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Arrigo Castellani: genesi di uno studioso

2021, Lingua nostra

In questo lavoro, l’autore tenta una descrizione dell'iter del suo maestro Arrigo Castellani (1920-2004) da spirante scrittore a studioso della storia della lingua italiana (e anzi protagonista di tali studi!), attraverso vari ambienti – la guerra in Polonia e in Italia, l’Università di Firenze – per concludersi con un’esposizione di ciò che si potrebbe tentativamente definire il “metodo” castellaniano..

Vol. LXXXII, Fasc. 1-2 Marzo-Giugno 2021 Casa editrice Le Lettere - Firenze SOMMARIO P. LARSON, Arrigo Castellani: genesi di uno studioso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 V. FORMENTIN-A. PARENTI, L’etimo ambientale di con ciò sia cosa che . . . . . . . . . . . . . . . . 6 A. PARENTI, Sul nome di Preitenitto, figlio di Cacciaguida . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 Fare il diavolo a quattro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22 A. PARENTI-L. TOMASIN, Su quarantena, preteso venezianismo, e su contumacia . . . . . . . 23 Ancora su tressette . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 F. MARRI, Lingua e burocrazia alla prova del Covid (II) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35 F. RAINER, Sulla storia di morbilità, morbosità e morbidità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57 I “fagioli” dell’andare a fagiolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59 Picnic . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60 Libri ed articoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61 L INGUA NOSTRA intende promuovere l’interesse per la lingua italiana e lo studio dei problemi di essa, mirando a conciliare due esigenze ugualmente importanti: la consapevo- Associato all’USPI Unione Stampa Periodica Italiana lezza di una antica tradizione e la rispondenza alle necessità moderne. La rivista, fondata nel 1939 da Bruno Migliorini e Giacomo Devoto, quindi diretta da Gianfranco Folena e da Ghino Ghinassi, è ora diretta da Andrea Dardi e Massimo Fanfani. Si articola in varie parti: storico-filologica: storia della lingua; grammatica storica; etimologia, lessicologia e semantica storica; retorica e stilistica; metrica; storia della questione della lingua e del pensiero linguistico; storia della grammatica e della lessicografia; onomastica; testi e documenti; descrittiva: grammatica e lessicologia dell’italiano d’oggi; neologismi, forestierismi e dialettalismi contemporanei; lingue speciali e terminologie tecniche; livelli sociali di lingua; varietà regionali; l’italiano all’estero; testimonianze linguistiche di letterati e di scienziati; didattica: discussioni sulla norma linguistica e sull’insegnamento della lingua; uso delle comunicazioni di massa; esperienze di insegnanti; insegnamento della lingua agli adulti; insegnamento dell’italiano all’estero; problemi di linguistica contrastiva e di traduzione. Direzione: Andrea Dardi e Massimo Fanfani dell’Università di Firenze. Redazione: Alessandro Parenti (Trento), Antonio Vinciguerra (Firenze). Comitato scientifico: Paolo Bongrani (Parma), Martin Glessgen (Zurigo), Hermann Haller (New York), Fabio Marri (Bologna), Franz Rainer (Vienna), Wolfgang Schweickard (Saarbrücken). LINGUA NOSTRA si pubblica in fascicoli trimestrali. I contributi vanno inviati a: A. Dardi, Via delle Palazzine 5, 50014 Fiesole - Firenze ([email protected]) M. Fanfani, Via Amendola 19, 50053 Empoli - Firenze ([email protected]). Direttore responsabile: Giovanni Gentile, c/o Editoriale Le Lettere, Via Meucci 17/19, 50012 Bagno a Ripoli (FI). Tel. 055645103; [email protected]; www.lelettere.it. Servizio abbonamenti: Editoriale Le Lettere, via Meucci 17/19, 50012 Bagno a Ripoli (FI). Tel. 055645103; [email protected]; www.lelettere.it. CASA EDITRICE LE LETTERE - FIRENZE Lingua nostra Vol. LXXXII, Fasc. 1-2 Marzo-Giugno 2021 ARRIGO CASTELLANI: GENESI DI UNO STUDIOSO(*) 1. HEnryK ZAMKOwSKI Tutti coloro che lo conobbero di persona ricordano la forte simpatia che Arrigo Castellani nutriva per la nazione polacca, la sua gente, la sua lingua e letteratura; qualcuno sa anche che questa simpatia ebbe origine, come la competenza linguistica, durante il suo servizio come ufficiale interprete in Polonia, in piena seconda guerra mondiale. «Mi c’inviarono come interprete tra tedeschi e italiani, ma quando tornai in Italia di tedesco sapevo quanto sapevo già al mio arrivo: in compenso avevo imparato il polacco», mi disse una volta. Alla fine del mese di gennaio del 1942 il ventunenne sottotenente Castellani raggiunse la sua destinazione, che era l’antica capitale della Galizia Leopoli (Lwów in polacco, Lemberg in tedesco), da mezz’anno occupata dall’esercito nazista, che, sicuro della propria permanenza, aveva già ribattezzato «Adolf-Hitler-ring» la strada principale del centro storico. Oggi la città si chiama Lviv e si trova in Ucraina: i tedeschi non ci sono più e delle due principali componenti della popolazione d’anteguerra, polacchi (50%) ed ebrei (31%), non restano che poche persone. Arrigo – che ancora si chiamava Enrico – era studente di giurisprudenza per volontà del padre ingegnere, che desiderava che il figlio maggiore si laureasse in legge o in ingegneria. nel giugno di quello stesso 1942 ottenne una licenza per andare ( ) * Testo letto il 29 ottobre 2020 alla tornata pubblica dell’Accademia della Crusca «In memoria di Arrigo Castellani a 100 anni dalla nascita». a sostenere l’esame di laurea all’università di Firenze(1). Tornato a Leopoli dopo un mese, rimase in Polonia fino al 9 giugno del 1943. In tutto quel tempo gli toccò assistere a cose che non avrebbe mai dimenticato: in primo luogo la spietata Grosse Aktion organizzata dal generale delle SS Fritz Katzmann nell’agosto del 1942, nel corso della quale dal ghetto di Leopoli – il terzo più grande della Polonia – furono raccolte e deportate al campo di sterminio di Bełżec fra 40.000 e 50.000 persone(2). Delle successive peripezie di Arrigo lascerò parlare l’allora ministro senza portafoglio nel secondo governo Badoglio, Benedetto Croce, che così scriveva nel suo diario il 24 maggio del 1944: In uniforme di soldato polacco è venuto un giovane italiano, il sottotenente E. C. fiorentino, di ventiquattro anni, che già ufficiale interprete a Leopoli presso il comando italiano nel 1942 e ’43, infiammatosi per la causa polacca, essendo poi tornato in Italia e mandato in Sardegna, durante una licenza si recò presso un comando polacco e si fece mandare a Tunisi e unire a un corpo polacco. Ora questo non lo vuole immatricolare come ufficiale effettivo, temendo complicazioni diplomatiche con l’Italia; ed egli se non sarà riaccolto nel- (1) Si trattava di una “laurea di guerra” senza tesi scritta. Scrivendo nei primi mesi del 1945 sulla base delle proprie note di diario coeve ai fatti, Arrigo raccontava così l’inizio dell’azione, del quale era stato testimone oculare: «Ed ora, indifferibilmente, i tedeschi vibravano il colpo. Il Ghetto era circondato, pattuglie perlustravano e chiudevano tutte le strade. Quella mattina mi trovavo nel Ghetto. Ogni tanto s’udivano spari e grida disumane. Poliziotti, militi delle S.S. ed ucraini marciavano in gruppi di tre. Davanti alle porte si fermavano autocarri aperti. I tedeschi salivano di corsa le scale [...]» (A. C., Sii fedele a te stesso, Pescia, Edizioni Benedetti, 1947, p. 80). —1— (2) LINGUA NOSTRA l’esercito e mandato a combattere al fronte, è risoluto o a raggiungere i patrioti nell’alta Italia, o a farsi portare in Germania come operaio per di là trafugarsi e procurar di unirsi ai patrioti polacchi. Domani parlerò del suo caso a Badoglio e spero che troverò il modo di risolverlo in modo favorevole a questo giovane, che è laureato in legge e letterariamente colto(3). Si trattava di una questione molto seria, giacché il comportamento di Arrigo dopo l’8 settembre 1943 – allontanatosi senza permesso dalla sua unità in Sardegna, aveva trovato un passaggio per Tunisi, pagando il pilota di tasca propria, per unirsi alle forze armate di un paese straniero, benché alleato – lo aveva reso un disertore. Quattro giorni dopo, il 28 maggio, però, don Benedetto tornò sull’argomento: «Sono contento di avere avviato a buona soluzione il caso militare del giovane C.». Da una lettera di Arrigo a un amico(4) apprendiamo che il suo desiderio di combattere nelle file del Corpo d’Armata polacco comandato dal generale władysław Anders era stato esaudito. Ma già il 25 luglio, due mesi dopo l’incontro con Croce, trovandosi a Belvedere Ostrense (Ancona), il tenente Henryk Zamkowski – era questo il nome (zamek significa ‘castello’) sotto il quale si era presentato al comando del Corpo – venne raggiunto dalle schegge di una granata tedesca. L’ultimo suo ricordo prima del buio fu il grido del sergente, Opatrunek dla pana porucznika! (‘Bendaggio per il signor tenente!’), parole che per lui segnarono la fine della guerra. 2. IL LIBrO DI MATUSALEMME ritornato a Firenze dopo una non breve convalescenza in un ospedale militare, Arrigo s’iscrisse all’Università, questa volta alla Facoltà di Lettere, laureandosi nuovamente il 6 novembre del 1946 con una tesi dedicata a un manoscritto senese della prima metà del secolo XIII: Il Libro di Mattasalà di Spinello(5). Un lavoro tanto maturo che il relatore Carlo Battisti, convinto di riuscire a farlo pre- (3) Benedetto Croce, Quando l’Italia era tagliata in due (settembre 1943-giugno 1944). Estratto di un diario, in Quaderni della “Critica” diretti da B. Croce, novembre 1947, n.° 9, pp. 119-20. (4) riferita da Stanisław widłak, Arrigo Castellani e la Polonia, in Atti dell’Accademia Polacca, IV 2014-15, pp. 38-46. (5) Mattasalà è forma toscana antica di Matusalemme, come il toponimo imprunetano San Gersolè deriva da Gerusalemme. sto uscire in volume, fece addirittura stampare e distribuire delle schede di prenotazione. Ad oggi il lavoro è rimasto inedito. La maturità della tesi non sorprende: non si trattava certo dell’opera di un principiante. Parallelamente a tentativi di scrittura “artistica”, Arrigo era impegnato da anni nello studio dei dialetti toscani antichi. È quanto emerge da un foglio volante conservato con la tesi, scritto probabilmente nell’autunno 1946, dove ne è ritracciata la genesi: Quattro anni fa, ignaro di molte cose, pensavo a compilare un «Lessico dell’antico toscano fino a tutto il Dugento». Spogliati i pochi e brevi documenti anteriori al sec. XIII, e sorpassati anche i Frammenti d’un libro di banco fiorentino del 1211 ed il Breve di Montieri del 1219, m’accinsi a schedare i «ricordi di una famiglia senese del secolo decimoterzo» pubblicati nell’Archivio Storico Italiano del 1847 (Prima serie, Tomo V, Appendice n. 20) a cura di Gaetano Milanesi e niccolò Tommaseo. M’occorreva conoscere la rigatura del manoscritto, giacché avevo deciso, per suggerimento del prof. Bruno Migliorini, di adoprare un metodo di citazione «ne varietur». Questo metodo poteva esser dato solo dalla rigatura del codice. Mentre dei Frammenti del 1211 e del Breve del 1219 potevo servirmi delle riproduzioni dell’A. P. I. del Monaci, Matt[asalà] di Spin[ello] non si poteva vedere che a Siena. Sicché partii per Siena, portandomi dietro il volume V app. 20 dell’Archivio Storico Italiano. Avuto il codice, m’accorsi che non...(6). Da notare la menzione di Bruno Migliorini, lo studioso che ebbe maggiore influenza sulla formazione del pensiero linguistico di Arrigo Castellani e dal quale questi, come si è appena visto, riceveva e accettava anche consigli pratici per la redazione della tesi. non sarà quindi stato un caso che in un abbozzo d’introduzione alla progettata edizione a stampa Castellani scrivesse: «M’è grato dovere esprimere qui la mia riconoscenza verso il Prof. Carlo Battisti ed il Prof. Bruno Migliorini che mi hanno incoraggiato e sorretto nello svolgimento del mio compito», né che nella premessa ai Nuovi testi fiorentini egli ringraziasse «innanzi tutti Bruno Migliorini, che m’è stato sempre, e paternamente, accanto»(7). Per la trascrizione del manoscritto Arrigo si servì di due blocchi di carta a quadretti, oggi conservati nell’Archivio dell’Accademia della Crusca, (6) Dopo le parole che non finisce la scrittura del foglio. Nuovi testi fiorentini del Dugento, Firenze, Sansoni, 1952, p. IX. —2— (7) LINGUA NOSTRA con l’indicazione sulla coperta del contenuto e delle date di compilazione, ciò che ci permette di apprezzare la velocità e la meticolosità del lavoro: «Libro di Mattasalà di Spinello 1231-1243 trascritto dall’11 al 15/9/1945 i primi 33 fogli, dal 18 al 20/9/1945 gli altri 16 fogli». 3. Un BEL GIOVAnE AUSTErO Sull’ambiente universitario nel dopoguerra fiorentino non mancano le testimonianze memorialistiche. Una delle più interessanti, e utili ai nostri fini, risulta il capitolo conclusivo («Le belle scuole») del volume di Giulio Cattaneo (1925-2010) intitolato, con un’espressione tolta da un sonetto di Lapo Gianni, Le rughe di Firenze: In piazza San Marco, davanti all’università, intorno al monumento del baffuto Manfredo Fanti, vincitore della cruenta battaglia di Castelfidardo, era sempre un brulichio di studenti vestiti nelle fogge più strampalate in quel ’45 di giovani speranze ma anche di miseria [...](8). Sono quindi passati in rassegna i personaggi più o meno pittoreschi, etichettati rispettivamente: «un nano dalla testa a triangolo», «un biondo», «un etruscologo», «un vitello poeta». E infine: soso dettaglio poi della registrazione precisa sino al minuto, da parte dello scrittore, dei tempi di composizione, o è pura invenzione, o riguarda una qualche prima pubblicazione artigianale di cui si sono perse le tracce. L’uniforme polacca e la propensione alla sperimentazione linguistica sono invece più che credibili, visto che le ultime pagine di Danuta e altri scritti sono occupate da un curioso glossario intitolato Indice delle parole trasposte o che comunque s’adopran qui per la prima volta, dove ventotto delle creazioni o trasposizioni lessicali più o meno peregrine che popolano il libro provengono dall’inglese (moderno e medio), dodici dal longobardo, nove dal francese (moderno e antico), sette dal polacco (14% del totale), sei dal gotico, quattro dal tedesco e altrettante dal latino e infine una dallo spagnolo(11). Dando alle memorie di Cattaneo la fede che meritano, scrollando cioè da esse le imprecisioni e le aggiunte dovute ad amore di brillantezza («tentato dal calligrafismo» lo definisce l’autore della voce a lui dedicata nell’Enciclopedia Treccani), possiamo riprenderne la lettura: Ma il ricordo è impreciso: nel 1945 i volumetti castellaniani erano ancora di là da venire, visto che soltanto nel 1947 sarebbero usciti dai torchi della tipografia «Artidoro Benedetti» a Pescia Sii fedele a te stesso e Danuta e altri scritti(10). Lo spas- Il linguista in divisa anglo-polacca che aveva utilizzato un soggiorno in Polonia per arricchire la lingua italiana di vocaboli e espressioni polacche ebbe l’idea di fondare una accademia dove potessero convenire gli esponenti delle varie «scuole» (De robertis, Pasquali ecc.) per prendere parte a discussioni letterarie e leggere a voce alta i propri scritti. L’accademia era letteraria perché il suo stesso presidente non esibiva i risultati delle proprie ricerche sulla lingua italiana del Duecento che gli avrebbero procurato più tardi una solida reputazione scientifica ma i suoi versi e racconti italo-polacchi. Le sedute dell’accademia si svolgevano in un’aula aperta da un complice bidello o sulle scale che portavano all’istituto di papirologia [...]. Le letture ebbero momenti di prestigio tanto che il presidente, bel giovane austero fino alla tetraggine, propose di pubblicare gli atti dell’accademia [...] affermando che l’accademia, senza la pubblicazione degli atti, non aveva senso e tanto valeva scioglierla [...](12). (8) Giulio Cattaneo, Le rughe di Firenze, Milano, Mondadori, 1970, p. 148. (9) Ivi, p. 149. (10) Sii fedele a te stesso è una narrazione autobiografica in sei capitoli che tratta delle esperienze dell’autore nel 1942; Danuta è invece costituito dal racconto omonimo e da una serie di note di diario intitolata Gli alberi di Via Kochanowski, che copre il periodo successivo a quello del primo libro; seguono alcune poesie e tre “saggi brevi” d’incerta definizione. (11) L’amico Alessandro Parenti mi propone di citare guèba ‘tela di ragno’ (Danuta, cit., p. 103), dall’inglese web, che secondo Parenti «anticipa il notissimo contributo sul Morbus Anglicus e inoltre, si può dire, lo aggiorna» (il riferimento è ad A. C., Morbus Anglicus, in SLI, XIII 1987, pp. 137-53). (12) Cattaneo, Le rughe di Firenze, cit., pp. 155 e 156. Un linguista regalava intanto certi volumetti che contenevano alcuni suoi racconti in un miscuglio linguistico italo-polacco: per ogni racconto era indicato il tempo in cui era stato composto: un’ora e trentacinque, tre e dieci. In qualche caso si registrava: «composizione intermittente». Si presentava spesso, per quanto del tutto libero da impegni militari, in una uniforme alleata color oliva con la scritta «Poland» sulla spalla(9). —3— LINGUA NOSTRA 4. AUDIATUr ALTErA PArS cessivamente da lui trattati, oppure fatti trattare ai suoi scolari: È arrivato il momento di dare la parola allo stesso Arrigo Castellani per cercare in primo luogo di chiarire come concepisse, in generale, il rapporto tra creatività letteraria e studio linguistico: La lingua italiana per essere usata con intenti artistici ha bisogno d’esser conosciuta nel suo sviluppo storico. Uno scrittore non linguista è come un pittore che non abbia mai riflettuto sulla possibilità di migliorare la sua tecnica. [...] Un artista può rinunciare ad esprimere la sua visione interna se i mezzi d’espressione gli sembrano inadeguati. Di qui l’importanza fondamentale della lingua per lo scrittore: soprattutto della lingua italiana per lo scrittore italiano, perché le altre lingue culturali europee hanno raggiunto un grado di levigatezza e di rispondenza ai moderni bisogni espressivi alla quale noi siamo rimasti di gran lunga inferiori [...]. La spaventosa mancanza di cultura di cui dan prova tanti giovani scrittori è soltanto uno dei mali che affliggono la letteratura italiana. E, comunque, è un male già abbastanza evidente e deplorato. Il male peggiore, a parer mio, è la mancanza d’educazione linguistica, e quindi l’incertezza, l’infinità di piccoli problemi pratici che disarmano ed incapacitano l’espressione. Il testo del giovane Castellani – vado citando dalle pp. 21-22 della sua tesi di laurea – continua con l’auspicio di una riforma attuata «coi metodi di quello che si potrebbe chiamare il purismo e l’espansionismo glottologico» (ignoro il significato della seconda espressione)(13); e ancora con una dichiarazione impegnativa, come di chi conosca già il proprio ruolo futuro: È giusto che si faciliti la via a coloro che s’accostano alla nostra disciplina. noi abbiamo lavorato con un materiale disperso, e questo c’è voluto dire perdita di tempo e sforzo maggiore. È nostro dovere rimediare a queste deficienze, preparare per noi e per gli altri una base di studio migliore(14). Segue un elenco di otto «compiti immediati dell’italianistica» tra i quali riconosciamo temi suc- (13) «La riforma dovrà insistere sulle possibilità di sviluppo del toscano; regolarlo nelle sue inutili divergenze, ma nel tempo stesso rendergli la perduta elasticità. Il toscano è come una palude; la nostra opera dev’essere: scavare un solco per ogni vena d’acqua, e far sì che tutte scorrano. Abbandonare e demolire le brutte costruzioni del secolo scorso e dei secoli precedenti fino al Cinquecento, ma conservare tutto quello che è vitale. Tornare alla prosa del Trecento e Dugento [...]» (p. 24). (14) Ivi, p. 25. 1) Creazione d’un corpo di testi toscani dugenteschi e trecenteschi; 2) Sistemazione fonetica, morfologica e sintattica dei gruppi dialettali toscani come ci appaiono nei sec. XIII-XIV; 3) Compilazione d’un lessico del toscano antico; 4) Pubblicazione ed illustrazione delle carte latine della Toscana almeno fino alla metà del sec. XIII; 5) Compilazione d’un lessico della media latinità toscana; 6) Compilazione, sui documenti latini e volgari, d’un dizionario onomastico e toponomastico medievale toscano; 7) Atlante linguistico della Toscana; 8) Compilazione d’una Storia della Lingua Toscana fino a tutto il sec. XIV(15). Compiuto l’elenco, che per le ragioni appena dette risulta oggi meno utopico di quanto sarà sembrato nel 1946, il riformatore in pectore conclude: naturalmente in un secondo momento il lavoro fatto per la Toscana dovrà essere esteso a tutta l’Italia (innanzi tutto per quel che riguarda l’Atlante linguistico ed il lessico della media latinità), e servirà di base per la compilazione di quella Storia della Lingua Italiana che i linguisti italiani devono al loro paese. La mia pubblicazione del Libro di Mattasalà di Spinello rientra nei punti 1, 2 (Inquadramento linguistico ed esame del libro), 3 (Spoglio lessicale) e indirettamente nel punto 8 del programma esposto sopra. Alcuni anni dopo, nell’introduzione ai Nuovi testi fiorentini (1952) le ambizioni dell’autore sono scese a un livello più realistico: Mia intenzione sarebbe d’usare questo materiale per un Lessico dugentesco fiorentino, compilato col massimo rigore, che potesse eventualmente servir di base ad un Dizionario storico della lingua italiana. Ma su quel che rimane da compiere è bene non prendere impegni. Costituisce già per me una soddisfazione notevole l’aver fornito lo strumento indispensabile per una simile impresa(16). A questo punto i lettori si saranno resi conto che negli anni ’40 la meta delle considerazioni di Castellani era stata una nuova lingua letteraria italiana, nutrita del meglio di quella antica. —4— (15) (16) Ivi, pp. 25-26. Nuovi testi fiorentini, cit., p. 2. LINGUA NOSTRA 5. DISCOrSO SUL METODO Quello che si potrebbe definire il “metodo Castellani” e che, praticato dall’eponimo fondatore della scuola e dai suoi allievi, ha reso la Toscana dei secoli XIII-XIV la regione medievale europea meglio nota dal punto di vista linguistico, si traduce sul piano pratico in un approccio tripartito all’oggetto d’analisi. Il primo criterio è quello di concentrare ogni ricerca linguistica su testi di origine ed età “controllata e garantita”. Occorre scegliere testi “pratici”, senza pretese letterarie, scritti da persone originarie del luogo dove operano. In questo Castellani si discosta dal suo principale predecessore, Alfredo Schiaffini, che già nel 1926 aveva pubblicato un volume pionieristico di Testi fiorentini del Dugento e dei primi del Trecento(17) includendo tra i testi pubblicati e analizzati anche alcune opere letterarie. Dato l’interesse primariamente (se non esclusivamente) linguistico dello studioso, il secondo criterio prevede una tecnica di trascrizione che tenga conto di ogni elemento grafico che possa avere una qualche rilevanza linguistica. Occorre insomma identificare (per citare un grande amico di Arrigo e mio, l’indimenticabile Emanuele Casamassima) i tratti pertinenti e discreti della scrittura, per assicurarsi che nessuna opposizione grafematica – per lo più, come sappiamo, corrispondente a un’opposizione fonematica – si perda per strada. La fedeltà all’oggetto studiato non è tuttavia cieca e irragionevole, prevedendo il rigetto della rappresentazione particolareggiata degli allografi senza valore distintivo. non è, per esempio, necessario introdurre caratteri speciali per rappresentare l’esse “lunga” ſ e l’erre “a forma di 2” dopo curva convessa; mentre è opportuno distinguere le parole scritte a piene lettere da quelle scritte usando abbreviazioni, come anche le lettere o parti di testo che sono state cancellate o espunte oppure aggiunte nel margine o nell’interlinea. nei primi lavori compiuti – la tesi di laurea e un breve articolo uscito su Lingua nostra(18), ambe- (17) Testi fiorentini del Dugento e dei primi del Trecento con introduzione, notazioni linguistiche e glossario a cura di Alfredo Schiaffini, Firenze, Sansoni, 1926. (18) Una lettera commerciale senese del 1294, in LN, VII, due del 1946 – Castellani adopera un sistema di trascrizione con divisione delle parole e aggiunta di accenti e apostrofi, interpunzione e uso di maiuscole e minuscole secondo l’uso moderno. Le abbreviazioni sono sciolte senza segnalarle(19). Tale modalità di trascrizione è adottata fino all’uscita nel 1952 dei Nuovi testi fiorentini, dove l’autore, tirando le somme delle esperienze precedenti, fornisce un dettagliato elenco degli accorgimenti grafici seguiti. Osserviamo da vicino alcuni di questi: 1) L’originale è riprodotto fedelmente, ma con divisione logica delle parole, con maiuscole ai nomi propri e minuscole ai nomi comuni qualunque sia l’uso dei singoli amanuensi, con punteggiatura e accentazione moderne. 2) Dove manca una vocale si segna un apostrofo, dove manca una consonante un puntino in alto [...] Così ne’ vorrà dire nei, ne· vorrà dire nel. Qualche confusione si potrà sempre produrre, per esempio fra i· = in, ed i· = il, e quando la consonante iniziale della parola seguente è raddoppiata il puntino in alto sarà foneticamente superfluo, ma non è dato ovviare a tutto. 9) I normali segni abbreviativi [...] vengono senz’altro risolti. 14) I testi hanno non di rado j per i, in principio ed in fine di parola. [...]: la lettera j come distinta dalla i non esisteva nel medioevo, di conseguenza è inutile il cercar di riprodurla(20). negli articoli che pubblica negli anni successivi, Castellani si accontenta di rinviare ai criteri del 1952, ma nel 1954, alle prese con un testo arcaico pistoiese, compie l’ultimo passo e dichiara: «Tutte le abbreviazioni vengono indicate con parentesi tonde»(21). Due anni più tardi, esce la sua raccolta di testi sangimignanesi(22), trascritta secondo la vecchia prassi, senza parentesi, ma poco giugno 1946, pp. 29-33. nelle pagine che seguono, gli articoli di Castellani sono citati con l’anno di stampa, il nome della rivista e i numeri delle pagine della loro prima pubblicazione. (19) ripubblicando nel 1976 la lettera senese già edita nel 1946, Castellani scriveva: «nel 1946 ero alle prime armi: sicché quella mia trascrizione non è esemplare. Il sistema adottato (diplomatico tranne per la divisione delle parole, ma senza parentesi tonde per le abbreviature) mi sembra oggi poco consigliabile» (Ancora sulla lettera di Piero Dietavvive, 1294, in SFI, XXXIV 1976, pp. 45-54, a p. 45). (20) Nuovi testi fiorentini, cit., pp. 12, 13 e 16. (21) Un testo centesco della montagna pistoiese: le decime d’Arlotto, in SFI, XII 1954, pp. 5-21. (22) Testi sangimignanesi del secolo XIII e della prima metà del secolo XIV, con introduzione, glossario e indici onomastici, Firenze, G. C. Sansoni, 1956. —5— LINGUA NOSTRA dopo, con la pubblicazione di due importanti articoli degli anni 1956 e 1958 dedicati il primo a un quaderno pistoiese del 1259 e il secondo al più antico testo fiorentino conosciuto, del 1211(23), la segnalazione di tutte le abbreviazioni diventa la regola(24). Il terzo aspetto del metodo castellaniano è il più semplice e al medesimo tempo il più arduo, giacché la sua analisi linguistica, benché estremamente approfondita, viene condotta con un metalinguaggio semplice, chiaro e privo di tecnicismi non strettamente necessari (in questo, va detto, non fa altro che seguire il buon esempio del suo primo mentore Bruno Migliorini, ma ciò non gli toglie merito). Faccio un esempio: per quanto Arrigo fosse perfettamente conscio dell’importanza delle variabili sociolinguistiche, credo di non averlo mai sentito adoperare gli aggettivi diamesico e diatopico; né soffriva di quella che qualcuno definirebbe ‘tassomania’, cioè la tendenza ad aggredire il reale per categorie e non per oggetti (che è malattia assai diffusa tra i linguisti). Direi invece che si atteneva alla massima schopenhaueriana Man nehme gewöhnliche Worte und sage Ungewöhnliches (‘si prendano parole comuni e si dicano cose insolite’), tranne, beninteso – ma di quello parlerò semmai in un’altra occasione – quando ventilava le sue ben note neoformazioni lessicali (come chiassone ‘clacson’, fubbia ‘smog’, intredima ‘weekend’, velopattino ‘tavola da windsurf’, e così via). Mi piace concludere questo ricordo del mio maestro – anche se “ricordo” non è forse la definizione giusta – citando l’inizio di una sua comunicazione letta a un convegno in Umbria, più precisamente a Gubbio, nel 1967: «I maligni dicono che fra le mie virtù manca l’ermetismo. Per non ismentirli, spiegherò subito cosa intendo»(25). Parole alle quali farei seguire una frase di una sua recensione riferita a un lavoro di antroponimia medievale, (23) Sul quaderno dei capitali della compagnia dei Boni (Pistoia 1259), in SFI, XIV 1956, pp. 469-83; Frammenti d’un libro di conti di banchieri fiorentini del 1211, ivi, XVI 1958, pp. 19-95. (24) La formulazione definitiva, ne varietur, dei criteri di trascrizione è quella del volume La prosa italiana delle Origini. I. Testi toscani di carattere pratico, vol. I: Trascrizioni, Bologna, Pàtron Editore, 1982, pp. XVI-XIX. (25) Dittongamento senese e dittongamento aretino nei dialetti dell’Italia mediana, in I dialetti dell’Italia mediana con particolare riguardo alla regione umbra, Perugia, Università degli Studi, 1970, pp. 311-80, a p. 311. guarda caso, di un autore svedese: «È esagerato, tuttavia, parlare di “principi” o “metodi” speciali da applicare. Il metodo, qui come altrove, consiste nel tener conto di tutti gli elementi a disposizione e nel valutarli con buon senso»(26). Pär LArSOn (26) Note critiche d’antroponimia medievale, in Zeitschrift für romanische Philologie, LXXVI 1960, pp. 446-98, a p. 498. L’ETIMO AMBIENTALE DI CON CIÒ SIA COSA CHE(*) nei dizionari e nei repertori etimologici correnti dell’origine della nostra congiunzione è fornita una spiegazione insoddisfacente, che risale a Lionardo Salviati e alla Crusca, secondo la quale il con iniziale è un come apocopato; nessuna traccia invece, in questi strumenti di prima consultazione, del diverso parere di studiosi del calibro di Tommaseo, Carducci e D’Ovidio, per i quali il con iniziale è un riflesso del cum latino e tutta la locuzione è il risultato del calco esteso di un’espressione del latino medievale del tipo cum hoc sit causa quod. Più recentemente ha sostenuto questa stessa tesi, pur postulando alla base di quella italiana una diversa formula latina (cum haec ita sint ut), Magnus Ulleland in un saggio molto ben argomentato che ha l’unico difetto di ignorare i precedenti citati(1). In queste pagine si avanzerà un’ipotesi eti- ( ) * Questo studio, concepito e redatto da Vittorio Formentin, si è avvalso di integrazioni proposte da Alessandro Parenti, in particolare nel § 4. Per il loro aiuto si ringraziano Andrea Bocchi, renzo Bragantini, Antonio Ciaralli, Matteo Comerio, Paolo D’Achille, Francesco Giancane, Michele Loporcaro. Alle sigle e alle abbreviazioni usuali della rivista si aggiunge Corpus OVI = Corpus OVI dell’italiano antico, pubblicazione quadrimestrale in linea dell’Opera del Vocabolario Italiano (‹gattoweb.ovi.cnr.it›). (1) Magnus Ulleland, Una congiunzione enigmatica: «con ciò sia cosa che» (1967), in Id., Studi di italiano antico, —6— SIGLE E ABBREVIAZIONI ADOTTATE NELLA RIVISTA AIS = Sprach- und Sachatlas Italiens und der Südschweiz, von Karl Jaberg und Jakob Jud, Zofingen, Ringier, 1928-1940 ALI = Atlante linguistico italiano, Roma, Istituto poligrafico dello Stato, 1995 segg. Crusca1, 2, 3, 4, 5 = Vocabolario degli Accademici della Crusca, Venezia, Alberti, 16121, Venezia, Sarzina, 16232, Firenze, Stamperia dell’Accad. della Crusca, 16913, Firenze, Manni, 1729-17384, Firenze, Tip. Galileiana, 186319235 (interrotta alla lettera O) DBI = Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1960 segg. DCECH = Diccionario crítico etimológico castellano e hispánico por Joan Corominas con la colaboración de José A. Pascual, Madrid, Gredos, 1980-91 DEI = Carlo Battisti-Giovanni Alessio, Dizionario etimologico italiano, Firenze, Barbera, 1950-57 DELI = Dizionario Etimologico della Lingua Italiana di Manlio Cortelazzo e Paolo Zolli, Bologna, Zanichelli, 1979-1988 (2a ed. a cura di Manlio Cortelazzo e Michele A. Cortelazzo, ivi, 1999 con CD-Rom) DI = Wolfgang Schweickard, Deonomasticon italicum. Dizionario storico dei derivati da nomi geografici e da nomi di persona, Tübingen, Niemeyer, 1997 segg. EVLI = Alberto Nocentini (con la collaborazione di Alessandro Parenti), L’Etimologico. Vocabolario della lingua italiana, Firenze, Le Monnier, 2010 FEW = Walther von Wartburg, Französisches Etymologisches Wörterbuch, Bonn (poi Leipzig e Basel), 1922 segg. GAVI = Giorgio Colussi, Glossario degli antichi volgari italiani, Helsinki, University Press, 1983-2006 GDLI = Grande dizionario della lingua italiana, fondato da Salvatore Battaglia, Torino, Utet, 1961-2002 (Supplemento 2004, a c. di Edoardo Sanguineti) GRADIT = Grande dizionario italiano dell’uso, diretto da Tullio De Mauro, Torino, Utet, 1999 con CD-Rom (Nuove parole italiane dell’uso, 2003; Nuove parole italiane dell’uso, II, 2007) LEI = Max Pfister, Lessico etimologico italiano, Wiesbaden, Reichert, 1979 e segg. LIZ1, 2, 3, 4 = Letteratura italiana Zanichelli (su CDRom), a c. di Pasquale Stoppelli ed Eugenio Picchi, Bologna, Zanichelli, 19931, 19952, 19973, 20014 LN = Lingua nostra, Firenze, 1939 segg. LRL = Lexikon der Romanistischen Linguistik, Herausgegeben vor Günter Holtus, Michael Metzeltin, Christian Schmitt, Tübingen, Niemeyer, 1988-2005 LS = Lingua e stile, Bologna, 1966 segg. REW = Wilhelm Meyer-Lübke, Romanisches etymologisches Wörterbuch, Heidelberg, Winter, 19684 RID = Rivista italiana di dialettologia, Bologna, 1977 segg. Rohlfs = Gerhard Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, Torino, Einaudi, vol. I, Fonetica, 1966, vol. II, Morfologia, 1968, vol. III, Sintassi e Formazione delle parole, 1969 [si cita per paragrafo] SFI = Studi di filologia italiana, Firenze, 1927 segg. SGI = Studi di grammatica italiana, Firenze, 1979 segg. SLeI = Studi di lessicografia italiana, Firenze, 1979 segg. SLI = Studi linguistici italiani, Friburgo, poi Roma, 1960 segg. TB = Niccolò Tommaseo-Bernardo Bellini, Dizionario della lingua italiana, Torino, Unione Tipografico-Editrice, 1865-1879 TLIO = Opera del Vocabolario Italiano, Tesoro della lingua italiana delle origini [fondato da Pietro G. Beltrami; leggibile in rete all’indirizzo <http: //tlio.ovi.cnr.it/ TLIO/>] VEI = Angelico Prati, Vocabolario etimologico italiano, Torino, Garzanti, 1951 CONDIZIONI DI ABBONAMENTO PER IL 2021 ITALIA annuo: privati € 85,00 solo carta € 105,00 carta + web istituzioni € 105,00 € 125,00 ESTERO annuo: privati € 105,00 solo carta € 130,00 carta + web istituzioni € 125,00 € 150,00 PREZZO DI CIASCUN FASCICOLO Italia: fascicolo singolo fascicolo doppio € 30,00 € 50,00 Estero: fascicolo singolo € 36,00 fascicolo doppio € 60,00 € 50,00 SPED. ABB. POST. 45% Art. 2 comma 20/B legge 662/96 filiale di Firenze ISSN: 0024-3868