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Maurizio Gomez Serito "Le pietre utili della Val Grande"

2016, Dal Paesaggio della sussistenza a quello della wilderness a cura di Claudia Cassatella

sua connotazione di «città estiva», di spazi coltivati, di alpeggi «caricati», è ormai silente da decenni. E attraverso il momento del silenzio, ci rammenta Eugenio Turri, si ha il senso del tempo: «così nel silenzio, nell'auscultazione delle voci profonde della natura, ci scopriamo improvvisamente assoggettati al tempo e alla storia, non solo in quanto essere viventi, ma soprattutto-ciò che più contain quanto agenti trasformatori della natura e costruttori di forme. Le quali durano sin quando non decidiamo, spinti dall'ansia di un presente insaziabile, che esse vanno sostituite con nuove forme…» 1. Così il paesaggio della Val Grande osservato oggi, privo di attività, esprime, nel suo essere silente, la sua essenza di spazio connotato di segni e sedimentazioni entro una natura che, nella sua fissità/evoluzione ci fa percepire i fili del tempo. La metafora letteraria della «città estiva» (VANNI OLIVA),-si contavano infatti 178 i diversi corti e alpeggi della Val Grande che si riempivano ed animavano stagionalmente per le diverse attività agro-silvo-pastorali-, lascia dunque il posto alla concretezza del paesaggio percepito oggi nel suo intreccio tra il passato ed il presente, ma anche alla lettura di quella «invisibilità» d'azione di edificatori di paesaggi rurali (richiamati da Carlo Cattaneo prima, e da Eugenio Turri poi, passando per Emilio Sereni), attori del passato che ci introducono ai tempi lunghi della storia, che danno sostanza storica al paesaggio. Sull'archetipo del «paesaggio della sussistenza», contrapposto a quello della wilderness, si è fatto leva per delineare il percorso di ricerca che si presenta con questo nuovo volume della collana Documenta, e per darne sinteticamente il riferimento metodologico di tipo diacronico. Lo svelamento del sistema dei segni, di quanto dà sostanza storica al paesaggio valgrandino e che ci fa parlare di uno specifico paesaggio culturale, e l'ascolto delle voci che di questo paesaggio raccontano, è quanto si è iniziato con la ricerca interdisciplinare svolta con il Dipartimento Interateneo di Scienze, Progetto e Politiche del Territorio (DIST) del Politecnico e dell'Università di Torino. Segni e testimonianze che vanno nella direzione della costruzione di quella geografia della memoria avviata con le precedenti pubblicazioni della collana, ma soprattutto segni che dobbiamo interpretare per raccordarli al nostro agire e/o non agire nel territorio del parco e del suo intorno. Verso un progetto di paesaggio per la Val Grande La necessità di un «progetto di paesaggio», inteso come strumento di conoscenza, di diffusione e di presa di coscienza dei caratteri costitutivi ed evolutivi del territorio valgrandino, è allo stesso tempo fondativo delle finalità della ricerca, e di prospettiva per le azioni future del parco, prima fra tutte quella ecomuseale. L'intento iniziale era infatti quello di formare una maggiore consapevolezza verso il valore di un paesaggio ed i suoi caratteri complessi e processuali, senza ridurlo in facili icone e definizioni, declinandolo essenzialmente entro l'antinomia sussistenza/wilderness. Allo stesso tempo gli elementi di conoscenza e interpretazione possono costituire, come ci ricorda Roberto Gambino nelle sue riflessioni conclusive, non solo il contesto ideale per testare le nuove concezioni del paesaggio, ma finanche per costruire risposte (anche attraverso un progetto di paesaggio) agli interrogativi sottesi alle politiche di governo del territorio del parco in relazione al rapporto wilderness e identità locali, alle 1 E. TURRI (2004), Il paesaggio e il silenzio, Marsilio Venezia, p. 16 Interrogarsi sul paesaggio ragioni della natura e le percezioni ed aspirazioni degli abitanti. Da una parte l'obiettivo della ricerca è stato quello di mettere a punto e sviluppare un processo di lettura diacronica della struttura sistemica del paesaggio a partire da tre linee di approfondimento ed un ambito territoriale di sperimentazione: quello della bassa Val Grande, della Valle Intrasca e della bassa Ossola, ovvero i territori del parco corrispondenti alle cosiddette «terre di mezzo», aree insediate permanentemente sia con abitati stabili, sia con attività stagionali. Le tre linee di analisi, studio e approfondimento dovevano indagare i caratteri geo-strutturali, naturali e culturali del paesaggio dei territori individuati, la formazione e le trasformazioni nel tempo, la sua percezione sociale. Le osservazioni paesistiche e la lettura descrittiva del paesaggio dovevano svolgersi attraverso un approccio multidisciplinare alla conoscenza delle relazioni, delle interconnessioni che legano tra loro fenomeni diversi, sia d'ordine naturale che culturale. I saggi che seguono, danno dunque compiutamente conto di una lettura, interpretazione e classificazione teorico disciplinare per matrici antropiche, matrici naturali, matrici socio-culturali e matrici percettive, ma anche di una identità socio-locale espressa dal lavoro in campo con incontri ed interviste. Nel suo duplice aspetto di apporto tecnico-disciplinare e di rapporto con testimoni del tempo e del territorio (vecchi e nuovi abitanti), la ricerca porta ad alcune riflessioni, le une sulle acquisizioni progressive di più discipline scientifiche all'analisi paesaggistica vuoi nei suoi portati storico rappresentativi (si vedano i capitoli V, VI, e VII su persistenze e variazioni a partire dall'analisi dei catasti storici), vuoi in quelli ecologici, ambientali e insediativi; le altre alle nozioni di cultura e di patrimonio culturale. Quest'ultima, come richiama l'UNESCO in diversi programmi e documenti, si è ampliata notevolmente spostando il baricentro dai monumenti ai beni culturali, dagli oggetti alle idee, dal materiale all'immateriale. Il patrimonio inoltre rimanda a simboli e rappresentazioni, ai «luoghi della memoria», e quindi all'identità. Nell'ottica ecomuseale il patrimonio culturale è, in accordo con H. De Varine, «il risultato, materiale ed immateriale, dell'attività creativa continua e congiunta dell'uomo e della natura: in questo senso lega concretamente il passato al presente e al futuro», diventando quindi anche per il parco e il suo paesaggio «uno scenario e una risorsa per lo sviluppo» 2. La sfera del patrimonio culturale investe l'insieme della sfera comunitaria, quella estetica, quella emotiva e simbolica, oltre che i modi in cui, nella sua manifestazione paesistica, ed in linea con la Convenzione Europea del Paesaggio, è riconosciuto e fatto proprio dalla comunità, e fatto oggetto di progettualità nella sua possibile declinazione ecomuseale, ma non solo. Di sfondo infatti a questo patrimonio culturale sedimentato, che dà sostanza storica al paesaggio, ed una comprensione e interpretazione dei caratteri costitutivi ed evolutivi del territorio valgrandino, c'è il tema cruciale, oggi «identitario», del rapporto con la wilderness. Interrogarsi sul paesaggio Guardiamo al paesaggio per comprendere il senso del nostro agire che concretamente possa incidere sul territorio del parco, ma anche per trovare risposte a quanto origina la cosiddetta «wilderness di ritorno», la Val Grande silente. La conoscenza storica dei processi territoriali, parte tangibile e articolata della ricerca del Dipartimento Interateneo di Scienze, Progetto e Politiche del Territorio (DIST) del Politecnico e dell'Università di Torino insieme a quella interpretativa e comunicativa 3 , unita 2 H. DE VARINE (2005), Le radici del futuro. Il patrimonio culturale al servizio dello sviluppo locale. CLUEB Bologna 3 Si ricorda infatti che il gruppo interdisciplinare di ricerca ha predisposto contenuti e suggerimenti museografici, per l'allestimento della mostra «dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness» realizzata nel 2015 nell'ambito delle iniziative EXPO del parco nazionale, poi divenuta allestimento permanente del Centro visita del parco di Intragna.

A Collana DOCUMENTA PAESAGGIO VIRIDIS SUSSISTENZA A QUELLO DELLA WILDERNESS DAL DELLA LAPIS La necropoli di Craveggia e pietra ollare in Valle VigezzoVal Grande Illaterritorio del Parco Nazionale come di lettura eVal interpretazione Museolaboratorio del Parco Nazionale Grande diacronica del paesaggio a cura di Giuseppina Spagnolo Garzoli a cura di Claudia Cassatella Parco Nazionale Val Grande Collana DOCUMENTA 1. 2. 3. 4. SILVANO CARNESECCHI, Il tempo della buzza, 2011 GIUSEPPINA SPAGNOLO GARZOLI a cura di, Viridis lapis. La necropoli di Craveggia e la pietra ollare in Valle Vigezzo. Museo del Parco Nazionale Val Grande, 2012 FABIO COPIATTI, ELENA POLETTI ECCLESIA a cura di, Messaggi sulla pietra. Censimento e studio delle incisioni rupestri del Parco Nazionale Val Grande, 2014 CLAUDIA CASSATELLA a cura di, Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio, 2016 Collana DOCUMENTA Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio a cura di Claudia Cassatella Parco Nazionale Val Grande Edito da Ente Parco Nazionale Val Grande Ideazione e coordinamento generale: Tullio Bagnati (Parco Nazionale Val Grande), con la collaborazione di Gianni Pizzigoni (Museo del Paesaggio, Verbania) e Barbara Grippa Graphic design: Dario Martinelli Fotografie: Archivio fotografico Enzo Azzoni, Tullio Bagnati, Daniela Boglioni, Fabio Copiatti, Eugenio Galbiati, Giacomo Gallarate, Maurizio Gomez Serito, Raffaele Marini, Cristina Movalli, Giancarlo Martini, Massimo Mattioli, Andrea Mosini, Giancarlo Parazzoli, Manuel Piana, Dino Perrotta, Bianca Maria Seardo, Tim Shaw, Marco Tessaro, Bernhard Herold Thelesklaf, Claudio Venturini Delsolaro, Carlo Zanetta, Marco Zerbinatti Pagine 186-187 riproduzione «Veduta di Intra dal lago» di Luigi Litta, per gentile concessione Libreria Spalavera (Via Ruga / Pallanza/ VB) La pubblicazione dei documenti cartografici è autorizzata dall’Archivio di Stato di Torino (autorizzazione n. 2515/28.28.00-60 del 15.06.2016) e dall’Istituto Geografico Militare (autorizzazione n. 6893 del 03.06.2016) Progetto di ricerca e mostra realizzati nell’ambito del programma EXPO e i Territori, APQ, Delibera CIPE n.49/2014 Ministero dell’Ambiente - Parco Nazionale Val Grande. Azione n. 42 «Ecomuseo delle Valli Intraschae (o Vallintrasche)» della Carta Europea del Turismo Sostenibile (CETS), quinquennio 2013 - 2017. Stampa: Tipolitografia Press Grafica Srl, Gravellona Toce (VB) Copyright © 2016, Parco Nazionale Val Grande e degli autori per i testi. Tutti i diritti riservati ISBN: 9788897068068 Il volume costituisce l’esito della ricerca «Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale della Val Grande come laboratorio di lettura ed interpretazione diacronica del paesaggio», svolta da gennaio a settembre 2016, per incarico dell’Ente Parco, dal Dipartimento Interateneo di Scienze, Progetto e Politiche del Territorio del Politecnico e Università di Torino (DIST) e in particolare dalla Scuola di Specializzazione in Beni Architettonici e del Paesaggio e dal Centro Europeo di Documentazione sulla Pianificazione dei Parchi Naturali (CED-PPN). La ricerca si è avvalsa di numerosi contributi, spesso integrati in modo interdisciplinare. Restando di ciascun autore la responsabilità del proprio scritto, questa nota descrive le competenze che sono state generosamente messe a disposizione del lavoro collettivo. Coordinamento scientifico: Claudia Cassatella (Politecnico di Torino, DIST), Roberto Gambino (Politecnico di Torino, CED-PPN), Carlo Tosco (Scuola di Specializzazione in Beni Architettonici e Paesaggio del Politecnico di Torino, Direttore) Coordinamento operativo: Bianca Maria Seardo (Politecnico di Torino, DIST) Gruppo di ricerca Claudia Cassatella (Politecnico di Torino, DIST), Roberto Gambino (Politecnico di Torino, CEDPPN), Gabriella Negrini (Politecnico di Torino, CED-PPN), Bianca Maria Seardo (Politecnico di Torino, DIST): aspetti pianificatori territoriali e paesaggistici, sintesi paesaggistiche e strutturali; indagine sociale (Bianca Maria Seardo) Federica Corrado (Politecnico di Torino, DIST) e Giacomo Pettenati (Università di Torino, DCPS): aspetti socio-economici e territoriali. Carlo Tosco, Chiara Devoti, Chiara Tanadini (Politecnico di Torino, Scuola di Specializzazione BAeP): aspetti storico-territoriali. Federica Larcher e Lucia Salvatori (Università di Torino, DISAFA): aspetti agro-ecologici. Gabriele Garnero e Paola Guerreschi (Università di Torino, DIST): elaborazioni fotogrammetriche e GIS per l’interpretazione diacronica del paesaggio. Maurizio Gomez Serito (Politecnico di Torino, DIATI): aspetto geologici. Marco Zerbinatti (Politecnico di Torino, DISEG, Scuola di Specializzazione BAeP): aspetti tecnologico-costruttivi del patrimonio costruito. Il curatore e gli autori desiderano ringraziare l’Ente Parco per l’attiva collaborazione alle attività di ricerca e gli abitanti del territorio per la loro disponibilità e preziosa partecipazione all’indagine. Indice Presentazione Interrogarsi sul paesaggio Tullio Bagnati I. La Val Grande tra wilderness, Parco ed Ecomuseo Roberto Gambino II. Wilderness, paesaggio, natura protetta: i termini della questione Claudia Cassatella, Gabriella Negrini III. Il territorio e i suoi valori Bianca Maria Seardo IV. L’interpretazione strutturale del paesaggio Bianca Maria Seardo, Claudia Cassatella, Roberto Gambino Una rassegna tipologica riassuntiva dei paesaggi della Val Grande e delle Vallintrasche I paesaggi della wilderness I paesaggi delle creste I paesaggi dei boschi I paesaggi insediati e coltivati I paesaggi della contemporaneità Il paesaggio del lago V. La Val Grande dal popolamento alla Wilderness: un percorso storico Carlo Tosco VI. Le trasformazioni della struttura territoriale nell’area del Parco della Val Grande. Persistenze e variazioni a partire dai catasti storici. Chiara Devoti Mappare le trasformazioni del territorio: dalla piattaforma per la georeferenziazione dei dati alle carte tematiche Chiara Tanadini VII. Metodologie geomatiche in supporto all’attività di analisi e interpretazione del paesaggio Gabriele Garnero, Paola Guerreschi Volo GAI Ripresa regionale «Ferretti» Ripresa regionale 1991 Ripresa regionale Alluvione 2000 VIII. I paesaggi agroforestali: struttura, qualità e dinamiche. Federica Larcher, Lucia Salvatori Cicogna Intragna Colloro IX. La montagna utilizzata come sistema produttivo Marco Zerbinatti X. Le pietre utili della Val Grande Maurizio Gomez Serito XI. La montagna percepita Claudia Cassatella, Bianca Maria Seardo XII. L’economia e le società locali Federica Corrado, Giacomo Pettenati XIII. Riflessioni conclusive Roberto Gambino Riferimenti bibliografici 6 7 13 21 51 67 72 72 74 76 78 80 82 85 95 109 117 120 120 121 121 133 150 152 154 157 169 177 197 211 219 La presentazione del libro « Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness» è prima di tutto il passaggio conclusivo di un percorso iniziato con EXPO che ha avuto, tra le sue tappe, la mostra dallo stesso titolo e la produzione del video «Terre di Mezzo». In realtà il termine conclusivo non è corretto perché – se da un lato si chiude un percorso- dall’altro se ne apre un altro ben più affascinante e stimolante. La mostra, il cortometraggio, ora il volume con i risultati della ricerca, consentono infatti una serie di riflessioni storiche, sociali, economiche di grande attualità ed utilità anche per definire politiche di conservazione e tutela da un lato, di crescita, identitarie e di sviluppo sostenibile dall’altro. La Val Grande infatti è un territorio che in passato è stato segnato in maniera importante dalla presenza dell’uomo e solo negli anni a partire dal primo dopoguerra si è assistito ad un ritorno allo stato naturale di un territorio in molti ambiti fortemente antropizzato. Il tema della WILDERNESS DI RITORNO quindi è un filo rosso che ci consente di studiare la storia, l’economia, le comunità valgrandine. Ed è questo – a mio modo di vedere – l’altra grande utilità del lavoro iniziato con la mostra che svolta tra le iniziative EXPO vede la sua parziale conclusione con l’edizione di questo libro. Oltre alle dinamiche della wilderness – quindi conservazione e tutela – nel testo si analizzano anche le dinamiche socio economiche delle «Terre di mezzo» mettendo in correlazione valori naturali con valori identitari e di sviluppo sostenibile. Può sembrare una contraddizione ma la vera sfida infatti sarà quella di fare della wilderness una delle leve economiche dello sviluppo locale in cui conservazione e sviluppo sostenibile sono parti dello stesso disegno. Nella realtà ciò sta già avvenendo: nel territorio del Parco sono infatti presenti iniziative imprenditoriali di successo che hanno scommesso sugli elementi distintivi del territorio. E qui si innesta la riflessione finale, forse la più importante di tutte; i ragionamenti fin qui svolti acquistano valore se diventano patrimonio condiviso da parte delle comunità locali che si identificano nella storia del proprio territorio e ne fanno un elemento da cui partire per pianificare crescita e sviluppo futuri. In questo senso il progetto – che nasce anche dal lavoro che ha ispirato questo libro – dell’Ecomuseo delle Terre di Mezzo che ha preso l’avvio e vuole rappresentare non solo un luogo fisico ma soprattutto un luogo ideale in cui le comunità si identificano nella loro storia, nel paesaggio con le sue mutazioni, negli elementi che lo compongono traendo dalla storia gli elementi per pianificare – dal basso – la propria crescita. Buona lettura e buona Val Grande a tutti. Massimo Bocci Presidente Parco Nazionale Val Grande Interrogarsi sul paesaggio La Val Grande, intesa nella sua connotazione di «città estiva», di spazi coltivati, di alpeggi «caricati», è ormai silente da decenni. E attraverso il momento del silenzio, ci rammenta Eugenio Turri, si ha il senso del tempo: «così nel silenzio, nell’auscultazione delle voci profonde della natura, ci scopriamo improvvisamente assoggettati al tempo e alla storia, non solo in quanto essere viventi, ma soprattutto – ciò che più conta – in quanto agenti trasformatori della natura e costruttori di forme. Le quali durano sin quando non decidiamo, spinti dall’ansia di un presente insaziabile, che esse vanno sostituite con nuove forme…»1. Così il paesaggio della Val Grande osservato oggi, privo di attività, esprime, nel suo essere silente, la sua essenza di spazio connotato di segni e sedimentazioni entro una natura che, nella sua fissità/evoluzione ci fa percepire i fili del tempo. La metafora letteraria della «città estiva» (VANNI OLIVA), – si contavano infatti 178 i diversi corti e alpeggi della Val Grande che si riempivano ed animavano stagionalmente per le diverse attività agro-silvo-pastorali –, lascia dunque il posto alla concretezza del paesaggio percepito oggi nel suo intreccio tra il passato ed il presente, ma anche alla lettura di quella «invisibilità» d’azione di edificatori di paesaggi rurali (richiamati da Carlo Cattaneo prima, e da Eugenio Turri poi, passando per Emilio Sereni), attori del passato che ci introducono ai tempi lunghi della storia, che danno sostanza storica al paesaggio. Sull’archetipo del «paesaggio della sussistenza», contrapposto a quello della wilderness, si è fatto leva per delineare il percorso di ricerca che si presenta con questo nuovo volume della collana Documenta, e per darne sinteticamente il riferimento metodologico di tipo diacronico. Lo svelamento del sistema dei segni, di quanto dà sostanza storica al paesaggio valgrandino e che ci fa parlare di uno specifico paesaggio culturale, e l’ascolto delle voci che di questo paesaggio raccontano, è quanto si è iniziato con la ricerca interdisciplinare svolta con il Dipartimento Interateneo di Scienze, Progetto e Politiche del Territorio (DIST) del Politecnico e dell’Università di Torino. Segni e testimonianze che vanno nella direzione della costruzione di quella geografia della memoria avviata con le precedenti pubblicazioni della collana, ma soprattutto segni che dobbiamo interpretare per raccordarli al nostro agire e/o non agire nel territorio del parco e del suo intorno. Verso un progetto di paesaggio per la Val Grande La necessità di un «progetto di paesaggio», inteso come strumento di conoscenza, di diffusione e di presa di coscienza dei caratteri costitutivi ed evolutivi del territorio valgrandino, è allo stesso tempo fondativo delle finalità della ricerca, e di prospettiva per le azioni future del parco, prima fra tutte quella ecomuseale. L’intento iniziale era infatti quello di formare una maggiore consapevolezza verso il valore di un paesaggio ed i suoi caratteri complessi e processuali, senza ridurlo in facili icone e definizioni, declinandolo essenzialmente entro l’antinomia sussistenza/wilderness. Allo stesso tempo gli elementi di conoscenza e interpretazione possono costituire, come ci ricorda Roberto Gambino nelle sue riflessioni conclusive, non solo il contesto ideale per testare le nuove concezioni del paesaggio, ma finanche per costruire risposte (anche attraverso un progetto di paesaggio) agli interrogativi sottesi alle politiche di governo del territorio del parco in relazione al rapporto wilderness e identità locali, alle 1 E. TURRI (2004), Il paesaggio e il silenzio, Marsilio Venezia, p. 16 ragioni della natura e le percezioni ed aspirazioni degli abitanti. Da una parte l’obiettivo della ricerca è stato quello di mettere a punto e sviluppare un processo di lettura diacronica della struttura sistemica del paesaggio a partire da tre linee di approfondimento ed un ambito territoriale di sperimentazione: quello della bassa Val Grande, della Valle Intrasca e della bassa Ossola, ovvero i territori del parco corrispondenti alle cosiddette «terre di mezzo», aree insediate permanentemente sia con abitati stabili, sia con attività stagionali. Le tre linee di analisi, studio e approfondimento dovevano indagare i caratteri geo-strutturali, naturali e culturali del paesaggio dei territori individuati, la formazione e le trasformazioni nel tempo, la sua percezione sociale. Le osservazioni paesistiche e la lettura descrittiva del paesaggio dovevano svolgersi attraverso un approccio multidisciplinare alla conoscenza delle relazioni, delle interconnessioni che legano tra loro fenomeni diversi, sia d’ordine naturale che culturale. I saggi che seguono, danno dunque compiutamente conto di una lettura, interpretazione e classificazione teorico disciplinare per matrici antropiche, matrici naturali, matrici socio-culturali e matrici percettive, ma anche di una identità socio-locale espressa dal lavoro in campo con incontri ed interviste. Nel suo duplice aspetto di apporto tecnico-disciplinare e di rapporto con testimoni del tempo e del territorio (vecchi e nuovi abitanti), la ricerca porta ad alcune riflessioni, le une sulle acquisizioni progressive di più discipline scientifiche all’analisi paesaggistica vuoi nei suoi portati storico rappresentativi (si vedano i capitoli V, VI, e VII su persistenze e variazioni a partire dall’analisi dei catasti storici), vuoi in quelli ecologici, ambientali e insediativi; le altre alle nozioni di cultura e di patrimonio culturale. Quest’ultima, come richiama l’UNESCO in diversi programmi e documenti, si è ampliata notevolmente spostando il baricentro dai monumenti ai beni culturali, dagli oggetti alle idee, dal materiale all’immateriale. Il patrimonio inoltre rimanda a simboli e rappresentazioni, ai «luoghi della memoria», e quindi all’identità. Nell’ottica ecomuseale il patrimonio culturale è, in accordo con H. De Varine, «il risultato, materiale ed immateriale, dell’attività creativa continua e congiunta dell’uomo e della natura: in questo senso lega concretamente il passato al presente e al futuro», diventando quindi anche per il parco e il suo paesaggio «uno scenario e una risorsa per lo sviluppo»2. La sfera del patrimonio culturale investe l’insieme della sfera comunitaria, quella estetica, quella emotiva e simbolica, oltre che i modi in cui, nella sua manifestazione paesistica, ed in linea con la Convenzione Europea del Paesaggio, è riconosciuto e fatto proprio dalla comunità, e fatto oggetto di progettualità nella sua possibile declinazione ecomuseale, ma non solo. Di sfondo infatti a questo patrimonio culturale sedimentato, che dà sostanza storica al paesaggio, ed una comprensione e interpretazione dei caratteri costitutivi ed evolutivi del territorio valgrandino, c’è il tema cruciale, oggi «identitario», del rapporto con la wilderness. Interrogarsi sul paesaggio Guardiamo al paesaggio per comprendere il senso del nostro agire che concretamente possa incidere sul territorio del parco, ma anche per trovare risposte a quanto origina la cosiddetta «wilderness di ritorno», la Val Grande silente. La conoscenza storica dei processi territoriali, parte tangibile e articolata della ricerca del Dipartimento Interateneo di Scienze, Progetto e Politiche del Territorio (DIST) del Politecnico e dell’Università di Torino insieme a quella interpretativa e comunicativa3, unita 2 H. DE VARINE (2005), Le radici del futuro. Il patrimonio culturale al servizio dello sviluppo locale. CLUEB Bologna 3 Si ricorda infatti che il gruppo interdisciplinare di ricerca ha predisposto contenuti e suggerimenti museografici, per l’allestimento della mostra «dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness» realizzata nel 2015 nell’ambito delle iniziative EXPO del parco nazionale, poi divenuta allestimento permanente del Centro visita del parco di Intragna. a nuove acquisizioni istituzionali e disciplinari (in particolare sul tema del rapporto tra capitale naturale e dimensione culturale) ci aiutano ad organizzare su basi più consapevoli il nostro rapporto con il paesaggio. In questa prospettiva due riferimenti sono strategici per l’azione del parco: sotto il profilo dei principi, la Carta di Roma (2014) è oggi lo strumento finalizzato ad aumentare la consapevolezza di quanto sia essenziale, nei processi decisionali, considerare insieme capitale naturale e capitale culturale, nonché a incrementare l’integrazione delle tematiche relative alla biodiversità nelle politiche di settore, anche in un’ottica di sviluppo di una economia sempre più verde; sotto il profilo operativo sono invece le acquisizioni teorico disciplinari del paesaggio come entità multifunzionale complessa, del paesaggio come erogatore di beni e servizi, a costituire i nuovi possibili paradigmi ponte per nuove pratiche gestionali territoriali. Di sfondo a questi rifermenti rimane per altro la particolare connotazione territoriale del parco nazionale e del suo intorno che lo ascrive, a tutti gli effetti, entro quelle che oggi riconosciamo come «aree interne». Ovvero di aree caratterizzate da un capitale territoriale abbandonato o non utilizzato contraddistinto da un’elevata qualità ambientale e importanti risorse naturali (sistemi agricoli, foreste, risorse idriche, paesaggi naturali e umani) e culturali (beni culturali, insediamenti storici, edifici religiosi, piccoli musei, cultura materiale ed immateriale), da elevati costi sociali derivanti dal dissesto idrogeologico, dalla perdita di conoscenze territoriali, di paesaggi peculiari e di coesione sociale; una «cittadinanza limitata» dall’essere spesso distante dai principali centri di offerta di servizi essenziali. Per affrontare i nodi critici delle cosidette aree interne, l’Italia ha adottato, nel 2014, una Strategia Nazionale per le Aree Interne (SNAI), in corso di implementazione attraverso la programmazione 2014-2020 dei fondi comunitari combinati con le risorse dedicate nelle leggi di stabilità e basata su azioni di sistema mirate ad aumentare l’attrattività delle aree che integrino diversi ambiti di intervento e, dall’altro, su azioni specifiche volte a migliorare la vita quotidiana e il benessere dei residenti. Entro tale cornice di sistema si colloca per altro anche una azione specifica del parco che la vede come opportunità di approccio integrato. Si tratta di una scommessa su un aspetto particolare del paesaggio come quello dei terrazzamenti che sembra non averne più: un’azione plurima su una unità di paesaggio particolare nella direzione di un potenziamento e innovazione delle economie locali, valorizzazione del patrimonio e dell’identità culturale, prevenzione e riduzione del rischio idrogeologico, promozione di attività di educazione/formazione e di contenuti innovativi di carattere scientifico e tecnologico, comunicazione e promozione delle risorse e delle potenzialità del territorio. La Carta di Roma sul Capitale Naturale e Culturale Il paradigma paesistico, tra natura e cultura, trova nella Carta di Roma un articolato disposto tra principi d’azione, criteri guida e riferimenti strategici, oltre che cornice istituzionale, utile all’azione del parco. La Carta di Roma, approvata dai Direttori della Natura dell’Unione Europea nel novembre 2104, è infatti una proposta ponte sulle interrelazioni e interazioni tra capitale naturale e culturale. Essa mira a rafforzare le politiche in materia di natura e biodiversità, e a migliorarne l’integrazione con le altre politiche connesse con il territorio e con l’economia. Per la Carta, oltre a rafforzare l’attuazione delle Direttive Habitat e Uccelli e realizzare la visione a lungo termine del 7° Piano d’Azione Ambientale dell’UE, si tratta di considerare di importanza strategica quegli investimenti che sostengono il ripristino e la conservazione del capitale naturale e lo sviluppo di sinergie tra capitale naturale e culturale, come ad esempio la Strategia per le infrastrutture verdi (COM 2013/249). L’obiettivo generale dell’azione è quello di attingere contemporaneamente da questi capitali per generare benefici economici, opportunità di lavoro e sostenere i settori chiave quali il turismo. Anche ovviamente la strategia dell’UE sulla biodiversità (COM 2011/ 244), è di riferimento poiché mira alla protezione dell’ intrinseco valore della biodiversità riferendosi al man- tenimento e alla valorizzazione degli ecosistemi e dei loro servizi promuovendo al tempo stesso coesione economica, territoriale e sociale e salvaguardia del patrimonio culturale dell’UE. In un progetto di paesaggio lungimirante l’agenda della Carta di Roma consente di fissare strategicamente i passaggi operativi. Tre sono i criteri guida ed i nodi di azione verso il capitale naturale: a) migliorare e sostenere le conoscenze scientifiche a livello internazionale, nazionale e locale, incluse ricerche sui benefici arrecati alla società; rendere disponibili le informazioni, i set di dati di qualità per la ricerca e il processo decisionale; mappare, valutare, monitorare, pianificare e gestire gli ecosistemi e i loro servizi; b) investire sul Capitale Naturale per favorire e sostenere una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva; c) garantire la funzionalità degli ecosistemi naturali e integri, poiché ecosistemi sani e resilienti sono in grado di fornire alla società una gamma completa di beni e servizi economicamente valutabili. Due invece i criteri di azione verso il capitale culturale. Da una parte si tratta di legare il capitale culturale e naturale prendendo in considerazione la dimensione sociale e culturale della gestione degli ecosistemi, promuovendo conoscenze adattate a livello locale, collegare benefici, beni e servizi derivanti dagli ecosistemi (offerta) con i modelli della cultura, della società e l’economia (domanda). Dall’altra si devono creare le opportune sinergie tra le infrastrutture verdi, le zone rurali e urbane. Specie, habitat, ecosistemi, unità territoriali e le infrastrutture sono parte di una struttura multifunzionale e spazialmente interconnessa di aree naturali e semi-naturali. In tale contesto assumono rilievo le infrastrutture verdi (ad esempio i terrazzamenti sopra citati) per collegare aree naturali e semi-naturali con le aree urbane e rurali, anche in uno scenario di economia verde in grado di connettere i diversi ambiti naturale, culturale, sociale ed economico. Come si può ben comprendere siamo nell’ambito non solo della tutela e conservazione dei beni naturali e culturali propri della funzione istituzionale di un parco nazionale, ma anche in quello essenziale che mette in campo le scelte ed i metodi degli stessi processi decisionali. I servizi ecosistemici Tra le priorità individuate nella Strategia Nazionale sulla Biodiversità e cruciali nella Carta di Roma, i servizi ecosistemici (SE), che il Millennium Ecosystem Assessment (2005) definisce come «i benefici multipli forniti degli ecosistemi al genere umano», sono per i parchi, e non solo, il nuovo orizzonte strategico operativo per la gestione del capitale naturale riconosciuto ed approvato anche dalle più recenti determinazioni di Governo con l’approvazione del Collegato Ambientale che ne fa uno degli assi strategici per riconsiderare gli stessi termini economici della sostenibilità, supportare strategie di sostenibilità e di perequazione territoriale, anche a fronte dei cambiamenti globali nel breve, medio e lungo periodo. In una crescente complementarietà tra le politiche del paesaggio e quelle della natura il paradigma dei SE può costituire la base per un cambiamento dei termini economici con cui considerare il territorio e i suoi capitali attraverso una governance e una pianificazione territoriale più consapevole del significato dei processi ecologici e più orientata verso una sostenibilità concreta e durevole. Se assumiamo il paesaggio come entità multifunzionale complessa, come sistema di sistemi ambientali, o ecomosaico dove un insieme di patches ne determinano il carattere prevalente e la stessa matrice del paesaggio, ne consegue la sua funzione e lettura anche come erogatore di servizi4: dunque una possibile nuova chiave di lettura della qualità del sistema d’area vasta costituito dal parco e dal suo intorno. Uno spazio per la biodiversità L’attenzione ai servizi ecosistemici costituisce uno spostamento di attenzione e di approccio cruciale anche nella lettura delle dinamiche e delle trasformazioni del territorio e del paesaggio della Val Grande, e della wilderness di ritorno in particolare. Se infatti come richiama sempre Roberto Gambino nelle considerazioni conclusive sugli esiti della ricerca, si assume la wilderness non come «un dato», ma come «un programma», essa potrà essere contestualizzata e valutata rispetto le dinamiche complessive del capitale naturale e della biodiversità in particolare. Attraverso la valutazione di entità, distribuzione e vulnerabilità di quel particolare capitale naturale costituito dalla «widerness», o dal paesaggio della wilderness, è possibile individuare quelle soglie di criticità utili a fissare i limiti e le condizioni di sostenibilità degli interventi e delle trasformazioni pianificabili (il «programma») in un nuovo rapporto e declinazione dell’antinomia paesaggio naturale vs paesaggio culturale, o tra paesaggio della sussistenza e paesaggio della wilderness. Quindi per poter caratterizzare il capitale naturale del parco come elemento strategico per garantirne i servizi ecosistemici (direi forse garantire anche una scala spazio-temporale della sua biodiversità potenziale), in particolare per definirne quella effettiva e particolare funzione di servizio di tipo estetico-percettiva: ovvero di forte sostenibilità del paesaggio come entità multifunzionale complessa. Tullio Bagnati Direttore Parco Nazionale Val Grande 4 R. SANTOLINI (2008), Paesaggio e sostenibilità: i servizi ecosistemici come nuova chiave di lettura della qualità del sistema d’area vasta. In: Riconquistare il Paesaggio, la Convenzione Europea del Paesaggio e la conservazione della biodiversità in Italia, MIUR - WWF Italia, pp. 232-244 12 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio Capitolo I 13 La Val Grande tra wilderness, Parco ed Ecomuseo Roberto Gambino F Fig.1.1 Veduta dell’Alpe Piaggia, Aurano. in dagli accesi dibattiti che prepararono la sua costituzione, l’accostamento alla Val Grande del titolo di «wilderness» non è tanto o soltanto frutto di un riconoscimento neutrale ed oggettivo, quanto piuttosto di un programma di lavoro: una dichiarazione «politica», ancor prima che scientifica e culturale, di un lavoro che si intende compiere, di una meta da raggiungere. È con questo spirito che il Dipartimento DIST del Politecnico e dell’Università di Torino ha accolto la richiesta delle istituzioni interessate a collaborare per lo sviluppo dei progetti di valorizzazione di questa eccezionale risorsa ambientale. È questo il senso della sfida che col presente contributo si è inteso raccogliere, nella consapevolezza dell’utilità e del significato che tale contributo può assumere nell’attuale fase di dibattito e di riflessione sui problemi della conservazione della natura e, più in generale, delle politiche ambientali. Una fase di svolta, forse davvero radicale e «rivoluzionaria», che ha messo impietosamente a nudo i fallimenti di molte speranze ed illusioni, ma anche le crescenti responsabilità della società contemporanea nei confronti delle terre che abita, gestisce e incessantemente riproduce. In questo contesto critico, che mette in questione la possibilità di continuare impunemente a «consumare la natura» e le sue risorse anziché «collaborare» con essa, si colloca l’operazione Val Grande: col tentativo di rovesciare l’atteggiamento fin qui tenuto - volto a sottrarre spazi e risorse alla natura per cederle ai più diversi fini umani - proponendo al suo posto una logica «restitutiva» che miri a contrastare gli squilibri posti in atto dall’uomo e a lasciare alla natura stessa ogni ricerca di nuovi più autonomi equilibri. Un tentativo non certo isolato ma che trova in questa esperienza risonanze emblematiche a livello internazionale. La duplice connotazione della Val Grande - ricca di sedimenti storici ma anche di risorse naturali - ha indotto fin dall’inizio a qualificarla come un’area «wilderness di ritorno». Espressione che costringe a misurarsi con vaste e palesi ambiguità, quali quelle che sorgono dalle complesse intersezioni tra dinamiche della biodiversità e dinamiche degli spazi naturali per effetto dei processi d’abbandono. Sembra quindi imporsi la necessità di un ripensamento della logica di fondo, basando la stessa definizione di «wilderness» non già su precarie condizioni o dotazioni, quanto piuttosto sull’impegno istituzionale a recuperare almeno in parte la «selvaggità» dell’area (se con questa espressione si intende alludere a forme radicali di isolamento, solitudine e silenzio). La wilderness non come un dato ma come un programma. Ed è questa caratteristica evolutiva e programmatica, non già la condizione statica dell’area, a motivarne la connotazione istituzionale. In questo senso, il presente volume 14 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio non intende affermare la necessità di una revisione istituzionale per riconoscere i caratteri evolutivi della wilderness Val Grande, quanto piuttosto la necessità di una interpretazione storicamente argomentata, che valga a chiarire le tappe e le modalità principali di questa evoluzione. È infatti evidente che quanto più il concetto di wilderness si stacca dai dati fisici e spaziali, tanto è maggiore l’esigenza di interpretarlo storicamente, sulla base di accurate analisi diacroniche atte a comprendere l’articolazione sul territorio delle successioni ecosistemiche, delle discontinuità e delle potenzialità evolutive tuttora riscontrabili. Tanto più che la Val Grande, lungi dal costituire un ambito omogeneo, presenta ambiti fortemente differenziati, anche ai fini dell’eventuale enucleazione di ambiti specificamente destinati alla wilderness. Qui, più che altrove, per comprendere la wilderness del territorio è necessario ricostruirne la storia. Queste considerazioni valgono a maggior ragione se si riparte dal percorso istituzionale che ha preso le mosse dalla nascita del Parco su parte della Val Grande - un territorio che, va ricordato, ospita con ampie sovrapposizioni due diverse Riserve naturali, il Parco Nazionale, larghe fasce di contiguità (le «terre di mezzo») e il margine stesso del Lago Maggiore. Va su- La Val Grande tra wilderness, Parco ed Ecomuseo Fig. 1.2 Rio Pogallo, il ponte di Calenesc. 15 bito notato che il percorso istituzionale parte dal Parco Nazionale (categoria di area protetta che fa parte delle sei categorie definite dall’IUCN) e non dà riscontro alla vocazione di wilderness strenuamente attribuita nei dibattiti e nelle proposte scientifiche e culturali per la Val Grande. Certo non è difficile rilevare una continuità ideale tra le concezioni dei Parchi Nazionali quali strumenti di celebrazione della natura, sostenute dai padri fondatori circa a metà dell’’800, e le concezioni della wilderness che hanno accompagnato la nascita del Parco. Tuttavia si tratta di concezioni diverse, che inducono a ricercare approcci interpretativi atti a meglio valutare le intenzioni dei sostenitori della wilderness. A questo scopo, si può guardare al paesaggio come una categoria interpretativa particolarmente utile nel nostro caso, e alla Val Grande come al contesto ideale per testare le nuove concezioni del paesaggio. Concezioni che una letteratura ormai ampia e variegata ha frequentato, strappandole dalle visioni meramente estetizzanti, visibilistiche o descrittive, che pur vantano, soprattutto in Italia, prestigiose tradizioni. Ma è qui importante sottolineare il ruolo complesso che il concetto di paesaggio ha da tempo assunto negli studi e nei dibattiti concernenti il territorio, soprattutto a partire dalla Convenzione Europea del Paesaggio, lan- 16 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio Fig. 1.3 Il Geolab, laboratorio geologico a Vogogna. ciata nel 2000 dal Consiglio d’Europa. Essa infatti impegna a considerare il paesaggio come «componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni, espressione della diversità del loro comune patrimonio culturale e naturale e fondamento della loro identità». Per cogliere il rapporto tra wilderness e paesaggio va notato anzitutto che la Convenzione impegna altresì ad estendere le politiche del paesaggio all’intero territorio e a prendere in considerazione tutte le altre politiche a vario titolo suscettibili di incidere sul paesaggio. Di qui l’importanza della Convenzione (e dei suoi strumenti attuativi) ai fini di quella «territorializzazione del paesaggio» che costituisce una linea portante del presente volume. In Italia infatti, in sede di recepimento della Convenzione, lo strumento chiave per la difesa e la valorizzazione del paesaggio è stato individuato nella pianificazione paesaggistica, affidata alle Regioni, che costituisce il quadro di riferimento strategico e regolativo per ogni altro tipo e livello di piano – compresi i piani dei parchi, fra i quali ovviamente il Piano per il Parco della Val Grande. Lungo questa linea, quindi, si snodano altre considerazioni. Il panorama in cui si situa la Val Grande è più vasto e complesso di quanto non appaia dai perimetri istituzionali, include certo le determinazioni dell’IUCN (che ha classificato il Parco Nazionale come una delle 6 categorie di Aree Naturali Protette proposte fin dal 1994, e che ha altresì riconosciuto altri ambiti d’interesse mondiale, come il Sesia-Val Grande Geopark, incluso nella lista l’UNESCO dei Geoparchi) del Consiglio d’Europa (che ha lanciato nel 2000 la citata Convenzione) e della Comunità Europea (in particolare per la realizzazione della Rete Natura 2000). Se a questi si aggiungono le Regioni, i Comuni ed altri organismi cui spettano competenze rilevanti ai nostri fini (come ALPARC o la Convenzione delle Alpi), è facile osservare che il contesto territoriale interessato dalla Val Grande è ampiamente coperto da studi e documentazioni. Questa constatazione consente di precisare il significato essenzialmente interpretativo della ricerca svolta dal DIST, in particolare nei confronti dei piani sovraordinati, prima di tutto il Piano del Parco (che sovrasta, o addirittura sostituisce in base alla L.394, i La Val Grande tra wilderness, Parco ed Ecomuseo 17 Piani dei Comuni del Parco), il Piano della Performance e le decine di progetti puntuali già avviati o previsti. Questa constatazione sposta l’attenzione dai tradizionali apparati «regolatori» alle forme più innovative di guida, stewardship, visioning ed approcci strategici. Le nuove forme del planning richiedono e consentono condivisioni sugli obiettivi e le strategie da parte dei diversi soggetti che operano, con maggiore o minore autonomia decisionale, sul contesto territoriale interessato. Il presente lavoro si configura come un contributo ad un processo complesso di comunicazione sociale, che può avvalersi di strumenti ed opportunità diversificate, come ecomusei, forum, mostre e «osservatori del paesaggio». Particolarmente significativo il ruolo dell’Ecomuseo, per il quale fin dal 2003 dibattiti ed esperienze, soprattutto nella costruzione della Rete Ecomuseale del Piemonte, hanno messo a fuoco una serie di princìpi-guida, di notevole interesse ai nostri fini, a partire dall’idea che il sistema di valori che l’Ecomuseo intende esprimere non è un dato oggettivamente e neutralmente rilevabile, ma prende senso all’interno di un progetto collettivo di conservazione innovativa. Progetto di auto-valorizzazione endogena che non può cadere dall’alto ma deve nascere dal locale. Come in altri documenti pressoché contemporanei si mise allora in rilievo (non senza equivoci), un nuovo modo di pensare i progetti di tutela e valorizzazione, come processi aperti di interpretazione, immaginazione collettiva e valutazione critica. Se si accetta l’idea che la wilderness della Val Grande non è un semplice dato ma un programma, non è difficile cogliere nell’ampio quadro della cultura del paesaggio, ridisegnato nel 2000 dalla Convenzione Europea del Paesaggio, un’essenziale matrice di riferimento. Spingono in questa direzione alcune circostanze chiave, come il ponte natura-cultura che il paesaggio vi ha storicamente costruito, la rilevanza dei valori scenici, e rappresentativi, il radicamento identitario delle culture locali. Circostanze che convergono a spostare l’attenzione – ai fini della gestione del Parco ma non solo, dagli apparati tradizionali di tutela a salvaguardia di singole risorse e beni comuni, verso i processi e di valorizzazione che possono interessare il territorio nella sua complessità e integrità. Si profila quindi, sulla scia della Convenzione Europea, un contesto denso di rischi ed opportunità di cambiamento, in cui possono a vario titolo interagire le reti delle aree protette ivi compresi i siti Natura 2000) con quelle degli ecomusei e degli osservatori del paesaggio, istituiti ai sensi della Convenzione ed anche del Codice dei beni culturali e del paesaggio. Lungi dal potersi esaurire in approcci inventariali, il riconoscimento dei valori e dei rischi in atto richiede la maturazione di visioni olistiche e sistemiche, suscettibili di riflettere processi aperti e pluralisti di confronto e condivisione. Al centro di tali processi, si può collocare l’«interpretazione strutturale del territorio», luogo di convergenza e di confronto dei contributi scientifici multi-disciplinari, praticato in una relativamente ampia serie di esperienze applicative (incluso il Piano Paesaggistico della Regione Piemonte) e di riflessioni critiche. La motivazione di fondo di questa interpretazione critica è quella di cogliere selettivamente 18 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio nelle realtà territoriali (o più esattamente nel «territorio storico» ereditato) i fattori, i fatti, gli oggetti, le componenti di grande rilievo e di lunga durata, che configurano delle «invarianze» rispetto ai processi generali di modificazione incessante del territorio e su cui si basano prioritariamente le capacità di resistenza e di resilienza. I fenomeni su cui si è concentrata l’attenzione sono principalmente relativi all’assetto geo-morfologico, agro-ecologico, storico-culturale, percettivo-identitario. Essi sono illustrati estesamente nei capitoli di questo volume e poi messi in relazione tra loro nel capitolo sull’interpretazione strutturale, per approdare ad una visione e rappresentazione sintetica. Fermi restando i contenuti e il senso complessivo dell’interpretazione, si è titolato tale capitolo «interpretazione strutturale del paesaggio», poiché il paesaggio è la chiave interpretativa centrale, peraltro sviluppata in un’ottica «territorialista». L’interpretazione offre per ogni assetto paesistico indicazioni atte a sviluppare il processo di conoscenza e pianificazione sopra richiamato, con particolare attenzione per i valori paesistici e storico-culturali connessi ai fattori strutturanti e caratterizzanti del territorio. Vi sono certamente problemi, rischi e potenzialità ambientali, segnalati dal quadro interpretativo, sui quali tali segnalazioni possono considerarsi gravide di implicazioni dirette per i piani e i protocolli di gestione. Ma le indicazioni devono emergere da letture incrociate che tengono conto congiuntamente dei diversi approcci tematici: è il caso dei «dispositivi visivi» che approfittano della peculiare conformazione geomorfologica per proporre le visioni dall’alto, o della singolare «rivelazione» invernale dei paesaggi terrazzati, privati ormai della loro funzione produttiva. Il quadro interpretativo sembra dunque aprirsi in duplice direzione. Da un lato, nel guidare quegli approfondimenti tematici che possono saldare il sapere esperto con i sapere locale. Dall’altro, nell’offrire la possibilità di cogliere direttamente nelle immagini paesistiche le sintesi trans-settoriali che il quadro propone in forma prevalentemente astratta e perciò «da disegnare». La limitazione del quadro interpretativo lascia nell’ombra molti fattori sicuramente rilevanti nella costruzione paesistica. Soprattutto quelli intangibili od immateriali, solo parzialmente qui considerati, che hanno a che fare con le dinamiche sociali, culturali, antropologiche (coi loro rilevanti depositi nelle memorie collettive, nei riti e nelle tradizioni), o quelle che interessano la storia dell’arte o dell’architettura o l’archeologia del paesaggio. Tutti aspetti che potranno a buon diritto rientrare negli sviluppi ulteriori del quadro interpretativo e dei progetti di comunicazione già previsti o prevedibili. Il presente volume offre un primo parziale contributo nel dar voce agli abitanti, mediante una serie di interviste in profondità. Soprattutto ai «nuovi abitanti» che hanno scelto di vivere in Val Grande, nonostante le carenze di servizi e di trasporti. E un altro contributo riguarda il turismo. Si parte qui da una facile constatazione: come in altre aree di montagna l’abbandono dell’alpicoltura e delle altre pratiche agricole tradizionali, unitamente alla crisi La Val Grande tra wilderness, Parco ed Ecomuseo 19 delle attività produttive di fondovalle non è stato bilanciato dallo sviluppo del turismo, se non in poche aree e in forme limitate. Ma nel nostro caso l’impatto economico e ambientale è più complesso. Da un lato le implicazioni dei cambiamenti piuttosto rapidi agro-forestali: ad es. la sospensione della monticazione ha comportato e comporta la riduzione della biodiversità e la «semplificazione» paesistica, anche a danno di quel capitale culturale che si vorrebbe recuperare in nome dell’identità e delle culture locali. Dall’altro lato, l’auspicato sviluppo del turismo sembra trovarsi a un bivio: se orientato alla wilderness (tanto più quanto più se rilanciato a livello internazionale, come sembra possibile) rischia di essere frenato dai tentativi di recupero del patrimonio culturale (ad es. per interventi sulle reti di percorrenza, che non dovrebbero rendere più accessibili le aree più selvagge); se orientato al turismo tradizionale, rischia a sua volta di frenare l’attrattività a scala internazionale della risorsa wilderness. In entrambi i casi, per assicurare una pur limitata reciproca compatibilità alle due bandiere (identità/wilderness) sembra necessario agire con interventi molto cauti sull’insieme delle risorse di comune interesse. Questa considerazione suggerisce un rilievo conclusivo, sul ruolo che la wilderness potrebbe svolgere in funzione dello sviluppo economico, sociale e culturale della Val Grande. A fronte dell’ipotesi di una difficile coabitazione tra le misure per la wilderness e le misure per il rilancio del patrimonio identitario, si può forse immaginare che la wilderness vada pensata come una «alternativa strategica» da giocare - senza sprecarla - nei progetti collettivi di rilancio conservativo, nelle forme e nei modi che la comunità locale sarà in grado di precisare. Capitolo II 21 Wilderness, paesaggio, natura protetta: i termini della questione Claudia Cassatella, Gabriella Negrini1 I nterpretare il territorio cui appartiene il Parco Nazionale della Val Grande mette in tensione i concetti alla base dei nostri paradigmi interpretativi: natura, cultura, paesaggio. Un territorio noto come area wilderness, protetto per motivi naturalistici, frequentato proprio in virtù della sua selvatichezza, ma in realtà un territorio tutt’altro che privo di una storia di antropizzazione. Sfruttamento, abbandono, inselvatichimento: una storia comune a ampie parti del territorio alpino (e non solo). Qui però lo slogan «la wilderness più ampia d’Europa» (coniato nella fase di istituzione del Parco e non esatto, stando ai criteri e ai dati odierni) diventa un motivo di identità e riconoscibilità all’esterno. Ma com’è possibile coniugare l’idea di uno spazio dove l’uomo non interferisce con la natura, con l’idea di un territorio abitato, coltivato, frequentato dal turismo internazionale? Il binomio può tradursi in prospettive di gestione e, auspicabilmente, di sviluppo? Scopo di questo scritto è proporre un’ordinata trattazione dei concetti di wilderness, paesaggio culturale e natura protetta, con riferimento ai paradigmi e alle prospettive affermatesi negli ultimi decenni nel campo della conservazione della natura e del paesaggio a livello internazionale ed europeo, nella prospettiva delle politiche e della gestione del territorio. Dunque una prospettiva orientata, che illumina alcune distinzioni e alcune possibilità, a scapito di alcune sottigliezze concettuali. Il paradigma paesistico, tra natura e cultura Fig. 2.1 Incisioni rupestri a forma di «coppelle», presenti nell’Alpe Prà e nell’Alpe Sassoledo, dimostrano la profondità storica della presenza umana nel territorio della Val Grande. 1 Il primo concetto da esplicitare, perché permea il nostro paradigma interpretativo, è quello di paesaggio. Tra le numerose definizioni di paesaggio, in ragione della sua polisemicità e dell’attenzione da parte di diverse discipline, appare ormai accettata quella che vede nel paesaggio la sintesi tra natura e cultura, una sintesi che può essere «nei fatti» (ovvero, nella materialità di un territorio plasmato da processi naturali ed antropici), o nello sguardo, nell’inevitabile ruolo della percezione in ogni atto di significazione, anche di ambienti completamente naturali (Fig. 2.2). Tutto ciò è espresso in una definizione che ha anche valore giuridico, ovvero la definizione contenuta all’art. 1 della Convenzione Europea del Paesaggio (d’ora in poi, CEP): «Paesaggio designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni» (CoE 2000, Conven- La ricerca di base è stata condotta congiuntamente dalle autrici, tuttavia la stesura dei paragrafi è da attribuire in particolar modo come segue: paragrafo Il paradigma paesistico, tra natura e cultura, a cura di Claudia Cassatella e paragrafo La Natura protetta. Il Parco Nazionale della Val Grande nel sistema delle politiche di protezione della natura, a cura di Gabriella Negrini. 22 Fig. 2.2 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio Paesaggio rurale a Trontano. zione Europea del Paesaggio, Art. 1, a). La CEP, ratificata da 37 paesi del Consiglio d’Europa, è dunque un riferimento importante per le politiche dei paesi europei, non solo nel campo del paesaggio, ma anche di altri settori, come l’ambiente e l’agricoltura. La definizione assunta, tale da applicarsi a ogni tipo di paesaggio (naturale o antropico, urbano o rurale, e così via), invita a considerare un ventaglio di politiche, dalla conservazione, alla gestione, alla pianificazione. Tutto ciò tenendo conto dei valori e delle aspirazioni delle popolazioni interessate, ma anche degli ormai irrinunciabili obiettivi di sostenibilità ambientale. Il concetto di paesaggio, grazie alla sua capacità di sintesi (cui soggiace una più o meno implicita idea di «equilibrio» tra uomo e natura) ha assunto un ruolo sempre più significativo anche nell’elaborazione scientifica e nell’azione politica di organismi che si dedicano, rispettivamente, al patrimonio culturale e a quello naturale. È interessante notare, in particolare, la convergenza di alcune posizioni di UNESCO (United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization), e IUCN (International Union for Conservation of Nature). L’UNESCO, nel definire il «Patrimonio dell’umanità», utilizza le distinte categorie «patrimonio naturale e culturale» (separati o misti) e «paesaggio culturale». I paesaggi culturali rappresentano «il lavoro combinato della natura e dell’uomo» Wilderness, paesaggio, natura protetta: i termini della questione Fig. 2.3 Il processo di gestione del patrimonio naturale e culturale, in prospettiva internazionale (fonte: UNESCO, ICCROM, ICOMOS, IUCN, 2013). 2 23 (UNESCO, 1992, 2015)2. La Convenzione UNESCO (World Heritage Convention, 1972) individua i World Heritage Sites sulla base del concetto selettivo di «valore universale eccezionale», dunque come luoghi unici al mondo. Il concetto di «Paesaggio culturale», più in generale, è invece applicabile estesamente, soprattutto in contesti di antica e intensa antropizzazione, come i nostri. La IUCN utilizza, nella classificazione internazionale delle Aree Protette proposta (1994, 2008), una categoria specifica per quelle aree protette il cui valore è legato all’interazione tra uomo e natura, e tra i cui obiettivi gestionali ha particolare rilevanza la fruizione. Un «paesaggio protetto» (terrestre o marino) è: «Un’area protetta dove l’interazione tra uomo e natura nel corso del tempo ha prodotto un’area di specifico carattere con un significativo valore ecologico, biologico, culturale e scenico, e dove salvaguardare l’integrità di questa interazione è fondamentale per proteggere e sostenere l’area e i suoi valori naturali e diversi» (DUDLEY 2008, traduzione a cura del CED PPN). È interessante notare come in Europa, rispetto al resto del mondo, i «paesaggi protetti» mostrino un trend in crescita e costituiscano la categoria IUCN più rappresentata: considerando 41 paesi EU, circa il 49,9% delle Aree Protette ricadono infatti nella categoria IUCN(V)-Protected Landscapes/Seascapes (fonte: dati European Environment Agency – EEA, Nationally designated areas - CDDA, 2013, elab. CED PPN 2015). Pur con le differenze dovute alla diversa focalizzazione (storia e cultura, o natura; cfr. anche PHILIPS 2005), ciò che accomuna i paesaggi di UNESCO e i «Paesaggi Protetti» di IUCN è una concezione patrimoniale, un’istanza conservativa. Ma anche la consapevolezza del ruolo dell’uomo nella conservazione e gestione dell’ambiente. Un’alleanza possibile e necessaria, secondo gli orientamenti più recenti (GAMBINO, PEANO 2015) e che porta inevitabilmente a ragionare di «gestione» come di un complemento indispensabile alla conservazione. Non a caso, «Managing natural and cultural heritage» è una linea guida esito dello sforzo congiunto di UNESCO, ICOMOS, IUCN. Se guardiamo all’insieme del natural and cultural heritage, non vediamo forse il paesaggio? (Fig.2.3) «Therefore we can see landscape as a meeting ground between: Nature and people – and how these have interacted to create a distinct place; Past and present – and how therefore landscape provides a record of our natural and cultural history; Tangible and intangible values – and how these come together in the landscape to give us a sense of identity.» (PHILLIPS 2005). L’ «approccio paesaggistico» è diventato ormai un modello internazionale nelle politiche delle aree protette della IUCN. Con l’espressione «the protected landscape Secondo la Convenzione tali paesaggi «... sono illustrativi della evoluzione della società umana e degli insediamenti nel tempo, avvenuta sotto l‘influenza dei condizionamenti fisici e/o delle opportunità presentate dall‘ambiente naturale e dalla successive azione dei fattori sociali, economici e culturali, sia interni che esterni» (UNESCO 1992). «Cultural landscapes are cultural properties and represent the ‘combined works of nature and of man’ designated in Article 1 of the Convention. They are illustrative of the evolution of human society and settlement over time, under the influence of the physical constraints and/or opportunities presented by their natural environment and of successive social, economic and cultural forces, both external and internal» (UNESCO 2015). 24 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio fig. 2.4 Lo spettacolo delle creste in Val Grande, dalla Colma Piana al Pizzo Ragno. approach» (BROWN, MITCHELL, BERESFORD 2005) si intende infatti un approccio che riconosce la centralità del ruolo dell’uomo nel prendersi cura dell’ambiente, e nel generare diversità di ambienti e paesaggi. Questo approccio innova il modello tradizionale di gestione: «Protected landscapes are cultural landscapes that have co-evolved with the human societies inhabiting them. They are protected areas based on the interactions of people and nature over time. Living examples of cultural heritage, these landscapes are rich in biological diversity and other natural values not in spite of but rather because of the presence of people. It follows that their future relies on sustaining people’s relationship to the land and its resources» (BROWN, MITCHELL, BERESFORD 2005). Salvaguardare l’interazione tradizionale tra uomo e natura, attraverso forme di sviluppo sostenibile e promuovendo la consapevolezza delle relazioni tra le popolazioni e il proprio paesaggio è tra gli obiettivi delle politiche internazionali per i «paesaggi protetti», enunciato con chiarezza nell’ IUCN World Conservation Congress di Durban 2003, e via via rafforzatosi nei congressi seguenti (fino a Sidney 2014). Da tempo, dunque, nelle politiche per la natura protetta lo sviluppo socioeconomico delle popolazioni è un obiettivo nient’affatto estraneo, da affermare non in astratto, ma ricercando localmente, e nella storia dei luoghi, il significato della presenza umana, il ruolo dell’uomo nell’evoluzione (talvolta, nella diversificazione) degli ecosistemi. La ricerca dell’alleanza uomo natura appare più che mai pertinente nei «paesaggi protetti» (GAMBINO, PEANO 2015; NEGRINI, BONGIOVANNI ivi). Il paradigma paesistico non è limitato ad una visione conservativa, anzi (GAMBINO 1997, GAMBINO, PEANO 2015). Proprio la consapevolezza dell’inevitabile natura dinamica dei processi, siano essi naturali o antropici, e del ruolo e della responsabilità dell’uomo, porta a considerare il progetto, la pianificazione, la creazione di nuovi paesaggi come opzioni possibili ed auspicabili. La ricerca di una sintesi tra ambiente naturale e ambiente antropico, tra diritto di esistenza delle altre specie e aspirazioni delle popolazioni, è dunque l’obiettivo condiviso dalle politiche internazionali in diversi campi, che implica un ruolo attivo dell’uomo. Che cosa succede quando si applica questo paradigma ad aree wilderness? Wilderness, paesaggio, natura protetta: i termini della questione 25 Una prospettiva culturale sulla natura selvaggia: interazioni tra paesaggio e wilderness «As Phillips writes here, ‹[l]andscape is universal. It is found everywhere that people and nature have interacted›. At the same time, our cultural perspective shapes how we understand the idea of landscape, just as it shapes our view of the idea of wilderness. Writing from very different parts of the world, many of the authors here challenge us to broaden our view of landscape, and to consider that many seemingly ‹untouched› lands are, in fact, cultural landscapes» (BROWN, MITCHELL, BERESFORD 2005). In prospettiva culturale, wilderness è un concetto che ha più a che fare con la filosofia che con le scienze naturali. Esso infatti chiama in causa la concezione stessa di natura. Che cos’è «davvero» naturale? L’uomo fa parte della natura? Può vivere in armonia con essa? È possibile conoscere la natura selvaggia? È lecito entrare in contatto con essa, distruggendo così il carattere incontaminato e quindi l’oggetto stesso dell’osservazione? Il fine della conservazione di un habitat giustifica l’interferenza con i processi naturali attuato attraverso la gestione? Questi e altri interrogativi ci pone il concetto di wilderness, ossia quello della natura selvaggia, la natura senza l’uomo. Come premesso, nell’affrontarli trascureremo gli sfondi filosofici e degli immaginari, privilegiando le concezioni che guidano le politiche per la protezione della natura e dell’ambiente. Tuttavia, per utilizzare in modo accorto le categorie e le proposte che circolano in campo politico e tecnico, è utile ricordare le origini del concetto e le sue ambiguità. Come ha ben puntualizzato Nash, la wilderness ha più a che fare con la percezione di un luogo che con le sue qualità biofisiche: «Wilderness is a human construction» (NASH 1967)3. Proprio in virtù dell’importanza della dimensione percettiva, possiamo affermare che wilderness è un concetto più vicino a quello di paesaggio che a quello di ambiente. Wilderness e paesaggio appaiono associati non solo nella considerazione 3 «Civilisation created wilderness»(NASH R. 1967); «The wild West» and the «frontier» were products of the pioneer mind; so was the idea of wilderness» (NASH R. 1976). 26 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio degli studiosi4, ma anche nelle politiche5. La storia del concetto di wilderness nel mondo occidentale, a partire dalle celebri opere di Thoreau, mostra che esso si modifica ma sempre rappresentando un’antitesi anche morale al mondo abitato, alla società umana. «The different perceptions of wilderness essentially have in common that an area is regarded as a moral counter-world to culture» (KIRCHHOFF, VICENZOTTI 2015). Il mondo naturale appare puro, un luogo dove anche l’uomo può ritrovare l’innocenza («L’homme naît bon, c’est la société qui le corrompt», è la celebre tesi di Rousseau), l’armonia («comunione con la natura», eremitaggio...), la spiritualità6. Ma anche fare esperienza dell’estremo, del pericolo, della sfida alle proprie capacità. Più recentemente, è il «diritto di esistenza» delle altre specie, indipendentemente dalle esigenze umane, ad essere invocato. O, al contrario, l’utilità di conservare ambienti nei quali si potrebbe, in futuro, scoprire nuove risorse utili (il valore d’uso categorizzato in «servizi ecosistemici»). A questi concetti si richiamano diversamente movimenti di opinione, associazioni e organismi, come The Wild Foundation, The European Wilderness Society, PanParks, Wild Europe, Mountain Wilderness, European Rewilding Network, o movimenti più generalmente associati alla cosiddetta ecologia profonda. In Italia l’idea di natura allo stato selvaggio è stata sostenuta in particolare dall’Associazione Italiana per la Wilderness (AIW), fondata nel 1985. Proteggere la wilderness «La wilderness è una risorsa che può diminuire ma mai aumentare. Le distruzioni possono essere bloccate o limitate in maniera tale da rendere un’area ancora fruibile per la ricreazione, o per la scienza, o per la fauna, ma la creazione di nuova wilderness nel vero senso della parola è impossibile. Ne consegue, allora, che ogni programma di conservazione che riguardi la widerness è un’azione difensiva, mediante la quale la sua degradazione può essere ridotta al minimo.» (LEOPOLD A. 1949). Gli Stati Uniti (dove, com’è noto, la natura selvaggia è elemento costitutivo delle narrazioni identitarie) sono stati i primi a legiferare sulla protezione della wilderness. Con il Wilderness Act del 1964 viene sancita infatti la preservazione della wilderness e viene creato il National Wilderness Preservation System degli Stati Uniti. Alcuni grandi parchi nazionali, divenuti icona della natura selvaggia, come lo Yosemite, lo Yellowstone, ecc., 4 Da segnalare un recente convegno internazionale sul rapporto tra wilderness e paesaggio: Newcastle University, Landscape Research Group, Landscape wilderness and the wild, Proceedings of the International Conference, Newcastle (23-28 March 2015). 5 Indicativa la Strategia 2015-2021 della EUROPARC Federation (actions 1.3b e 1.3c): «promuovere la wilderness e la protezione dei paesaggi». 6 «La rivalutazione della natura selvaggia è una delle più straordinarie rivoluzioni intellettuali nella storia del pensiero umano riguardo all’atteggiamento verso la terra... Da inferno terrestre, la wilderness è diventata un rifugio di quiete dove i visitatori possono avvicinarsi, felici, alla dimensione divina sull’onda delle parole dell’ambientalista John Muir e delle melodie di John Denver...» (NASH R. 1967). Wilderness, paesaggio, natura protetta: i termini della questione 27 sono nati e gestiti per questa finalità. Questa idea di natura ha influenzato anche l’Europa dove i parchi e le aree naturali protette assumono caratteri dimensionali e ambientali molto diversi. Specifiche leggi sulla protezione delle aree wilderness si riscontrano in USA, Canada, Nuova Zelanda, Australia, Sud Africa, Kenia, Finlandia (fonte: www.ecologiaprofonda.com). Nel contesto delle politiche europee e comunitarie, la promozione della wilderness è oggetto della risoluzione del Parlamento Europeo (2008/2210(NI) on Wilderness in Europe)7, delle EU Guidelines on Wilderness in Natura 2000 del 2013, della Strategia 20152021 della EUROPARC Federation (actions 1.3b e 1.3c): «promuovere la wilderness e la protezione dei paesaggi». Tra i paesi europei che si sono impegnati nella protezione della wilderness si possono richiamare in particolare, la Scozia, dove il National Trust ha sviluppato una politica di protezione delle wild land fin dagli inizi del secolo scorso, e la Finlandia, unico paese europeo ad aver legiferato in tema di wilderness con l’emanazione del Act on Wilderness Reserves del 19918. In Italia la wilderness, come categoria di tutela, non è istituzionalmente riconosciuta dalla legge quadro nazionale sulle aree protette (Legge n°394/91) e non esistono aree naturali protette classificate nella categoria IUCN (Ib)-Wilderness Area (cfr. par. 2.2). La wilderness nel mondo Ma quanta superficie terrestre è interessata da aree wild? Naturalmente, la risposta dipende dalla definizione adottata. In prima istanza, è possibile calcolare l’estensione delle aree soggette a protezione proprio in virtù dei provvedimenti citati. Un riferimento importante è costituito dalla classificazione, non normativa, proposta dalla IUCN (The International Union for Conservation of Nature) per le Aree Protette. La IUCN propone 6 categorie di Aree Protette, legate non solo alle caratteristiche intrinseche, ma soprattutto agli obiettivi gestionali (DUDLEY 2008; cfr. par. 2.2). Le Aree Protette classificate in categoria (Ib)-Wilderness Area, «Sono aree generalmente vaste, intatte o poco modificate, che mantengono il loro carattere e ruolo naturale, senza abitazioni umane permanenti o significative, protette e gestite in modo da preservare le loro condizioni naturali» (DUDLEY 2008, traduzione del CED PPN). Nella categoria Ib è classificato solo il 4% delle aree protette istituite a livello europeo, presenti prevalentemente nel Nord Europa9. Con una semplificazione, si possono ac- 7 La risoluzione nasce dal messaggio di Praga (Prague Conference on Wilderness and Large Natural Habitat Areas, COLEMAN A., AYKROYD T. 2009), ed ha avuto per conseguenza la promozione di studi per definire, monitorare e promuovere la wilderness in Europa (Alterra et al. 2012, EU 2012, EU 2014). 8 Attraverso questo atto sono state designate 12 wilderness areas nei territori della Lapponia, per una superficie di 1.490.300 ha con la finalità di conservare la natura selvaggia, preservare la cultura e le tradizioni del popolo Sámi. 9 La wilderness è ancora presente in alcuni luoghi, in particolare in alcune parti della Finlandia, Svezia, Norvegia, Ucraina e Russia Occidentale e nei sistemi montuosi dell’Europa centrale e meridionale (EEA 2012; Wild Europe, EC 2010). 28 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio costare le Aree Protette classificate in categoria (Ia)-Strict Nature Reserve (2%) e in categoria (II)-National Park (14%) (dati EEA-CDDA 2013, elaborazione CED PPN 2015, 41 Paesi EU) (Fig.2.5). Con riferimento all’Italia, nelle categorie (Ia)-Strict Nature Reserve e (II)-National Park, ricadono rispettivamente circa l’1,8% e il 44,4% del territorio protetto nazionale. Come si è detto, queste percentuali rappresentano solo un sottoinsieme della wilderness: quella parte protetta come tale dalle legislazioni nazionali (infatti l’Italia, che non ha una categoria simile nella propria legislazione nazionale, non può classificare come tale il Parco Nazionale Val Grande o altre aree). Per una visione più globale, occorre scegliere criteri ed indicatori misurabili. Fig. 2.5 Le Aree Protette in Europa (41 paesi), suddivise per categorie IUCN (fonte: European Environmental AgencyCDDA 2013, elaborazione CED PPN, 2015). Definizioni e criteri In realtà, è impossibile trovare un set di criteri che non porti in sé un progetto implicito. Inoltre, la letteratura propone soprattutto criteri elaborati per l’implementazione delle politiche di protezione (ad esempio, EU 2012). Il lessico si articola e si amplia: wilderness, wildness, wild, second wilderness e rewilding, ... le distinzioni consentono di articolare opzioni e strategie differenziate. Nel 1964, The US Wilderness Act definisce la wilderness «Una zona dove la terra e la relativa comunità vivente non sono ostacolate dalla presenza dell’uomo; in cui l’uomo stesso è un ospite che non rimane, ma se ne va subito» (traduzione V. GIULIANO 2004). Una definizione che afferma un principio e un obiettivo. Nel 2013, l’Unione Europea adotta una definizione più articolata, più tecnica che di principî: «Wilderness è un’area governata da processi naturali. È composta da specie ed habitat nativi, e sufficientemente ampia per il funzionamento ecologico dei processi naturali. È immodificata, o lievemente modificata, e priva di attività intrusive o estrattive, insediamenti, infrastrutture o disturbi visivi dovuti all’uomo» (EU 2013: 10, trad. ns)10. «La definizione include quattro qualità della wilderness: a) naturalità, b) assenza di disturbi, c) assenza di insediamenti e d) scala; una variabile generale e mutevole che, per definizione, è centrale per il concetto di wilderness»11 (EU 2013). A partire dalle Linee guida dell’EU (2013) si possono elencare i seguenti criteri: • vasta area naturale; • immodificata; • conservazione delle condizioni naturali; 10 «A wilderness is an area governed by natural processes. It is composed of native habitats and species, and large enough for the effective ecological functioning of natural processes. It is unmodified or only slightly modified and without intrusive or extractive human activity, settlements, infrastructure or visual disturbance». 11 «Wild areas refer generally to large areas of existing or potential natural habitat, recognizing the desiderability of progressing over time through increased stages of naturalness – via restoration of native vegetation and moving towards natural rather than built infrastructure»… Wilderness, paesaggio, natura protetta: i termini della questione • • • • • • • 29 prevalenza delle forze naturali; evoluzione spontanea della natura; predominanza dei processi ecologici; autonomia dei processi ecologici; nessuna presenza o intervento dell’uomo ; assenza di abitazioni permanenti; assenza di infrastrutture. Criteri così rigorosi limitano la possibilità di applicazione nel contesto europeo. Nello stesso documento dell’EU si allarga dunque l’attenzione anche alle wild areas, che rispondono solo ad alcuni dei criteri dati, aree eventualmente più piccole, ma dove l’obiettivo delle politiche è proprio ripristinare o raggiungere uno stato più naturale, tipicamente un habitat potenziale12. Entra dunque in gioco un «progetto» di wilderness, o meglio, di naturalità. Nelle definizioni della wilderness, oltre ai criteri biologici hanno un peso crescente i fattori culturali, legati alla percezione, alla fruizione e alla rappresentazione dei luoghi: del resto, la stessa wilderness come precedentemente richiamato è una costruzione umana. Nelle citate Linee guida dell’Unione Europea (EU 2013) si richiamano, accanto ai criteri biologici, le seguenti qualità delle aree wild: • opportunità straordinaria di fare esperienza della solitudine, o di un’esperienza «primitiva»; • esperienza spirituale; • wilderness come qualità attribuita dalla società. Per facilitare l’adozione di strategie coordinate, a livello europeo è stato proposto uno standard comune: l’European Wilderness Quality Standard and Audit System (EU 2014). Esso riguarda sia aree selvagge sia aree rinaturalizzate. Infatti, alla base vi è il riconoscimento dell’esistenza di un «wilderness continuum» (LESSLIE E TAYLOR 1985), e la volontà di sostenere azioni di rewilding, anche in contesti precedentemente compromessi13 (Fig. 2.6). 12 «The term ‘wild area’ is used for sites in protected areas and outside protected areas where only some of the wilderness qualities are found, where the conservation objectives aim at achieving only part of the wilderness qualities, or where the objective is to fully restore natural processes and features with the aim to extend the wilderness core zone.» (EU 2013: 12) «Wild areas refer generally to large areas of existing or potential natural habitat, recognizing the desiderability of progressing over time through increased stages of naturalness – via restoration of native vegetation and moving towards natural rather than built infrastructure» (EU, Wild Life 2009; EEA 2010). 13 Secondo la EU Resolution «Calls on the Commission and the Member States to develop wilderness areas; stresses the need for the provision of special funding for reducing fragmentation, careful management of re-wilding areas, development of compensation mechanisms and programmes, raising awareness, building understanding and introducing wilderness-related concepts such as the role of free natural processes and structural elements resulting from such processes into the monitoring and measurement of favourable conservation status; considers that this work should be carried out in cooperation with the local population and other stakeholders». 30 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio Fig. 2.6 Il grado di «wilderness» in Europa, secondo il Wilderness Quality Index dell’Unione Europea. In verde le aree a maggiore naturalità (fonte: EU 2014). Wilderness, paesaggio, natura protetta: i termini della questione Fig. 2.7 Da sinistra: Cappella di Terza, Laurasca dal bivacco Scaredi, Torrente San Bernardino. 31 Agire o non agire? Dalla teoria alla pratica Come si è visto, nel contesto europeo è piuttosto accettata l’idea di un’azione antropica che interferisca a favore della natura selvaggia. Ciò ha naturalmente a che fare con le caratteristiche del continente. In altri contesti, si è potuto osservare come la presenza umana (di popolazioni native in condizioni «primitive») faccia parte dei cicli ecologici (che si vogliano o meno considerare «equilibri»). Sono noti anche casi in cui, con l’istituzione di parchi, i soggetti gestori hanno dovuto ripristinare o simulare pratiche, un tempo proprie delle popolazioni indigene, essenziali per il mantenimento degli habitat (ad esempio, incendi periodici, oppure attività di pascolo). In sintesi, la gestione di un’area protetta ai fini del mantenimento della wilderness pone la situazione paradossale di agire per mantenere uno stato (o un processo) e interferire con qualcosa che si vorrebbe, per definizione, remoto e intoccato. Senza contare il fatto che l’interferenza umana può essere indiretta (come mostrano i fenomeni di inquinamento e i cambiamenti climatici). La pianificazione delle aree protette interviene per guidare il processo, nello spazio e nel tempo, articolandolo nello spazio. In Italia, in particolare, la designazione di riserve naturali (integrali o meno), o di aree di riserva naturale all’interno di aree protette più vaste, risponde all’obiettivo di impedire ogni attività antropica, e persino l’accesso (salvo casi eccezionali, e motivi di ricerca scientifica)14. Come già richiamato, non essendo riconosciute esplicitamente come categoria di area protetta nella legislazione nazionale, le aree wilderness sono generalmente comprese nelle riserve e nei parchi nazionali. Tuttavia, una wilderness totalmente sottratta all’accesso di visitatori non fornisce più quell’esperienza che è alla base stessa delle motivazioni di tutela. Come abbiamo visto, se è vero che è ormai diffusa la consapevolezza del valore di esistenza delle altre specie, è però vero 14 L’articolo 2 (Classificazione delle aree naturali protette) della legge quadro sulle aree protette 394/91 definisce le riserve naturali (statali e regionali) come segue: «Le riserve naturali sono costituite da aree terrestri, fluviali, lacuali o marine che contengono una o più specie naturalisticamente rilevanti della flora e della fauna, ovvero presentino uno o più ecosistemi importanti per le diversità biologiche o per la conservazione delle risorse genetiche. Le riserve naturali possono essere statali o regionali in base alla rilevanza degli interessi in esse rappresentati» (art. 2, comma 3). 32 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio che la sensibilizzazione del pubblico è favorita dalla conoscenza diretta, e il sostegno alle politiche di protezione è rafforzato da quei servizi ecosistemici, chiamati «servizi culturali»: esperienza estetica, spirituale, ricreazione, didattica...15 (Fig. 2.7). La ricerca di soluzioni, teoriche e pratiche, a questo dilemma accompagna il secolo e mezzo di storia dei parchi. In tutte le altre aree protette, vi sono regole da rispettare per accedere senza alterare gli habitat o comunque limitando la propria «impronta». Le soluzioni spesso sono assai puntuali, specifiche e diverse quanto sono gli habitat: da meccanismi di visione a distanza, a passerelle sospese tra le fronde della foresta (canopy walkway) o su delicati habitat umidi. In sintesi, l’interdizione completa non è più la sola opzione possibile. La «seconda wilderness» Le considerazioni precedenti assumono ancora nuovi significati nelle situazioni in cui la natura selvaggia è, prevalentemente, una rappresentazione umana e non corrisponde ad una significativa qualità biologica. È ben noto come ambienti disturbati dall’azione antropica possano essere ricolonizzati da specie invasive, talvolta esotiche, portando ad ecosistemi non particolarmente ricchi in biodiversità o addirittura degradati rispetto alla situazione precedente. Eppure, nella percezione comune essi possono apparire «più verdi». Anche quando il sistema evolve verso la vegetazione potenziale dell’area, avviene che ad una diversità di ambienti si sostituisce un solo tipo di habitat: è il caso di vaste aree alpine, in cui l’abbandono di pascoli e coltivi ha favorito la ripresa del bosco, causando la perdita di radure e fasce ecotonali. I casi di studio, in cui la perdita di biodiversità è stata monitorata, sono ormai numerosi. Così come sono state elaborate tecniche di restoration ecology per favorire invece lo sviluppo di nuovi ecosistemi, tanto alla micro quanto alla macroscala (si pensi ai progetti di reti ecologiche a scala nazionale in Germania). In questi casi, siamo di fronte a luoghi in cui prevalgono i processi naturali, anche se precedentemente toccati dall’uomo. Luoghi non remoti, ma accessibili, certo più facilmente di altre aree wild. Luoghi che hanno un buon potenziale per accogliere forme di ecoturismo. L’approccio ecoturistico (un turismo ad orientamento ecologico e naturalistico)16 è in costante aumento a livello internazionale; è un turismo di scoperta, che risponde anche alle strategie di coniugazione tra conservazione e sviluppo di ambienti peculiari, di scarse risorse, come quelli montani. Dunque, le iniziative di rewilding (con finalità ecologiche), insieme a quelle di ecoturismo 15 «Except for uninhabitable archaeological remains Wilderness areas represent a vital element of Europe’s natural and cultural heritage. In addition to their intrinsic value, they offer the opportunity for people to experience the spiritual quality of nature in the widest experiential sense - beyond mere physical and visual attributes, and in particular its psychological impact.They also provide important economic, social and environmental benefits, including ecosystem services, for local communities, landholders and society at large.» (European Union 2012). 16 L’ecoturismo può essere definito «…Un viaggio ecologicamente responsabile e una visita ad aree naturali relativamente indisturbate per godere e apprezzare la natura (e ogni dotazione culturale collegata, sia storica che attuale), un viaggio che promuove la conservazione, riduce al minimo l’impatto negativo dei visitatori e stimola il coinvolgimento della popolazione locale nella condivisione dei benefici socio-economici» (CEBALLOS-LASCURÀIN, IUCN 1996, citato in NICCOLINI F., MARZO D. 2012). Wilderness, paesaggio, natura protetta: i termini della questione 33 (con finalità ricreative), appaiono una prospettiva particolarmente interessante per generare insieme nuovi paesaggi della wilderness. Paesaggi della wilderness in Val Grande e valli intrasche. Un esempio emblematico Il Parco Nazionale della Val Grande è un esempio significativo non di «wilderness» in senso stretto, bensì dei processi attraverso i quali la wilderness si è imposta nel territorio, creando paesaggi fisici e mentali. Questa immagine di naturalità dell’area, fortemente sostenuta dall’Associazione Italiana Wilderness nel momento della candidatura dell’area protetta, è divenuta un’immagine emblematica e distintiva rispetto ad altre Aree Protette, anche di maggiore estensione. Tuttavia, si tratta di un’estesa «wilderness di ritorno» che fa seguito all’abbandono da parte dell’uomo da quasi cinquanta anni, dopo secoli di profonda e articolata attività antropica i cui segni sono ancora in parte visibili nel territorio del Parco: non vi sono boschi che non siano stati, in passato, sfruttati o coltivati. Infatti, l’area è stata abitata fin dall’epoca preistorica, come dimostrano anche le incisioni rupestri (una di queste è stilizzata nel logo del Parco). I territorio è stato a più riprese coltivato, attraversato, fruito, rappresentato e narrato: paesaggio naturale o piuttosto paesaggio culturale? Wilderness, ma nel senso tratteggiato nei paragrafi precedenti: in una certa misura, la wilderness della Val Grande è uno stato d’animo, da cui deriva un obiettivo delle politiche di tutela. Lo slogan celebrativo del Parco Nazionale Val Grande («L’area wilderness più grande d’Italia») apre un problema rilevante, quello della dimensione. Si può evidenziare come la superficie della parte di territorio del parco destinata a riserva naturale, di circa 3.400 ettari (comprendente le due riserve del Pedum e del Mottac), si avvicini alla superficie media europea delle Aree Protette classificate nella categoria IUCN (Ib)-Wilderness area (3.296,47 ha, CED PPN 2015). Molte delle aree che oggi consideriamo ‘naturali’ sono, in realtà, «rinaturalizzate», ovvero frutto di processi di inselvatichimento, seguito all’abbandono del pascolo, dello sfruttamento del bosco, delle coltivazioni e degli insediamenti. Non sempre la wilderness è sinonimo di qualità ecologica e di biodiversità, dipende infatti dalla qualità dei processi di rinaturalizzazione. «Il territorio del parco presenta peculiarità floristiche e vegetazionali solo in relazione alle aree che anche un tempo non erano utilizzate e cioè alle forre e a tutte le aree rocciose più o meno umide, ai boschi ripariali montani, ai pascoli alpini di alta quota e alle poche zone umide» (dal Piano Direttore del PNVG). I processi di rinaturalizzazione non interessano solo l’area protetta, ma anche valli limitrofe, le valli intrasche. Queste, tra val Grande, val d’Ossola e lago Maggiore, presentano nuclei spopolati e terrazzamenti, segni ormai illeggibili sotto il bosco di un passato di territorio abitato. Accettare la dinamica dei processi di rinaturalizzazione, allargan- 34 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio do ulteriormente la seconda wilderness? Senza intervenire, o cercando di indirizzare i processi? Provare ad invertire la dinamica, a partire da processi economici e territoriali (nuovi abitanti, ecoturismo), è davvero plausibile, o il processo è giunto ad un punto di non ritorno? Le dinamiche evolutive di molte aree montane del nostro paese disegnano traiettorie analoghe, perciò il Parco può essere considerato «un laboratorio di analisi e previsione per territori più ampi» (dal Piano direttore del PNVG). La Natura protetta. Il Parco Nazionale della Val Grande nel sistema delle politiche di protezione della natura Il tema qui affrontato riguarda la natura protetta: l’uomo che si prende cura della natura. Nel quadro del percorso evolutivo delle politiche di conservazione della natura a livello internazionale, si introduce la storia istituzionale del Parco Nazionale della Val Grande, contestualizzando il Parco nei sistemi delle Aree Protette alle diverse scale: europea, comunitaria, alpina, nazionale, regionale e locale. Fig. 2.8 Il logo del parco, stilizzazione dell’incisione rupestre alberiforme all’Alpe Sassoledo, rappresenta allo stesso tempo l’uomo e la natura. Progetto del designer F. Bellato 1995. Da Riserva naturale integrale a Parco Nazionale. Nascita e crescita delle politiche di tutela in Val Grande. Il progetto di tutela per il territorio della Val Grande ha radici piuttosto lontane. La fine del taglio dei boschi, iniziato nel XIV secolo e l’abbandono degli alpeggi alla fine degli anni ’60 hanno contribuito all’acquisto di gran parte del territorio da parte dello Stato, affidandone la vigilanza al Corpo Forestale. Risale infatti alla metà degli anni ’50 la prima proposta di creazione di una vasta area di foresta di proprietà dello Stato (VALSESIA 2008). Nel 1967 (con decreto attuativo del 1971) viene istituita la Riserva Naturale Integrale della Val Grande, più nota come «Riserva naturale integrale del Pedum»: caratterizzata dall’articolato massiccio montuoso del Pedum, «la cima più ricca di fascino e mistero della Val Grande», dall’aspetto arcigno e imponente, connotata dalla forma a triangolo, la riserva si estende tra i 550 m. e i 2111 m. e copre una superficie di 973 ettari (VALSESIA 2008) (Fig.2.9). Wilderness, paesaggio, natura protetta: i termini della questione Fig. 2.9 A sinistra: Pogallo, luogo emblematico del processo di rinaturalizzazione conseguente all’abbandono; accanto il Monte Pedum, la montagna «simbolo» della Val Grande. 35 Come recita il decreto ministeriale istitutivo «tale zona, di difficile accesso, ricca di acque, comprende boschi naturali, di conifere e latifoglie, anche plurisecolari, ed è racchiusa entro contrafforti rocciosi ed eccelse cime che presentano condizioni ideali di rifugio e di nidificazione per l’aquila e il camoscio». Questa forma di protezione implica uno stretto regime di tutela, entro il suo perimetro infatti «è consentito l’accesso esclusivamente per ragioni di studio, per compiti amministrativi e di vigilanza, restando vietata qualsiasi attività antropica» (art. 2). Successivamente, nel 1970 (con decreto attuativo del 1971), viene istituita la Riserva Naturale Orientata del Monte Mottac, che si estende tra i 900 m e i 2256 m con una superficie di 2410 ettari. Come rileva il decreto istitutivo «tale territorio, adiacente alla Riserva del Pedum, di cui costituisce una fascia di protezione, è di notevole importanza dal punto di vista botanico-ecologico, ed è considerato un campione unitario rappresentativo degli orizzonti vegetazionali delle Alpi Centrali italiane». Per questa nuova categoria di protezione il regime di tutela risulta meno rigido, entro il perimetro della riserva infatti «è consentito l’accesso esclusivamente per ragioni di studio, per fini educativi, per escursioni naturalistiche, per compiti amministrativi e di vigilanza, nonché ricostituivi di equilibri naturali, restando vietata qualsiasi altra attività antropica» (art. 2). (VALSESIA 2008). Il progetto di tutela continua nel corso degli anni ’70 e ’80 con l’idea di creare una vasta area per la tutela e la fruizione, un parco naturale, «un polmone alpino» per Novara, Varese e Milano, a circa 100 km. La Val Grande, considerata «la più bella e più vasta wilderness italiana», viene individuata come Area Wilderness di interesse internazionale e proposta come prima Area Wilderness d’Europa, anche grazie al sostegno dell’Associazione Italiana per la Wilder- 36 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio Fig. 2.10 La tutela e la gestione del territorio è esercitata, dal 1992, anno della sua istituzione, dal Parco Nazionale Val Grande. ness (AIW), che dagli anni ‘80 è impegnata nella diffusione della filosofia wilderness (secondo la quale «la natura vada conservata in quanto valore di per sé e patrimonio spirituale per l’uomo») e nella sua concreta applicazione, anche a livello nazionale17. «[La Val Grande] una zona con valori di wilderness che deve essere salvata ad ogni costo, un luogo unico che non ha eguali non solo da noi ma anche in molte nazioni europee. Esso rappresenta una rarità, un’isola sopravvissuta all’incalzare della civiltà» (ZUNINO F. citato in: VALSESIA T. 2008, p. 51). L’idea di creare un Parco Nazionale trova concretizzazione nel 1992, con la legge quadro nazionale sulle aree naturali protette (L. 394/91). Viene così istituito il Parco Nazionale della Val Grande, ampliando il territorio precedentemente incluso nelle due Riserve Naturali statali, su una superficie di circa 12.000 ettari, comprendente il bacino orografico della Val Grande e della Val Pogallo, all’interno della Provincia del Verbano-Cusio-Ossola. Successivamente, con il decreto del 1998, la superficie del Parco viene ampliata, anche su richiesta delle autorità locali e della popolazione, interessando una superficie di 14.598 ha. Il territorio si allarga venendo a comprendere le «Terre di mezzo», territori insediati permanentemente dall’uomo fra montagna, fondovalle del Toce e costa del Lago Maggiore, tra cui le valli intrasche, comprendenti storicamente la bassa Val Grande, la bassa Val Pogallo, la Valle di Intragna e le rispettive valli minori, e che da terre al «margine» sul perimetro delle riserve naturali, si vengono a trovare potenzialmente in una posizione di «cerniera» fra questi territori così diversi. «E così l’ultimo Paradiso è diventato Parco Nazionale» (VALSESIA T. cit.) (Fig. 2.10). Con l’istituzione a Parco Nazionale, l’area protetta deve dotarsi degli strumenti di pianificazione e gestione introdotti dalla L. 394/91: il Piano del Parco (approvato dall’Ente nel 1999), il Piano Pluriennale Economico e Sociale (approvato dalla Comunità del Parco nel 2002) e il Regolamento (approvato dall’Ente nel 1999). Il Piano del Parco disciplina gli usi del territorio secondo un diverso grado di tutela articolando il territorio in 4 zone (Tab. 2.1 e Fig. 2.11). Nasce così l’Ente Parco Nazionale Val Grande, organo preposto alla tutela e alla gestione dell’ambiente naturale e della wilderness e all’attuazione di politiche di sviluppo compatibili. La politiche di gestione del Parco si intrecciano strettamente con quelle del territorio esterno e delle amministrazioni locali, per ragioni di connettività ecologica e in funzione della fruizione e della promozione dello sviluppo locale (Peano 1996, Parco Nazionale della Val Grande 1999). 17 Lo scopo dell‘AIW è infatti quello di diffondere il concetto originario di wilderness, nato in America nei primi decenni del 1800 (HENRY DAVID THOREAU, ALDO LEOPOLD,..), al fine di «preservare gli angoli più selvaggi della Terra nel loro stato più primitivo». «Wilderness è quindi, prima di tutto e soprattutto, conservazione degli spazi selvaggi attraverso formali impegni di salvaguardia che siano il più duraturi possibile» (ZUNINO F. 2001). «Oggi, per molte riviste di natura, è ‘Wilderness’ il Parco d’Abruzzo o la Majella, il Pollino o la Val Grande, ecc., tutti territori che pur racchiudendo dei luoghi possedenti dei -valori di Wilderness-, nessuna autorità ha mai provveduto a designarli come tali in forma ufficiale, impegnandosi a preservarli e, soprattutto, a gestirli coerentemente contro un uso turistico-ricreativo di massa come implicherebbe l’utilizzo di tale termine…» (ZUNINO F. 2001 2003). 37 Wilderness, paesaggio, natura protetta: i termini della questione Fig. 2.11 Il Piano del Parco articola il territorio in zone a diverso grado di tutela. Nell’immagine, la carta della Zonizzazione, dal Piano del Parco; in rosso la Zona A, Riserva integrale (fonte: PNVG, Piano del Parco, 1999). CARTA DELLA ZONIZZAZIONE ZONA A Area di Riserva integrale (Riserva del monte Pedum). ZONA B Area di Riserva generale e orientata, di conservazione attiva dell’ambiente. ZONA C Area di protezione, di integrazione fra conservazione della natura e utilizzazione dei prati-pascolo ed alto-montani. ZONA D Area di promozione economica e sociale. Tab. 2.1 Zonizzazione del Parco Nazionale individuata dal Piano del Parco (fonte: PNVG 1999). Zona A Riserva integrale (coincidente per il PNVG con la Riserva del Monte Pedum), nella quale l’ambiente naturale è conservato nella sua integrità ecologica. Qui l’accesso è limitato a lle persone autorizzate dall’amministrazione del Parco per motivi di studio, ricerca scientifica e di sorveglianza. Zona B Area di riserva generale e orientata nella quale è vietato realizzare nuove opere edilizie e di trasformazione del territorio. Sono consentite le utilizzazioni produttive tradizionali di tipo agro-silvo-pastorale e artigianale. L’obiettivo di questa zona è la conservazione attiva dell’ambiente. Zona C Area di protezione, dove vengono continuare e favorite secondo gli usi tradizionali, le attività agro-silvo-pastorali, nonché quelle agrituristiche ricettive autorizzate dall’amministrazione del Parco purché compatibili con l’equilibrio ambientale. Obiettivo specifico è l’integrazione fra la conservazione dei processi naturali e l’utilizzazione dei prati pascolo ed alto-montani, anche per i valori di mantenimento della biodiversità locale che rappresentano. Zona D Area di promozione economica e sociale. Qui si trovano gli «spazi abitati», dove gli insediamenti storici possono essere restaurati nel rispetto dei materiali e delle tipologie tradizionali, per la promozione della vita e delle collettività locali in stretta armonia e coesistenza con le attività del Parco. 38 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio Il Parco Nazionale Val Grande nel sistema delle Aree Protette europee e nell’Arco alpino Tab. 2.2 - I «nuovi paradigmi» per la conservazione della natura (A. PHILLIPS 2003) • Obiettivi anche economici e sociali • Governance plurale • Gestione da, per e con la popolazione locale • Pianificazione e gestione in rete • Valori locali ed internazionali • Gestione adattativa • Finanziamenti plurimi • Gestione multidisciplinare (fonte: A. PHILLIPS 2003, rielaborazione CED PPN ) Il panorama internazionale ed europeo Il Parco Nazionale della Val Grande si inserisce nel panorama internazionale ed europeo delle Aree Naturali Protette. Si tratta di organizzazioni e sistemi di tutela molto diversi, per definizioni, concetto di natura, contesti ambientali, culturali, istituzionali. Gli spazi naturali protetti presenti nel contesto europeo si diversificano infatti molto da quelli ad esempio dei grandi sistemi asiatici, africani o americani. Le aree protette in Europa e nel mondo sono cresciute costantemente negli ultimi decenni, diffondendosi anche in prossimità o all’interno dei territori urbanizzati. L’originaria concezione di parco, intesa come «wilderness» o «santuario della natura», separato dall’ambiente umanizzato, si è nel tempo evoluta. Le Aree Protette hanno assunto un ruolo crescente in termini ecologici, scientifici, culturali e socio-economici. Il significato della conservazione a livello internazionale è infatti cambiato negli ultimi decenni nel campo della conservazione della natura (così come nel campo della conservazione del paesaggio e del patrimonio culturale), ponendo sempre più l’attenzione sulla stretta relazione tra natura e cultura che caratterizza le aree protette, soprattutto nel contesto europeo, e sulla necessità di una maggior integrazione con le politiche dello sviluppo (cfr. par. 2.1). La necessità di estendere le politiche di conservazione e valorizzazione anche al territorio di contesto e di costruire un’alleanza con le comunità locali, considerate risorsa indispensabile ai fini dell’istituzione e della gestione dell’area protetta, sono al centro dei «nuovi paradigmi» della conservazione della natura (PHILLIPS 2003), affermatasi a partire dagli anni ’90 dai Congressi mondiali IUCN di Durban 2003 e di Bangkok 2004, frutto della consistente evoluzione concettuale maturata negli ultimi trent’anni a livello mondiale (NEGRINI, SALIZZONI 2008). Tali paradigmi, riaffermatasi nei successivi Congressi IUCN (Barcellona 2008, Jeju 2012, Sidney 2014), hanno continuato a stimolare il dibattito, non solo in ambito IUCN, a livello internazionale, europeo e nazionale, ribadendo l’esigenza di integrazione tra conservazione e sviluppo e tra aree protette e territorio (GAMBINO 2004; PEANO 2013; GAMBINO, PEANO 2015) (Tab. 2.2). Oggi le tipologie di aree naturali protette sono un’ampia gamma, anche inclusive della presenza umana, con finalità più articolate e con diverso grado di tutela. Esse rappresentano una realtà articolata ed eterogenea, definita dalle singole legislazioni nazionali con obiettivi e criteri diversificati, anche in riferimento alla classificazione normativa delle Aree Protette. Esse sono infatti articolate in un’ampia gamma di categorie: più di cento sono le definizioni utilizzate dall’insieme dei diversi paesi, espressione delle specifiche politiche e tradizioni culturali (GAMBINO et al. 2008, GAMBINO, PEANO 2015). In molti Stati, inoltre, come in Italia, ad esse si aggiungono altre categorie create dalle legislazioni regionali o sub-nazionali. Nel rispondere all’esigenza di costruire un quadro comparativo a livello globale tra i diversi sistemi nazionali di Aree Protette e quindi di «costruire un linguaggio comune» per coordi- Wilderness, paesaggio, natura protetta: i termini della questione 39 Fig. 2.12 Distribuzione delle Aree Protette in Europa (41 paesi) per categorie IUCN (fonte: European Environmental Agency – CDD 2013, elaborazione CED PPN, 2015). Il PNVG è classificato nella categoria IUCN (II)-National Park. nare le rispettive politiche (BISHOP, DUDLEY, PHILLIP, STOLTON 2004, IUCN Almeria 2007), la già citata IUCN, la più antica e prestigiosa organizzazione mondiale per la conservazione della natura e della biodiversità, fondata nel 1948, ha proposto un sistema di classificazione «orientativa» delle Aree Protette istituite nel mondo, da quelle create con lo scopo di tutela integrale degli habitat ai «paesaggi protetti» (IUCN Guidelines 1994, 2008). Il sistema si arti- 40 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio Tab. 2.3 Le definizioni delle 6 categorie IUCN di aree protette. Traduzione a cura del CED PPN, Fonte: DUDLEY, N. 2008. cola in 6 categorie di Aree Protette, individuate secondo un «criterio di scopo»18, in base al quale le categorie si distinguono in funzione dei diversi obiettivi di gestione individuati e ai requisiti ad esse assegnati (Tab. 2.3). Ad ogni categoria corrisponde un obiettivo principale, obiettivo che non può essere disatteso, e che deve essere applicato ad almeno ¾ dell’area protetta (il restante 25% può essere gestito per altri scopi, che non interferiscano con l’obiet- Category Ia: Strict nature reserve “Category I are strictly protected areas set aside to protect biodiversity and also possibly geological/geomorphological features, where human visitation, use and impacts are strictly controlled and limited to ensure protection of the conservation values. Such protected areas can serve as indispensable reference areas for scientific research and monitoring”. Riserva naturale integrale/Area di riserva integrale Sono aree protette sottoposte a uno stretto regime di tutela, destinate alla protezione della biodiversit e anche, eventualmente, delle caratteristiche geologiche / geomorfologiche, dove la presenza umana, l‘uso e gli impatti sono rigorosamente controllati e limitati per garantire la tutela dei valori della conservazione. Tali aree protette possono servire come aree di riferimento indispensabili per la ricerca scientifica e il monitoraggio. Category Ib: Wilderness area “Category Ib protected areas are usually large unmodified or slightly modified areas, retaining their natural character and influence, without permanent or significant human habitation, which are protected and managed so as to preserve their natural condition”. Area di wilderness Sono aree generalmente vaste, intatte o poco modificate, che mantengono il loro carattere e ruolo naturale, senza abitazioni umane permanenti o significative, protette e gestite in modo da preservare le loro condizioni naturali. Category II: National park “Category II protected areas are large natural or near natural areas set aside to protect large-scale ecological processes, along with the complement of species and ecosystems characteristic of the area, which also provide a foundation for environmentally and culturally compatible spiritual, scientific, educational, recreational and visitor opportunities”. Parco Nazionale Sono aree naturali o pressoch naturali, riservate alla protezione a larga scala dei processi ecologi, anche in riferimento a specie ed ecosistemi caratteristici, che costituiscono la base per le opportunit di visita e ricreazione, spirituali, scientifiche e formative, ambientalmente e culturalmente compatibili. Category III: Natural monument or feature “Category III protected areas are set aside to protect a specific natural monument, which can be a landform, sea mount, submarine cavern, geological feature such as a cave or even a living feature such as an ancient grove. They are generally quite small protected areas and often have high visitor value”. Monumento Naturale «Sono aree protette destinate alla protezione di uno specifico monumento naturale, che pu essere un elemento morfologico, una montagna sottomarina, una grotta sottomarina, un elemento geologico, come una caverna o anche un elemento vivente, come un boschetto antico. Esse sono generalmente aree protette molto piccole e spesso hanno un elevato valore per il visitatore». Category IV: Habitat/species management area “A protected area where the interaction of people and nature over time has produced an area of distinct character with significant ecological, biological, cultural and scenic value: and where safeguarding the integrity of this interaction is vital to protecting and sustaining the area and its associated nature conservation and other values”. Area per la gestione di habitat e specie «Aree protette il cui scopo la protezione di particolari specie o habitat e la gestione riflette questa priorit. Molte aree protette di categoria IV necessiteranno di interventi periodici e attivi per rispondere alle esigenze di particolari specie o per mantenere gli habitat, ma questo non un requisito della categoria». Category V: Protected landscape/Seascape “A protected area where the interaction of people and nature over time has produced an area of distinct character with significant ecological, biological, cultural and scenic value: and where safeguarding the integrity of this interaction is vital to protecting and sustaining the area and its associated nature conservation and other values”. Paesaggi terrestri e marini protetti «Un‘area protetta dove l‘interazione tra uomo e natura nel corso del tempo ha prodotto una area di specifico carattere con un significativo valore ecologico, biologico, culturale e scenico: e dove salvaguardare l‘integrit di questa interazione fondamentale per proteggere e sostenere l‘area e i suoi valori naturali e diversi». Category VI: Protected area with sustainable use of natural resources “Category VI protected areas conserve ecosystems and habitats, together with associated cultural values and traditional natural resource management systems. They are generally large, with most of the area in a natural condition, where a proportion is under sustainable natural resource management and where lowlevel non-industrial use of natural resources compatible with nature conservation is seen as one of the main aims of the area”. Aree per la gestione sostenibile delle risorse «Le aree protette della Categoria VI conservano gli ecosistemi e gli habitat, insieme ai valori culturali associati e ai sistemi tradizionali di gestione delle risorse naturali. Esse sono generalmente di grandi dimensioni, prevalentemente in una condizione di naturalità, in cui una parte sottoposta alla gestione sostenibile delle risorse naturali e dove il basso livello di uso non industriale delle risorse naturali compatibili con la conservazione della natura considerata uno dei principali obiettivi dell'area». 18 Su tale tema si può richiamare il contributo fornito al dibattito internazionale dagli studi e ricerche sviluppati a livello nazionale, tra i quali le ricerche svolte dal CED PPN (Politecnico di Torino) a partire dai primi anni novanta (Ministero dell’Ambiente, CED PPN 2003, GAMBINO et al. 2008, GAMBINO, PEANO 2015). Wilderness, paesaggio, natura protetta: i termini della questione Fig. 2.13 Le forre del Torrente San Bernardino presso il ponte Rovegro-Cossogno. 41 tivo principale). La classificazione non implica una gerarchia di valore, come ripetutamente raccomandato dalla IUCN, ma ogni categoria ha un ruolo specifico nel sistema. Tale sistema di classificazione ha acquistato sempre maggiore importanza, in particolare in Europa (IUCN Summit, Almeria 2007; IUCN World Conservation Congress, Barcellona 2008), in quanto non costituisce solo un riferimento formale, bensì, nell’ottica di strategie integrate di governo, un importante contributo alla formazione di politiche di sistema per la conservazione della natura e del paesaggio e una guida utile per la pianificazione e la gestione delle aree protette19 (NEGRINI 2010). 19 Le problematiche che hanno interessato le politiche delle AP, effetto dei grandi cambiamenti sociali e territoriali avvenuti, hanno posto in evidenza l’esigenza di pensare a nuove forme e processi di governo del territorio sempre più partecipativi, dove risulta centrale il ruolo delle comunità locali. In tale direzione, la IUCN ha proposto, in occasione del WCC Barcellona 2008, di definire, per ogni categoria di Aree Protette, un modello appropriato di governance, individuando quattro categorie di gestione, da quelle più tradizionali, come le aree protette gestite dal governo, a quelle più comunitarie gestite direttamente dalle comunità locali, come le ICCAs (BORRINI-FEYERABEND G., DUDLEY N. 2007). 42 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio 1,8% Ia 14% V 44% II 40% IV 0.2% III 0% N/A 0% VI 0% Ib Fig. 2.13 Le Aree Protette in Italia suddivise per categorie IUCN (fonte: European Environmental Agency-CDDA 2013, elaborazione CED PPN, 2015). Prevale la catagoria IUCN(II)-National Park, alla quale appartiene anche il PNVG. Che cosa è un’Area Protetta? Le IUCN Guidelines del 2008, pur riproponendo le categorie definite nel 1994, introducono una nuova definizione di area protetta e rafforzano il concetto di natura legandolo a quello di biodiversità, che diviene infatti obiettivo prioritario per ciascuna categoria: «A protected area is a clearly-defined geographical space, recognized, dedicated and managed, through legal or other effective means, to achieve the long-term conservation of nature with associated ecosystem services and cultural values» (DUDLEY 2008, p. 8) (Fig. 2.12). I caratteri essenziali del quadro europeo delle Aree Protette possono essere così riassunti: la presenza di un esteso patrimonio di valori naturali e culturali: 41 Paesi europei che ospitano oltre 86.000 Aree Protette che coprono una superficie di circa 102 milioni di ettari (2013); una grande ricchezza e varietà di ambienti e di paesaggi (dalle aree più naturali, ai paesaggi culturali, ai contesti urbanizzati) e di modelli di tutela, gestione e pianificazione; una realtà in continuo movimento che ha mostrato una straordinaria e continua crescita (+ 23% ha, nel 2008, decennio 1996-2006), trend che sembra continuare; una notevole incidenza territoriale del territorio europeo considerato (20,3% al 2013 rispetto al territorio complessivo); un parte significativa della popolazione europea coinvolta (circa il 25%, nel 2008). Caratterizza il panorama europeo la prevalenza delle Aree Protette classificate nella categoria IUCN (V) -Protected Landscapse/Seascapes» (circa il 50%), tendenza che sembra confermarsi (fonte EEA-CDDA 2013, elab. CED PPN, 2008, 2015). Come già accennato, il Parco Nazionale della Val Grande, a cui viene internazionalmente riconosciuto il carattere «wilderness», non è classificato nella categoria IUCN (Ib)-Wilderness area, ma, per i suoi specifici caratteri ambientali, risponde agli obiettivi di gestione individuati dall’IUCN per la categoria II-National Park. Alla categoria IUCN II, molto rappresentata nel quadro europeo e nel contesto alpino, vengono attribuiti, come obiettivi principali la gestione naturalistica, la protezione degli ecosistemi e la fruizione sociale a scopi ricreativi. Tale categoria mostra un’incidenza in termini di superficie, a livello europeo di circa il 14%, a livello nazionale di circa il 44% rispetto all’insieme delle aree protette (Fig.2.13). Secondo le Guidelines IUCN 2008, i Parchi Nazionali sono definiti: «aree naturali, la cui istituzione è motivata dall’esigenza di proteggere l’integrità ecologica di uno o più ecosistemi per le presenti e future generazioni, escludendo utilizzazioni o occupazioni del suolo che si pongono in conflitto con tale esigenza e al fine di fornire opportunità di fruizione spirituale, scientifica, educativa e ricreativa compatibili dal punto di vista ambientale e culturale» (DUDLEY 2008, traduzione a cura del CED PPN). Wilderness, paesaggio, natura protetta: i termini della questione 43 ll Parco Nazionale Val Grande nel sistema delle Aree Protette Alpine Il territorio della Val Grande assume un ruolo di rilievo nel contesto alpino. Esso fa anche parte della regione biogeografica alpina caratterizzata da un eccezionale patrimonio faunistico e floristico (circa 30.000 specie animali, 900 diverse comunità vegetali e circa 13.000 specie vegetali), nonché da un patrimonio storico e culturale ricco e diversificato, caratterizzato da una grande diversità linguistica (fonte: ALPARC, 2015). Con riferimento alla classificazione IUCN, ben rappresentate nel nella regione alpina risultano, oltre alla catetoria categoria II-National Park, le categorie (Ib)-Wilderness area e (Ia)-Strict Nature Reserve. La Riserva Integrale della Val Grande o del «Pedum», corrispondente alla zona più interna del Parco, istituita nel 1967, è stata la prima Riserva naturale integrale dell’Arco Alpino. Il Parco rappresenta inoltre uno dei 14 Parchi Nazionali della Rete delle Aree Protette Alpine, una rete di habitat naturali e paesaggi culturali che riunisce numerose aree protette delle Alpi di grandi dimensioni (> 100 ettari): circa 900 aree, pari a circa il 25% della superficie interessata dalla Convenzione delle Alpi, rappresentative delle principali categorie di protezione20, in otto Paesi alpini, dalla Francia alla Slovenia (fonte: ALPARC 2015). (Fig. 2.14) Fig. 2.14 ALPARC, Carta della Rete delle Aree Protette Alpine, (fonte ALPARC 2015). 20 La rete ALPARC è costituita da: 14 Parchi Nazionali, 70 Parchi regionali/naturali, 300 Riserve naturali, 10 Riserve della Biosfera UNESCO, 2 Siti del Patrimonio Mondiale UNESCO, 3 Riserve Geologiche, più altre aree e siti a protezione speciale (es. biotopi, aree di protezione del paesaggio, siti classificati, ecc., fonte ALPARC, http://www. alparc.org/it/le-aree-protette/le-aree-protette-alpine-in-cifre). 44 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio La Rete ALPARC lavora da vent’anni nell’obiettivo di promuovere la cooperazione internazionale dei gestori delle aree protette Alpine, di realizzare progetti in comune, di creare «un continuum ecologico» tramite corridoi biologici tra le aree protette, di informare il grande pubblico sull’azione dei parchi e delle riserve delle Alpi (fonte: ALPARC, http://www.alparc.org). La Val Grande, situata infatti nella zona di transizione tra la fascia alpina e prealpina è un’area «unica» sia per «conformazione geografica che retroterra culturale»: un ambiente alpino con caratte ristiche peculiari, dove la maggior parte del territorio si estende tra i 600 m. e i 1.800 m. con una grande varietà di paesaggi e usi del suolo (pascoli, castagneti, faggete, boschi…). Un patrimonio naturalistico e una biodiversità di elevato interesse che cela una stratificazione di antichi segni della civiltà contadina la cui storia, come è stato sottolineato, «è scritta tutta in salita» (PNVG, CETS 2012). Proprio lo straordinario interesse geologico dell’area ha determinato il prestigioso riconoscimento internazionale UNESCO con il quale nel 2013 il Parco viene a far parte del Sesia-Val Grande Geopark entrando così nella lista mondiale e portando a nove il numero dei geoparchi presenti in Italia, primo paese europeo per numero di geoparchi istituiti. A livello europeo, l’European Geoparks Network comprende 65 Geoparchi in 22 Paesi europei. Tale riconoscimento UNESCO nonché l’adesione del Parco alla Carta Europea del Turismo Sostenibile nelle Aree Protette (CETS) promossa da EUROPARC Federation, risultano di particolare importanza ai fini di una strategia innovativa per un turismo sostenibile, scientifico e naturalistico, attraverso il quale valorizzare e gestire il patrimonio naturale e culturale del territorio. La valenza comunitaria del Parco Nazionale della Val Grande ll Parco della Val Grande costituisce un nodo importante della rete ecologica a scala europea, nazionale e regionale. È infatti un’area riconosciuta di importanza europea in quanto inserita nella Rete Natura 2000, il principale programma per la protezione della biodiversità previsto dall’Unione Europea a cui oggi aderiscono 28 Paesi e che trova riferimento istituzionale nella Direttiva 92/43/CEE «Habitat». L’obiettivo della Rete è quello di garantire il mantenimento a lungo termine degli habitat naturali e delle specie di flora e fauna minacciati o rari a livello comunitario21. (Fig. 2.15) La Rete Natura 2000 individua, raccoglie e protegge numerosi siti caratterizzati dalla presenza di habitat naturali e seminaturali, proteggendone la flora e la fauna (CROSA LENZ, PIROCCHI 2011); non solo siti sottoposti a una rigida protezione dove le attività umane sono escluse, ma la Direttiva Habitat tiene anche «conto delle esi21 La Rete è costituita dai Siti di Interesse Comunitario (SIC), identificati dagli Stati Membri, successivamente designati quali Zone Speciali di Conservazione (ZSC) - e dalle Zone di Protezione Speciale (ZPS) istituite ai sensi della Direttiva concernente la conservazione degli uccelli selvatici, Direttiva 2009/147/CE «Uccelli» che ha sostituito la «Direttiva Uccelli»del 1979, con la quale vengono protetti vasti territori importanti per la presenza di specie di uccelli rare o a rischio di estinzione. Wilderness, paesaggio, natura protetta: i termini della questione Fig. 2.15 La natura in Val Grande. Da sinistra: Gheppio; Camoscio; Campanula excisa; Faggeta in Val Pogallo. 45 genze economiche, sociali e culturali, nonché delle particolarità regionali e locali» (Art. 2), riconoscendo l’importanza di alcuni elementi del paesaggio che svolgono un ruolo di connessione per la flora e la fauna selvatiche (art. 10). Va richiamato che i Siti Natura 2000 sono in parte sovrapposti tra loro e ampiamente sovrapposti alle Aree Protette conformi ai criteri IUCN, le quali coprono una superficie territoriale superiore. In Europa i Siti Natura2000 coprono circa il 18,3% della superficie dei 28 Paesi interessati e in Italia essi coprono circa il 19% del territorio terrestre nazionale (EU DG ENV B2, Natura 2000 Barometer, dicembre 2013). Nel territorio del Parco sono stati identificati (Piano Direttore, 199) una APS (Area di Protezione Speciale) ai sensi della Direttiva 409/79/CEE (Direttiva Uccelli Selvatici) - Riserva naturale Monte Mottac e Val Grande di circa i 3.400 ettari, e un SIC (Sito di Importanza Comunitaria) ai sensi della direttiva 43/92/CEE (Direttiva Habitat) - Parco Nazionale Val Grande con una superficie di circa 11.855 ettari. Al proposito, il Piano del Parco (1999) individua trai suoi obiettivi la conservazione e la protezione a lungo termine degli habitat di rilievo comunitario e la connessione funzionale con gli altri SIC limitrofi. L’area della Val Grande è inoltre inserita nell’elenco delle I.B.A. (Important Bird Areas) elaborato da BirdLife International. Il Parco Nazionale Val Grande nel sistema delle Aree Protette nazionale, regionale e locale ll livello nazionale Come detto, il Parco della Val Grande è classificato come «Parco Nazionale» secondo la legge n. 394/91, Legge quadro sulle Aree Protette, riferimento giuridico principale in materia di tutela e gestione delle aree protette. Essa individua un «sistema nazionale di aree protette» costituito da diverse categorie di tutela: parchi nazionali, parchi naturali regionali e interregionali, riserve naturali (statali e regionali), altre aree naturali protette regionali, aree protette marine nazionali ed internazionali, zone umide di importanza internazionale (Ramsar)». 46 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio Secondo l’art. 2 della legge 394/9 i Parchi Nazionali (categoria i cui obiettivi di gestione corrispondono a quelli definiti dalla IUCN per la analoga categoria II), «sono costituiti da aree terrestri, fluviali, lacuali o marine che contengono uno o più ecosistemi intatti o anche parzialmente alterati da interventi antropici, una o più formazioni fisiche, geologiche geomorfologiche, biologiche, di rilievo internazionale o nazionale per valori naturalistici, scientifici, estetici, culturali, educativi e ricreativi tali da richiedere l’intervento dello Stato ai fini della loro conservazione per le generazioni presenti e future» (art. 2, comma 1). Come richiamato, le categorie nazionali definite dalla legge 394/91 non rappresentano tutte le categorie della classificazione internazionale proposta in ambito IUCN, non sono contemplati ad esempio i «paesaggi protetti», le «aree wilderness» e i «monumenti naturali», presenti invece nelle classificazioni nazionali di alcuni Paesi europei. La classificazione nazionale, basandosi su un criterio di «interesse istituzionale» (internazionale, nazionale, regionale), non si coordina con la già richiamata classificazione IUCN i cui criteri sono invece legati agli obiettivi di gestione attribuiti alla categoria di area protetta. Al proposito, è stato evidenziata l’opportunità di integrare l’attuale classificazione nazionale inserendo alcune nuove categorie, in coerenza con il sistema definito a livello internazionale, tra le quali i «paesaggi protetti» e le «aree widerness», aree queste ultime che potrebbero assumere un ruolo importante in ragione dei processi di rinaturalizzazione dei territori d’abbandono in atto nel paese («wilderness di ritorno»), in particolare nei sistemi montani (Ministero dell’Ambiente, CED PPN 2003). In ambito nazionale si rileva un ricco e diversificato sistema di ambienti e paesaggi, composto da 870 Aree Protette riconosciute ufficialmente dal Ministero dell’Ambiente (fonte: VI EUAP, MATM 2010), che coprono una superficie territoriale di 3.459.367 ettari, pari a circa l’11,5% del territorio nazionale (a cui si aggiunge l’area protetta «Santuario dei mammiferi marini» che interessa una superficie di ben 2.557.258 ettari). Sono inoltre presenti altre categorie di aree protette istituite a livello regionale e sub-regionale, che specificano o integrano le aree protette definite dalla legge quadro, non inserite nell’EUAP. Una realtà in crescita fortemente rappresentata dai parchi naturali sia nazionali che di livello sub-nazionale. In particolare, i 24 Parchi Nazionali istituiti coprono complessivamente una superficie di 1.537.493 ha, pari circa il 5 % del territorio nazionale. Essi ospitano la gran parte degli habitat fondamentali per la vita delle 56.000 specie di animali presenti in Italia, paese europeo tra i più ricchi di biodiversità (MAATM, 2013). Va inoltre considerata la presenza di altre aree protettre che discendono da normative comunitarie o da designazioni internazionali, quali i già citati Siti di Importanza Comunitaria (SIC) e Zone di Protezione Speciale (ZPS), le Riserve della Biosfera (UNESCO), i Siti del Patrimonio Mondiale (UNESCO), i Siti Ramsar, le Riserve Biogenetiche, le Aree specialmente protette di importanza mediterranea. Wilderness, paesaggio, natura protetta: i termini della questione Fig. 2.16 Il Parco Nazionale della Val Grande nel sistema delle aree protette del Piemonte. In evidenza la Provincia del VerbanoCusio-Ossola (fonte: Regione Piemonte, elab. CED PPN 2015). 47 48 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio Figg. 2.17, 218 La Val Grande fa parte della storia dell’escursionismo alpino. Nelle immagini, il rifugio Bocchetta di Campo, uno dei rifugi del Club Alpino Italiano, inaugurato nel 1897. Le Aree Protette della Regione Piemonte e della Provincia del Verbano-Cusio-Ossola Nel sistema regionale delle aree protette la Val Grande rappresenta uno dei due Parchi Nazionali istituiti nella Regione Piemonte, Regione che da quarant’anni è impegnata nella conservazione della natura attraverso l’istituzione delle aree protette e che ha festeggiato il 4 giugno 2015 l’anniversario della sua prima legge regionale sulle aree protette (Legge regionale 4 giugno 1975, n. 43, «Norme per l’istituzione dei parchi e delle riserve naturali»). Attualmente il riferimento legislativo in materia è costituito dalla legge regionale n°19 del 2009 «Testo unico sulla tutela delle aree naturali e della biodiversità». Un sistema regionale costituito da 94 aree protette, articolato tra parchi naturali, riserve naturali, zone naturali di salvaguardia, riserve speciali, oltre ai due Parchi Nazionali, del Gran Paradiso (parte piemontese), istituito nel 1922 e della Val Grande, per una superficie complessiva di 185.832 ha, pari al 7,3 % del territorio regionale (Regione Piemonte 2015). Fanno parte del sistema anche i sette «Sacri Monti» (Crea, Varallo, Orta, Ghiffa, Belmonte, Domodossola e Oropa) inseriti nel 2003 nella Lista del Patrimonio Mondiale UNESCO. Sono inoltre presenti 146 Siti della Rete Natura 2000, con una superficie di 398.660 ha, pari al 15,7% del territorio regionale (Fig. 2.16). In particolare, il territorio della Provincia VCO, in cui è situato il Parco, presenta un elevato valore ambientale (Regione Piemonte, 2009). La tutela della natura prende avvio con la nascita nel 1969 dell’Oasi faunistica di Macugnaga. Successivamente, nel 1978, viene istituito il primo Parco naturale piemontese dell’Alpe Veglia a cui segue negli anni ’80 e ‘90 l’istituzione di altre Riserve naturali e di Oasi fino al 1992, anno della creazione del Parco Nazionale della Val Grande. Wilderness, paesaggio, natura protetta: i termini della questione 49 Fig. 219 Una recente esperienza di ecoturismo («i campi wilderness a impatto zero»). Le aree protette provinciali22 interessano una superficie 31.778,30 ettari, pari al 14,05% del territorio. Sono inoltre presenti due Sacri Monti, inseriti dall’UNESCO nel 2003 nella Lista del Patrimonio dell’Umanità (insieme ad altri cinque piemontesi e lombardi), la Riserva naturale speciale del Sacro Monte Calvario di Domodossola e la Riserva naturale speciale del Sacro Monte della Santissima Trinità di Ghiffa e quattro Siti di interesse comunitario (SIC), Campello Monti, Rifugio M. Luisa (Alta Val Formazza), Greto del Toce tra Domodossola e Villadossola, Boleto – Monte Avigno. La storia del territorio del Parco Nazionale della Val Grande è un esempio rappresentativo di quanto accade in Europa, dove le aree protette sono caratterizzate da una inscindibile interazione tra natura e cultura, tale per cui si rende necessario stabilire un’integrazione delle politiche di conservazione della natura nelle politiche territoriali, nella direzione indicata dai nuovi paradigmi lanciati dalla IUCN (Phillips 2003, Durban 2003, Bangkok 2004), riferimento ormai consolidato nel dibattito internazionale, europeo e nazionale. In tale direzione, fondamentale è la ricerca di un’alleanza tra le politiche delle Aree Protette e le politiche del paesaggio, poiché queste ultime, riguardando l’intero territorio, possono contribuire ad allargare l’influenza delle misure di protezione, valorizzazione e sviluppo, promuovendo l’integrazione territoriale delle Aree Protette ed arricchendo il significato socio-culturale delle politiche di conservazione della natura (GAMBINO, in GAMBINO, PEANO 2015). Nel contesto europeo, tale auspicato coordinamento può trovare formale riferimento nella Convenzione Europea del Paesaggio (CoE 2000). 22 Il sistema comprende le aree protette: il Parco Nazionale della Val Grande, Il Parco naturale dell’Alpe Veglia e dell’Alpe Devero, Il Parco naturale dell’Alta Valle Antrona, Parco naturale Alta Valsesia e Val Strona, La Riserva naturale speciale di Fondotoce. Capitolo III 51 Il territorio e i suoi valori Bianca Maria Seardo Le geometrie del territorio e le scale di analisi Fig. 3.1 Alpe Terza. S e lo studio incentra l’attenzione sui paesaggi delle valli intrasche, si noterà tuttavia - scorrendo il testo di questo libro - che ogni approfondimento disciplinare esprime la necessità di descriverlo, interpretarlo e analizzarlo tenendo maglie più o meno strette, ingrandendo o diminuendo il fattore di scala e estendendo secondo logiche differenti i confini del paesaggio d’attenzione. Occorre qui, in via introduttiva, una precisazione su questo aspetto che, a prima vista, potrebbe indurre il lettore a pensare ad una disomogeneità nell’impianto della ricerca. Come riferimento territoriale, infatti, si noterà che abbiamo l’intero territorio del Parco Nazionale e il suo contesto che comprende almeno le valli contermini (Ossola, Vigezzo, Cannobina) con la fascia lacustre del lago Maggiore; si spazierà fino ad un inquadramento regionale o addirittura nell’arco alpino, almeno per quanto riguarda l’individuazione di fattori di strutturazione del paesaggio e di dinamiche sociali e territoriali, come si vedrà nei capitoli a seguire. È bene pertanto chiarire preventivamente le geometrie spaziali a cui ci si riferisce con i diversi toponimi utilizzati nella ricerca. Il bando dell’Ente Parco Nazionale Val Grande indetto nel 2014 per la definizione dell’oggetto della presente ricerca definisce i paesaggi oggetto di indagine con la locuzione «Terre di mezzo», intendendo i territori limitrofi alla Val Grande, ma che se ne distinguono e contemporaneamente sono fra essi accomunati da caratteri illustrati in seguito. Si tratta di una locuzione utilizzata per indicare una specifica fascia di territorio compresa fra Parco Nazionale e Lago Maggiore e fra Parco e valle del Toce, sul versante ossolano (Fig. 3.1). Con il termine valli intrasche, toponimo geografico più consolidato del precedente, ci si riferisce invece a quella porzione delle Terre di mezzo limitata alla sola valle Intrasca (o valle di Intragna), bassa Val Grande e Valle del San Giovanni. Questi territori fanno parte di un contesto complessivo al quale lo studio non può non fare riferimento come area minima di indagine, comprendente anche il territorio del Parco Nazionale Val Grande. È da considerare un’ulteriore geometria territoriale, cioè quella costituita dai Comuni rientranti nella Carta Europea del Turismo Sostenibile (di cui anche il presente studio è parte integrante) cioè i Comuni del Parco considerati nella loro totale estensione. Infine, il territorio in esame è «perimetrabile» secondo ulteriori criteri se letto attraverso la lente interpretativa degli strumenti di pianificazione di area vasta che, nei rispettivi 52 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio Fig. 3.1 Il Parco Nazionale Val Grande e le «Terre di mezzo». quadri conoscitivi, fanno emergere connotazioni diverse. L’interpretazione strutturale del Piano Paesaggistico Regionale (Regione Piemonte 2015), ad esempio, considera l’arco alpino piemontese come il più importante connotato naturale strutturante il paesaggio regionale. Ciò che pesa in questa rappresentazione/interpretazione è il concetto di unitarietà: non sono le singole vallate alpine, o i singoli comparti montani, ma la loro appartenenza a un unico contesto a pesare, anche in prospettiva politico-decisionale. L’area di studio, quindi, è geograficamente identificata anche in base a questo fondamentale connotato paesaggistico (Fig. 3.2) Inoltre, la ricerca volta alla costruzione di una lettura critica ed evolutiva dei paesaggi delle valli intrasche è stata operativamente condotta a tre livelli o scale di osservazione, denominate territorio / paesaggi / luoghi. In ecologia, disciplina che ha fortemente influenzato la plasmazione del concetto di paesaggio (soprattutto a partire dal ‘900) questo è strettamente legato all’idea di una specifica «scala spaziale» atta ad esaminare fenomeni e dinamiche specifici degli ecosistemi: FORMAN (1995) definisce «paesaggio» quel «mosaico formato da un raggruppamento di ecosistemi che si ripetono nello spazio con forma similare, in un intervallo chilometrico, con dei confini identificabili [ovvero uno] specifico livello dell’organizzazione biologica della vita». Alla scala di paesaggio si manifestano infatti particolari strutture e processi non rilevabili ad altri livelli di analisi, come le reti ecotonali, la connettività fra ecosistemi, i tipi di porosità della matrice paesistica, le dinamiche di paesaggio, le strategie di metastabilità (INGEGNOLI 1999). In questo senso, al paesaggio è spesso attribuito Il territorio e i suoi valori Fig. 3.2 L’area di studio rappresentata e interpretata a diverse scale e sotto diversi aspetti e geometrie spaziali. Nella dimensione del paesaggio regionale, le Terre di mezzo sono da leggere come parte del sistema montano piemontese e della fascia boscata che corre quasi continua lungo tutta la corona alpina e prealpina regionale (Fonte: Piano Paesaggistico Regionale piemontese, adottato nel 2015, tavola P.1 Quadro strutturale). 53 anche uno specifico fattore di scala che lo distingue da altri livelli di osservazione. Per la biologia della conservazione, ma anche per la storia del territorio, per l’economia etc., alla scala di paesaggio emergono quindi dinamiche e processi difficilmente descrivibili ad altre scale (es. quella strettamente locale o, all’estremo opposto, alla scala mondiale); ad esempio, l’effettiva comprensione delle dinamiche di popolazione animale all’interno di specie che coprono lunghe rotte di migrazione, richiede una visione dei fenomeni alla scala di paesaggio (LAVEN et al. 2005). Nel nostro caso «paesaggio» corrisponde ad una scala intermedia fra quella propriamente territoriale (l’arco alpino, la provincia del Verbano Cusio Ossola…) e quella delle singole località delle valli intrasche. Tuttavia, è necessario soffermarsi anche sul valore interpretativo associato al termine «paesaggio», poiché esso sottende – nell’accezione strumentale seguita in questo lavoro – un duplice valore semantico ulteriore a quello del fattore di scala – che, come fa notare PRIORE (2006), è quello sotteso nella Convenzione Europea sul Paesaggio (CoE 2000). Nel testo di questo trattato internazionale troviamo infatti impiegate sia la parola «Paesaggio» (singolare maiuscolo) sia la parola «paesaggi» (plurale minuscolo). Per Paesaggio intendiamo una categoria concettuale che rimanda ad una realtà fisica modellata dall’uomo e/o dalla natura nel corso della storia e, al tempo stesso, anche l’immagine di quella realtà (secondo la teoria degli «iconemi» proposta da TURRI, 1998). Si tratta dunque di intendere il paesaggio come lente interpretativa, a prescindere dalla scala di osservazione. Pertanto, accostandosi all’interpretazione dei paesaggi concreti della Val Grande e delle valli intrasche, sia la scala «territoriale» sia quella più prossima ai «luoghi» sono interpretate secondo lo sguardo paesaggistico, che implica la pluridimensionalità fisica e immateriale. Vale a dire che anche alla scala territoriale e di luogo, l’oggetto delle indagini che seguono nei prossimi capitoli sarà sempre il paesaggio inteso come complessità di dimensioni (storica, agro-ecologica, percettiva…) e come elemento dinamico. Sempre secondo la lettura di Priore, i paesaggi (plurale minuscolo) non sono invece un concetto, bensì gli «spazi effettivamente percepiti […] caratterizzati dalla loro diversità e complessità, come anche da valori sempre diversi» (p. 43, op cit.). Si tratta quindi dei paesaggi identificabili concretamente nelle valli intrasche, distinguibili per stati e dinamiche sotto i diversi profili di lettura (geologico-geomorfologico, agro-silvo-pastorale, storico-territoriale, scenico-percettivo, socio-economico…) e identificabili attraverso iconemi grazie all’individuazione di luoghi che li rappresentano in maniera emblematica. Il ricorso – e il continuo oscillare – fra queste dimensioni di lettura e interpretazione è comune ai diversi contributi specialistici che sono illustrati nel prosieguo del rapporto di ricerca. 54 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio I territori del Parco e delle valli intrasche In «Val Grande. Ultimo paradiso», uno dei più famosi conoscitori contemporanei dei territori della Val Grande, Teresio Valsesia, racconta così la difficoltà nel rintracciare questi luoghi: «Nella Carta degli Stati Sardi di Terraferma, pubblicata nella prima metà dell’800 non c’è traccia del Pedum. E sulla prima carta del Regno compare ma con un’ubicazione errata. Anche il suo nome è variabile: Pedom, Pedul e infine Pedum che forse è un errore dei cartografi poiché nei documenti della Sezione Verbano del CAI (compresi quelli attinenti alla prima ascensione, nel 1882) il toponimo usato è Pedul. Toponomastica ignorata e pasticciata: nulla di nuovo sotto il sole della Val Grande, che è rimasta per secoli un non-luogo. L’inesistente e l’inesplorato. L’«hic sunt leones…» (Estratto da: VALSESIA 1985). Il Parco Nazionale della Val Grande è chiuso tra le montagne dell‘Ossola, il bacino del Lago Maggiore e le Valli Vigezzo e Cannobina. Non distante da Milano, Torino, Locarno e Briga in Svizzera, esso si configura come un’isola di natura in un contesto urbanizzato.1 Quasi 15.000 ettari, compresi in 13 Comuni aventi i nuclei abitati esterni ai confini dell’area protetta. L’abitato di Cicogna (frazione del Comune di Cossogno) è l’unico entro i confini del Parco. La dimensione reticolare che può essere adottata per analizzare l’area mette in luce aspetti identificativi. Attengono a questa dimensione sia i sistemi di relazioni immateriali sia materiali, ossia i sistemi di relazioni sociali e culturali e le strutture fisiche che Fig. 3.3 Le reti della viabilità e le reti della fruizione lenta. (Fonti: Base cartografica Shuttle Radar Topography Mission, SRTM, Nasa, 2009 NASA/JPL-Caltech/National Geospatial Intelligence Agency. Viabilità estratta dai dati del Geoportale Nazionale del Ministero dell’Ambiente. Rete sentieristica da Sistema Informativo Territoriale dell’Ente Parco Nazionale Val Grande). 1 Per la storia dell’istituzione del Parco, si vedano i cenni in questo rapporto di ricerca (in particolare, Cassatella e Negrini, infra), nonché Valsesia, 2007. Per inquadramento demografico e socio-economico: Pettenati e Corrado, infra. Il territorio e i suoi valori 55 permettono tali relazioni. Ne fanno parte la rete dell’accessibilità e di fruizione, la continuità ambientale… In particolare, la permeabilità fruitiva dell’area protetta è variabile: se nessuna strada attraversa questa wilderness eccetto la provinciale per Cicogna, al contrario la rete sentieristica è fitta e il percorso della Gran Traversata delle Alpi lambisce il quadrante nord orientale dell’area (Fig. 3.3). Isolati, selvaggi ma allo stesso tempo frutto di secoli di antropizzazione, se visti alla scala regionale, i territori del Parco sono parte del sistema alpino e in particolare, dal punto di vista paesaggistico, di un sistema quasi privo di soluzioni di continuità quale quello costituito dalla copertura boscata (Fig. 3.2). Le valli intrasche e le «Terre di mezzo», in generale, sono collocate a corona rispetto al «cuore della wilderness» del Parco Nazionale e connotate da paesaggi «a balcone» sulla bassa Valle Ossola, sul Toce e sul Lago Maggiore. Un ambito ricco di varietà visiva e di micro paesaggi: da quelli rurali a quelli prettamente «wild», dai nuclei di matrice antica e pastorale alle propaggini della periferia urbana di Verbania, passando per le signorili residenze di villeggiature dei primi del Novecento, in odore di lago ma protese nell’entroterra, così come di visuali in profondità e di panorami di ampio respiro. Ad accomunare tutto ciò è la presenza permanente dell’uomo che abita tuttora questi luoghi e li trasforma con modalità e forme in sospeso fra passato e presente: «Il dipanarsi delle 56 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio attività umane su un piano inclinato, come quello che corre dalla sponda del Lago alla cima del suo versante, ha composto un paesaggio molto più strutturato che altrove. Quello che si ritrova in un fondovalle, qui lo riconosciamo aggrappato fra le sponde e la montagna, vale a dire che gli abitati, il loro contorno di coltivi terrazzati, la prima fascia boschiva castanile, il maggengo, la seconda fascia boschiva, l’alpeggio sommitale». (Fig. 3.4) Fig. 3.4 Una rappresentazione efficace applicabile come approccio descrittivo alle «Terre di mezzo» fra Parco Nazionale Val Grande e i suoi territori di contesto ambientale e storico-culturale, in un’immagine del Touring Club italiano che individuava uno schema insediativo tipico della montagna alpina italiana. Didascalia originaria: “Gli elementi del paesaggio alpino e gli insediamenti umani nelle Alpi”. Immagine tratta da: Touring Club Italiano, 1963, Il Paesaggio, Collana Conosci l’Italia, Touring Club Italiano Editore, Milano. Vol. VII, p. 13. Valori, rischi, criticità Le dinamiche territoriali in corso Il territorio della Val Grande e delle valli intrasche è studiato e regolamentato da numerosi strumenti di pianificazione territoriale che definiscono anche gli indirizzi di sviluppo territoriale individuati per i diversi territori e paesaggi. A seconda del livello istituzionale che se ne occupa (Regione, Provincia, Autorità di Bacino del Po…), o del tema di interesse (paesaggio, assetto idrogeologico, usi del suolo…), emergono valori, potenzialità e rischi. In generale, tutti gli strumenti di pianificazione riconoscono come valori di questo territorio sia il grado di naturalità attuale sia la presenza di testimonianze dell’opera dell’uomo, mentre come principale problema emerge quello dell’abbandono. Insistentemente si pone come obiettivo il delicato equilibrio fra conservazione della natura e valorizzazione delle potenzialità abitative, turistiche ed economiche di questi luoghi. Di seguito si ricostruisce in sintesi in quadro costituito per la Val Grande e le Terre di mezzo dai principali strumenti di pianificazione territoriale di area vasta a livello regionale: il Piano Territoriale Regionale (PTR, approvato con DCR n. 122-29783 del 21 luglio 2011) e il Piano Paesaggistico Regionale (PPR, adottato dalla Giunta Regionale con D.G.R. n. 20-1442 del 18 57 Il territorio e i suoi valori Tab. 3.1 Fonte: Piano Territoriale della Regione Piemonte, approvato nel 2009 maggio 2015) del Piemonte. Si tratta dei piani di più recente elaborazione sul territorio regionale, che quindi forniscono la più aggiornata fotografia di questi luoghi e soprattutto dei sistemi territoriali e paesaggistici di cui essi sono parte. Il senso di questa lettura per «piani di area vasta» è allontanare momentaneamente il punto di osservazione per cogliere le principali dinamiche sovra locali in cui la Val Grande si inserisce e quindi, in definitiva, ricomprendere il locale in una dimensione arricchita di significati. Per il Piano Territoriale Regionale, i Comuni del Parco e delle valli intrasche ricadono negli Ambiti di Integrazione Territoriale o AIT: 1-Domodossola e 2-Verbania Laghi. Ricordiamo che per AIT si intendono quelle «Unità territoriali di dimensione intermedia fra quella comunale e quella provinciale che evidenziano le relazioni di prossimità tra fatti, azioni e progetti che interagiscono negli stessi luoghi. Queste relazioni riguardano l’ambienAIT 1-Domodossola AIT 2-Verbania Laghi 51,5% pari a 80.131 ettari 63,83% pari a 45.676 ettari 77.467 ettari 34.354 ettari RISORSE PRIMARIE, AMBIENTALI E PATRIMONIALI Superficie boscata Boschi di origine naturale Foreste pubbliche 47.790 ettari 22.072 ettari Foreste private 32.341 ettari 23.603 ettari Territorio con pendenza superiore al 30% 86,68% 68,67% 59.871 ettari 19.341 ettari Popolazione residente 63.514 102.213 Densità di popolazione Superficie tutelata da parchi e aree protette INSEDIAMENTI E ATTIVITÀ ECONOMICHE 40,48 abitanti/mq 142,29 abitanti/Kmq Numero di abitazioni totali 42.765 61.630 Numero di abitazioni non occupate 17.674 19.853 Numero di addetti in agricoltura e allevamento 3.834 3.180 Numero totale di addetti nelle imprese 8.241 16.539 Numero di addetti nell’impresa manifatturiera 4.490 10.264 Numero di addetti nell’industria mineraria 281 83 Cave di pietra ornamentale 52 4 - 3 Cave su versante e sotterranee Impianti idroelettrici 36 1 Numero di addetti nelle attività innovative e di ricerca 44 263 Numero delle imprese riconosciute dalla Regione Piemonte come “Eccellenze artigiane” 57 112 Numero di presenze turistiche italiane e straniere nel 2005 242.616 2.109.928 Distanza dal più vicino aeroporto internazionale (Malpensa) 90 Km 64 Km 14 12 0,73% 10,02% PRESSIONI E RISCHI Siti contaminati di interesse regionale e nazionale Superficie agraria intensiva sulla superficie agricola utile 58 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio te, il paesaggio, i beni culturali, le risorse primarie, le attività produttive, la circolazione, il commercio, il turismo, le identità locali, il «capitale» cognitivo locale, le istituzioni… è una visione di insieme delle interazioni fra tutti questi elementi, che sfuggirebbe a singole visioni settoriali, e sono orientati alla conoscenza, alla valutazione e alla formulazione di strategie e politiche per i territori» (PTR p. 66) Beura-Cardezza, Malesco, Premosello Chiovenda, Trontano e Vogogna, insieme ad altri Comuni, fanno parte dell’AIT 1-Domodossola che ha come centri maggiori Domodossola, Santa Maria Maggiore e Villadossola. Si tratta di un vasto bacino vallivo che penetra profondamente nella catena alpina, percorso da sempre dalle principali direttrici dei traffici continentali nord-sud. Ciò ha contribuito storicamente allo sviluppo economico e demografico di un territorio altrimenti piuttosto periferico, anche se dotato di risorse primarie notevoli: idriche, minerarie (pietre ornamentali), forestali e paesaggistico-ambientali, che costituiscono rilevanti potenzialità. L’ambito ha maggiore interazione con l’area di gravitazione lombarda (Varese, Milano) piuttosto che con quella piemontese (Novara) e riveste un ruolo di cerniera transfrontaliera con il cantone svizzero del Valais e, tramite la Val Vigezzo, con il Canton Ticino e il suo ruolo internazionale deriva soprattutto dall’ospitare la direttrice ferroviaria e stradale del Sempione-Loetschberg. Il cammino di sviluppo tra fine XIX e la seconda metà del XX secolo si è basato sul trasporto ferroviario, industria estrattiva e manifatturiera, realtà oggi in crisi o in fase di riconversione e ridimensionamento. La riconversione manifatturiera dei settori maturi va sostenuta, nel quadro delle politiche regionali definite dal PTR, dall’innesto di nuove attività tecnologicamente avanzate, formazione superiore e trasferimento tecnologico e marketing. Un forte impegno è richiesto in particolare per la promozione di un turismo diffuso, legato alle risorse ambientali, agricole e artigianali, da inserire nel circuito dei laghi, anche per sostenere la precaria trama insediativa e demografica delle aree montane interne. Aurano, Cambiasca, Caprezzo, Cossogno, Cursolo Orasso, Intragna, Mergozzo, Miazzina, San Bernardino Verbano, insieme ad altri Comuni, fanno invece parte dell’AIT 2-Verbania Laghi che ha come centri maggiori Verbania, Cannobio, Gravellona Toce, Omegna e Stresa. L’ambito occupa quasi per intero l’affaccio piemontese del lago Maggiore, con la conca del lago d’Orta, il bacino del torrente Strona e la piana del Toce. L’eccezionalità climatica e paesaggistica, la prossimità a Novara e alla Lombardia, la posizione di cerniera con il Canton Ticino sono alla base del suo sviluppo, che da tempo si fonda sul turismo, sull’industria (sistema distrettuale dei casalinghi e della rubinetteria), sui servizi e sulle funzioni amministrative. Il richiamo turistico a livello internazionale ha segnato storicamente la specializzazione di questi luoghi contribuendo a creare un paesaggio edificato di pregio, ma, negli ultimi decenni, anche una crescita problematica di carico edilizio, diffusione urbana, congestione del traffico e inquinamento delle acque. Il territorio e i suoi valori Fig. 3.5 Suolo consumato al 1991 e al 2008. (Fonte: tutti i dati sul consumo di suolo sono tratti da Regione Piemonte, 2012. I dati sono consultabili in Internet alle pagine del Sistema Informativo Territoriale Ambientale Diffuso degli enti pubblici piemontesi www.sistemapiemonte.it/serviziositad e in quelle del portale Geovagando. 59 I limiti della crescita quantitativa indotta dal turismo suggeriscono ora progetti che puntino su un turismo diverso, di filiere più articolate comprendenti anche le risorse ambientali e culturali dell’entroterra lacustre, della montagna e dei più vasti circuiti dell’area insubrica. Altre notevoli risorse sono quelle forestali, minerarie, pedologico-climatiche (per la floricoltura e il vivaismo), la prossimità all’area più sviluppata del nord-ovest (Milano-Novara-Varese), la buona accessibilità (autostrada e aeroporto), le attività terziarie avanzate (università, parco scientifico-tecnologico, reparti ospedalieri specializzati). La Tab. 3.1 mostra una serie di dati a confronto fra i due AIT. Leggendoli unitariamente, si notano in particolare le percentuali di superficie boscata che superano la metà della superficie territoriale totale, con una prevalenza di foreste pubbliche su quelle private e una forte acclività media. Significativi, per le attività economiche, i dati relativi alle presenze turistiche registrate (anno 2005) che superano i 2 milioni di presenze e la numerosità delle imprese riconosciute dalla Regione Piemonte come «Eccellenze artigiane». Infine, uno sguardo al consumo di suolo. Il monitoraggio delle dinamiche del consumo di suolo in Piemonte, promosso dalla Regione in collaborazione con Ipla e CSI Piemonte, mostra una fotografia al 2008. Fra tutte le province piemontesi, quella del Verbano-Cusio-Ossola è tra le più basse per consumo di suolo (3,9% di suolo consumato sul totale della superficie provinciale contro ad es. il 10,5% della provincia di Biella e il 9,1% della provincia di Torino), ma la più alta per dispersione insediativa (65,6% contro i 60,9% e 52,4% delle stesse provincie). Invece la situazione per comuni presenta un consumo di suolo concentrato nei comuni ossolani di fondovalle e in quelli lacustri, configurando una dinamica «a corona» attorno al Parco Val Grande. Per la Valle Intrasca la situazione è diversa fra i due versanti, con quello sinistro del Rio San Giovanni interessato da maggiori fenomeni di consumo di suolo (Fig. 3.5). 60 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio Fig. 3.6 A sinistra, vigneti a Trontano, accanto Alpe Scogno. I valori, le criticità e gli obiettivi per il paesaggio Il Piano Paesaggistico Regionale (PPR) affronta il tema del paesaggio alla scala territoriale, permettendo di leggere il nostro territorio di studio con uno sguardo di sintesi e nel complesso di dinamiche paesaggistiche più vaste . Il carattere del paesaggio risulta essere dato dalla estesissima copertura boscata. La lettura strutturale a livello regionale caratterizza parte dei boschi della Val Grande come «Boschi seminaturali o con variabile antropizzazione storica connotanti il territorio nelle diverse fasce altimetriche». L’individuazione dei «paesaggi agrari e forestali» – fra gli altri «seminativi», «arbusteti», «abetine», «castagneti», ma anche «coltivi abbandonati» e «rimboschimenti» – si basa però su una chiave di lettura incentrata sulla registrazione dello stato di fatto, che non permette di cogliere, ad esempio, l’origine di alcuni tipi di formazioni (ad esempio i castagneti sono solitamente antiche piantagioni da frutto)…e dunque quali sono le dinamiche prevedibili, come l’evoluzione in altri tipi forestali, il degrado e così via. L’introduzione di una prospettiva evolutiva che integri questa lettura statica è approcciata nel capitolo 8 di questo volume (a cura di LARCHER, SALVATORI). Oltre a quella boscata, la Regione rileva come principali componenti del paesaggio i nuclei alpini connessi agli usi agro-silvo-pastorali e le aree sommitali delle montagne, Il territorio e i suoi valori 61 costituenti fondali e altamente riconoscibili per il loro skyline. Ognuna di queste «componenti del paesaggio» è disciplinata da indirizzi e direttive per una salvaguardia attiva. Il PPR riconosce inoltre l’articolazione del paesaggio regionale in 76 «Ambiti di paesaggio» individuati (anche ai sensi del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio) sulla base dei sistemi di relazioni che li caratterizzano. In particolare, i Comuni del Parco e delle valli intrasche ricadono negli Ambiti di Paesaggio 9-Valle Ossola, 10-Val Grande e 12-Fascia costiera nord del lago Maggiore. Vediamo in sintesi quali tratti paesaggistici di identificano. Trontano, Beura Cardezza, Vogogna, Premosello Chiovenda e Mergozzo, insieme ad altri Comuni, fanno parte dell’Ambito di Paesaggio 9-Valle Ossola. Quest’ambito di paesaggio si caratterizza per la presenza del fiume Toce il cui alveo forma una pianura alluvionale delimitata da versanti erti, spesso incombenti. In termini naturalistici e geomorfologici la rarità di questo ambito è elevata perché – insieme alla Val Susa – la Val d’Ossola è l’unica significativa piana alluvionale fluviale in ambiente montano a livello regionale. Qui il valore naturalistico è rappresentato dagli ambienti perifluviali del fiume, con le Zona di ProFig. 3.7 Da sinistra Alpe Capraga, accanto tezione Speciale «Fiume Toce», il Sito di Interesse Comunitario «Greto del torrente Toce tra fondovalle del fiume Toce. 62 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio Fig. 3.8 PPR, ambito di paesaggio 10, Val Grande. Ambienti forestali. Domodossola e Villadossola» e l’Oasi Naturale del Bosco Tenso di Premosello Chiovenda. L’integrità del paesaggio è però intaccata nel fondovalle dall’espansione edilizia diffusa recente, che non ha tenuto conto dei caratteri dell’edilizia tradizionale locale, e dalla localizzazione in aree sensibili di zone produttive e commerciali che compromettono la leggibilità del paesaggio e dei panorami. L’agricoltura è progressivamente abbandonata o relegata in aree marginali con conseguenze evidenti sull’evoluzione delle boscaglie di invasione. Riqualificazione paesaggistica lungo il fiume Toce e nelle aree industriali dismesse, azioni coordinate per il recupero del patrimonio edilizio storico con il suo contesto paesaggistico sono gli obiettivi di qualità del paesaggio da perseguire, indicati dalla pianificazione regionale. Gli ambiti di paesaggio non seguono le delimitazioni amministrative, bensì di omogeneità paesistica, pertanto ritroviamo Trontano, Beura Cardezza, Vogogna, Premosello Chiovenda e Mergozzo, con Santa Maria Maggiore, Malesco insieme alle parti alte di San Bernardino Verbano, Cossogno e Miazzina nell’Ambito di Paesaggio 10-Val Grande. È un’area alpina caratterizzata da estrema irregolarità, con valli e vallecole che si sviluppano a corona attorno al cuore del sistema rappresentato dalla Val Grande. Questo ambito di paesaggio comprende quasi interamente il Parco Nazionale e si distingue per essere uno degli ambienti a maggior grado di integrità paesaggistica dell’intero Piemonte e la più vasta area di wilderness di ritorno delle Alpi: il bacino della Val Grande, impervio e isolato, è stato teatro di una economia rurale legata principalmente al taglio del bosco fino al secondo dopoguerra, per poi essere completamente spopolato, raggiungendo una tipica situazione di wilderness di ritorno. Il bosco caratterizza ora la quasi totalità dell’ambito costituendo un grande valore na- Il territorio e i suoi valori Fig. 3.9 PPR, ambito di paesaggio 10, Val Grande. Aspetti insediativi (da sinistra: Colloro, cappelletta del Leigio in alta valle San Giovanni, Tregugno). 63 turalistico, tuttavia la scomparsa del paesaggio antropizzato elimina ambienti particolari detti ecotoni e radure, riduce la biodiversità, nasconde e degrada il patrimonio storico-culturale costruito dall’uomo nei secoli (alpeggi, nuclei rurali, carbonaie, mulini, cappelle e altri segni della devozione) e modifica la qualità percettiva dei luoghi. Gli indirizzi del piano paesaggistico regionale guidano verso la preservazione dell’alto valore naturalistico, il potenziamento delle strutture ricettive per turismo naturalistico ed escursionistico rispettosi, la salvaguardia e il recupero delle borgate di alta quota e il recupero delle aree aperte presso gli insediamenti rurali. I paesi della Valle Intrasca, San Bernardino Verbano, Miazzina, Cossogno, Cambiasca, Caprezzo, Aurano con Scareno, Intragna, insieme a quelli più prossimi a Verbania e al lago fino a Carpugnino e al Mottarone fanno parte dell’Ambito di Paesaggio 12-Fascia costiera nord del lago Maggiore. Si tratta di un paesaggio insubrico con alto carattere di unicità e di rarità, essendo testimonianza dell’imponente azione dei ghiacciai alpini, nel tempo oggetto di rappresentazioni artistiche e letterarie, meta privilegiata del «Grand Tour», che conserva un fascino unico dato dalla complessità e dalla mutevolezza dei quadri panoramici. La riserva naturale speciale di Fondo Toce è fra le principali rilevanze ambientali, mentre il sistema di edifici religiosi, medievali e di stampo controriformista (che culminano nel sacro Monte di Ghiffa), le ville storiche e i giardini sono gli elementi del paesaggio culturale che connotano ancora fortemente questo ambito. Alcune dinamiche rischiano di compromettere definitivamente uno dei paesaggi più internazionalmente conosciuti: espansioni costruite sulle pendici collinari, edilizia fuori scala e tipologie costruttive incoerenti. Gli indirizzi del piano paesaggistico sono chiari: conservare il patrimonio edilizio sto- 64 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio rico delle borgate e dei nuclei collinari e montani ai fini della domanda turistica potenziando il rapporto lago-montagna e migliorare l’accessibilità e l’offerta turistica dei primi rilievi collinari, alleggerendo la pressione turistica sulle sponde lacustri e riequilibrando la fruizione dell’entroterra. Quelli individuati alla scala vasta sono indirizzi che sembrano confermare le indicazioni provenienti dal livello locale. Il territorio montano ricopre la maggior parte della provincia del VCO ed è soggetto a fenomeni diffusi di spopolamento, abbandono e mancanza di presidio al territorio. Benché risalente a parecchi anni fa (1995-96), il Piano Direttorio delle Zone Montane dell’Alto Novarese individuava problemi e risorse strategiche, tuttora validi, del paesaggio montano, su cui basare le politiche di rilancio di queste zone: tradizioni peculiari, prodotti tipici, patrimonio costruito di valore storico-documentario (fra cui molti edifici dismessi o abbandonati in attesa di recupero e rifunzionalizzazione), una rete viabilistica minore da riqualificare per gli abitanti e i turisti, la presenza di impianti e infrastrutture sportive, aree a pascolo diffuse. Il Piano direttorio delle aree montane esprimeva la necessità di potenziare il turismo dolce e destagionalizzato favorito dalla bellezza dei luoghi, dalla presenza di impianti, attrezzature e strutture di cura specializzate. Anche il Piano Territoriale di Coordinamento (PTC) della provincia del Verbano-Cusio-Ossola (adottato nel 2009) individua come elementi distintivi i paesaggi della montagna alpina, caratterizzati da praterie e pascoli d’alta quota e i paesaggi della naturalità, con conifere e latifoglie. Il rilancio delle attività sostenibili e il recupero delle risorse storico-culturali richiedono politiche ad ampio respiro, atte ad incidere sui principali problemi, quali quelle agro-silvo-pastorali e le politiche di gestione delle acque. Queste ultime allargano il campo d’attenzione a tutto il complesso sistema delle acque sotterranee e superficiali. I corpi idrici della Val Grande e delle valli intrasche fanno parte del grande distretto idrico del Po e, in particolare, della idro-ecoregione2 delle Alpi Occidentali. Le tavole dell’Atlante cartografico del Piano di Gestione del distretto idrografico del fiume Po mostrano lo stato delle risorse idriche dei nostri territori e gli obiettivi di qualità fissati per fiumi, torrenti e laghi; rendono conto dei risultati del continuo monitoraggio sulle acque sotterranee e superficiali e delle vulnerabilità. Il Parco Nazionale della Val Grande viene definito come una delle poche aree wilderness, forse la più vasta, in Italia. E come area protetta da Parco Nazionale gode di politiche di gestione specifiche, che inevitabilmente possono costituire l’innesco di politiche coordinate con il contesto territoriale, in particolare quello delle Terre di 2 Idroecoregione: «Area che presenta al proprio interno una limitata variabilità delle caratteristiche chimiche, fisiche e biologiche relative alle acque». Atlante cartografico del Piano di Gestione del distretto idrografico del fiume Po, Versione del 24 febbraio 2010. Il territorio e i suoi valori 65 mezzo, fino alla fascia costiera lacustre, come dimostra l’attuazione in corso della Carta Europea del Turismo Sostenibile, partecipata da numerosi soggetti «esterni» ai confini dell’area protetta. Il Piano del Parco (1999) individua le dinamiche di abbandono dell’alta montagna come fulcro per ripensare gli scenari futuri dell’area protetta: a causa del progressivo abbandono, della scomparsa delle attività agro-pastorali, e del cessato sfruttamento delle risorse, vi è infatti in atto un rapido recupero degli ecosistemi naturali verso condizioni di maturità forse più vicine alle condizioni originali. Ma l’abbandono ha effetti diversi sulle varie componenti del sistema. Mentre gli elementi culturali e le testimonianze dei passati processi economici e sociali tendono al degrado fino alla scomparsa definitiva, i processi ecologici si stanno evolvendo in maniera naturale seguendo le normali dinamiche successioni ecologiche. Le politiche per questa area naturale si muovono quindi sul filo di un delicato equilibrio fra rispetto di questa fama consolidata di wilderness europea e patrimonializzazione del deposito della complessa storia umana e naturale (Piano del Parco 1999). Capitolo IV 67 L’interpretazione strutturale del paesaggio Bianca Maria Seardo, Claudia Cassatella, Roberto Gambino Verso una visione olistica del paesaggio 1 I l paradigma paesistico proposto dalla Convenzione Europea (Consiglio d’Europa, 2000) ben si presta ad una applicazione in chiave «territorialista». Con questa espressione1 facciamo riferimento ad un approccio critico alla lettura delle risorse territoriali, lette piuttosto in chiave di «patrimonio», da mettere al centro di qualsiasi opzione di trasformazione e sviluppo, in opposizione ai processi di degrado e perdita di beni pubblici e valori collettivi. Il patrimonio territoriale è costituito da un insieme di fattori e di processi di lunga durata (talvolta indicati con l’espressione «invarianti strutturali», MAGNAGHI 2012), di natura sia fisica sia culturale, la cui conoscenza è imprescindibile per immaginare traiettorie evolutive, per valutare gli impatti delle trasformazioni attese, per progettare il futuro nella tensione dinamica tra conservazione e innovazione (GAMBINO 1997). L’individuazione del patrimonio territoriale è dunque il centro dell’attenzione analitica di metodi come l’interpretazione strutturale del paesaggio (CASSATELLA e GAMBINO 2005). Tale metodo si propone anche di favorire il confronto e l’integrazione tra le diverse letture settoriali, inevitabilmente plurime e dotate ciascuna del proprio apparato valutativo, espresso in criteri e linguaggi specialistici, proponendo una comune griglia di valutazione, una sorta di linguaggio di interscambio, per rispondere alle domande: che cosa è irrinunciabile, che cosa è di valore, che cosa è un problema? La griglia, che incrocia l’incisività degli impatti con la consistenza e qualità degli assetti territoriali, individua nel territorio e nel paesaggio fattori strutturanti, fattori caratterizzanti e fattori qualificanti, fattori di criticità. I fattori strutturanti costituiscono l’ossatura portante del territorio, di lunga durata, tendenzialmente «invarianti». I fattori caratterizzanti si sono depositati sulla struttura determinando una particolare fisionomia, tipica di uno specifico territorio. Qualificanti sono tutti gli altri elementi ritenuti di valore, tuttavia non legati in particolare all’area in esame e individuabili anche in altri contesti (nel quadro interpretativo proposto, fattori caratterizzanti e qualificanti sono stati accorpati, per semplicità di lettura). La griglia di lettura che viene proposta è sinteticamente riferita a quattro «assetti del paesaggio» che corrispondono ai diversi approfondimenti tematici e disciplinari affrontati (geomorfologia, agro-ecologia, assetto storico del territorio, paesaggio scenico e identitario) per ognuno dei quali sono individuati i tre diversi tipi di fattori. Il quadro Si può parlare di una vera e propria «scuola territorialista», nella quale si riconosce, in particolare, la Società dei territorialisti. 68 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio interpretativo si riassume così in una griglia a doppia entrata2. L’adozione di una prospettiva sistemica non esime infatti dal dedicare specifiche attenzioni ai diversi assetti riconoscibili nella realtà sotto esame. Diversità che possono incidere fortemente nel determinare la capacità di resistenza e di resilienza dei sistemi locali e delle singole risorse. Assetto geomorfologico Assetto agro-ecologico Assetto storico territoriale Assetto percettivo e identitario Fattori strutturanti Fattori caratterizzanti e qualificanti Fattori critici Tab. 4.1 Griglia di lettura per l’interpretazione strutturale del paesaggio. I fattori paesistici, individuati attraverso le molteplici analisi settoriali, si compongono tra loro in modo peculiare generando paesaggi diversificati, talvolta unici. Il prodotto dell’interpretazione è dunque anche una rappresentazione olistica in grado di cogliere la rilevanza dei sistemi di relazioni e le interconnessioni latenti che plasmano e strutturano il territorio, conferendogli valenza paesistica (Fig. 4.1). Grazie all’interpretazione strutturale è dunque possibile disegnare, sulla base dei sistemi di relazioni tra fattori, aree di caratterizzazione paesaggistica. In prospettiva di governo del territorio, tale metodo può condurre all’individuazione degli ambiti di paesaggio (così, ad esempio, nel caso del Piano paesaggistico regionale del Piemonte3) – ovvero quelle partizioni del territorio funzionali all’articolazione degli indirizzi normativi, ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio. In questa sede, si preferisce dunque utilizzare l’espressione «area di caratterizzazione paesaggistica», riservando «ambito di paesaggio» alle unità di valore normativo (si veda SEARDO, infra, per un commento sui riconoscimenti di valore e gli indirizzi vigenti sul territorio in esame). Similmente, le aree di caratterizzazione paesaggistica sono concettualmente distinte da altri tipi di perimetrazioni, legati alla tutela di singoli beni o risorse. Ogni perimetrazione risponde ad un progetto, nel nostro caso un progetto conoscitivo, ovviamente ricco di implicazioni per i piani e protocolli di gestione. 2 Per facilità di redazione e lettura, la griglia a doppia entrata è qui trasposta in forma di elenco, in tab. 4.1. 3 Regione Piemonte, Piano paesaggistico regionale (adozione 2009, ri-adozione 2015). Cfr. In particolare, la Relazione illustrativa. Gli studi per la formazione del piano furono svolti dal Politecnico di Torino con il coordinamento scientifico di Roberto Gambino. 69 L'interpretazione strutturale del paesaggio La modellazione glaciale segna il paesaggio “intorno” alla Val Grande e alle valli intrasche: la valle del Toce e l’invaso del lago Maggiore sono i suoi affetti più visibili. Altrove, sparsi nel territorio montuoso, gole e canyon, la visibilità dell’orientamento e della verticalità dei piani di giacitura rendono ancora oggi percepibile la storia geologica e gli antichi processi naturali. i piani di giacitura verticali (come le lenti di marmo) e le rocce del mantello sono visibili. Le forme del rilievo plasmano il paesaggio. La faglia della linea insubrica che attraversa le Alpi, nel tratto Ivrea-Verbano, ha netto orientamento nord-est / sud-ovest e attraversa la Val Grande; sono percepibili Alcuni fattori ambientali costituiscono invarianti del paesaggio e pongono le condizioni per la presenza di forme di vita e degli insediamenti umani: è il caso del clima con la grande piovosità e della forte La riserva integrale del Pedum, oasi naturale quasi inaccessibili all’uomo, ospita specie rare e da proteggere, sia in termini vegetazionali sia faunistici. È luogo su cui si è imperniato un alto valore identitario per le popolazioni. acclività dei versanti. Strutturano il paesaggio anche le formazioni vegetali stabili quali i boschi di faggio, qualli di castagno secolari e la vegetazione delle aree rupicole. Oggi, queste aree, chiamate anche “terre di mezzo”, costituiscono un balcone naturale affacciato sul lago Maggiore e una cerniera con l’alta montagna e le aree interne. Il sistema degli insediamenti di mezzacosta testimonia l’antica e tradizionale attività agro-silvo-pastorale. Dall’epoca viscontea inizia il processo di colonizzazione delle “terre alte”… Le aree sommitali costituiscono fondali e skyline riconoscibili a distanza e, allo stesso tempo, straordinari punti di osservazione verso l’esterno, ad alta panoramicità, anche notturna. Assetto geomorfologico Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio Fattori strutturanti • Faglia della linea Insubrica. • Netto orientamento nord-est / sud-ovest della stretta fascia della zona Ivrea-Verbano. • Percepibilità dei piani di giacitura verticali (tra questi, le lenti di marmo) e visibilità delle rocce della crosta profonda (stronaliti e granuliti) e del mantello (peridotiti), tutti fattori raramente visibili che tuttavia determinano anche la notorietà sovralocale dell’area. • Modellazione glaciale (montonatura) dei versanti fino a 1500 metri s.l.m. della valle del Toce e dell’invaso del lago Maggiore; altrove gole a canyon. • Fascia fluviale del Toce, significativa a livello regionale come piana alluvionale fluviale in ambiente montano. Fattori caratterizzanti e qualificanti • Lente di marmo di Candoglia con le sue cave. • Versanti molto acclivi dell’area centro-settentrionale; le morfologie erosive producono torrioni, incisioni profonde e regolari, gole profonde e rettilinee. • Piccoli circhi glaciali sospesi dell’area centrale. • Diversa connotazione fra la litologia del dominio euroasiatico e la litologia di quello africano. Condizione che si rispecchia nei materiali costruttivi (ad esempio, scisti nelle valli Intrasche, beola). Fattori critici • La conformazione del rilievo rende difficile percorribilità e accessi (ma al contempo è elemento di richiamo per esperti escursionisti e sportivi appassionati di condizioni «estreme»). • Possibilità di fruire del territorio-paesaggio in maniera discontinua e limitata: soltanto da alcuni punti, in alcuni tratti e da alcune angolature. Assetto agro-ecologico 70 Fattori strutturanti • La forte acclività è elemento determinante oggi come in passato per la configurazione delle tipologie vegetazionali, sia di tipo naturale, sia dovute a sfruttamento agro-silvo-pastorale. • Formazioni vegetali stabili quali faggete e castagneti storici (altri castagneti di più recente origine sono nuclei in evoluzione da considerarsi più come elementi caratterizzanti). • Aree rupicole caratterizzate da rocce affioranti o formazioni erbacee o arbustive su suolo superficiale. • Formazioni boscate di forra. • Area wilderness della riserva naturale integrale del Pedum quale oasi naturale quasi inaccessibile all’uomo con presenze rare e da proteggere in termini vegetazionali e faunistici. • Area core nell’ambito della rete ecologica alpina. Fattori caratterizzanti e qualificanti • Il prato pascolo, pur in sensibile diminuzione, determina una varietà di habitat e garantisce l’alternanza tra spazi chiusi e aperti fondamentale per la biodiversità e gli ungulati selvatici. • La formazione forestale del betuleto, frutto di processi di abbandono ed invasione, in evoluzione (in genere verso faggeta). • Aree terrazzate e piccoli orti ancora visibili, presenti a ridosso dei borghi come testimonianza dell’agricoltura di sussistenza. Fattori critici • Processo di contrazione dei prato-pascoli per abbandono attività pastorale con avanzamento delle superfici arbustate (alneti di ontano verde e betuleti di invasione). • Alcuni impianti forestali di conifere, incongrui, soprattutto dal punto di vista percettivo. • L’abbandono della gestione del bosco genera depauperamento di qualità ecologica e biodiversità. • I processi di inselvatichimento (wilderness di ritorno) possono generare lo sviluppo di vegetazione di scarsa qualità: sono stati segnalati nuclei di vegetazione esotica invasiva, esempio i Robinieti. • Perdita di produzioni agrarie (frutteti, vigneti e ortaggi). Tab. 4.2 L’interpretazione strutturale del paesaggio della Valgrande e delle valli intrasche Assetto storico territoriale 71 Fattori strutturanti • Sistema di comunicazioni transalpine di fondovalle lungo la valle del Toce • (già strada del Toce in epoca romana; ferrovia del Sempione) e delle permanenze della via Borromea a mezzacosta, che giustifica l’attuale collocazione dei nuclei abitati. • Mansio, poi Castello visconteo, a Vogogna. • Sistema delle pievi medievali organizzate in due sistemi, lungo Toce e lungo la Val Vigezzo. • Sistema policentrico dei comuni di valle, dall’ epoca viscontea. Colonizzazione delle terre alte nel tardo medioevo (alpeggi). • Sistema degli insediamenti di mezzacosta e dei nuclei alpini che testimoniano la tradizionale attività silvo-pastorale. Fattori caratterizzanti e qualificanti • I terrazzamenti hanno perso il ruolo strutturante: il processo di abbandono delle colture appare ormai difficilmente reversibile, il bosco predomina (e svolge anche funzione protettiva del suolo). Essi appaiono, «come un fantasma del passato», nella stagione invernale, mostrando un carattere del paesaggio ormai fossile. • Sistema devozionale diffuso caratterizzato da parrocchiali, oratori con i rispettivi campanili, vie crucis, cappelle votive • Compattezza degli insediamenti, per giacitura. • Tradizioni costruttive diversificate per diverse aree di influenza culturale e in relazione a litotipi localmente disponibili. Uso quasi esclusivo di pietra (beola, gneiss tabulari o granitoidi, serizzi) e legno (castagno, rovere, larice) come materiale da costruzione. • Strada Cadorna come importante, per certi aspetti unico, attraversamento dell’area. • Tracce delle attività proto industriali. Fattori critici • Disordine edilizio e eterogeneità di materiali a scala edilizia. • Espansione edilizia diffusa recente nel fondovalle del Toce e, in misura minore, nei centri abitati delle valli intrasche. • Degrado e oblio del patrimonio storico-culturale costruito dall’opera dell’uomo nei secoli. Assetto percettivo e identitario L'interpretazione strutturale del paesaggio Fattori strutturanti • Percepibilità della storia geologica, dell’orientazione e della verticalità dei piani (in particolare delle lenti di marmo). • Aree sommitali costituenti fondali e skyline riconoscibili a distanza e allo stesso tempo punti di osservazione verso l’esterno, ad alta panoramicità. • Le aree wilderness e in particolare la riserva del Pedum come luogo identitario. • Il «balcone naturale» delle terre di mezzo affacciate sul lago Maggiore e sul fondovalle del Toce. Fattori caratterizzanti e qualificanti • Intervisibilità fra montagna e lago. • Tessitura dei terrazzamenti, ove visibile. • Diffusi segni della religiosità popolare (anche come luoghi simbolico-identitari). • Numerosi luoghi simbolico-identitari e memoriali legati alla Resistenza. • Cave, in particolare quelle di Candoglia, come elemento identitario e di notorietà sovralocale • L’immagine della wilderness associato alla Val Grande, nel mondo dell’escursionismo. Fattori critici • Disordine visivo degli insediamenti di mezzacosta a osservazione ravvicinata derivante da interventi non consoni con l’ambiente. • Difficoltà di percezione del paesaggio antropizzato. • Esuberanza della vegetazione come ostacolo ai panorami ampi e alla intervisibilità prima presente. • Inquinamento luminoso nelle viste verso piana. 72 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio Una rassegna tipologica riassuntiva dei paesaggi della Val Grande e delle valli intrasche L’interpretazione strutturale del paesaggio applicata a Val Grande e valli intrasche ha prodotto, oltre alla griglia dei fattori in Tab. 4.1, una rappresentazione di sintesi (Fig. 4.1) e l’individuazione di sei distinte caratterizzazioni, descritte di seguito e, in forma di atlante, nelle schede grafiche. tipi di paesaggio I paesaggi della wilderness Dal punto di vista dei paesaggi naturali, è un’area circoscritta, coincidente con la riserva naturale del Pedum (2.111 m) oasi naturale quasi inaccessibile all’uomo in cui “l’ambiente è conservato nella sua integrità” con presenze rare e da proteggere in termini vegetazionali e faunistici. Le peculiarità di questa wilderness fanno di quest’area protetta un nodo della rete ecologica alpina. Dal punto di vista del paesaggio percepito, le aree wilderness e in particolare la riserva del Pedum sono anche luoghi identitari nell’immaginario delle comunità. Tuttavia, dal punto di vista della percezione, anche altre parti del territorio offrono l’esperienza dell’immersione multisensoriale nella natura (connotata però come wilderness di ritorno), come la parte montuosa alle spalle di Vogogna (Genestredo) e la parte interna della Valle Intrasca: le scene e le visuali di scorcio sono racchiuse negli stretti e profondi bacini vallivi caratterizzati da copertura forestale pressoché continua, intervallata da brevi radure e abitati sviluppati sui versanti più esposti assecondando le curve di livello (Caprezzo, Intragna, Aurano, fa eccezione la frazione di Ramello posta quasi sul fondo della valle del torrente San Giovanni) non mancano punti di osservazione che aprono a panorami ampi e profondi, ma in questo caso sui versanti più interni della Valle Intrasca. Qui, La presenza stessa degli insediamenti è un fulcro visivo nel “mare verde” della copertura forestale. Alta Valle Intrasca L‘Arca Cossogno 73 L'interpretazione strutturale del paesaggio riserva integrale del Pedum Con i suoi 2.111 metri di altezza il Pedum è il cuore della wilderness del Parco e prima riserva integrale a essere costituita nell’arco alpino italiano.i. Il suo skyline inconfondibile, e associato a diverse immagini, fra cui quella del profilo di un uomo disteso, è un luogo identitario nell’immaginario comune delle comunità delle valli intrasche, anche grazie all’opera del CAI verbanese che lo “scoprì” dal punto di vista escursionisitco nella seconda metà dell’800. Area wilderness della riserva naturale integrale del Pedum come oasi naturale quasi inaccessibile all’uomo con presenze rare e da proteggere in termini vegetazionali e faunistici. Area centrale nell’ambito della rete ecologica alpina. Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio tipi di paesaggio 74 I paesaggi delle creste Un tempo era il paesaggio degli alpeggi, numerosissimi ma ormai abbandonati: l’insediamento umano era caratterizzato dagli alpeggi delle quote maggiori, spesso situati in posizione aperta sulle aree sommitali che chiudono le testate della valli: l’Alpe Ragozzale, la più alta, domina con lo sguardo la Val Grande dai suoi 1906 m. Ora paesaggio del residuo prato pascolo e della vegetazione rupicola, connotata ancora nella memoria locale come luogo di valori, ricordi e aneddoti del periodo della monticatura estiva (Alpe Busarasca, Alpe Bettina…), scenario dell’infanzia di molti attuali abitanti delle valli intrasche. Dall’esterno, l’ambito dei bacini del San Bernardino e del Rio Pogallo si presenta chiuso alla vista da una apparentemente insormontabile barriera (fisica e visiva) delle creste che cingono a corona la gran parte del territorio vallivo, ma, guadagnate le creste, si scopre una formidabile “balconata panoramica” sui laghi Maggiore e di Varese e sulla pianura Padana, verso est, e sul massiccio del Monte Rosa, a ovest, quando non – addirittura – sulla catena appenninica. Le alte quote del territorio non sono esenti dal custodire luoghi di particolare valore identitario (“Strette del Casé”…), o connessi alle prima “colonizzazione” turistica della montagna (il Sentiero Bove e i rifugi storici di Pian Cavallone e Bocchetta di Campo...), o ancora segni “eroici” dell’insediamento temporaneo: bivacchi e alpeggi in posizioni spettacolari. Corni di Nibbio Cima della Laurasca 75 L'interpretazione strutturale del paesaggio Bocchetta di Campo È il paesaggio dell’area centro-occidentale del Parco, con versanti molto acclivi e poco ospitali. Le morfologie erosive producono torrioni, incisioni profonde e regolari. Gli accessi alla Val Grande e alle altre valli interne sono di norma in quota e solitamente percettivamente molto marcati: strette “porte” e “bocche” - fessure scavate nelle pareti di roccia – e selle dal profilo aguzzo sono veri e propri portali di accesso al cuore della wilderness. (Bocchetta di Campo, Porta Ragozzale, Colma di Premosello…). Fondale panoramico, skyline riconoscibile a distanza, barriera visiva verso il cuore della wilderness e al contempo balcone panoramico verso i laghi e il massiccio del Rosa, il paesaggio delle creste ha un’alta valenza scenica. Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio tipi di paesaggio 76 I paesaggi dei boschi La copertura boscata connota gran parte del paesaggio della Val Grande e delle valli intrasche, dando luogo tuttavia a paesaggi distinti: faggete e castagneti, in particolare, essendo testimonianza dell’economia rurale delle popolazioni, racchiudono un valore simbolico e memoriale nell’immaginario collettivo, più che un elemento ancora funzionale all’economia di sussistenza (inoltre alcuni singoli esemplari sono riconosciuti come simulacri di episodi indelebili della storia partigiana, come il faggio presso l’Alpe Piana…). Queste formazioni, inoltre, hanno caratteri peculiari, distinguibili anche ai meno esperti e suggestivi per la fruizione. Tuttavia l’abbandono e la mancata gestione del bosco riduce via via radure ed ex pascoli, ricoprendo poco a poco i segni del lavoro dell’uomo. I betuleti, boschi “di transizione” che dal punto di vista naturalistico ed ecologico indicano l’abbandono di superfici prative e pascolate, sul piano percettivo offrono effetti gradevoli e caratteristici in alcune aree sommitali già vocate alla frequentazione turistica (Alpe Pala, Pian Cavallo…). In generale, i panorami sono racchiusi negli stretti e profondi bacini vallivi caratterizzati da copertura forestale pressoché continua, intervallata dalle radura degli ex pascoli. Faggeta Betuleto 77 L'interpretazione strutturale del paesaggio Pogallo L’abbandono della gestione del bosco e del pascolo e i processi di inselvatichimento (wilderness di ritorno) generano depauperamento della qualità ecologica e della biodiversità e possono generare lo sviluppo di vegetazione di scarsa qualità. L’esuberanza della vegetazione è spesso causa, insieme all’abbandono, del progressivo oblio del patrimonio storicoculturale costruito dall’opera dell’uomo nei secoli. Più uniformi e meno pregiate, sia dal punto di vista naturalistico, sia dal punto di vista della fruizione, le neoformazioni di specie pioniere e d’invasione mettono a repentaglio la godibilità di alcune viste panoramiche in aree ad alta sensibilità visiva e rendono difficoltosa la percezione del paesaggio antropizzato. Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio tipi di paesaggio 78 I paesaggi insediati e coltivati Sono i paesaggi delle valli intrasche, le “terre di mezzo”, caratterizzati tutt’oggi da morfologie del paesaggio di chiara origine antropica, un tempo coltivati, con insediamenti a mezza costa affacciati come “balconi” verso laghi e fondovalle. Tuttora leggibile la scansione del sistema insediativo “verticale”, costituito da nucleo insediato permanentemente (Colloro, Cicogna, Intragna, Pogallo, Orfalecchio, Velina…) con le pertinenze coltivate e, salendo, il bosco, il maggengo. È (era?) però un tutt’uno funzionale con i paesaggi di alta quota, dove l’economia rurale e di sussistenza trovavano il completamento estivo negli alpi e nelle corti con le casere, le stalle e gli altri elementi funzionali. I centri, solitamente collegati da mulattiere e ponti tutt’oggi ammirabili come opere significative anche sotto il profilo ingegneristico, si organizzano in piccole “corti” man mano che si sale (Corte Bué, Corte Lorenzo, Corte del Bosco...). Una certa integrità visiva degli insediamenti è caratterizzante, sebbene presenti episodi di scostamento dalle tipologie edilizie tradizionali, nell’uso di intonaci e di tinteggiature coprenti con toni difformi, nell’installazione di coperture di diversa fattura per colore e materiale. E’ il territorio maggiormente sfruttato, in passato, per l’abbondanza di legname; sono evidenti i segni di questa attività nei resti delle teleferiche, delle “serre” e cenge per la flottazione del legname, ma anche in ciò che rimane di latterie, cartiere, torbiere, mulini, follatoi e in numerose altre opere, ridotte prevalentemente a tracce semi-nascoste dalla vegetazione, ma spesso vive nella memoria collettiva come un recente passato. Aurano e Scareno Pezza Blena 79 L'interpretazione strutturale del paesaggio Cicogna Altrettanto ricche sono le testimonianze sulla diversità bioculturale di questi luoghi un tempo coltivati, ora leggibile in labili tracce. L’integrità visiva degli insediamenti è caratterizzante: la compattezza dei nuclei edificati, il generale orientamento delle aperture verso valle e il colore chiaro degli intonaci, l’uso della pietra e del legno come principali materiali da costruzione di primaria importanza e di facile reperibilità, li connotano con un carattere di omogeneità. La scarsa altezza dei rilievi non scongiura un’estrema acclività dei versanti, all’origine della diffusa e imponente opera di terrazzamento e ciglionamento, ancora visibile in molti tratti, sebbene quasi sempre ormai obliterata dall’avanzamento del bosco. Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio tipi di paesaggio 80 I paesaggi della contemporaneità Pendenze e acclività nei versanti interni della Val Grande hanno ridotto sensibilmente, se non addirittura impedito, la formazione di veri e propri ghiacciai. La forza erosiva dei grandi ghiacciai ha invece avuto modo di esplicarsi senza risparmio su tutto il versante esterno in particolare nell’antica valle del Ticino (oggi lago Maggiore) e quella del Toce sui versanti fino ad alte quote. La grande piana alluvionale del fondo Toce, con la sua ampia sezione a “U”, è – insieme alla Val Susa – un elemento di rarità a livello regionale in ambiente montano. Storicamente la valle costituisce l’asse di attraversamento in direzione del passo del Sempione e di sviluppo degli insediamenti e delle attività produttive. Interessata dalla presenza di centri di rango territoriale elevato (Domodossola, Vogogna), la valle del Toce è strutturata sull’antico sistema policentrico dei comuni di fondovalle. Oggi è un paesaggio urbanizzato, simile, per molti aspetti a molti altri paesaggi degli insediamenti lineari della Val Padana (frammentazione delle aree rurali e rarefazione delle attività agricole, diffusione insediativa e perdita dei caratteri costruttivi tradizionali), ma sovrastato dalle vette alpine. Il fondovalle mantiene infatti uno stretto rapporto, anche visivo, con gli ambiti collinari e di bassa montagna con insediamenti a mezza costa delle “terre di mezzo” affacciati come “balconi” verso il fondovalle. Statale del Sempione Premosello Chiovenda 81 L'interpretazione strutturale del paesaggio Piana urbanizzata del Toce: Premosello sul fondovalle. Colloro a mezzacosta. La forza erosiva dei grandi ghiacciai ha invece avuto modo di esplicarsi senza risparmio su tutto il versante esterno in particolare nell’antica valle del Ticino (oggi lago Maggiore) e quella del Toce sui versanti fino ad alte quote. Le dinamiche insediative e le variazioni d’uso nelle aree intorno alla riserva ed esterne al Parco possono dare luogo a processi di frammentazione degli habitat a scala locale e della rete ec ologica a scala più vasta. Storicamente area di attraversamento e interessata da insediamenti e attività produttive, la valle del Toce è strutturata sull’antico sistema policentrico dei comuni di fondovalle. Oggi è un paesaggio urbanizzato simile a molti della Val Padana, ma sovrastato dalle vette alpine. I paesaggi della contemporaneità mantengono uno stretto rapporto, anche visivo, con gli ambiti collinari e di bassa montagna delle “terre di mezzo” affacciate come “balconi” verso il fondovalle. Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio tipi di paesaggio 82 Il paesaggio del lago L’antica valle del Ticino (oggi lago Maggiore) è frutto visibile della forza erosiva dei grandi ghiacciai. La vicenda legata all’attività di scavo e trasporto del marmo al cantiere del Duomo di Milano ha coinvolto in maniera estesa il territorio della Val Grande e, insieme, del lago Maggiore: insieme al marmo, venivano cavati serizzi e ricavato legname, necessari per i ponteggi di cantiere e per le stesse zattere di trasporto. Da Candoglia a Milano, infatti il trasporto seguiva una via d’acqua: dalla Cava Madre, al Toce, poi sul Lago Maggiore e il Ticino, fino in città a due o trecento metri dal cantiere della cattedrale. Val Grande e valli intrasche sono riparati, alle spalle del lago, con alcuni rapporti di reciprocità visiva. Tuttavia, la fascia di transizione (dalla costa verso le prime propaggini collinari, come l’ingresso della Valle Intrasca) è un paesaggio misto, di ville, di seconde case con giardini ornamentali, di sentieri e attrezzature per il loisir, centri di cura di impianto primo novecentesco. Il carattere di fondo è quello dell’urbanità, dove la posizione sull’entroterra collinare non smentisce la diretta connessione con la vita urbana del capoluogo di provincia e del suo contesto ambientale lacustre: industrie, quartieri operai che ospitavano la manodopera giunta dall’entroterra, ville novecentesche, nuove periferie, ad intaccare, in alcuni casi, l’integrità visiva di alcune scene naturali (pendici del Monte Rosso). Sono paesaggi dell’insediamento permanente e di villeggiatura connessa al lago in cui, in un tessuto urbano, emergono tuttavia tratti di percorsi panoramici con viste ampie e a cavallo fra montagna e lago, gli sfondi naturali delle montagne e delle colline all’imbocco della Valle Intrasca. Villa Giulia, Verbania Scorcio sul lungolago 83 L'interpretazione strutturale del paesaggio Lago Maggiore nei pressi di Pallanza La grande valle del Ticino (oggi Lago Maggiore) è il segno nel paesaggio dell’azione dei grandi ghiacciai che hanno invece solamente lambito la Val Grande. Dalla Val Grande alla fabbrica del Duomo di Milano, i preziosi materiali per la costruzione del famoso edificio viaggiavano via acqua attraversando anche il Lago Maggiore. Val Grande e valli intrasche sono riparati, alle spalle del lago, ma intrattengono con esso importanti relazioni anche di carattere visivo: percorsi panoramici e punti di osservazione a mezzacosta e in quota offrono scorci sul Lago, sul Duomo di Verbania, oltre che su mete visive a grandissima distanza. Capitolo V 85 La Val Grande dal popolamento alla Wilderness: un percorso storico Carlo Tosco L ’ interesse del Parco Nazionale della Val Grande consiste nel grado di naturalità che il suo territorio conserva, nonostante si collochi non lontano da aree di forte antropizzazione e di espansione urbana. È importante però ricordare che questa caratteristica ambientale non è un dato immutabile nel tempo, ma il prodotto storico di un processo di sviluppo. Come tutti i territori alpini, anche la Val Grande ha attraversato periodi diversi di trasformazione, con notevoli fluttuazioni del popolamento e del grado di pressione antropica. Può essere utile quindi ripercorrere a grandi linee questo processo di sviluppo, considerando che, fino ad oggi, la storiografia locale risulta alquanto frammentata e che mancano tuttora lavori di sintesi adeguati all’importanza che l’area riveste nel quadro dell’arco alpino e, in particolare, della montagna piemontese. Sarà necessariamente un percorso sintetico e di longue durée, che non rispetta le scansioni abituali della storiografia manualistica (antichità, medioevo, rinascimento, etc.), ma che tenta di calibrare una periodizzazione sui processi che hanno caratterizzato il sistema locale. La strada di margine Fig. 5.1 Baita nei pressi di Miazzina (foto Erminio Meschia, Museo del Paesaggio, Verbania). Un carattere strutturale del paesaggio storico della Val Grande è il rapporto tangente con il sistema delle comunicazioni transalpine. Il tracciato della strada che sale al passo del Sempione e al territorio svizzero del Vallese mostra una forte stabilità nel corso del tempo, imposta dalle condizioni orografiche e dalla presenza dell’asta fluviale del Toce (CONSALVI, 1999; SCHNEKENBURGER, 2002). Il percorso era sicuramente già utilizzato dalle popolazioni dell’età del Ferro e dai celti lepontini, ma è soltanto a partire dalla conquista romana che possiamo stabilire con chiarezza la presenza di una strada imperiale, gestita dall’amministrazione pubblica. I resti archeologici confermano la frequentazione del percorso, con il ritrovamento di tratti lastricati e di una iscrizione rupestre presso Vogogna, che attesta lavori di manutenzione della strada nel 196 d.C., durante l’impero di Settimio Severo (MENNELLA, 1992). In verità il Sempione non compare mai nelle fonti antiche e la via dell’Ossola non assumeva l’importanza di altri percorsi molto più utilizzati in età romana per scopi militari e commerciali, come la via delle Gallie che risaliva verso Aosta e il Gran San Bernardo e la «via Regina», che costeggiava il lago di Como per raggiungere la regione alpina di Coira e il lago di Costanza. La strada del Toce comunque aveva assunto una certa importanza, aumentata probabilmente nel tardo impero, nel quadro di un rafforzamento a scopo difensivo dei claustra Alpium, a fronte della minaccia barbarica. 86 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio La via dell’Ossola era inserita nel sistema che collegava il Lago Maggiore al Ticino e quindi ai nuclei urbani della pianura, dove la città di Novara assumeva il ruolo di centro amministrativo preminente. Nella zona alpina il popolamento doveva configurarsi con un carattere intercalare, basato su insediamenti di ridotte dimensioni, collegati al tracciato viario. I ritrovamenti archeologici più consistenti si concentrano nei comprensori di Mergozzo e di Domodossola, con la presenza di nuclei sepolcrali datati a partire dall’età augustea, ma anche i comuni del Parco furono coinvolti nel processo di romanizzazione, come nel caso di Miazzina, dove è stata ritrovata una vasta area funeraria (POLETTI ECCLESIA, 2008). Tra i siti identificati di recente la scoperta più importante si colloca in Valle Vigezzo, con la necropoli di Craveggia, dove le tombe attestano una frequentazione di lungo periodo, dalla seconda metà del I secolo d.C. fino al basso medioevo (SPAGNOLO GARZOLI, 2012a). È importante rilevare che quello stesso percorso mantiene la sua vitalità nel medioevo. Tracce di manutenzione e di risistemazione dei tratti lastricati restano ben visibili, e le testimonianze di uso della strada d’origine romana non mancano negli anni successivi al Mille. Un segnale importante dell’utilizzo medievale è la fondazione nel XIV secolo, presso Vogogna, di una mansio (stazione di sosta) controllata dai cavalieri Gerosolimitani in località Masone, che nel toponimo conserva il ricordo della funzione antica. Nel tardo medioevo il dominio visconteo era ben consapevole dell’importanza strategica del controllo dell’area di strada, che assicurava le comunicazioni con l’Ossola, entrata a pieno titolo nel quadro dello stato milanese. Anche in età moderna, con l’intensificarsi dei rapporti con i cantoni svizzeri, il Sempione vedeva aumentare il suo ruolo, sebbene il lungo tragitto che attraversava la valle del Rodano, da Briga a Martigny, rendessero il passo difficoltoso per raggiungere il Lago di Ginevra. Dopo l’acquisizione sabauda si attua una politica di rafforzamento delle comunicazioni transalpine, tenendo conto che la politica dei Re di Sardegna aveva promosso in modo preferenziale i valichi delle Alpi Cozie, con la strada del Moncenisio e l’asse Torino-Lione. Una nuova importanza viene assunta dal Sempione durante il dominio napoleonico, con impegnativi interventi di miglioramento delle strutture viarie promossi negli anni 1801-1805. Sarà l’avvento della ferrovia a rivoluzionare la viabilità del settore, riconfigurando il sistema dei valichi transfrontalieri. Nel 1898, dopo lunghi dibattiti e ricerche, iniziava la costruzione del traforo del Sempione, conclusa in tempi brevi nel 1906, seguendo il successo ottenuto dal vicino traforo del Gottardo, inaugurato nel 1882. Nel contesto territoriale che stiamo esaminando, la maggiore area di strada ha dunque mantenuto nei secoli una costante stabilità, inserita in nel vasto sistema delle relazioni transalpine. È importante allora rilevare la natura tangente del percorso rispetto al massiccio montuoso della Val Grande, che manca per la conformazione orografica di un sistema interno di attraversamento a facile percorribilità. Le comunicazioni interne erano infatti affidate ad un reticolo di mulattiere che raggiungevano i centri abitati e i pascoli d’altura, del tutto eccentrico rispetto alla grande viabilità della valle del Toce. È La Val Grande dal popolamento alla Wilderness: un percorso storico 87 questa quindi la prima premessa territoriale alla wilderness della Val Grande: la natura periferica del suo sistema di comunicazioni. Il popolamento: la prima fase di espansione La presenza umana nell’area rispecchia a livello locale le grandi fasi rilevabili in tutto l’arco alpino. Lo sfruttamento della montagna era da tempo praticato dalle popolazioni attive nel territorio, con una rete insediativa a maglie larghe e concentrata nelle fasce di fondovalle. In questo settore dell’arco alpino l’allevamento è attestato già a partire dall’età del Rame (3500-2200 a.C.), con pratiche pastorali transumanti di bovini e di ovi-caprini. Nell’età del Bronzo (2200-900 a.C.) il popolamento s’intensifica anche nelle zone montane e nella nostra area si segnalano sporadici rinvenimenti di reperti in metallo (GIANADDA, 2012). Più tardi, nella prima età del Ferro, la cultura di Golasecca estende fino alla zona del Lago Maggiore la sua portata, in collegamento con i valichi alpini (GAMBARI, 2004). La colonizzazione romana, a partire dall’età augustea, aveva certamente rafforzato il sistema insediativo lasciando tracce, come abbiamo visto, lungo l’area di strada (SPAGNOLO GARZOLI, 2012b). I dati archeologici, limitati a complessi funerari e a ritrovamenti sporadici, non consentono per l’età romana di ricostruire un quadro del popolamento e delle strutture insediative. Appare accertato comunque che si trattava di piccoli villaggi, collocati preferibilmente nei fondovalle, dove le comunità praticavano attività commerciali a lungo raggio, come attestano i ritrovamenti nei corredi tombali. La necropoli leponzia di Ornavasso, a partire dal II secolo a.C., documenta lo sviluppo delle popolazioni celtiche, in contatto diretto con il percorso viario (ARSLAN, 2001). L’allevamento e lo sfruttamento del patrimonio forestale rappresentavano le risorse più importanti per le popolazioni locali. Anche le pratiche estrattive dovevano assumere un notevole rilievo nel quadro socio-economico, in particolare per i giacimenti di pietra ollare, ben attestata nei ritrovamenti archeologici della Valle Vigezzo. I reperti archeologici divengono più rari dopo il IV sec. d.C. e, in seguito alla disgregazione dell’impero, nell’alto medioevo le tracce di antropizzazione diminuiscono la loro consistenza. La stessa presenza di popolazioni gote e longobarde rimane incerta nell’area della Val Grande. Non mancano però attestazioni archeologiche di continuità insediativa di lungo periodo, come nella necropoli di Craveggia, che dall’età imperiale giunge al basso medioevo. La documentazione fornita dalle fonti scritte riprende a partire dal X secolo, e diviene via via più consistente (RIZZI, 1995). Le prime testimonianze sono legate alle presenze monastiche e al dominio signorile. Diverse abbazie collocate nella zona del Lago Maggiore mantenevano possedimenti fondiari periferici nelle aree montane, e in particolare tra l’Ossola e la val Grande sono attestati i beni pertinenti al monastero benedettino di San Graciniano di Arona. Nelle carte monastiche compaiono per la prima volta le «alpi», i soggiorni estivi delle mandrie. Lo sfruttamento dei pascoli d’altura diviene così una pratica sempre più diffusa, destinata ad intensificarsi nel tardo medioevo, costellando le valli interne di una rete d’in- 88 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio sediamenti stagionali. Le selve che ricoprono le pendici montane vengono intaccate da una prima attività di disboscamento finalizzata ad aprire radure adatte per le pratiche di allevamento. D’altra parte si afferma anche la presenza signorile laica, che estende i diritti feudali sui boschi, sui pascoli e sugli alpeggi, in particolare i conti di Castello, che detenevano la curtis regia di Pallanza. A partire dal XII secolo i conti avevano consolidato la loro presenza dalla sponda occidentale del Lago Maggiore alla Valle Intrasca, esercitando la loro autorità sui coloni, ufficialmente riconosciuta da un diploma imperiale di Federico Barbarossa del 1152. Per i secoli centrali del medioevo, in mancanza di una documentazione sistematica, il metodo più affidabile per valutare il grado di sviluppo degli insediamenti è quello di esaminare la collocazione delle chiese, che funzionavano come elementi di riferimento per i centri demici in espansione. La Val Grande si collocava nell’ambito territoriale della diocesi di Novara, e nel medioevo si rafforza quindi quel legame con la città di pianura più vicina che già si era delineato nell’età antica. I vescovi di Novara mantengono possedimenti fondiari nell’area ed esercitano un controllo diretto sul sistema delle pievi, organizzate in funzione dello sviluppo della popolazione nei rilievi alpini (GAVAZZOLI TOMEA, 1980). Non stupisce constatare che le pievi risultano collocate lungo il tracciato della strada romana che, come abbiamo visto, aveva conservato la sua importanza in età medievale. Le quattro sedi plebane infatti vengono stabilite a Intra, Fig. 5.2 Da sinistra, Vogogna, iscrizione del II sec. d.C. riferita alla strada romana. Corredo di età romana da Toceno. presso il lago Maggiore, a Mergozzo, a Pieve Vergonte e a Domodossola, con una scansione regolare che segue il corso del Toce. Si riconoscono così due assi ben distinti di sviluppo insediativo rispetto all’area attuale del Parco: a sud troviamo le dipendenze della pieve di Mergozzo (Candoglia e Bracchio), a nord quelle della pieve di Domodossola, con Beura, Trontano, Masera, Santa Maria Maggiore e Malesco, che documentano l’importanza assunta dalla val Vigezzo. In questo settore è attestata nel medioevo una strada pubblica che da Domodossola attraversa la valle e raggiunge Locarno, all’estremo nord del Lago Maggiore. La Val Grande dal popolamento alla Wilderness: un percorso storico 89 La presenza delle chiese romaniche, inserite del quadro territoriale delle pievi, è un primo segno della crescita demografica del territorio tra XI e XII secolo. Dunque in sintesi il popolamento medievale assume con la nascita degli edifici religiosi, che costituiscono in molti casi il nucleo primitivo dei centri comunali, una collocazione di margine, che circonda il nucleo interno dei rilievi, dove si colloca la «core zone» del Parco. Il popolamento aumenta in corrispondenza dei fondovalle e dei pianori che si prestano a forme di sfruttamento agricolo, mentre verso l’interno si collocano i pascoli d’altura, sfruttati con lo sviluppo della transumanza verticale. La nascita dei comuni che si suddividono il territorio del Parco avviene quindi nei secoli centrali del medioevo, dopo una fase di abbandono e di spopolamento dell’insediamento sparso che caratterizzava la colonizzazione romana. Nel corso del Trecento l’inquadramento territoriale delle valli ossolane nel sistema di potere visconteo colloca la nostra zona in un contesto politico più vasto. È ancora l’area di strada ad aumentare di conseguenza la sua importanza, e questo processo si misura efficacemente sul territorio con la costruzione del castello di Vogogna, tuttora ben conservato, che assumeva la funzione di controllo del percorso strategico che risaliva la valle del Toce. Già negli anni 1340-1350 il villaggio era stato rafforzato con la costruzione di una cinta muraria e del palazzo pretorio, e poco tempo dopo iniziava il cantiere della fortezza soprastante, sotto la minaccia di attacchi provenienti dai cantoni svizzeri del Vallese. A fronte di questa organizzazione signorile, le comunità rispondono con forme embrionali di autogoverno. È bene ricordare che l’ascesa viscontea si colloca in un contesto territoriale dove l’incastellamento non aveva assunto una grande espansione, soprattutto se confrontato con altre aree limitrofe, come l’Ossola superiore o il Cusio. I borghi si configuravano comunque con un carattere tendenzialmente accentrato tra XIII e XIV secolo, e si erano dotati di strutture amministrative locali, le viciniae, comunità di villaggio che gestivano i beni comuni. Nel 1251 sono documentati per la prima volta due «sindici» che operano a nome degli uomini di Cossogno. Ad una scala più ampia è attestata precocemente la formazione di «comuni di valle», che riunivano diversi villaggi in un quadro amministrativo territoriale. Già negli anni 1222-1223, con la stipula dei patti di alleanza con la città di Vercelli, durante la guerra contro Novara, sono attestate le unioni dei comuni delle valli Intrasca e Vigezzo. Nei decenni successivi queste associazioni policentriche conosceranno un crescente rafforzamento, ormai inserite nel sistema di governo signorile visconteo. L’interesse delle comunità è indirizzato soprattutto all’amministrazione dei beni collettivi, i vasti territori alpini che assumono un’importanza vitale per l’espansione dell’allevamento e per l’utilizzo dei boschi. Un documento del 1254 attesta le modalità di sfruttamento delle risorse del monte Pizzone, tra Buè e Ompio, tramite l’accordo di comunità della Valle Intrasca e dell’Ossola (CROSA LENZ, 2014). Dopo una fase di sperimentazione e di gestione basata sulle antiche consuetudini, tramandate in forma orale, si rende necessaria la stesura degli statuti, che formano il primo quadro di norme scritte. 90 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio Nella val Grande gli statuti più antichi vengono redatti alla fine del XIV secolo, a Mergozzo nel 1378 e nelle valli di Intra e d’Intrasca nel 1393 (ANDERLONI, SELLA, 1914). Si delinea così alla fine del medioevo un quadro di forte espansione demografica e di riorganizzazione territoriale, grazie al dinamismo delle comunità alpine. In tale contesto si collocano due fenomeni concomitanti: la colonizzazione pastorale delle zone liminari, in grado di assorbire la crescita della popolazione, e l’innesco di movimenti migratori, a carattere inizialmente stagionale, indirizzati verso i cantoni svizzeri e le regioni più lontane della Francia e della Germania. La conquista di nuove terre «alte» e lo sfruttamento transumante dei pascoli assumevano una portata crescente, che raggiungeva il culmine verso la metà del Cinquecento. Dove le fonti offrono una documentazione più consistente, a carattere seriale, è possibile stabilire un quadro di misurazione di tali fenomeni di crescita. Così per la vicina Valsesia la popolazione era passata da sei/settemila abitanti del Duecento a 36.625 anime conteggiate nel 1520, stando alla stima del Liber omnium benefitiorum Civitatis Novariae. All’inizio dell’età moderna si delinea un fenomeno nuovo: lo sfruttamento dei boschi per l’esportazione del legname. Inizialmente l’importanza economica delle foreste era ridotta, limitata alle esigenze di base delle popolazioni (riscaldamento e opere edilizie), ma il grande serbatoio formato dalle estensioni di faggi e di conifere nelle terre comuni assume un’importanza maggiore a partire dalla metà del XVI secolo, anche per le attività di esportazione. Uno stimolo decisivo viene dalle cave di Candoglia, concesse da Gian Galeazzo Visconti nel 1387 alla Fabbrica del Duomo di Milano, insieme ai boschi circostanti, in grado di fornire il legname per le esigenze di trasporto. I marmi venivano cavati in altura e trasportati fino alla riva del Toce, dove erano caricati su zattere fino al lago e condotti a Milano attraverso le acque del Ticino e del Naviglio Grande. La città però richiedeva sempre più legname per le sue opere edilizie e, a fianco della pietra, si sviluppava l’attività di taglio, con la partecipazione attiva delle comunità locali, spesso in contrasto con i diritti vantati dalla Fabbrica del Duomo, in virtù delle concessioni viscontee. Si apriva così l’età dei grandi disboscamenti, funzionali anche all’espansione dei pascoli, destinata ad aumentare in modo progressivo per la disponibilità del «capitale naturale» offerto dalle foreste. Le mutazioni climatiche, con l’avvento di quella che viene comunemente definita «Piccola età glaciale», dalla seconda metà del Cinquecento all’inizio del XIX secolo, favoriranno la crescita delle foreste, per l’aumentata piovosità e per l’irrigidimento generale delle condizioni atmosferiche. L’aumento demografico però, e la conseguente moltiplicazione dei nuclei insediati nel territorio alpino, non registra un andamento continuo, ma fasi di fluttuazione e di stagnazione. Dopo la crescita tardo-medievale il popolamento segna una battuta d’arresto nel XVII secolo, a causa della crisi economica, dell’ondata di epidemie e dell’instabilità dovuta allo stato endemico di guerra. È probabile che in questo periodo La Val Grande dal popolamento alla Wilderness: un percorso storico 91 si verifichi una prima contrazione degli insediamenti alpini, ancora difficile da quantificare in mancanza di studi sistematici. La situazione tende a cambiare nuovamente nel XVIII secolo, quando questo settore del Piemonte è investito da una nuova riorganizzazione politico-amministrativa. Il nuovo inquadramento territoriale Fig. 5.3 Pastorella a Miazzina, inizio secolo, (foto Erminio Meschia, Museo del Paesaggio, Verbania). Dopo la lunga dominazione spagnola infatti (1535-1714), in due fasi distinte il territorio viene inserito in un quadro unitario di moderne strutture statali, passando prima sotto il controllo asburgico (1731-1743) e in seguito sotto quello sabaudo, che si afferma definitivamente con la pace di Aquisgrana (1748). Gli stati dell’ancien régime impongono una riorganizzazione degli insediamenti, del sistema fiscale e una gestione più attenta dell’area di strada. Con l’Impero austriaco infatti il governo del territorio inaugura lo strumento del catasto figurato, che rappresenta un metodo moderno di registrazione sistematica delle proprietà e di ripartizione del carico fiscale. La mappe del catasto Teresiano, conservate all’Archivio di Stato di Torino, offrono per la prima volta la possibilità di conosce in modo approfondito il sistema territoriale, la distribuzione degli insediamenti, i tracciati stradali, la consistenza demografica, la distribuzione delle colture. La Tabella I offre un riscontro della ricchezza della documentazione archivistica offerta dal catasto Teresiano, che resta ancora in gran parte da esplorare. In questi anni l’economia locale resta legata alla pastorizia e all’agricoltura, che conosce un incremento con l’introduzione della patata, in espansione soprattutto nel corso dell’Ottocento. Gli unici settori che registrano attività di esportazione a lungo raggio sono quelli della pietra da costruzione e del legname, grazie alla crescente domanda nel settore edilizio esercitata dalle grandi città di pianura. 92 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio Tabella I Mappe del Catasto Teresiano (Archivio di Stato di Torino). Catasto Teresiano Comune Numero mappe Cardezza 27 Caprezzo 16 Cossogno 75 Cursolo 34 Orasso 15 Intragna 21 Malesco 53 Miazzina 36 Premosello 54 San Bernardino Verbano 13 Santa Maria Maggiore 7 Trontano 106 Vogogna 30 TOTALE 487 In seguito, con il passaggio ai Savoia, la documentazione aumenta ulteriormente e disponiamo di una fonte preziosa: le relazioni degli intendenti, che vengono inviati dal governo centrale per esaminare e rilevare con mezzi statistici lo stato dei territori di nuova acquisizione. Nel nostro caso si distingue la relazione del marchese Vincenzo Alessandro Ferrero d’Ormea, governatore di Novara, redatta nel 1768. Il documento offre un quadro prezioso della struttura sociale e delle risorse produttive del territorio, mettendo in luce i problemi economici e lo stato di arretratezza delle comunità montane. Infine, dopo la parentesi napoleonica, a partire dalla Restaurazione le fonti per la conoscenza della regione alpina divengono ancora più numerose, grazie al lavoro sistematico condotto sul territorio dai corografi, primo fra tutti il Dizionario del Casalis (1833-1856). Negli anni a ridosso dell’Unità s’impone la stesura dal catasto Rabbini, che arriva a coprire tutti i comuni della nostra area. Già nel XVIII secolo si erano realizzati i primi impianti industriali, con la nascita della Regia Fabbrica dei Cristalli di Intra, che sfruttava l’ampia disponibilità di legname delle valli. È nel corso però dell’Ottocento che si sviluppa in modo diffuso una rete manifatturiera, certo di estensione limitata ma in grado di fornire una risorsa economica integrativa per il settore primario. Mentre nel fondovalle del Toce si collocano gli impianti maggiori, anche nei paesi d’altura si segnala una proliferazione di microindustrie. A Cossogno ad esempio, lungo il corso del torrente San Bernardino, il Casalis registra la presenza di fabbriche di cotone, di segherie e di filature per la seta. Le industrie davano lavoro a molti residenti e la popolazione raggiungeva 1150 abitanti. 93 La Val Grande dal popolamento alla Wilderness: un percorso storico Il grado massimo di espansione demografica si registra proprio verso la metà del XIX secolo. Un confronto sistematico dei dati offerti dal Casalis e della situazione odierna, condotto sui comuni che compongono la Val Grande di cui disponiamo di notizie sicure, appare molto eloquente (Tabella II). Tabella II Andamento demografico dal 1830-40 al 2011. Comune Casalis 1830-1840 Anno 2011 Comprensorio Aurano 780 103 valle Intrasca Beura-Cardezza 500 1437 val Toce Caprezzo 580 170 valle Intrasca Cossogno 1150 588 valle Intrasca Cursolo-Orasso 130 106 val Cannobina Intragna 1240 107 valle Intrasca Malesco 640 1465 val Vigezzo Miazzina 774 414 valle Intrasca Premosello-Chiovenda 1590 2034 val Toce S. Maria Maggiore 980 1260 val Vigezzo Trontano 1200 1702 val Vigezzo Diviene così possibile misurare il grado dello spopolamento raggiunto nel nostro territorio. Il crollo demografico, che coinvolge com’è noto tutto l’arco alpino piemontese, nasce dalla crisi dell’economia montana e dall’attività delle aree industriali nate nel dopoguerra nelle zone di pianura. Si tratta però di uno spopolamento selettivo, che colpisce soltanto le aree dove non si verifica lo sviluppo turistico legato alla «nuova vita» della montagna, uno sviluppo che ha alterato profondamente le strutture del paesaggio. Nella Val Grande questo sviluppo è rimasto in alcune zone marginale e il paesaggio ha conservato i suoi caratteri, con sensibili differenze a seconda dei centri comunali. Così nella val Vigezzo la potenzialità turistica ha consentito una tenuta della popolazione: a Santa Maria Maggiore gli abitanti erano 980 nel 1830, 1188 nel 1861 e oggi sono 1260, a Malesco si contavano 640 residenti nel 1840, 1010 nel 1861 e oggi ne raggiunge 1465. Diversa è la situazione dei comuni più interni, come Caprezzo, cha contava 580 abitanti alla metà dell’Ottocento, 450 nel 1861 e scende a 170 nelle ultime rilevazioni. È in tale congiuntura che si colloca la nascita del Parco e il nuovo scenario aperto ai nostri giorni. Una montagna spopolata dove la natura ha ripreso il sopravvento, al termine di un «grande ciclo» che si era aperto negli anni intorno al Mille. Per comprendere oggi la wilderness della Val Grande, è necessario ricostruire la sua storia. 94 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio Capitolo VI 95 Le trasformazioni della struttura territoriale nell’area del Parco della Val Grande. Persistenze e variazioni a partire dai catasti storici Chiara Devoti Struttura storica e immagine cartografica dalle carte dello Stato ai catasti 1 I l territorio della Val Grande e più in specifico l’area occupata dal Parco, nonostante una notevole persistenza della propria struttura storica1, sono incorsi nelle naturali fasi o per meglio dire negli inevitabili processi di revisione, nella forma consueta del riassetto intervallivo e del rinsaldarsi della relazione prevalentemente con il fondovalle, che caratterizzano la trasformazione delle zone montane e premontane. A fronte quindi di una notevole persistenza di alcuni elementi fondativi (per esempio la prevalenza di un’organizzazione agro-silvo-pastorale nella quale il bosco ha da tempi antichi una netta preminenza)2, altri sono variati in ragione delle mutate condizioni insediative e delle logiche nuove di transito (in prevalenza ciò riguarda il sistema infrastrutturale di bassa e media quota)3. Le tracce del mutamento sono particolarmente evidenti dal raffronto della cartografia storica, sia di ampio respiro, come di più minuto raggio e maggiore dettaglio, una documentazione iconografica della quale la Val Grande è assai ricca: oltre alle grandi carte redatte per la conoscenza dello Stato, in particolare a valle dell’acquisizione di questi territori da parte sabauda4, l’area è censita con dovizia di particolari dal cosiddetto catasto teresiano degli anni venti del XVIII secolo5 (per molti versi il corrispettivo, di qualche anno più vecchio, del catasto antico che caratterizza i territori in mano sarda)6 e poi dal catasto Rabbini, della seconda metà del XIX secolo7, con una sola «mancanza» nella catastazione storica, rappresentata dal catasto francese o napoleonico8, cui peraltro è Si tratta di una questione fondamentale, quella della distinzione, tra storia del territorio e struttura storica del territorio a cui si accompagna quella della riconoscibilità delle caratteristiche dell’area d’indagine attraverso la lettura dei fenomeni periodizzati che su questa lasciano segni ancora decodificabili. Il rimando imprescindibile è a COMOLI 1984, ripresa poi ancora in VIGLINO DAVICO 1987 e più recentemente in COMOLI 2004, pp. 13-15 e in specifico p. 13. 2 COPIATTI 2012, pp. 212-216. 3 Per le variazioni alla struttura storica e la loro interpretazione metodologica DEVOTI, DEFABIANI 2012, pp. 19-32. 4 Cartografia di grande respiro realizzata alla metà del XVIII secolo a scopo di censimento delle capacità produttive delle diverse aree che componevano il frastagliato mosaico dei possedimenti entro gli Stati Sardi. 5 TOSCO in questo stesso volume. 6 ZANGHIERI 1973, pp. 759-806. Per il processo di applicazione delle norme per la perequazione si rimanda ai contributi in Longhi 2008 e al fondamentale ROGGERO 1996, pp. 49-59. Per le tecniche di rilevamento SERENO 1981, pp. 284-296 e in particolare p. 288 sg. Applicato a tutto lo Stato, il catasto antico o sardo presenta due aree di anomalia: il Ducato d’Aosta, dove la catastazione verrà recepita con ritardo (lettere patenti del 1788) e senza la redazione delle mappe, ma solo con registri a base descrittiva (DEVOTI 2012a, pp. 593-606 e tavole fuori testo), e i territori che saranno compresi nel regno solo dopo la pace di Aquisgrana (1748), i quali, essendo alla data della redazione dello strumento sabaudo ancora sotto il governo austriaco, si rifacevano a una catastazione analoga, ma leggermente diversa, che va sotto il nome appunto di catasto teresiano. 7 Il nome deriva dal geometra Antonio Rabbini, chiamato sin dal 1853 a dirigere il nuovo Ufficio del Catasto. 8 Rimasto in vigore sino all’inizio del secolo successivo, il sistema catastale antico (sardo o teresiano, recepito dal regno di Sardegna per le aree di nuova annessione che lo impiegavano), viene messo a riposo dall’avvento napoleonico che, annesso il territorio piemontese a quello francese, procederà a una doppia catastazione, prima per masse di coltura (1802-1806) e poi particellare (dal 1808), peraltro senza che l’operazione si compia per tutto il territorio in modo completo. DEVOTI 2012b, p. 76. 96 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio possibile sopperire con cartografia di più ampia area, ma con datazione compatibile e un dettaglio assolutamente eccezionale nella strepitosa qualità grafica9. Nella stessa misura appare come il grande quadro di riferimento al catasto Rabbini la ricognizione dello Stato nota volgarmente come Gran Carta degli Stati Sardi, del 185210. In tal modo attenzione alla scala vasta e minuto rilevamento particellare sono posti costantemente e reciprocamente a confronto e a conferma l’uno dell’altro, come impone lo studio di un contesto della straordinaria ricchezza di un parco nazionale. Il rilevamento teresiano: territorio, misuratori, rappresentazioni 9 In auge nel contesto dei territori appartenenti allo Stato di Milano, il catasto teresiano, come già si disse, precede di poco la catastazione sabauda. Fondato sul ricorso alla particella come minima unità avente lo stesso proprietario e la medesima coltivazione e sulla redazione oltre che di sommarioni11, anche di mappe grafiche, il catasto appare all’avanguardia sicché lo Stato Sardo eviterà di procedere a una nuova – e tra l’altro costosa – ricatastazione per le aree annesse prima con il trattato di Vienna (8 novembre 1738), ossia il Novarese e il Tortonese, e indi, con il trattato di Aquisgrana (15 ottobre 1748) il Vigevanasco, l’Alto Novarese, il Bobbiese e l’Oltrepò Pavese. L’operazione di misura è affidata a una «giunta» nominata il 3 dicembre 1718 da Carlo VI d’Asburgo e presieduta da Vincenzo Miro12, ma di fatto la maggior parte delle misurazioni sono riconducibili a due fasi, una prima degli anni ’20-’30 del secolo e una seconda più tarda, dal 1749, questa volta sotto la guida di Pompeo Neri, legata proprio alla nuova sovrana Maria Teresa, e successiva all’annessione di una parte delle aree nei territori sabaudi13. Come è stato efficacemente messo in luce «gli esordi del censimento lombardo del secolo XVII […] ricalcano abbastanza fedelmente quelli dell’estimo cinquecentesco [detto anche Estimo di Carlo V], sia nell’impostazione generale, sia nelle operazioni preliminari, sia nelle modalità di finanziamento, quasi a voler rimarcare il più possibile la continuità fra le due iniziative di riordino tributario. Addirittura l’atto di nomina della Real Giunta del censimento, che risale al 7 settembre 1718, oltre a riproporre la costituzione di un organo composto da quattro ‘ministros’, tutti forestieri, menziona espressamente il decreto di don Ferrando Gonzaga del 1° novembre 1546 per conferire ai membri appena designati i medesimi poteri e la medesima autorità, di trattare, disporre e decidere, che era stata attribuita ai loro predecessori»14. Ciò che appare rilevante è la diversa formazione dei tecnici incaricati delle procedure, ora non più solo di registrazione, ma di misura e di rappresentazione delle misure prese, un procedimento al Si tratta in particolare della Carta Topografica degli Stati di Terra Ferma di S.S.R.M. Carlo Alberto Re di Sardegna, fatta dal Corpo dello Stato Maggiore comandato dal Ten.te Gen.le B.ne di Monthoux, scala 1:50.000, 1816-31 e relativi fogli. Istituto Geografico Militare (IGM), Firenze, Archivio Topocartografico, cartografia antica. 10 CORPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO SARDO, Carta degli Stati di S.M. in Terraferma, detta Gran Carta degli Stati Sardi, 1852. Archivio di Stato di Torino (ASTO), Carte topografiche segrete, B5-bis nero. 11 Allegato F., Libri catastali relativi alle mappe dell’Allegato A per i paesi di nuovo acquisto, in ASTO, Sezioni Riunite, Finanze, Catasti, Catasto Teresiano. 12 Dalla scheda a catalogo dell’ASTO. 13 Per uno studio delle potenzialità di analisi del catasto nell’area si vedano BARIATTI, MARGARINI 2001. 14 ZANINELLI 1963, p. 23. 97 L'interpretazione storica attraverso i catasti quale contribuisce in modo determinante l’arrivo a Milano del matematico di corte Giovanni Giacomo Marinoni, in servizio alla corte di Vienna, che avrebbe dovuto definire in modo preciso le nuove norme15: in effetti, come richiamato efficacemente, egli «propose che la superficie dovesse essere misurata in modo uniforme in tutto lo Stato, adottando una sola unità di misura, e rappresentata graficamente attraverso le mappe, che dovevano riportare i confini della superficie riprodotta, le strade pubbliche, le rogge, gli argini, i fossi, i caratteri colturali; e inoltre suggerì di abbandonare lo squadro, ossia lo strumento goniometrico in uso da secoli per misurare la terra, e di adottare la tavoletta pretoriana, strumento goniografico, che avrebbe permesso al rilevatore di riprodurre direttamente sul posto la superficie in scala oggetto della misurazione, senza attraversare i campi. […] La misurazione delle terre si svolse dal 1721 al 1723 e, con l’ausilio della tavoletta pretoriana, fu redatta una mappa per ciascuna comunità dello Stato, dalla quale risultano la figura di ogni particella, la coltura praticata, la dimensione, la distribuzione degli edifici. Per la comprensione di tali rappresentazioni grafiche vennero compilati i ‘Sommarioni’, dove sono annotati tutti gli appezzamenti disegnati e numerati nella mappa, con l’indicazione della rispettiva misura, espressa in pertiche milanesi, del nome del possessore, della qualità colturale con cui il terreno fu ritrovato»16. Esattamente come sarebbe avvenuto più o meno in contemporanea nel contiguo Stato Sardo, all’inizio è attestata, nei misuratori, una diffusa osmosi tra tecnici provenienti dai ranghi civili e misuratori estratti dal genio militare, ma con l’estendersi dell’operazione catastale, dalle semplici «piazze» di misuratori si passa a un vero e proprio servizio di geometri e misuratori camerali, espressamente addestrati per il servizio allo Stato, operativi presso l’ «Ufficio del Censo», appositamente istituito alla metà del secolo per la revisione proprio del Catasto Teresiano nella sua prima stesura17. I misuratori con i quali abbiamo a che fare per le aree prese in considerazione nel presente lavoro, ossia Intragna, Colloro e Cossogno, si qualificano tutti come «geometri», assistiti da misuratori minori, quelli che per l’area sabauda sono i «trabuccanti» e qui presumibilmente «perticanti»: a Colloro (nel mandamento di «Premosello – val d’Ossola») Giulio Ricchino con l’ausilio di Alessandro Origgio, Antonio Milano, Gio Ant.io Peverino, Giò Antonio Delforte e Ant.o Arcioli (con come «dissegnatori» Gioanbattista Aliprandi, Nicola Sovico, Giacomo Acra e Pietro Martorino); a Intragna («pieve d’Intra, Ducato di Milano») Giacomo Antonio Biughi con l’assistenza di Giuseppe Bolla, Giò Maria Paltaro, Gioan Buono e Antonio Riattino (quali copisti Marco Groppi, Antonio Girelli e Francesco Maunate); infine a Cossogno («Valle d’Intragna Lago Maggiore Ducato di Milano») il geometra Giovanni Della Torre, senza indicazione di aiuti (e con la copiatura dei «dissegnatori» Gaspare Pozzo, Giò Chiesa e dello stesso Giò Della Torre)18. É indubbio che l’impiego della tavoletta pretoriana, in un certo senso imposto da Marinoni, 15 MARINONI 1751; ID., 1719. 16 ZAPPA 1999, p. 303. 17 FERRARESI, VISIOLI 2012, p. 68 18 Dalle intestazioni della prima tavola delle mappe, tutte in ASTO, Sezioni Riunite, Finanze, Catasti, Catasto Teresiano. 98 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio nonostante ancora, in questa primissima fase – il 1722 per la Val Grande – non si sia stabilito un apposito corpo di misuratori, garantisca, grazie alla massiccia presenza di agrimensori, geometri, e di esperti disegnatori (tutti accuratamente indicati a riprova della ampia considerazione del loro ruolo e della loro perizia), una rappresentazione grandemente omogenea e raffrontabile. Per quanto ingenuo possa apparire il tratto e difficile la comprensione della complessa orografia per chi è ormai «viziato» dalle isoipse, le indicazioni del matematico e le relative prescrizioni da parte della Giunta garantiscono una immediata riconoscibilità della natura dei coltivi – qui in prevalenza boschi – con qualche area di ridotta estensione a campo, soprattutto nelle poche aree pianeggianti, poi pascoli e ampi greti e aree golenali di torrenti classicamente a «incolto produttivo», una definizione che la dice lunga sulla capacità di cavare mezzi di sostentamento anche da quelle che nell’area della Valsesia sono indicate espressivamente come «grillaie»19… Il catasto Rabbini: geometrizzazione delle terre e precisione di rilievo «Nel complesso decennio di preparazione all’Unità d’Italia, tra le molte iniziative intraprese, si colloca anche l’ipotesi di una nuova catastazione basata su saldi principi di rilevamento. Con decreto del 1855 viene promosso il Catasto stabile degli Stati Sardi di Terraferma, da appoggiarsi all’Ufficio del Catasto creato nel 1853 presso il Ministero delle Finanze, e diretto da Antonio Rabbini, autore del fondamentale testo Dell’accertamento catastale, dell’attuazione e conservazione del Catasto, del 1855, analisi programmatica delle modalità anche topografiche di attuazione della misurazione. Iniziate nel 1856 le operazioni catastali, con mappe in scala variabile (dall’1:6000 all’1:750), del cosiddetto ‘Catasto Rabbini’, scontratesi con le difficoltà legate all’unificazione e ai trasferimenti della capitale, si arenano entro il 1870, censendo i soli circondari di Novara, dell’Ossola, di Pallanza, Pinerolo, Susa, Torino e Varallo»20. La ricerca dell’equità nell’imposta prediale e nello stesso tempo la volontà di istituire un catasto stabile, al cui servizio porre una schiera di tecnici dalla salda formazione e per i quali lo stesso geometra Rabbini aveva predisposto un adeguato corpus teorico (a cominciare proprio dal volume Dell’accertamento catastale. Dell’attuazione e conservazione del Catasto. Sunto delle lezioni tenute da Antonio Rabbini Direttore Capo dell’Ufficio del Catasto alle Scuole Censuarie istituite a Torino dal Ministero delle Finanze del 1855 e dal complementare Atlante di Tavole Planimetriche relative alle Lezioni sull’Accertamento Catastale […] sempre del medesimo anno), guidano una impostazione all’insegna della più alta modernità per il tempo e del più elevato grado di professionalità da parte dei misuratori (il Corpo dei Rilevatori e degli Estimatori) impegnati sul campo21. Il rigore estremo del rilevamento, su base trigonometrica, con l’impiego dell’onnipresen- 19 Per l’uso del termine DEVOTI, DEFABIANI 2012. 20 DEFABIANI 2012, pp. 345-355 e in specifico p. 345. 21 Ibid., p. 352. 99 L'interpretazione storica attraverso i catasti te tavoletta pretoriana, ma integrata da diottra a cannocchiale e da teodolite, costruisce una vera e propria serie di reti di I e II categoria, incentrate su punti coerenti a quelli definiti dall’Ufficio del Corpo di Stato Maggiore dell’Esercito, in una perfetta continuità con il prodotto della prima Restaurazione (il già richiamato rilevamento degli anni 1816-30) e con quanto propugnato dalle Écoles de Guerre di età napoleonica, i cui insegnamenti Andrea Gatti – presso il quale aveva compiuto il proprio tirocinio professionale Rabbini – aveva tentato di mettere in pratica quasi un mezzo secolo prima con il rilevamento della capitale del Regno di Sardegna, Torino22. Il nuovo rilevamento – basato sull’accertamento dei beni stabili e sulla misura parcellare con l’indicazione dei possessori e della qualità e destinazione – poneva le basi anche per una migliore attività a livello pubblico come privato, rendendo evidente dimensione e natura di ogni bene terriero o immobiliare, ma introduceva anche una evidente durezza di tratto, una «geometrizzazione» sempre più spinta, fino a – come ha messo in luce efficacissimamente Paola Sereno – offrire una immagine rigidamente geometrica del territorio, che quasi deve adattarsi alla misura e non viceversa determinarne le regole. Nonostante quello che può apparire un limite, ossia l’eliminazione del tratto pittorico ed evocativo, la riduzione del colore, ormai riservato solo ai fabbricati (rosso) e ai corsi d’acqua naturali come artificiali (blu), il tracciato netto del catasto Rabbini promuove, nel processo di semplificazione estrema, la massima leggibilità, senza offrire il fianco a equivoco di sorta, e procedendo a misura e parcellizzazione di ogni porzione del suolo comunale, cime di montagne e greti di torrenti compresi. I Sommarioni, poi, appaiono come vere e proprie descrizioni figurali, nelle quali la complessità e specificità dei testi, sopperisce ampiamente all’assenza di colore ed evita ogni possibile dubbio su estensione e valore del terreno o del bene, cui corrisponde infatti sempre un rigoroso estimo in funzione anche della «bontà» del terreno censito. Come messo in luce da analisi condotte in altre aree raggiunte dalla catastazione di Rabbini, il dettaglio nella individuazione della natura dei coltivi si fa estremo e «fotografa» la grande variabilità delle colture o delle coperture vegetazionali. I «boschi» del catasto teresiano, al massimo connotati dalla qualifica «d’alto fusto», si arricchiscono qui delle di «bosco ceduo forte», «bosco ceduo dolce», «bosco d’alto fusto misto», «bosco d’alto fusto ceduo», «bosco d’alto fusto dolce», «bosco ceduo misto», «bosco d’alto fusto forte», ma non mancano anche le «ripe con cespugli», le «ripe boschive a bosco ceduo dolce», cui associare le «alluvioni con bosco ceduo dolce», se necessario23. Estremo rigore nella misura, complessità di ampiezza di definizione, seguita da detta- 22 Andrea Gatti, geometra misuratore, aveva collaborato con il fratello Alberto, inventore di un sistema celerimetrico di misurazione, sotto Napoleone e poi aveva proseguito con gli stessi criteri in fase di prima Restaurazione. Dal 1823 Rabbini è il suo più stretto collaboratore. DEFABIANI 2012, p. 348. 23 Per tutte le categorie commentate ancora Idib., p. 355. 100 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio gliata descrizione e da relativo accurato estimo (il cui precedente risiede nell’arpentage napoleonico) contrassegnano l’operazione, estendendo di quasi un secolo quel procedimento di controllo e di valutazione minuziosa che avevano accompagnato il censimento delle risorse naturali (boschi, miniere, acque) delle aree di nuova acquisizione, come testimoniato da ampie e ricchissime cartografie24. In queste il riconoscimento, secondo uno schema quasi proprio dei cabrei25, e l’estimo occupavano in effetti una posizione di tutto rilievo, con accurate distinzioni in funzione della natura «d’alto fusto», «dolce» o viceversa «forte» delle specie arboree, fino alla loro precisa identificazione («faggij», «larici», «peccie», «roveri», «castagni», «verne»). Le mappe a disposizione per l’area che ci interessa confermano appieno queste caratteristiche e la loro lunga continuità: Colloro (che appartiene al comune di Premosello, dotato di numerosi fogli, compreso il quadro d’unione e la tavola dei punti trigonometrici e delle linee di triangolazione) appare chiaramente riconoscibile nel suo impianto compatto e composto da due nuclei nettamente distinti, collegati da una evidente viabilità. Premosello è attraversato da un affluente del Toce, che taglia l’abitato in due, mentre verso il corso del fiume si addensano gli spazi coltivi, con un’ampia area di greto fluviale (indicata come «proprietà comunale»), avanzo o continuità evidente delle aree tenute «pro indiviso» nella società medievale. Un discorso assolutamente analogo può essere svolto per Cossogno, del quale si riconoscono i compatti nuclei (compreso quello – peraltro esiguo – di Cicogna); sempre nella stessa misura, presso i centri demici, si assiste alla rigidissima divisione delle particelle a coltura e dei boschi di immediata pertinenza. La notevole rete trigonometrica del comune mostra il prevedibile infittirsi delle poligonali in corrispondenza proprio di questi centri demici e del loro immediato intorno, a partire, come raccomandato proprio dalle istruzioni dello stesso Rabbini, dai punti emergenti, di cui quello principale all’incontro tra «meridiana» e «perpendicolare»; la scala metrica è nel rapporto 1:7500, consueto per le aree «miste» con abitato e ampie estensioni coltive o boschive. Di grande interesse la mappa relativa a Intragna, in scala 1:2000, vista la presenza massiccia dell’abitato, ma senza quella densità che caratterizzava Premosello (non a caso al 1:1000). Anche in questo caso si confermano il nucleo compatto principale, le borgate sparse e il sistema fitto degli appezzamenti coltivati rispetto alla predominanza dei boschi. 24 Si vedano le relative schede e il saggio di apertura in Il teatro delle terre 2006. A solo titolo di esempio si veda il caso ricchissimo di dettaglio in GIOVANNI BATTISTA SOTTIS, Carta topografica e descrizione delle serve della valle di Vigezzo, parte dell’Ossola superiore nell’alto Novarese, 1785. ASTO, Carte Topografiche per A e B, Novarese, 3. 25 Per la natura e la logica dei cabrei, nonché per un loro repertorio, DEVOTI, SCALON 2014. 101 L'interpretazione storica attraverso i catasti Un territorio dalla costante identità Limitato per i catasti storici ai soli «circondari» di Colloro, Cossogno e Intragna, in quanto analizzati da altre indagini e quindi facilmente confrontabili nei dati e negli esiti, lo studio si integra tuttavia con quanto emerge dalla cartografia di ampia scala (a cominciare dal rilevamento del 1816-30, reso ufficiale nel 183126, più volte richiamato, per finire con la cosiddetta Gran Carta degli Stati Sardi del 185227). Ciò che il confronto – o per meglio dire il riconoscimento delle tracce più o meno latenti dei fenomeni in grado di definire la struttura storica del territorio – mostra è una eccezionale «longue durée» dei sistemi strutturanti, un perdurare della vocazione allo sfruttamento accorto delle risorse agro-silvo-pastorali, un’ottima rispondenza delle attività antropiche alle caratteristiche di specificità del territorio stesso. Se quindi si addiviene al «riconoscimento della struttura storica [preminentemente] attraverso l’individuazione delle persistenze e delle varianti del sistema infrastrutturale (strade – di diverso livello di importanza – strade ferrate, bealere e canali) in un contesto abbastanza ampio ruotante sull’intorno [degli insediamenti considerati], l’estensione di questo intorno è determinata dalla necessità di graficizzare i grandi assi portanti della viabilità storica, rispetto ai quali questi nuclei risultano ampiamente periferici»28. Se infatti Premosello si attesta già al 1860 (catasto Rabbini) sulla «Strada Nazionale del Sempione» – una delle grandi direttrici della revisione stradale dello Stato sin dal 181729, allora come strada regia (e come tale nella cartografia di prima Restaurazione), poi dal 1859 strada nazionale – gli altri nuclei appaiono viceversa connessi da una minuta viabilità intercomunale, che non conoscerà trasformazioni che in tempi relativamente recenti. Nonostante queste variazioni infrastrutturali, legate al massiccio impiego di autovetture, il tessuto portante territoriale appare in gran parte immutato, saldamente ancorato alla connotazione eminentemente boschiva e alla coltivazione solo delle aree nelle immediate vicinanze dei centri demici, con una netta prevalenza in corrispondenza dei corsi d’acqua. Se allora di caratteri identitari è bene parlare, questo – assai più di altri territori, massicciamente compromessi da fenomeni imperanti di globalizzazione – appare come un contesto dalla fortissima persistenza nelle sue componenti strutturanti, nel quale la «wilderness» proposta dall’indagine, nonostante gli inevitabili adeguamenti more moderno, non sembra un dato artificiale, ma una effettiva costante. 26 Carta Topografica degli Stati di Terra Ferma di S.S.R.M. Carlo Alberto Re di Sardegna, fatta dal Corpo dello Stato Maggiore comandato dal Ten.te Gen.le B.ne di Monthoux, scala 1:50.000, 1816-31. 27 CORPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO SARDO, Carta degli Stati di S.M. in Terraferma, detta Gran Carta degli Stati Sardi, 1852. ASTO, Carte topografiche segrete, B5-bis nero. 28 DEFABIANI, DEVOTI 2011, pp. 215-224 e in specifico p. 221. 29 Le patenti del 1817 individuano come strade regie sette direttrici di Milano, di Piacenza, di Francia, di Genova, del Sempione, di Nizza, di Fenestrelle. Dal 1859 queste saranno definite come «nazionali». GUDERZO 1961, pp. 83-88. 102 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio Territorio di Cossogno valle d’Intragna Lago Maggiore Ducato di Milano Misurato dal Geometra Giovanni Della Torre in occasione della Misura Generale del Novo Censim.to dello Stato di MIL. principiata il giorno … e terminata il giorno … coll’assistenza … Copiata dalli Dissegnatori Gaspare Pozzo, Giò Chiesa, & Gio Della Torre in fogli 25. Territorio più esteso, composto da 75 fogli, contrassegnato da una notevole presenza di vette (accuratamente annotate come monti dalla specifica toponomastica) e da una consistente copertura di foreste, le quali nel foglio XXV confinano con «li boschi comunali di Rovegro Sunna Cavandone e Fabrica del Domo di Milano». Al foglio LVIII, seppure nella estrema sinteticità del disegno, il complesso reticolo di corsi d’acqua minori, che contrassegnano altrettante vallette tra la ricca copertura vegetazionale, appare chiaramente indicato, elemento di assoluta persistenza anche oggi. I centri insediati, con ridotte porzioni a coltivo, apprezzabili negli immediati dintorni, definiti da un acceso colore rosso e dalla perfetta riconoscibilità delle singole particelle immobiliari, sono connessi da una viabilità prevalentemente intercomunale, nella forma di strade poderali e mulattiere. Non mancano alcuni insediamenti sparsi, a carattere isolato, di modestissime dimensioni, raggiungibili di fatto con sentieri. La scala, indicata al foglio LXXV, è di «Trabucchi Cento di Milano». L'interpretazione storica attraverso i catasti Mappa del Territorio di Premosello Val d’Ossola giurisdizione di Vogogna, Ducato di Milano, fatta in occasione della Misura Generale di questo Stato dal Geometra Giulio Ricchino, principiata li 6 Giugno, e terminata il primo Agosto 1722 coll’assistenza di Alessandro Origgio, Antonio Milano, Gio. Ant.io Peverino Giò Antonio Delforte ed Ant.o Arcioli. Coppiata dalli Dissegnatori Gioabattista Aliprandi, Nicola Sovico, Giacomo Acra, e Pietro Martorino. Le parti scoscese indicate con precisi tratti di bruno, a individuare l’orografia delle valli, i corsi d’acqua di un blu-turchese intenso, non si ravvisano che raggruppamenti sparsi di edifici di natura prevalentemente rurale, salvo alcuni addensamenti maggiori nei fogli 29 e 40, nel contesto di un territorio rappresentato in 53 fogli. Verso il corso del fiume (vistosamente enfatizzato) si sviluppa invece il più esteso centro demico, Premosello, con un articolato e regolare sistema di appezzamenti di coltivi, a lunghe strisce prevalentemente Il nucleo, di notevoli dimensioni, appare diviso in due porzioni dal corso del fiume, con la più estesa a ponente. Lo sfruttamento intensivo della porzione piana e fertile, che si estende a sud e a est (evidentissimo nella fitta trama degli appezzamenti), appare anche connotato da un denso innervamento di strade camperecce in grado di connettere il centro abitato con i suoi campi. Le aree fittamente segnate dai diversi lotti si spingono fino al greto del fiume e alle aree esondabili, in certe porzioni del territorio anche di notevole superficie. Al foglio 32 notevole riferimento cardinale e «Scala di Trabucchi Cento Ottanta Milanesi». 103 104 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio Mappa d’Intragna Pieve d’Intra Ducato di Milano, misurato dal Geometra Giaccomo Antonio Biughi, d’Ordine della C.R.G. del nuovo Censimento, principiata li 10 Settembre, e terminata li 18 Ottobre 1722, con l’assistenza di Giuseppe Bolla, Giò: Maria Paltano, Gioan Buono, e d’Antonio Riattino. Coppiata da Matteo Groppi, Antonio Girelli, & Fran.co Maunate in foglij 21. In «Scala di Trabucchi Cento Venti MILANESI» (segnata al foglio XXI) insieme con il quadro d’unione, questo rilevamento territoriale è quello a più alta densità di centri abitati, per quanto di modeste dimensioni, tutti ricollegati da una viabilità minuta, a prevalente carattere di strada vicinale; centri demici che occupano estese radure – ampiamente lottizzate a strisce lunghe o larghe, per meglio sfruttare l’orografia, poste anche in gran parte lungo corsi d’acqua (affluenti del corso maggiore) – ricavate all’interno di una densa selva, di alberi d’alto fusto, come si evince dal ricorrente simbolo corrispondente a questa caratteristica, alternati a specie meno imponenti, indicate da generici cerchi verdi più o meno densamente ravvicinati. L'interpretazione storica attraverso i catasti 105 Carta Topografica degli Stati di Terra Ferma di S.S.R.M. Carlo Alberto Re di Sardegna fatta dal Corpo dello Stato Maggiore comandato dal Ten.te Gen.le B.ne di Monthoux alla scala di 1 50.000, 1831, Foglio G.12 Pallanza. IGM Firenze, Archivio Topocartografico, carte preunitarie. L’intera ispezione e il conseguente rilevamento trovano espressione in 112 fogli di eccezionale qualità grafica, a china e acquerello, sulla base di rilievi – compiuti negli anni 1816-30 e poi messi in pulito entro il 1831 – di cui esistono ampie attestazioni. La scala nominale, 1:50.000, è anche integrata da scale grafiche di 1600 trabucchi e miglia di Piemonte. Le diverse tavolette (che corrispondono alla precisa scacchiera del quadro d’unione) coprono i soli stati di terraferma, escludendo la Sardegna. «Essa servì di originale, dopo le opportune ricognizioni sul terreno, per il disegno della corrispondente carta topografica della quale fu decretata la pubblicazione nel 1851. Messe a confronto le due carte, le cui suddivisioni in fogli non corrispondono, si notano differenze più o meno sensibili secondo le diverse zone, tanto nella topografia quanto nella toponomastica. Le zone di alta montagna appaiono rappresentate in modo più sommario e inesatto» (dalla scheda IGM). La strepitosa finezza del segno grafico appare in effetti irriproducibile nella scelta di semplificazione (semplice bicromia) operata per la cosiddetta Gran Carta degli Stati Sardi del 1851-52, dove solo i fiumi e in generale i corsi d’acqua appaiono di colore azzurro, mentre le acclività sono indicate da tratti ravvicinati in nero e le colture con lettere. Qui al contrario, in continuità con la cartografia dello Stato di XVIII secolo, i centri demici spiccano per il colore rosso acceso, i campi per il giallo pallido, i prati per il verde, i boschi per varie sfumature di verde a seconda della specie; segni convenzionali indicano la qualità delle strade, tra cui il giallo ocra per quelle progettate e in via di realizzazione. 106 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio [Catasto Rabbini] Allegato H, Mappa originale del Comune di Cossogno. Scala Metrica nel rapporto di 1 al 4.000. L’abitato di Cossogno, costantemente caratterizzato da compattezza, appare connesso con Cicogna, assai distante, da una strada intercomunale, trasformazione della assai più stretta mulattiera che compariva nella cartografia di prima Restaurazione. Anche l’insediamento di Cicogna si mostra privo di grandi variazioni rispetto alla carta precedente, mentre appare decisamente più identificabile rispetto al corrispettivo nel catasto teresiano. Immutata la condizione di preminenza della copertura boschiva, mentre è evidente oggi – rispetto al rilevamento del catasto Rabbini – una consistente riduzione delle aree coltive, vistose almeno nell’immediato intorno dell’insediamento e ricavate, come era consuetudine, con taglio delle selve ed esteso roncamento. Si tratta quindi, nella situazione attuale, di ampio rinselvatichimento o bosco di ritorno. L'interpretazione storica attraverso i catasti 107 Mappa originale del Comune di Premosello. Scala metrica nel rapporto di 1:1000. La mappa riporta in calce anche la data precisa di inizio del «processo verbale», 17 settembre 1867, nonché la relativa approvazione della misura, controfirmata da «Rossi Carlo delegato di Premosello»; seguono le firme di «Ferraris Federico incaricato delle verifiche» e di due teste. L’insediamento di ampie dimensioni di Premosello, posto lungo la «Strada Nazionale del Sempione» e vistosamente attraversato da un affluente del fiume Toce, il «Rivo Grande», è collegato con Colloro da una strada minore, diramantesi dall’estremo settentrionale della porzione di ponente dell’abitato e indicata come «Strada detta Balmasso». La porzione di levante è invece più saldamente connessa con Colloro dalla «Strada Comunale di Coloro». Questo diverso sistema di collegamento dipende dalla natura stessa del centro demico periferico, distinto in due nuclei, nettamente separati tra loro e anche relativamente distanti, indicati indistintamente con l’appellativo di «Borgata Coloro». La cappella dell’abitato si trova in ogni caso nel comparto di levante, a sua volta evidentemente composto da porzioni diverse, in grado di sfruttare al meglio le potenzialità – anche in termini di coltivi – offerte dal territorio. Si nota infatti una minuta parcellizzazione fondiaria, che segue precisamente l’orografia dei luoghi, adattando le strisce ai declivi. 108 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio Allegato O. Mappa originale del Comune di Intragna. Foglio VII. Riduzione alla Scala di 1 a 2000. L’insediamento corrispondente al comune di Intragna, che come era evidente sin dalla cartografia più antica, è formato di fatto da tre nuclei, di cui quello omonimo «Borgata Intragna» dotato di chiesa parrocchiale (che funge da punto trigonometrico principale per il rilevamento), e quelli secondari «Borgata Vico» a levante e «Borgata Cambiesso» a Nord-Ovest, legati in modo evidente allo sfruttamento agro-silvo-pastorale. Rispetto al rilevamento di prima Restaurazione, l’aggregato di Borgata Vico appare fortemente in espansione, probabilmente anche in ragione del più efficace collegamento (assicurato da una mulattiera) con altri insediamenti di notevole richiamo, a partire da Intra. Si nota infatti una derivazione rispetto alla direttrice principale, che attraversa Intragna propriamente detta, qualche chilometro prima dell’abitato, e si dirige in modo vistoso verso levante, denominata nel catasto «Strada Comunale a Vico». Il collegamento tra Intra e Intragna è viceversa garantito dalla «Strada Comunale d’Intra». Quello con Cambiesso, più labile nelle cartografie precedenti, è rinsaldato ora dalla relativa «Strada Comunale Cambiesso». È interessante questa inversione di pesi soprattutto se si considera la presenza, in questa «borgata» di una cappella, assente invece a Vico. Minutissimo, ovunque, il parcellare, ancora una volta a indicare un accorto sfruttamento delle risorse offerte dal territorio. 109 L'interpretazione storica attraverso i catasti Mappare le trasformazioni del territorio: dalla piattaforma per la georeferenziazione dei dati alle carte tematiche Chiara Tanadini La gestione delle conoscenze: la cartografia storica interpretata attraverso il sistema GIS Intragna, Cossogno e Premosello-Chiovenda L o studio del territorio e delle sue modificazioni attraverso l’analisi comparativa della cartografia storica analizzata nella prima parte di questo capitolo da Chiara Devoti si avvale del supporto interpretativo offerto dal sistema GIS (Geographic Information System) o più correttamente di un Sistema Informativo Geografico (o territoriale), una piattaforma georeferita per la gestione, l’analisi e la visualizzazione delle informazioni con contenuto geografico-spaziale in grado di gestire l’informazione tramite insiemi di dati, definiti metadati1, che costituiscono modelli di fenomeni geografici, cioè riferibili al territorio, utilizzando strutture di dati semplici e generiche2. Base del GIS è la «geovisualizzazione», ossia la sua capacità di visualizzare l’informazione geografica secondo varie modalità, tra le quali mappe interattive, modelli tridimensionali, carte e tabelle di sintesi, rappresentazione di eventi temporali e viste schematiche delle relazioni all’interno di una rete, consentendo la produzione di rappresentazioni territoriali di base e avanzate (mappe) dei dati contenuti nei database geografici. Considerato che le mappe sono il principale strumento per veicolare l’informazione a carattere geografico agli utenti e consentirne l’interazione, l’utilizzo dei sistemi GIS per lo studio del territorio storico permette – attraverso la possibilità di superamento della cartografia tradizionale, per sua natura non modificabile e statica e, spesso, non facilmente interpretabile dai non addetti ai lavori – di rendere immediatamente comprensibili i dati significativi che la ricerca vuole evidenziare. Infine, i dataset geografici possono rappresentare misurazioni grezze (ad esempio immagini satellitari), informazioni interpretate e compilate dagli analisti (ad esempio strade, costruzioni e tipi di suolo), o informazioni derivate da altre sorgenti di dati usando algoritmi di analisi e di modellazione. Per semplicità di comparazione e confrontabilità dei dati, il territorio analizzato è quello già preso in considerazione da altri autori di questo volume, cioè quello rappresentato dai «circondari» di Cossogno, nello specifico della frazione di Cicogna – «piccola capitale» del parco – dell’area del comune di Intragna e di quella di Premosel- 1 Per il significato del termine «metadato» e per il suo fondamentale valore nella costruzione di GIS e ipertesti si veda PANZERI M., FARRUGGIA A., 2009. 2 Nel contesto di questo lavoro si è impiegata la piattaforma Quantum GIS (QGIS), ossia un GIS Desktop open-source per la gestione, visualizzazione, modifica, analisi di dati geografici. Il progetto QGIS nasce ufficialmente nel Maggio 2002 e la prima applicazione completa è lanciata nel 2009, con funzionalità completa in ambiente Linux, Unix, Mac OSX e Windows, nonché con capacità di supportare formati di dati vettoriali, raster e i database. QGIS è rilasciato con licenza GNU Public License. 110 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio lo-Chiovenda, con particolare attenzione alla frazione di Colloro, punto di partenza (o di arrivo) di uno dei più famosi e suggestivi percorsi presenti all’interno del parco. Di queste porzioni di territorio sono state analizzate le persistenze e le trasformazioni in termini di estensione dei centri abitati e di utilizzo agro-silvo-pastorale degli intorni dei nuclei residenziali, la presenza o assenza di eminenti poli religiosi riconoscibili già dalla cartografia storica e l’assetto delle infrastrutture viarie principali e secondarie identificabili tanto nella cartografia storica quanto in quella attuale. I risultati di queste analisi sono estremamente interessanti poiché confermano l’importanza storica dei territori considerati, dettata, principalmente, della permanenza e dall’ampliamento, in termini di insediamenti umani, delle frazioni minori quanto dei nuclei principali, uno sviluppo connaturato con la sempre maggiore attrattività dell’area del parco e al conseguente incremento dello sfruttamento produttivo del territorio e del suo sistema infrastrutturale. L’analisi dell’espansione dei centri demici, attuata attraverso lo studio della cartografia storica presa in considerazione in questa sede – il catasto Teresiano del 1722 e il catasto Rabbini del 1864 – consente, infatti, di trarre conclusioni che avvalorano la tesi della sempre maggiore rilevanza che questi sistemi culturali territoriali hanno assunto nel corso della storia. Un caso particolarmente significativo è quello del nucleo di Cicogna, che rappresenta oggi una porzione importantissima del parco e che, all’inizio del Settecento, altro non era che un ridottissimo insieme di fabbricati circondati da aree coltivate, all’interno di un’area principalmente boschiva raggiungibile mediante un unico collegamento che aveva origine dal nucleo principale e che, già un secolo più tardi, presenta un’estensione di almeno dieci volte superiore, destinata a ulteriore, consistente, incremento nel secolo successivo. Per quanto riguarda l’aspetto infrastrutturale, invece, oltre alla preminente, anche per il suo ruolo di connessione transfrontaliera, «Strada Nazionale del Sempione», attestata sul territorio già dal 1860 (catasto Rabbini), è opportuno segnalare come le modificazioni alla minuta viabilità intercomunale, dettate principalmente dalla maggiore diffusione dei veicoli a motore, siano particolarmente rilevanti nello stabilizzarsi e svilupparsi dei collegamenti tra i diversi nuclei e, viceversa, essenzialmente irrilevanti in quelli interni ai nuclei stessi. Lampante è il caso del tracciato della strada di collegamento di III categoria tra il comune di Cossogno e il nucleo di Cicogna, perfettamente riconoscibile sia nella cartografia settecentesca, sia in quella odierna. Quale il rilievo scientifico dell’applicazione del GIS alla gestione della cartografia storica reperita alla fine dell’analisi? Certamente la possibilità di un’interrogazione integrata in grado di mostrare su una base georiferita persistenze e trasformazioni territoriali, ma anche e soprattutto la possibilità offerta dallo strumento di mettere a sistema L'interpretazione storica attraverso i catasti 111 i diversi sistemi, proponendo visualizzazioni multiple e interrelate, complesse come complessa è la realtà territoriale che le mappe storiche, allo stesso modo di quelle attuali, ci offrono. Non quindi solo un tecnicismo, o il gusto per una «novità» (che peraltro non è nemmeno più tale vista la lunga sperimentazione), ma uno sfruttamento consapevole delle potenzialità che lo strumento informatico mette al servizio della comprensione dei fenomeni e delle tracce lasciate da questi sul territorio. Giacomo Stagnone, Carta corografica degli Stati di S.M. il Re di Sardegna data in luce dall’ingegnere Borgonio nel 1683 corretta e accresciuta nell’anno 1772. Archivio di Stato di Torino (ASTo), Corte, Carte Topografiche per A e B, Piemonte 23, dettaglio La grande ricognizione dello Stato, rappresentata dalla notissima opera di Giovanni Tommaso Borgonio, Carta generale degli Stati di Sua Altezza Reale (nota come “Carta di Madama Reale”), del 1683, conosce una revisione dopo i trattati che annettono ai possedimenti sabaudi le aree verso il Milanese. Pur non trattandosi di una analisi della raffinatezza di un catasto, la rilettura territoriale operata da Stagnone (e incisa da Belgrano) rappresenta un punto di notevole rilievo nel processo di conoscenza delle aree di nuovo acquisto e, nonostante il ricorso al tratto volutamente – insistitamente – passatista che la deve legare alla più celebre carta di partenza, dichiarata sin dal titolo, si configura come una matrice di interpretazione territoriale di certo valore. I centri demici, oggetto dell’analisi tramite impiego di piattaforma GIS, si definiscono prevalentemente come toponimi (soprattutto in quest’area), con scarse connotazioni di status, mentre i corsi d’acqua, i laghi (qui preponderanti) e le strade, in particolare quelle cosiddette “regie” prima delle revisioni della Restaurazione, appaiono quali tratti connotanti essenziali. La mappa, di cui qui si propone un dettaglio relativo all’area oggetto di studio, rappresenta quindi un imprescindibile trait-d’union tra il catasto teresiano e il catasto Rabbini e conferma la continuità di certi processi insediativi come delle logiche di gestione territoriale messe in luce dalle interrogazioni omologhe del GIS. 112 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio Carta tematica generata dalla georeferenziazione del catasto Teresiano di Cossogno Il catasto Teresiano del territorio di Cossogno, su base digitalizzata dall’Archivio di Stato di Torino e convertito in dato geografico attraverso lo strumento di georeferenziazione del software QGis ai fini della ricerca, rappresenta il punto di partenza dell’indagine realizzata in questa sede e lo strumento necessario alla creazione delle carte tematiche risultanti dalle interrogazioni Gis effettuate. In questo caso, a fini esplicativi del progetto nel suo complesso, l’interrogazione comprende due dei metadati principali del database: quello relativo alla parcellizzazione e quello riferito alle infrastrutture viarie. I dati, visualizzati sotto forma di aree e linee con differenti cromatismi, organizzati secondo specifiche categorie precedentemente stabilite, consentono di comprendere i cambiamenti antropici e naturali del territorio a partire dalla situazione attuale. Il confronto è stato effettuato utilizzando come base principale per l’interrogazione e la georeferenziazione la cartografia attuale (Carta Tecnica Regionale del Piemonte del 2015 e Ortofotocarta della Regione Piemonte del 2015 – reperite presso il geoportale della Regione Piemonte) sulla base della quale sono stati individuati i riconoscimenti degli elementi storici. Dalla carta tematica risultante dall’interrogazione è immediatamente identificabile il tracciato dei confini comunali, rimasti invariati dall’inizio del Settecento a oggi, ed è possibile trarre alcune conclusioni in merito alla permanenza dei segni relativi dello sfruttamento agricolo del territorio come, in egual misura, dei tracciati viari di collegamento tra il nucleo principale e quelli secondari, identificati in legenda come infrastrutture di III categoria, essenzialmente invariati fino all’età contemporanea. È possibile anche notare l’assenza di alcuni dei nuclei edificati identificabili sulla cartografa attuale come, per esempio, l’intera frazione di Runchio; parte del nucleo di Cicogna che altro non era, in questa scansione temporale, che un ridottissimo insieme di fabbricati circondato da campi coltivati e prati, e le frazioni di Pogallo e Pogallo Dentro, delle quali è già però riconoscibile la piana su cui sorgeranno i nuclei edificati. L'interpretazione storica attraverso i catasti 113 Carta tematica generata dalla georeferenziazione del catasto Rabbini del Comune di Premosello-Chiovenda Il catasto Rabbini del territorio del Comune di Premosello-Chiovenda, su base digitalizzata dall’Archivio di Stato di Torino e convertito in dato geografico attraverso lo strumento di georeferenziazione del software QGis ai fini della ricerca, rappresenta il punto intermedio dell’indagine realizzata in questa sede e, come nel caso del catasto settecentesco, lo strumento necessario alla creazione delle carte tematiche risultanti dalle interrogazioni Gis effettuate. In questo caso l’interrogazione comprende i metadati precedentemente utilizzati, ai quali si aggiunge quello relativo ai singoli edifici, identificabili grazie alla diversa scelta di scala di rappresentazione. I dati, visualizzati sotto forma di aree e linee con differenti cromatismi e organizzati secondo specifiche categorie precedentemente stabilite, consentono di comprendere i cambiamenti antropici e naturali del territorio rispetto alla situazione attuale. Anche in questo caso il confronto è stato effettuato utilizzando come base principale per l’interrogazione e la georeferenziazione la cartografia attuale (Carta Tecnica Regionale del Piemonte del 2015 e Ortofotocarta della Regione Piemonte del 2015 – reperite presso il geoportale della Regione Piemonte) sulla base della quale sono state effettuate le operazioni di riconoscimento degli elementi relativi alla sezione di periodizzazione considerata rispetto alla situazione attuale. Dalla carta tematica risultante dall’interrogazione sono immediatamente identificabili, seppur con estensioni ridotte, i nuclei insediati del comune di Premosello e della sua frazione Colloro e i tracciati delle infrastrutture di II categoria (strade provinciali) e III categoria (strade comunali), alcuni ancora oggi identificabili. Per quanto riguarda la parcellizzazione agraria, invece, non è possibile facendo capo alla sola componente cartografia del catasto Rabbini procedere all’identificazione delle destinazioni agrarie delle singole porzioni di territorio, in quanto queste non venivano specificate sul disegno, ma unicamente sui «sommarioni» allegati. Per questo motivo, e nella logica della presente analisi, è stata identificata unicamente la differenza tra la parcellizzazione a vocazione agricola da quella limitrofa all’abitato, classificata come «urbana». Pur delegando l’identificazione della vocazione delle singole parcelle del territorio all’allegato descrittivo, tuttavia, il catasto Rabbini consente, per la primissima volta, l’identificazione dei singoli edifici distinguendone la funzione civile– in viola scuro nella carta tematica – da quella religiosa – in rosso –attraverso una differente grafia. 114 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio Carte tematiche generate dalla georeferenziazione dei catasti Teresiano e Rabbini del territorio di Intragna Le carte tematiche qui riportate sono frutto delle stesse interrogazioni poste in essere per i precedenti comuni, alle quali è stata aggiunta, a scopo esemplificativo, l’immagine raster della cartografia storica georeferita dal software. Come è già stato sottolineato precedentemente, vi è una sostanziale differenza di rappresentazione dei metadati tra i due diversi documenti, legata soprattutto alla scala metrica delle carte e alla porzione di territorio che queste comprendono. Tale diversità è controbilanciata dall’uniformità cromatica dei tematismi rappresentati nelle carte generate dal Gis. Nel catasto Teresiano, L'interpretazione storica attraverso i catasti 115 per esempio, data la scala di rappresentazione molto minuta, gli elementi dell’edificato, identificati non da singoli edifici, ma dall’insieme di questi in un’unica porzione di territorio, sono riconoscibili dallo stesso cromatismo utilizzato nel catasto Rabbini per le porzioni di territorio risultanti dalla query: parcellare=urbano, che identifica le porzioni di territorio su cui insistono gli edifici, rappresentati invece con un differente colore. Per quanto riguarda l’estensione dell’edificato, si può certamente affermare che, come nel caso del comune di Cossogno, già nel Settecento il territorio di Intragna aveva un’importanza non indifferente che sarà confermata e incrementata nel secolo successivo. I tracciati viari, invece, seppur per differenti motivi, non sono identificabili in nessuna delle due cartografie analizzate. Nel catasto Rabbini, infatti, l’infrastrutturazione viaria è identificabile solo nella porzione cosiddetta urbana del territorio a causa dell’interruzione del disegno oltre quel limite e, nel catasto Teresiano non risulta identificabile perché diversa da quella odierna. Capitolo VII 117 Metodologie geomatiche in supporto all’attività di analisi e interpretazione del paesaggio Gabriele Garnero, Paola Guerreschi L e tecniche e le modalità attraverso le quali vengono oggi prodotte e, potenzialmente, aggiornate le basi dati territoriali, mettono a disposizione degli operatori non solo strumenti di conoscenza affidabili ed accurati, ma consentono di impostare differenti modalità operative attraverso le quali fondare i processi di pianificazione e gestione del territorio. Nel presente saggio vengono illustrate le esperienze applicative poste in atto in supporto alle attività di analisi condotte. Le prese fotogrammetriche storiche per l’interpretazione diacronica del paesaggio Il territorio italiano, nella sua storia recente, è stato oggetto di numerose riprese aeree fotogrammetriche: nel periodo del secondo conflitto mondiale sono state effettuate numerose campagne di ripresa per scopi bellici, e nei primi anni del dopoguerra (1954 – 1956) è stata effettuata una ripresa aerea stereoscopica coprente l’intero territorio nazionale ad opera del Gruppo Aeronautico Italiano (GAI). L’impiego di tali supporti per la ricostruzione della dinamica territoriale costituisce un elemento di sicuro interesse per l’analisi dell’evoluzione del territorio. Nel corso degli anni si è infatti verificata una notevole modificazione della società e del suo assetto economico e produttivo: l’abbandono dei territori marginali e il conseguente incremento degli abitanti nei grandi centri urbani o l’estensione delle superfici dedicate all’edificazione di attività residenziali e/o industriali sono clamorosi esempi di come si siano modificati gli usi sociali, le dinamiche socio-economiche e quindi le conseguenti modalità di utilizzo dei territori e delle risorse. Dopo adeguate forme di processamento, che prevedono la rasterizzazione, la definizione dei parametri metrici di presa e l’ortorettifica, i fotogrammi diventano un prezioso strumento di lettura delle dinamiche territoriali passate: con le attuali metodologie di restituzione e rappresentazione è possibile effettuare una fedele ricostruzione di tali assetti, con la possibilità di analizzarne e quantificarne gli aspetti peculiari come, ad esempio, la stima delle superfici dedicate alle singole attività produttive o occupate da aree naturali ed i loro rapporti quantitativi. La ripetizione del processo con prese di differenti epoche di acquisizione permette di effettuare comparazioni diacroniche e di determinare, tramite l’impiego di metodologie proprie della landscape ecology, indici descrittivi dell’evoluzione dell’assetto territoriale nel tempo (change detection). 118 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio L’impiego di tali supporti per la ricostruzione della dinamica territoriale costituisce un elemento di sicuro interesse per l’analisi dell’evoluzione del paesaggio. Gli ostacoli principali sono costituiti dallo stato di conservazione delle immagini, ovviamente in formato cartaceo e oggetto di deformazioni e strappi che pregiudicano, in taluni casi, l’impiego di alcuni fotogrammi, e dalla reperibilità delle informazioni ancillari: i certificati di calibrazione non sono sempre disponibili ed in certi casi il supporto cartaceo è ritagliato in modo anomalo, con conseguente asportazione dei repères e conseguente impossibilità di impiego dei dati di calibrazione per il processamento dell’immagine. I fotogrammi storici disponibili per il territorio italiano Nel periodo del secondo conflitto mondiale, sul territorio nazionale sono state effettuate numerose campagne di ripresa per scopi bellici (l’individuazione di obiettivi strategici, la verifica dell’efficacia di azioni di bombardamento, …) dalle differenti forze schierate sul territorio nazionale quali Luftwaffe, RAF, Regia Aeronautica, USAAF. La Royal Air Force (RAF) e la United States of America Air Force (USAAF) hanno effettuato riprese planimetriche e stereoscopiche tra il 1943 ed il 1945, focalizzate su obiettivi di interesse strategico con scale medie variabili tra 1:10.000 e 1:50.000 a seconda delle focali impiegate, con formato 24x24 o 18x24; la forza aerea britannica ha compiuto i voli sull’Italia meridionale, mentre gli statunitensi hanno effettuato i voli sull’Italia del Nord. Con analoghe modalità e obiettivi sono state realizzate le riprese da parte della Luftwaffe e della Regia Aeronautica. Nei primi anni del dopoguerra (1954 – 1956) è stata effettuata una prima ripresa aerea stereoscopica coprente l’intero territorio nazionale ad opera del Gruppo Aeronautico Italiano (GAI) con scala media di 1:33.000 per la parte peninsulare, minore nelle zone alpine (http:// immagini.iccd.beniculturali.it/). Le attività svolte sul territorio del Parco L’indagine preliminare sulla consistenza e periodizzazione delle fonti cartografiche e fotogrammetriche è stata indispensabile per verificare la fattibilità di successive indagini settoriali eseguite da altri specialisti, quali storici del territorio, naturalisti, agronomi e paesaggisti e per rappresentare in forma divulgativa le modificazioni in atto e quelle avvenute in passato sul paesaggio del Parco Val Grande. La carenza di basi cartografiche dei periodi necessari all’analisi ha consigliato l’utilizzo di riprese fotogrammetriche aeree: a partire dal Volo GAI, sono state esaminate le successive coperture poste in essere dalla Regione Piemonte per i primi atti pianificatori degli anni ‘70 del secolo scorso quali il volo Ferretti, il volo del 1991, il volo effettuato in occasione dell’Alluvione 2000, per giungere alla moderna ripresa fotogrammetrica realizzata nel 2010 con apparati digitali nota come Ripresa ICE (camera fotogrammetrica + apparato LiDAR). Approfondiamo di seguito le caratteristiche principali di ogni singolo volo citato. Metodologie geomatiche in rapporto all'attività di analisi e interpretazione del paesaggio Fig. 7.1 Fotoindice del Volo GAI Fig. 7.2 Mosaico dei fotogrammi del Volo GAI relativi alla Val Grande (elaborazione degli autori) 119 120 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio Volo GAI Costituisce come detto la prima ripresa aerea stereoscopica in bianco e nero dell’intero territorio nazionale, risalente alla metà degli anni ‘50 del secolo scorso. È stata realizzata dal Gruppo Aeronautico Italiano (GAI) per cui prende il nome «volo GAI», su commissione dell’Istituto Geografico Militare. Le riprese nella zona di interesse sono avvenute tra il luglio del 1954 e il luglio del 1955. Sono state utilizzate camere da presa di fabbricazione americana Fairchild XF 311 con focale 153.16 mm con formato 23x23 cm. Tutti i negativi del volo nazionale sono reperibili e acquistabili presso l’Istituto Geografico Miliare (IGM) di Firenze. La Regione Piemonte ospita sul suo Geoportale – visualizzabile come servizio Webgis – il fotoindice di Arpa Piemonte (Fig. 7.1) della ripresa aerofotografica del volo GAI (Figg. 7.2-7.3). 7.3 Fotogramma del volo GAI Ripresa regionale «Ferretti» La Regione Piemonte a metà degli anni ‘70 ha commissionato la realizzazione di una ripresa aerea alla CGR di Parma, con pellicole sia all’infrarosso sia a colori: negli anni 1976/77 venne coperto il territorio delle province di Alessandria, Asti, Novara e Vercelli, mentre qualche anno dopo, nel 1979/80, fu completata la ripresa per il territorio delle province di Cuneo e Torino. Lo scopo dell’Amministrazione regionale era orientato alla produzione delle prime cartografie tematiche dell’intera Regione, la carta forestale e quella dell’uso del suolo. I fotogrammi cartacei di questo volo, come delle altre riprese regionali, (a eccezione ovviamente dell’ultima che nasce in formato digitale) sono stati scansiti con scanner piano non fotogrammetrico a una risoluzione di 600 dpi. Il materiale è consultabile e può essere richiesto al Settore Cartografico dalla Regione che li distribuisce con una licenza d’uso - CC-BY 2.5 Italia (Fig. 7.4). 7.4 Fotogramma del Volo Ferretti Metodologie geomatiche in rapporto all'attività di analisi e interpretazione del paesaggio Ripresa regionale 1991 Nel 1991 la Regione Piemonte ha appaltato alla Compagnia Generale Ripreseaeree di Parma (CGR) e alla Ditta ROSSI di Brescia la realizzazione della Carta Tecnica Regionale e della ortoimmagine alla scala 1:10.000 sulla base di una ripresa aerea alla scala 1:37.000 (quota di volo relativa pari a circa 5650 metri), con ricoprimenti longitudinali dell’80% e trasversali del 15%. Per poter produrre l’ortoimmagine del territorio oggetto di studio sono stati elaborati circa un centinaio di fotogrammi (Fig. 7.5). 7.5 Fotogramma della Ripresa aerea del 1991 Ripresa regionale Alluvione 2000 La Giunta regionale del Piemonte, a seguito dell’alluvione avvenuta nell’ottobre del 2000 sul territorio della Regione, ha commissionato alla CGR di Parma per il nord e centro del Piemonte e alla Ditta ROSSI di Brescia per il Sud Piemonte la ripresa aerofotogrammetrica a colori meglio nota come «Volo Alluvione 2000», con fotogrammi alla scala 1:15.000. Questa fu la prima significativa ripresa di un territorio regionale gestita con tecniche GIS, con fotogrammi immediatamente scansiti e fotoindici informatizzati e distribuzione al pubblico su DVD. Come per il volo del ‘91, per il progetto di ricerca sono stati utilizzati un centinaio di fotogrammi (Fig. 7.6). 7.6 Fotogramma della Ripresa aerea Alluvione2000 121 122 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio Per utilizzare per le elaborazioni i moderni software di processamento fotogrammetrico, i fotogrammi sono stati preventivamente riquadrati sui 4 repères presenti, eliminando le zone della cornice ove erano presenti i parametri del volo (altimetro, numero del fotogramma, data e l’ora del volo, …), recuperando in tal modo la parte principale delle deformazioni di scansione con l’utilizzo di una procedura semi-automatica che opera a seguito della collimazione manuale dei repères. Le operazioni di processamento Fig. 7.7 Ortofoto derivata dal Volo GAI Per la produzione delle ortoimmagini sono sperimentalmente stati utilizzati vari software, quali Pix4D Mapper di Pix4D SA (CH), 3DFZehir di 3DFlow (I), APS di Menci Software (I) e PhotoScan di Agisoft (RU) nonché alcune soluzioni open source: ciò ha permesso di confrontare le differenti modalità operative e valutare anche le diversità nella produzione delle ortoimmagini, consentendo quindi di valutare operativamente le varie soluzioni che offre il mercato. I vari software eseguono in principio un orientamento relativo dei singoli fotogrammi, combinandoli tra di loro e producendo un modello complessivo che risulta non in scala e in un sistema spaziale di riferimento non noto. Metodologie geomatiche in rapporto all'attività di analisi e interpretazione del paesaggio Fig. 7.8 Fotoindice del Volo 1991 Fig. 7.9 Ortofoto derivata dal Volo 1991 123 124 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio Per poter ottenere un modello correttamente orientato e scalato in un sistema di coordinate noto, sul quale fosse possibile desumere informazioni metriche, abbiamo individuato, in un progetto GIS, una trentina di punti di appoggio di cui abbiamo provveduto a determinare le coordinate cartografiche. Data la modesta qualità metrica prevista e necessaria, non si è ritenuto di provvedere alla determinazione topografica dei punti di appoggio: queste sono state derivate dalle ortoimmagini regionali attuali, disponibili come servizio WMS sul Geoportale regionale, mentre la quota è stata interpolata sul DTM di Livello 4/IntesaGIS disponibile sempre sul Geoportale. Date le modificazioni territoriali intercorse, la piccola scala e la qualità fotografica dei fotogrammi disponibili, questa operazione è stata particolarmente onerosa in termini di tempo. Gli scarti residui sui Check Point, ovvero lo scostamento tra le coordinate del punto di controllo sull’ortofoto attuale e quelle misurate sull’ortofoto prodotta, sono risultati dell’ordine dei 10 m, risultato compatibile con le finalità del progetto (Fig. 7.7). La metodologia qui presentata è stata applicata successivamente per tutte le riprese disponibili (Figg. 7.8-7.9). Gli elaborati prodotti sono quindi stati implementati all’interno di un sistema informativo per consentire agli operatori specialisti di estrarre le informazioni necessarie. Moderni strumenti GIS per l’analisi del paesaggio Le produzioni cartografiche oggi in atto da parte di soggetti differenti (amministrazioni centrali, enti locali, …) sono caratterizzate da una impostazione basata su una struttura di dati spaziali multi-scala costituita da un insieme di oggetti ciascuno dei quali è caratterizzato da: • codice identificativo univoco; • geo metria 3D (punto, polilinea, area) georeferenziata in un dato sistema di riferimento cartografico (UTM/WGS84); • attributi alfanumerici (tabelle). A livello nazionale, le attività di coordinamento delle produzioni cartografiche sono state portate avanti nell’ambito dell’Intesa tra Stato, Regioni ed Enti Locali sui Sistemi Informativi Geografici (IntesaGIS), i cui lavori sono stati avviati a partire dal 1996: questo progetto rappresentava all’epoca il tentativo più organico di modificare in termini positivi la situazione dell’Informazione Geografica in Italia, per creare uno stimolo verso una partecipazione più ampia delle istituzioni, delle imprese e del mondo scientifico (Fig. 7.10). A livello europeo è attiva invece la Direttiva INSPIRE (INfrastructure for SPatial InfoRmation in Europe), che istituisce un’infrastruttura per l’informazione territoriale nella Comunità europea. La Direttiva è entrata in vigore il 15 maggio 2007 e intende creare, grazie a norme comuni di attuazione integrate da misure comunitarie, una struttura comune che renda Metodologie geomatiche in rapporto all'attività di analisi e interpretazione del paesaggio 125 Fig. 7.10 IntesaGIS l’informazione territoriale dei vari Stati compatibile e utilizzabile in un contesto transfrontaliero, in modo da superare i problemi riguardo alla disponibilità, alla qualità, all’organizzazione e all’accessibilità dei dati. Questi, in sintesi, gli aspetti più importanti della Direttiva: • INSPIRE si basa sulle infrastrutture per l’informazione territoriale create dagli Stati membri: a tal fine l’infrastruttura deve essere stabilita e resa operativa dai singoli Stati, che devono garantire che i dati territoriali siano archiviati, resi disponibili e conservati al livello più idoneo, al fine di evitare duplicazioni di dati: questi vanno raccolti una sola volta e gestiti laddove ciò può essere fatto in maniera più efficiente. Non è richiesta la raccolta di nuovi dati spaziali, ma qualsiasi dato territoriale dovrà adeguarsi alle indicazioni della Direttiva; • l’interesse principale della Direttiva è rivolto alle politiche ambientali comunitarie e alle politiche o alle attività che possono avere ripercussioni sull’ambiente. Quando sarà pienamente operativa permetterà di combinare dati transfrontalieri da uno Stato membro all’altro con continuità e condividerli con le applicazioni e tra gli utilizzatori; 126 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio • la Direttiva mira ad agevolare la ricerca dei dati spaziali attraverso il web, tramite servizi di rete che ne permettano l’utilizzo in molteplici modi, dalla visualizzazione, al downloading, alle varie trasformazioni. I dati devono essere facilmente individuabili e adatti ad un uso specifico, facili da comprendere ed interpretare. Tornando all’ambito nazionale, i disposti dei vari Gruppi di Lavoro che hanno portato avanti le tematiche di standardizzazione dei dati territoriali sono ora racchiusi nei quattro decreti del 10 novembre 2011, emanati dal Ministro per la Pubblica amministrazione e l’innovazione di concerto con il Ministro dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale n. 48 del 27 febbraio 2012 (Suppl. Ord. n. 37) e, per la prima volta nel nostro Paese, arrivano ad avere un valore di legge e sono pertanto norma da applicarsi nella produzione dei dati territoriali finanziati con soldi pubblici. Attraverso queste norme, a completamento dell’iter previsto dall’articolo 59 comma 5 del CAD (Codice dell’Amministrazione Digitale, D. L. 7 marzo 2005, n. 82), sono state adottate le prime specifiche definite dal Comitato per le regole tecniche sui dati territoriali delle pubbliche amministrazioni. In particolare, i quattro provvedimenti in questione riguardano, rispettivamente: • Adozione del Sistema di riferimento geodetico nazionale; • Regole tecniche per la definizione delle specifiche di contenuto dei database geotopografici; • Regole tecniche per la definizione del contenuto del Repertorio nazionale dei dati territoriali, nonché delle modalità di prima costituzione e di aggiornamento dello stesso; • Regole tecniche per la formazione, la documentazione e lo scambio di ortofoto digitali alla scala nominale 1:10000. Lo stesso CAD, all’Art. 59, definisce il concetto di dato territoriale come qualunque informazione geograficamente localizzata; definisce altresì il concetto di base dati di interesse nazionale (Art. 60) come l’insieme delle informazioni raccolte e gestite digitalmente dalle pubbliche amministrazioni, omogenee per tipologia e contenuto e la cui conoscenza è utilizzabile dalle pubbliche amministrazioni per l’esercizio delle proprie funzioni. In relazioni alle applicazioni oggetto della presente attività di analisi, vengono di seguito riportate unicamente alcune indicazioni per quanto attiene ai DTM. Le Specifiche per i DTM Relativamente ai DTM (Digital Terrain Model), le principali indicazioni formalizzate nelle Specifiche sono relative ai seguenti aspetti: • il cambiamento di tendenza è rappresentato dal fatto che il principale prodotto relativamente all’altimetria è ora rappresentato dal DTM, mentre le curve di livello assumono unicamente una funzione di rappresentazione cartografica, derivata dal mo- 127 Metodologie geomatiche in rapporto all'attività di analisi e interpretazione del paesaggio dello digitale stesso e finalizzato all’osservazione da parte dell’utente: per gli aspetti legati alle elaborazioni si privilegia l’utilizzo dei DTM; • le Specifiche definiscono una serie di requisiti qualitativi dal punto di vista della precisione cui devono soddisfare i DTM, in particolare istituendo una serie di differenti Livelli, caratterizzati ciascuno dal punto di vista della precisione e della risoluzione di griglia; • vengono definite le specifiche per la produzione, tra le quali: − ordinariamente è prevista la produzione di un TIN (Triangulated Irregular Network) da cui ottenere il grigliato regolare del DTM per interpolazione; − per la produzione dei modelli digitali è necessario impiegare tutte le informazioni disponibili riconducibili al suolo, quindi tutti gli elementi che costituiscono la planimetria delle rappresentazioni cartografiche, ristretta ai soli elementi la cui quota è riferita al suolo; − per la generazione del modello digitale è necessario integrare con punti (mass points) e linee di discontinuità (breaklines) rilevati unicamente per la produzione del DTM (senza valenza cartografica). Per la misura dei punti isolati è auspicabile utidell’autocorrelazione ovvero le tecniche LiDAR, a seconda del livello che ci si propone di ottenere; − Dall’ultima versione del documento CISIS (Centro Interregionale per i Sistemi Informatici, geografici e Statistici) «Ortoimmagini e modelli altimetrici a grande scala - Linee Guida», in Tab. 7.1 si riportano i valori dei Livelli di maggior diffusione (valori in metri). Livello Tab. 7.1 Valori caratteristici dei principali Livelli per DTM e DSM [m] 1 Tipologia Accuratezza in quota: in campo aperto PH(a) Accuratezza in quota: con copertura arborea > 70% PH(b) (nel caso di DEM) Accuratezza in quota: edifici (nel caso di DSM) PH(c) Tolleranza in quota: in campo aperto TH(a) Tolleranza in quota: con copertura arborea > 70% TH(b) (nel caso di DEM) Tolleranza in quota: edifici (nel caso di DSM) TH(c) 2 3 4 DEM o DSM DEM o DSM DEM o DSM DEM o DSM 5 10 2 1 1/4 altezza 1/4 altezza media alberi media alberi 0.30 0.60 5 2.50 1.50 0.40 10 4 2 0.60 20 1/2 altezza 1/2 altezza media alberi media alberi 1.20 10 5 3 0.80 Accuratezza planimetrica: PEN 5 2 1 0.30 Tolleranza planimetrica: TEN 10 4 2 0.60 Passo di griglia: 20 20 10 5 128 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio Nuove rappresentazioni: analisi della sensibilità visiva del paesaggio Fig. 7.11 Particolare di Viewshed del Belvedere Pizzo Pernice Le basi dati disponibili consentono di contribuire alla costruzione di nuove rappresentazioni, che possono fornire valori aggiunti sia alle più tradizionali attività di gestione (SIT comunali, gestione delle utility, gestione della strumentazione urbanistica, incrocio con le basi catastali, …), sia a moderne modellazioni territoriali non altrimenti possibili. Tra le varie esemplificazioni possibili, nella presente attività si è affrontata la problematica, oggetto di recenti sperimentazioni da parte del gruppo di ricerca cui gli autori appartengono, focalizzata al controllo della qualità estetico-percettiva del paesaggio attraverso un approccio «quantitativo» basato sull’uso dei SIT. Le aree maggiormente visibili del territorio possono essere individuate in modo automatico ed informatizzato: le analisi dei bacini visuali (Viewshed Analysis) consentono di ottenere una simulazione complessa delle relazioni tra morfologia del paesaggio e punti di osservazione. È infatti una tecnica di analisi spaziale che utilizza gli algoritmi delle lines of sight per determinare la visibilità di aree da un determinato punto di osservazione del territorio. La tecnica consiste nel calcolare e visualizzare il campo di osservazione (bacino visuale) rispetto alla posizione e al cono visivo di un osservatore: sulla base di un DTM è infatti possibile determinare la visibilità relativa da punti di vista predeterminati (oppure da una successione di punti, come nel caso dei percorsi) per ogni cella in cui è discretizzata Metodologie geomatiche in rapporto all'attività di analisi e interpretazione del paesaggio 129 Fig. 7.12 Viewshed a 10 km dei 14 Belvedere l’area di studio. Il prodotto risultante di tale analisi è un’immagine raster il cui contenuto informativo dipende dal particolare modello di visibilità adottato (binary viewshed, cumulative viewshed, identifying viewshed, ecc.). Attraverso la funzione Viewshed nell’ambiente ESRI ArcGIS 10 (ma sono disponibili analoghe funzionalità operanti in ambiente open source) è possibile ottenere un’immagine raster che rappresenta la visibilità a partire da un determinato punto di osservazione: la viewshed analysis consente di ottenere un’immagine raster in cui il valore di ogni cella può essere «0» (non visibile) o «1» (visibile) e che rappresenta il bacino visivo dal punto prescelto (Fig. 7.11). Ottenuta un’immagine per ogni punto di osservazione oppure quella relativa ad un percorso, è possibile effettuare un overlay tra i diversi risultati ed ottenere una nuova elaborazione raster, che mette in risalto la «visibilità assoluta» del paesaggio dall’insieme dei punti di vista (Fig. 7.12). Applicazioni al caso della Val Grande Le funzionalità descritte sono state utilizzate nello studio per il Parco Nazionale Val Grande come supporto alle analisi sceniche e per dare un contributo alla descrizione del paesaggio che una fotografia non può dare. Per poter effettuare un’analisi di visibilità tramite GIS è necessario disporre di un modello digitale dell’andamento morfologico del terreno e settare determinati parametri relativi alla posizione dell’osservatore, alla direzione e all’ampiezza della visualizzazione a diverse distanze. La Regione Piemonte mette a disposizione sul Geoportale differenti modelli digitali: 130 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio • il DTM (Digital Terrain Model) a passo 50x50 storico e ormai obsoleto; • il DTM con griglia regolare quadrata di 5 metri estratto dalla ripresa ICE del 2009-11 con tecnica LiDAR; • un Digital Surface Model (DSM) (fornito solo su richiesta), anch’esso a maglia 5x5 che descrive quindi anche la volumetria dell’edificato e dal sistema del verde. Si è scelto di utilizzare quale supporto cartografico nell’analisi di visibilità il DTM a griglia 5x5 in quanto i punti analizzati sono tutti dei «belvedere», ovvero punti di osservazione del paesaggio riconosciuti: la presenza quindi di eventuali edifici o aree verdi di una certa rilevanza, che potessero essere considerati «detrattori visivi» e quindi creare impedenza alla visione, è stata considerata quasi nulla. Il volo aerofotogrammetrico dal quale è stato estratto il DTM è stato prodotto a partire da una ripresa alla quota relativa di circa 4500 m, e ha comportato l’acquisizione, oltre alla classica ripresa fotografica, anche di un rilievo LiDAR con densità di un punto ogni 4 mq. Per semplificare i principi generali che regolano il funzionamento di questa tecnica, un impulso laser viene lanciato da un apparato aviotrasportato verso la superficie terrestre e ne viene misurato il suo tempo di ritorno. L’impulso laser può incontrare elementi diversi, e quindi dar luogo a «echi differenziati»: il primo impulso (first pulse) rappresenta la risposta del primo ingombro trovato sulla traiettoria del raggio laser e dal totale dei primi impulsi di ritorno, opportunamente filtrati mediante algoritmi particolari, si genera il DSM. L’ultimo impulso (last pulse) rappresenta l’ultimo ostacolo identificabile con il terreno, e questo ultimo permette quindi di generare il DTM. L’insieme dei punti ottenuti, che ha una distribuzione relativamente irregolare, viene successivamente interpolato per dar luogo ad un grigliato a maglia regolare. Per elaborare le viewshed relative ai punti riconosciuti, preventivamente è stato necessario creare uno shapefile (un file vettoriale contenente geometrie, in questo contesto, di tipo puntuale) per ciascuno dei 14 belvedere oggetto di analisi; nei file di attributi interni agli shapefiles sono stati successivamente predisposti tutti i fields necessari ad ospitare le informazioni relative ai parametri del cono visivo (angolo orizzontale o azimuth, angolo verticale o vert e profondità del cono visivo o radius) (Fig. 7.13). Vista la morfologia del territorio del Parco Val Grande, abbiamo imposto come parametri per tutti i punti il valore dell’azimut pari a 360° visto che il contesto è di tipo montano, l’apertura verticale considerata nel suo valore massimo ovvero 180° e come profondità del cono visuale rispettivamente 2.500 metri ove si identificano elementi posti in secondo piano, e 10.000 metri dove altresì si distinguono prevalentemente i profili e le 131 Metodologie geomatiche in rapporto all'attività di analisi e interpretazione del paesaggio Fig. 7.13 I parametri per l’analisi di visibilità Profondità cono visuale Altezza osservatore Apertura orizzontale o azimuth Apertura verticale sagome delle grandi masse (piano di sfondo). Solo per il belvedere Monte Zeda è stata elaborata la visibilità a 300 km (fig. 11.3), per verificare oggettivamente quanto veniva affermato, ovvero la possibilità di vedere il Duomo di Milano e parte della Pianura Padana, nelle giornate più terse. Capitolo VIII 133 I paesaggi agroforestali: struttura, qualità e dinamiche Federica Larcher, Lucia Salvatori C Prati e terrazzamenti a Capraga onsiderando il paesaggio in modo olistico come stratificazione di elementi fisici, biologici e culturali in un luogo e volendo identificare ogni tipo di paesaggio come combinazione unica e distinguibile degli stessi in un dato momento, il contributo intende fornire i principali elementi interpretativi relativi alle relazioni tra le componenti fisiche del territorio e lo sfruttamento, anche su base diacronica, dei suoli a scopo produttivo agro-silvo-pastorale. Seppur in apparente contrasto con la volontà di valorizzazione del paesaggio della «wilderness di ritorno», diffusasi in Europa come strategia di conservazione della natura e di cui il Parco Nazionale Val Grande rappresenta uno dei primi esempi, il presente saggio traccia una sintesi dei caratteri del paesaggio agroforestale in Val Grande e nelle valli intrasche muovendosi tra racconti popolari, testimonianze iconografiche, studi scientifici e specifici approfondimenti applicativi elaborati nell’ambito della presente ricerca. Risulta infatti del tutto condiviso il fondamentale ruolo svolto dall’agricoltura per l’economia montana ed il mantenimento del paesaggio culturale alpino. Tuttavia l’agricoltura di montagna, dovendo superare limitazioni alla produzione dovute soprattutto a condizioni topografiche, edafiche e climatiche sfavorevoli, non è competitiva con l’agricoltura delle zone di collina e pianura maggiormente vocate. Nelle Alpi, recenti studi hanno evidenziato come tra il 1980 ed il 2000 ben il 40% delle aziende agricole sia stato abbandonato (COCCA ET AL., 2012) e come questo abbia determinato sconvolgenti trasformazioni in termini biologici e paesaggistici. In particolare i tradizionali e secolari sistemi di allevamento estensivo, basati sulla massimizzazione dell’uso del foraggio in quota, hanno disegnato mosaici unici e creato habitat di grande valore ecologico. Nel tempo l’abbandono ha favorito il ritorno della foresta nelle aree un tempo coltivate e pascolate attraverso un processo di naturale successione vegetazionale che, senza ulteriore disturbo antropico, può essere definita wild ovvero come area autonoma, non controllata, autoregolata (SCHNITZLER, 2014). In Europa le aree di foresta incontaminata sono molto rare (1,4%), pertanto da alcuni anni si è diffusa l’idea di ri-creare zone wilderness e di favorirne lo sviluppo attraverso politiche di conservazione. L’abbandono dell’attività agricola ha tuttavia determinato non solamente conseguenze in termini di perdita di biodiversità, ma anche cambiamenti nella percezione del paesaggio alpino con perdita di elementi di identità e cultura locale e attrattività turistica. Alla scala paesaggistica sicuramente le condizioni pedo-climatiche sembrano essere i maggiori 134 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio drivers di tali dinamiche, tuttavia ad una scala più generale i fattori economici e sociali sono i principali motori del cambiamento che hanno agito a partire dal secondo dopoguerra. In tale contesto, e tenendo conto degli altri approfondimenti metodologici e tematici presenti nel volume, il presente saggio si articola in quattro parti: 1. l’inquadramento ambientale come supporto conoscitivo indispensabile per la determinazione dei tipi di paesaggio agroforestale; 2. la descrizione dei paesaggi agroforestali individuati, delle loro principali caratteristiche ecologiche e la loro distribuzione sul territorio considerato; 3. l’analisi diacronica dei tipi di paesaggio individuati con particolare riferimento alle valli intrasche, su base descrittiva e con approfondimenti cartografici e quantitativi; 4. la discussione conclusiva in merito alla futura evoluzione. Inquadramento ambientale Fig. 8.1 Fasce altimetriche: verde scuro 0-600 m s.l.m., verde 600-1200 m s.l.m., beige 1200-1800 m s.l.m., beige scuro 1800-2200 m s.l.m. e marrone 2200-2500 m s.l.m.. (Fonte: elaborazione Larcher-Salvatori del Modello Digitale del Terreno da CTRN 1:10000). L’area alpina situata nel Verbano e racchiusa tra la Val Ossola e la Val Vigezzo presenta caratteristiche fisiche uniche e peculiari che costituiscono, oggi come in passato, il principale elemento strutturante il paesaggio. L’altitudine varia dai 400-800 m s.l.m. dei fondovalle, ai 1800-2000 m delle cime. La Vetta più alta è il Monte Togano con i suoi 2301 m. La maggior parte del territorio si trova tra le quote di 600 m e di 1800 m determinando ampie potenzialità di formazioni forestali e prato-pascolive di grande valenza quali-quantitativa (Fig. 8.1). Tuttavia i caratteri di forte acclività dei versanti (la maggior parte del territorio ha una pendenza compresa tra i 30° e i 40°) e l’inaccessi- I paesaggi agroforestali: struttura, qualità e dinamiche 135 Fig. 8.2 Topographic Position Index (TPI): mette in evidenza le forme del rilievo distinguendo tra forme convesse ovvero i crinali (in giallo), forme concave ovvero impluvi e torrenti (in blu) e i versanti (in grigio). (Fonte: elaborazione Larcher-Salvatori del Modello Digitale del Terreno da CTRN 1:10000) bilità hanno fortemente influenzato le possibilità di sfruttamento e gestione antropica. L’idrografia principale circonda l’area con il Lago Maggiore, il Lago di Mergozzo ed il fiume Toce che delimitano il lato sud-occidentale. Una fitta rete di torrenti, rii minori e pochi piccoli laghi alpini determinano e completano il quadro idrografico interno al Parco delineando un sistema geomorfologico molto articolato ed irregolare. Le valli hanno per la maggior parte profilo a «V» (Fig. 8.2), dovuto alla prevalente azione modellante dei corsi d’acqua; non si identificano direzioni vallive preferenziali, né un sistema regolare di versanti a diversa esposizione. Il Rio Val Grande e il Rio Pogallo hanno inciso valli incassate con strette forre, grandi massi e assenza di una vera propria fascia ripariale (Fig. 8.3). Fig. 8.3 Bassa Val Grande: vista e profilo altimetrico, caratteristici i versanti con pendenza regolare. (Fonte: immagine archivio fotografico PNVG; sezione elaborazione Larcher-Salvatori del Modello Digitale del Terreno da CTRN 1:10000). 136 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio Il torrente San Giovanni ha modellato versanti meno scoscesi e accidentati, con un reticolo idrografico meno denso. Il clima della Val Grande è di tipo «insubrico oceanico» con precipitazioni abbondanti anche nel periodo estivo ed una escursione termica annua inferiore ai 20°C. La precipitazione media annua varia da 1200 a 2000 mm, in corrispondenza dei valori massimi registrati in Piemonte. La temperatura media annua è di 12°C. In particolare le aree più meridionali (sino a quote di 800-1000 m) rientrano nel distretto esalpico, sottodistretto umido con inverni un po’ meno freddi che in pianura e precipitazioni annue tra 1200 e 1500 mm, di cui 250-400 mm nel periodo estivo (clima insubrico con temperatura media superiore ai 12°C e minimi assoluti molto contenuti). Le restanti aree ricadono nel distretto mesalpico (che comprende la gran parte dei settori vallivi), sottodistretto umido con precipitazioni medie annue tra 1200 e 2100 mm di cui 300-400 nel periodo estivo (zona subatlantica, con minori scarti di temperatura fra l’estate e l’inverno e una più o meno elevata umidità dell’aria). Tali condizioni pedoclimatiche hanno determinato una specifica configurazione floristica. Il territorio della Val Grande è caratterizzato prevalentemente da vegetazione acidofila distribuita su due orizzonti, submontano e montano. Vista la mancanza di un vero orizzonte subalpino, le principali formazioni forestali sono boschi misti di latifoglie in cui il querceto di rovere (Quercus petraea), l’acero-tiglieto e l’acero-frassineto (Acer pseudoplatanus, Tilia spp. e Fraxinus excelsior; Fig. 8.4 Carta dei Piani Forestali Territoriali rappresentanti le formazioni potenziali) sono limitati o misti a causa degli interventi antropici (Regione Piemonte, 1996-2005). I paesaggi agroforestali: struttura, qualità e dinamiche 137 del passato. Rare sono le conifere (abeti bianchi, Abies alba), salvo alcuni boschi di abete rosso (peccete, Picea excelsa) favoriti da rimboschimenti mirati risalenti agli anni ‘60 del 1900. La formazione boschiva dominante è la faggeta (Fagus sylvatica), mesofila e acidofila, caratterizzata da strati arbustivi ed erbacei quasi assenti a causa della fittezza delle chiome e delle conseguenti condizioni d’ombra. Le faggete risultano pure sui versanti meridionali tra 1000 e 1400 m di altitudine; miste all’abete bianco nei versanti esposti a nord alle medesime quote. Al di sopra ed ai margini della faggeta prevale la brughiera alpina con alneti di ontano verde (Alnus viridis) in formazione pura o mista con specie rupestri da suolo superficiale. Gli alneti di ontano bianco (Alnus incana) e gli acero-tiglieti caratterizzano gli impluvi e le forre. Le praterie di alta e media quota si alternano a zone di rocce affioranti e macereti. Molte aree un tempo strappate al bosco e sfruttate a pascolo ora sono colonizzate da arbusti nani come il rododendro rosso (Rhododendron ferrugineum) e il mirtillo nero (Vaccinium myrtillus), precursori delle successioni arbustive che evolvono in alneti e verso la faggeta. Altrove, a quote inferiori, si trovano i betuleti (Betula pendula), formazioni pioniere direttamente connesse all’abbandono delle attività agro-silvo-pastorali ed agli incendi, ma di rilevante valenza paesaggistica. Spostandosi verso i margini sud del Parco e le valli intrasche prevalgono i castagneti (Castanea sativa), boschi oggi molto fitti e con esemplari di grandi dimensioni a testimonianza di un passato di sfruttamento produttivo. I paesaggi agroforestali Fig. 8.5 Distribuzione dei paesaggi agroforestali secondo l’altitudine. Si nota che le aree coltivate si collocano principalmente sotto i 600 m, i boschi sono presenti in tutti gli orizzonti ed abbondano in particolar modo tra 600 e 1200 m, prati e pascoli predominano alle alte quote dove sono presenti naturalmente. Al fine di individuare i tratti paesaggistici del Parco e delle valli intrasche determinati dai fattori naturali e dallo sfruttamento argo-silvo-pastorale, sono stati analizzati i dati cartografici riguardanti la geomorfologia e la vegetazione naturale e semi-naturale. 138 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio Fig. 8.6 Distribuzione dei paesaggi agroforestali per esposizione. Da notare l’indifferenza dei paesaggi boschivi all’esposizione che invece ha influenza sulla distribuzione del paesaggio dei pascoli, maggiormente diffusi a Sud-Est per condizioni pedoclimatiche più favorevoli. Le basi cartografiche utilizzate sono il Modello Digitale del Terreno (Regione Piemonte, Ripresa aerea ICE 2009-2011 – DTM), la Carta degli Habitat, elaborata dall’Ente Parco (2010) e la Carta dei Piani Forestali Territoriali (Regione Piemonte, 1996-2005. (Fig. 8.4) a copertura regionale. Mediante l’accorpamento delle categorie di vegetazione simili e l’incrocio con l’altimetria, l’esposizione e la pendenza (Fig. 8.5 e Fig. 8.6) è stato possibile individuare quelli che qui vengono definiti come i paesaggi agroforestali. Si tratta infatti di una nuova tematizzazione volta a delimitare aree omogenee per usi del suolo agroforestale atte ad essere lette in sovrapposizione con le ulteriori interpretazioni tematiche svolte dal gruppo interdisciplinare al fine della definizione più ampia dei paesaggi della Val Grande e delle valli intrasche, obiettivo ultimo del presente studio. In particolare sono stati descritti e identificati spazialmente i paesaggi dei pascoli e quelli dei boschi. Per quanto riguarda i paesaggi coltivati, attualmente molto ridotti e difficilmente delimitabili attraverso il metodo a scala vasta su basi conoscitive esistenti utilizzato per il presente studio, si è proposta una descrizione su base storica dei principali prodotti legati all’agricoltura di sussistenza tipica delle vallate alpine. I paesaggi agroforestali: struttura, qualità e dinamiche 139 Paesaggio dei pascoli Le Alpi sono etimologicamente definite come terra di pascoli ed in Val Grande si riferisce di 180 alpeggi attivi nel passato di cui molti fino al 1960. Molti alpeggi erano organizzati in due-quattro unità, poste ad altitudini diverse e funzionalmente collegate. Tipicamente lo schema di monticazione nel corso della stagione vegetativa si svolgeva partendo dal paese per raggiungere i corti ad altitudini intermedie e poi andare in quota verso l’alpe. L’organizzazione dell’attività pastorale ha previsto l’accesso a maggenghi e alpeggi con sentieri e mulattiere che oggi sono i principali e soli percorsi in alcune remote parti della Val Grande. Fig. 8.7 Alpe Ompio, bassa Val Grande, foto del ‘900. Le aree aperte a prato o prato-pascolo, seppur ormai molto ridotte in termini di superficie, costituiscono un fondamentale tassello nella caratterizzazione paesaggistica della Val Grande (Fig. 8.7 e Fig. 8.8). L’insieme di prati ad uso pastorale rappresenta infatti una fonte primaria sia di biodiversità sia di diversità paesistica (CAVALLERO, 2004). Essi sono oggi caratterizzati da formazioni povere come varieti a Festuca scabriculmis, nardeti a Nardus stricta, molinieti a Molinia arundinacea e cariceti a Carex sempervirens. La razionale gestione dei pascoli rappresenta una delle strategie prioritarie per la conservazione di questo paesaggio bio-culturale. Ne è un esempio il recente Piano di pascolo di Straolgio (LONATI & CAVALLERO, 2014) a cui dovrebbero seguire appropriati investimenti di promozione delle attività silvo-pastorali al fine di attrarre in loco nuovi imprenditori. Fig. 8.8 Alpe Ompio, bassa Val Grande, il paesaggio attuale. Paesaggio dei boschi Il territorio della Val Grande e delle valli intrasche è caratterizzato da una copertura pressoché continua di boschi, che è stato in passato elemento essenziale per la produzione di legname sia ad uso locale sia esportato verso le grandi città come Milano, sfruttando le vie d’acqua (Fig. 8.9 e Fig. 8.10). 140 Fig. 8.9 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio Boscaioli, foto del ‘900. Fig. 8.10 Barconi con legname sulla riva del Lago Maggiore. Le faggete rappresentano la fisionomia dominante nella maggior parte del territorio del Parco (quasi il 40% della superficie del Parco), sia nelle vallate interne che nelle parti più esterne, in una fascia altitudinale compresa tra i castagneti e i boschi di rovere inferiormente e gli arbusteti a rododendro rosso e le formazioni con ontano verde e sorbo degli uccellatori (Sorbus aucuparia) superiormente. Seguono in termini di superficie i castagneti (circa il 15% del territorio dei comuni del Parco). La maggior parte dei castagneti è distribuita nella parte sud del Parco, all’inizio della Val Pogallo tra Ponte Velina e Cicogna, a Colloro (Alpe Lut e località I Ronchi) e sopra Dresio, ad una quota media di 700 m, senza un’esposizione preferenziale. La passata gestione è visibile sia nella struttura ceduata di alcuni di questi boschi, usati per il taglio della legna, sia nella fisionomia tipica del castagneto da frutto, in cui le castagne erano usate come fonte di cibo. Si osservano allora, come nei pressi di Colloro, esemplari molto grandi e distanziati tra loro, per permettere la maturazione ottimale delle castagne. Il rimaneggiamento operato dall’uomo su questi boschi è evidente anche dalla distribuzione stessa delle selve a castagno, disperse in altre tipologie vegetazionali. Seguono i boschi ad aghifoglie miste (circa 5% della superficie del Parco), situati nella parte sud del Parco, presso i Comuni di Caprezzo e Intragna. Si tratta di formazioni dovute a opere di piantumazione dominate da abete rosso accompagnato da faggio, abete bianco, pino silvestre (Pinus sylvestris) e, talvolta, conifere esotiche (soprattutto Pinus strobus) tra gli 800 e i 1600 m. In tutto il Parco della Val Grande, in modo frammentario, soprattutto nelle aree di recente ricolonizzazione si trovano i betuleti (4% della superficie del Parco). Formazioni pioniere in Val Grande sono prevalentemente di sostituzione: sono quindi impostati su aree a pascolo abbandonate o boschi sottoposti in passato a intensa ceduazione a 141 I paesaggi agroforestali: struttura, qualità e dinamiche TIPI DI PAESAGGIO AGROFORESTALE Tab. 1 Tipi di paesaggio e loro valore naturalistico, storico-culturale e paesaggistico. VALORE NATURALISTICO VALORE STORICOCULTURALE VALORE PAESAGGISTICO PASCOLI Elevato Elevato Elevato FAGGETE Basso (F. acidofile) Elevato (F. neutrofile) Medio Elevato CASTAGNETI Medio Elevato Elevato BETULETI Medio Basso Medio AGHIFOGLIE Basso Medio Medio turno breve. Senza disturbi antropici, evolvono verso la vegetazione potenziale ovvero rovereti (del Quercion robori-petraeae(MALCUIT, 1929) BR.-BL. 1937) a quote basse e faggete (del Luzulo-Fagion Lohmeyeret R. Tx. in R. TX. 1954) a quote più alte. Lo stadio precedente è rappresentato dagli arbusteti a Cytisus scoparius e Pteridium aquilinum. Infine ontaneti di ontano nero e bianco, acero-frassineti e acero-tiglieti sono formazioni di elevato valore naturalistico e legate agli ambienti di forra ma non determinano veri e propri paesaggi riconoscibili ai fini della presente ricerca. In sintesi si riporta una tabella (Tab. 1) con i principali paesaggi agroforestali ed i loro valori naturalistico, storico-culturale e paesaggistico. Il paesaggio coltivato Fig. 8.11 Al lavoro nell’orto. (foto Erminio Meschia, Museo del Paesaggio, Verbania). Fig. 8.12 Viticoltura a Trontano. Il maggiore fattore di cambiamento per gli ecosistemi nelle Alpi negli ultimi cinquant’anni è stato la variazione di usi del suolo ed in particolare il passaggio da aree coltivate ad aree boscate (Fig. 8.11 e Fig. 8.12). L’abbandono delle pratiche agricole e silvo-pastorali è infatti riconosciuto come il fattore determinante il volto attuale del paesaggio alpino ancora prima del cambiamento climatico, di cui oggi si iniziano a valutare le conseguenze in prospettiva futura. 142 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio Il paesaggio coltivato, ormai non più riconoscibile attraverso l’analisi della cartografia, si può descrivere attraverso gli elementi fisici di trasformazione antropica del territorio ancora visibili sotto il manto forestale. Il modellamento del terreno per facilitare lo sfruttamento dei suoli a fini produttivi, a seconda della pendenza dei siti e della destinazione delle superfici, ha infatti prodotto qui come altrove nelle Alpi (GORLIER ET AL., 2011): • terrazzamenti, con ripiano utilizzabile sub-orizzontale con muri di sostegno in pietra a secco; • ciglionamenti, con modellamento della superficie utilizzabile meno accentuato e ripa o ciglione di sostegno del ripiano in terreno ciottoloso inerbito o arbustato; • gradoni con modellamento superficiale del suolo assai modesto, sostenuto ove necessario da muretti a secco irregolari variamente disposti e raccordati al pendio. Oggi questi elementi sono quasi completamente nascosti dall’avanzare del bosco. Solo la stagione invernale con il bosco spoglio e la copertura nivale permette di riconoscere questi elementi lungo i versanti esposti a sud delle valli intrasche. Utili alla descrizione di questo paesaggio sono l’iconografia, le testimonianze raccolte in loco ed i numerosi documenti messi a disposizione dal Parco. In particolare, con riferimento a CARETTI «Storie di Caprezzo», si è cercato di tracciare una cronistoria dell’agricoltura di sussistenza attraverso coltivazioni e produzioni. Nel 1800 vengono coltivati cereali come segale, miglio, grano saraceno. Mulini ad acqua e forni per il pane ne testimoniano l’utilizzo alimentare, i tetti in paglia l’uso edilizio. Si parla di vigna come di un terreno a vite per uva da tavola e da vino (nera e bianca) spesso associato al prato e all’orto (fagioli) e situato a corona dell’abitazione. Non mancano alberi di noce e castagni sfruttati per i loro molteplici prodotti: frutti, legname, foglie per lettiera, malli e bucce per tingere e così via (BOUNOUS, 2004). Si coltiva la canapa ad uso tessile con pozzi per macerare gli steli. Dai prati si colgono le erbe spontanee ad uso alimentare e officinale e dai boschi i piccoli frutti (more, mirtilli) e i funghi. Dalla seconda metà del 1800 si opta per l’uva varietà america (non adatta a far vino), si tralascia la canapa ed aumentano i frutteti con meli, peri e ciliegi. Continua e si rafforza l’attività pastorale tanto che viene fondata la Latteria sociale turnaria per la lavorazione del latte e la produzione di burro e formaggi (in attività fino al 1961). Dopo la prima guerra mondiale (1920-1960) rimane solo più la pastorizia con un taglio annuo di fieno nei prati di alpeggio e tre tagli in paese. Si coltivano anche patate e pomodori. Dal 1960 ad oggi si assiste al periodo recessivo, le filiere della sussistenza nel tempo si indeboliscono e vengono a mancare forza lavoro, strumenti e conoscenze. Con l’abbandono dell’agricoltura, dell’attività pastorale e della selvicoltura i prati diventano bosco a partire da quelli più lontani e impervi, e i boschi si inselvatichiscono, ritorna la natura! I paesaggi agroforestali: struttura, qualità e dinamiche L’analisi diacronica: i casi di Intragna, Cicogna e Colloro 143 Il fenomeno dell‘abbandono delle attività agro-silvo-pastorali e la conseguente ripresa della naturale evoluzione della vegetazione si è verificato progressivamente dal dopoguerra agli anni ’80-‘90 del 1900. Analogamente a quanto elaborato per gli alpeggi di alta quota, come ad esempio a Pogallo (GARBARINO & PIVIDORI, 2006), si è voluta elaborare un‘analisi diacronica per le valli intrasche e finalizzata a individuare i processi di «rinaturalizzazione» della vegetazione, in modo da rappresentare la fase iniziale del processo, un tappa intermedia e la situazione più recente. La cartografia elaborata copre tre zone campione individuate nei comuni di Intragna, Cicogna e Colloro per una superficie complessiva di circa 1700 (Fig. 8.13) ha ed è stata elaborata per utilizzazioni a scala tra 1:10.000 a 1:25:000. Le aree scelte rappresentano tre casi emblemati- Fig. 8.13 In verde le tre zone campione dell’analisi diacronica: «Colloro», «Cicogna» e «Intragna». ci di zone intermedie, le cosiddette Terre di Mezzo, con grande potenziale dal punto di vista di un loro recupero in termini di valorizzazione territoriale. Le fonti reperite sono state le ortofoto IGM - volo GAI del 1954 (bianco e nero), le ortofoto della Regione Piemonte - volo 1991 (bianco e nero). La predisposizione dei fotogrammi acquisiti per il presente lavoro è stata descritta in un apposito capitolo metodologico del presente volume. Per la situazione più recente si è fatto riferimento alla cartografia dei Piani Forestali Territoriali elaborata da I.P.L.A. S.p.A. negli anni 1996-2005. Si sottolinea che la fotointerpretazione ha comportato alcune approssimazioni dovute alla diversa qualità delle immagini di partenza ed alle diversità di formazioni per le tre periodizzazioni. In particolare per il volo 1954 la maggiore difficoltà si concentra nelle zone di impluvio perchè troppo scure o ombreggiate. Per il volo 1991 invece la dinamica in atto determina margini sfumati, poco netti (es. bosco-prato) per perdita 144 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio di struttura del paesaggio, risulta quindi complesso definire un confine tra le diverse coperture. Infine le categorie di copertura del suolo e vegetazione della carta dei Piani Forestali Territoriali sono state riclassificate secondo le categorie utilizzate nella fotointepretazione accorpando categorie precedentemente rilevate. Al fine di quantificare le variazioni della vegetazione, le ortofoto sono state fotointerpretate riconducendo le tipologie di copertura del suolo a sette categorie, comuni alle tre fasi temporali ed ai tre ambiti scelti. Nell‘impossibilità di ricostruire la composizione delle cenosi vegetali mediante fotointerpretazione, le tipologie utilizzate distinguono la vegetazione su base fisionomica, pertanto le categorie utilizzate sono: • Bosco: copertura continua di vegetazione arborea; • Bosco rado: copertura discontinua di vegetazione arborea; • Prato-cespuglieto in evoluzione: copertura arbustiva irregolare, frequentemente mista a prato e alberi; • Prato-pascolo arborato: prato con presenza di alberi isolati o che costituiscono piccoli nuclei arborati; • Prato-pascolo: copertura erbacea; • Rocce: utilizzata per rocce affioranti di ampie dimensioni e mosaici con vegetazione in cui la roccia copra più del 50% dell’area; • Aree edificate: edifici e nuclei abitati riconoscibili. Nella scheda di approfondimento n. 4 vengono riportate le cartografie esito dell’analisi diacronica. L’area analizzata «Intragna» (830 ha circa) permette di evidenziare una sequenza esem- Fig. 8.14 Evoluzione delle diverse tipologie di vegetazione nella zona «Intragna». Fig. 8.15 Evoluzione delle diverse tipologie di vegetazione nella zona «Cicogna». Fig. 8.16 Evoluzione delle diverse tipologie di vegetazione nella zona «Colloro». I paesaggi agroforestali: struttura, qualità e dinamiche 145 plare di come si svolgeva lo sfruttamento del foraggio dalla primavera all’autunno. Il pascolo ad Intragna si svolgeva utilizzando l’Alpe Occhio (892 m) come corte maggengale (il corte era una stazione 800-1500 m slm intermedia e usata nei periodi primaverile e autunnale da marzo a novembre) alla confluenza tra il Rio dei Belmi e il torrente San Giovanni; da qui si saliva al corte superiore di Onunchio e al gran corte di Piaggia per poi ritornare a Intragna (SANTINI & STUCCHI, 1999). Anche il Corte Le Creste gravitava su Intragna. Nel 1954 l’area a prato-pascolo era notevolmente più ampia rispetto a quella attuale. Nel 1991 e nel 2000 (e con piccole variazioni ad oggi) a fronte di una contrazione di oltre il 18% di prati si è assistito ad un aumento del bosco pari al 20% e ad una notevole diffusione di superfici a cespuglieto o bosco rado destinate presto a chiudersi diventando anch’esse bosco fitto e impenetrabile. L’area di «Cicogna» (310 ha circa), attuale sede del Parco e di un paio di nuovi insediamenti agricoli, è da sempre una zona molto più boscata rispetto ad Intragna (oltre 80% è bosco), dove però l’attività di pascolamento di svolgeva in ampie zone a prato-pascolo arborato e nel sottobosco rado. Oggi tali aree si sono quasi completamente chiuse. L’area di «Colloro» (560 ha circa) è una zona con diffusi affioramenti di roccia. Le aree identificate come categoria «rocce» sono di grandi dimensioni, almeno un lato superiore di 20 m, e occupate da oltre il 50% da affioramenti. Tutte le categorie sono un mosaico con rocce in cui però l’affioramento è inferiore al 50% della superficie. Seppur diverse nella configurazione le tre aree mostrano andamenti simili nel tempo, con dinamiche rapide e categorie intermedie in evoluzione maggiormente rappresentate nei periodi intermedi (1991). Questo indica la presenza di più tipi ed habitat nella fase intermedia e quindi un paesaggio più eterogeneo e diversificato ma con tendenza alla omologazione verso il bosco di latifoglie nel medio periodo. 146 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio Paesaggi stabili e paesaggi in transizione tra vegetazione potenziale e resilienza Come già affermato da numerosi studiosi e illustrato nei precedenti paragrafi, due sono le caratteristiche principali che rendono questo Parco unico in Italia: la sua morfologia accidentata che, con strette forre che rappresentano le uniche vie di accesso alle vallate interne, ha impedito la costruzione di strade e l’abbandono pressoché totale, avvenuto dopo la seconda guerra mondiale, da parte degli alpigiani e dei boscaioli. Al termine del presente capitolo occorre riportare l’attenzione su alcuni aspetti generali che aiutano a comprendere come i paesaggi agroforestali del territorio analizzato potranno evolversi nel futuro, quali qualità ambientali potranno esprimere e a quali minacce potranno andare incontro: il paesaggio è infatti per sua natura dinamico e cerca continuamente nuovi stati di equilibrio, metastabilità, nei quali esprimere tutte le sue potenzialità. Riguardo le componenti in oggetto i concetti di vegetazione potenziale e di resilienza ecologica risultano fondamentali per ragionare in termini di scenari evolutivi. Vegetazione naturale potenziale1 Il Parco della Val Grande è caratterizzato prevalentemente da vegetazioni acidofile a carattere sub-oceanico impostate su substrati cristallini e sviluppate altitudinalmente su due orizzonti: submontano e montano (ROTONDI, 2004). Nell’orizzonte submontano, compreso generalmente tra i 600 e i 1000 m di quota, la vegetazione potenziale è rappresentata dai boschi misti di latifoglie, con querce caducifoglie (roveri, farnie, roverelle) e castagno (alleanza Quercion roboripetraeae, con l’associazione Phyteumati betonicifolii-Quercetum petraeaeEll. & Kl. 1972). Il querceto misto è una tipologia vegetazionale con elevata biodiversità che, in assenza di disturbo antropico, è infatti caratterizzata quercia, tiglio, acero, frassino maggiore e olmo nello strato arboreo, mentre in quello arbustivo dominano il nocciolo, il biancospino e il sambuco. L’orizzonte montano, tra i 1000 e i 1600 m di quota, è caratterizzato da faggete mesofile e acidofile, talvolta mescolate con abete rosso ed abete bianco. Nel caso della Val Grande le faggete mesofile su suoli poco maturi sono inserite in Luzulo-Fagion (Quercetalia roboris), mentre quelle su suoli con humus rientrano in Fagion sylvaticae (Fagetalia sylvaticae). In generale si tratta di formazioni sciafile, in cui lo strato arboreo è dominato dal faggio, mentre gli strati arbustivi ed erbacei hanno bassissime coperture a causa dell’aduggiamento della volta arborea. La fascia superiore dell’orizzonte montano è costituita da cespuglieti a ontano verde e sorbo degli uccellatori. Manca quindi un vero orizzonte subalpino costituito da peccete o lariceti, come ad indicare un processo graduale di ritorno a condizioni più selvagge e a dinamiche naturali. La Val Grande, rimasta un’area marginale per lungo tempo, è stata colonizzata lentamente, prima per la monticazione del bestiame e successivamente per lo sfruttamento dei boschi che si è fatto sempre più intenso fino alla prima metà del XX secolo; fonti bibliografiche 1 comunità vegetale matura che esisterebbe in un determinato ambiente come conseguenza della successione naturale in assenza di interferenze antropiche. 147 I paesaggi agroforestali: struttura, qualità e dinamiche (VALSESIA, 2008) segnalano che non ci sono boschi delle Val Grande e Val Pogallo che non siano stati utilizzati. Dopo la Seconda Guerra mondiale la valle si è rapidamente spopolata e le caratteristiche bioclimatiche del luogo hanno fatto sì che la vegetazione abbia ripreso rapidamente ad evolversi secondo le dinamiche naturali: le radure aperte per ottenere pascoli sono state rapidamente invase da arbusti e colonizzate da alberi mentre i boschi hanno iniziato ad evolversi verso stadi maturi. Nonostante il rigoglio della vegetazione, tuttavia i boschi della Val Grande risentono tutt’oggi della passata gestione: è infatti ancora possibile rintracciare i segni di conduzioni a ceduo o del disboscamento operato per recuperare pascoli o terre da coltivare. Gli studi effettuati sulla vegetazione boschiva mostrano come, conseguentemente a tale passato, la qualità ecologica dei boschi sia generalmente non elevata, in particolare per quanto riguarda la differenziazione e la biodiversità specifica dei diversi habitat forestali (HÖCHTL & LEHRINGER, 2004). Al contempo il patrimonio di biodiversità, sia vegetale che animale, legato ai prati e ai pascoli risulta essere a rischio in quanto l’attività di monticazione si è estremamente ridotta. Venendo infatti a mancare il disturbo che ha prodotto e mantenuto tale patrimonio, i pascoli collocati altitudinalmente sotto il livello del bosco si trasformano rapidamente e diventano prima arbusteti, poi giovani boschi, con diversa velocità delle successioni In funzione della quota: si può affermare che in media in 20 anni si possa passare dal prato (vegetazione semi-naturale) alla bosco (vegetazione potenziale) in assenza di pascolo o sfalcio (Tab. 2). Altrettanto succede alle aree coltivate anche nei pressi dei centri abitati: dal confronto delle Figure 8.17 e 8.18 (ortofoto degli anni 1954 e 2010 in località Caprezzo) si può apprezzare la scomparsa dei terrazzamenti, sono stati invasi dal bosco circostante. Tab. 2 Evoluzione dei prati nei diversi orizzonti altitudinali. Resilienza ecologica2 2 Quota Stadio iniziale I ° Stadio post-abbandono II° Stadio post-abbandono III° Stadio post-abbandono (vegetazione potenziale) >1600 Prato Brughiera alpina (rododendro e mirtillo) Brughiera Betuleto Alneto di ontano verde 1000-1600 Prato Arbusteto (ginestra, felce aquilina) Betuleto Faggeta Faggeta 600-1000 Prato Cespuglieto o prato arborato (nocciolo, biancospino, sambuco) Betuleto Boschi misti di latifoglie Castagneto Negli anni dell’istituzione del Parco il ritorno della natura selvaggia, la wilderness, è stato assimilato alla protezione della natura e al pregio ecologico. Sebbene wilderness in ecologia non sia necessariament e sinonimo di qualità ecologica, è possibile intravedere nelle comunità vegetali del Parco elementi di resilienza ecologica, La capacità di un ecosistema di ritornare allo stato iniziale, dopo essere stato sottoposto a un disturbo (eventi naturali o attività antropiche). 148 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio Figure 8.17 e 8.18 Località Caprezzo ortofoto anni 1954 e 2010: l’area all’interno della linea arancione indica l’estensione dei terrazzamenti nel 1954. come la scarsità di specie esotiche presenti. Queste infatti si stabiliscono facilmente in ecosistemi alterati e degradati e, entrando in competizione con le specie autoctone, possono provocare ingenti danni alla biodiversità locale e alle attività agro-silvo-pasto- I paesaggi agroforestali: struttura, qualità e dinamiche 149 rali. Nella Val Grande è segnalata solo la presenza della robinia (BOUVET, 2013), mentre nei versanti ossolani e nei fondivalle sono presenti specie invasive legate ad ambienti fortemente disturbati come margini stradali, greti, coltivazioni annue e pascoli quali ad esempio Solidago gigantea, Senecio inaequidens e Ailanthus altissima. Inoltre, a scala più vasta, il Parco Nazionale Val Grande costituisce un importante tassello della Rete Ecologica del Verbano Cusio Ossola. Rilevanti per flora e vegetazione e per tutti i gruppi animali, le aree «Val Grande ed aree limitrofe» e «Versante termofilo sovrastante Vogogna-Premosello Chiovenda» sono aree prioritarie per la conservazione della biodiversità ed hanno funzione di area sorgente, ovvero aree ad elevata naturalità dove le specie naturali possono vivere e riprodursi e dalle quali possono diffondersi altrove (SINDACO et al., 2008). Le valli intrasche, zone in cui nel passato si concentrava l’attività di tipo agricolo e dove vivevano le comunità nei mesi invernali, sono invece da considerarsi buffer zones rispetto alla Riserva Integrale e al Parco, core zone. Le buffer zones hanno funzione di protezione della core area e di connessione tra diverse core areas; inoltre le forme del paesaggio determinano l’attitudine della buffer area stessa ad assolvere a tali funzioni ecologiche. La ricchezza di specie, habitat e paesaggi delle valli intrasche è il prodotto congiunto della natura e dell’azione dell’uomo; l’abbandono della montagna e l’ulteriore diminuzione delle attività agro-silvo-pastorali tradizionali sono quindi la principale minaccia della biodiversità. Le aree agricole e pastorali sono pertanto elementi fondamentali per il mantenimento dell’equilibrio ecologico dell’intero Parco ed anche la protezione della wilderness. Fig. 8.19 Paesaggio terrazzato. 150 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio CICOGNA analisi diacronica 1954 1991 I paesaggi agroforestali: struttura, qualità e dinamiche 2000 151 analisi diacronica 152 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio INTRAGNA 1954 1991 I paesaggi agroforestali: struttura, qualità e dinamiche 2000 153 analisi diacronica 154 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio COLLORO 1954 1991 I paesaggi agroforestali: struttura, qualità e dinamiche 2000 155 Capitolo IX 157 La montagna utilizzata come sistema produttivo Marco Zerbinatti I modi ricorrenti di conformare un ambiente o uno spazio alle esigenze di vita e di utilizzo (di un nucleo familiare, di una comunità) attraverso l’impiego dei materiali locali sono i segni di maggiore rilevanza espressiva dell’azione dell’uomo in un dato contesto. Ne sono testimonianza tangibile le opere di infrastrutturazione, di colonizzazione agricola e pastorale, di costruzione di insediamenti prodotte nella plurisecolare vicenda di adattamento ai luoghi da parte degli individui, mediante azioni coordinate e sistematiche. Per esempio, i sistemi terrazzati e altri modelli di sistemazione del suolo per fini agricoli, i sistemi di copertura degli edifici, i reticoli di collegamento pedonale e carrabili (sentieri, mulattiere, rampe di salita…), integrano, con le loro tecniche realizzative, le tecnologie edilizie nel dar luogo a diversificate morfologie insediative connotanti un determinato ambito, in relazione con la storia e la cultura della gente che lo abita. Pietra e legno come risorse Negli ambienti presi in esame, nella Val Grande e ai suoi margini, con alcuni approfondimenti nelle zone di bordo delle «valli intrasche», in relazione ai diversi luoghi e alle risorse utilizzabili sul posto, questa vicenda di plurisecolare adattamento assume talvolta caratteri similari o unitari, altre volte di marcata differenza tra ambienti. Ne emerge un quadro variegato di modi di costruire – più o meno ricorrenti – legato a consuetudini progressivamente filtrate e migliorate alla luce delle esperienze precedenti, insieme confluenti in una tradizione che connota la «[...] coerenza espressiva di aree culturalmente omogenee. […]»1. Al pari delle espressioni dialettali, nelle costruzioni diverse forme della tradizione possono essere interpretate (giocando con il termine) come le forme della «dizione tra»2: ovverosia, il frutto di un complesso di regole e consuetudini non scritte per modi di fare, tramandate oralmente attraverso le generazioni e consolidate nel tempo come patrimonio comune e distintivo della propria comunità. Al contempo, le stesse regole sono state affinate o arricchite con elementi attinti o mutuati da analoghi repertori formali o espressivi di comunità vicine o conosciute. Un’influenza rilevante sui modi di operare e di costruire dell’uomo lo riveste la geologia 1 CONTI, G. M.; ONETO, G, Paesaggio di pietra, alberi e colore, Alberti Libraio Editore, Intra, 2008, p. 5. 2 Questa espressione è stata utilizzata in più occasioni da STEFANO DELLA TORRE, ingegnere e architetto, docente al Politecnico di Milano. Non è rilevante, qui, sapere da chi sia stata coniata; di fatto, tale scomposizione del termine serve, in modo efficace, a sottolineare e ribadire l’importanza della trasmissione nel tempo di consuetudini, usi e costumi, modelli e norme tra generazioni. 158 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio dei luoghi; per ovvie ragioni di comodità nell’approvvigionamento, l’uso dei materiali locali è quasi sempre stato il fil rouge che ha accompagnato la realizzazione delle costruzioni e, di conseguenza, in ampia misura ne ha determinato gli esiti tecnici e formali. L’uso della pietra come principale materiale da costruzione è ovviamente il primo tratto distintivo anche nel Parco Val Grande e nei territori limitrofi. Il legno, anch’esso materiale da costruzione di primaria importanza e di facile reperibilità, nelle aree in esame fu utilizzato in modo prevalente (pressoché quasi esclusivo) per le strutture di copertura degli edifici, per le strutture intermedie di orizzontamento (travi, impalcati e tavolati), per architravi di passate, per le lobbie (i balconi), oltre che per i serramenti e le chiusure. Cenni sull’approvvigionamento dei materiali e sulle loro applicazioni. I materiali lapidei. I materiali lapidei impiegati per le sistemazioni esterne, in un ambiente o paesaggio Fig. 9.1 Affioramento di materiale lapi- rurale, sono quasi sempre stati quelli reperibili in prossimità o sul luogo di esecuziodeo scistoso lungo l’antica strada di collene delle opere; per esempio, per i terrazzamenti buona parte dei materiali deriva dallo gamento tra Rovegro e Cossogno, oltre il spietramento3 dei terreni destinati poi a essere coltivati. cosiddetto “ponte romano”. Vi era poi l’approvvigionamento da raccolta, operata in modo selettivo lungo i greti di fiumi e torrenti, nelle pietraie di montagna, o anche sulle rive dei laghi. O ancora, attraverso l’uso dei massi erratici, detti anche i trovanti: massi di grande dimensione lasciati sul posto dai movimenti glaciali o trasportati a valle da alluvioni, sezionati per ottenere elementi strutturali, pietre da cantoni (i cantunài), spallette, architravi e soglie delle aperture da materiale da costruzione reperibile a breve distanza. Si tratta di modalità di approvvigionamento cui è estranea l’attività estrattiva intesa in senso strettamente contemporaneo; infatti, le cave erano utilizzate di solito per le opere più importanti (in misura limitata, quindi), mentre i materiali «residui» erano utilizzati per le costruzioni correnti. Da questo punto di vista, per quanto potuto sinora appurare, all’ingresso delle valli intrasche (in particolare durante i sopralluoghi in Valle Intragna) i materiali impiegati nelle costruzioni ordinarie (come abitazioni, stalle e fienili) sono estremamente eterogenei, con pezzature anche molto variabili e con tessiture poco curate, non particolarmente rilevanti dal punto di vista tecnologico per le apparecchiature murarie realizzate. L’utilizzo dei materiali localmente disponibili, nel tempo ha generato stratificazioni dove continuità e varietà si alternano (o, forse meglio, si intrecciano), in ragione di modi ricorrenti di utilizzare i materiali stessi immediatamente, ma anche a minor costo. Costanti e varianti, innanzitutto sono rilevabili nel modo di trattare i materiali lapidei. 3 «[...] Per spietramento si intende l’opera di accantonamento di tutte le pietre di medie e grosse dimensioni trovate durante l’opera di ripulitura del terreno destinato a uso agricolo o ricavate da scavi per fondazioni o sbancamenti. […]», CONTI, ONETO, cit., p.146. 159 La montagna utilizzata come sistema produttivo Figg. 9.2, 9.3 e 9.4 La lavorazione in conci regolari, con le superfici lavorate alla punta grossa, alla gradina (a volte alla martellina), in questa zona sono proprie di edifici di importanza maggiore (come la chiesa), mentre sono meno frequenti sugli edifici di abitazione o di servizio. Gli esempi sono relativi alla chiesa di Rovegro (2) e a una cappella a Cossogno (3, 4). Qui i cantonali sono lavorati in modo regolare mentre le pareti presentano scapoli eterogeni e scaglie sottili, per i vuoti e mantenere l’andamento sub-orizzontale dei ricorsi. Anche le mensole e le lastre del tettuccio laterale sono lavorate in modo più raffinato. Come trovare le vene dei blocchi lapidei e sezionarli secondo filo, controfilo e trincante (oggi, gergalmente, si usa di più dire al verso e al contro), come usare i cunei di ferro per ottenere elementi costruttivi di dimensioni adeguate e regolari, come lavorare le superfici alla puntazza, piuttosto che con altri attrezzi metallici erano abilità tecniche appartenenti a molti artigiani della pietra del tempo passato. Poi, analogie e similitudini ricorrono anche nel modo di porre in opera i materiali, nell’adottare soluzioni tecniche comunque legate alle loro caratteristiche intrinseche. Ai fini pratici, per gli studi sui manufatti edilizi e sulle opere di infrastrutturazione dell’ambiente antropizzato riveste interesse particolare ciò che i processi di trasformazione geologica hanno messo a disposizione dell’uomo, quali litotipi più facilmente reperibili4. Le differenze rilevanti tra i diversi litotipi in questione sono riconducibili in gran parte alla presenza della Linea del Canavese (In- 4 Si rimanda al contributo di MAURIZIO GOMEZ SERITO in questo volume, Le pietre utili e alla letteratura di settore. 160 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio Fig. 9.5 Rustico di servizio a Rovegro. La tessitura muraria è eterogenea e composta con scapoli di piccola dimensione, non è curata e la presenza di conci angolari di legatura si verifica solo nelle parti inferiori. Man mano che si sale verso le parti più alte delle murature d’ambito, i cantonali si riducono sino a sparire in molti casi. Le pietre sono utilizzate tal quali, senza alcuna lavorazione di rifinitura. Le malte di allettamento, se presenti, sono povere di legante, frequentemente miscelate anche con argilla in aggiunta alla calce. L’aggiunta di argilla (o terra) nelle malte risponde a due precise esigenze: ridurre la quantità di calce come legante (il materiale più costoso), aiutare a compensare la distribuzione granulometrica degli aggregati di origine fluviale, di solito caratterizzati dalla ridotta presenza di “fini”, asportati facilmente nei corsi d’acqua montani a carattere torrentizio. Figg. 9.6 e 9.7 Pagina a fronte, manto di piode di un rustico nelle valli intrasche. L’andamento degli elementi lapidei è decisamente irregolare; essi sono lavorati prevalentemente a spacco, ma restano con forme e dimensioni eterogenee tipiche degli elementi impiegati tal quali. Molte scaglie sono inframmesse tra le piode più grandi, in modo da livellare al meglio gli elementi. L’eterogeneità è riconducibile alla natura del materiale litoide disponibile nelle località di approvvigionamento. L’immagine finale è sostanzialmente diversa da quella dei manti di piode ossolani. La presenza di vegetazione e il colore del manto testimoniano la vetustà dell’intervento. subrica) e della Linea del Pogallo5 e sono state messe in evidenza dagli studiosi della disciplina6. Un esempio può essere offerto dai manti di copertura. Su questi versanti che guardano il Verbano, la roccia alle quote medie e basse è costituita in prevalenza da scisti micacei, più gelivi e meno compatti. Dunque, la natura dei litotipi usati in prevalenza per ottenere piode per i manti di copertura, ha dato luogo a manti differenti da quelli ossolani (composti con beole); nelle valli intrasche le pietre per le coperture hanno forme e dimensioni più contenute ed eterogenee rispetto all’Ossola. I manti di vecchia o antica fattura, risultano così composti da elementi con pezzature variabili da molto piccole sino a elementi di maggiore dimensione, con spessori anch’essi variabili e non molto 5 Quest’ultima è di particolare rilevanza poiché marca una divisione tra la zona con presenza di kinzigiti e la zona più ricca di scisti dei laghi e metasedimenti. 6 Semplificando in modo estremo, a nord di Vogogna sono ampiamente diffusi i serizzi e la beola, comunque le rocce gneissiche a struttura tabulare, con scistosità più o meno marcate ma tali da favorirne la lavorabilità secondo piani paralleli, in particolare per ottenere lastre con spessore medio o elevato. Vi sono parecchie varianti locali, con caratteristiche legate ad alcune specificità (beola di Beura-Cardezza, beola di Pallanzeno, beola di Trontano, per esempio). A sud di Vogogna si entra nella zona del Basamento Cristallino Sudalpino (Serie dei Laghi), caratterizzato dalla elevata presenza di granodioriti e graniti: siamo nei luoghi di impiego dei graniti di Baveno, di Montorfano (più a ovest di Alzo), del granito verde di Mergozzo, della diorite di Anzola, del granito rosso di Omegna. Le pietre delle formazioni geologiche che caratterizzano in parte anche il territorio della Val Grande: sulle dioriti BERGAMASCHI riporta che «[…] Il loro affioramento, piuttosto raro, si riconosce lungo una striscia che si estende dal Limidario vero il Monte Torrigia, i monti Zeda e Laurasca, per poi continuare all’interno della Val Grande […]». Ma sono anche di zone con sedimenti lasciati o lavorati dai ghiacciai, con una commistione di rocce diverse che hanno favorito l’impiego di materiale eterogeneo, ottenuto spesso da massi erratici o depositi alluvionali. Cfr.: BERGAMASCHI, A., Cannobina. La Borromea e dintorni, Alberti Libraio Editore, Verbania, 2011, p. 14. La montagna utilizzata come sistema produttivo Fig. 9.8 Reimpiego di piode da tetto di grandi dimensioni quali gradini e copertura di un muro di pietra a secco. Su alcuni elementi lapidei permangono segni di lavorazione con attrezzi metallici. 161 regolari7; è molto frequente l’impiego di piccolissimi elementi per «incuneare» quelli maggiori, utili per ricercare una regolarità di posa più fittizia che effettiva. L’immagine di questi manti non è, in molti casi, connotata da un andamento o un disegno regolare degli elementi (salvo i casi di manutenzioni recenti, magari eseguite con elementi nuovi lavorati in modo più «industriale»). Trattando dell’uso delle rocce nelle costruzioni, pare anche opportuno ricordare che la complessa orogenesi di questa parte delle Alpi occidentali, ha fatto in modo che tra i principali orizzonti geologici e le pieghe della crosta terrestre si siano inserite delle formazioni che hanno consentito di giungere, localmente, all’estrazione di rocce ornamentali particolari8. Nell’affrontare i temi legati al patrimonio edilizio diffuso, l’importanza dei marmi o delle rocce ornamentali di pregio è decisamente ridotta, poiché anche questi erano solitamente destinati a cantieri di maggiore prestigio. Tuttavia, la loro estrazione ha avuto alcuni importanti riflessi sul paesaggio, dati dagli evidenti segni lasciati dalle attività di coltivazione delle cave. Cenni sull’approvvigionamento dei materiali e sulle loro applicazioni. Il legno. Le brevi riflessioni raccolte considerano soltanto modi ricorrenti e consuetudini diffusi nelle valli intrasche e nelle aree al bordo del Parco Val Grande (valli Ossola, Vigezzo, Cannobina), quindi con esclusione delle aree di influenza Walser. Nella zona di diffusione delle latifoglie, le essenze più usate per le carpenterie lignee 7 Per le piode, durante i sopralluoghi sono state segnalate zone non lontane dai centri abitati dove, a memoria d’uomo, sono ancora ricordate alcune località di approvvigionamento. Per esempio, fuori Rovegro, in direzione Nord - Ovest rispetto al nucleo, verso l’Alpe Bué. 8 Sulla nomenclatura delle valli a monte di Verbania, si fa riferimento alle definizioni in: CHIOVINI N., Cronache di terra lepontina. Malesco e Cossogno: una contesa di cinque secoli, Tararà Edizioni, Verbania, 2^ edizione, 2007 pp. 10 e 11. 162 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio Fig. 9.9 Cossogno. Rudere di edificio con funzione agricola e abitativa. Gli elementi lapidei della muratura sono eterogenei, con cantonali di maggiori dimensioni nella parte bassa, usati tal quali senza lavorazioni aggiuntive (non sono stati riquadrati o sbozzati). Nella parte centrale del palinsesto murario troviamo gli scapoli con dimensione più contenuta. Tracce di intonaco di fattura grossolana permangono su parte del prospetto. Fig. 9.10 Rovegro. Rustico di servizio con due generi di tessitura muraria; la parte inferiore ha grandi cantonali di legatura nelle due direzioni ortogonali allo spigolo dell’edificio, intervallati con scapoli più piccoli e irregolari. Da circa 2,5 m dal piano di spiccato la muratura cambia in modo evidente la propria tessitura, evidenziando quasi un piano inclinato come segno indicatore; tale caratteristica, che prosegue anche sull’altro lato, sembra indicare un parziale rifacimento dell’edificio. sono il castagno e il rovere (diffusi nella fascia di quota che giunge sino a circa 800 metri s.l.m. . Il legno ricco di tannino è il più indicato per opere ove è importante il requisito di elevata durabilità). Oltre, si trovano boschi di faggio, che si mescolano tra i 1.300 e i 1.500 metri di altitudine alle conifere; tra queste ultime, l’essenza più indicata per i lavori di carpenteria, ma anche per altri manufatti da esporre all’esterno, senza dubbio è il larice. Sulle modalità di taglio (stagione o periodo, fasi lunari, condizioni meteorologiche), di stagionatura (tempi e modalità), di lavorazione c’era una cultura tradizionale propria, conosciuta e rispettata da molti, tema che può essere approfondito in specifiche pubblicazioni. Un aspetto riscontrato durante i sopralluoghi effettuati è stato quello legato all’uso abbastanza diffuso del larice anche a quote basse (zona di latifoglie) per la realizzazione di portoni di ingresso di stalle, fienili e anche di case; talvolta, l’uso di questa conifera è frammisto, per esempio per elementi di sostituzione (quasi certamente più recenti). Il trasporto del larice e del legname in genere verso le quote inferiori non costituiva un grande problema: se non effettuato facendo scivolare i tronchi sulla neve, anche i torrenti (come il San Bernardino) erano utili per questo scopo9. Nelle stesse costruzioni, i tavolati dei balconi (solitamente impiegati al secondo piano, in quanto al primo erano ancora di lastre di pietra) erano ottenuti da tronchi di latifoglie. Le tavole poste su mensole (anch’esse lignee) in aggetto (fig. 9.11) erano accostate, in modo 9 CARNESECCHI, S., Il tempo della buzza, (a cura di PIZZIGONI, G.), Parco Nazionale Val Grande, 2011, p. 69 - 70. La montagna utilizzata come sistema produttivo 163 da lasciare passare l’acqua ed evitando i ristagni. Le mensole sono al più decorate con Fig. 9.11 Balcone di secondo piano di abitazione a Rovegro. Figg. 9.12 - 9.13 Portoni di ingresso a stalle e fienili (Rovegro). Tra le essenze usate, la più diffusa tra quelle individuate è il castagno; tuttavia, in numerosi casi è stato osservato l’uso del larice, anche frammisto a legno di latifoglie (forse per operare la sostituzione di alcuni elementi rovinati). Nei serramenti a doppia anta è stata posta la dovuta attenzione per utilizzare elementi ricavati da un’unica tavola, in modo da dare continuità alla venatura del legno su entrambi i battenti (in particolare, agli elementi traversi). Figg. 9.14, 9.15 Due balconi a Rovegro. Il balcone dell’immagine superiore è lo stesso della foto 9.12, quello sotto è al primo piano di un rustico del centro abitato. Nella seconda figura, il disegno con motivo ripetuto degli elementi verticali del parapetto è più ricercato rispetto alla media delle lobbie osservate nei sopralluoghi. motivi semplici, mentre i parapetti (sostenuti da montanti fissati alla struttura del tetto) sono formati con bacchette a sezione quadrata ruotate a 45° e innestate sui traversi (superiore e inferiore), conferendo un disegno «a losanga» di maggiore efficacia estetica. Sistemi e tecnologie costruttive Sistemi e sub-sistemi tecnologici: sistemi terrazzati. «[…] Si può collocare tra il XIV e il XVI secolo l’epoca dei terrazzamenti su vasta scala. Sono ciclopici lavori collettivi di reperimento e di adattamento di terreno coltivabile (su terreni scoscesi e talvolta dirupati), che fanno perno sulla costruzione e la colmatura di muri a secco di contenimento, talvolta colossali, per trasformare terreni impervi in campi a terrazze profonde da due a otto/dieci metri, unite le une alle altre da rudimentali scale laterali di servizio in pietra. Oggi codeste terrazza sono diventate monumento agli uomini di quei secoli, che il tempo e l’incuria hanno intaccato ma non ancora cancellato. […]»10. La loro utilità non si espleta solo nell’ottenimento di aree coltivabili e nella conservazione del suolo come risorsa, ma anche nell’utilizzazione ottimale e nella regolazione di un’altra risorsa di superficie: l’acqua11. 10 CHIOVINI N., cit., 2007, pp. 35-36. 11 BRANCUCCI G., MASETTI M., I sistemi terrazzati: un patrimonio, un rischio, in: SCARAMELLINI G. e VAROTTO M. (a cura di), Paesaggi terrazzati dell’arco alpino – Atlante, Marsilio Editori, Venezia, 2008, p. 46. 164 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio Figg. 9.16, 9.17 Schema assonometrico dei principali elementi costitutivi un sistema terrazzato ossolano (disegno di P. PIUMATTI) e sezione schematica trasversale verticale di un muro di sostegno di un terrazzamento, realizzato con pietre posate a secco. percorsi di collegamento principali percorsi di collegamento secondari Più in generale, i terrazzamenti realizzati dall’uomo appartengono a quelle «[…] tecniche materiali che rendono possibile la pratica dell’insediamento attraverso il dissodamento […]», fondamentali per la sussistenza dell’uomo nelle valli alpine12. I terrazzamenti montani costituiscono, in molti casi, un patrimonio di grande valore esposto a un elevato rischio di perdita irreversibile; la loro conservazione passa attraverso una manutenzione pressoché costante, mentre la mancata cura e l’abbandono possono portare, in un breve arco temporale, al dissesto di questi sistemi con conseguenze negative anche sotto l’aspetto idrogeologico. Complice di tale situazione, può essere il ritorno incontrollato e invasivo del bosco. Per molti decenni i paesaggi terrazzati sono stati destinati all’oblio, sia dagli studiosi sia dagli amministratori; soltanto verso la fine del Novecento è stata rivolta verso di essi una maggiore attenzione, oggi crescente. La ricerca più estesa sui terrazzamenti alpini è quella sviluppata nel progetto Interreg ALPTER- Paesaggi terrazzati dell’arco alpino13, che però non ha interessato il Verbano-Cusio-Ossola14. 12 SALSA A., Il paesaggio alpino fra natura e cultura, in: MARZATICO F., NUCCIO M. (a cura di), Apsat 7, Conoscenza e valorizzazione dei paesaggi trentini, Mantova, Società Archeologica. 13 Cfr. www.alpter.net. 14 PIUMATTI P., Rilievo e rappresentazione di sistemi tradizionali di strutturazione del territorio (Cap. 2, par. 2.2), in: Manuale per il recupero del patrimonio architettonico di pietra tra Verbano Cusio Ossola e Canton Ticino, Provincia del Verbano Cusio Ossola, 2014. La montagna utilizzata come sistema produttivo 165 Dalla letteratura specifica sono state assunte le seguenti definizioni: - terrazzamento: la pratica e la costruzione artificiale di superfici pseudo-orizzontali di terreno coltivabile mediante muri o scarpate; - sistema terrazzato: il sistema complesso costituito non solo dai terrazzamenti ma anche dal sistema di relazioni con il contesto (per esempio il sistema di gestione delle acque, il sistema delle reti di comunicazione, il sistema di produzione agricola, ecc.); - paesaggio terrazzato: il paesaggio (inteso come paesaggio culturale) caratterizzato dalla presenza di sistemi terrazzati15. Nelle espressioni dialettali locali, i terrazzamenti in Ossola sono chiamati susti, mentre «[...] in valle Intrasca conservano ancora oggi quello di campèi (sing. campèia, da cui l’equivalente latino medievale campegus), mentre ad Aurano e in parte della Valle Intragna sono chiamati pinezz (sing. pinezza). [...]»16. Sistemi e sub-sistemi tecnologici: sistemi terrazzati: sistemi di copertura. Lo schema assonometrico di figura 9.19 è relativo a un fabbricato rurale tipico. La distribuzione di un edificio rustico di servizio, di solito prevede al piano inferiore la presenza Fig. 9.18 Schema assonometrico di fabbricato rurale con distribuzione di funzioni e impostazione caratteristici nelle valli intrasche; andamento orografico e scelta del sito potevano influenzare la distribuzione. Disegno ispirato all’originale di D. Martinelli. Legenda: 1 scala di accesso al fienile; 2 porta di accesso ad ambienti accessori (ripostiglio, porcilaia); 3 porta di accesso alla stalla; 4 stalla; 5 tavolato ligneo; 6 fienile; 7 catena lignea (cadèn); 8 trave di colmo (culmegna); 9 puntone (cantée); 10 correntini; 11 cavicchi di legno (cavicc); 12 manto in piode (piod). Fig. 9.19 Edificio con stalla (piano terreno) e fienile sovrastante, su declivio; nella volta interna che separa stalla e fienile è tutt’ora utilizzato il foro che permette di «scaricare» il fieno al di sotto, per distribuirlo nelle mangiatoie. della stalla (4), al piano superiore la collocazione del fienile (6). In assenza di un ingresso sul lato a monte in grado di permettere l’accesso «al piano» 15 PIUMATTI P., cit., 2014. 16 CHIOVINI N., cit., 2007. 166 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio (sfruttando la differenza di quota planoaltimetrica quando l’edificio è posto su un declivio), era costruita una scala esterna (1) per colmare tale dislivello tra i due piani. La copertura del disegno è del genere con dormienti e colmo (9), diffusamente rilevata nelle valli intrasche; i dormienti poggiano su catene trasversali di legamento (7). In taluni casi, il sistema prevede anche la presenza di capriate. Nel caso rappresentato i puntoni sono innestati nel dormiente, sorreggono i correnti (10, a loro volta fissati sull’estradosso del puntone mediante cavicchi di legno) e sono posti a distanza ravvicinata per permettere l’alloggiamento delle piode del manto (12). Le piode Fig. 9.21 Rovegro. Testata di edificio rustico hanno una pendenza verso il filo di gronda di pochi punti percentuali, mentre il rilievo efcon falsi puntoni esterni poggianti sul colmo fettuato su diverse falde, ha dato come riscontro pendenze tra il 58% e il 72% (pendenza e collegati alle banchine sui muri d’ambito. complessiva). La regolarità del manto per utilità riportata nel disegno è meno rispondente all’immagine dei tetti «storici», composti con elementi molto eterogenei . I sistemi di copertura di questo genere pongono in evidenza le differenze con i sistemi di copertura più diffusi in Val d’Ossola, improntati in modo praticamente esclusivo con capriate giuntate a mezzo legno e senza la presenza del colmo; inoltre i puntoni sono innestati sulla catena (appoggiata sul dormiente). Alcuni esempi sono stati rilevati a Gurro e in altre località prossime ai confini del Parco. Nella pagina seguente lo schema di figura 9.25 riporta l’impostazione ricorrente di molFig. 9.22 Gurro (Valle Cannobina). Testata ti tetti ossolani, dove gli elementi componenti l’orditura principale sono: Fig. 9.20 Rovegro. Edificio rustico ancora in uso, con stalla al piano inferiore e fienile al livello superiore. L’interno del fienile, con la struttura a puntoni su dormiente e colmo (visibili anche all’esterno), con correnti molto fitti non formati con elementi pseudo cilindrici, bensì con elementi misti molti dei quali a forma parallelepipeda. L’orditura principale è di larice. di edificio con tamponamento realizzato successivamente (edificio a timpano aperto, originariamente). La struttura del tetto è del genere a capriate con mutuo incastro dei puntoni a mezzo legno e innesto degli stessi sulla catena. BA dormiente o banchina | CA catena | PU puntone | Plg pioda di gronda | CO correnti Nello schema la banchina si trova sotto la catena della capriata. L’inclinazione delle falde nei tetti ossolani è di circa 42° (seguiva la regola dei «2/3» ovverosia: stabilita la profondi- La montagna utilizzata come sistema produttivo Figg. 9.23, 9.24 Alpeggio di Piaggia (Aurano). Interni di edificio con tetto impostato secondo lo schema grafico di fig. 9.18. Foto di G. Morandi. All’interno del fienile è visibile la struttura a puntoni su dormiente e colmo (visibili anche all’esterno), con correnti molto fitti non formati con elementi pseudo cilindrici, bensì con elementi misti, molti dei quali a forma parallelepipeda. L’orditura principale è di larice. Fig. 9.25 Schema grafico relativo all’impostazione dell’orditura di un tetto ossolano (disegno di S. FASANA). (Schemi grafici fuori scala). 167 tà di manica, con una corda la si misurava, si piegava la corda in modo da ottenere 3 segmenti di eguale lunghezza, poi con un raggio equivalente a 2/3 si puntava prima su di uno spigolo (vertice del muro) poi sul suo omologo all’estremità opposta della manica: il punto di intersezione in alto diveniva il nodo di incastro tra i due puntoni della capriata). In testa alla manica dell’edificio, le soluzioni di chiusura non erano improntate a una sola soluzione; alcune delle possibili varianti per la testata degli edifici sono schematizzate negli schemi grafici riportati. Pur se riferiti in prevalenza a casi di studio ossolani, analoghe soluzioni sono stati rilevati anche in Valle Cannobina e in edifici di borgate ai margini del Parco Val Grande. Capitolo X 169  Le pietre utili della Val Grande Maurizio Gomez Serito 7JSJEJTMBQJT-BOFDSPQPMJEJ$SBWFHHJBFMBQJFUSBPMMBSFJO7BMMF7JHF[[P FBLNTPUUPHMJPDFBOJ-BSPDDJBDIFDPTUJUVJTDFJMNBOUFMMPJOQSPGPOEJUËÒDIJBNBUB jQFSJEPUJUFxFDPOUJFOFFTTFO[JBMNFOUFJNJOFSBMJEVSJRVBMJPMJWJOB QJSPTTFOP HSBOBUPF TQJOFMMP unicità della geologia del luogo (Fig. 10.1) ha una ricaduta evidentissima e senza conCenni di geologia e %VSBOUFJNPWJNFOUJWFSUJDBMJDIFBDDPNQBHOBOPMBGPSNB[JPOFEJVOBDBUFOBNPOUVPTB  geomorfologia MBQFSJEPUJUFWJFOFUSBTQPSUBUB BEVOMJWFMMPQJáTVQFSGJDJBMF fronti sulla geomorfologia.JOTDBHMJFSFMBUJWBNFOUFQJDDPMF L’area del parco si trova a cavallo della Linea Insubrica, o DIJBNBUPjDSPTUBx*ODPOUBUUPDPOMFQSFEPNJOBOUJSPDDFHSBOJUJDIFFDPOHBTSJDDIJJO del Canavese, la grande faglia trascorrente che segna il limite di contatto fra il paleo$0 MBQFSJEPUJUFTVCJTDFVOBUSBTGPSNB[JPOFEFGJOJUB WBQPSF )0 FBOJESJEFDBSCPOJDB continente africano e quello paleoeuropeo che, scontrandosi alla fine del Giurassico, circa jNFUBNPSGJTNPJESPUFSNBMFxMBSPDDJBBTTPSCFJHBTFEFWFOUVBMNFOUFEFMTJMJDJP 4J0 F 150 milioni di anni fa, hanno dato luogo all’orogenesi alpina. Essa oggi definisce il confine TJGPSNBOPOVPWJNJOFSBMJ DPNFJMUBMDP DBSCPOBUJ DMPSJUFFBOGJCPMP SJDDIJEVORVFEJ)0 meridionale dell’edificio alpino, separandolo dalle Alpi meridionali o prealpi. F$0-FGPSUJEFGPSNB[JPOJDIFBDDPNQBHOBOPRVFTUFSFB[JPOJ BQQJBUUJTDPOPFTUJSBOP L’enorme spinta tettonica ha prodotto il corrugamento alpino che, sotto forma di falde MFSPDDFEBOEPMPSPMBTQFUUPEJMFOUJEFMMBHSBOEF[[BEJQPDIJNFUSJGJOPBEVODFOUJOBJPEJ sovrapposte e coricate si estende in direzione del versante europeo, mentre nel versante NFUSJEJMVOHIF[[B interno, per noi fra Vogogna e Mergozzo, ha profondamente plasmato quella che i geologi 4PWFOUFMB[POBEJSFB[JPOFÒMJNJUBUBBMMFQBSUJFTUFSOFEJRVFTUFMFOUJFDJSDPOEBVOOPEVMP chiamano «zona Ivrea-Verbano», una stretta fascia con andamento nord-est/sud-ovest, che QJáEVSP2VFTUJQSPDFTTJTJTWPMHPOPBEVOBQSPGPOEJUËEJLNJODPOEJ[JPOJEJQSFTTJP Fig. 10.1 Schema geologico strutturale è immediatamente riconoscibile, anche nelle carte geologiche a piccola scala, per la marcaOFFUFNQFSBUVSFFMFWBUFµTPMBNFOUFHSB[JFBMMFSPTJPOFDIFTFHVFMBGPSNB[JPOFEJVOB 'JH 4DIFNBHFPMPHJDPTUSVUUV dell‘area (da cartografia di B. Biggioggero, DBUFOBNPOUVPTBDIFRVFTUFTUSVUUVSFBGGJPSBOPJOTVQFSGJDJFFBQQBJPOPBJOPTUSJPDDIJ ta orientazione delle sue formazioni. SBMF EBDBSUPHSBGJBEJ##JHHJPHHFSP A. Boriani, A. Colombo, A. Gregnanin). Estratto  -BEJTUSJCV[JPOFHFPHSBGJDBEFHMJBGGJPSBNFOUJEJQJFUSBPMMBSFTVMMFBMQJTFHVFMBOEBNFOUP "#PSJBOJ "$PMPNCP "(SFHOBOJO  dal volume Viridis Lapis, PNVGR, pag. 218 La particolare evidenza di tale orientazione dipende dal fatto che nell’ultima fase orogeneti- 4FSJFEFJ-BHIJ ;POB*WSFB7FSCBOP j;0/"%&--&3"%*$*x j4DJTUJEJ3JNFMMBxF ;POBEFM$BOBWFTF '"-%&1&//*%*$)& 1&//*%*$0&"64530"-1*/0 ;POB4FTJB-BO[P 0GJPMJUJ.FTP[PJDIF ;POB.POUF3PTB 4FSJF0STFMMJOB*TPSOP 1JPEBEJ$SBOB .POUF-FPOF -FCFOEVN j4JODMJOBMJx NFTP[PJDIF "OUJHPSJP $PQFSUVSFRVBUFSOBSJF JOEJGGFSFO[JBUF .FUBEJPSJUJ .BSNJQSFUSJBTTJDJ 1FSJEPUJUJ 4FSQFOUJOJUJ .FUBHBCCSJFBOGJCPMJUJ 'JMMBEJ GJMMPOJUJ QPSGJSPJEJ 1BSBHOFJTTFNJDBTDJTUJ .JHNBUJUJHOFJTTJDIF 46%"-1*/0 0SUPHOFJTTJOEJGGFSFO[JBUJ -*50-0(*& .BSNJFSPDDFDBSCPOBUJDIF NFTP[PJDIFJOHFOFSBMF L’ 170 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio Fig. 10.2 La bancata di marmo di Candoglia all‘interno della cava. Le vene verticali indicano la giacitura del sistema geologico dell‘area; quelle più scure vengono eliminate in fase di riquadratura dei blocchi, per valorizzare la varietà dal caratteristico colore bianco rosato. ca, questa porzione di crosta profonda, ha subito un notevolissimo sollevamento verso l’alto che ha portato alla luce il contatto col mantello; inoltre la sua sequenza è stata fittamente ripiegata e stirata per essere poi quasi perfettamente verticalizzata. Le rocce che costituiscono tale formazione sono Stronaliti e Kinzigiti: antichi sedimenti prevalentemente di tipo pelitico completamente trasformati dal metamorfismo. Essi hanno una composizione silicatica ricca di alluminio, per cui abbondano granati, biotite, feldspati e pirosseni. A queste rocce si intercalano sottili lenti di marmo che a causa di una relativamente maggiore erodibilità sono spesso riconoscibili a colpo d’occhio. Nel caso di Condoglia la lente, in realtà un banco marmoreo più volte ripiegato assialmente e stirato fino a ridursi allo spessore di pochi metri, pare attraversare per intero la montagna verticalmente dal Toce al San Bernardino e oltre (Fig. 10.2). Le pietre utili della Val Grande 171 Questa fitta trama verticale si evidenzia in molti aspetti di un’area centro settentrionale del parco, oltre la linea di Pogallo, sempre con versanti molto acclivi e poco ospitali. Le morfologie erosive di quest‘area producono torrioni, incisioni profonde e regolari, quasi canali artificiali perfettamente incassati e paralleli o, in generale costringono i corsi d’acqua a percorrere geometrie rette e tornanti con tratte perfettamente parallele fra loro o più semplicemente gole profonde e rettilinee. Fig. 10.3a ingresso della grande caverna Inospitale paesaggio, in cui sono percorribili quasi solo le creste, almeno nella zona setdella Cava Madre del Duomo di Milano. tentrionale del territorio. Soltanto nella parte meridionale del territorio, in corrispondenza delle valli intrasche cioè a sud sud/est della linea tettonica di Pogallo, la geologia e la morfologia mutano aspetto. Si passa qui a una diversa litologia appartenente alla cosiddetta «Serie dei Laghi» in gran parte costituita da gneiss micacei, paragneiss e micascisti, che formano versanti ad acclività variabile, ma in genere ridotta rispetto a quelli sopra descritti grazie anche a una maggiore erosione glaciale. Tali versanti meno acclivi sono caratterizzati da morfologie tipiche nell‘area alpina occidentale che si caratterizzano in terrazzi sospesi e gole la cui origine è anche legata a una fitta rete di faglie sub verticali orientate in direzione nord-sud. Fig. 10.3 Il ripido versante montonato di Candoglia visto dalla cava di Ornavasso. Al centro l‘ingresso della grande caverna della Cava Madre da cui si estrae da oltre sei secoli del marmo del Duomo di Milano. Durante le fasi glaciali del quaternario il territorio dell‘attuale parco doveva apparire come un‘isola emergente tra due enormi ghiacciai: quello del Toce a ovest e, quello assai maggiore, del Ticino a est. I due ghiacciai principali lambivano lateralmente il territorio arroccato dell’attuale Val 172 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio Grande dove, fatta salva la valle Loana e parte delle valli intrasche, non esistevano le condizioni perché potessero formarsi vere e proprie lingue di ghiaccio in grado di scorrere in una valle. Questo proprio a causa delle pendenze estreme dei versanti interni della Val Grande che hanno sostanzialmente impedito la formazione di lingue glaciali in movimento. Nell‘area si riconoscono piuttosto piccoli circhi glaciali sospesi che hanno addolcito soltanto le morfologie in quota e di cresta, non a caso i soli luoghi adatti al pascolo e all’edificazione di alpeggi. La forza erosiva dei grandi ghiacciai ha invece avuto modo di esplicarsi senza risparmio su tutto il versante esterno del territorio, in particolare nell’antica valle del Ticino (oggi lago Maggiore) e quella del Toce sui versanti fino ad alte quote dove è possibile riconoscere le rocce montonate cioè levigate e arrotondate dall‘azione dei ghiacciai (Fig. 10.3). Le pietre utili La pietra ollare ha composizione petrografica variabile che può essere definita come scisto cloritico serpentinoso di colore grigio verde ricco di talco. È una roccia ultrabasica cioè povera di silice e ricca di ferro e di magnesio, la presenza di talco la rende facilmente lavorabile al tornio, ben scolpibile e untuosa al tatto. Inoltre ha doti di refrattarietà che la rendono resistente al fuoco. La pietra ollare è quindi un ottimo materiale per pentole e olle, ma anche stufe, caminetti, ma per le doti di lavorabilità, adatta anche alla realizzazione di tubi e oggetti da decorazione. Dalla tarda antichità queste montagne ne hanno viste scavare ed esportare notevoli quantità, non sempre o necessariamente da siti di cava ben definiti o noti ma, dato il suo pregio e utilità, anche da trovanti o piccoli affioramenti intercalati alle rocce scistose più comuni, non documentati ma relativamente diffusi nell‘area. La presenza di affioramenti di marmo in quota ha permesso il loro sfruttamento, oltre che per elementi architettonici, per la produzione di calce ad uso locale. All’interno del parco sono conosciute, e in parte recuperate, alcune antiche fornaci di forma circolare. La pietra da calce veniva ridotta in piccole scaglie e cotta per molte ore a temperature superiori agli 800 °C; dopo il raffreddamento l’ossido di calcio, o calce viva, veniva successivamente posto in vasche a contatto con acqua per produrre calce spenta in forma di polvere o di grassello di calce. Gli gneiss e le «beole» sono i materiali lapidei tipici dell‘edilizia locale. In particolare nella zona di Beura si cavano da secoli gneiss tabulari per diversi tipi di impiego. La beola è usata in lastre a spacco naturale da sempre impiegata per tetti, pavimenti, rivestimenti, balconi nell’edilizia locale tradizionale. È certamente il materiale che ne caratterizza in maniera più originale l’aspetto influenzandone i caratteri paesaggistici. La vista dall‘alto delle borgate della valle mostra la caratteristica tessitura dei tetti in «piode». Le pietre utili della Val Grande 173 Materiale di gran pregio, la sua produzione ha avuto nell’ultimo secolo una forte espansione per la grande richiesta del mercato internazionale. Fig. 10.5 Nei pressi dei laboratori, vicino alla moderna passerella pedonale, è ancora presente l‘antica «piarda d‘imbarco» da cui partivano i blocchi di marmo destinati, per via d‘acqua, al cantiere del Duomo di Milano. Fig. 10.6 Il laghetto di Santo Stefano nel centro di Milano, in un‘incisione d‘epoca. Qui, a quattrocento metri dal Duomo, venivano scaricati i blocchi di marmo per il cantiere. Al centro dell‘immagine si vede la gru a «falconetto» impiegata per il trasbordo dalle chiatte ai carri. Fig. 10.7 Il Duomo di Milano è interamente realizzato impiegando marmi delle cave di Candoglia o di Ornavasso. La varietà più pura, di colore bianco rosato, è riservata alle decorazioni scultoree, quella venata è riconoscibile nei paramenti murari. Marmo di Candoglia Il marmo rosa di Condoglia, dal 1387 (privilegio di Gian Galeazzo Visconti 24 ottobre 1387) cavato ad esclusivo uso della Fabbrica del Duomo di Milano, era in realtà già noto e impiegato in età romana. La vicenda legata all’attività di scavo e trasporto del marmo a Milano ha coinvolto in maniera estesa il territorio della Val Grande e le sue diverse competenze. Insieme al marmo, venivano infatti cavati in zona anche i serizzi utilizzati nell’anima delle murature e dei pilastri della grande fabbrica, ma dallo stesso territorio venivano ricavati anche i legnami necessari per i ponteggi di cantiere, come anche quelli per la cava e per realizzare le zattere necessarie al trasporto per via d’acqua da Candoglia a Milano. Esso era un lungo viaggio che è possibile ancora in gran parte ripercorrere. Dopo la discesa a valle dalla cava Madre (Fig. 10.3), il trasporto prevedeva un primo tratto sul Toce (Fig. 10.5) e poi sulle acque del lago, transitando sotto la rocca di Angera, ultimo punto da cui si può scorgere le propaggini della Val Grande da sud (Fig. 10.1), e luogo da cui già da secoli si cavavano pietre per i più importanti edifici milanesi (Sant’Ambrogio, San Babila per indicare i più antichi). Si proseguiva poi lungo il Ticino e il Naviglio Grande fino a dentro la città alla darsena di Sant’Eustorgio; attraverso il sistema di chiuse si arrivava fino al Laghetto di Santo Stefano (Fig. 10.6), vero porto di approdo a poche centinaia di metri dal cantiere della cattedrale (Fig. 10.7). Il trasporto era esente da dazi e per dimostrare il privilegio, si apponeva in maniera visibile 174 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio sui blocchi la sigla AUF, abbreviazione di Ad Usum Fabricae, cioè ad uso della fabbrica, da cui deriva ancora oggi l’espressione «a ufo» cioè «a scrocco». Ma la fabbrica ebbe tempi lunghissimi per cui lo sfruttamento delle cave e il trasporto diventarono attività strutturali e continue per secoli. L’edificio fu concluso soltanto dopo infinite vicende nel XIX secolo. Abbandonate le vie d’acqua con l’avvento delle ferrovie, l’attività di cava è invece ancora oggi fiorente per le necessità di manutenzione e conservazione dell’edificio. Ai piedi delle cave sono attivi laboratori per la realizzazione di elementi di ornato che vengono sostituiti secondo necessità prendendo la parte originale e ammalorata per modello (Fig. 10.8, fig.10.9). Se la parte di sgrossatura è affidata a macchine a controllo numerico, quella di scultura e finitura è compito di scalpellini e scultori esperti che lavorano ancora, tra i pochi in Italia, secondo le tradizioni millenarie dell’architettura lapidea. Ma non si restaura soltanto l’apparato decorativo: l’intero edificio del duomo è realizzato in pietra e marmo e anche la parte strutturale può aver bisogno di significativi interventi. È ad esempio noto quello, che negli anni ’70 del secolo scorso, in seguito a dissesti provocati alla realizzazione della linea 1 della metropolitana e dal passaggio dei treni, si dovette intervenire nella sostituzione di ampie parti dei quattro piloni che sostengono il tiburio. Fu un intervento di eccezione, che richiese un importante sforzo produttivo anche in cava. È proprio in questi anni che a Candoglia si interviene nel consolidamento della caverna principale con la costruzione del grande portale in calcestruzzo armato e di enormi contrafforti interni per predisporre lo scavo delle molte centinaia di metri cubi di marmo necessari al restauro (Fig. 10.3). Le pietre utili della Val Grande Fig. 10.8 e 10.9 Nei laboratori di Candoglia, ai piedi delle cave, il marmo viene lavorato secondo le tecniche della tradizione. Qui si riproducono alla perfezione gli elementi architettonici del Duomo degradati e bisognosi di sostituzione. 175 Capitolo XI 177 La montagna percepita Claudia Cassatella, Bianca Maria Seardo1 G razie agli enunciati della Convenzione Europea del Paesaggio (Council of Europe, 2000) e delle numerose iniziative intraprese dal momento del suo lancio, è oramai assodato che la percezione del paesaggio da parte delle popolazioni deve avere un ruolo rilevante nella definizione di politiche, piani e interventi sul paesaggio. Sul versante scientifico, la percezione sociale del paesaggio è materia di ricerca specifica in diversi settori disciplinari (dalla sociologia, alla geografia, all‘urbanistica) dotata di propri strumenti e metodi di indagine, spesso campo di sperimentazione e affinamento. Ma è possibile indagare la «percezione sociale» di una natura «incontaminata» (o presunta tale) come quella della Val Grande? Sempre la CEP ci ricorda inoltre che «tutto il territorio è paesaggio»; quindi anche la «natura incontaminata» è suscettibile di diventare paesaggio dal momento che, come suggerisce RAFFESTIN (2005, p. 29): «...l’ambiente costituisce la materia prima sulla quale lavora l’uomo […] per produrre il territorio che diventa […] per effetto dello sguardo […] paesaggio. Il paesaggio non è una costruzione materiale, ma la rappresentazione ideale di quella costruzione». Inoltre, la tesi di fondo di questa ricerca è che Val Grande e valli intrasche possano essere pienamente lette sotto la categoria dei «paesaggi culturali» (cfr. GAMBINO; CASSATELLA e NEGRINI, infra), in ragione delle profonde trasformazioni impresse dall‘antropizzazione su questi luoghi, sia in termini di manufatti, insediamenti e infrastrutture (cfr. in part. TOSCO e ZERBINATTI, infra), sia di plasmazione - e anche abbandono - degli ecosistemi (cfr. in part. LARCHER e SALVATORI, infra). È bene ricordare che l‘abbandono della montagna più impervia della Val Grande è relativamente recente. Ciò fa sì che non risulti obliterata, nella popolazione locale, la memoria di ambienti, attività e modi di vita. Aspetto che contribuisce ad alimentare altresì proiezioni, auspici e progettualità sul futuro assetto dei luoghi. Diversa la situazione nelle valli intrasche, aree tutt’oggi abitate, anche con trend - seppur deboli - di crescita demografica, e con interessanti fenomeni di insediamento da parte di «nuovi montanari» (cfr. in part. PETTENATI, infra). Dinamiche territoriali differenti, ma in vario modo collegabili alla percezione sociale della wilderness, alla sua presenza o assenza (si pensi alla domanda di «natura incontaminata» da parte dei fruitori e dei turisti o, al contrario, all‘urbanizzazione delle aree collinari), al suo ritorno o alla sua scomparsa. Ecco dunque, perché ha senso un‘indagine della percezione 1 Il capitolo è stato impostato congiuntamente dalle due autrici. La ricerca sul campo, e in particolare le interviste, è stata svolta da B.M. Seardo, cui si deve anche integralmente il paragrafo: Le percezioni degli abitanti e i loro sguardi al futuro. 178 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio sociale della wilderness in Val Grande e nelle valli intrasche. L‘indagine si è articolata in tre parti, volte ad approfondire la percezione dei paesaggi da molteplici punti di vista e a rappresentare sia la visione esperta sia quella non esperta. A questo proposito, si è agito secondo gli indirizzi della Convenzione Europea sul Paesaggio (CEP, d’ora in poi). La Raccomandazione recante le linee guida per l‘applicazione della CEP (Council of Europe, 2008) indica infatti la necessità di integrare conoscenza esperta e conoscenza «dal basso», sia in fase di analisi, sia in fase di valutazione del paesaggio. Il coinvolgimento degli abitanti e degli users del paesaggio è messo in evidenza in diversi passaggi: ‘... Recognition of characteristics and value systems based on analysis by experts or knowledge of the social perceptions of landscape. This knowledge can be gained through various forms of public involvement in the process of landscape policy definition...’ (II.2.1 Knowledge of the landscapes: identification, analysis, assessment); ‘...Participation implies two-way communication from experts and scientists to the population and vice versa. The population possesses empirical knowledge [...] that may be useful in completing and contextualising specialist knowledge...’ (II.2.3 Participation, awareness raising, training, education). Oltre alla percezione sociale, si è dato rilievo a quella visiva, ritenuto un fenomeno di rilievo nel contesto territoriale individuato. In particolare: a) È stata svolta un’analisi scenica della struttura che supporta i processi di significazione (approfonditi nei punti successivi). Con l’ausilio del metodo viewshed analysis2, alcune mappe identificano i canali di fruizione visiva, l’ampiezza e la profondità dei panorami, anche grazie all’utilizzo di modelli cartografici tridimensionali. b) Ulteriore rappresentazione è quella dell’outsider, l’osservatore esperto di analisi paesaggistiche, ma esterno al territorio in esame. Il metodo applicato è quello del Landscape Character Assessment. c) Infine si è indagata la percezione dell’insider, l’abitante, la comunità radicata nei luoghi, attraverso il metodo delle interviste in profondità. La percezione «esogena» del paesaggio 2 Il primo approccio alla percezione del paesaggio è di tipo visivo. Esso è guidato e condizionato dai «canali di fruizione», ovvero dai punti e dai percorsi dai quali si può effettivamente osservare il paesaggio. La mappatura di punti di belvedere, percorsi (panoramici e non), sentieri, è dunque il primo passo per ragionare sulla fruibilità visiva del paesaggio e sul tipo di esperienza che esso può offrire. Da questi canali di fruizione infatti si potranno analizzare le mete visive, e in particolare i fulcri che emergono (siano essi vette, altri elementi naturali, o manufatti e componenti dell’ambiente insediativo, come torri e castelli). La Regione Piemonte, nell’ambito della formazione del Piano paesaggistico regionale, ha dedicato agli aspetti Le elaborazioni cartografiche si devono al Laboratorio LARTU del DIST. Sugli aspetti geomatici, si veda il capitolo di GUERRESCHI e GARNERO, infra. La montagna percepita 179 scenici e percettivi del paesaggio un’attenzione sia ricognitiva sia normativa3, oggetto anche di specifiche Linee guida (CASSATELLA 2014). Il metodo adottato per l’area in esame è modellato su quello regionale. In un paesaggio montano come quello indagato, assumono particolare importanza i panorami, per la loro ampiezza e profondità, legati alla morfologia del territorio. Grazie agli strumenti di analisi e modellazione 3D è possibile individuare l‘area visibile da un punto determinato, ricavando la sua viewshed, vale a dire il suo bacino visivo potenziale (CASSATELLA, 2014; CASSATELLA e GUERRESCHI, 2013). I punti di osservazione analizzati sono 14: Monte Faié, Pizzo Pernice, Cima della Laurasca, Monte Zeda, Pian Cavallone, Monte Todum, Testa di Menta, Monte Tognolino, Monte Togano, Cima Pedum, Monte Mottac, Belvedere Piancavallo, Colma di Premosello e Pizzo Rossola (Fig. 11.1). La loro selezione si è orientata principalmente sulle vette e i luoghi indicate da VALSESIA (2008), selezionando quelle vette da cui sono state scattate fotografie, di cui è documentata l‘accessibilità e quindi l‘effettivo valore come punti di belvedere. I bacini visivi ottenuti incorporano già gli ostacoli dovuti alla morfologia del terreno, all‘orografia e alla curvatura terrestre, mentre non tengono in considerazione altri ingombri quali l‘edificato e, infine, si intendono in condizioni atmosferiche ottimali. L‘area di osservazione teorica è stata calcolata su tre raggi distinti: 2,5 km; 10 km e Fig. 11.1-11.2 Analisi dei bacini visivi dai prin- 300 km. I primi due raggi permettono di rappresentare i rapporti visivi fra Val Grande e valli cipali punti di belvedere dell’area. In giallo, le intrasche, con il lago Maggiore e le valli contermini (Fig. 11.1 e 11.2). aree visibili nel raggio di 10 km, in giallo scuro, quelle visibili a distanza più ravvicinata, 2,5 km. L‘area di osservazione a 300 km, calcolata dal Monte Zeda, mette in luce la visibilità dalla Val Grande delle principali vette dell‘arco alpino occidentale, fra cui il Monviso e il Monte Rosa. Si 3 Regione Piemonte, Piano paesaggistico regionale (adozione 2009, ri-adozione 2015). 180 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio Fig. 11.3 «Portali», «bocche» e selle aguzze segnano gli ingressi in quota alla Val Grande. noti la visibilità a grande distanza anche su porzioni della val Padana e dell‘Appennino ligure e tosco- emiliano (Fig. 11.3). Le aree di caratterizzazione scenica 4 Il carattere scenico del paesaggio è connotato da una peculiare soggettività. Tuttavia, le analisi sul paesaggio scenico-percettivo sono sempre più all‘ordine del giorno nell‘ambito degli strumenti per la trasformazione del territorio: dalle indagini conoscitive dei piani paesaggistici alla scala regionale, alle relazioni paesaggistiche che accompagnano il progetto degli interventi soggetti a specifica autorizzazione (CASSATELLA, 2014). Proprio per il loro carattere di soggettività, esse richiedono metodologie specifiche, che permettano di formulare giudizi secondo procedure comunicabili e verificabili. Fra i principali e più recenti riferimenti si ricordano gli studi e le applicazioni di Natural England (TUDOR 2004), da cui deriva il metodo applicato in questa sede. L‘analisi si è svolta anche grazie a sopralluoghi che hanno permesso di individuare i caratteri del paesaggio scenico-percettivo, per arrivare a identificare - con un‘operazione di sintesi interpretativa - le aree di caratterizzazione del paesaggio scenico delle valli intrasche4. Per un glossario ragionato in lingua italiana sulla terminologia tecnica delle analisi sceniche si veda CASSATELLA C., 2012, Aspetti scenico-percettivi del paesaggio. Criteri e metodi per l‘interpretazione e la disciplina dalla scala regionale alla scala locale, in VOLPIANO M., a cura di, Territorio storico e paesaggio. Metodologie di analisi e interpretazione. Quaderni del progetto Mestieri reali. Strumenti per la conoscenza, il restauro e la valorizzazione dell‘architettura storica in Piemonte e valle d‘Aosta, Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, L‘Artistica Editrice, Savigliano. La montagna percepita Fig. 11.4 Fessure e passaggi a formare strette porte. Fig. 11.5 Aree di caratterizzazione scenica. (Elaborazione DIST) 181 Uno sguardo d‘insieme La Val Grande è un territorio interno alle Prealpi e alle Alpi Lepontine, difficilmente accessibile, lambito da canali di comunicazione solo ai suoi bordi (l’autostrada, la ferrovia, ma anche le rotte di navigazione), pertanto, per chi lo osservi da fuori, è un insieme di vette, visibili anche dal Lago, di cui è difficile formarsi un’immagine d’insieme. Anche per questo, probabilmente, l’area è stata a lungo assente nell’ampia pubblicistica sui paesaggi italiani. La prima connotazione di questo paesaggio, allo sguardo dall‘esterno, è quello di maestoso «fondale»: fondale fosco e ombroso, quando osservato percorrendo la stretta valle del Toce, e innevata cornice sullo sfondo delle soleggiate coste del lago Maggiore. Il ruolo di «fondale» non è sintomo di deprezzamento, anzi: la zona è vincolata ai sensi del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio in quanto: «Zona panoramica della Val Grande e della Val Pogallo…riveste notevole interesse panoramico [godibile da numerosi tratti di strade pubbliche] in quanto tali valli, comprese tra la Val d’Ossola, la Val Cannobina e la Val Vigezzo, sono delimitate da catene montuose, che rendono difficoltoso l’accesso e pertanto conferiscono, a questi luoghi, una particolare compattezza. Soprattutto per quanto riguarda la Val Grande ciò ha determinato uno sviluppo faunistico e floreale non controllato rendendo così le zone selvagge» (Estratto del testo del vincolo paesaggistico [10178] (ora art. 136, Immobili ed aree di notevole interesse pubblico, D.Lgs. 42/2004 e s.m.i.). L’accesso alla Val Grande e alle altre valli interne avviene di norma attraverso passaggi percettivamente molto marcati: strette «porte» e «bocche» - fessure scavate nelle pareti di roccia – e selle dal profilo aguzzo sono veri e propri portali di accesso al cuore della wilderness (Fig. 11.4). Per l’osservatore che si inoltri nelle pieghe interne, il paesaggio è fatto di un’infinità di scorci, di ambiti chiusi, che infine si aprono dalle cime in panorami vasti, sulle Alpi [il Massiccio del Monte Rosa, il Sempione] e i laghi. In cresta si riguadagnano rapporti visivi di ampio raggio anche e soprattutto con l’e- 182 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio Fig. 11.6a Montagne e colline all’imbocco della Valle Intrasca sono lo sfondo naturale del contesto urbano. (Disegno di B.M. Seardo) Fig. 11.6b La visibilità della cornice montuosa è garantita dalla presenza di spazi aperti a carattere seminaturale e rurale. (Disegno di B.M. Seardo) Fig. 11.6c Gran parte degli assi stradali di attraversamento dell’area sono altamente panoramici e offrono viste ampie sui rilievi della Val Grande e sulle colline delle valli intrasche. (Disegno di B.M. Seardo) sterno della Val Grande e delle valli intrasche. Una fruizione necessariamente lenta, per percorsi impervi, dunque un’esperienza immersiva e multisensoriale: lontana dall’interferenza delle aree urbane, dove le luci, i suoni e gli odori sono quelli della natura. Le valli intrasche e le Terre di mezzo, individuabili con una disposizione quasi a corona del Parco nazionale della Val Grande, si caratterizzano in maniera differente, non essendo connotate da un carattere di wilderness e meno paesaggisticamente omogenei. A uno sguardo ravvicinato si apre un mosaico di paesaggi: i paesaggi dei primi rilievi collinari alle spalle di Verbania, quelli dei «balconi naturali» più in alto affacciati sul lago. E poi, la wilderness, che in senso stretto è riscontrabile solo sulle più alte vette della Val Grande, ma alla percezione del fruitore si estende ben di più in basso, nelle valli intrasche, con le distese boscate ad avvolgere anche gli abitati permanenti di mezzacosta, un «mare verde» osservabile da più punti nella sua distesa a vista d’occhio. In particolare, l’intervisibilità lago-montagna è uno degli elementi di relazione fra questi paesaggi così diversi. La visibilità tra luoghi apicali sembra aver suggestionato già i primi uomini che colonizzarono l’area. Secondo alcune suggestive ricostruzioni (BIGANZOLI, 1998), sembrerebbe significativo il rapporto di reciprocità visiva tra alcuni siti di culto rupestri. Le aree di caratterizzazione scenico-percettiva individuate sono: Paesaggio delle creste di cerniera, Paesaggio della wilderness percepita, Paesaggio dei «balconi naturali» e Il Paesaggio delle colline urbane (Fig. 11.5 e Fig. 11.6-a/b/c). Di seguito si presentano i risultati dell‘analisi svolta, attraverso la descrizione delle aree di caratterizzazione e dei principali caratteri che le identificano. Il paesaggio delle colline urbane E‘ il paesaggio dell’insediamento permanente e di villeggiatura principalmente connessa al lago. Entrando in Valle Intrasca, si attraversa dapprima la propaggine insediativa di Verbania protesa verso l’entroterra fino a Cambiasca (in cui comprendiamo il versante nord-orientale del Monte Rosso); sui versanti orientali della valle, prospicienti Verbania, sono invece i principali centri abitati di più recente espansione: Arizzano, Bée, Premeno. Il carattere degli insediamenti (dall’impianto alla morfologia, al pregio architettonico) è estremamente variegato, ma il carattere di fondo che accomuna questi luoghi è quello dell’urbanità, dove la posizione sull’entroterra collinare non smentisce La montagna percepita 183 la diretta connessione con la vita urbana del capoluogo di provincia e del suo contesto ambientale lacustre: industrie, quartieri edilizia sociale operai, ville novecentesche, nuove periferie. I caratteri della scena. In un tessuto urbano emergono tuttavia: • montagne e delle colline all’imbocco della Valle Intrasca come sfondo naturale del contesto urbano; • tratti di percorsi panoramici con viste ampie e a cavallo fra dentro e fuori montagna e lago; • insediamento compatto e via via più diffuso, in alcuni casi intacca l’integrità visiva di alcune scene (Monte Rosso); • carattere «pittoresco» delle aree residenziali e di loisir novecentesche (materiali e tipologie edilizie, vegetazione esotica e ornamentale). Paesaggio dei «balconi naturali» Proseguendo l’esplorazione dei paesaggi delle Valli Intrasche, dalle quote più basse a quelle più elevate, ci si imbatte successivamente in una fascia di territorio montano sviluppato quasi a corona delle vette centrali del Parco Nazionale, sul versante meridionale, con brevi valli che corrono verso il lago Maggiore e caratterizzate da insediamenti di mezzacosta di Cambiasca, Miazzina, Cossogno, Ungiasca: siamo nella Valle Intrasca propriamente detta; ma anche a Genestredo, Capraga e Colloro, affacciate sulla bassa valle Ossola. Peculiarità di questi ambiti è che pur essendo aree interne con connotati di paesaggio montano di mezza costa (versanti scoscesi, insediamenti di origine rurale, ampie fasce boscate) mantengono un rapporto visivo costante con l’esterno, ad alta panoramicità sulla valle Ossola, sulla valle del Toce e sul Lago Maggiore, distinguendosi come veri e propri balconi naturali. La strada per Miazzina (m s.l.m.) e quella per Santino (m s.l.m.) offrono viste focali sulla basilica di San Vittore di Intra e panoramiche sul lago Maggiore e il suo contesto ambientale. Da Genestredo e Colloro si osservano i monti e la piana coltivata del Toce. È forse per questo carattere insieme di distanza e vicinanza dal fondovalle che questi luoghi sono tutt’oggi abitati e oggetto di recupero e reinsediamento. I caratteri della scena. In un tessuto prevalentemente boscato emergono: • viste panoramiche profonde sull’esterno dell’ambito: verso il lago e percorsi panoramici di mezza costa. Frequenti richiami visivi con l’esterno: in particolare viste focali sulla cupola e il campanile della Basilica di San Vittore a Intra, da diversi punti (strada per Miazzina, Santino, alpe Ompio) ; 184 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio • tessitura dell’edificato: variegata in base alla località: comprende edilizia recente e intonaci caratteristici delle ville novecentesche (Miazzina), a Genestredo impiego di materiali tradizionali, pietra (ma tipologie edilizie); • zone più aperte degli ex pascoli; • luoghi oggetto di rappresentazione figurativa nel ‘900; • luogo idoneo all’osservazione notturna del cielo (Caprezzo). Fig. 11.7 Panorama dalla bassa Val Grande verso il monte Pedum. Paesaggio della wilderness percepita Lasciata Cambiasca il paesaggio cambia: le scene e le visuali di scorcio sono racchiuse negli stretti e profondi bacini vallivi caratterizzati da copertura forestale pressoché continua, intervallata da brevi radure e abitati sviluppati sui versanti più esposti assecondando le curve di livello (Caprezzo, Intragna, Aurano, fa eccezione la frazione di Ramello posta quasi sul fondo della valle del torrente San Giovanni): siamo alle porte della wilderness. Non mancano punti di osservazione che aprono a panorami ampi e profondi, La montagna percepita 185 ma in questo caso sul «mare verde» dei versanti più interni della Valle Intrasca (Fig. 11.7). I caratteri della scena, in un tessuto fitto di boschi: • visuali panoramiche; • la presenza stessa degli insediamenti è un fulcro visivo nel «mare verde» della copertura forestale. La compattezza dell’edificato, il generale orientamento delle aperture verso valle e il colore chiaro degli intonaci li connotano positivamente con un carattere di omogeneità. Si leggono qua e là episodi di scostamento da questo modello di riferimento, nell’uso di intonaci, nell’installazione di coperture di nuova fattura per colore e materiale e di scostamento dalle tipologie edilizie originali. Fig. 11.8 Veduta panoramica dalla cima Laurasca. Paesaggio delle creste di cerniera Le alte quote che cingono alle spalle le Valli Intrasche, separandole dalla Val Grande e Pogallo, costituiscono al contempo una apparentemente insormontabile barriera (fisica 186 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio e visiva) per chi osservi dall’esterno: queste creste costituiscono una formidabile «balconata panoramica» una volta raggiunto l’apice, trovandosi a dominare con lo sguardo gran parte dei bacini vallivi interni impostati orograficamente sul cuore della wilderness: la riserva integrale del Pedum. Rispetto all’ambito precedente, dal cuore della wilderness si riguadagna un forte rapporto visivo con il lago e il contesto largo in generale: rilevante è l‘affaccio sui laghi Maggiore e di Varese e sulla pianura Padana, verso est, e sul massiccio del Monte Rosa, a ovest, quando non – addirittura- sulla catena appenninica. Le creste più alte sono di norma percettivamente marcate da strette «porte» e «bocche» - fessure scavate nelle pareti di roccia – e selle dal profilo aguzzo che sono veri e propri portali di accesso al cuore della wilderness (Colma di Premosello, Scala di Ragozzale, Passo di Basagrana). È la montagna meta di escursionisti e visitatori. Le alte quote del territorio non sono esenti dal custodire luoghi di particolare valore identitario per le popolazioni locali (Fig. 11.8), e connessi alle prima «colonizzazione» turistica della montagna (il Sentiero Bove e i rifugi storici di Pian Cavallone e Bocchetta di Campo). La Strada Cadorna attraversa il territorio della linea fortificata omonima, La montagna percepita 187 Fig. 11.9 Le colline all’imbocco della Valle Intrasca nell’iconografia ottocentesca, nel dipinto di Luigi Litta «Veduta di Intra dal lago». offrendo ulteriori occasioni di intervisibilità lago-monti. I caratteri della scena, in paesaggi di vetta e cresta con boschi radi o assenti: • alta panoramicità a lungo raggio per visuali sgombre o quasi da vegetazione; • punti di osservazione in quota (Pizzo Pernice, Pian Cavallone, Monte Zeda, Pizzo Marona) che costituiscono anche luoghi ideali del paesaggio notturno del fondovalle e costiero; • belvedere attrezzati e presenza di mete della fruizione (rifugi, ristoranti) e di seconde case (Alpe Segletta). Le percezioni dei visitatori, le immagini e la letteratura Qual è l’immagine della Val Grande e delle valli intrasche nella letteratura turistica? Prendendo come campione i volumi sul paesaggio italiano del Touring Club Italiano, fino agli anni '90 poche sono le citazioni, e laterali, di queste valli segrete, messe in ombra dai più vicini luoghi rivieraschi o dalla val d’Ossola. «Dopo Omegna, a Gravellona imbocchiamo l’Ossola che alla sua soglia ha la scolta granitica del Monte Orfano. La valle si inserra un po’ fosca sulla soglia all’ombra dei Corni di Nibbio» (TCI, 1999). 188 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio Grazie alla nascita della Riserva e poi del Parco queste valli entrano nella geografia delle guide, soprattutto quelle specializzate sulle aree protette e il turismo verde: «Difficile immaginare che ad appena 100 km da Milano […] possa celarsi la più importante area wilderness d’Italia. Un vero regno della natura selvaggia, silenziosa e ammantata di fitti boschi, racchiusi come uno scrigno da scoscese creste montuose, oscure forre, balze rocciose. Un’isola di natura aspra che si è conservata, come per incanto, tra ambienti ameni e assai frequentati: da una parte le mediterranee sponde del lago Maggiore, dall’altra la Val d’Ossola…» (TCI, 1999). L’immagine scelta dalla Guida per rappresentare il Parco è il borgo di Velina, descritto come «uno dei più bei maggenghi» del Parco, affiancata da illustrazioni della biodiversità (l’aquilegia, il merlo acquaiolo). La Valle Intrasca è rappresentata come porta di accesso al Parco, attraverso i centri di Intragna e Rovegro. Ruolo di primo piano è per «Il patrimonio del bosco» di cui si narra il «salvataggio» dopo l’abbandono delle valli: «Proprio la ricchezza e la varietà di questo patrimonio forestale non più sfruttato sono diventate il principale oggetto della salvaguardia del Parco» (ibidem). Ancora un volume dedicato al Paesaggio italiano (TCI, 2000) identifica, fra i numerosi tipi di paesaggio della penisola, il paesaggio insubrico dei laghi prealpini; la descrizione delle «terre di mezzo» delinea un paesaggio culturale con un valore proprio, distinto da quello dei paesaggi dei rilievi alpini e che, nella sua generalità, sembra poter descrivere abbastanza bene anche il paesaggio delle valli intrasche: «L’idea stessa di paesaggio è scaturita nell’800 su queste sponde […]. Il lago modera il clima e favorisce l’abito vegetale delle sue sponde: […] il dipanarsi delle attività umane su un piano inclinato come quello che corre dalla sponda del lago al suo versante ha composto un paesaggio molto più strutturato che altrove. Quello che si trova in fondovalle, qui lo riconosciamo aggrappato fra le sponde e la montagna, vale a dire gli abitati, il loro contorno di coltivi terrazzati, la prima fascia boschiva, il maggengo ovvero il monte, la seconda fascia boschiva, l’alpeggio sommitale». Le valli, dunque, per lungo tempo non sono entrate nei circuiti turistici più noti, appartenendo ai circuiti degli esploratori, degli alpinisti e degli amanti della natura da più di un secolo: la sezione Verbano del Club Alpino Italiano apre nel 1874. L’evidenza scenica delle formazioni geologiche attira qui, da altrettanto tempo, generazioni di studiosi di geologia, per i quali questi luoghi sono un libro a cielo aperto. La notorietà, in questo ristretto ma importante circolo, è di livello mondiale, come testimonia anche il riconoscimento Unesco di Geoparco. Oggi, nel world wide web, le immagini della Val Grande sono legate alle esperienze della natura, della solitudine e dell’attività sportiva: alpinisti e rocciatori battezzano vette e pareti con nomi suggestivi quali «parete introvabile», «sperone celato». (Fig. 11.9) 189 La montagna percepita Le percezioni degli abitanti e i loro sguardi al futuro (interviste) I paesaggi esprimono valori peculiari per chi li abita, li frequenta o vi ha radici. Sentimenti di attaccamento, o di paura, legati a memorie, a usi tradizionali e riti collettivi, a eventi della vita sociale o personale. La costruzione di un quadro interpretativo del paesaggio delle valli intrasche richiede di sondare anche questa dimensione più immateriale del paesaggio, legata alla sua percezione individuale e collettiva da parte delle persone che lo abitano e lo frequentano assiduamente. Attraverso 20 interviste in profondità5, si è cercato di tratteggiare i lineamenti dei paesaggi degli abitanti delle valli intrasche (ovvero la parte maggiormente insediata del territorio in esame, ma senza escludere riferimenti al territorio più vasto del parco Val Grande), ponendo particolare accento alla percezione delle dinamiche trasformative, sulla scorta della finalità generale della ricerca e delle principali indicazioni della Convenzione Europea del Paesaggio. In tabella 11.1, la traccia seguita per l’intervista, e nelle note seguenti i temi emersi. Nell’impossibilità di riportare per intero i testi dei dialoghi, fra parentesi si rimanderà di volta in volta all’intervista specifica in cui le diverse osservazioni sono state fatte. Tabella 11.1 Traccia per le interviste Fase dell’intervista Dimensione esplorata L’area oggetto di interesse Valli intrasche: quali luoghi sono associati a questo toponimo nell’immaginario? Quali paesaggi, quali caratteristiche del paesaggio più li descrivono? Valori associati ai paesaggi Si fanno emergere i valori associati ai paesaggi evocati con l’indicazione luoghi specifici: simbolici / identitari / della vita collettiva, così come le attività che vi si svolgono o vi si possono svolgere, le condizioni che ne favoriscono o sfavoriscono l’abitabilità. Dimensione evolutiva Dimensione del cambiamento e della trasformazione del paesaggio delle valli intrasche nel tempo. Com’era – com’è – come sarà: attraverso la ricerca di esemplificazioni concrete e materiali, ad es. prodotti della natura (alimenti, materiali da costruzione…) e benefici (stati d’animo, condizioni di vita…) ottenibili da assetti paesaggistici passati, presenti, futuri… In particolare, si focalizza la dimensione delle prospettive desiderabili da parte degli attori locali sui paesaggi evocati. Dimensione ecomuseale e del racconto Si individuano materiali, racconti, leggende, registrazioni, iconografia, oggetti idonei a rappresentare quanto emerso e da mettere a disposizione per la mostra. Si richiede l’indicazione di luoghi privilegiati per l’ascolto, la contemplazione del paesaggio (anche notturno)… 5 Gli intervistati sono stati individuati grazie all’aiuto del personale del Parco Nazionale Val Grande e di intermediari locali (in particolare il Professor G. Pizzigoni e il Dott. G. Danini). 190 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio Tabella 11.2: Le interviste condotte con gli abitanti Data e luogo intervist a Per una mappa dei paesaggi degli abitanti…oltre le «terre di mezzo» Dalle interviste con gli abitanti emerge una geografia dei luoghi e dei paesaggi identitari legata al «campanile», vale a dire al comune di provenienza. La Valle Intrasca e le valli intrasche sono un riferimento di sfondo, quasi mai citato come toponimo. Più frequenti sono le memorie legate ad episodi di conflittualità fra paesi attigui o vicini (riferimenti soprattutto in intervista n.5) e – più rare – quelle su episodi di scambi pacifici e collaborazioni. In passato, il possesso dei pascoli e il taglio dei boschi (fondamentali risorse) erano oggetto frequente del contendere fra le popolazioni, ma anche con autorità esterne, come la Fabbrica del Duomo di Milano: l contesa tra Cossogno e Malesco per il possesso della Fornace di Campo venne definita nel 1547 con un lodo con disegno allegato conservato nell’archivio di Malesco (la più antica rappresentazione iconografica conosciuta di una porzione della Val Grande). Fra i diversi paesi delle valli intrasche si ricordano, soprattutto riferiti al passato, rapporti di tipo proto-produttivo: è il caso, ad esempio, di Rovegro – presso la cui latteria si conferiva il latte per la lavorazione – o di Cossogno, dove esisteva il frantoio. Si ricorda poi che i paesi delle valli intrasche gravavano per il commercio soprattutto su Verbania, in particolare Intra con il suo mercato dove avveniva la vendita dei prodotti agricoli presso il suo mercato. Non manca la percezione di connessioni «lunghe» o vere e proprie migrazioni, soprattutto verso il milanese. Fuori dalla terra natìa, molte famiglie continuano a svolgere l’attività usuale per cui molti nomi famigliari o paesi sono associati a determinate professioni (a Milano, molti lattai hanno radici a Ungiasca e Miazzina, vinai e bottai a Caprezzo e così via…). Intervistati: profili e numero Comune di provenienza (ed event. Associazione o ente di appartenenza o altre note) n.1 22 maggio 2015 Museo del Esperti di storia locale (2) Paesaggio di Verbania Museo del Paesaggio di Verbania n.2 25 maggio 2015 Aurano Architetto originario di Aurano (1) Appartenente a famiglia storica di Aurano n.3 25 maggio 2015 Caprezzo Residente a Caprezzo, conoscitore dei luoghi (1) Caprezzo Bibliotecaria originaria di Caprezzo (1) Caprezzo. Bibliotecaria di Caprezzo Originari e residenti, residenti «di ritorno», abitanti con memeoria storica del luoghi (7) Bieno, Santino, Rovegro n.4 1 giugno 2015 Santino n.5 5 giugno 2015 Cossogno Membri di associazioni locali ed esperti di storia locale (2) Cossogno n.6 8 giugno 2015 Rovegro Originari e residenti, abitanti con memeoria storica del luoghi e membri di associazioni locali (4) Rovegro n.7 8 giugno 2015 Santino Guida alpina esperta (1) Bieno, Rovegro, Santino La montagna percepita 191 Infine, una nota sulla formulazione del concetto di «terre di mezzo» e sul riscontro che se ne è potuto avere attraverso le interviste. Con l’immagine di «terre di mezzo», è stata indicata quella fascia di territorio per lo più collinare o di bassa montagna che comprende la Valle Intrasca, la bassa val Grande e la bassa Ossola, a corona dei rilievi maggiori che costituiscono il cuore wilderness della Val Grande. Le «terre di mezzo» sono identificate come quelle aree tuttora abitate e, anche storicamente, caratterizzate da forme di insediamento permanente. Tuttavia, interrogati sulla propria percezione del paesaggio di vita, gli intervistati «muovono» i propri ricordi, i racconti e le segnalazioni, in maniera fluida fra luoghi dell‘abitato permanente e stagionale6. Si legge fra le righe, pertanto, una concezione di «dimora» - e di paesaggio della vita quotidiana - che non conosce(va) confine e anzi comprende(va) senza soluzione di continuità nucleo principale, maggengo e alpeggio. Una osservazione che riguarda sicuramente i paesaggi del «passato», ma di cui forse, andrebbero valutate le diverse potenzialità, anche solo sul piano narrativo e della rappresentazione attuale. Il paesaggio degli intervistati: valore delle opere antropiche e percezione critica del bosco Dalla sintesi delle interviste, emerge una mappa ideale dei luoghi e dei valori ad essi associati. In ottica ecomuseale, sarebbe interessante da realizzare una mappa rappresentata dei luoghi (molto spesso micro-luoghi) con la partecipazione della popolazione e in particolare di quei soggetti custodi di modi d‘uso passati del territorio, che si possono rivelare significativi sia in ottica documentaria, sia propositiva e progettuale. In primo luogo, è difficile, per gli abitanti, stabilire quali siano i luoghi più rappresentativi delle valli intrasche: ogni centro abitato ha infatti numerosi luoghi di valore, retaggio di un modo di abitare fortemente imperniato sugli spostamenti «in verticale» fra il centro abitato, i suoi maggenghi e le sue alpi. Prevalgono, in quelli citati, i luoghi di culto: numerose croci, cappelle, opere religiose e percorsi devozionali esprimono, infatti, il senso del sacro ispirato da alcuni luoghi, come la Madonna di Santino e quella di Caprezzo, la parrocchiale di Bieno, l’oratorio di Inoca, le diverse cappelle votive che punteggiano i centri e le loro frazioni. Nei ricordi, questi sono luoghi associati solitamente a momenti di festa e di incontro. Molto cari agli abitanti sono gli alpeggi e i maggenghi dove si trascorreva l’estate (alpe Ompio, alpe Vercio, alpe Bettina, alpe Busarasca…) e dove, ancora oggi, qualcuno tiene gli animali da cortile o si reca a trascorrere qualche giorno di tranquillità nella bella stagione. I centri abitati con le loro «viuzze», i pozzi, i torchi, le fontane e i «fontanún» sono citati da molti e molto importante è sia per i cossognesi che per i rovegrini il ponte che colle- 6 Ciò emerge da quasi tutte le interviste. In modo particolare si faccia riferimento alla intervista n.6, a Rovegro, in cui, ad esempio, Alpe Bignugno, Alpe Vercio, Alpe Bettina, Alpe Basseno, Alpe Ompio…sono citate per prime come luoghi identitari e di valore. 192 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio ga i due paesi (spesso ritratto da pittori amatoriali locali). Alcuni luoghi sono evocati per offrire scorci particolari e unici, ad esempio, da Corte Buè è possibile vede affiorare la «pioda bianca». Altri ospitano alberi «enormi», come l’alpe Piana e Colloro. Altre croci, altri segni testimoniano la memoria civile della Resistenza. Alcuni segni nel paesaggio sono testimonianza del lavoro dell’uomo per abitare e sfruttare il territorio: le cave, i terrazzamenti, gli attraversamenti, le opere idrauliche e le opere stradali… In generale, si può affermare che i paesaggi di gran lunga custodi di valori identitari sono quelli dai segni antropici più evidenti: luoghi di culto e altri manufatti hanno il numero di citazioni più alto rispetto ai luoghi «naturali». Il «bosco» non è mai nominato a questo proposito (in alcune interviste non è mai citato in assoluto), se non con connotazione negativa, come elemento che invade e nasconde i segni del lavoro dell’uomo, impedisce di usufruire degli spazi aperti e dei prodotti della natura «ora non si può più raccogliere i frutti di bosco: è tutto sporco!» (Intervista n.4), assorbe i suoni («Da Premia si sentivano le ore di Intragna» – Intervista n.3) e oblitera le viste panoramiche dai luoghi più frequentati: «Tremisìn era un luogo panoramico, ma ora non più» (Intervista n.3), invece «:..da Cassinella si vede Cavandone!» (Intervista n.6). Le constatazioni qualitative qui raccolte, sembrano in linea con la percezione della wilderness da parte degli abitanti dei Comuni del Parco Nazionale emersa dagli studi di HÖCHTL e LEHRINGER (2004). Dalla ricerca, svolta anche con un sondaggio in altri territori all’interno e adiacenti al Parco, emerge la percezione negativa degli abitanti rispetto agli effetti dell’abbandono sulla montagna: un’alta percentuale degli intervistati ritiene che l’abbandono del paesaggio abbia effetti negativi sull’ambiente, prima che sulla fruibilità umana. Tuttavia, la wilderness non è sempre percepita come un elemento negativo: dal sondaggio emerge che nell’immaginario degli abitanti la wilderness è più spesso associata a valori positivi. Riportiamo, a titolo esemplificativo, alcune aggettivazioni registrate dallo studio. Tabella 11.3: Aggettivazioni positive e negative di wilderness secondo la popolazione locale, dal sondaggio di HÖCHTL e LEHRINGER, 2004. Aggettivazioni positive intatta, autonoma, fiabesca, libera, amabile, non rovinata, selvaggia, primitiva, sensibile, silenziosa, spontanea, incolta, naturale, equilibrata, bella, sicura, rifugio per animali, piante e uomo, incontaminata, inesplorata, non raggiungibile da tutti Aggettivazioni negative abbandonata, non curata, impraticabile 193 La montagna percepita La percezione delle dinamiche del paesaggio: i paesaggi coltivati e la diversità bioculturale Interrogati circa le principali differenze fra il paesaggio del passato (quello dei propri ricordi) e l‘attuale, gli abitanti intervistati descrivono il paesaggio del passato come fonte di vita e sostentamento, a differenza dell‘attuale. Le principali dinamiche registrate, pertanto, sono quelle relative all’abbandono dei terreni coltivati e alle conseguenti modifiche del paesaggio: da paesaggio produttivo a paesaggio spesso difficilmente fruibile. Si rileva, in particolare, la ricorrente enunciazione di specie e varietà coltivate in passato, nonostante le difficili condizioni morfologiche (alla domanda «cosa connota il paesaggio delle valli intrasche?» la risposta è «la pendenza» – Intervista n.1) e dei suoli («sono suoli poveri, crescono solo le patate» – Intervista n.5). «Le castagne erano il pane per noi, da esse si ricavava anche la farina» (Intervista n.2). Così ancora oggi, si ricordano molti proverbi e detti popolari che fanno riferimento a questo frutto. Molti ricordano le varietà di mele e fra gli intervistati c‘è chi si dedica alla riscoperta e alla coltivazione delle varietà quivi una volta presenti. Si ricorda la presenza di vigne (con le varietà Clintòn, Americana, Rusera7) per la produzione famigliare e coltivate a spalliera o ad altèn a quattro bracci, e le varietà di pere, prugne e le ciliegie. «C’erano anche gli ulivi e ora qualcuno li sta ripiantando» (Intervista n.4). Anche agli alpeggi si coltivavano gli orti: «si faceva il giardino con la verdura, porri, i pomodori…li ho raccolti il primo novembre a 1000 metri a Corte Pianale!» (Intervista n.4). Le erbe spontanee conosciute e utilizzate erano numerose: Patacioi, Garzöi, Verzit (cicorietta), Pancaut, Dant da Lion, primule e asparagi selvatici…» prima ce n’era tantissimi, ora no perchè è tutto sporco». Ortiche e cimette dei rovi si usavano per fare le minestre, mentre con la cicorietta e le uova sode si faceva l’insalata a Pasquetta e anche gli animali sapevano quali erbe si potevano mangiare e quali era meglio evitare: «il ballaro [Veratrum album n.d.a.], ad esempio, era sempre evitato dalla vacche!» (Intervista n.6). I fiori di acacia e sambuco erano molto ricercati, e sono ricordati anche da Nino Chiovini nei suoi scritti (Intervista n.4). Non emergono, o sono molto rari, percezioni negative rispetto ai luoghi della vita quotidiana (ci si sarebbero potuti aspettare, ad esempio, citazioni di sentimenti di paura rispetto a luoghi pericolosi). Le pozze d’acqua si usavano per fare macerare la canapa e c’erano i telai in paese. L’acqua era importantissima anche per alimentare i molti mulini presenti a Cossogno dove, fra l’altro, venne installata la centrale idroelettrica Sutermeister fin dal 1892. Ogni paese aveva poi le proprie specificità. A Rovegro c’era la latteria e si allevavano i maiali: «Ognuno portava lì il suo latte al mattino e la sera si tornava a prendere il formaggio. Poi l’ultima domenica di marzo si faceva l’incanto dei maiali». 7 Quando significativo, i termini pronunciati in dialetto dagli intervistati sono stati restituiti per iscritto per assonanza. 194 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio «Le noci si raccoglievano un po’ dappertutto, ma solo a Cossogno c’era il torchio e si portavano lì» (Intervista n.6), mentre a Santino c’era la cartiera di cartone. Lavorazione della terra, esbosco, attività che mettono a repentaglio la vita. Incidenti finiti bene hanno dato vita a numerose rappresentazioni che indirettamente documentano anche le difficili condizioni in cui uomini e donne si svolgevano queste attività. I paesaggi, la biodiversità e i prodotti della natura e delle coltivazioni entrano nell’immaginario collettivo e sono ricordati e a volte sublimati, dalle forme espressive più nobili: il canto, la pittura, la poesia… A questo proposito, gli intervistati forniscono numerosi riferimenti a opere di vario genere in cui queste possono essere reperite. Infine, un accenno allo spaccato di immaginario sociale che emerge dalle interviste condotte riguardo al lago e alla pianura. Sebbene in passato fossero distanti ore di cammino, il lago e i paesi della costa, così come il fondovalle, avevano importanti relazioni con l’entroterra, rimaste nell’immaginario collettivo: si scendeva a Intra per vendere i propri prodotti al mercato, si andava in cerca di lavoro a Fondo Toce la cui parte più interna si riferiva alla Valle Intrasca per i «servizi» (chiesa, funzioni…). La distanza rimaneva comunque un ostacolo e la vista del lago lasciava a bocca aperta chi per la prima volta scendeva dalla montagna: Fiorenza: «Mio marito è di Scareno e a otto anni scese per la prima volta a piedi col lanternino a Intra. Arrivato in vista del lago esclamò rivolto alla madre: Mamma, che grande pozza!» (Intervista n.4). In Valle Intrasca è tutt’oggi percepibile il legame con il lago: richiami alla navigazione e rappresentazioni del paesaggio lacustre si trovano qua e là nei paesi dell’entroterra. I cambiamenti del paesaggio e le visioni del futuro nella percezione degli abitanti Per il futuro, il desiderio più frequente da parte degli abitanti intervistati è che si torni ad abitare a coltivare questa bassa montagna, e soprattutto a gestire il bosco. In passato il bosco era una fonte di sostentamento: si raccoglievano erbe e frutti spontanei, si faceva legna. Ma «ora è difficile trovare i mirtilli perché il bosco è tutto sporco» (Intervista n.4). A Caprezzo, il bosco circonda sempre di più l’abitato ed «è difficile fare delle passeggiate sui sentieri intorno al paese» (Intervista n.3). Per qualcuno è difficile che si torni alla vita del passato, perché «questo è un terreno povero», e anche le forti acclività scoraggiano. Altri pensano invece che sia possibile e doveroso tornare ad occuparsi dei terrazzamenti, manutenendoli e tornando a coltivarli, come si fa in altre aree alpine con simili problematiche, costituendo associazioni e cooperative. I cambiamenti del paesaggio sono il segno delle trasformazioni della società. Molti abitanti risentono l’affievolirsi dei legami sociali e affermano «Non ci parliamo più, mentre prima tutti si aiutavano» (Intervista n.6). Alcuni giovani vengono ad abitare qui «e questo è positivo, ma non si conoscono, non si vedono né in chiesa né in piaz- La montagna percepita 195 za» (Intervista n.4). Si avverte la necessità di momenti di conoscenza e incontro, di coinvolgimento di questi nuovi «compaesani». Ciò che attira i nuovi abitanti – soprattutto nei paesi di bassa valle - è la vicinanza alla città: «le persone vengono a vivere a Bieno: è comodo, è vicino alla città, ma ti sembra di essere in montagna» (Intervista n.4). «A Rovegro non vengono a vivere altre persone forse perché è più lontano (anche se io faccio anche otto viaggi al giorno)…è bella però: la via maggiore è stata sistema da poco, è un gioiello e non ci sono le auto» (Intervista n.4). Il turismo è considerato da qualcuno, che ne ha fatto il proprio mestiere, come una risorsa importante. In passato «ogni tanto veniva qualche cacciatore, amici. Gli esterni erano rari», ma «dopo che uscì il libro di Valsesia, il territorio cominciò a essere più frequentato» (Intervista n.7). Prima gli ambienti selvaggi erano frequentati solo da chi li conosceva molto bene, «ora è difficile perdersi perché è tutto segnalato», e sono state realizzate attrezzature confortevoli («il ponte tibetano fra Casletto e Velina è più confortevole del modello usuale, anche i bambini possono farlo» – Intervista n.7). Il mantenimento e la riscoperta delle tradizioni sono importanti per gli abitanti. Oggi il Comitato delle donne del Parco partecipa attivamente alle iniziative rivolte alla valorizzazione della diversità culturale e agricola del Parco, riscoprendo, ad esempio, le antiche ricette della cucina alpigiana, in un itinerario di sapori e cultura tramandato di generazione in generazione soprattutto dalle donne, custodi di questa terra durante lunghi secoli caratterizzati dalla emigrazione stagionale degli uomini in cerca di lavoro nelle aree più ricche. Capitolo XII 197 L’economia e le società locali Federica Corrado, Giacomo Pettenati Il sistema socio-economico e le dinamiche del turismo C ome ricorda TURRI (2004), «il paesaggio racconta sempre una società, i suoi rapporti interni, le sue dinamiche demografiche, i suoi squilibri sociali, le proprie capacità tecniche, il proprio culto per la natura, e persino la propria fede religiosa, il suo modo di fare poesia, i propri modi di autorappresentarsi e rappresentare il mondo». Lucio Gambi ci dice che il paesaggio nasce dal territorio ed entro il territorio. Questo significa che ciò che noi vediamo (o meglio percepiamo, perché il paesaggio non è solo visivo, ma anche olfattivo, uditivo, tattile) e identifichiamo come paesaggio è espressione delle dinamiche che legano le popolazioni al proprio ambiente di vita, sia in senso materiale, attraverso le trasformazioni fisiche del territorio, sia in senso simbolico, per quanto riguarda la cultura, i valori attribuiti agli elementi del territorio e al paesaggio stesso, le modalità di relazionarsi con l‘ambiente e lo spazio. In questa sezione ci si propone una riflessione su quelle che si possono definire le «ragioni del paesaggio», ovvero sulle dinamiche socio-territoriali che determinano le trasformazioni delle forme del territorio, sia in senso materiale che simbolico. Per fare ciò si integreranno due metodologie diverse, ma necessarie per comprendere al meglio le dinamiche territoriali che animano il territorio della Val Grande e delle valli intrasche: a) l‘analisi dei dati quantitativi e statistici, relativi all‘evoluzione e all‘attuale situazione demografica, socio-economica e turistica di queste aree; b) una riflessione sugli scenari evolutivi e le sfide in corso in questi territori, con il supporto di alcune interviste in profondità, attraverso le quali fare emergere diversi punti di vista, interni ed esterni, su questi territori. Edilizia rurale a Capraga La montagna contemporanea, a differenza di quella del passato, è caratterizzata da una forte complessità e una marcata eterogeneità di modi di vita, che spesso coesistono negli stessi luoghi generando talora conflitti. Questa eterogeneità è confermata da un recente studio dell‘Ires Piemonte (2010) che ha classificato tutti i comuni montani piemontesi, a partire da indicatori raggruppati in diversi assi (ambientale, infrastrutturale, socioeconomico), in una serie di classi, con l‘obiettivo di individuare a partire da indicatori oggettivi la varietà dei contesti territoriali montani della regione. I comuni che appartengono all’area oggetto della ricerca sono suddivisi tra due di queste classi territoriali: 198 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio - Aree naturali interne e a bassa densità abitativa: elemento distintivo di questi sistemi territoriali è l’elevato valore dei quadri ambientali. Per il resto, si tratta di realtà poco accessibili e poco sviluppate; - Città e sistemi urbani montani: elevato sviluppo e accessibilità si contrappongono a una situazione di fragilità delle dotazioni ambientali Fig. 12.1 Ambiti rurali in abbandono (Cicogna). Fig. 12.2 Ambiti insediati di cintura (Intragna). Questa suddivisione dell‘area osservata tra due tipologie territoriali in apparente antitesi, ben esprime la coesistenza e la compenetrazione in questo contesto di un territorio montano marginale dal punto di vista socio-economico, ma di elevata qualità ambientale, e di un territorio montano urbano e periurbano, che gravita sulla città di Verbania e sulle sponde del Lago Maggiore. In questo contesto, il Parco Nazionale della Val Grande costituisce un’importante risorsa ambientale e paesaggistica del territorio della provincia del Verbano-Cusio-Ossola: esso si colloca all’interno di un territorio molto diversificato e complesso sia dal punto di vista fisico-geografico sia da quello delle dinamiche territoriali, costituendone un «cuore naturale» ad alto livello di integrità e un «nodo economico-territoriale» tra lago e monti. Per quanto riguarda il quadro socio-economico di questo territorio, l‘analisi delle attività economiche mostra un sostanziale equilibrio nella distribuzione delle unità locali tra i diversi settori economici, con una prevalenza del commercio (22% delle unità locali) e del settore delle costruzioni (22%). Risulta ancora minoritario invece il ruolo del settore L'economia e le società locali 199 turistico, al quale appartiene solo un‘attività economica su dieci. La distribuzione territoriale delle attività economiche mostra invece un evidente squilibrio, con una marcata concentrazione lungo gli assi dell‘Ossola e della Val Vigezzo e una rarefazione di attività nelle valli intrasche (Figura 12.3). Fig. 12.3 Distribuzione delle attività economiche (unità locali) nei comuni dell‘area di studio (elaborazione degli autori su dati Infocamere 2013). L‘eterogeneità territoriale dell‘area si rispecchia in un‘offerta turistica variegata che vede il territorio della Val Grande e delle valli intrasche come potenziale centro di gravitazione di un’area più ampia, dove il turismo lacustre della sponda del Verbano si affianca al turismo escursionistico e legato agli sport invernali della Val Vigezzo, dell‘alta Ossola e delle valli del Monte Rosa. Come mostrano le tendenze in atto, il Parco è diventato un punto di riferimento importante nel circuito del turismo escursionistico e, più in generale, del turismo verde, grazie soprattutto alla sua forte connotazione naturale, a tal punto da farlo diventare una vera e propria attrattiva anche per coloro che vogliono sperimentare un contatto estremo con la natura. Proprio la sua posizione fisico-geografica enfatizza questo carattere di naturalità interna rispetto a un territorio esterno largamente urbanizzato. Con i suoi 8 Musei e Centri di visita, il Parco si raccorda infatti con il resto del territorio attraverso strategiche «porte d’accesso»: Vogogna, Premosello Chiovenda, Cossogno, Cicogna, Intragna, Malesco e Cossogno. 200 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio Alcuni di questi punti si collocano proprio in corrispondenza di assi infrastrutturali rilevanti. In particolare, la porta di accesso di Vogogna è posta su un importante asse infrastrutturale transfrontaliero che collega Italia e Svizzera sia dal punto di vista viario che ferroviario. Proprio questa seconda modalità rappresenta un grosso potenziale per l’accesso al Parco anche attraverso mezzi di mobilità sostenibile. Altri punti di ingresso si trovano vicino a importanti centri come Verbania e, in misura minore, Cannero Riviera che sono inclusi nei circuiti della navigazione del Lago Maggiore. Ancora, l’ingresso all’interno del comune di Santa Maria Maggiore in Val Vigezzo costituisce una interessante connessione con il fronte nord in quanto questo territorio è percorso dalla linea della ferrovia delle Cento Valli che collega Domodossola e Locarno. Un’alta accessibilità rispetto al territorio circostante, una limitata permeabilità delle attività umane verso l’interno una forte naturalizzazione (wilderness) di ritorno costituiscono quindi sicuramente alcuni degli elementi descrittivi più rilevanti dell’area oggetto di questo studio. Grazie a questa situazione di contesto, il Parco si pone come potenziale trait d’union tra i diversi territori della provincia e in particolare tra i diversi turismi in essa presenti: quello del lago Maggiore, che peraltro è riconosciuto come seconda meta per importanza di flussi turistici in Piemonte, quello dello sci, concentrato nelle località sciistiche vicine al Monte Rosa (è il caso di Macugnaga, ad esempio), e quello naturalistico che coinvolge la valle Antigorio, la val Formazza e la Val Vigezzo tra le altre. Nell‘area oggetto dell‘analisi - con l‘esclusione della valle Vigezzo dove è particolarmente sviluppato un turismo montano tradizionale soprattutto estivo - l‘attrattività turistica del territorio si fonda sul ruolo del territorio del Parco per le attività outdoor, in particolare l‘escursionismo. La rete interna dei sentieri è molto sviluppata e consente tanto escursioni semplici, con partenza e ritorno dai piccoli centri abitati che circondano il Parco, quanto escursioni di complessità maggiore, come la nota Traversata della Val Grande, con pernottamenti in uno dei bivacchi presenti lungo il percorso. L‘eterogeneità del territorio, è però evidente anche nell‘analisi dell‘offerta turistica. La distribuzione delle attività ricettive mostra ad esempio uno squilibrio a favore dei comuni più accessibili (lungo il corso del Toce, in Val Vigezzo o nei dintorni immediati di Verbania) e delle aree caratterizzate da una maggiore tradizione turistica, in particolare, ancora una volta, la Val Vigezzo (Figure 12.4 e 12.5). L‘analisi degli arrivi e delle presenze conferma l‘ancora limitato sfruttamento del potenziale turistico dell’area, che attira complessivamente poco più di 30.000 visitatori. La tabella 12.1 mostra la ripartizione delle presenze nei diversi comuni. Da essa emerge con ancora maggiore evidenza il ruolo di poli turistici, svolto dai comuni della Val Vigezzo, dai centri più vicini al lago (Premeno, Mergozzo) e da Vogogna, centro appartenente al circuito dei Borghi più belli d‘Italia, insignito dal Touring Club Italiano della Bandiera Arancione, che distingue le L'economia e le società locali Fig. 12.4 Distribuzione delle strutture ricettive nell‘area (elaborazione degli autori su dati Regione Piemonte 2013). Fig. 12.5 Distribuzione dei posti letto turistici nell‘area (elaborazione degli autori su dati Regione Piemonte 2013). 201 202 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio «località eccellenti dell‘entroterra». L‘evoluzione delle presenze turistiche negli ultimi 10 anni, mostra tuttavia un‘inversione di tendenza, con una riduzione del numero di pernottamenti nei comuni della Val Vigezzo - in coerenza con la crisi del turismo di villeggiatura montana tradizionale e delle piccole stazioni sciistiche diffusa in tutte le Alpi italiane (BARTALETTI, 2011). - e un incremento delle presenze nei comuni del versante meridionale del Parco. Per quanto riguarda la provenienza dei turisti, si osserva una leggera maggioranza di stranieri (55%), compensata tuttavia dal superiore tempo di permanenza medio dei visitatori italiani (3,8 giorni, contro i 3,1 degli stranieri). I dati relativi al turismo in questo territorio mettono in evidenza l‘ancora limitato sfruttamento del potenziale attrattivo del patrimonio storico-culturale dei piccoli centri storici (con l‘eccezione di Vogogna) e di elementi di specificità territoriale come le cave di marmo di Candoglia, dalle quali proviene la pietra utilizzata per la costruzione ed i restauri del Duomo di Milano. Una riflessione necessaria sul tema del turismo nell‘area riguarda i rapporti con il grande bacino turistico della sponda piemontese del lago Maggiore, contigua all‘area del Parco e alle valli intrasche. Località come Verbania (più di 800.000 presenze annue), Stresa (più di 500.000 presenze annue), Baveno (485.000 presenze annue) e Cannobio (oltre 250.000 presenze) si situano infatti tra i primi comuni piemontesi per attrattività turistica e formano un distretto di rilevanza internazionale. Per quanto si tratti di aree caratterizzate da un turismo prevalentemente costiero, questi territori costituiscono un serbatoio enorme di potenziali visitatori per la Val Grande e i territori circostanti, nei quali sarebbe fondamentale attivare strategie efficaci di attrazione per attività sportive o visite legate alla fruizione del patrimonio storico-culturale, geologico, eno-gastronomico, etc. Fig. 12.6 Sponda piemontese del Lago Maggiore. 203 L'economia e le società locali Tabella 12.1 Evoluzione degli arrivi e delle presenze turistiche nell‘area (fonte: Regione Piemonte, 2004 e 2010). Tra processi di abbandono e prospettive di ritorno COMUNE ARRIVI 2014 ARRIVI 2004 PRESENZE 2014 PRESENZE 2004 Beura-Cardezza 20 12 37 183 Cursolo-Orasso nd nd nd nd Malesco 1882 1879 9176 6756 Santa Maria Maggiore 4170 5868 25521 32838 Trontano 518 68 888 149 Aurano 0 nd 0 nd Cambiasca nd 0 nd 0 Caprezzo nd nd nd nd Cossogno 702 nd 1397 nd Intragna nd nd nd nd Mergozzo 6940 7952 20674 25207 Miazzina 458 nd 1256 nd Premeno 8256 10837 33327 44291 PremoselloChiovenda nd nd nd nd San Bernardino Verbano 173 nd 520 nd Vogogna 8833 1859 16618 4376 Totale 31952 109414 Tra i principali fattori che contribuiscono a definire l’evoluzione territoriale delle regioni montane vi sono, ancor più che altrove, le dinamiche demografiche. La crisi dell’economia e della società montane, a fronte dell’espansione del modello industriale e urbano-centrico nella seconda metà del XX secolo, ha portato, come noto, centinaia di valli alpine a perdere gran parte dei propri abitanti, scivolando verso una condizione di marginalità reale e percepita (BÄTZING, 2005). Di recente, in alcune realtà territoriali, si assiste tuttavia a nuove prospettive di rilancio economico, sociale e culturale delle vallate, associata all’integrazione tra l’afflusso di nuove popolazioni, spesso di provenienza urbana, e la diffusione di un cambio di mentalità tra le popolazioni locali, sempre più consapevoli della necessità di trovare vie di sviluppo specifiche per la montagna, fondate sull’innovazione, sulla sostenibilità ambientale e su relazioni nuove, non più di sudditanza, con le aree urbane. Quella del rapporto tra nuove popolazioni montane e le prospettive territoriale è la 204 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio chiave di lettura utilizzata in questo breve contributo di riflessione sulle prospettive delle vallate del PNVG e dei territori circostanti. L‘evoluzione demografica dei comuni del PNVG e di quelle che in questa sede si definiscono terre di mezzo è caratterizzata, nei decenni successivi alla Seconda Guerra Mondiale, che coincidono generalmente con l‘accelerazione di quello che in molti territori alpini ha assunto i caratteri di un vero «esodo demografico, da una tendenza generalmente negativa, con notevoli differenze tra i diversi comuni. Tra il 1951 e il 2014 hanno generalmente guadagnato popolazione i comuni della Valle Vigezzo (Trontano, Santa Maria Maggiore e Malesco) e alcuni dei comuni più prossimi a Verbania (Mergozzo, San Bernardino Verbano, Cambiasca). Sono invece stati interessati da un declino demografico più o meno marcato i comuni che s‘affacciano sull‘Ossola (Beura-Cardezza, Vogogna e Premosello-Chiovenda), ma soprattutto i comuni più interni della Valle Intrasca (Aurano e Intragna hanno perso più del 75 % dei propri abitanti) e dei territori che si addossano al Parco della Val Grande, in particolare Cossogno e Cursolo-Orasso (-80%). Se si restringe il periodo d‘indagine agli ultimi 25 anni, è possibile notare un‘inversione di tendenza delle dinamiche demografiche, che lascia intuire la presenza in questo territorio del fenomeno dei nuovi montanari – ovvero di popolazioni che invertendo la tendenza tradizionale all‘emigrazione dalle terre alte, si trasferiscono in un comune montano – seppur in misura minore rispetto ad altre aree delle Alpi (DEMATTEIS et al, 2014). Le statistiche demografiche mostrano infatti (Tabella 12.2) una dinamica positiva in alcuni dei comuni interessati dallo spopolamento nel periodo precedente, in particolare nelle valli intrasche e nel settore meridionale del Parco Nazionale della Val Grande (comuni di Cossogno, Miazzina e Caprezzo). Anche laddove persiste un decremento della popolazione, questo presenta una portata inferiore rispetto al periodo precedente. Le ragioni dell‘attrazione di nuove popolazioni nei comuni analizzati sono diverse e riconducibili tanto al fenomeno dei nuovi montanari e degli amenity migrants (MOSS, 2006) in senso stretto, quanto all‘espansione dell‘agglomerato urbano di Verbania nelle valli che la circondano. La definizione di amenity migrants si riferisce, nel dibattito sulle dinamiche demografiche contemporanee a quelle categorie di persone che scelgono di trasferirsi in un dato luogo per ragioni prevalentemente legate all’attrattività di quel territorio, in termini di qualità della vita o gradevolezza paesaggistica, naturalistica o architettonica. La categoria degli amenity migrants si definisce solitamente in contrapposizione (in realtà solo parziale) a quella dei cosiddetti economic migrants, ovvero coloro che cambiano residenza per ragioni prevalentemente economiche o lavorative. Il fenomeno di ripopolamento osservato in queste aree è legato in gran parte alla pratica di attività ricettive e agricole che potrebbe inserire anche questa parte di montagna dentro un percorso di rinascita alpina. Come si legge infatti nei documenti allegati al Programma di Sviluppo Rurale 2007-2013 della Regione Piemonte, quest‘area è indicata come «uno dei sistemi interessati da tendenziale transizione positiva: un‘area, cioè, che pur non essendo L'economia e le società locali 205 stata investita dagli eventi internazionali ed in particolare dall‘evento olimpico, ha avuto la capacità di intraprendere iniziative di apertura e di integrazione sovra-regionale dei prodotti offerti. Come per le altre aree inserite in tale tipologia, il Programma sottolinea che uno dei fattori determinanti per il successo della strategia di sviluppo sarà la capacità di tematizzare le risorse disponibili nell’ambito del turismo estivo e dei prodotti che si attivano attraverso una più ampia regionalizzazione». Dunque è dentro questa visione di territorio che è necessario che il Parco passi da una situazione di micro-cosmo territoriale ad alta naturalità ad una condizione di cerniera territoriale sulla scorta di un cambiamento culturale ormai già in atto nell’arco alpino. Vi è infatti anzitutto un ritorno culturale alla montagna che mette in campo un modo diverso di essere montanaro fuori dagli stereotipati cliché e oltre la tradizione. «Un ritorno culturale dunque portato avanti più che altro da ‘abitanti nuovi’ della campagna e della montagna, confermando così l’affermazione di un’identità territoriale che non è sempre uguale a se stessa, in cui tradizione e innovazione si coniugano per dare vita a nuove forme di territorialità costruita e intenzionale. Ed è in questo ritorno culturale che si consolidano nuove immagini di paesaggio rurale e montano: questi abitanti nuovi del rurale, montano specialmente, sono oggi i principali protagonisti della trasformazione, sempre più tangibile e visibile, dei pae- 206 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio Tabella 12.2 Evoluzione demografica dei centri abitati all‘interno dei confini del PNVG (fonte: Rapporto Diagnostico del Parco Nazionale della Val Grande, 2012) saggi rurali. E questo sta accadendo in diverse forme e in diversi luoghi: dalla ristrutturazione dell’esistente patrimonio immobiliare rurale (spesso abbandonato e vetusto che viene recuperato con materiali e lavorazioni locali), alla ripresa di antiche coltivazioni che altrimenti sarebbero andate perdute nel tempo, al recupero di vaste porzioni di terra sempre più sottoposte ad un processo di rinaturalizzazione giustificato come scelta di una wilderness estrema che in realtà cancella le tracce di un sapiente lavoro di antropizzazione» (BATTAGLINI e CORRADO, 2014). In questa direzione vanno già progetti come quello della Provincia del Verbano Cusio Ossola che favoriscono la pratica escursionistica ed i collegamenti tra l’area laghi, l’area monti, le aree periferiche e gli itinerari transnazionali verso la confinante Svizzera, valorizzando le importanti risorse naturali presenti: dal Parco Nazionale della Val Grande al Parco dell’Alpe Veglia e Alpe Devero ai percorsi culturali e storici, alla pratica di attività all’aperto. In questi termini è necessario però agire al fine di costruire politiche di supporto al cambiamento: incentivando l’attività ricettiva che valorizza il patrimonio naturale, culturale, storico-architettonico (si pensi al discorso dell’albergo diffuso), implementando le occasioni di connessione tra i siti turistici dell’area creando flussi di turismo legati ad un’offerta lago-monti, sostenendo l’attività agricola e l’allevamento per produzioni di nicchia soprattutto là dove esistono già riconoscimenti importanti come quello di un Parco . Ad una scala di estremo dettaglio, è molto interessante il dato relativo all‘evoluzione demografica dei due più piccoli centri abitati all‘interno dei confini del Parco (Cicogna, frazione di Cossogno e Genestredo, frazione di Vogogna), che hanno visto aumentare notevolmente la propria popolazione negli ultimi 25 anni (tabella 12.1). Al netto della scarsa rilevanza quantitativa di questi dati, può essere particolarmente interessante ai fini di questo contributo una riflessione sulle ragioni di questa tendenza demografica, sui fattori di attrattività di questi micro-territori e sulle relazioni tra i nuovi abitanti, il territorio nel quale si sono insediati e il paesaggio che essi riconoscono, producono e caricano di significati. Centro abitato Popolazione totale residente (1991) Popolazione totale residente (2001) Popolazione totale residente (2011) Cicogna 6 13 21 Colloro 178 164 162 Genestredo 9 15 16 Vogogna centro storico 288 254 235 TOTALE 481 446 434 L'economia e le società locali 207 Un luogo simbolo del nuovo popolamento della Val Grande è la frazione di Cicogna (comune di Cossogno), dove risiedono tre famiglie (10 residenti, di cui 5 bambini e bambine sotto i 15 anni, su 21 ufficiali, 15 effettivi) che hanno scelto Cicogna come luogo di vita, provenendo da altri territori (nello specifico, dalla Provincia di Varese). Il rapporto dei nuovi abitanti di Cicogna con il territorio nel quale hanno scelto di vivere Fig. 12.8 Torchio a Montuzzo e il suo paesaggio sono ambivalenti. La metodologia di analisi del rapporto tra i nuovi abitanti di Cicogna e il paesaggio si è fondata sul metodo dell’intervista in profondità, lasciando, massima libertà agli intervistati di esporre il proprio punto di vista sul tema, indirizzando leggermente la discussione attraverso «domande-impulso», in modo da vedere soddisfatte alcune elementari esigenze conoscitive. Il percorso d’indagine è stato condotto tenendo presenti i rischi delle metodologie qualitative, di scarso rigore metodologico e di concessioni a un approccio deduttivo top-down, nel quale i dati e le informazioni vengono selezionati in funzione della legittimazione delle teorie di partenza (BAILEY, WHITE e PAIN, 1999). Tuttavia, anche l’indagine qualitativa può essere condotta in modo rigoroso e dare luogo a risultati di ricerca solidi e validi anche al di fuori del microcosmo analizzato (GUALA, 2000; BAXTER ed EYLES, 1997). Tale approccio può rivelarsi fecondo soprattutto su un tema complesso e fortemente legato alle percezioni individuali e collettive come il paesaggio, tenendo presenti le parole del geografo inglese GUY ROBINSON (1998): «People as individuals are among the most important sources of information available to human geographers». 208 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio Da un lato, infatti, la bellezza del paesaggio della Val Grande e la possibilità di realizzare in questo territorio un progetto di vita alternativo a quello imposto dalla grande città e dalla pianura, hanno costituito il principale fattore di attrazione di Cicogna nei confronti di queste famiglie (arrivate tra la metà degli anni ‚90 e la metà degli anni 2000) e di altre persone provenienti dalla pianura che nel corso degli ultimi anni hanno provato a trascorrere lunghi periodi in paese, pur senza trasferirsi stabilmente. Il paesaggio della Val Grande, caratterizzato da una naturalità che ha pochi pari in Italia e in Europa, costituisce anche il fattore di attrazione principale dei turisti, che costituiscono la principale fonte di reddito dei nuovi cicognini, che dal punto di vista professionale gestiscono strutture ricettive o producono formaggi e salumi dei quali i turisti sono i principali acquirenti. Inoltre, i nuovi abitanti sono consapevoli del ruolo che essi possono svolgere nel prendersi cura e mantenere il territorio e il paesaggio, assumendosi il ruolo di presidi stabili di un‘area altrimenti frequentata quasi esclusivamente come spazio di ricreazione e di sport. Questa consapevolezza della necessità di prendersi cura in prima persona del territorio, molto diffusa tra i nuovi abitanti per scelta della montagna (PETTENATI, 2013), nel caso di Cicogna è testimoniata dalla recente istituzione dell‘associazione Cicogna Attiva, attraverso la quale gli abitanti, in accordo con le istituzioni locali, si fanno carico direttamente di piccole manutenzioni a strade o sentieri (taglio delle piante a bordo strada, sistemazione di piccole frane, manutenzione dei sentieri, etc.), fondamentali per la loro vita quotidiana e i loro spostamenti. Si tratta di nuova forma di lavoro comunitario su piccolissima scala tradizionalmente molto diffusa nei contesti rurali, che in questa sua rivisitazione contemporanea apre interessanti prospettive riguardo ad un nuovo rapporto tra le istituzioni e gli abitanti delle aree marginali, nel quale è tuttavia fondamentale stabilire il confine tra la partecipazione attiva e volontaria alla cura del territorio da parte degli abitanti e la rinuncia alla gestione delle aree marginali da parte delle istituzioni. Dall‘altro lato, la stessa fragilità della montagna, che si manifesta con forte evidenza in un paesaggio nel quale le tracce dell‘abbandono costituiscono ferite aperte nella trama territoriale, per quanto reinterpretate in chiave positiva in un‘ottica di wilderness, costituisce uno dei principali motivi di preoccupazione dei nuovi abitanti. Una questione simbolo dell‘importanza del territorio, inteso in senso fisico, per gli abitanti di Cicogna è quella dell‘unica lunga, stretta e tortuosa strada che collega il paese al fondovalle, la cui manutenzione è resa sempre più difficile dalla difficile contingenza economica e dall‘assenza di politiche strategiche mirate alla montagna. Senza una strada adeguatamente curata gli abitanti di Cicogna non possono scendere a valle per usufruire dei servizi di base (scuole, poste, ecc.) e i turisti non possono accedere alla frazione e ai sentieri del versante sud del Parco Nazionale, rendendo vani gli sforzi delle istituzioni e soprattutto degli stessi abitanti per mantenere in vita questo territorio e L'economia e le società locali Fig. 12.9 Mungitura della capre a Corte Merina 209 condannandolo ad essere inghiottito dalla rinaturalizzazione, come già avvenuto agli alpeggi e alle borgate superiori. Il delicato rapporto tra montagna abitata e wilderness, che si manifesta in maniera forte nel paesaggio, ad esempio osservando il netto confine tra i prati e i pascoli curati che circondano l‘azienda agricola di Corte Merina e il bosco circostante, è l‘elemento chiave per comprendere questo territorio e per immaginarne il futuro. La naturalità di queste valli non costituisce solo un elemento di attrattività turistica, ma anche un fattore di grande importanza ecologica ed ecosistemica. Una montagna storicamente abitata come quella alpina, però, è fondamentale che continui a rappresentare allo stesso tempo uno spazio di vita per popolazioni consapevoli del valore dell‘ambiente che le circonda e del loro ruolo nel mantenere e curare questo territorio, con azioni misurate di trasformazione dell‘ambiente e del paesaggio, ad esempio attraverso l‘agricoltura di montagna, che necessita di azioni mirate, finalizzate a valorizzarne le potenzialità intervenendo sui suoi bisogni specifici. Capitolo XIII 211 Riflessioni conclusive Roberto Gambino La Val Grande a un bivio Valori identitari e valori naturali Scala di Ragozzale,, S ebbene la presente ricerca tenda essenzialmente a proporre una interpretazione flessibile ed aperta del territorio in esame, i contributi raccolti non possono evitare di porre in discussione alcune tesi di cruciale importanza per le politiche di conservazione della natura e del patrimonio naturale e culturale. Al centro del percorso argomentativo si colloca infatti un interrogativo di fondo, che riguarda in generale il futuro delle azioni di tutela, le loro ragioni e le possibili ricadute. Ci si chiede se le politiche di governo di questo territorio siano di fronte a un bivio, che costringe a scegliere fra indirizzi e strategie radicalmente alternative, nella consapevolezza che la scelta implica uno sguardo critico su quella «svolta ambientalista» che ha preso le mosse nella seconda metà del secolo scorso, dando crescente rilievo ai cambiamenti (non solo climatici) globali, alla crisi strutturale dell’economia mondiale e ai grandi movimenti geopolitici disegnati dalla fame e dalle guerre. Processi gravidi di effetti locali, sebbene dominati sempre più dai «salti di scala» di molti problemi ambientali e dalla «deterritorializzazione» dei quadri istituzionali e dei sistemi di potere. Nel tentativo di cogliere e controllare le nuove dimensioni dei rapporti locali/globali, la presente ricerca ha posto in evidenza la tensione tra i diversi sistemi di valori, emblematicamente riassunta nella contrapposizione, vera o presunta, tra la Wilderness e le identità locali, tra le ragioni della natura e le percezioni ed aspirazioni degli abitanti. La parola d’ordine che ha marcato la nascita del Parco e delle riserve è stata assunta, nei discorsi pubblici culminati nelle scelte istituzionali, come chiave di questa contrapposizione, che muove dalla diversità della montagna «creata» dalla natura e come tale «protetta» a livello internazionale, rispetto alla montagna antropizzata, abitata, coltivata, vissuta, percepita e rivendicata dalle comunità locali. Apparentemente, una bipolarizzazione semantica tra idee diverse della Val Grande come paradigma della montagna alpina, in termini non dissimili da quelli osservabili in tante «aree protette» montane, non solo italiane e non solo europee (come, nei capitoli che precedono, si è ripetutamente ricordato). Una bipolarizzazione, anzi, che ha radici profonde nella nascita dei parchi e nel pensiero dei padri fondatori dei movimenti per la difesa della natura, che assegnano un ruolo fondamentale alle funzioni spirituali, educative e al «public enjoyment», associandole a quelle propriamente conservative. 212 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio L’allargamento della tutela: il paesaggio Riscoprire le funzioni non meramente conservative dei parchi e delle aree protette, secondo gli obiettivi del Parco Nazionale Val Grande come di altri parchi montani, ribadisce quindi il significato complesso delle politiche di tutela. Giusto il contrario di quanto sembra emergere da vecchi e nuovi orientamenti politici, che vedono nei parchi e nelle aree protette semplici «isole» di protezione immerse in contesti territoriali crescentemente ostili. La considerazione, estesa ad un territorio ben più ampio del Parco vero e proprio, di un impasto straordinario di natura e di cultura, gli conferisce una valenza emblematica, testimoniata dal successo mediatico dell’immagine del Parco. Questo successo conferma a sua volta la rilevanza strategica del paesaggio, in quanto sintesi pluridimensionale dei valori del territorio. Sintesi che investe congiuntamente le dimensioni spaziali (che la Convenzione Europea del Paesaggio chiede di estendere a tutto il territorio, non soltanto ad alcune, pur numerose, aree d’eccellenza), le dimensioni funzionali (che devono abbracciare tutte le politiche e le attività pubbliche in qualche riflessioni conclusive 213 modo capaci di influire sul paesaggio) e le dimensioni sociali (che devono assicurare la piena partecipazione delle comunità locali alla costruzione e alla gestione del paesaggio stesso). Sebbene questo triplice allargamento del campo d’attenzione fatichi tuttora a tradursi in azioni concrete delle istituzioni interessate, sembra difficile negare che il paradigma paesistico lanciato nel 2000 dal Consiglio d’Europa abbia contribuito a modificare radicalmente il quadro concettuale di riferimento delle politiche territoriali, soprattutto per quelle che perseguono obiettivi di qualità, di riequilibrio ambientale o più in generale di conservazione attiva del patrimonio naturale e culturale. In questo senso l’esperienza avviata per la Val Grande con strumenti ed iniziative diverse – le Riserve, il Parco, il Geoparco, l’Ecomuseo, la Mostra ed altri ancora – che ruotano attorno al fulcro del paesaggio, può proporsi come esperienza esemplare, suscettibile di ulteriori sviluppi. Un’esemplarità che tocca temi rilevanti del dibattito internazionale, come il rapporto tra natura e cultura, tra conservazione e innovazione, tra paesaggio visto e 214 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio vissuto, tra memorie e progetto di futuro, tra beni e contesti, tra soggettività e senso comune del paesaggio. Specificità di questa wilderness «di ritorno» Ma queste considerazioni non sembrano cogliere appieno la specificità della Val Grande, la sua «diversità» nel panorama internazionale. Specificità che, ovviamente, ha a che vedere con le varie declinazioni della wilderness, ma che non si esaurisce nell’ambigua compresenza di valori culturali e naturali. Il fatto che il visitatore della Val Grande, estasiato dalla vista delle sue quasi inaccessibili pareti di roccia, inciampi senza volerlo in uno dei mille relitti della montagna abitata, non descrive a sufficienza il fascino dei suoi paesaggi, la sua diversità rispetto a tanti paesaggi montani apparentemente simili. È un fatto che si ripete in molti parchi montani in forme non troppo diverse. Né bastano a distinguerlo i racconti dei superstiti, le rappresentazioni pittoriche o letterarie, i sedimenti materiali delle civiltà pregresse, le memorie e le culture dei luoghi: tutte cose che troviamo spesso disseminate nelle storie e nelle esperienze dei parchi, soprattutto, ma non esclusivamente in Europa, nelle Alpi come nei Carpazi o negli Appennini. Per cogliere la diversità del nostro Parco, dobbiamo cercare di capire il significato concreto di quella espressione – «wilderness di ritorno» – che gli è stata fin dall’inizio attribuita. Dobbiamo chiederci se e quanto sia possibile fondarla sul rico- riflessioni conclusive 215 noscimento o il disvelamento di caratteri e valori genericamente e staticamente «naturali», leggibili in filigrana come dotazioni permanenti del territorio in esame. Caratteri e valori che costituirebbero per così dire un «dato» oggettivamente rilevabile di questo territorio, che spetterebbe all’analisi scientifica riscoprire e restituire a forme appropriate di tutela e fruizione, per assicurarne il «ritorno» tra i beni non disponibili della proprietà comune. In questa visione riduttiva la wilderness tenderebbe ad identificarsi con le «eccellenze» e soprattutto con le «invarianze» naturali, soggette a forme rigide e immodificabili di protezione, sottratte per quanto possibile ad ogni processo di cambiamento che non sia volto alla mera restituzione delle dotazioni originarie. La critica a questa visione non ne ignora la valenza «politica» e l’efficacia normativa (tanto più preziosa a fronte delle attuali tendenze alla diffusione insediativa, alla proliferazione di infrastrutture, impianti e manufatti, in sintesi all’ «abuso di territorio») ma rileva l’inconsistenza pratica e teorica della divisione tra natura e cultura e tra conservazione e innovazione. Divisione che rende difficili o impraticabili gli stessi approcci cognitivi su cui basare il riconoscimento della wilderness. 216 Dal paesaggio della sussistenza a quello della wilderness. Il territorio del Parco Nazionale Val Grande come laboratorio di lettura e interpretazione diacronica del paesaggio La wilderness come alternativa strategica: il paradosso In realtà questo riconoscimento – premessa di ogni autentico «ritorno» – non può prescindere dai legami assai stretti tra processi naturali e vicende antropiche, ed in particolare dal supporto insostituibile delle attività agroforestali al mantenimento della wilderness. In questa ipotesi, i cambiamenti paesistici ed ambientali degli ultimi decenni (a partire dalla quasi scomparsa della pastorizia e dalla rapida espansione dei boschi) influenzano il ritorno della wilderness non meno di quanto questo possa a sua volta influenzare l’evoluzione complessiva del territorio. Siamo di fronte a un paradosso: il ritorno della wilderness richiede azioni ed interventi di salvaguardia paesistica o territoriale (si pensi a politiche forestali che facciano sistematico riferimento alla vegetazione «potenziale» delle diverse aree, oppure alla riorganizzazione delle reti di fruizione e di accessibilità escursionistiche o ricreative) che possono a loro volta contrastare od ostacolare il ritorno stesso. Questa considerazione conduce ad una ipotesi di fondo, che colloca la wilderness in posizione dialettica nei confronti dell’insieme delle politiche di gestione e di valorizzazione della Val Grande. Più precisamente, pensandola come «alternativa strategica» nel quadro degli obiettivi e delle strategie che la governance di questo territorio intende perseguire. Non si tratta solo di affiancare alle strategie di rilancio delle culture e delle identità locali, di recupero e di conservazione attiva di una montagna storicamente abitata, le strategie apposite per la valorizzazione della wilderness. Si tratta piuttosto di incorporare, nelle scelte di progetto e di gestione complessiva del Parco e del suo vasto contesto territoriale, l’ «opzione wilderness», valutandone le implicazioni, le conflittualità, le convergenze, i costi e i benefici attesi. È in questo quadro di confronto che possono prendere consistenza i nuovi rapporti tra locale e globale destinati a qualificare l’innovazione dello sviluppo socio-economico e territoriale. Alcuni indizi – i «nuovi montanari» che tornano o che comunque scelgono di abitare nei territori abbandonati della montagna, l’inversione delle dinamiche demografiche in un numero crescente di comuni, l’innesco di attività economiche «alternative» legate all’ambiente montano, lo sviluppo impetuoso ancorchè limitato delle «amenity economics» – nonostante la scarsità dei dati disponibili, segnalano l’emergere di una nuova fase di sviluppo, dopo quella che ha visto i territori della pastorizia e dell’agricoltura svuotati o schiacciati o emarginati dalle forze economiche dominanti. È certo difficile dire se e quali spazi di crescita e di sviluppo potranno configurarsi per la wilderness: o più precisamente per le attività e le iniziative economiche e sociali basate sull’attrazione esercitata, nei confronti di potenziali visitatori vicini o lontani, dalle risorse specifiche della wilderness. Ciò che si può ipotizzare è che gran parte di tali risorse possa o debba essere appetita e fruita dalle popolazioni residenti. La wilderness come bene pubblico Guardare all’opzione wilderness come un’alternativa strategica, che concerne gli spazi della natura selvaggia, ma anche ogni altra area, dentro ed ai bordi del Parco, in cui offrire questa peculiare esperienza di vita, consente di evitare almeno in parte gli scogli cognitivi e interpretativi contro i quali hanno cozzato, non solo in Val Grande, le definizioni e i percorsi isti- riflessioni conclusive 217 tuzionali, a partire dalle delimitazioni ufficiali, spesso basate su criteri statici scientificamente insostenibili. Ciò detto, è tuttavia interessante notare come l’opzione wilderness incroci i livelli di tutela e di responsabilità pubblica. Da un lato non sorprende che l’istituzione delle aree wilderness, se ed in quanto basata su criteri scientifici ed oggettivi possa o debba tradursi in norme, vincoli od invarianze di livello internazionale, nazionale o regionale o comunque sovra locale, che riflettono la rilevanza degli interessi pubblici coinvolti. E simmetricamente è lecito attendersi per le altre opzioni che riguardano il recupero della montagna abitata, coltivata e fruita, uno spostamento verso gli interessi locali, cui va riconosciuto un ruolo prioritario o comunque più incisivo. Tuttavia le esperienze e le ricerche hanno fatto emergere importanti incroci, nella misura in cui ad es. gli attori locali acquistano la consapevolezza dei flussi economici e dei guadagni di immagine derivanti dalla valorizzazione della wilderness. E inversamente le cronache riportano sempre più spesso i casi di interventi locali che puntano con successo sulla qualità ambientale, la forza delle tradizioni, la solidarietà comunitaria. È comunque il turismo, in tutte le sue manifestazioni, a costituire il principale campo d’attenzione per l’evoluzione dei rapporti tra locale e globale. Qui più che in altri contesti, l’idea stessa della wilderness sfida la contraddizione fondamentale del turismo, fattore ineguagliabile di sviluppo e di apertura dei sistemi locali, ma anche e congiuntamente di pressioni e di rischi ambientali insostenibili. 219 Riferimenti bibliografici Capitolo II: Wilderness paesaggio natura protetta gio a livello internazionale. In Per il rilancio dei Parchi, rapporto dell’Assemblea nazionale del Gruppo di San Rossore, 28 febbraio, Firenze. Pisa: Edizioni ETS. ALPARC (2015). Carta della Rete delle Aree Protette Alpine. Disponibile da http://alparc.org/resources/map-collection/item/112-map-of-the-alpine-protected-areas ALTERRA et al.(2012). Wilderness register and indicator for Europe, Final report, Alterra, Wildness research insitute, PanParks. 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