness e meno paesaggisticamente omogenei.
A uno sguardo ravvicinato si apre un mosaico di paesaggi: i paesaggi dei primi rilievi
collinari alle spalle di Verbania, quelli dei «balconi naturali» più in alto affacciati sul lago.
E poi, la wilderness, che in senso stretto è riscontrabile solo sulle più alte vette della Val
Grande, ma alla percezione del fruitore si estende ben di più in basso, nelle valli intrasche, con le distese boscate ad avvolgere anche gli abitati permanenti di mezzacosta,
un «mare verde» osservabile da più punti nella sua distesa a vista d’occhio.
In particolare, l’intervisibilità lago-montagna è uno degli elementi di relazione fra
questi paesaggi così diversi. La visibilità tra luoghi apicali sembra aver suggestionato
già i primi uomini che colonizzarono l’area. Secondo alcune suggestive ricostruzioni
(BIGANZOLI, 1998), sembrerebbe significativo il rapporto di reciprocità visiva tra alcuni
siti di culto rupestri.
Le aree di caratterizzazione scenico-percettiva individuate sono: Paesaggio delle creste di cerniera, Paesaggio della wilderness percepita, Paesaggio dei «balconi naturali»
e Il Paesaggio delle colline urbane (Fig. 11.5 e Fig. 11.6-a/b/c). Di seguito si presentano i
risultati dell‘analisi svolta, attraverso la descrizione delle aree di caratterizzazione e dei
principali caratteri che le identificano.
Il paesaggio delle colline urbane
E‘ il paesaggio dell’insediamento permanente e di villeggiatura principalmente connessa al lago. Entrando in Valle Intrasca, si attraversa dapprima la propaggine insediativa di Verbania protesa verso l’entroterra fino a Cambiasca (in cui comprendiamo il
versante nord-orientale del Monte Rosso); sui versanti orientali della valle, prospicienti
Verbania, sono invece i principali centri abitati di più recente espansione: Arizzano, Bée,
Premeno. Il carattere degli insediamenti (dall’impianto alla morfologia, al pregio architettonico) è estremamente variegato, ma il carattere di fondo che accomuna questi
luoghi è quello dell’urbanità, dove la posizione sull’entroterra collinare non smentisce
La montagna percepita
183
la diretta connessione con la vita urbana del capoluogo di provincia e del suo contesto
ambientale lacustre: industrie, quartieri edilizia sociale operai, ville novecentesche, nuove periferie.
I caratteri della scena. In un tessuto urbano emergono tuttavia:
• montagne e delle colline all’imbocco della Valle Intrasca come sfondo naturale del
contesto urbano;
• tratti di percorsi panoramici con viste ampie e a cavallo fra dentro e fuori montagna
e lago;
• insediamento compatto e via via più diffuso, in alcuni casi intacca l’integrità visiva di
alcune scene (Monte Rosso);
• carattere «pittoresco» delle aree residenziali e di loisir novecentesche (materiali e tipologie edilizie, vegetazione esotica e ornamentale).
Paesaggio dei «balconi naturali»
Proseguendo l’esplorazione dei paesaggi delle Valli Intrasche, dalle quote più basse
a quelle più elevate, ci si imbatte successivamente in una fascia di territorio montano
sviluppato quasi a corona delle vette centrali del Parco Nazionale, sul versante meridionale, con brevi valli che corrono verso il lago Maggiore e caratterizzate da insediamenti
di mezzacosta di Cambiasca, Miazzina, Cossogno, Ungiasca: siamo nella Valle Intrasca
propriamente detta; ma anche a Genestredo, Capraga e Colloro, affacciate sulla bassa
valle Ossola.
Peculiarità di questi ambiti è che pur essendo aree interne con connotati di paesaggio
montano di mezza costa (versanti scoscesi, insediamenti di origine rurale, ampie fasce
boscate) mantengono un rapporto visivo costante con l’esterno, ad alta panoramicità
sulla valle Ossola, sulla valle del Toce e sul Lago Maggiore, distinguendosi come veri e
propri balconi naturali.
La strada per Miazzina (m s.l.m.) e quella per Santino (m s.l.m.) offrono viste focali sulla
basilica di San Vittore di Intra e panoramiche sul lago Maggiore e il suo contesto ambientale. Da Genestredo e Colloro si osservano i monti e la piana coltivata del Toce.
È forse per questo carattere insieme di distanza e vicinanza dal fondovalle che questi
luoghi sono tutt’oggi abitati e oggetto di recupero e reinsediamento.
I caratteri della scena. In un tessuto prevalentemente boscato emergono:
• viste panoramiche profonde sull’esterno dell’ambito: verso il lago e percorsi panoramici di mezza costa. Frequenti richiami visivi con l’esterno: in particolare viste focali
sulla cupola e il campanile della Basilica di San Vittore a Intra, da diversi punti (strada
per Miazzina, Santino, alpe Ompio) ;
184
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
• tessitura dell’edificato: variegata in base alla località: comprende edilizia recente e
intonaci caratteristici delle ville novecentesche (Miazzina), a Genestredo impiego di
materiali tradizionali, pietra (ma tipologie edilizie);
• zone più aperte degli ex pascoli;
• luoghi oggetto di rappresentazione figurativa nel ‘900;
• luogo idoneo all’osservazione notturna del cielo (Caprezzo).
Fig. 11.7 Panorama dalla bassa
Val Grande verso il monte Pedum.
Paesaggio della wilderness percepita
Lasciata Cambiasca il paesaggio cambia: le scene e le visuali di scorcio sono racchiuse
negli stretti e profondi bacini vallivi caratterizzati da copertura forestale pressoché continua, intervallata da brevi radure e abitati sviluppati sui versanti più esposti assecondando le curve di livello (Caprezzo, Intragna, Aurano, fa eccezione la frazione di Ramello
posta quasi sul fondo della valle del torrente San Giovanni): siamo alle porte della wilderness. Non mancano punti di osservazione che aprono a panorami ampi e profondi,
La montagna percepita
185
ma in questo caso sul «mare verde» dei versanti più interni della Valle Intrasca (Fig. 11.7).
I caratteri della scena, in un tessuto fitto di boschi:
• visuali panoramiche;
• la presenza stessa degli insediamenti è un fulcro visivo nel «mare verde» della copertura forestale. La compattezza dell’edificato, il generale orientamento delle aperture
verso valle e il colore chiaro degli intonaci li connotano positivamente con un carattere di omogeneità. Si leggono qua e là episodi di scostamento da questo modello
di riferimento, nell’uso di intonaci, nell’installazione di coperture di nuova fattura per
colore e materiale e di scostamento dalle tipologie edilizie originali.
Fig. 11.8 Veduta panoramica
dalla cima Laurasca.
Paesaggio delle creste di cerniera
Le alte quote che cingono alle spalle le Valli Intrasche, separandole dalla Val Grande e
Pogallo, costituiscono al contempo una apparentemente insormontabile barriera (fisica
186
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
e visiva) per chi osservi dall’esterno: queste creste costituiscono una formidabile «balconata
panoramica» una volta raggiunto l’apice, trovandosi a dominare con lo sguardo gran parte
dei bacini vallivi interni impostati orograficamente sul cuore della wilderness: la riserva integrale del Pedum. Rispetto all’ambito precedente, dal cuore della wilderness si riguadagna
un forte rapporto visivo con il lago e il contesto largo in generale: rilevante è l‘affaccio sui
laghi Maggiore e di Varese e sulla pianura Padana, verso est, e sul massiccio del Monte Rosa,
a ovest, quando non – addirittura- sulla catena appenninica.
Le creste più alte sono di norma percettivamente marcate da strette «porte» e «bocche» - fessure scavate nelle pareti di roccia – e selle dal profilo aguzzo che sono veri e propri portali di
accesso al cuore della wilderness (Colma di Premosello, Scala di Ragozzale, Passo di Basagrana).
È la montagna meta di escursionisti e visitatori.
Le alte quote del territorio non sono esenti dal custodire luoghi di particolare valore
identitario per le popolazioni locali (Fig. 11.8), e connessi alle prima «colonizzazione»
turistica della montagna (il Sentiero Bove e i rifugi storici di Pian Cavallone e Bocchetta
di Campo). La Strada Cadorna attraversa il territorio della linea fortificata omonima,
La montagna percepita
187
Fig. 11.9 Le colline all’imbocco della Valle
Intrasca nell’iconografia ottocentesca, nel dipinto di Luigi Litta «Veduta di Intra dal lago».
offrendo ulteriori occasioni di intervisibilità lago-monti.
I caratteri della scena, in paesaggi di vetta e cresta con boschi radi o assenti:
• alta panoramicità a lungo raggio per visuali sgombre o quasi da vegetazione;
• punti di osservazione in quota (Pizzo Pernice, Pian Cavallone, Monte Zeda, Pizzo Marona)
che costituiscono anche luoghi ideali del paesaggio notturno del fondovalle e costiero;
• belvedere attrezzati e presenza di mete della fruizione (rifugi, ristoranti) e di seconde
case (Alpe Segletta).
Le percezioni dei visitatori,
le immagini e la letteratura
Qual è l’immagine della Val Grande e delle valli intrasche nella letteratura turistica? Prendendo come campione i volumi sul paesaggio italiano del Touring Club Italiano, fino agli anni '90
poche sono le citazioni, e laterali, di queste valli segrete, messe in ombra dai più vicini luoghi
rivieraschi o dalla val d’Ossola.
«Dopo Omegna, a Gravellona imbocchiamo l’Ossola che alla sua soglia ha la scolta granitica del
Monte Orfano. La valle si inserra un po’ fosca sulla soglia all’ombra dei Corni di Nibbio» (TCI, 1999).
188
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
Grazie alla nascita della Riserva e poi del Parco queste valli entrano nella geografia delle guide, soprattutto quelle specializzate sulle aree protette e il turismo verde: «Difficile
immaginare che ad appena 100 km da Milano […] possa celarsi la più importante area wilderness d’Italia. Un vero regno della natura selvaggia, silenziosa e ammantata di fitti boschi,
racchiusi come uno scrigno da scoscese creste montuose, oscure forre, balze rocciose. Un’isola
di natura aspra che si è conservata, come per incanto, tra ambienti ameni e assai frequentati: da una parte le mediterranee sponde del lago Maggiore, dall’altra la Val d’Ossola…» (TCI,
1999). L’immagine scelta dalla Guida per rappresentare il Parco è il borgo di Velina, descritto come «uno dei più bei maggenghi» del Parco, affiancata da illustrazioni della biodiversità (l’aquilegia, il merlo acquaiolo). La Valle Intrasca è rappresentata come porta di
accesso al Parco, attraverso i centri di Intragna e Rovegro. Ruolo di primo piano è per «Il
patrimonio del bosco» di cui si narra il «salvataggio» dopo l’abbandono delle valli: «Proprio
la ricchezza e la varietà di questo patrimonio forestale non più sfruttato sono diventate il principale oggetto della salvaguardia del Parco» (ibidem).
Ancora un volume dedicato al Paesaggio italiano (TCI, 2000) identifica, fra i numerosi tipi
di paesaggio della penisola, il paesaggio insubrico dei laghi prealpini; la descrizione delle
«terre di mezzo» delinea un paesaggio culturale con un valore proprio, distinto da quello
dei paesaggi dei rilievi alpini e che, nella sua generalità, sembra poter descrivere abbastanza bene anche il paesaggio delle valli intrasche: «L’idea stessa di paesaggio è scaturita
nell’800 su queste sponde […]. Il lago modera il clima e favorisce l’abito vegetale delle sue
sponde: […] il dipanarsi delle attività umane su un piano inclinato come quello che corre dalla
sponda del lago al suo versante ha composto un paesaggio molto più strutturato che altrove.
Quello che si trova in fondovalle, qui lo riconosciamo aggrappato fra le sponde e la montagna,
vale a dire gli abitati, il loro contorno di coltivi terrazzati, la prima fascia boschiva, il maggengo
ovvero il monte, la seconda fascia boschiva, l’alpeggio sommitale».
Le valli, dunque, per lungo tempo non sono entrate nei circuiti turistici più noti, appartenendo ai circuiti degli esploratori, degli alpinisti e degli amanti della natura da più di un
secolo: la sezione Verbano del Club Alpino Italiano apre nel 1874.
L’evidenza scenica delle formazioni geologiche attira qui, da altrettanto tempo, generazioni di studiosi di geologia, per i quali questi luoghi sono un libro a cielo aperto. La notorietà, in questo ristretto ma importante circolo, è di livello mondiale, come testimonia
anche il riconoscimento Unesco di Geoparco.
Oggi, nel world wide web, le immagini della Val Grande sono legate alle esperienze della
natura, della solitudine e dell’attività sportiva: alpinisti e rocciatori battezzano vette e pareti con nomi suggestivi quali «parete introvabile», «sperone celato». (Fig. 11.9)
189
La montagna percepita
Le percezioni degli abitanti
e i loro sguardi al futuro
(interviste)
I paesaggi esprimono valori peculiari per chi li abita, li frequenta o vi ha radici. Sentimenti
di attaccamento, o di paura, legati a memorie, a usi tradizionali e riti collettivi, a eventi della vita sociale o personale. La costruzione di un quadro interpretativo del paesaggio delle
valli intrasche richiede di sondare anche questa dimensione più immateriale del paesaggio,
legata alla sua percezione individuale e collettiva da parte delle persone che lo abitano e lo
frequentano assiduamente.
Attraverso 20 interviste in profondità5, si è cercato di tratteggiare i lineamenti dei paesaggi
degli abitanti delle valli intrasche (ovvero la parte maggiormente insediata del territorio in
esame, ma senza escludere riferimenti al territorio più vasto del parco Val Grande), ponendo
particolare accento alla percezione delle dinamiche trasformative, sulla scorta della finalità
generale della ricerca e delle principali indicazioni della Convenzione Europea del Paesaggio.
In tabella 11.1, la traccia seguita per l’intervista, e nelle note seguenti i temi emersi. Nell’impossibilità di riportare per intero i testi dei dialoghi, fra parentesi si rimanderà di volta in
volta all’intervista specifica in cui le diverse osservazioni sono state fatte.
Tabella 11.1 Traccia per le interviste
Fase dell’intervista
Dimensione esplorata
L’area oggetto di interesse
Valli intrasche: quali luoghi sono associati a questo toponimo nell’immaginario? Quali paesaggi, quali
caratteristiche del paesaggio più li descrivono?
Valori associati ai paesaggi
Si fanno emergere i valori associati ai paesaggi evocati con l’indicazione luoghi specifici: simbolici / identitari
/ della vita collettiva, così come le attività che vi si svolgono o vi si possono svolgere, le condizioni che ne
favoriscono o sfavoriscono l’abitabilità.
Dimensione evolutiva
Dimensione del cambiamento e della trasformazione del paesaggio delle valli intrasche nel tempo.
Com’era – com’è – come sarà: attraverso la ricerca di esemplificazioni concrete e materiali, ad es. prodotti della
natura (alimenti, materiali da costruzione…) e benefici (stati d’animo, condizioni di vita…) ottenibili da assetti
paesaggistici passati, presenti, futuri…
In particolare, si focalizza la dimensione delle prospettive desiderabili da parte degli attori locali sui paesaggi
evocati.
Dimensione ecomuseale e
del racconto
Si individuano materiali, racconti, leggende, registrazioni, iconografia, oggetti idonei a rappresentare quanto
emerso e da mettere a disposizione per la mostra.
Si richiede l’indicazione di luoghi privilegiati per l’ascolto, la contemplazione del paesaggio (anche notturno)…
5
Gli intervistati sono stati individuati grazie all’aiuto del personale del Parco Nazionale Val Grande e di intermediari locali (in particolare il Professor G. Pizzigoni e il
Dott. G. Danini).
190
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
Tabella 11.2: Le interviste condotte
con gli abitanti
Data e luogo intervist a
Per una mappa dei paesaggi degli abitanti…oltre le «terre di mezzo»
Dalle interviste con gli abitanti emerge una geografia dei luoghi e dei paesaggi identitari
legata al «campanile», vale a dire al comune di provenienza. La Valle Intrasca e le valli intrasche sono un riferimento di sfondo, quasi mai citato come toponimo. Più frequenti sono le
memorie legate ad episodi di conflittualità fra paesi attigui o vicini (riferimenti soprattutto in
intervista n.5) e – più rare – quelle su episodi di scambi pacifici e collaborazioni. In passato, il
possesso dei pascoli e il taglio dei boschi (fondamentali risorse) erano oggetto frequente del
contendere fra le popolazioni, ma anche con autorità esterne, come la Fabbrica del Duomo
di Milano: l contesa tra Cossogno e Malesco per il possesso della Fornace di Campo venne
definita nel 1547 con un lodo con disegno allegato conservato nell’archivio di Malesco (la
più antica rappresentazione iconografica conosciuta di una porzione della Val Grande).
Fra i diversi paesi delle valli intrasche si ricordano, soprattutto riferiti al passato, rapporti di
tipo proto-produttivo: è il caso, ad esempio, di Rovegro – presso la cui latteria si conferiva il
latte per la lavorazione – o di Cossogno, dove esisteva il frantoio. Si ricorda poi che i paesi
delle valli intrasche gravavano per il commercio soprattutto su Verbania, in particolare Intra
con il suo mercato dove avveniva la vendita dei prodotti agricoli presso il suo mercato.
Non manca la percezione di connessioni «lunghe» o vere e proprie migrazioni, soprattutto
verso il milanese. Fuori dalla terra natìa, molte famiglie continuano a svolgere l’attività usuale per cui molti nomi famigliari o paesi sono associati a determinate professioni (a Milano,
molti lattai hanno radici a Ungiasca e Miazzina, vinai e bottai a Caprezzo e così via…).
Intervistati: profili e numero
Comune di provenienza
(ed event. Associazione o ente di
appartenenza o altre note)
n.1
22 maggio 2015 Museo del
Esperti di storia locale (2)
Paesaggio di Verbania
Museo del Paesaggio di Verbania
n.2
25 maggio 2015
Aurano
Architetto originario di Aurano (1)
Appartenente a famiglia storica di Aurano
n.3
25 maggio 2015
Caprezzo
Residente a Caprezzo, conoscitore dei luoghi (1)
Caprezzo
Bibliotecaria originaria di Caprezzo (1)
Caprezzo. Bibliotecaria di Caprezzo
Originari e residenti, residenti «di ritorno», abitanti con
memeoria storica del luoghi (7)
Bieno, Santino, Rovegro
n.4
1 giugno 2015
Santino
n.5
5 giugno 2015
Cossogno
Membri di associazioni locali ed esperti di storia locale (2) Cossogno
n.6
8 giugno 2015
Rovegro
Originari e residenti, abitanti con memeoria storica del
luoghi e membri di associazioni locali (4)
Rovegro
n.7
8 giugno 2015
Santino
Guida alpina esperta (1)
Bieno, Rovegro, Santino
La montagna percepita
191
Infine, una nota sulla formulazione del concetto di «terre di mezzo» e sul riscontro che se ne
è potuto avere attraverso le interviste. Con l’immagine di «terre di mezzo», è stata indicata
quella fascia di territorio per lo più collinare o di bassa montagna che comprende la Valle
Intrasca, la bassa val Grande e la bassa Ossola, a corona dei rilievi maggiori che costituiscono
il cuore wilderness della Val Grande. Le «terre di mezzo» sono identificate come quelle aree
tuttora abitate e, anche storicamente, caratterizzate da forme di insediamento permanente. Tuttavia, interrogati sulla propria percezione del paesaggio di vita, gli intervistati «muovono» i propri ricordi, i racconti e le segnalazioni, in maniera fluida fra luoghi dell‘abitato
permanente e stagionale6. Si legge fra le righe, pertanto, una concezione di «dimora» - e di
paesaggio della vita quotidiana - che non conosce(va) confine e anzi comprende(va) senza
soluzione di continuità nucleo principale, maggengo e alpeggio. Una osservazione che riguarda sicuramente i paesaggi del «passato», ma di cui forse, andrebbero valutate le diverse
potenzialità, anche solo sul piano narrativo e della rappresentazione attuale.
Il paesaggio degli intervistati: valore delle opere antropiche e percezione critica del bosco
Dalla sintesi delle interviste, emerge una mappa ideale dei luoghi e dei valori ad essi
associati. In ottica ecomuseale, sarebbe interessante da realizzare una mappa rappresentata dei luoghi (molto spesso micro-luoghi) con la partecipazione della popolazione
e in particolare di quei soggetti custodi di modi d‘uso passati del territorio, che si possono rivelare significativi sia in ottica documentaria, sia propositiva e progettuale.
In primo luogo, è difficile, per gli abitanti, stabilire quali siano i luoghi più rappresentativi delle valli intrasche: ogni centro abitato ha infatti numerosi luoghi di valore, retaggio
di un modo di abitare fortemente imperniato sugli spostamenti «in verticale» fra il centro abitato, i suoi maggenghi e le sue alpi.
Prevalgono, in quelli citati, i luoghi di culto: numerose croci, cappelle, opere religiose e
percorsi devozionali esprimono, infatti, il senso del sacro ispirato da alcuni luoghi, come
la Madonna di Santino e quella di Caprezzo, la parrocchiale di Bieno, l’oratorio di Inoca,
le diverse cappelle votive che punteggiano i centri e le loro frazioni. Nei ricordi, questi
sono luoghi associati solitamente a momenti di festa e di incontro.
Molto cari agli abitanti sono gli alpeggi e i maggenghi dove si trascorreva l’estate (alpe
Ompio, alpe Vercio, alpe Bettina, alpe Busarasca…) e dove, ancora oggi, qualcuno tiene gli animali da cortile o si reca a trascorrere qualche giorno di tranquillità nella bella
stagione.
I centri abitati con le loro «viuzze», i pozzi, i torchi, le fontane e i «fontanún» sono citati
da molti e molto importante è sia per i cossognesi che per i rovegrini il ponte che colle-
6
Ciò emerge da quasi tutte le interviste. In modo particolare si faccia riferimento alla intervista n.6, a Rovegro, in cui, ad esempio, Alpe Bignugno, Alpe Vercio, Alpe
Bettina, Alpe Basseno, Alpe Ompio…sono citate per prime come luoghi identitari e di valore.
192
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
ga i due paesi (spesso ritratto da pittori amatoriali locali).
Alcuni luoghi sono evocati per offrire scorci particolari e unici, ad esempio, da Corte Buè
è possibile vede affiorare la «pioda bianca». Altri ospitano alberi «enormi», come l’alpe
Piana e Colloro. Altre croci, altri segni testimoniano la memoria civile della Resistenza. Alcuni segni nel paesaggio sono testimonianza del lavoro dell’uomo per abitare e
sfruttare il territorio: le cave, i terrazzamenti, gli attraversamenti, le opere idrauliche e le
opere stradali…
In generale, si può affermare che i paesaggi di gran lunga custodi di valori identitari
sono quelli dai segni antropici più evidenti: luoghi di culto e altri manufatti hanno il
numero di citazioni più alto rispetto ai luoghi «naturali».
Il «bosco» non è mai nominato a questo proposito (in alcune interviste non è mai citato
in assoluto), se non con connotazione negativa, come elemento che invade e nasconde
i segni del lavoro dell’uomo, impedisce di usufruire degli spazi aperti e dei prodotti della natura «ora non si può più raccogliere i frutti di bosco: è tutto sporco!» (Intervista n.4),
assorbe i suoni («Da Premia si sentivano le ore di Intragna» – Intervista n.3) e oblitera le
viste panoramiche dai luoghi più frequentati: «Tremisìn era un luogo panoramico, ma
ora non più» (Intervista n.3), invece «:..da Cassinella si vede Cavandone!» (Intervista n.6).
Le constatazioni qualitative qui raccolte, sembrano in linea con la percezione della wilderness da parte degli abitanti dei Comuni del Parco Nazionale emersa dagli studi di
HÖCHTL e LEHRINGER (2004).
Dalla ricerca, svolta anche con un sondaggio in altri territori all’interno e adiacenti al
Parco, emerge la percezione negativa degli abitanti rispetto agli effetti dell’abbandono
sulla montagna: un’alta percentuale degli intervistati ritiene che l’abbandono del paesaggio abbia effetti negativi sull’ambiente, prima che sulla fruibilità umana. Tuttavia, la
wilderness non è sempre percepita come un elemento negativo: dal sondaggio emerge
che nell’immaginario degli abitanti la wilderness è più spesso associata a valori positivi. Riportiamo, a titolo esemplificativo, alcune aggettivazioni registrate dallo studio.
Tabella 11.3: Aggettivazioni positive e
negative di wilderness secondo la popolazione locale, dal sondaggio di HÖCHTL e
LEHRINGER, 2004.
Aggettivazioni positive
intatta, autonoma, fiabesca, libera, amabile, non rovinata,
selvaggia, primitiva, sensibile, silenziosa, spontanea, incolta,
naturale, equilibrata, bella, sicura, rifugio per animali, piante e
uomo, incontaminata, inesplorata, non raggiungibile da tutti
Aggettivazioni negative
abbandonata, non curata,
impraticabile
193
La montagna percepita
La percezione delle dinamiche del paesaggio: i paesaggi coltivati e la
diversità bioculturale
Interrogati circa le principali differenze fra il paesaggio del passato (quello dei propri ricordi)
e l‘attuale, gli abitanti intervistati descrivono il paesaggio del passato come fonte di vita e
sostentamento, a differenza dell‘attuale.
Le principali dinamiche registrate, pertanto, sono quelle relative all’abbandono dei terreni
coltivati e alle conseguenti modifiche del paesaggio: da paesaggio produttivo a paesaggio
spesso difficilmente fruibile.
Si rileva, in particolare, la ricorrente enunciazione di specie e varietà coltivate in passato, nonostante le difficili condizioni morfologiche (alla domanda «cosa connota il paesaggio delle
valli intrasche?» la risposta è «la pendenza» – Intervista n.1) e dei suoli («sono suoli poveri,
crescono solo le patate» – Intervista n.5). «Le castagne erano il pane per noi, da esse si ricavava anche la farina» (Intervista n.2). Così ancora oggi, si ricordano molti proverbi e detti
popolari che fanno riferimento a questo frutto. Molti ricordano le varietà di mele e fra gli
intervistati c‘è chi si dedica alla riscoperta e alla coltivazione delle varietà quivi una volta presenti. Si ricorda la presenza di vigne (con le varietà Clintòn, Americana, Rusera7) per la produzione famigliare e coltivate a spalliera o ad altèn a quattro bracci, e le varietà di pere, prugne
e le ciliegie. «C’erano anche gli ulivi e ora qualcuno li sta ripiantando» (Intervista n.4).
Anche agli alpeggi si coltivavano gli orti: «si faceva il giardino con la verdura, porri, i pomodori…li ho raccolti il primo novembre a 1000 metri a Corte Pianale!» (Intervista n.4).
Le erbe spontanee conosciute e utilizzate erano numerose: Patacioi, Garzöi, Verzit (cicorietta),
Pancaut, Dant da Lion, primule e asparagi selvatici…» prima ce n’era tantissimi, ora no perchè è tutto sporco». Ortiche e cimette dei rovi si usavano per fare le minestre, mentre con
la cicorietta e le uova sode si faceva l’insalata a Pasquetta e anche gli animali sapevano quali
erbe si potevano mangiare e quali era meglio evitare: «il ballaro [Veratrum album n.d.a.], ad
esempio, era sempre evitato dalla vacche!» (Intervista n.6). I fiori di acacia e sambuco erano
molto ricercati, e sono ricordati anche da Nino Chiovini nei suoi scritti (Intervista n.4).
Non emergono, o sono molto rari, percezioni negative rispetto ai luoghi della vita quotidiana (ci si sarebbero potuti aspettare, ad esempio, citazioni di sentimenti di paura rispetto a
luoghi pericolosi).
Le pozze d’acqua si usavano per fare macerare la canapa e c’erano i telai in paese. L’acqua
era importantissima anche per alimentare i molti mulini presenti a Cossogno dove, fra l’altro,
venne installata la centrale idroelettrica Sutermeister fin dal 1892.
Ogni paese aveva poi le proprie specificità. A Rovegro c’era la latteria e si allevavano i maiali:
«Ognuno portava lì il suo latte al mattino e la sera si tornava a prendere il formaggio. Poi
l’ultima domenica di marzo si faceva l’incanto dei maiali».
7
Quando significativo, i termini pronunciati in dialetto dagli intervistati sono stati restituiti per iscritto per assonanza.
194
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
«Le noci si raccoglievano un po’ dappertutto, ma solo a Cossogno c’era il torchio e si portavano lì» (Intervista n.6), mentre a Santino c’era la cartiera di cartone.
Lavorazione della terra, esbosco, attività che mettono a repentaglio la vita. Incidenti finiti
bene hanno dato vita a numerose rappresentazioni che indirettamente documentano anche le difficili condizioni in cui uomini e donne si svolgevano queste attività.
I paesaggi, la biodiversità e i prodotti della natura e delle coltivazioni entrano nell’immaginario collettivo e sono ricordati e a volte sublimati, dalle forme espressive più nobili: il canto,
la pittura, la poesia… A questo proposito, gli intervistati forniscono numerosi riferimenti a
opere di vario genere in cui queste possono essere reperite.
Infine, un accenno allo spaccato di immaginario sociale che emerge dalle interviste
condotte riguardo al lago e alla pianura. Sebbene in passato fossero distanti ore di
cammino, il lago e i paesi della costa, così come il fondovalle, avevano importanti relazioni con l’entroterra, rimaste nell’immaginario collettivo: si scendeva a Intra per vendere i propri prodotti al mercato, si andava in cerca di lavoro a Fondo Toce la cui parte
più interna si riferiva alla Valle Intrasca per i «servizi» (chiesa, funzioni…). La distanza
rimaneva comunque un ostacolo e la vista del lago lasciava a bocca aperta chi per la
prima volta scendeva dalla montagna: Fiorenza: «Mio marito è di Scareno e a otto anni
scese per la prima volta a piedi col lanternino a Intra. Arrivato in vista del lago esclamò
rivolto alla madre: Mamma, che grande pozza!» (Intervista n.4). In Valle Intrasca è
tutt’oggi percepibile il legame con il lago: richiami alla navigazione e rappresentazioni
del paesaggio lacustre si trovano qua e là nei paesi dell’entroterra.
I cambiamenti del paesaggio e le visioni del futuro
nella percezione degli abitanti
Per il futuro, il desiderio più frequente da parte degli abitanti intervistati è che si torni ad abitare a coltivare questa bassa montagna, e soprattutto a gestire il bosco. In passato il bosco
era una fonte di sostentamento: si raccoglievano erbe e frutti spontanei, si faceva legna. Ma
«ora è difficile trovare i mirtilli perché il bosco è tutto sporco» (Intervista n.4). A Caprezzo, il
bosco circonda sempre di più l’abitato ed «è difficile fare delle passeggiate sui sentieri intorno al paese» (Intervista n.3).
Per qualcuno è difficile che si torni alla vita del passato, perché «questo è un terreno povero», e anche le forti acclività scoraggiano. Altri pensano invece che sia possibile e doveroso
tornare ad occuparsi dei terrazzamenti, manutenendoli e tornando a coltivarli, come si fa in
altre aree alpine con simili problematiche, costituendo associazioni e cooperative.
I cambiamenti del paesaggio sono il segno delle trasformazioni della società. Molti abitanti risentono l’affievolirsi dei legami sociali e affermano «Non ci parliamo più,
mentre prima tutti si aiutavano» (Intervista n.6). Alcuni giovani vengono ad abitare
qui «e questo è positivo, ma non si conoscono, non si vedono né in chiesa né in piaz-
La montagna percepita
195
za» (Intervista n.4). Si avverte la necessità di momenti di conoscenza e incontro, di
coinvolgimento di questi nuovi «compaesani».
Ciò che attira i nuovi abitanti – soprattutto nei paesi di bassa valle - è la vicinanza alla città:
«le persone vengono a vivere a Bieno: è comodo, è vicino alla città, ma ti sembra di essere in
montagna» (Intervista n.4). «A Rovegro non vengono a vivere altre persone forse perché è
più lontano (anche se io faccio anche otto viaggi al giorno)…è bella però: la via maggiore è
stata sistema da poco, è un gioiello e non ci sono le auto» (Intervista n.4).
Il turismo è considerato da qualcuno, che ne ha fatto il proprio mestiere, come una risorsa importante. In passato «ogni tanto veniva qualche cacciatore, amici. Gli esterni erano
rari», ma «dopo che uscì il libro di Valsesia, il territorio cominciò a essere più frequentato»
(Intervista n.7). Prima gli ambienti selvaggi erano frequentati solo da chi li conosceva molto
bene, «ora è difficile perdersi perché è tutto segnalato», e sono state realizzate attrezzature
confortevoli («il ponte tibetano fra Casletto e Velina è più confortevole del modello usuale,
anche i bambini possono farlo» – Intervista n.7).
Il mantenimento e la riscoperta delle tradizioni sono importanti per gli abitanti. Oggi il Comitato delle donne del Parco partecipa attivamente alle iniziative rivolte alla valorizzazione
della diversità culturale e agricola del Parco, riscoprendo, ad esempio, le antiche ricette della
cucina alpigiana, in un itinerario di sapori e cultura tramandato di generazione in generazione soprattutto dalle donne, custodi di questa terra durante lunghi secoli caratterizzati dalla emigrazione stagionale degli uomini in cerca di lavoro nelle aree più ricche.
Capitolo XII
197
L’economia e le società locali
Federica Corrado, Giacomo Pettenati
Il sistema socio-economico e
le dinamiche del turismo
C
ome ricorda TURRI (2004), «il paesaggio racconta sempre una società, i suoi rapporti interni, le sue dinamiche demografiche, i suoi squilibri sociali, le proprie
capacità tecniche, il proprio culto per la natura, e persino la propria fede religiosa,
il suo modo di fare poesia, i propri modi di autorappresentarsi e rappresentare il mondo».
Lucio Gambi ci dice che il paesaggio nasce dal territorio ed entro il territorio. Questo
significa che ciò che noi vediamo (o meglio percepiamo, perché il paesaggio non è solo
visivo, ma anche olfattivo, uditivo, tattile) e identifichiamo come paesaggio è espressione delle dinamiche che legano le popolazioni al proprio ambiente di vita, sia in senso
materiale, attraverso le trasformazioni fisiche del territorio, sia in senso simbolico, per
quanto riguarda la cultura, i valori attribuiti agli elementi del territorio e al paesaggio
stesso, le modalità di relazionarsi con l‘ambiente e lo spazio.
In questa sezione ci si propone una riflessione su quelle che si possono definire le «ragioni del paesaggio», ovvero sulle dinamiche socio-territoriali che determinano le trasformazioni delle forme del territorio, sia in senso materiale che simbolico. Per fare ciò
si integreranno due metodologie diverse, ma necessarie per comprendere al meglio le
dinamiche territoriali che animano il territorio della Val Grande e delle valli intrasche:
a) l‘analisi dei dati quantitativi e statistici, relativi all‘evoluzione e all‘attuale situazione
demografica, socio-economica e turistica di queste aree;
b) una riflessione sugli scenari evolutivi e le sfide in corso in questi territori, con il supporto di alcune interviste in profondità, attraverso le quali fare emergere diversi
punti di vista, interni ed esterni, su questi territori.
Edilizia rurale a Capraga
La montagna contemporanea, a differenza di quella del passato, è caratterizzata da una
forte complessità e una marcata eterogeneità di modi di vita, che spesso coesistono
negli stessi luoghi generando talora conflitti. Questa eterogeneità è confermata da un
recente studio dell‘Ires Piemonte (2010) che ha classificato tutti i comuni montani piemontesi, a partire da indicatori raggruppati in diversi assi (ambientale, infrastrutturale,
socioeconomico), in una serie di classi, con l‘obiettivo di individuare a partire da indicatori oggettivi la varietà dei contesti territoriali montani della regione.
I comuni che appartengono all’area oggetto della ricerca sono suddivisi tra due di queste classi territoriali:
198
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
- Aree naturali interne e a bassa densità abitativa: elemento distintivo di questi sistemi
territoriali è l’elevato valore dei quadri ambientali. Per il resto, si tratta di realtà poco
accessibili e poco sviluppate;
- Città e sistemi urbani montani: elevato sviluppo e accessibilità si contrappongono a una
situazione di fragilità delle dotazioni ambientali
Fig. 12.1 Ambiti rurali in abbandono
(Cicogna).
Fig. 12.2 Ambiti insediati di cintura
(Intragna).
Questa suddivisione dell‘area osservata tra due tipologie territoriali in apparente antitesi, ben esprime la coesistenza e la compenetrazione in questo contesto di un territorio
montano marginale dal punto di vista socio-economico, ma di elevata qualità ambientale, e di un territorio montano urbano e periurbano, che gravita sulla città di Verbania
e sulle sponde del Lago Maggiore.
In questo contesto, il Parco Nazionale della Val Grande costituisce un’importante risorsa
ambientale e paesaggistica del territorio della provincia del Verbano-Cusio-Ossola: esso
si colloca all’interno di un territorio molto diversificato e complesso sia dal punto di vista fisico-geografico sia da quello delle dinamiche territoriali, costituendone un «cuore
naturale» ad alto livello di integrità e un «nodo economico-territoriale» tra lago e monti.
Per quanto riguarda il quadro socio-economico di questo territorio, l‘analisi delle attività economiche mostra un sostanziale equilibrio nella distribuzione delle unità locali tra
i diversi settori economici, con una prevalenza del commercio (22% delle unità locali) e
del settore delle costruzioni (22%). Risulta ancora minoritario invece il ruolo del settore
L'economia e le società locali
199
turistico, al quale appartiene solo un‘attività economica su dieci.
La distribuzione territoriale delle attività economiche mostra invece un evidente squilibrio, con una marcata concentrazione lungo gli assi dell‘Ossola e della Val Vigezzo e una
rarefazione di attività nelle valli intrasche (Figura 12.3).
Fig. 12.3 Distribuzione delle attività economiche (unità locali) nei comuni dell‘area
di studio (elaborazione degli autori su dati
Infocamere 2013).
L‘eterogeneità territoriale dell‘area si rispecchia in un‘offerta turistica variegata che vede
il territorio della Val Grande e delle valli intrasche come potenziale centro di gravitazione di un’area più ampia, dove il turismo lacustre della sponda del Verbano si affianca al
turismo escursionistico e legato agli sport invernali della Val Vigezzo, dell‘alta Ossola e
delle valli del Monte Rosa.
Come mostrano le tendenze in atto, il Parco è diventato un punto di riferimento importante nel circuito del turismo escursionistico e, più in generale, del turismo verde, grazie
soprattutto alla sua forte connotazione naturale, a tal punto da farlo diventare una vera
e propria attrattiva anche per coloro che vogliono sperimentare un contatto estremo
con la natura. Proprio la sua posizione fisico-geografica enfatizza questo carattere di
naturalità interna rispetto a un territorio esterno largamente urbanizzato. Con i suoi
8 Musei e Centri di visita, il Parco si raccorda infatti con il resto del territorio attraverso
strategiche «porte d’accesso»: Vogogna, Premosello Chiovenda, Cossogno, Cicogna, Intragna, Malesco e Cossogno.
200
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
Alcuni di questi punti si collocano proprio in corrispondenza di assi infrastrutturali rilevanti. In particolare, la porta di accesso di Vogogna è posta su un importante asse
infrastrutturale transfrontaliero che collega Italia e Svizzera sia dal punto di vista viario
che ferroviario. Proprio questa seconda modalità rappresenta un grosso potenziale per
l’accesso al Parco anche attraverso mezzi di mobilità sostenibile. Altri punti di ingresso
si trovano vicino a importanti centri come Verbania e, in misura minore, Cannero Riviera che sono inclusi nei circuiti della navigazione del Lago Maggiore. Ancora, l’ingresso
all’interno del comune di Santa Maria Maggiore in Val Vigezzo costituisce una interessante connessione con il fronte nord in quanto questo territorio è percorso dalla linea
della ferrovia delle Cento Valli che collega Domodossola e Locarno.
Un’alta accessibilità rispetto al territorio circostante, una limitata permeabilità delle attività umane verso l’interno una forte naturalizzazione (wilderness) di ritorno costituiscono quindi sicuramente alcuni degli elementi descrittivi più rilevanti dell’area oggetto di
questo studio.
Grazie a questa situazione di contesto, il Parco si pone come potenziale trait d’union tra i
diversi territori della provincia e in particolare tra i diversi turismi in essa presenti: quello
del lago Maggiore, che peraltro è riconosciuto come seconda meta per importanza di
flussi turistici in Piemonte, quello dello sci, concentrato nelle località sciistiche vicine al
Monte Rosa (è il caso di Macugnaga, ad esempio), e quello naturalistico che coinvolge la
valle Antigorio, la val Formazza e la Val Vigezzo tra le altre.
Nell‘area oggetto dell‘analisi - con l‘esclusione della valle Vigezzo dove è particolarmente sviluppato un turismo montano tradizionale soprattutto estivo - l‘attrattività turistica
del territorio si fonda sul ruolo del territorio del Parco per le attività outdoor, in particolare l‘escursionismo. La rete interna dei sentieri è molto sviluppata e consente tanto
escursioni semplici, con partenza e ritorno dai piccoli centri abitati che circondano il
Parco, quanto escursioni di complessità maggiore, come la nota Traversata della Val
Grande, con pernottamenti in uno dei bivacchi presenti lungo il percorso.
L‘eterogeneità del territorio, è però evidente anche nell‘analisi dell‘offerta turistica. La
distribuzione delle attività ricettive mostra ad esempio uno squilibrio a favore dei comuni più accessibili (lungo il corso del Toce, in Val Vigezzo o nei dintorni immediati di
Verbania) e delle aree caratterizzate da una maggiore tradizione turistica, in particolare,
ancora una volta, la Val Vigezzo (Figure 12.4 e 12.5). L‘analisi degli arrivi e delle presenze conferma l‘ancora limitato sfruttamento del potenziale turistico dell’area, che attira
complessivamente poco più di 30.000 visitatori. La tabella 12.1 mostra la ripartizione
delle presenze nei diversi comuni. Da essa emerge con ancora maggiore evidenza il
ruolo di poli turistici, svolto dai comuni della Val Vigezzo, dai centri più vicini al lago
(Premeno, Mergozzo) e da Vogogna, centro appartenente al circuito dei Borghi più belli
d‘Italia, insignito dal Touring Club Italiano della Bandiera Arancione, che distingue le
L'economia e le società locali
Fig. 12.4 Distribuzione delle strutture ricettive nell‘area (elaborazione degli autori
su dati Regione Piemonte 2013).
Fig. 12.5 Distribuzione dei posti letto
turistici nell‘area (elaborazione degli autori
su dati Regione Piemonte 2013).
201
202
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
«località eccellenti dell‘entroterra». L‘evoluzione delle presenze turistiche negli ultimi
10 anni, mostra tuttavia un‘inversione di tendenza, con una riduzione del numero di
pernottamenti nei comuni della Val Vigezzo - in coerenza con la crisi del turismo di
villeggiatura montana tradizionale e delle piccole stazioni sciistiche diffusa in tutte
le Alpi italiane (BARTALETTI, 2011). - e un incremento delle presenze nei comuni del
versante meridionale del Parco.
Per quanto riguarda la provenienza dei turisti, si osserva una leggera maggioranza di
stranieri (55%), compensata tuttavia dal superiore tempo di permanenza medio dei visitatori italiani (3,8 giorni, contro i 3,1 degli stranieri). I dati relativi al turismo in questo
territorio mettono in evidenza l‘ancora limitato sfruttamento del potenziale attrattivo
del patrimonio storico-culturale dei piccoli centri storici (con l‘eccezione di Vogogna) e di
elementi di specificità territoriale come le cave di marmo di Candoglia, dalle quali proviene la pietra utilizzata per la costruzione ed i restauri del Duomo di Milano.
Una riflessione necessaria sul tema del turismo nell‘area riguarda i rapporti con il
grande bacino turistico della sponda piemontese del lago Maggiore, contigua all‘area del Parco e alle valli intrasche. Località come Verbania (più di 800.000 presenze
annue), Stresa (più di 500.000 presenze annue), Baveno (485.000 presenze annue) e
Cannobio (oltre 250.000 presenze) si situano infatti tra i primi comuni piemontesi per
attrattività turistica e formano un distretto di rilevanza internazionale. Per quanto si
tratti di aree caratterizzate da un turismo prevalentemente costiero, questi territori
costituiscono un serbatoio enorme di potenziali visitatori per la Val Grande e i territori circostanti, nei quali sarebbe fondamentale attivare strategie efficaci di attrazione
per attività sportive o visite legate alla fruizione del patrimonio storico-culturale, geologico, eno-gastronomico, etc.
Fig. 12.6 Sponda piemontese
del Lago Maggiore.
203
L'economia e le società locali
Tabella 12.1 Evoluzione degli arrivi e
delle presenze turistiche nell‘area (fonte:
Regione Piemonte, 2004 e 2010).
Tra processi di abbandono
e prospettive di ritorno
COMUNE
ARRIVI 2014
ARRIVI 2004
PRESENZE
2014
PRESENZE
2004
Beura-Cardezza
20
12
37
183
Cursolo-Orasso
nd
nd
nd
nd
Malesco
1882
1879
9176
6756
Santa Maria
Maggiore
4170
5868
25521
32838
Trontano
518
68
888
149
Aurano
0
nd
0
nd
Cambiasca
nd
0
nd
0
Caprezzo
nd
nd
nd
nd
Cossogno
702
nd
1397
nd
Intragna
nd
nd
nd
nd
Mergozzo
6940
7952
20674
25207
Miazzina
458
nd
1256
nd
Premeno
8256
10837
33327
44291
PremoselloChiovenda
nd
nd
nd
nd
San Bernardino
Verbano
173
nd
520
nd
Vogogna
8833
1859
16618
4376
Totale
31952
109414
Tra i principali fattori che contribuiscono a definire l’evoluzione territoriale delle regioni
montane vi sono, ancor più che altrove, le dinamiche demografiche. La crisi dell’economia e della società montane, a fronte dell’espansione del modello industriale e urbano-centrico nella seconda metà del XX secolo, ha portato, come noto, centinaia di
valli alpine a perdere gran parte dei propri abitanti, scivolando verso una condizione
di marginalità reale e percepita (BÄTZING, 2005). Di recente, in alcune realtà territoriali, si
assiste tuttavia a nuove prospettive di rilancio economico, sociale e culturale delle vallate, associata all’integrazione tra l’afflusso di nuove popolazioni, spesso di provenienza urbana, e la diffusione di un cambio di mentalità tra le popolazioni locali, sempre
più consapevoli della necessità di trovare vie di sviluppo specifiche per la montagna,
fondate sull’innovazione, sulla sostenibilità ambientale e su relazioni nuove, non più di
sudditanza, con le aree urbane.
Quella del rapporto tra nuove popolazioni montane e le prospettive territoriale è la
204
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
chiave di lettura utilizzata in questo breve contributo di riflessione sulle prospettive delle vallate del PNVG e dei territori circostanti.
L‘evoluzione demografica dei comuni del PNVG e di quelle che in questa sede si definiscono terre di mezzo è caratterizzata, nei decenni successivi alla Seconda Guerra Mondiale, che coincidono generalmente con l‘accelerazione di quello che in molti territori
alpini ha assunto i caratteri di un vero «esodo demografico, da una tendenza generalmente negativa, con notevoli differenze tra i diversi comuni. Tra il 1951 e il 2014 hanno
generalmente guadagnato popolazione i comuni della Valle Vigezzo (Trontano, Santa
Maria Maggiore e Malesco) e alcuni dei comuni più prossimi a Verbania (Mergozzo, San
Bernardino Verbano, Cambiasca). Sono invece stati interessati da un declino demografico più o meno marcato i comuni che s‘affacciano sull‘Ossola (Beura-Cardezza, Vogogna e Premosello-Chiovenda), ma soprattutto i comuni più interni della Valle Intrasca
(Aurano e Intragna hanno perso più del 75 % dei propri abitanti) e dei territori che si
addossano al Parco della Val Grande, in particolare Cossogno e Cursolo-Orasso (-80%).
Se si restringe il periodo d‘indagine agli ultimi 25 anni, è possibile notare un‘inversione di tendenza delle dinamiche demografiche, che lascia intuire la presenza in questo
territorio del fenomeno dei nuovi montanari – ovvero di popolazioni che invertendo la tendenza tradizionale all‘emigrazione dalle terre alte, si trasferiscono in un comune montano
– seppur in misura minore rispetto ad altre aree delle Alpi (DEMATTEIS et al, 2014). Le statistiche demografiche mostrano infatti (Tabella 12.2) una dinamica positiva in alcuni dei comuni
interessati dallo spopolamento nel periodo precedente, in particolare nelle valli intrasche e
nel settore meridionale del Parco Nazionale della Val Grande (comuni di Cossogno, Miazzina
e Caprezzo). Anche laddove persiste un decremento della popolazione, questo presenta una
portata inferiore rispetto al periodo precedente. Le ragioni dell‘attrazione di nuove popolazioni nei comuni analizzati sono diverse e riconducibili tanto al fenomeno dei nuovi montanari e degli amenity migrants (MOSS, 2006) in senso stretto, quanto all‘espansione dell‘agglomerato urbano di Verbania nelle valli che la circondano. La definizione di amenity migrants
si riferisce, nel dibattito sulle dinamiche demografiche contemporanee a quelle categorie
di persone che scelgono di trasferirsi in un dato luogo per ragioni prevalentemente legate
all’attrattività di quel territorio, in termini di qualità della vita o gradevolezza paesaggistica,
naturalistica o architettonica. La categoria degli amenity migrants si definisce solitamente in
contrapposizione (in realtà solo parziale) a quella dei cosiddetti economic migrants, ovvero
coloro che cambiano residenza per ragioni prevalentemente economiche o lavorative.
Il fenomeno di ripopolamento osservato in queste aree è legato in gran parte alla pratica di
attività ricettive e agricole che potrebbe inserire anche questa parte di montagna dentro
un percorso di rinascita alpina. Come si legge infatti nei documenti allegati al Programma
di Sviluppo Rurale 2007-2013 della Regione Piemonte, quest‘area è indicata come «uno dei
sistemi interessati da tendenziale transizione positiva: un‘area, cioè, che pur non essendo
L'economia e le società locali
205
stata investita dagli eventi internazionali ed in particolare dall‘evento olimpico, ha avuto la
capacità di intraprendere iniziative di apertura e di integrazione sovra-regionale dei prodotti offerti. Come per le altre aree inserite in tale tipologia, il Programma sottolinea che uno dei
fattori determinanti per il successo della strategia di sviluppo sarà la capacità di tematizzare
le risorse disponibili nell’ambito del turismo estivo e dei prodotti che si attivano attraverso
una più ampia regionalizzazione».
Dunque è dentro questa visione di territorio che è necessario che il Parco passi da una situazione di micro-cosmo territoriale ad alta naturalità ad una condizione di cerniera territoriale
sulla scorta di un cambiamento culturale ormai già in atto nell’arco alpino. Vi è infatti anzitutto un ritorno culturale alla montagna che mette in campo un modo diverso di essere
montanaro fuori dagli stereotipati cliché e oltre la tradizione. «Un ritorno culturale dunque
portato avanti più che altro da ‘abitanti nuovi’ della campagna e della montagna, confermando così l’affermazione di un’identità territoriale che non è sempre uguale a se stessa,
in cui tradizione e innovazione si coniugano per dare vita a nuove forme di territorialità costruita e intenzionale. Ed è in questo ritorno culturale che si consolidano nuove immagini di
paesaggio rurale e montano: questi abitanti nuovi del rurale, montano specialmente, sono
oggi i principali protagonisti della trasformazione, sempre più tangibile e visibile, dei pae-
206
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
Tabella 12.2 Evoluzione demografica
dei centri abitati all‘interno dei confini del
PNVG (fonte: Rapporto Diagnostico del
Parco Nazionale della Val Grande, 2012)
saggi rurali. E questo sta accadendo in diverse forme e in diversi luoghi: dalla ristrutturazione dell’esistente patrimonio immobiliare rurale (spesso abbandonato e vetusto che viene
recuperato con materiali e lavorazioni locali), alla ripresa di antiche coltivazioni che altrimenti sarebbero andate perdute nel tempo, al recupero di vaste porzioni di terra sempre più
sottoposte ad un processo di rinaturalizzazione giustificato come scelta di una wilderness
estrema che in realtà cancella le tracce di un sapiente lavoro di antropizzazione» (BATTAGLINI
e CORRADO, 2014). In questa direzione vanno già progetti come quello della Provincia del
Verbano Cusio Ossola che favoriscono la pratica escursionistica ed i collegamenti tra l’area
laghi, l’area monti, le aree periferiche e gli itinerari transnazionali verso la confinante Svizzera, valorizzando le importanti risorse naturali presenti: dal Parco Nazionale della Val Grande
al Parco dell’Alpe Veglia e Alpe Devero ai percorsi culturali e storici, alla pratica di attività
all’aperto. In questi termini è necessario però agire al fine di costruire politiche di supporto
al cambiamento: incentivando l’attività ricettiva che valorizza il patrimonio naturale, culturale, storico-architettonico (si pensi al discorso dell’albergo diffuso), implementando le occasioni di connessione tra i siti turistici dell’area creando flussi di turismo legati ad un’offerta
lago-monti, sostenendo l’attività agricola e l’allevamento per produzioni di nicchia soprattutto là dove esistono già riconoscimenti importanti come quello di un Parco .
Ad una scala di estremo dettaglio, è molto interessante il dato relativo all‘evoluzione demografica dei due più piccoli centri abitati all‘interno dei confini del Parco (Cicogna, frazione di
Cossogno e Genestredo, frazione di Vogogna), che hanno visto aumentare notevolmente la
propria popolazione negli ultimi 25 anni (tabella 12.1). Al netto della scarsa rilevanza quantitativa di questi dati, può essere particolarmente interessante ai fini di questo contributo una
riflessione sulle ragioni di questa tendenza demografica, sui fattori di attrattività di questi
micro-territori e sulle relazioni tra i nuovi abitanti, il territorio nel quale si sono insediati e il
paesaggio che essi riconoscono, producono e caricano di significati.
Centro abitato
Popolazione totale residente
(1991)
Popolazione totale residente
(2001)
Popolazione totale residente
(2011)
Cicogna
6
13
21
Colloro
178
164
162
Genestredo
9
15
16
Vogogna
centro storico
288
254
235
TOTALE
481
446
434
L'economia e le società locali
207
Un luogo simbolo del nuovo popolamento della Val Grande è la frazione di Cicogna
(comune di Cossogno), dove risiedono tre famiglie (10 residenti, di cui 5 bambini e bambine sotto i 15 anni, su 21 ufficiali, 15 effettivi) che hanno scelto Cicogna come luogo di
vita, provenendo da altri territori (nello specifico, dalla Provincia di Varese).
Il rapporto dei nuovi abitanti di Cicogna con il territorio nel quale hanno scelto di vivere
Fig. 12.8 Torchio a Montuzzo
e il suo paesaggio sono ambivalenti. La metodologia di analisi del rapporto tra i nuovi
abitanti di Cicogna e il paesaggio si è fondata sul metodo dell’intervista in profondità,
lasciando, massima libertà agli intervistati di esporre il proprio punto di vista sul tema,
indirizzando leggermente la discussione attraverso «domande-impulso», in modo da
vedere soddisfatte alcune elementari esigenze conoscitive. Il percorso d’indagine è
stato condotto tenendo presenti i rischi delle metodologie qualitative, di scarso rigore
metodologico e di concessioni a un approccio deduttivo top-down, nel quale i dati e
le informazioni vengono selezionati in funzione della legittimazione delle teorie di partenza (BAILEY, WHITE e PAIN, 1999). Tuttavia, anche l’indagine qualitativa può essere condotta in modo rigoroso e dare luogo a risultati di ricerca solidi e validi anche al di fuori
del microcosmo analizzato (GUALA, 2000; BAXTER ed EYLES, 1997). Tale approccio può
rivelarsi fecondo soprattutto su un tema complesso e fortemente legato alle percezioni
individuali e collettive come il paesaggio, tenendo presenti le parole del geografo inglese GUY ROBINSON (1998): «People as individuals are among the most important sources
of information available to human geographers».
208
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
Da un lato, infatti, la bellezza del paesaggio della Val Grande e la possibilità di realizzare in questo territorio un progetto di vita alternativo a quello imposto dalla grande città e dalla pianura, hanno costituito il principale fattore di attrazione di Cicogna
nei confronti di queste famiglie (arrivate tra la metà degli anni ‚90 e la metà degli anni
2000) e di altre persone provenienti dalla pianura che nel corso degli ultimi anni hanno
provato a trascorrere lunghi periodi in paese, pur senza trasferirsi stabilmente. Il paesaggio della Val Grande, caratterizzato da una naturalità che ha pochi pari in Italia e in
Europa, costituisce anche il fattore di attrazione principale dei turisti, che costituiscono
la principale fonte di reddito dei nuovi cicognini, che dal punto di vista professionale
gestiscono strutture ricettive o producono formaggi e salumi dei quali i turisti sono i
principali acquirenti. Inoltre, i nuovi abitanti sono consapevoli del ruolo che essi possono svolgere nel prendersi cura e mantenere il territorio e il paesaggio, assumendosi il
ruolo di presidi stabili di un‘area altrimenti frequentata quasi esclusivamente come spazio di ricreazione e di sport. Questa consapevolezza della necessità di prendersi cura in
prima persona del territorio, molto diffusa tra i nuovi abitanti per scelta della montagna
(PETTENATI, 2013), nel caso di Cicogna è testimoniata dalla recente istituzione dell‘associazione Cicogna Attiva, attraverso la quale gli abitanti, in accordo con le istituzioni locali, si fanno carico direttamente di piccole manutenzioni a strade o sentieri (taglio delle
piante a bordo strada, sistemazione di piccole frane, manutenzione dei sentieri, etc.),
fondamentali per la loro vita quotidiana e i loro spostamenti. Si tratta di nuova forma di
lavoro comunitario su piccolissima scala tradizionalmente molto diffusa nei contesti rurali, che in questa sua rivisitazione contemporanea apre interessanti prospettive riguardo ad un nuovo rapporto tra le istituzioni e gli abitanti delle aree marginali, nel quale
è tuttavia fondamentale stabilire il confine tra la partecipazione attiva e volontaria alla
cura del territorio da parte degli abitanti e la rinuncia alla gestione delle aree marginali
da parte delle istituzioni.
Dall‘altro lato, la stessa fragilità della montagna, che si manifesta con forte evidenza in
un paesaggio nel quale le tracce dell‘abbandono costituiscono ferite aperte nella trama
territoriale, per quanto reinterpretate in chiave positiva in un‘ottica di wilderness, costituisce uno dei principali motivi di preoccupazione dei nuovi abitanti.
Una questione simbolo dell‘importanza del territorio, inteso in senso fisico, per gli abitanti di Cicogna è quella dell‘unica lunga, stretta e tortuosa strada che collega il paese
al fondovalle, la cui manutenzione è resa sempre più difficile dalla difficile contingenza economica e dall‘assenza di politiche strategiche mirate alla montagna. Senza una
strada adeguatamente curata gli abitanti di Cicogna non possono scendere a valle per
usufruire dei servizi di base (scuole, poste, ecc.) e i turisti non possono accedere alla
frazione e ai sentieri del versante sud del Parco Nazionale, rendendo vani gli sforzi delle
istituzioni e soprattutto degli stessi abitanti per mantenere in vita questo territorio e
L'economia e le società locali
Fig. 12.9 Mungitura della capre
a Corte Merina
209
condannandolo ad essere inghiottito dalla rinaturalizzazione, come già avvenuto agli
alpeggi e alle borgate superiori.
Il delicato rapporto tra montagna abitata e wilderness, che si manifesta in maniera forte
nel paesaggio, ad esempio osservando il netto confine tra i prati e i pascoli curati che
circondano l‘azienda agricola di Corte Merina e il bosco circostante, è l‘elemento chiave
per comprendere questo territorio e per immaginarne il futuro. La naturalità di queste valli non costituisce solo un elemento di attrattività turistica, ma anche un fattore
di grande importanza ecologica ed ecosistemica. Una montagna storicamente abitata come quella alpina, però, è fondamentale che continui a rappresentare allo stesso
tempo uno spazio di vita per popolazioni consapevoli del valore dell‘ambiente che le
circonda e del loro ruolo nel mantenere e curare questo territorio, con azioni misurate
di trasformazione dell‘ambiente e del paesaggio, ad esempio attraverso l‘agricoltura
di montagna, che necessita di azioni mirate, finalizzate a valorizzarne le potenzialità
intervenendo sui suoi bisogni specifici.
Capitolo XIII
211
Riflessioni conclusive
Roberto Gambino
La Val Grande a un bivio
Valori identitari e valori
naturali
Scala di Ragozzale,,
S
ebbene la presente ricerca tenda essenzialmente a proporre una interpretazione
flessibile ed aperta del territorio in esame, i contributi raccolti non possono evitare
di porre in discussione alcune tesi di cruciale importanza per le politiche di conservazione della natura e del patrimonio naturale e culturale. Al centro del percorso argomentativo si colloca infatti un interrogativo di fondo, che riguarda in generale il futuro
delle azioni di tutela, le loro ragioni e le possibili ricadute. Ci si chiede se le politiche
di governo di questo territorio siano di fronte a un bivio, che costringe a scegliere fra
indirizzi e strategie radicalmente alternative, nella consapevolezza che la scelta implica
uno sguardo critico su quella «svolta ambientalista» che ha preso le mosse nella seconda metà del secolo scorso, dando crescente rilievo ai cambiamenti (non solo climatici)
globali, alla crisi strutturale dell’economia mondiale e ai grandi movimenti geopolitici
disegnati dalla fame e dalle guerre. Processi gravidi di effetti locali, sebbene dominati
sempre più dai «salti di scala» di molti problemi ambientali e dalla «deterritorializzazione» dei quadri istituzionali e dei sistemi di potere.
Nel tentativo di cogliere e controllare le nuove dimensioni dei rapporti locali/globali, la presente ricerca ha posto in evidenza la tensione tra i diversi sistemi di valori, emblematicamente riassunta nella contrapposizione, vera o presunta, tra la Wilderness e le identità locali, tra
le ragioni della natura e le percezioni ed aspirazioni degli abitanti. La parola d’ordine che
ha marcato la nascita del Parco e delle riserve è stata assunta, nei discorsi pubblici culminati
nelle scelte istituzionali, come chiave di questa contrapposizione, che muove dalla diversità
della montagna «creata» dalla natura e come tale «protetta» a livello internazionale, rispetto
alla montagna antropizzata, abitata, coltivata, vissuta, percepita e rivendicata dalle comunità locali. Apparentemente, una bipolarizzazione semantica tra idee diverse della Val Grande come paradigma della montagna alpina, in termini non dissimili da quelli osservabili in
tante «aree protette» montane, non solo italiane e non solo europee (come, nei capitoli che
precedono, si è ripetutamente ricordato). Una bipolarizzazione, anzi, che ha radici profonde
nella nascita dei parchi e nel pensiero dei padri fondatori dei movimenti per la difesa della
natura, che assegnano un ruolo fondamentale alle funzioni spirituali, educative e al «public
enjoyment», associandole a quelle propriamente conservative.
212
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
L’allargamento della tutela:
il paesaggio
Riscoprire le funzioni non meramente conservative dei parchi e delle aree protette, secondo gli obiettivi del Parco Nazionale Val Grande come di altri parchi montani, ribadisce quindi il significato complesso delle politiche di tutela. Giusto il contrario di quanto
sembra emergere da vecchi e nuovi orientamenti politici, che vedono nei parchi e nelle
aree protette semplici «isole» di protezione immerse in contesti territoriali crescentemente ostili. La considerazione, estesa ad un territorio ben più ampio del Parco vero
e proprio, di un impasto straordinario di natura e di cultura, gli conferisce una valenza
emblematica, testimoniata dal successo mediatico dell’immagine del Parco. Questo
successo conferma a sua volta la rilevanza strategica del paesaggio, in quanto sintesi
pluridimensionale dei valori del territorio. Sintesi che investe congiuntamente le dimensioni spaziali (che la Convenzione Europea del Paesaggio chiede di estendere a tutto il territorio, non soltanto ad alcune, pur numerose, aree d’eccellenza), le dimensioni
funzionali (che devono abbracciare tutte le politiche e le attività pubbliche in qualche
riflessioni conclusive
213
modo capaci di influire sul paesaggio) e le dimensioni sociali (che devono assicurare
la piena partecipazione delle comunità locali alla costruzione e alla gestione del paesaggio stesso). Sebbene questo triplice allargamento del campo d’attenzione fatichi
tuttora a tradursi in azioni concrete delle istituzioni interessate, sembra difficile negare
che il paradigma paesistico lanciato nel 2000 dal Consiglio d’Europa abbia contribuito a
modificare radicalmente il quadro concettuale di riferimento delle politiche territoriali,
soprattutto per quelle che perseguono obiettivi di qualità, di riequilibrio ambientale o
più in generale di conservazione attiva del patrimonio naturale e culturale. In questo
senso l’esperienza avviata per la Val Grande con strumenti ed iniziative diverse – le Riserve, il Parco, il Geoparco, l’Ecomuseo, la Mostra ed altri ancora – che ruotano attorno
al fulcro del paesaggio, può proporsi come esperienza esemplare, suscettibile di ulteriori sviluppi. Un’esemplarità che tocca temi rilevanti del dibattito internazionale, come
il rapporto tra natura e cultura, tra conservazione e innovazione, tra paesaggio visto e
214
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
vissuto, tra memorie e progetto di futuro, tra beni e contesti, tra soggettività e senso
comune del paesaggio.
Specificità di questa
wilderness «di ritorno»
Ma queste considerazioni non sembrano cogliere appieno la specificità della Val Grande, la
sua «diversità» nel panorama internazionale. Specificità che, ovviamente, ha a che vedere
con le varie declinazioni della wilderness, ma che non si esaurisce nell’ambigua compresenza di valori culturali e naturali. Il fatto che il visitatore della Val Grande, estasiato dalla vista
delle sue quasi inaccessibili pareti di roccia, inciampi senza volerlo in uno dei mille relitti della montagna abitata, non descrive a sufficienza il fascino dei suoi paesaggi, la sua diversità
rispetto a tanti paesaggi montani apparentemente simili. È un fatto che si ripete in molti
parchi montani in forme non troppo diverse. Né bastano a distinguerlo i racconti dei superstiti, le rappresentazioni pittoriche o letterarie, i sedimenti materiali delle civiltà pregresse, le
memorie e le culture dei luoghi: tutte cose che troviamo spesso disseminate nelle storie e
nelle esperienze dei parchi, soprattutto, ma non esclusivamente in Europa, nelle Alpi come
nei Carpazi o negli Appennini. Per cogliere la diversità del nostro Parco, dobbiamo cercare
di capire il significato concreto di quella espressione – «wilderness di ritorno» – che gli è
stata fin dall’inizio attribuita. Dobbiamo chiederci se e quanto sia possibile fondarla sul rico-
riflessioni conclusive
215
noscimento o il disvelamento di caratteri e valori genericamente e staticamente «naturali»,
leggibili in filigrana come dotazioni permanenti del territorio in esame. Caratteri e valori
che costituirebbero per così dire un «dato» oggettivamente rilevabile di questo territorio,
che spetterebbe all’analisi scientifica riscoprire e restituire a forme appropriate di tutela e
fruizione, per assicurarne il «ritorno» tra i beni non disponibili della proprietà comune. In
questa visione riduttiva la wilderness tenderebbe ad identificarsi con le «eccellenze» e
soprattutto con le «invarianze» naturali, soggette a forme rigide e immodificabili di protezione, sottratte per quanto possibile ad ogni processo di cambiamento che non sia volto
alla mera restituzione delle dotazioni originarie. La critica a questa visione non ne ignora la
valenza «politica» e l’efficacia normativa (tanto più preziosa a fronte delle attuali tendenze
alla diffusione insediativa, alla proliferazione di infrastrutture, impianti e manufatti, in sintesi
all’ «abuso di territorio») ma rileva l’inconsistenza pratica e teorica della divisione tra natura
e cultura e tra conservazione e innovazione. Divisione che rende difficili o impraticabili gli
stessi approcci cognitivi su cui basare il riconoscimento della wilderness.
216
Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio
La wilderness come
alternativa strategica:
il paradosso
In realtà questo riconoscimento – premessa di ogni autentico «ritorno» – non può prescindere dai legami assai stretti tra processi naturali e vicende antropiche, ed in particolare dal
supporto insostituibile delle attività agroforestali al mantenimento della wilderness. In questa ipotesi, i cambiamenti paesistici ed ambientali degli ultimi decenni (a partire dalla quasi
scomparsa della pastorizia e dalla rapida espansione dei boschi) influenzano il ritorno della
wilderness non meno di quanto questo possa a sua volta influenzare l’evoluzione complessiva del territorio. Siamo di fronte a un paradosso: il ritorno della wilderness richiede azioni
ed interventi di salvaguardia paesistica o territoriale (si pensi a politiche forestali che facciano
sistematico riferimento alla vegetazione «potenziale» delle diverse aree, oppure alla riorganizzazione delle reti di fruizione e di accessibilità escursionistiche o ricreative) che possono a
loro volta contrastare od ostacolare il ritorno stesso. Questa considerazione conduce ad una
ipotesi di fondo, che colloca la wilderness in posizione dialettica nei confronti dell’insieme
delle politiche di gestione e di valorizzazione della Val Grande. Più precisamente, pensandola come «alternativa strategica» nel quadro degli obiettivi e delle strategie che la governance
di questo territorio intende perseguire. Non si tratta solo di affiancare alle strategie di rilancio
delle culture e delle identità locali, di recupero e di conservazione attiva di una montagna
storicamente abitata, le strategie apposite per la valorizzazione della wilderness. Si tratta
piuttosto di incorporare, nelle scelte di progetto e di gestione complessiva del Parco e del
suo vasto contesto territoriale, l’ «opzione wilderness», valutandone le implicazioni, le conflittualità, le convergenze, i costi e i benefici attesi. È in questo quadro di confronto che possono
prendere consistenza i nuovi rapporti tra locale e globale destinati a qualificare l’innovazione
dello sviluppo socio-economico e territoriale.
Alcuni indizi – i «nuovi montanari» che tornano o che comunque scelgono di abitare nei territori abbandonati della montagna, l’inversione delle dinamiche demografiche in un numero
crescente di comuni, l’innesco di attività economiche «alternative» legate all’ambiente montano, lo sviluppo impetuoso ancorchè limitato delle «amenity economics» – nonostante la
scarsità dei dati disponibili, segnalano l’emergere di una nuova fase di sviluppo, dopo quella
che ha visto i territori della pastorizia e dell’agricoltura svuotati o schiacciati o emarginati dalle forze economiche dominanti. È certo difficile dire se e quali spazi di crescita e di sviluppo
potranno configurarsi per la wilderness: o più precisamente per le attività e le iniziative economiche e sociali basate sull’attrazione esercitata, nei confronti di potenziali visitatori vicini o
lontani, dalle risorse specifiche della wilderness. Ciò che si può ipotizzare è che gran parte di
tali risorse possa o debba essere appetita e fruita dalle popolazioni residenti.
La wilderness come bene
pubblico
Guardare all’opzione wilderness come un’alternativa strategica, che concerne gli spazi della
natura selvaggia, ma anche ogni altra area, dentro ed ai bordi del Parco, in cui offrire questa
peculiare esperienza di vita, consente di evitare almeno in parte gli scogli cognitivi e interpretativi contro i quali hanno cozzato, non solo in Val Grande, le definizioni e i percorsi isti-
riflessioni conclusive
217
tuzionali, a partire dalle delimitazioni ufficiali, spesso basate su criteri statici scientificamente
insostenibili. Ciò detto, è tuttavia interessante notare come l’opzione wilderness incroci i
livelli di tutela e di responsabilità pubblica. Da un lato non sorprende che l’istituzione delle aree wilderness, se ed in quanto basata su criteri scientifici ed oggettivi possa o debba
tradursi in norme, vincoli od invarianze di livello internazionale, nazionale o regionale o comunque sovra locale, che riflettono la rilevanza degli interessi pubblici coinvolti. E simmetricamente è lecito attendersi per le altre opzioni che riguardano il recupero della montagna
abitata, coltivata e fruita, uno spostamento verso gli interessi locali, cui va riconosciuto un
ruolo prioritario o comunque più incisivo. Tuttavia le esperienze e le ricerche hanno fatto
emergere importanti incroci, nella misura in cui ad es. gli attori locali acquistano la consapevolezza dei flussi economici e dei guadagni di immagine derivanti dalla valorizzazione della
wilderness. E inversamente le cronache riportano sempre più spesso i casi di interventi locali che puntano con successo sulla qualità ambientale, la forza delle tradizioni, la solidarietà
comunitaria. È comunque il turismo, in tutte le sue manifestazioni, a costituire il principale
campo d’attenzione per l’evoluzione dei rapporti tra locale e globale. Qui più che in altri
contesti, l’idea stessa della wilderness sfida la contraddizione fondamentale del turismo, fattore ineguagliabile di sviluppo e di apertura dei sistemi locali, ma anche e congiuntamente
di pressioni e di rischi ambientali insostenibili.
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