Alma Mater Studiorum – Università di Bologna
DOTTORATO DI RICERCA IN
Scienze mediche generali e dei servizi
Progetto 3 Sanità pubblica e Medicina del lavoro
Ciclo XXIV
Settore Concorsuale di afferenza: 06/M1
Settore Scientifico Disciplinare: MED 42
Le reti in Sanità
Presentata da: Francesca Bravi
Coordinatore Dottorato
Relatore
Maria Pia Fantini
Tiziano Carradori
Esame finale anno 2012
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Indice
Introduzione…………………………………………………………………………………...pag.3
1. Assetti organizzativi……………………………………………………………………....pag.8
1.1 La teoria organizzativa di Mintzberg……………………………………………………pag.11
2. La rete in Sanità: strutture, relazioni, valori……………………………………………pag.18
3. Esperienze internazionali e nazionali……………………………………………………pag.21
4. Valutazione delle reti in Sanità…………………………………………………………..pag.27
4.1 Il caso di studio della Rete Oncologica della Romagna..……………………………….pag.29
4.2 Studio 1 informatori chiave della Rete Oncologica della Romagna...…………………pag.33
4.3 Studio2 stakeholders della Rete Oncologica della Romagna...………………………...pag.39
4.4 Studio 3: continuità di cura e presa in carico del paziente con esperienza di tumore nella
Rete Oncologica della Romagna……………………………………………………………..pag.51
5. Conclusioni………………………………………………………………………………….pag.65
Bibliografia
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Introduzione
E’ ormai consolidato il principio che la salute è imprescindibilmente legata al contesto di vita e alla
condizione socio-economica di ciascun individuo. Ciò è vero soprattutto oggi che sono più evidenti
gli effetti delle tre transizioni, succedutesi nel XX secolo: 1. Epidemiologica - progressivo
decremento delle malattie infettive (principale causa di mortalità in tutti i secoli precedenti) ed
incremento contestuale delle patologie cronico-degenerative (cosiddette malattie del benessere). Si
osserva un aumento delle malattie croniche e della popolazione anziana associato spesso a fragilità
socio-sanitaria, che richiede un maggiore coordinamento nella traiettoria di cura tra i diversi servizi
e i professionisti dell’ospedale e del territorio (Rechel B., 2009; WHO, 2008); 2. Demografica: calo
delle nascite, allungamento progressivo della speranza di vita, invecchiamento della popolazione,
aumento delle persone immigrate; 3. Sociale: contrazione dei nuclei familiari e parallela riduzione
della rete parentale, aumento delle forme di lavoro meno stabili e delle contraddizioni tra
generazioni su lavoro e futuro, esiguità della rete sociale nei centri urbani (Marcon A. et al., 2011).
Inoltre a partire dalla metà degli anni ’60 si è assistito a un processo di sviluppo scientifico e
organizzativo autonomo di discipline specialistiche, che si è accompagnato, nell’ultimo ventennio,
all’arrivo di tecnologie di grande sofisticazione e caratterizzato da un processo di rapida evoluzione,
che rende necessario adeguare di continuo l’assetto strutturale e organizzativo delle aziende
(Bergamaschi M., 2009).
Tali modifiche richiedono un significativo cambiamento delle politiche ed un riesame dei modelli
assistenziali poiché i bisogni della società, sempre più articolati e complessi, non permettono
risposte settoriali alla malattia o al disagio sociale, ma richiedono risposte unitarie volte a
considerare la persona nella sua globalità (Carradori T. et al., 2011).
Le trasformazioni sociali, demografiche ed epidemiologiche che si sono prodotte nel corso degli
ultimi decenni pongono nuovi problemi di salute, amplificano le diseguaglianze tra i gruppi e
differenziano le loro aspettative verso i servizi (Piano Strategico Attuativo Locale Ravenna 20102012).
I cambiamenti avvenuti nel sistema sanitario negli ultimi vent’anni hanno comportato rilevanti
effetti in termini di competizione nel settore, aumento dell’interesse verso le tematiche di
management, governo dei servizi, gestione dei processi di sviluppo e apprendimento organizzativo
e orientamento ai risultati che gli stessi processi producono in termini di valore (Bergamaschi M.,
2009). La creazione di valore quindi come adozione di scelte gestionali e organizzative, che
consentano di conseguire risultati durevoli nel tempo e contemporaneamente soddisfare i diversi
portatori di interesse del sistema.
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Occorre fare in modo che le domande di innovazione clinica a livello micro, trovino eco
nell’organizzazione dell’offerta di cure a livello meso e che si inscrivano profondamente a livello
macro nei valori della società stessa (Contadriopoulos AP et al., 2002).
D’altra parte le innovazioni tecnologiche hanno provocato cambiamenti importanti, consentendo di
migliorare i risultati delle pratiche cliniche ed assistenziali e di avere un miglior controllo dei fattori
predisponenti alla malattia, concorrendo al miglioramento dell’aspettativa di vita, ma anche e
soprattutto, della sua qualità. Tuttavia, se da un lato si riscontra la relazione positiva tra sviluppo
tecnologico e miglioramento della salute, dall’altro è bene ricordare che accanto agli effetti positivi
delle innovazioni tecnologiche ve ne sono alcuni di segno opposto: la distanza tra i risultati
annunciati e quelli effettivamente riscontrati a volte resta impressionante. Lo sviluppo tecnologico,
inoltre, spiega la maggior parte della crescita dei costi per la sanità. Così è stato nella seconda metà
del secolo scorso e, con ogni probabilità, continuerà a esserlo nel prossimo futuro. L’evoluzione
tecnologica ha favorito la specializzazione delle competenze e settorializzato le attività, causando
una maggiore differenziazione e frammentazione delle competenze, a scapito della presa in carico
più complessiva dei pazienti e dei loro bisogni.
D’altra
parte
le
disposizioni
istituzionali-organizzative
responsabilizzano
soprattutto
sull’efficacia/efficienza della produzione e non sul risultato della presa in carico.
Emerge sempre più quindi la mancata centralità della persona nei percorsi di cura e di assistenza e
la conseguente esigenza di personalizzazione degli interventi (Delbanco T., 2001).
Il momento della complessità può essere inteso come il passaggio da un mondo strutturato in base a
griglie a un mondo organizzato secondo reti (Taylor M. C., 2005). La complessità diventa la sfida
da raccogliere: “c’è complessità quando sono inseparabili le differenti componenti che costituiscono
un tutto (come quella economica, politica, sociologica, psicologica, affettiva, mitologica) e quando
c’è un tessuto interdipendente, interattivo e inter-retroattivo fra le parti e il tutto e fra il tutto e le
parti. Gli sviluppi caratteristici del nostro secolo e della nostra era planetaria ci mettono di fronte,
sempre più spesso e sempre più ineluttabilmente, alle sfide della complessità (Morin E., 2000).
L’integrazione delle cure è la modalità attraverso cui le società evolute, nel mondo, sperano di
controllare le tensioni e le contraddizioni che sono all’origine delle disfunzioni del sistema
sanitario, fra cui ad esempio la frammentazione delle cure, l’uso inadeguato delle competenze,
l’iniquità nell’ accesso ad alcuni servizi (Contandriopoulos AP et al., 2001).
Quattro fattori motivano questa volontà di aumentare l’integrazione delle cure e dei servizi:
‐
le attese della popolazione,
4
‐
il ricorso all’integrazione motivato dalla necessità di efficienza ed equilibri di budget a
causa delle crescenti pressioni economiche,
‐
difficoltà di ripensare alla regolamentazione del sistema di cure dato dall’equilibrio di
quattro logiche differenti: professionale, tecnocratica, di mercato e democratica per cui
l’articolazione è difficile e complessa da qui nasce l’esigenza di ripensare ruoli e
funzioni dei diversi attori,
‐
i risultati del lavoro sui determinanti di salute mostrano che i fattori, le situazioni e
contesti portatori di salute non sono della stessa natura dei meccanismi che operano nella
diagnosi, trattamento e prevenzione di specifiche malattie. La salute e la malattia non
sono fenomeni indipendenti, ma allo stesso tempo la malattia non è l’inverso della
salute.
Quindi non resta alcuna scelta ai governi per continuare ad offrire servizi di qualità in modo equo se
non attuare una ristrutturazione del sistema di cure; questo spinge a coinvolgere i diversi attori a
cooperare per utilizzare nel miglior modo le risorse e le competenze disponibili per ridurre la
frammentazione dell’offerta di cura e incrementare l’efficienza.
Il concetto di integrazione delle cure e dei servizi rimanda a un concetto fisiologico secondo il quale
l’integrazione consiste nel coordinamento delle attività di parecchi organismi necessari ad un
funzionamento armonico. In dettaglio l’integrazione orizzontale consiste in un raggruppamento di
organizzazioni similari per ottenere economia di scala, per esempio fusioni di ospedali sono il
prodotto di una integrazione orizzontale, mentre la volontà di creare delle reti di cure e servizi di
cure, fa leva su una dinamica di integrazione verticale. L’integrazione quindi come processo che
consiste nel creare e mantenere, nel corso del tempo, un governo comune tra gli attori (e le
organizzazioni) autonomi al fine di coordinare le interdipendenze per fare sì che cooperino alla
realizzazione di un progetto collettivo.
C’è interdipendenza quando degli attori autonomi (o delle organizzazioni) devono risolvere dei
problemi collettivi, quindi quando ciascuno degli attori coinvolti detiene tutte le risorse, le
competenze, la legittimità necessaria per apportare risposte scientifiche, professionali, tecniche e
sociali, legittime e valide, ai problemi di fronte a cui ciascun attore nel suo campo specifico si trova
a confrontarsi. La cooperazione quindi degli attori è al centro della problematica dell’integrazione.
In Sanità quindi per cooperazione si intende il coordinamento necessario per soddisfare la domanda
sanitaria e sociale delle cure e dei servizi accessibili di qualità. Esistono diversi tipi di
coordinamento:
‐
sequenziale: consiste nella messa in atto di un sistema di riferimento tra diverse
prestazioni e livelli di cura (ad esempio quando il paziente ha un problema la cui
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diagnosi è chiara e richiede un preciso intervento, ben circoscritto nel tempo e nello
spazio come nei percorsi di diagnosi e follow-up),
‐
reciproco: è necessario quando l’interdipendenza tra gli attori è più forte. La persona
malata richiede simultaneamente cure e servizi prodotti da professionisti o
organizzazioni diverse. La decisione clinica dell’uno deve considerare quella dell’altro.
La complessità relativa del bisogno mobilita un limitato numero di professionisti, è
circoscritto nel tempo e nello spazio come nell’episodio di ricovero,
‐
collettivo: è richiesto quando il livello di interdipenza tra gli attori è elevato. La persona
malata presenta più problemi, o un problema particolarmente complesso, dai contorni
non definiti, quanto a durata e tipologie di intervento.
Quindi si evince che l’integrazione poggia su un cooperazione forte tra attori e organizzazioni,
questa sarà tanto più necessaria nei bisogni complessi che necessitano coordinamento forte e
richiedono maggiore coerenza e adeguatezza nella presa in carico. In Sanità affinchè vi sia
integrazione, questa coerenza deve essere durabile nel tempo tra sistemi di valori, governo e clinica
per creare uno spazio, nel quale attori e organizzazioni, trovano un senso comune e un vantaggio a
coordinare le loro pratiche.
In questo mutato scenario l’adozione della logica della “rete” rappresenta una risposta
all’ineludibile esigenza di maggiore integrazione per garantire la continuità assistenziale. Le “reti”
infatti rappresentano una fonte di ispirazione per modelli organizzativi in grado di rispondere
contemporaneamente alla progressiva specializzazione e alle esigenze di integrazione delle
autonomie (Meneguzzo M, 1996; Lega F, 2002).
Le reti tra ospedali e servizi assistenziali nascono con motivazioni diverse nei differenti sistemi
sanitari sotto la spinta in alcuni casi della riduzione dei costi, in altri per potenziare la qualità,
mediante il presidio della continuità assistenziale.
Le reti nell’ambito dell’assistenza ospedaliera sono passate da un tipo di integrazione verticale
(gerarchica, necessaria dopo la prima razionalizzazione) ad un’integrazione orizzontale dove
l’ospedale è il nodo di rete in cui concentrare competenze sofisticate, distintive, da integrare con
altri ospedali, col territorio e con il sociale (Bravi F. et al., 2012).
La dimensione verticale fa riferimento all’integrazione tra aziende, strutture o professionisti posti
sui differenti livelli di cura e assistenza. La dimensione orizzontale fa riferimento a forme di
cooperazione e/o specializzazione tra aziende, strutture o professionisti posti sullo stesso livello di
cura. I processi di integrazione verticale mirano a favorire il coordinamento tra livelli di cura, tale
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per cui il trattamento di una specifica patologia/malattia viene eseguito nell’ambito più appropriato
dal punto di vista clinico, organizzativo, economico e della soddisfazione del paziente. I processi di
integrazione orizzontale mirano a ridurre l’eventuale ridondanza e duplicazione nell’offerta.
Le reti orizzontali possono inoltre essere “verticalizzate” o “gerarchizzate”, nella misura in cui ad
esempio si stabilisce che l’offerta di servizi di diversi ospedali è segmentata in relazione alla
complessità del problema di salute del paziente: alcuni ospedali concentrano competenze e
tecnologie per il trattamento dei casi più complessi e severi, altri limitano il proprio campo di
azione ai casi di media e bassa semplicità, inviando il paziente ai primi quando il problema supera
le loro capacità di intervento (Lega et al., 2010).
La “governance” attraverso le reti si basa su relazioni di collaborazione tra attori interdipendenti ma
autonomi che, sulla base di interessi condivisi o non confliggenti, scambiando risorse di varia
natura per il raggiungimento di comuni obiettivi. Vi è infatti una pluralità di attori che rinunciano
all’ ”opportunismo” personale nelle relazioni, coordinate invece grazie alla mutualità e alla fiducia
reciproca.
Gli obiettivi delle reti e dei soggetti che vi aderiscono sono: migliorare la gestione delle risorse,
realizzando economie di scala, condividere pratiche efficaci e virtuose, condividere conoscenze e
competenze, superare confini e separazioni tra settori, acquisire potere e influenza, acquisire
appoggio e supporto reciproco (Mascia, 2009) nonché garantire una presa in carico complessiva e
non frammentaria dei pazienti.
La valutazione per le reti si riferisce al miglioramento della presa in carico dei destinatari/pazienti,
rispetto ad una situazione esistente ritenuta problematica, quindi pone al centro del giudizio non
solo gli “stakeholders” ma in primis il paziente: coordinamento degli interventi, fluidità della
traiettoria di cura, continuità nella presa in carico. Per questo oltre a metodi quantitativi l’approccio
è attraverso strumenti di valutazione qualitativi.
La rete oggetto del caso di studio è la Rete Oncologica dell’Area Vasta Romagna, in particolare la
valutazione è stata strutturata in studi diversi e paralleli volti in ultima analisi a dare voce alle
percezioni:
‐
dei principali promotori della rete, informatori chiave (Studio 1),
‐
degli stakeholders della rete (medici, infermieri, amministrativi) (Studio 2),
‐
delle persone con esperienza di tumore (Studio 3).
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1. Assetti organizzativi
L’analisi delle diverse teorie organizzative consente di riconoscere, comprendere e utilizzare
schemi di riferimento, particolarmente in fase di analisi e riprogettazione organizzativa. I diversi
approcci indicano come il problema organizzativo si sia variamente sviluppato, tenendo conto non
solo dell’assetto organizzativo interno come in Economia Aziendale, ma anche, dei rapporti esterni
e delle variabili psico-sociologiche tipiche delle teorie organizzative dell’Economia Politica.
Le principali scuole di teorie organizzative sono riportate nella Tabella I (Grandori, 1995;
Bergamaschi, 2000; Lega, 2005).
Tabella I
Teorie
Scuola
classica
Autori principali- Scuola
organizzazione Secondo
il
modello
scientifico
l’obiettivo
dell’organizzazione
è
scientifica (Taylor, 1962); modello rappresentato dal miglioramento dei livelli di efficienza dei processi
burocratico (Weber, 1948)
produttivi e amministrativi; tramite sequenze programmate e preordinate si
massimizza il rendimento e aumenta la produttività.
Il modello burocratico si caratterizza per una razionalità interna, che
permette raggiungimento dei risultati attraverso rigido controllo dei
processi, ha un orientamento prevalentemente normativo (principio della
gerarchia, uniformazione dei comportamenti alle norme).
Approccio soggettivo Mayo 1933, Importanza per le relazioni informali e non prescritte tra membri di un
McGregor, 1960
gruppo di lavoro; i livelli di produttività sono correlati ai livelli di
soddisfazione delle persone, la maggior parte dei conflitti si possono
risolvere efficacemente attraverso la comunicazione tra le parti, i
comportamenti dei capi influenzano quelli dei dipendenti e la loro
soddisfazione, un lavoro meno specializzato ma più interessante produce
maggiore soddisfazione e maggiore produttività.
Approccio
sistemico Svolta sistemica dell’ organizzazione, vista come sistema socio-tecnico,
(Woodward,1965; Thompson 1967 dove aspetto tecnico e umano sono interdipendenti e si influenzano
etc…)
reciprocamente.
Teoria dell’ incertezza ambientale Necessità di controllare l’ ambiente e di ridurre la dipendenza dalle altre
e dipendenza delle risorse Pfeffer e istituzioni: creazione di legami di cooperazione.
Salncik, 1978
Mintzberg
contemporanea
1985
Epoca Teoria della contingenza, non c’è una struttura ideale, ma una struttura
adattata alla situazione e alle caratteristiche dell’organizzazione.
Uno dei tratti salienti delle società contemporanee è la presenza pervasiva delle organizzazioni. In
linea generale possiamo definire una organizzazione come quella entità sociale deliberatamente
costituita dagli uomini per raggiungere obiettivi determinati, e che per fare ciò si dà una struttura
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formale stabile e norme interne definite. L’accento viene posto in particolare sulla divisione del
lavoro, ossia sulle modalità attraverso le quali si perviene ad una identificazione precisa dei compiti
che spettano alle diverse componenti organizzative, valorizzando particolarmente l’aspetto
dinamico dell’organizzare. L’organizzazione diviene quindi una relazione tra differenziazione e
integrazione, contraddistinta da stabilità e intenzionalità degli attori che ne fanno parte. Essa è
caratterizzata da una struttura e una cultura, da aspetti formali e informali, da processi di
specializzazione e di coordinamento, di divisione e ricomposizione (Gosetti G. e La Rosa M.,
2006).
Esistono in sintesi a fronte di differenti modalità di divisione del lavoro e di meccanismi di
coordinamento diversi modelli organizzativi tra questi: struttura semplice, struttura per funzioni,
struttura divisionale, per processi, struttura a matrice e struttura reticolare.
La struttura semplice si caratterizza per un forte accentramento del governo e da rapporti
interpersonali non codificati, che determinano una rilevante flessibilità nelle mansioni.
L’assetto funzionale, largamente diffuso tra fine anni ’60 e inizio anni ’70, è adatto ad
organizzazioni semplici, che operano in contesti caratterizzati da elevata stabilità ambientale e che
instaurano un basso numero di relazioni con altre entità organizzative esterne, in tal caso la forte
specializzazione garantisce efficacia ed efficienza. Aumenta l’efficienza della direzione perché le
operazioni della stessa natura e gli specialisti sono raggruppati, ogni funzione è sotto la
responsabilità di un manager. Tra gli svantaggi vi è la moltiplicazione dei livelli gerarchici in
relazione alla specializzazione dei compiti e il loro coordinamento. L’accorpamento di attività e
competenze all’interno della funzione è governato formalmente attraverso la gerarchia, cioè una
linea di comando dall’alto verso il basso ben delineata e riconosciuta, spesso molto rigida; in questo
modello la gerarchia come fattore di coordinamento fa spesso ricorso a meccanismi di integrazione
centrati sulle norme, le procedure e la standardizzazione delle attività. Questo assetto entra in crisi
nel momento in cui la crescita dell’organizzazione, a fronte della diversificazione dei prodotti
realizzati, rende difficile la gestione delle interdipendenze tra le funzioni. Se le condizioni esterne
sono causa di forte cambiamento si nota come questo modello tenda a reagire piuttosto lentamente,
ancor meno a proporsi come proattivo al cambiamento, infatti una strategia frequente è allora quella
della chiusura che regge sino al momento di crisi rilevante.
L’assetto divisionale è spesso utilizzato all’interno di organizzazioni sanitarie complesse come
centri ospedalieri accademici, come i policlinici universitari. Si raggruppano nelle divisioni tutte le
operazioni relative a un prodotto/famiglia di prodotti oppure in un’area geografica (per esempio
nelle aziende sanitaria si ricorre al criterio geografico di distribuzione dei servizi, come quello
territoriale). L’assetto divisionale attribuisce una maggiore responsabilità e decentralizzazione delle
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decisioni ai livelli intermedi della struttura al fine di realizzare maggiore flessibilità. Le funzioni in
questo modello non scompaiono, ma vengono distribuite a seconda dei risultati/prodotti, sui quali
lavora la divisione. La forza del modello, rispetto al precedente, è nella rapidità di risposta alla
domanda e ai bisogni, che trovano una struttura dedicata che riproduce al proprio interno gli
elementi necessari alla predisposizione del risultato, tende quindi a responsabilizzare verso il
risultato finale. Vi è però una debolezza nella riproducibilità delle divisioni, che può tendere
all’infinito rispetto alle la replicazione delle stesse funzioni, causando ridondanza e disomogeneità).
Strutture per processi perseguono la logica dell’ottimizzazione dei compiti e delle funzioni
interrelati rispetto a una comune finalità da raggiungere, prevedono il coordinamento di tutte le
attività sequenziali interrelate, con notevoli vantaggi in termini di elasticità e adattabilità a
cambiamenti ambientali (Bergamaschi, 2000).
Per superare i problemi degli assetti precedenti vi è la struttura matriciale che combina e unisce
sostanzialmente gli assetti funzionali e divisionali invece con una duplice responsabilità: le funzioni
come bacino di competenze e i progetti/prodotti come coordinamento operativo.
In particolare il modello viene definito a matrice in quanto associa alla suddivisione e
specializzazione per funzioni e alla forma di integrazione e coordinamento centrato sulla linea
gerarchica (asse verticale), una suddivisone e specializzazione per risultati/prodotti-servizi e una
forma di integrazione e coordinamento legata a programmi e progetti (asse orizzontale). Le funzioni
presenti nell’organizzazione distribuite verticalmente come fossero canne d’organo, caratterizzate
da una elevata specializzazione professionale e capacità tecniche, vengono quindi orizzontalmente
intersecate da programmi e progetti di lavoro centrati su risultati/prodotti, che devono avvalersi
delle competenze professionali presenti dentro le funzioni. Risulta importante in questo modello
adottato a livello internazionale il ruolo del team interdisciplinare che favorisce i collegamenti di
tipo laterale e collegamenti interfunzionali (Cicchetti A, 2007). In questa organizzazione risulta
fondamentale che la cultura organizzativa valorizzi modi di pensare e di agire improntati alla
collaborazione e cooperazione; in taluni casi come meccanismo di integrazione si ricorre anche a
valori professionali (globalità del bisogno della persona, l’importanza della integrazione delle
competenze e dei saperi professionali etc..). Se i meccanismi di raccordo fra funzioni e programmi
non sono efficacemente governati, questo modello presenta serie difficoltà di funzionamento e molti
progetti di lavoro si disperdono in estenuanti discussioni e negoziazioni (Gosetti G. e La Rosa M.,
2006).
Nella struttura reticolare infine si prevede l’esistenza di gruppi con un ordinamento poco
gerarchizzato e molto partecipativo.
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La rete è costituita da relazioni stabilizzate che legano diverse unità produttive o di servizio,
indipendenti tra loro, che sono i nodi della rete; i nodi sono specializzati rispetto ad uno specifico
ambito di attività e fanno parte della rete proprio in virtù di questa specializzazione. I processi
decisionali sono di tipo consensuale. I nodi della rete rappresentano i diversi gruppi, che fanno
capo, ad un coordinamento generale anche tramite nodi intermedi. Questi nodi si scambiano risorse,
in forma collaborativa, per raggiungere un fine comune. Nella rete sono molteplici i meccanismi di
integrazione e di coordinamento. Nella rete sono presenti culture diverse con una loro storia,
strategia e prospettive di sviluppo, ma anche le relazioni interorganizzative producono esse stesse
scambi e contaminazioni creando nel tempo una vera e propria cultura della rete.
1.1 La teoria organizzativa di Mintzberg
Mintzberg e il suo primo studente Danny Miller, hanno sostenuto che gli studi accademici
commerciali e industriali, hanno preferito esaminare il modo in cui le singole variabili organizzative
si combinano in rapporto lineare, piuttosto che considerare il procedimento in base al quale una
serie di caratteristiche essenziali si configurano in tipi distinti, a cui si dà il nome di configurazioni
o archetipi o modelli organizzativi (Mintzberg H., 1991).
L’organizzazione, secondo Mintzberg, è vista come un assemblaggio di cinque parti tra cui esistono
flussi di diverso tipo, non come una composizione di servizi tra i quali sussistono legami gerarchici
o funzionali.
Nel modello di Mintzberg l’organizzazione viene definita come il complesso delle modalità,
secondo le quali, viene effettuata la divisione del lavoro in compiti distinti e viene realizzato il
coordinamento tra tali compiti.
Le variabili dell’organizzazione devono essere scelte in maniera da garantire un’armonia e una
coerenza sia tra gli elementi interni, sia tra questi e le condizioni esterne.
Cinque meccanismi sembrano spiegare le modalità fondamentali attraverso cui avviene il
coordinamento:
‐
Adattamento reciproco: comunicazione informale,
‐
Supervisione diretta: persona che assume la responsabilità del lavoro di altri, dando
ordini e controllando le azioni,
‐
Standardizzazione degli output: si specificano i risultati,
‐
Standardizzazione delle capacità di lavoratori: si specifica il tipo di formazione richiesta,
‐
Standardizzazione dei processi produttivi,
‐
Standardizzazione delle specializzazioni,
‐
Standardizzazione delle norme.
Le parti che compongono un’organizzazione sono (Mintzberg H., 1983):
11
‐
Nucleo operativo (svolge funzioni di produzione e cessione delle prestazioni tipiche
dell’attività caratteristica, core business; è composto dai professionisti),
‐
Tecnostruttura (comprende organi responsabili di analisi e controllo, marketing,
pianificazione strategica, ma anche dipartimenti territoriali con funzioni di produzione),
‐
Linea intermedia (comprende le figure che collegano le figure direzionali con il nucleo
operativo, funzione di tradurre gli obiettivi generali in specifici),
‐
Servizi di supporto (facilitano e assistono il funzionamento del core business tipicamente
sono servizi amministrativi ad es. provveditorato, settore tecnico-patrimoniale),
‐
Vertice strategico (composto dagli organi responsabili dei risultati complessivi
dell’azienda e del governo economico della stessa: Direttore Generale, Direttore
Amministrativo, Direttore Sanitario).
VERTICE
STRATEGICO
TECNOSTRUTTURA
LINEA
INTERMEDIA
SERVIZI DI
SUPPORTO
NUCLEO OPERATIVO
Ogni azienda che opera attivamente nel mercato dispone anche di una fascia tutta particolare, sede
di quella che viene chiamata ideologia, detta anche più comunemente “cultura”. Con questo termine
si intendono le idee e le tradizioni di un’organizzazione, che la distinguono dalle altre
organizzazioni e infondono una certa linfa vitale. Tutte le persone che lavorano all’interno
dell’organizzazione per prendere decisioni o svolgere attività operative possono essere considerate
una specie di coalizione interna, cioè un sistema in cui molti individui sono tra loro in competizione
per la distribuzione del potere. Inoltre vi sono molte persone che dall’esterno cercano di esercitare
un’influenza sull’organizzazione, tentando di condizionarne le azioni e le decisioni, questi sono la
coalizione esterna.
Di seguito alcuni esempi secondo Mintzberg di strutture.
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La struttura semplice:
La struttura è semplice, informale, manca di complessità, è flessibile con gerarchia ridotta di
dirigenti e operatori intermedi, le attività ruotano attorno alla figura del dirigente responsabile che
controlla i subalterni con la supervisione diretta.
La tecnostruttura è assente, vi sono pochi addetti allo staff di supporto. L’ampiezza di controllo al
vertice è elevata.
Essa si presenta o nelle aziende giovani (può permanere indefinitamente anche nelle piccole
imprese) o nelle aziende in crisi.
È vulnerabile come struttura con tendenze accentratrici.
L’organizzazione burocratica:
I compiti operativi sono molto specializzati e di routine, con procedure formalizzate nel nucleo
operativo, impostato in unità di grandi dimensioni, raggruppate su base funzionale. Il
coordinamento si ha con la supervisione diretta.
La tecnostruttura è la parte fondamentale, costituita dagli analisti delle procedure di
standardizzazione del lavoro. Il processo decisionale, che si sviluppa lungo la linea di autorità, è
piuttosto accentrato, anche per la disponibilità di informazioni. Le unità operative sono molto
differenziate ed è accentuata la divisione del lavoro.
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Esiste un forte ricorso alla pianificazione dell’azione. E’ caratteristica di ambienti stabili e semplici,
di aziende mature di dimensioni elevate e con sistemi tecnici ad alto grado di regolazione, ma non
automatizzati.
Un ufficio postale, una prigione, una compagnia aerea, una importante industria automobilistica,
sono organizzazioni che operano secondo la routine, per la maggior parte semplice e ripetitiva e
danno luogo ad un’attività fortemente standardizzata.
Risulta essere efficiente, affidabile, precisa ma anche assillante è il desiderio di controllo e si creano
problemi tra personale del nucleo operativo di base e di coordinamento nel centro amministrativo e
problemi di adattamento di vertice strategico.
La burocrazia professionale:
Il nucleo operativo è la parte fondamentale. Lo staff è sviluppato ma è al servizio del nucleo
operativo. E’ un’organizzazione decentrata orizzontalmente e verticalmente. Nel nucleo operativo
ci sono solo professionisti, con capacità standardizzate, che controllano il loro lavoro, ma anche, le
decisioni amministrative e direzionali che li riguardano.
La line intermedia è poco sviluppata ed è composta da professionisti del nucleo operativo, che
dedicano molto tempo, alla gestione delle varianze che si manifestano nell’organizzazione. Essi
svolgono anche una funzione di rappresentanti con l’ambiente esterno. Essi detengono potere in
quanto ottengono appoggi e finanziamenti dall’ambiente esterno per le attività operative.
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Le strategie collettive coincidono con quelle dei singoli, a meno delle attività specifiche cumulate
nel tempo da ciascuno. L’ambiente è complesso e stabile, cioè con procedure difficili da
apprendere, ma sostanzialmente non mutabili nel tempo. Nella struttura pura il sistema tecnico è
semplice. Si osservano alcune forme come ad esempio:
‐
burocrazia professionale dispersa: Cia
‐
burocrazia/adhocrazia professionale: ospedali
‐
burocrazia professionale semplice: orchestra sinfonica
Non esistendo alcun controllo diventa difficile rimediare le deficienze. Il coordinamento tra staff e
professionisti e tra questi stessi è difficile.
La discrezionalità consente ai professionisti, poco coscienziosi, di non tenere conto delle esigenze
di clienti ed azienda. E’ un’organizzazione rigida poco adatta alle innovazioni. Il tentativo di
controllare le attività non è adatto per compiti complessi e turba la libera relazione tra cliente e
professionista.
La soluzione divisionale:
Il raggruppamento delle attività al vertice è in base al mercato. La scarsa interazione minimizza le
necessità di coordinamento.
L’ampiezza di controllo del vertice strategico è elevata. Si ha un decentramento verticale limitato
parallelo. E’ piuttosto accentrata.
Il principale meccanismo di coordinamento è la standardizzazione dell’output, il parametro di
progettazione organizzativa è il sistema di controllo delle performance.
La direzione controlla le divisioni con la supervisione diretta. All’interno le divisioni tendono ad
organizzarsi come burocrazia meccanica.
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Esiste una rigida divisione del lavoro tra direzione centrale e divisioni, le comunicazioni sono
formali, i rapporti personali sono limitati per non perdere potere.
La direzione centrale ha il potere di gestire il portafoglio strategico e di allocare le risorse
finanziarie, inoltre la direzione ha il potere di controllare le performance e di nominare e sostituire i
responsabili delle divisioni. Le visite periodiche consentono alla direzione un controllo personale.
Viene adottata in presenza di mercati diversificati ed essa stessa spinge alla diversificazione.
La divisionalizzazione è attuabile quando il sistema tecnico può essere diviso in parti. E’ presente in
ambienti semplici e stabili.
Ogni unità deriva dal vertice strategico, vi è un decentramento verticale, si parla di organizzazioni
mature e di grandi dimensioni, sempre più presente nei governi e amministrazioni pubbliche
(megauniversità).
L’adhocrazia o organizzazione innovativa:
E’ adatta per innovazioni complesse o sofisticate perché in grado di fondere esperti di discipline
diverse in armonici gruppi di progetto ad hoc.
E’ un’organizzazione organica, con scarsa formalizzazione, elevata specializzazione orizzontale
delle mansioni conformazione di tipo formale. Raggruppamento su base funzionale, ma utilizzo in
piccoli gruppi interfunzionali per progetto.
Coordinamento attuato tramite reciproco adattamento. Decentramento selettivo ai gruppi in
un’organizzazione a matrice. Non esiste unità di comando, i processi informatici e decisionali sono
flessibili ed informali.
Il potere è degli esperti e dei professionisti, ma non esiste standardizzazione delle capacità perché
ciò inibirebbe l’innovazione. Sono molto utilizzati i meccanismi di collegamento laterali.
La strategia è spontanea, si sviluppa attraverso processi che non rispettano precedenze gerarchiche,
l’ambiente è giovane per ovviare al rapido invecchiamento delle strutture burocratiche, associa
maggiore democrazia a minore burocrazia, quindi è una struttura di successo.
Grande efficacia innovativa ma a scapito dell’efficienza, presenta problemi di ambiguità e pericolo
di trasformazione impropria in altre configurazioni.
Mintzberg conclude ricordando che si sono riportati tipi ideali o puri. Rimane il problema di dove
possano essere riscontrati. E’ ovvio che ogni configurazione è una semplificazione che minimizza
la complessità delle strutture organizzative. Alcune strutture reali si presentano in modo diverso.
Alcune sono una transizione da un tipo puro all’altro, in conseguenza di una mutata situazione.
Altre presentano strutture che possono essere descritte come un ibrido di configurazioni. Mintzberg
16
sottolinea come le cinque tipologie individuate rappresentano una struttura concettuale da utilizzare
per comprendere il comportamento organizzativo, e come e perché esse cambiano nel tempo.
L’evoluzione del processo organizzativo porta gli studiosi di organizzazione a focalizzare quindi
sempre più l’attenzione su organizzazioni semplici e flessibili, adatte a modificarsi in linea coi
cambiamenti ambientali, a spostare il focus dalle strutture ai processi, dalle forme organizzative ai
sistemi di relazione, dalle componenti hard a quelle più soft del sistema (Bergamaschi, 2000). In
Sanità si chiede di essere più flessibili per fare fronte all’elevata instabilità e complessità
contingente, di sviluppare relazioni con altri attori del sistema ricorrendo a processi di integrazione
verticale e orizzontale, di passare da forme altamente verticalizzate, accentrate funzionalmente e
gerarchicamente formalizzate, con processi decisionali di tipo top down a strutture di tipo
adhocratico (Mintzberg, 1987), altamente flessibili, decentrate e deverticalizzate, fondate su
interdipendenze tra unità organizzative, su continui scambi di informazioni e su sistemi decisionali
decentrati.
Il passaggio da un’organizzazione gerarchica e compatta a una rete di organizzazioni, avviene
quando la costruzione di un prodotto o servizio non è più il risultato di un’unica organizzazione, ma
di una rete di organizzazioni, all’interno della quale prevalgono relazioni orizzontali e simmetriche.
17
2. La rete in Sanità: strutture, relazioni, valori
La rete come metafora, strumento di analisi, oggetto di ricerca. Sempre più spesso ragioniamo a
proposito di reti, perché sono ormai molteplici le sollecitazioni che ci portano in questa direzione
(Gosetti G. e La Rosa M., 2006).
La rete in Sanità è una forma organizzata di azione collettiva, apportata da professionisti in risposta
a un bisogno di salute di individui e/o di popolazione, in un preciso momento, in un territorio dato.
La rete è trasversale alle istituzioni e ai servizi esistenti, il concetto di rete in Sanità include quello
di rete di cure.
La rete è composta da attori: i professionisti di ambito sanitario e sociale, dalla comunità e dai
servizi sanitari, da associazioni di utenti, istituzioni locali…; la cooperazione degli attori della rete è
volontaristica, si basa su una definizione di obiettivi comuni. L’attività di una rete comprende non
soltanto la presa in carico delle persone malate o suscettibili di esserlo, ma anche delle attività di
prevenzione collettiva e di educazione alla salute.
La pluralità di reti possibili richiede di precisare gli elementi caratterizzanti dell’organizzazione a
rete. La conoscenza di questi elementi risulta fondamentale per costruire la valutazione stessa delle
reti.
Le reti si caratterizzano per finalità (dominio d’intervento, patologia, popolazione specifica o
generale, tipi di azioni), obiettivi operativi, attori che intervengono (membri o partners della rete),
modalità organizzative (modalità d’integrazione tra professionisti, di adesione degli utilizzatori,
modalità di coordinamento, competenze e divisioni del lavoro tra gli attori), modalità di
circolazione delle informazioni, modalità di finanziamento delle attività di rete e valutazione della
performance di rete.
Nella ricerca di nuove soluzioni emerge sempre più spesso l’adozione della logica della “rete”,
quale fonte di ispirazione per modelli organizzativi, in grado di rispondere contemporaneamente
alla progressiva specializzazione e alle esigenze di integrazione delle autonomie (Meneguzzo M.,
1996; Cepiku D. et al., 2006; Meneguzzo M. e Cepiku D., 2008)
La rete è raggruppamento di individui, organizzazioni o agenzie organizzate su base non-gerarchica
intorno a problemi o obiettivi comuni, che sono alimentate in modo proattivo e fondate su impegno
(commitment) e fiducia (trust) (WHO, 1998).
Le reti sono modelli/assetti (arrangements) multiorganizzativi per risolvere problemi che non
possono essere risolti, o non possono esserlo con facilità, da singole organizzazioni (Agranoff R. e
McGuire M., 2001).
18
La bibliografia sull’argomento è vastissima, eterogenea, dispersa, in gran parte empirica
(esperienze, spesso diverse tra loro), ci si pone quindi la domanda se sia possibile identificare
un’unica chiave di accesso concettuale al tema delle reti.
Le reti come approccio quindi di Sanità pubblica per rispondere a problematiche mediche, sociali,
psicologiche, etiche. In questa ottica la rete si costituisce in un preciso momento, su un territorio
dato, come risposta di un gruppo professionale a problemi precisi di salute su bisogni di individui o
di una comunità. Questa definizione resta aperta alla nozione di tempo (mesi, anni), territorio
(quartiere, nazione), partners (cittadini, attori della sanità, professionisti o non, istituzioni,
associazioni, politici). Il modello di rete risponde maggiormente alle modificazioni delle pratiche e
comportamenti, come interprofessionalità, transdisciplinarietà e trasversalità.
Alcuni autori distinguono quattro tipologie:
‐
reti di ospedali molto formalizzate (convenzioni, accreditamento..),
‐
reti monotematiche focalizzate sul campo professionale,
‐
reti di salute, di prossimità sui bisogni di una popolazione,
‐
reti di sperimentazione di nuovi modi di finanziamento in sanità.
Le reti in Sanità infatti possono esistere tra reparti o aree all’interno dell’ospedale (ospedale per
intensità di cura), tra più ospedali (modello hub & spoke, a pendulum), tra ospedale e territorio (reti
integrate), tra aziende sanitarie (reti specialistiche, reti funzionali), tra azienda sanitaria e altre
organizzazioni pubbliche (partnership), tra ospedale/azienda sanitaria e università (reti funzionali
per l’assistenza, la didattica e
la ricerca), tra azienda sanitaria/ospedale e soggetti privati
(partnership), infine tra più reti.
Le reti sono innanzitutto singolari, cioè le caratteristiche strutturali sono differenti tra una rete e
l’altra, specialmente per la natura della loro nascita, qualsiasi sia il tema specifico trattato e
l’ambiente in cui operano, siano esse geografiche, sanitarie, istituzionali, politiche. La singolarità si
fonda sui legami individuali validati nel tempo. La sostenibilità e la rilevanza delle reti si fonda in
seguito sulla capacità di trasformare azioni interindividuali, sviluppate tra gli attori all’origine del
progetto, in un’azione collettiva stabile. Al di là del tempo di apprendimento condiviso, lo sviluppo
di nuove competenze e modalità facilita l'attuazione di questo processo.
Le reti possono essere descritte sulla base del livello di formalizzazione e controllo (Goodwin N,
2004):
‐
enclave: appartenenza informale alla rete per condividere informazioni e idee, sono
strutture piatte senza un’autorità centrale, si basano su un impegno condiviso, fiducia e
egualitarismo. Queste reti sono spesso di grande successo nel consentire il passaggio di
19
informazioni tra professionisti con interessi comuni. Si possono citare alcuni esempi
come l’esempio inglese del “National pathways association” o progetto CHAIN
Community Health Alliance by Integrated Networks, rete di informazioni coordinate per
migliorare la qualità delle cure dei pazienti anziani in Australia- South Wales (Warner et
al., 2003);
‐
gerarchiche: obiettivi co-ordinati da un’autorità centrale che detta clausole, controlli,
regole, accreditamento, il lavoro è maggiormente strutturato ma sostenuto da comuni
valori. Un esempio è il modello PRISMA di cure integrate socio-sanitarie dei servizi per
anziani fragili in Canada, vi un gruppo centrale che gestisce e alloca le risorse,
garantendo un piano individuale e personalizzato di cure. Un team interdisciplinare
gestisce direttamente e/o è gestito con un mix di contratti, si vuole così garantire brevi
ospedalizzazioni, diminuire l’ammissione in strutture a lungo termine, gestire gli anziani
a casa, facendoli restare nella loro comunità (Hebert et al., 2003);
‐
individualistiche: libera associazione basata spesso intorno ad una rete di fornitori e
servizi per raggiungere un unico obiettivo. Queste reti rispondono bene al cambiamento
e sono utili nella sperimentazione di innovazioni organizzative e di pratiche di lavoro
flessibile. Negli Usa per garantire la continuità delle cure viene utilizzata la strategia di
offrire un più ampio pacchetto di cure integrate da fornitori indipendenti. Ad esempio
nella rete di cure integrate Henry Ford, ci si avvale di molti ospedali e setting
ambulatoriali utilizzando il case e/o disease management. Inoltre vi è una struttura di
controllo centrale che offre il pacchetto di cure integrate, sistema informatico integrato,
acquisto integrato, contratto tra i diversi fornitori.
20
3. Esperienze internazionali e nazionali
I modelli di reti multi-ospedaliere sono diffusi in molti paesi, soprattutto anglofoni (USA e Gran
Bretagna) e francofoni (Canada e Francia).
Le Reti Assistenziali Ospedaliere sono uno strumento per la qualificazione dell’assistenza la cui
scommessa è quella di garantire:
‐
migliore accesso ai servizi appropriati per complessità o gravità dei problemi clinici,
‐
maggiore efficienza (economia di scala e di scopo),
‐
maggiore efficacia e qualità complessiva delle cure erogate.
Il razionale della costituzione delle reti assistenziali lega la sua opportunità alla capacità di
rispondere ai bisogni assistenziali della persona, in una gerarchia strutturata, legata ad un delicato
equilibrio tra prossimità e complessità.
La prossimità è espressione del decentramento di quelle attività assistenziali che devono trovare
risposta sul territorio contiguo al luogo di residenza del paziente. Mentre la complessità o la bassa
prevalenza devono trovare risposta in strutture iperspecialistiche, in grado di curare la complessità
della malattia e la sua rarità relativa.
Le reti in Sanità sono opportunità di riorganizzazione del sistema di cure in un’ottica di integrazione
dell’offerta; esse promuovono il coordinamento di tutti gli interventi, in relazione al bisogno di
salute, alla prossimità geografica ed alla complessità della patologia. I risultati attesi sono il
miglioramento della presa in carico globale e continua, la rimodulazione dell’offerta dei servizi più
rispondente alle priorità politiche in sanità pubblica, valorizzando l’interdisciplinarità dell’azione
dei professionisti nei diversi ambiti disciplinari.
Le reti nascono con motivazioni diverse nei differenti sistemi sanitari sotto la spinta in alcuni casi
della riduzione dei costi, in altri per potenziare la qualità mediante il presidio della continuità
assistenziale. Inoltre la natura e la forma delle reti sono differenti: alcune sono virtuali (condivisioni
delle informazioni informatizzate), altre sono strutturali (gestione globale della persona).
Negli Stati Uniti le Reti multi-ospedaliere sono nate negli anni ’60 ma si sono sviluppate e diffuse
in maniera capillare negli anni ’90 attraverso due tipologie di reti: gli “health network” e gli “health
system” (Bazzoli GJ et al., 1999). I primi sono ospedali che collaborano sulla base di un contratto,
hanno accordi con altri erogatori come medici di medicina generale, ambulatori, case di riposo; i
secondi hanno la stessa funzione ma presuppongono anche una struttura centrale proprietaria degli
ospedali che ne fanno parte. Ne sono un esempio l’Hospital corporation of America (sistema for
profit) e Bon secours health system (sistema not-for-profit).
Un esempio di rete di ospedali privati, non profit della California, è Sutter Health; questa rete nasce
nel 1981 con l’intento di integrare ospedali di comunità e un grande ospedale di terzo livello come
21
il Medical Center di Sacramento. Poi la rete si è ampliata con il crescere del bisogno di efficienza e
di efficacia nella gestione dei servizi sanitari includendo altri ospedali (integrazione con la rete di
ospedali “California Healthcare System”, che include il centenario ospedale di San Francisco:
“California Pacific Medical Center”, noto per l’elevata qualità dei servizi offerti), gruppi di medici,
numerose istituzioni finalizzate ad offrire prestazioni ambulatoriali di vario tipo. Questo può
considerarsi un esempio virtuoso, di come con la creazione di reti ospedaliere, possa affrontare la
crisi del sistema in USA, determinato da un processo sistematico di riduzione dei posti letto e di
strutture sanitarie. Risulta interessante infatti la rete Sutter Health per gli strumenti di management
adottati, sia per la strategia di fondo perseguita. Infatti la duplice finalità come gli acquisti e la
gestione finanziaria comune e l’ attivazione di percorsi assistenziali, per coordinare le strutture e i
professionisti intorno ai bisogni dell’utente, risulta una formula intelligente di gestione della rete
stessa. Si è puntato sul risparmio delle risorse, come mezzo per potenziare la qualità dei servizi per
la persona, mediante il presidio della continuità assistenziale. Inoltre il sistema di benchmarking e
raccolta dati qualitativi e clinico-sanitari, spinge gli operatori ad adottare stesse linee guida, stessi
protocolli per garantire il massimo livello di qualità per il paziente, omogeneità di trattamento e
continuità assistenziale tra ospedali di comunità e ospedali per acuti. L’utilizzo delle stesse linee
guida consente reporting sistematico di indicatori clinici di soddisfazione del paziente (Miolo Vitali
P. e Nuti S., 2003).
In Inghilterra l’attenzione sulle reti si focalizza sullo sviluppo di network clinici in grado di creare
legami tra cure primarie, secondarie e terziarie. Ci si attende che le reti siano in grado di aiutare i
professionisti e le organizzazioni a condividere idee e informazioni sulle vie migliori per garantire
la presa in carico globale del paziente secondo un approccio integrato dei servizi. Nel 2003 il
National Health Service (NHS), attraverso una revisione delle reti esistenti in Sanità in Inghilterra,
ha potuto appurare come poche fossero le soluzioni ideali di rete possibili data la grande variabilità,
ma, l’altrettanto poca presenza di evidenze sull’efficacia delle strutture a rete (Goodwin N. et al.,
2004). Per questo presero vita progetti per studiare: i fattori critici di successo in particolare della
rete oncologica, di cure agli anziani, di sanità pubblica e genetiche; come i professionisti lavorino
meglio in un’organizzazione reticolare, in particolare per le reti di patologia come diabete e
scompenso cardiaco; infine le migliori evidenze su come disegnare e gestire reti, come coordinarle
e offrire il meglio per i pazienti (vedi reti su scompenso cardiaco e disabilità dei bambini).
Lo sviluppo di reti nel NHS è stato incoraggiato come una strada possibile per la pianificazione e
offerta di servizi in Sanità e sta prendendo sempre più piede ad esempio:
‐
nel mettere in comune informazioni e competenze in e tra specialità,
‐
nella “clinical governante”,
22
‐
nel “joint commissioning”,
‐
tra piccoli ospedali che si vanno riconfigurando con modelli di centralizzazione,
‐
reti cliniche che si vanno concentrando e creando nuovi link tra cure secondarie e
terziarie.
In Scozia ad esempio dove per attuare il “managed clinical network” si attua il coordinamento
attraverso sia specialità (neurologia) sia patologie (diabete, cancro…), le reti cliniche permettono un
continuo lavoro di legami/relazioni tra organizzazioni e individui per migliorare il trattamento dei
pazienti che richiedono cure tra più settings ad esempio:
‐
diminuire le ridondanze professionali e organizzative,
‐
migliorare l’efficienza,
‐
mettere in comune le migliori pratiche,
‐
migliorare l’accesso alle cure,
‐
mettere al centro il paziente.
In Canada, in particolare in Quebec, da 10 anni il cancro è la prima causa di morte; per meglio
rispondere ai bisogni delle persone coinvolte e dei professionisti della salute è stato istituito il
Programma del Quebec di lotta al cancro nel 1998 (PQLC). L’approccio è di presa in carico globale
della persona, attraverso una rete integrata e gerarchica di cure e servizi basati su equipe
interdisciplinari, interventi pivot per coordinare i servizi, pratica clinica associata alla ricerca e
partecipazione delle persone coinvolte nell’esperienza di tumore e loro caregivers. Qui si attua una
valutazione esterna continua e ciclica degli ospedali e delle equipe interdisciplinari sulla base delle
seguenti dimensioni (ETMIS 2010):
‐
impegno istituzionale, servizi offerti attraverso il programma cancro e programma di
gestione della struttura,
‐
risorse umane dedicate,
‐
funzionamento del team interdisciplinare e comunicazione con gli altri nodi della rete di
cure,
‐
iniziative di gestione della qualità interna,
‐
strutture dedicate al funzionamento del Programma di lotta al cancro e in particolare
servizi informativi-informatici,
‐
qualità nella gestione degli screening e partecipazione al Programma sul tumore della
mammella.
Un altro modello internazionale di rilievo è quello della Rete degli Ospedali dell’Ontario (Canada):
“Ontario Hospital Association” che offre un’ampia gamma di servizi al cittadino erogati in strutture
diversificate come gli ospedali (Teaching Hospitals e Community Hospitals), ambulatori medici,
23
cliniche specializzate e strutture specializzate per lunga degenza. Gli ospedali qui infatti lavorano in
“patnership” con la comunità, per offrire ai cittadini i cosiddetti servizi di “outreach”, come
assistenza domiciliare, terapie e fisioterapie il più possibile vicini alle loro abitazioni (Miolo Vitali
P. e Nuti S., 2003). Il Cancer Care Ontario è sostenuto dal Cancer Quality Council con la mission di
mettere in luce punti di debolezza del sistema di lotta al cancro e consigliare in materia di
miglioramento della qualità (tramite indicatori di qualità Cancer System Quality Index fondato su
sette dimensioni della qualità: sicurezza, efficacia, accessibilità, reattività, efficienza, equità e
integrazione vedi sito http://www.csqi.on.ca/).
Qui risulta interessante il sistema di valutazione soprattutto della qualità percepita, un altro punto
di forza è la trasparenza per migliorare e confrontare attraverso il benchmarking diversi risultati di
performance, inoltre è anche un mezzo per i cittadini per partecipare attivamente al processo di
valutazione ed essere coinvolti nella conoscenza dei risultati.
Le teorie dell’organizzazione identificano tre dimensioni strategico-strutturali per queste tipologie
di reti (Bazzoli GJ et al., 1999; Bazzoli GJ et al., 2000):
o differenziazione si riferisce alla numerosità di differenti servizi che l’organizzazione offre
nel continuum dell’assistenza offerta, in particolare lo sviluppo di conoscenze/competenze
specialistiche;
o integrazione si riferisce agli strumenti organizzativi utilizzati per ottenere unità di intenti tra
le diverse componenti/attori;
o centralizzazione si riferisce all’entità di attività che sono da centralizzare rispetto a quelle da
decentralizzare.
A seconda di quanti servizi sono centralizzati possiamo parlare di “network” e “system” altamente
o moderatamente centralizzati. Il modello “hub & spoke” è un modello a centralizzazione media.
Nel contesto del nostro Servizio Sanitario Nazionale (SSN), sono oramai innumerevoli le iniziative
che richiamano la logica della “rete” a sostegno dell’implementazione di nuove soluzioni
organizzative. Sul fronte dell’offerta dei servizi, ad esempio, fenomeni legati alla progressiva
riconversione dei piccoli ospedali e alla valorizzazione dei centri di eccellenza (o ospedali di
riferimento secondo la dizione utilizzata nell’ambito del Progetto Mattoni del Ministero della
Salute), rappresentano interventi istituzionali che sottolineano la necessità di organizzare le attività
svolte all’interno del nostro Servizio sanitario nazionale secondo una logica reticolare.
Indicazioni di questo tipo derivano anche da linee di indirizzo dettate a livello regionale per la
creazione delle cosiddette “Reti integrate di servizi ospedalieri” che prevedono, ad esempio, una
distinzione tra ospedali di “riferimento” e ospedali “satellite” (Piano di riorganizzazione della rete o
24
spedaliera 2006 – Regione Lazio), o altre strutturazioni di tipo “hub & spoke” tra organizzazioni
che operano sul territorio (es. Emilia Romagna). Anche la creazione delle reti cittadine, così come
l’accorpamento e l’integrazione tra ospedali (vedi l’esperienza della Regione Lombardia)
(Meneguzzo M., 1996), rappresentano nuove strategie volte a razionalizzare l’offerta di servizi
attraverso una progressiva rimodulazione dei nodi della rete all’interno dei diversi contesti
regionali. In molte Regioni, invece, proliferano le esperienze per la realizzazione di forme di
integrazione interorganizzativa a “rete” per coordinare l’assistenza in specifici ambiti patologici (es.
la Rete Oncologica in Piemonte). Nella Regione Toscana la creazione delle Aree Vaste risponde
all’esigenza di integrare in una forma reticolare diverse aziende per giungere ad una dimensione
ottimale per gestire gli atti di concertazione ed alcune funzioni operative. In altre realtà, come ad
esempio nel caso dell’Azienda sanitaria unica regionale nelle Marche, la creazione di modelli “a
rete” è volta invece a dare risposta ai crescenti fabbisogni di coordinamento tra organizzazioni in
vista della realizzazione di maggiore equità, solidarietà e universalità, qualità e appropriatezza degli
interventi (Cepiku D. et al., 2006).
In Emilia Romagna si comincia a parlare di reti, come sistema strutturato di relazioni tra ospedali,
nella seconda metà degli anni novanta. In concomitanza con l’avvio dell’aziendalizzazione del
servizio sanitario regionale e del processo di riordino ospedaliero.
Inizialmente è considerato uno strumento organizzativo da implementare per sostenere un processo
di razionalizzazione dell’assistenza ospedaliera, imperniato sulla chiusura dei piccoli ospedali e
sulla concentrazione delle funzioni di assistenza.
Successivamente, l’organizzazione a rete assume le caratteristiche di una strategia organizzativa,
che oltrepassa i confini dell’ospedale, estendendosi alla programmazione, all’organizzazione e alla
gestione di servizi tecnico – logistici con valenza sub regionale e sovra – aziendale.
Il modello prevede la concentrazione dell’assistenza di maggiore complessità in “centri
d’eccellenza” (hub) e l’organizzazione dell’invio a questi “hub” da parte dei centri periferici
(spoke), dei malati che superano la soglia di complessità degli interventi effettuabili a livello
periferico. L’attività di tali centri è fortemente integrata attraverso connessioni funzionali con quella
dei centri periferici (spoke ) che garantiscono l’assistenza per la casistica residua.
In base al Piano Sanitario della Regione Emilia-Romagna, le funzioni di rilevanza regionale
organizzate secondo il modello hub & spoke sono: la terapia dei grandi traumi, l’oncologia, la
cardiologia intensiva e la cardiochirurgia, il sistema delle centrali operative 118, le neuroscienze
(neurochirurgia, neurologia e neuroradiologia), il trapianto di organi e tessuti, la terapia intensiva
neonatale e pediatrica, la terapia dei grandi ustionati, la genetica medica, le malattie rare, la rete
stroke care (PSR 1999-2001).
25
Anche nell’ultimo Piano Sociale e Sanitario regionale del 2008-2010 emerge l’importanza delle reti
integrate di servizi: tra servizi ospedalieri, territoriali di ambito sociale e sanitario garantendo
continuità e qualità assistenziale. Il concetto di integrazione si è sviluppato nell’ottica di una presa
in carico globale del paziente a livello di sistema, attraverso la responsabilizzazione collettiva della
rete. Inoltre viene confermata l’organizzazione secondo il modello “hub & spoke” fruendo delle
esperienze sin qui maturate per le aree disciplinari precedentemente menzionate, che hanno
consolidato la condivisione del modello organizzativo, ma si mette in luce in
particolare lo
sviluppo della rete oncologica e della diagnostica di laboratorio ad alta complessità (PSR 20082010).
In Emilia- Romagna l’integrazione tra le aziende è avvenuta attraverso il progetto di Area Vasta
come strategia di sistematizzazione e di consolidamento delle relazioni di collaborazione tra le
aziende. In particolare l’Area Vasta Romagna (composta dalle aziende sanitarie di Cesena, Forlì,
Ravenna e Rimini) ha attuato l’integrazione su più livelli: istituzionale o programmatorio, aziendale
o organizzativo-gestionale, livello professionale o assistenziale. Questa integrazione si è realizzata a
partire dall’unione delle procedure d’acquisto, sino alla più complessa realizzazione di reti sanitarie,
imperniate su strutture di servizio centrali e comuni alle quattro aziende (come nel caso della rete
oncologica, laboratoristica, trasfusionale ed emergenza urgenza 118).
La rete clinica oggetto del caso di studio è la Rete Oncologica della Romagna (Carradori et al.,
2010).
26
4. Valutazione delle reti in Sanità
Da qui nasce l’esigenza di valutazione delle reti in Sanità considerando questi nuovi obiettivi
(Haute Autorite de Sante, ANAES 1999) :
‐
Adattamento del sistema di cure ai bisogni dei pazienti,
‐
Abbattimento delle barriere del sistema di cure: nella medicina ambulatoriale ed
ospedaliera, tra specialisti e generalisti,tra settore pubblico e privato, in campo medico,
sociale e socio-sanitario,
‐
Aumento della competenza collettiva dei professionisti della salute per mettere a
disposizione di tutti nel modo più efficiente le loro competenze, ripartendo così compiti
e responsabilità, non solo tra professionisti sanitari ma anche con professionisti di altri
campi (sociale, giuridico, educativo etc…).
Alla luce delle teorie sull’organizzazione in rete, sviluppate in ambito sociologico ed economico, il
cambiamento è avvenuto ed avviene secondo tre direttrici principali (CREDES, 2001) :
‐
La trasformazione dei meccanismi di coordinamento e/o di cooperazione tra i diversi
professionisti che ha interessato anche i pazienti, questo ha dato una risposta nel gestire
l’incertezza e la complessità della presa in carico. Tutto questo ha avviato dei
meccanismi di qualità della presa in carico, rendendo più razionale il percorso dei
pazienti,
‐
La migliorata capacità da parte del mondo dei professionisti di considerare la
dimensione economica delle cure, le reti hanno da questo punto di vista un ruolo
pedagogico,
‐
La maggiore trasparenza nel rendere conto, grazie alla partnership data dall’insieme
degli attori della rete.
La rete quindi come una struttura organizzativa delle attività di un sistema di cure, che produce
servizi per utilizzatori/pazienti. La rete come supporto tecnico alla produzione: leva di un potenziale
cambiamento. La rete è anche però una dinamica di attori, uno spazio di creatività istituzionale dove
si possono rinegoziare i ruoli di ciascuno e inventare nuove soluzioni (referenti, lavoro collettivo,
valori professionali…), in altri termini un luogo di sperimentazione sociale nel senso pieno del
termine.
Quindi l’analisi non è solo da un punto di vista sanitario ed economico, è necessario interessarsi al
cambiamento culturale, all’importanza per i professionisti e ai cambiamenti organizzativi. La
valutazione delle reti si riferisce al miglioramento anche della presa in carico dei
destinatari/pazienti, rispetto ad una situazione esistente ritenuta problematica, quindi pone al centro
del giudizio, non solo gli stakeholders, ma in primis il paziente: coordinamento degli interventi,
27
fluidità della traiettoria di cura, continuità nella presa in carico. La valutazione delle reti riguarda il
miglioramento anche della presa in carico dei destinatari/pazienti, rispetto ad una situazione
esistente ritenuta problematica, quindi pone al centro del giudizio non solo gli stakeholders ma in
primis il paziente: coordinamento degli interventi, fluidità della traiettoria di cura, continuità nella
presa in carico. Per questo oltre a metodi quantitativi l’approccio è attraverso strumenti di
valutazione qualitativi.
Le dimensioni da considerare per valutare il reale impatto delle reti sono:
‐
Il paziente/utilizzatore (misurare la soddisfazione, la qualità di vita percepita, “patient
experience”);
‐
L’organizzazione delle cure e pratiche professionali (tre impatti potenziali:
organizzazione delle cure, pratiche professionali collettive, pratiche professionali
individuali, avviene o meno una corretta gestione del paziente, individuazione del
percorso/traiettoria ideale rispetto a quello reale. Identificazione dei punti critici del
percorso e loro analisi con metodi quali-quantitativi. Regole di buona pratica
professionale a livello locale e nazionale);
‐
Le relazioni tra gli attori della rete (valutazione della capacità delle reti di trasformare
in modo duraturo le relazioni tra attori del mondo sanitario, sociale ed istituzionale);
‐
Le spinte economiche e la remunerazione (nuovi modelli remunerativi, indicatori di
fattibilità..);
‐
La riorganizzazione delle cure (impatto della rete sulla popolazione, sull’ospedale,
sulla comunità, trasformazione sistemica).
28
4.1 Il caso di studio della Rete Oncologica della Romagna
“L’importanza di collegare in rete i diversi regimi assistenziali, per favorire l’integrazione e il
coordinamento delle risorse, come pure della ricerca clinica e sperimentale” è ribadito nel
“Documento di indirizzo per ridurre il carico di malattia del cancro 2011-2013” del Ministero della
Salute, che afferma la necessità di promuovere l’attivazione di Reti Oncologiche Regionali (ROR),
portando come esemplificativi i casi di Rete attivate in Piemonte (Rete Oncologica Piemonte e
Valle d’Aosta – ROPVA) e Toscana /(Istituto Tumori Toscana – ITT). In questa direzione si sta
muovendo anche la Regione Emilia Romagna, con l’istituzione della Rete Oncologica per l’Area
Vasta della Romagna (Carradori T. et al., 2010; Cacciari et al., 2010).
Tra i benefici più immediati introdotti dall’applicazione dei modelli reticolari ci sono la
razionalizzazione delle risorse (tangibili, intangibili e umane), un utilizzo mirato degli investimenti
ed un aumento della specializzazione (Cicchetti A. et al., 2006). Emerge dunque un ruolo
fondamentale dei network in termini di efficienza gestionale, di efficacia decisionale e di
integrazione.
Sulla base delle considerazioni è stato strutturato uno studio di analisi della Rete Oncologica di
Area Vasta Romagna.
Il caso di studio oggetto di questa fase della ricerca si propone di approfondire i seguenti aspetti:
‐
la storia, fattori favorenti la nascita del network e le sue dimensioni,
‐
la missione della rete ed i suoi obiettivi,
‐
l’organizzazione della “governance” della rete,
‐
i vincoli e di benefici dell’affiliazione,
‐
i processi di finanziamento della rete,
‐
le procedure e i meccanismi operativi della rete,
‐
i problemi legati allo sviluppo e sperimentazione di un sistema a rete,
‐
quali le conseguenze della rete sulla riorganizzazione dei servizi, sulla pratica clinica e sulla
collettività dei professionisti e sulla loro formazione,
‐
l’impatto di un sistema a rete sul paziente.
29
Data l’eterogeneità degli obiettivi che ci poniamo è stato necessario strutturare studi diversi e
paralleli volti in ultima analisi a dare voce alle percezioni:
‐
dei principali promotori della rete, “key informant” (Studio 1)
‐
degli stakeholders della rete (medici, infermieri, amministrativi) (Studio 2)
‐
delle persone con esperienza di tumore (Studio 3)
In Emilia Romagna attraverso il Piano Sanitario Regionale 1999-2001 (delibera 556/2000,
1267/2002) e quello Sociale e Sanitario 2008-2010, è stata prevista una rimodulazione della rete
ospedaliera applicando il modello “hub & spoke”. Nel caso specifico della Rete Oncologica della
Romagna, è possibile rintracciare una struttura Hub (Istituto Scientifico Romagnolo per lo Studio e
la Cura dei Tumori – IRST di Meldola) a cui si aggiungono gli Spoke dipartimentali con vocazione
all’autosufficienza territoriale di Ravenna, Rimini e le altre due realtà di Forlì e Cesena, che hanno
ceduto totalmente o in parte l’attività di I e II livello al centro Hub (Fig. 1). L’IRST quale centro di
tale network di strutture operativamente connesse e funzionali, presidia tutti i trattamenti innovativi
e le attività ad alta complessità tecnologica. È altresì punto di riferimento della ricerca clinica di
Area Vasta Romagna (AVR) e svolge un ruolo volto a favorire l’integrazione delle attività
assistenziali delle strutture oncologiche del territorio. Fa parte della rete, lo IOR (Istituto
Oncologico Romagnolo) che, oltre ad essere socio ideatore, fondatore e tra i principali finanziatori,
garantisce la presenza di volontari, che seguono la parte non sanitaria del servizio, dando supporto
ai pazienti in reparto e in day hospital e fornendo informazioni ai loro familiari- caregivers. La Rete
Oncologica dell’Area Vasta Romagna (di seguito: AVR), presso cui è stata eseguita la verifica del
modello proposto da Minvielle et al. del 2008, è un network di strutture ospedaliere operativamente
connesse e funzionali che serve la popolazione dei 1.117.188 residenti nelle province di Ravenna,
Forlì-Cesena e Rimini. La rete è stata istituita nel 2007 con gli obiettivi principali di migliorare la
qualità dell’assistenza ai pazienti neoplastici, governare unitariamente le attività di ricerca,
ottimizzare l’impiego delle risorse (Cacciari P. et al., 2010). Ha una struttura hub and spoke (Lega
F., 1998; Lega F., 2002; Cicchetti A., 2002) che vede nel ruolo di hub l’Istituto Scientifico
Romagnolo per lo Studio e la Cura dei Tumori (IRST) di Meldola (FC) e come spoke i dipartimenti
di Forlì, Cesena, Rimini (Dipartimenti Oncologici) e Ravenna (Dipartimento Oncologia ed
Ematologia), che hanno ceduto totalmente o in parte l’attività oncologica di I e II livello al centro
hub. Essendo una struttura di recente istituzione, la valutazione della coesione e dell’integrazione
tra i diversi nodi, di tipo sia organizzativo che valoriale, è un argomento di primario interesse per la
Rete Oncologica AVR.
30
Fig. 1 La Rete Oncologica AUSL AVR-IRST
H
Ravenna
H
H
H
Forlì
H
H
Cesena
RiminiH
La Rete Oncologica della Romagna si ispira ai principi organizzativi del Servizio Sanitario
Regionale:
o
Alleanza e cooperazione tra gli attori del sistema sanitario;
o
Centralità della persona;
o
Integrazione (organizzativa, professionale, sociale e sanitario, ricerca e assistenza);
o
Stratificazione dell’offerta di servizi e organizzazione in rete;
o
Responsività;
o
Partecipazione dei professionisti all’organizzazione e alla programmazione.
La Rete Oncologica dell’Area Vasta Romagna, così strutturata, vuole rappresentare un’opportunità
per la popolazione romagnola, che può accedere ai migliori servizi oncologici disponibili; per i
professionisti sanitari invece una possibilità di realizzare la loro attività in un ambiente di lavoro
31
scientificamente stimolante ed in espansione; per gli amministratori un modo di perseguire,
attraverso la sinergia delle competenze e delle specificità, l’ottimale utilizzo delle risorse.
La concreta realizzazione della rete oncologica richiede ora un’efficiente organizzazione delle
traiettorie di cura dei pazienti, con il trattamento nella sede di origine dei casi a media complessità
assistenziale e la destinazione e concentrazione delle tipologie più complesse presso l’Hub,
garantendo a tutti i cittadini equità di accesso, favorita dalla prossimità geografica. La sfida
presente è quella di costruire e precisare nuovi percorsi attraverso la formulazione di protocolli
operativi e di intesa, che riconoscano una suddivisione, all’interno della rete oncologica, in livelli di
assistenza a diversa complessità e specializzazione, che definiscano un sistema di relazioni tra i
nodi della rete, perseguendo l’appropriatezza organizzativa e clinica e che predispongano un
sistema condiviso di valutazione della qualità dei servizi offerti.
32
4.2 Studio 1 informatori chiave della Rete Oncologica della Romagna
Premessa
Coerentemente con il dibattito internazionale (Shortell S. et al., 1994; Pointer D. et al. 1994) e
nazionale (Cicchetti A., 2002; Lega F., 2002; Meneguzzo M., 1996) ci si è proposti, attraverso uno
studio qualitativo, di riflettere con gli informatori chiave della Rete Oncologica della Romagna, sul
contributo che l’adozione di un modello “Hub & Spoke” può aver fornito all’erogazione dei servizi
sanitari, in termini di efficacia, efficienza gestionale e appropriatezza.
Metodologia
Sono stati coinvolti otto informatori chiave della rete, quali testimoni significativi del processo di
riflessione avviato a livello regionale sul tema dell’istituzione della Rete Oncologica della Romagna
e nello specifico, due amministratori politici e sei professionisti con un ruolo dirigenziale all’interno
della Rete Oncologica, uno dei quali anche rappresentante del volontariato.
Per dar voce, rendere esplicita la loro rappresentazione e valutazione della rete è stata utilizzata la
metodologia dell’intervista semi-strutturata (Bravi F. et al., 2012).
Dopo una breve descrizione degli obiettivi dello studio, seguivano delle domande volte a rilevare in
primis il loro punto di vista sul lavoro svolto (La situazione di partenza; Macro-struttura della rete
- Azioni per la costruzione della rete; L’organizzazione della rete, l’assistenza in rete) e in seguito
la loro valutazione del progetto (ostacoli e fattori di successo).
Le interviste semi-strutturate sono state audio-registrate e trascritte in documenti di testo. Il corpus
testuale è stato sottoposto a due analisi principali. La prima parte dell’intervista è stata sottoposta ad
analisi delle associazioni di parole con l’ausilio del software T-Lab (Lancia F., 2004), al fine di
evidenziare la rappresentazione di “rete” condivisa dagli intervistati. Le risposte sulla valutazione
del progetto sono state invece sottoposte ad analisi del contenuto, definita come “una tecnica di
ricerca per la descrizione obiettiva, sistematica e quantitativa del contenuto manifesto della
comunicazione (Berelson B., 1952), al fine di trarre informazioni più dettagliate sugli aspetti
percepiti dai partecipanti come positivi e/o critici connessi all’attivazione del modello reticolare
“Hub & Spoke”.
Risultati
Dopo aver sottoposto il testo ad una procedura di lemmatizzazione automatica (3848 forme, 8 testi,
24168 lemmi, 468 segmenti, soglia 7) è stata effettuata l’analisi delle associazioni di parole, che ha
permesso di evidenziare la rete semantica che gravita attorno al lemma con maggior occorrenza:
“rete”. Nello specifico, la rete è descritta come un sistema di nodi e di relazioni, volto a rispondere
33
con qualità ai bisogni specifici della popolazione e a migliorare il funzionamento complessivo nei
livelli Hub (IRST) e Spoke (ospedaliero, professionisti) (Tab II).
Tab. II- Parole associate al lemma “Rete” e grado di associazione
Lemma
Coefficiente del
Lemma
Coseno
Coefficiente del
Lemma
Coseno
Coefficiente del
Coseno
Oncologico
0,2781
Realtà
0,1858
Diverso
0,1682
Nodo
0,2426
Qualità
0,1830
Sistema
0,1657
Obiettivo
0,2204
Particolare
0,1830
Capacità
0,1657
Relazioni
0,1991
Romagna
0,1801
Risposta
0,1657
Nascere
0,1881
Problema
0,1756
IRST
0,1631
Professionista
0,1879
Ospedaliero
0,1698
Funzionamento
0,1601
Progetto
0,1879
livello
0,1690
Coerentemente con gli obiettivi del presente studio, si è poi proceduto a rintracciare le sezioni del
testo ove co-occorrevano alcune coppie di lemmi, quali: rete – obiettivi; rete- qualità; rete-relazioni.
Ne è emersa una descrizione di rete come “patrimonio che fa capo alle aziende sanitarie dell'AVR che si
compone di UO e servizi di oncologia che sono diffusi in tutte le realtà aziendali, in grado di offrire a livello locale una
risposta qualificata ai bisogni di cure e di assistenza oncologica INT_3”, superando eventuali forme di non
equità.
34
In altri termini “Il primo obiettivo che si pone una rete è quello di realizzare uno standard terapeutico-assistenziale
omogeneo sul territorio nel quale insiste la rete INT_5”, e di “superare le variabilità ingiustificate nelle pratiche,
riducendo le differenze INT_1”.
Tali risposte cliniche devono caratterizzarsi per: a) elevata qualità, si tratta di “offrire alle persone
affette da patologia tumorale l'opportunità di accesso a tecnologie emergenti e sperimentali, per le quali prima della
rete e del suo nodo centrale, trovavano risposte tendenzialmente migrando verso altri centri regionali o extraregionali
INT_1”; b) attenzione alla persona ed ai suoi bisogni, garantendo “[...]responsività, nel concetto di
responsività ci stanno tanti aspetti, tra i quali la qualità della relazione curato e curante INT_1”. È necessario, per
raggiungere tali obiettivi, investire negli operatori ossia “elevare la capacità e la qualità dei professionisti di
ogni ordine di grado e livello, attraverso la messa in comune delle conoscenze, per realizzare un vera e propria
comunità professionale in campo oncologico INT_1” e “mettere in sintonia le diverse strutture in modo da creare
sinergie nell'assistenza routinaria e della ricerca INT_2”.
Quest’ultimo aspetto è stato raggiunto perché “l’anima, il motore di tutta questa vicenda, quelli che hanno
consentito la realizzazione dell’idea sono stati i professionisti e la forte volontà di integrarsi tra di loro INT_4.” In
aggiunta “il progetto è stato accompagnato da una campagna di comunicazione/informazione abbastanza importante,
che è stata condotta utilizzando anche l’esperienza che lo IOR aveva fatto, ed è stata anche accompagnata da un
percorso di presentazione prima, condivisione poi, alle Istituzioni locali, in particolare ai Sindaci dei diversi comuni
ed alle conferenze socio-sanitarie territoriali INT_7.”. Molta attenzione è stata quindi data al consenso
sociale, affinchè il progetto della rete trovasse un terreno fertile entro cui svilupparsi, per garantire
ai pazienti, quando appropriato, “l'accesso alle cure [...] più sofisticate ed avanzate, [...] di ultima generazione
INT_3”. La rete investe infatti molto anche nella ricerca, è dotata di un centro unico, l’IRST, che “è
nato proprio per garantire, ad un territorio importante come quello dell’Area Vasta, dove l’attività assistenziale,
terapeutica, diagnostica, preventivo ed oncologica era di buon livello già di partenza, un’attività di ricerca coordinata
che consentisse di salire ulteriormente dal punto di vista della qualità INT_5”. Per garantire ciò sono stati
istituiti nell’Area Vasta Romagna due comitati interni unici che si occupano della valutazione dei
progetti di ricerca, un medico-scientifico ed uno etico, che garantiscono una produzione scientifica
altamente qualificata.
Dal punto di vista organizzativo, per garantire “la presa in carico della persona e dei suoi bisogni
assistenziali, affinché il paziente possa muoversi in un modo coordinato lungo tutti i punti della rete minimizzando
quelle che sono le disfunzioni rispetto alla sua vita abituale, il coordinamento e le relazioni diventano aspetti essenziali
INT_1”. Concretamente, “le relazioni tra le aziende cui appartengono i nodi della rete, avvengono attraverso i
contratti di fornitura. Quindi tutti gli anni sono siglati contratti di fornitura, dove vengono specificati i criteri, inclusi i
criteri di invio etc. e i volumi budgetari che tendenzialmente corrispondono alle committenze effettuate INT_1”.
Se da un lato gli intervistatori ribadiscono il successo ottenuto “per avere realizzato una rete e l'istituto di
ricerca grazie alla capacità di essere stati insieme per tanti anni per raggiungere obiettivi comuni e la volontà di
superare i campanili INT_2”, dall’altro ne ribadiscono le difficoltà: “la costruzione di una rete è sempre
35
un'impresa che incontra delle resistenze INT_7”. Il lavoro di rete necessita infatti costantemente di verifiche
e di manutenzione. Questa considerazione, ci introduce all’analisi delle positività e criticità
percepite dai key informant.
Le valutazioni che gli intervistati hanno dato dell’implementazione della rete sono
complessivamente positive. Alla richiesta di indicare da 1 a 10 il grado di integrazione raggiunta
dalla rete, è stata espressa una valutazione più che sufficiente, dato che “quando ragioniamo di reti così
complesse sopra il 6 e mezzo va bene, la valutazione è assolutamente positiva INT_8”.
La rete infatti ha permesso di migliorare “la disponibilità in loco di trattamenti, prima disponibili solo in altre
parti della regione o fuori regione [...], l’equità di accesso, sia dal punto di vista dei costi diretti o indiretti [...], la
disponibilità di tecnologie particolarmente sofisticate INT_1”.
All’attivazione della rete ha sicuramente contribuito “l’esperienza già presente sul territorio ed il fatto che i
professionisti hanno accettato da subito di essere artefici del progetto stesso, quindi era forte il consenso da subito
INT_8”, ma, dopo una fase di “luna di miele” tra i professionisti, col tempo [...] questo consenso è andato
frammentandosi INT_3”: non è infatti un caso che “fino a quando si parla di un progetto, che ha finalità
migliorative, in linea generale non si hanno particolari divisioni o criticità. Quando invece lo si realizza e diventa
operativo,si toccano con mano quelli che sono i cambiamenti prodotti dall’attivazione del progetto ipotizzato. Ciò
produce anche una riconsiderazione dei propri ambiti di autonomia o responsabilità, compreso condivisione e/o
cessioni di sovranità INT_1”.
In questo panorama, diventa importante “[...] andare verso una strutturazione maggiore della rete stessa. [...]
credo che in passato si sia lavorato per il coordinamento dei professionisti, ora invece siamo proiettati di più verso
questa strutturazione in funzioni, in nodi che sappiano differenziarsi, integrarsi INT_3”. In altri termini sebbene
“già nell’ambito del progetto originario, sono stati definiti i ruoli e le responsabilità dei diversi nodi della rete, il
processo continua INT_1” nella prospettiva di “promuovere di più l’idea che vi è una rete, di cui l’IRST è una delle
componenti anche la più importante, ma da sola non potrebbe far funzionare tutto il sistema INT_3”.
Per raggiungere tali obiettivi, diventa funzionale la messa a punto un sistema di monitoraggio unico
che presidii i processi comunicativi e le procedure tra i nodi della rete e permetta una valutazione
sistematica dell’equità e della qualità del servizio offerto alla cittadinanza, anche per “evitare che i
nodi finiscano per fare ciò che organizzativamente, secondo il progetto è considerato inappropriato INT_1”.
Verso questa direzione si muovono anche i cambiamenti ai sistemi di Information and
Communication Technology “il sistema informativo è sicuramente uno degli strumenti di monitoraggio del
funzionamento della rete, va però migliorato , va omogeneizzato di più tra i soggetti appartenenti alla rete e va esteso
in alcune sue parti INT_3”; in altri termini “non può dirsi compiutamente realizzato, però c’è stata una grande
convergenza verso sistemi di archiviazione dei dati e di gestione della cartella clinica in maniera omogenea su tutti i
punti della rete, per favorire lo scambio di informazioni. Per ciò che concerne le modalità di prenotazione, di accesso
alle prestazioni, dei sistemi unici centralizzati nell’accesso alle prestazioni, vi è convergenza verso strumenti comuni
tra aziende diverse. È un processo in corso ma fa parte di una di quelle strategie che potranno in futuro rendere più
integrata la rete INT_3” . La consapevolezza della necessità di definire indicatori comuni ed un sistema
36
di monitoraggio puntuale della rete oncologica, di individuare responsabilità precise nel
coordinamento della rete, insieme alla positiva apertura all’utilizzo della tecnologia per monitorare i
processi, costituiscono senz’altro buone risorse interne alla rete stessa, da sviluppare nel futuro,
dato che “non abbiamo messo a regime quello che è il sistema della valutazione in tutte le sue molteplici dimensioni,
essendo ancora preoccupati essenzialmente di costruire la rete INT_1”.
Discussione
Il presente contributo ha permesso di descrivere la percezione di otto Key Informant sul lavoro
svolto per la creazione della Rete Oncologica Romagnola. Nonostante infatti la diffusa
consapevolezza della necessità di adottare modelli organizzativi a “rete” in Sanità, alcuni aspetti
sembrano ancora parzialmente inesplorati e questo in parte deriva dall’ambiguità stessa della parola
rete.
Nello specifico le interviste (vedi Allegato 1) condotte, hanno messo in luce, quattro principali
aspetti, su cui i partecipanti, concentrano l’attenzione, nel momento in cui sono chiamati a riflettete
sulla Rete Oncologica Romagnola:
‐
qualità ed equità dell’assistenza e della presa in carico erogata,
‐
innovazione, sperimentazione, implementazione di protocolli di ricerca,
‐
aspetti istituzionali ed organizzativi, volti a promuovere il consenso sociale, favorire la
relazione tra Hub e Spoke, implementare sistemi informativi condivisi e di monitoraggio
della rete medesima,
‐
valore e importanza data alla clinical network e al lavoro in equipe tra professionisti.
Questi risultati in parte confermano le principali teorizzazioni (Barabasi AL., 2002; Ciccetti A.,
2002; Lega F., 1998, 2002; Mascia D., 2009), che sostengono che il cambiamento introdotto da
un’organizzazione reticolare avviene secondo tre direttrici principali: a) la trasformazione dei
meccanismi di coordinamento e/o di cooperazione tra i diversi professionisti che interessa anche i
pazienti, con l’avvio dei processi di indagine della qualità della presa in carico; b) la migliorata
capacità da parte del mondo dei professionisti di considerare la dimensione economica delle cure; c)
la maggiore trasparenza dei ruoli e funzioni tra i vari attori della rete.
In altri termini, sono state portate conferme alla presenza di alcuni fattori dominanti il modello
organizzativo a rete in Sanità, quali: il fattore organizzativo (nuovi processi di presa in carico, nuovi
modelli di organizzazione delle cure), il fattore economico (sistema di risorse limitato), il fattore
della partnership (nuove forme di rapporti tra gli attori del sistema di cure, compresi i pazienti).
Il percorso di strutturazione della Rete Oncologica Romagnola non è da considerarsi concluso, anzi
le migliorie proposte dai Key Informant per implementare un sistema informativo comune (Le
37
Borgne F. et al., 2007), per definire con chiarezza i ruoli e compiti funzionali dei nodi della rete
rappresentano un ulteriore investimento sui tre aspetti sopra descritti.
Infine, ma non secondario per valutare la rete, è il punto di vista dei pazienti nei confronti
dell’assistenza e della presa in carico ricevuta durante tutto il percorso e non solo verso porzioni di
esso.
Avere
delle
informazioni
di
questo
tipo,
anche
legate
alla
sensazione
di
continuità/discontinuità del percorso permetterebbe di raccogliere ulteriori informazioni utili per
migliorare la qualità del servizio erogato.
38
4.3 Studio 2: stakeholders della Rete Oncologica della Romagna
Premessa
Nei clinical networks è stato dimostrato che la condivisione di conoscenze e di esperienze pratiche
tra i professionisti (medici, operatori sanitari e sociali, amministrativi, infermieri) aumenta la
performance della rete stessa, rendendo possibile la diffusione delle innovazioni e l’adozione di
nuove pratiche cliniche da parte dei diversi professionisti. I professionisti esterni (medici di
medicina generale, pediatri di libera scelta, ecc.) inoltre possono trovare nella rete un modo per
uscire dall’isolamento, instaurando nuove e proficue relazioni professionali (Grenier A., 2004).
Sebbene tali vantaggi siano ben descritti, nella letteratura sono ancora pochi gli studi che hanno
cercato di analizzare gli aspetti critici e di successo di un’organizzazione reticolare in Sanità così
come percepiti dagli attori che l’hanno promossa, dagli operatori che vi lavorano e dalle persone
che la utilizzano.
La conoscenza dei valori condivisi all’interno dell’organizzazione e dei drivers della performance,
sono di grande importanza nel governo dei sistemi sanitari e nell’organizzare le fasi del
cambiamento.
A riguardo, un recente contributo di Minvielle et al. (2008) ha messo a punto e validato uno
strumento di rilevazione della performance ospedaliera considerando simultaneamente la
prospettiva di valutazione ed i valori degli attori interni al servizio (medici, infermieri, personale
amministrativo).
Gli autori sono partiti da una revisione della letteratura, che ha permesso di individuare quattro
principali modelli teorici, che riconducevano la performance rispettivamente a:
‐
il raggiungimento di specifici obiettivi (Rational goal model), definiti in termini di Goal
attainment, Efficacy/effectiveness, Cost control/efficiency e Patient satisfaction;
‐
l’interazione ottimale con l'ambiente circostante (Open system model) descritta dalle
sottodimensioni Openness e Attractiveness/capacity to acquire resources;
‐
la presenza di processi interni integrati (Internal process model), cui fanno capo Productivity
e Internal organization;
‐
la presenza di un assetto valoriale e normativo (Human relations model) in grado di
supportare il funzionamento e il perseguimento degli obiettivi, articolato in Work climate,
39
Professional values, Public service values, Organizational values, Personal achievement
values.
A partire da tale revisione e sulla base di diversi altri riferimenti teorici ed empirici gli autori hanno
definito un modello di performance ospedaliera in cui sono presenti simultaneamente i quattro
modelli sopra illustrati (Quinn RE et al., 1983; Parsons T., 1951). Tale struttura operazionalizza
l’ipotesi che un sistema per poter ben funzionare sia contemporaneamente e con uguale priorità:
orientato ai suoi obiettivi; interagente con l'ambiente circostante per ottenere le risorse; dotato di
propri processi interni integrati; dotato di un assetto valoriale e normativo che supporti il suo
funzionamento e il perseguimento dei tre precedenti obiettivi (Minvielle E. et al., 2008; Sicotte C. et
al., 1998).
Il modello è stato verificato empiricamente con la somministrazione di un questionario composto da
66 item (4 macro-dimensioni corrispondenti ai principali modelli teorici e 13 sub-dimensioni) a 402
professionisti (medici, infermieri, personale amministrativo, ecc.) dello staff dell’ospedale
universitario di Bicêtre (Parigi) (Minvielle E. et al., 2008), dimostrando che, nel contesto esaminato
la dimensione considerata dai professionisti come maggiormente qualificante la performance
ospedaliera, con uno scarto significativo rispetto alle altre tre, è la Human relations, con risultati
sostanzialmente analoghi per le tre diverse categorie professionali. L’attenzione posta a questa
dimensione, a scapito delle più tradizionali valutazioni di risultato e di efficienza, ha confermato
l’intuizione di allargare la misurazione della performance agli indicatori che riguardano lo stato
delle relazioni e dei valori interni all’organizzazione.
L’obiettivo e’ stato quello di validare empiricamente il modello proposto da Minvielle et al.
(Minvielle E. et al., 2008) nel contesto del sistema sanitario italiano e di indagare le
rappresentazioni della performance ospedaliera da parte degli stakeholders interni della rete
oncologica di AVR, in modo da disporre di elementi di conoscenza che possano orientare la
creazione degli strumenti per una eventuale futura effettiva valutazione della performance delle
strutture e della rete oncologica.
Metodologia
La ricerca nella Rete Oncologica AVR è stata resa possibile in quanto compresa nell’ambito di una
più generale ricerca a livello nazionale promossa dall’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari
Regionali (Age.Nas), che ha attivato nel 2007 il progetto di ricerca “Strumenti e modelli per la
programmazione delle reti ospedaliere”. Il progetto, finanziato dal Ministero della Salute italiano, si
proponeva tra l’altro di tradurre il modello proposto da Minvielle et al. e validarlo nel contesto
40
italiano, specificamente nelle aree di Emilia-Romagna, Lombardia, Veneto, Toscana (Angelastro A.
e Lombardi M., 2010).
Al momento della rilevazione (marzo-giugno 2009) il personale operante nelle strutture della rete
ammontava in complesso a 882 unità; i questionari inviati sono stati 500 (100 per ogni
Dipartimento e per l’IRST), stratificati secondo le quote di lavoratori delle tre macro-figure
professionali dei medici (175 questionari), caregiver (275) e staff amministrativo (50 questionari),
rispettivamente sovracampionata la parte medica con una percentuale pari a70,6% (per prevenire un
loro minor tasso di risposta), a seguire quella infermieristica con 51,0% e lo staff amministrativo
pari a 52,6%.
Il questionario somministrato ai professionisti della Rete Oncologica deriva dalla versione in lingua
francese fornita dagli autori, tradotta e adattata, per tenere conto del diverso sistema sanitario
italiano, delle sue diverse realtà organizzative e modalità di erogazione delle cure, con la
supervisione degli stessi autori. La versione italiana è disponibile.
Il questionario contiene una breve descrizione degli obiettivi della ricerca e alcune istruzioni di
compilazione, la sezione con i dati anagrafici non nominativi (età, anzianità di servizio, funzione
svolta) e i 66 items della scala Hospital Performance definita da Minvielle et al.. Per ognuno di
questi, i partecipanti hanno espresso la loro opinione in merito all’importanza dell’item per
qualificare un ospedale come performante con un voto da 0 (per nulla importante) a 10
(importantissima). Sia la somministrazione che il data entry sono stati curati internamente dal
personale della rete di AVR.
È stata condotta un’analisi fattoriale confermativa (CFA), allo scopo di verificare se le relazioni
attese sul piano teorico dal modello proposto si ripropongono nei dati raccolti in AVR (Hoyle R.H.,
2000) e, successivamente all’impraticabilità della suddetta ipotesi, da un’analisi fattoriale
esplorativa (EFA) con cui si è individuata una struttura latente alternativa a quella proposta. Le
elaborazioni sono state svolte con i software AMOS v.18 (CFA) e SPSS v.17.0 (EFA).
Risultati
I questionari compilati sono stati 341, con una redemption complessiva del 68,2%. Sui questionari
l’ AgeNas ha svolto le operazioni di controllo di qualità (ricerca di eventuali errori di inserimento,
dati mancanti o anomali) e, in accordo con quanto indicato da Minvielle et al., di eliminazione di
tutti i soggetti caratterizzati da più di cinque valori mancanti tra i 66 items della scala, ottenendo
così 329 questionari validi. La redemption complessiva è del 65,8% e per singola categoria
professionale si è ottenuto il 66,2% per gli infermieri, il 56,0% per i medici e il 90,0% per il
personale gestionale-amministrativo.
41
La verifica dell’assunzione di normalità multivariata non ha dato esito positivo, essendo la gran
parte degli items distribuiti con forte asimmetria positiva. Ciò ha comportato, in sede di CFA,
l’utilizzo del criterio di stima della massima verosimiglianza con correzione robusta (Hutcheson G.
et al., 1999).
Per quanto riguarda invece l’EFA, il metodo di estrazione utilizzato è stata l’Analisi delle
Componenti Principali, che non richiede specifiche assunzioni in merito alla distribuzione dei dati
(Satorra A. et al., 1994); la rotazione obliqua Promax si è resa opportuna per la presenza di
correlazione tra i fattori. Si sono in particolare valutate due soluzioni: quella con numero di fattori
corrispondenti al numero di autovalori >1 (Kaiser criterion) e quella a quattro fattori, per testare
l’eventuale corrispondenza con le quattro dimensioni proposte da Minvielle et al. .Per assicurare le
proprietà di convergenza e di discriminazione dei fattori, sono stati eliminati dalla soluzione finale
gli items con i loadings inferiori a 0.40 o cross-loadings superiori a 0.40.
Essendo stati eliminati a priori i soggetti che presentavano più di 5 missing items rispetto ai 66 del
questionario, i valori mancanti sono presenti in misura molto limitata (non oltre l’1,5% per ogni
item). Vista però la loro dispersione su numerose variabili, il trattamento listwise dei dati mancanti
avrebbe determinato una forte riduzione del dataset, pertanto si è preferito impiegare l’imputazione
automatica dei dati mediante le opzioni previste dalle procedure di stima (stima della massima
verosimiglianza per la CFA con AMOS; sostituzione con la media per la EFA con SPSS).
Il confronto tra il modello teorico e quello risultante dalla nostra elaborazione si è realizzato
individuando con una tabella a doppia entrata l’attribuzione degli items ai fattori nei due modelli.
Sono infine stati calcolati gli scores fattoriali nel campione totale e per figura professionale, allo
scopo di evidenziare l’eventuale esistenza di percezioni differenti tra le figure professionali.
Analisi fattoriale confermativa (CFA)
Si è cercata la conferma della struttura originaria del questionario in due livelli (4 dimensioni e 13
sub-dimensioni), ottenendo in entrambi i casi una soluzione non ammissibile, a causa di matrici di
covarianza non definite positive. Quando si verifica una tale situazione ciò può dipendere da un
modello troppo complesso (Garson G.D, 2011), oppure da un modello errato o da un campione
troppo piccolo (Corbetta P., 2002). Si è tentato di risolvere il problema testando un modello più
semplice, eliminando gli 11 items con le comunalità più basse, comprese tra 0.116 e 0.387, ma
anche con questa semplificazione si è ottenuta una soluzione non ammissibile.
42
Analisi fattoriale esplorativa
È stato effettuato un test KMO che indica che la numerosità campionaria è adeguata (0.958). La
soluzione ottenuta in base al numero di autovalori > 1 individua 11 fattori che nel complesso
spiegano il 65,8% della varianza degli items. Dalla matrice dei modelli (non riportata) si evidenzia
però che circa 20 dei 66 items non mostrano una chiara attribuzione ad un unico fattore fatta
eccezione per il primo fattore. Gli altri 10 fattori sono difficilmente interpretabili oppure
contengono items con elevato cross-loading.
Si è quindi proceduto ad effettuare una EFA in cui si è imposta una struttura latente a 4 fattori, i cui
risultati sono riportati nella Tab. 2. Oltre a proporre fattori tutto sommato chiaramente interpretabili,
questa analisi ha portato alla selezione di un set ridotto di 42 items, ognuno dei quali satura su di un
solo fattore con loadings pari ad almeno 0.40. Il test KMO si mantiene su un valore molto alto
(0.951) mentre la varianza spiegata è pari a 0,558.
Il primo fattore spiega il 40,1% della varianza totale e include 15 items che fanno riferimento prima
di tutto all’attenzione nei confronti del paziente e in second’ordine alle buone relazioni all’interno
dell’organizzazione. È stato quindi denominato Centralità delle relazioni, e la sua interpretazione
può essere che la performance dell’ospedale dipende in primo grado dal livello di attenzione rivolta
alle persone (dallo staff verso i pazienti e dalla struttura gestionale verso lo staff) e dalla
conseguente soddisfazione da queste dichiarata.
Il secondo fattore (12 items, 7,7% della varianza totale), denominato Qualità della cura, è quello più
strettamente ascrivibile al tradizionale concetto di performance: rimanda infatti a concetti come
qualità dei servizi ospedalieri, continuità assistenziale, eccellenza delle cure, competenza del
personale, coordinamento tra le Unità operative.
Il terzo fattore (9 items; 4,3% della varianza spiegata), Attrattività/reputazione della struttura, è
invece costituito da elementi che identificano la buona immagine pubblica e sociale
dell’organizzazione e corrisponde concettualmente alla dimensione Open systems del modello di
Minvielle et al..
Infine, il quarto fattore (6 items; 3,6% della varianza spiegata), che abbiamo denominato Staff
empowerment, pone l’attenzione sui lavoratori, in particolare sulla tutela dei loro diritti e la loro
valorizzazione.
43
Tab. 2 – Soluzione a 4 fattori ottenuta con la EFA (item, score medio, dev. standard, loadings,
correlazione item-totale, alfa di Cronbach/alfa di Cronbach se item escluso)
Corr.
Dev.
Loadin Item-
Media
Std
gs
1’ Fattore: Centralità delle relazioni (15 items)
8,65
1,052
25
Nel quale il personale è al servizio del paziente
8,63
1,474
,757
,664
,917
21
Nel quale i pazienti sono molto soddisfatti del servizio ricevuto
8,79
1,450
,747
,737
,915
8,31
1,537
,732
,595
,919
9,08
1,237
,727
,674
,917
10
19
Che tiene in considerazione il punto di vista dei pazienti affinché
l’organizzazione ospedaliera evolva efficacemente
Nel quale il personale si preoccupa di una presa in carico “umana” del
paziente
totale
α
,923
13
Nel quale il personale rispetta l’intimità e la dignità del paziente
9,30
1,233
,709
,706
,917
27
Nel quale si esprimono coesione e solidarietà tra i membri della stessa équipe 8,61
1,490
,675
,701
,916
22
Al quale il personale è orgoglioso di appartenere
8,63
1,619
,666
,628
,918
29
Che si sforza di accogliere e rassicurare al meglio i pazienti e i loro familiari
8,81
1,448
,634
,689
,916
6
Nel quale il personale si sente coinvolto nell’organizzazione e nel lavoro
8,84
1,392
,633
,680
,917
7,64
1,876
,499
,577
,921
8,61
1,612
,487
,698
,916
8,62
1,510
,482
,469
,919
5
33
1
Che incrementa la propria attività (assicurandosi che sia giustificata e
appropriata)
Nel quale le relazioni tra personale medico e infermieristico e personale
amministrativo sono buone
Nel quale lo staff dirigente e amministrativo si consulta con il personale e
presta ascolto ai suggerimenti
31
organizzato architettonicamente in modo da facilitare i pazienti
8,45
1,588
,479
,689
,916
2
Che si sforza di alleggerire le procedure burocratiche per il paziente
8,66
1,550
,467
,389
,921
8,77
1,513
,410
,298
,922
8,64
1,091
8,83
1,301
,813
,792
,915
17
Nel quale il personale informa correttamente il paziente a proposito delle sue
condizioni di salute e del percorso assistenziale
2’ Fattore: Qualità della cura (12 items)
57
Che possiede i mezzi necessari per assicurare ai pazienti la miglior continuità
assistenziale possibile
,925
53
In cui le cure sono eccellenti dal punto di vista tecnico
8,43
1,517
,767
,692
,918
65
Che si affida a personale competente
8,94
1,286
,707
,714
,918
23
Nel quale la pratica è fondata sui risultati di ricerca clinica (evidence based)
8,62
1,431
,699
,588
,922
8,80
1,391
,672
,730
,917
8,53
1,467
,663
,697
,918
8,64
1,504
,659
,607
,922
48
58
24
Nel quale si realizza un efficace coordinamento tra le unità di cura coinvolte
nella presa in carico dei pazienti
Che adatta le sue strutture ai bisogni del territorio (servizi ambulatoriali
etc…)
Che valuta l’impatto delle cure e dei servizi erogati
44
55
In cui ciascun membro del personale riconosce e rispetta le competenze e il
lavoro degli altri
8,75
1,343
,641
,765
,916
54
Che informa la popolazione sulle proprie attività
7,87
1,655
,621
,707
,918
60
Che ha l’obiettivo di migliorare lo stato di salute della popolazione
8,79
1,549
,592
,729
,917
63
Che rispetta le norme e la legislazione vigente
8,58
1,700
,543
,627
,922
8,90
1,504
,413
,610
,922
3’ Fattore: Attrattività/reputazione della struttura (9 items)
6,79
1,658
46
Che attrae il top management di chiara fama
5,80
2,781
,860
,740
,846
42
dove i direttori di unità operativa hanno una grande notorietà
5,61
2,891
,848
,700
,851
36
Che è positivamente considerato dai mezzi di comunicazione
6,97
2,243
,724
,714
,850
34
Che ha per obiettivo il rispetto del proprio budget preventivo
7,03
2,253
,630
,634
,857
16
Che è fornitore di posti di lavoro
7,23
2,302
,602
,567
,863
7
Nel quale la degenza è più breve che in servizi simili di altri ospedali
6,38
2,390
,586
,464
,872
56
Che sa procurarsi risorse finanziarie supplementari
7,37
2,011
,567
,606
,860
7,13
2,184
,517
,559
,863
Che riceve pochi reclami da parte dei pazienti
7,53
2,130
,452
,524
,866
4’ Fattore: Staff empowerment (6 items)
8,45
1,352
Nel quale son tenuti in conto sia lo stress che la fatica del personale
8,48
1,614
,823
,769
,842
8,26
1,742
,802
,664
,859
7,95
2,160
,675
,680
,863
8,96
1,345
,629
,695
,858
8,47
1,784
,597
,637
,864
8,54
1,569
,462
,720
,851
41
64
62
37
45
44
39
43
38
Che accoglie e cura chiunque necessiti di assistenza, senza fare alcun tipo di
discriminazione
Con un grosso numero di richieste di frequenza delle unità operative da parte
degli studenti di medicina e degli specializzandi
Per il quale è importante che le necessità lavorative siano svolte all’interno
dei normali carichi di lavoro
Nel quale è valorizzato il buon equilibrio tra la vita privata e quella
professionale del personale
Nel quale le competenze del personale sono valutate, valorizzate e
riconosciute
Che non sacrifica l’aspetto relazionale delle cure in nome di un incremento di
attività
Che ottimizza i propri costi senza nuocere alla qualità ed alla sicurezza delle
cure
,873
,877
Tutti i quattro fattori ottenuti hanno ottimi valori di consistenza interna (alfa di Cronbach compresi
tra 0,873 e 0,925), anche i fattori come il 3’ e il 4’ che sono composti da un numero non elevato di
items. Nel primo fattore, i due items con i loadings minori hanno anche una correlazione item-scala
piuttosto bassa, ma si è comunque deciso di non scartarli, per via della loro coerenza concettuale
con gli altri items del fattore.
Esaminando gli score medi dei quattro fattori, si nota che i primi due (Centralità delle relazioni;
Qualità della cura) ottengono i punteggi medi più alti (rispettivamente 8,65 e 8,64) e sono pertanto
45
considerati dagli intervistati come i più importanti misuratori della performance. Un punteggio di
poco
inferiore
(8,45)
è
riservato
al
fattore
Staff
empowerment,
mentre
il
fattore
Attrattività/reputazione della struttura ha lo score più basso (6,79), con una differenza dagli altri tre
statisticamente significativa (p<0.001). Le differenti distribuzioni dei factor scores sono rese
evidenti dal boxplot di Fig.3.
Fig. 3 – Boxplot dei quattro factor
scores
Le correlazioni fra i quattro fattori sono tutte positive e attestate su valori compresi tra 0.36 e 0.68.
Il confronto della struttura fattoriale ottenuta dalla nostra elaborazione con quella proposta
nell’articolo di Minvielle et al. (Tab. III), evidenzia che vi è una forte coincidenza tra il fattore
Attrattività e la dimensione Open systems ed una parziale somiglianza tra il fattore Centralità delle
relazioni e la dimensione Human relations e tra il fattore Qualità della cura e la dimensione
Internal processes. Il quarto fattore non è invece riconducibile ad alcuno dei quattro modelli
originari, così come la dimensione Rational goal vede i suoi items dispersi su tutti i fattori. Gli
items eliminati derivano in modo piuttosto omogeneo da tutte le quattro dimensioni originarie.
46
Tab. III – Confronto tra la soluzione a 4 fattori e le 4 dimensioni proposte.
Struttura definita dalla nostra ricerca
Struttura
da
proposta
Minvielle-
Sicotte
1. Rationale
1.
Centralità
delle relazioni
21, 10, 29, 17
2. Open systems
3.
Internal
5, 31, 2
processes
4. Human relations
4.
Staff
2. Qualità della cura
3. Attrattività
60, 24
34, 62
54, 58
42, 56, 46, 36, 64,
32, 8, 26, 40, 18,
16
49
53, 48, 57, 65, 23,
7
empowerment
45, 38
Items eliminate
9, 52, 20, 28, 15, 3
43
51, 61, 11
37, 44, 39
14, 4, 59, 35, 66,
63
6, 25, 13, 19,
41, 55
22, 1, 33, 27
47, 12, 30, 50
Dal confronto tra i punteggi medi attribuiti ai quattro fattori dalle tre categorie professionali, emerge
che i medici assegnano costantemente i punteggi più bassi e gli infermieri quelli più alti. Vi è però
un solo scarto degno di nota, quello relativo al fattore Staff empowerment dove il voto degli
infermieri (8,62) è più elevato in maniera statisticamente significativa (p=0,040) rispetto a quelli di
amministrativi (8,21) e medici (8,20).
Discussione
I risultati dello studio indicano che gli aspetti indagati relativi alla perfomance ospedaliera sono
ritenuti importanti, con la sola parziale eccezione degli items che si riferiscono alla reputazione
della struttura ospedaliera. Gli elementi ritenuti predominanti per ottenere una buona performance
ospedaliera sono quelli che fanno riferimento alle relazioni tra le persone, sia nel rapporto paziente
– personale sanitario che nel rapporto tra le diverse figure di personale sanitario. Al riguardo vi è
una sostanziale omogeneità di vedute tra le diverse categorie professionali, anche se gli infermieri
sono coloro che in genere attribuiscono la maggiore importanza ai diversi elementi relazionali e
organizzativi, in special modo quelli relativi al rispetto dei diritti e delle competenze del personale.
Queste evidenze derivano da una analisi fattoriale esplorativa eseguita sugli items del questionario
corrispondente al modello teorico proposto da Minvielle et al.; la precedente analisi confermativa
non ha infatti avuto esito positivo. In questo modo, la struttura fattoriale da noi individuata viene
identificata da soli 42 dei 66 items originariamente somministrati, ed è composta da quattro fattori
che descrivono l’ospedale performante come quello che deve, in ordine d’importanza:
47
• “essere al servizio del paziente” ed “esprimere coesione e solidarietà tra i membri della
stessa equipe” (Fattore 1 “Centralità delle Relazioni”);
• “possedere i mezzi necessari per assicurare ai pazienti la migliore continuità assistenziale
possibile” e garantire “cure eccellenti dal punto di vista tecnico” (Fattore 2: “Qualità della
cura”)
• “attrarre il top management di chiara fama”, avere “direttori di unità operativa di grande
notorietà” (Fattore 3: Attrattività/reputazione della struttura)
• tenere “in conto sia lo stress che la fatica del personale” e “far sì che le necessità lavorative
siano svolte all’interno dei normali carichi di lavoro” (Fattore 4: Staff empowerment).
Il fattore più importante è quindi un costrutto che mette al centro dell’attenzione le persone
(pazienti e lavoratori dell’ospedale) e le relazioni che si instaurano tra di esse o, per quanto riguarda
il personale, tra i diversi gruppi di lavoratori. Questo risultato è riscontrabile anche nella
sperimentazione svolta da Minvielle et al., e in ultima analisi conduce alla conferma dell’ipotesi di
base della rilevazione: l’ospedale / rete ospedaliera performante deve essere giudicato in primo
luogo rispetto alla presenza di un buon sistema di relazioni umane, perché sono queste che spingono
e motivano i lavoratori a conseguire i risultati più tradizionalmente misurati alla voce ‘performance’
relativi ad aspetti di efficienza, efficacia e qualità del servizio. Tutto questo sottende indubbiamente
la presenza di un sistema di valori condiviso e applicato quotidianamente, elemento necessario o
quantomeno facilitante la concretizzazione delle buone relazioni umane e perciò diventa
estremamente importante procedere alla valutazione anche degli elementi che misurano lo stato di
condivisione e applicazione dei valori professionali, organizzativi e relazionali.
Venendo più nel dettaglio al confronto tra i risultati ottenuti dalla nostra indagine con quella svolta
presso l’ospedale di Bicetre, possiamo segnalare come vi siano delle importanti somiglianze rispetto
ai due fattori definiti come il più importante e il meno importante. Nell’indagine di Minvielle et al.
il fattore che ottiene lo score più alto (8,28) è quello chiamato Human relations, che abbiamo visto
possedere una buona somiglianza con il fattore da noi chiamato Centralità delle relazioni (score
8,65). All’ultimo posto per importanza in entrambe le ricerche si colloca il fattore meglio
individuato nel confronto, l’attrattività della struttura. Si può quindi concludere che in entrambe le
realtà, da un lato l’attenzione data ai bisogni e alle competenze del proprio staff è stata descritta
come la condizione necessaria per ottenere dei risultati di qualità del servizio e per garantire
l’efficacia e l’efficienza dei processi organizzativi e all’estremo opposto l’attrattività della struttura
viene percepita più come un elemento indotto da una buona performance che un elemento in grado
di determinarla.
48
Se i primi tre fattori da noi ottenuti si possono almeno in parte concettualmente ricondurre a tre
delle quattro macro-dimensioni del modello di Minvielle et al, rispettivamente a Human Relations,
Internal process e Open System (gli items della componente Rationale si distribuiscono invece in
tutti e 4 i fattori emersi), il fattore “Staff empowerment” può invece probabilmente riflettere la
specifica e forte tradizione sindacale del lavoratore pubblico italiano. Si tratta di un fattore per così
dire ‘autoprotettivo’ che non stupisce se pensiamo che i rispondenti al questionario sono tutti
lavoratori delle strutture ospedaliere, ma è senz’altro indicativo riscontrare che, proprio in questo
fattore, gli infermieri si differenziano in modo significativo dagli altri membri dello staff (clinici e
personale tecnico-amministrativo), esprimendo punteggi molto più alti. Questo dato è in linea con i
recenti contributi nazionali sullo studio del benessere in contesti ospedalieri (Ripamonti C.A. et al.,
2011), che hanno evidenziato dei livelli di burn-out molto alti fra il personale infermieristico.
L’idea di avvalersi di un modello semplificato rispetto a quello originale è suffragata dal risultato
dell’analisi fattoriale esplorativa eseguita in seguito all’insuccesso dell’analisi fattoriale
confermativa, che riesce a individuare una struttura latente dotata di una certa coerenza concettuale
utilizzando solamente 42 items, ovvero il 36% in meno dei 66 proposti.
L’analisi di cosa viene giudicato importante per la misurazione della performance ospedaliera non
potrà quindi essere svolta sullo stesso impianto teorico dello studio franco-canadese. Non solo
infatti saranno da tenere conto le differenze strutturali del diverso territorio in cui si è svolta
l’indagine e della diversa tipologia di struttura (rete ospedaliera anziché singolo ospedale), ovvero
le differenze che avrebbero dovuto dar luogo ai diversi risultati, ma la valutazione è fatta su una
differente struttura latente.
La validazione del modello mediante analisi fattoriale confermativa non è andata a buon fine; il non
aver potuto nemmeno calcolare gli indici di fit è segnale evidente che la struttura ipotizzata è troppo
complessa rispetto al campione raccolto. Un campione di 329 soggetti, pur non essendo in termini
assoluti particolarmente ampio, è però da considerarsi di buona numerosità rispetto all’ambito di
osservazione - il personale di una struttura ospedaliera o di una rete ospedaliera oncologica (almeno
della maggior parte delle strutture ospedaliere italiane, che non hanno normalmente organici ampi).
Si può pertanto ritenere che il modello proposto sia eccessivamente complesso per il suo campo di
applicazione, a causa del numero di items e della sua articolazione in quattro dimensioni e tredici
sub-dimensioni. Un numero così elevato di items, anche se relativi ad un argomento complesso
come quello trattato, può inoltre inevitabilmente condurre a effetti di sovrapposizione di significato
da parte dei rispondenti al questionario, come testimoniato da certe alte correlazioni tra items
facenti riferimento a dimensioni differenti.
49
Un importante limite di questo lavoro è stata la scelta di focalizzare la ricerca sul personale
escludendo altri stakeholder fondamentali per la valutazione della performance ospedaliera come i
pazienti o le istituzioni pubbliche. Questo ha reso a nostro parere i risultati troppo autoreferenziali,
provocando lo slittamento verso l’alto dell’importanza assegnata a quasi tutti gli items indagati e
imponendo come elementi più importanti della performance quelli più direttamente relativi al
contributo del personale. Si può quindi probabilmente specificare in modo più preciso che quella
misurata con questo strumento è la valutazione della performance ospedaliera secondo i lavoratori
dell’ospedale, anziché la performance ospedaliera tout court.
I quattro fattori sono tutti tra loro significativamente correlati, ma questo è un effetto decisamente
prevedibile, tenendo conto dell’interpretazione dei fattori (sia nella nostra soluzione che nella
soluzione originale) e dell’elevato numero di items utilizzati.
Rispetto alla popolazione dello staff della rete oncologica di AVR si ha una leggera sottostima dei
caregivers (55,3% contro il 61,1%) e una conseguente maggior frequenza di medici e
amministrativi. Nel confronto con i dati analoghi del questionario di Minvielle et al. (nella cui
popolazione è minore la quota dei medici), la ripartizione tra le tre figure professionali appare più
simile alle rispettive quote nella popolazione.
Si può quindi in ogni caso concludere, nonostante le differenze legate al contesto e alla tipologia di
reti oggetto dello studio, che gli stakeholders della rete oncologica danno primariamente importanza
alla dimensione della qualità delle relazioni umane, come elemento essenziale per motivare i
professionisti a raggiungere obiettivi come efficacia (effectiveness) e qualità delle cure. Inoltre altro
elemento importante è sapere che il sistema valoriale sia condiviso per realizzare un buon clima
lavorativo e buone relazioni umane tra i diversi professionisti.
50
4.4 Studio 3: continuità di cura e presa in carico del paziente con esperienza di tumore nella
Rete Oncologica della Romagna
Premessa
Uno degli obiettivi principali del sistema di cura in oncologia è quello di accrescere la percezione,
da parte del paziente, di una buona qualità dell’assistenza ricevuta. Del resto, questi aspetti del
vissuto del paziente mostrano d’essere associati a compliance (Larsson B.W et al., 2005),
cooperazione con il personale sanitario, esiti di salute e qualità di vita migliori (Asadi-Lari M. et al.,
2004; Renzi C., et al., 2005), tendenza a riutilizzare gli stessi ospedali/servizi e a raccomandarli agli
altri (Otani K. et al., 2004; Lee M.A. et al., 2007).
Recenti evidenze scientifiche hanno, inoltre, messo in luce come l’esperienza di cura sia influenzata
dal comportamento del personale sanitario (medici, infermieri) (Copelli P. et al., 2011; Lis C.G. et
al., 2009): pazienti soddisfatti sentono che lo staff di cura è in grado di dare, da un lato,
considerazione e supporto emotivo (Kleeberg U.R et al., 2005; Eide H. et al., 2003; Blanchard C.G
et al., 1990) e, dall’altro, adeguate informazioni sulla condizione clinica e sul programma di
trattamento (Skarstein J. Et al., 2002). Un limite della letteratura consta nella difficoltà a trarre
delle conclusioni di carattere generale, data l’ampia eterogeneità dei contributi esistenti che si
differenziano rispetto al tipo di neoplasia, alla specificità della popolazione considerata (Lis C.G. et
al., 2009) e ai diversi strumenti di rilevazione utilizzati. In aggiunta le scale (i.e., PATSAT32,
messo a punto dall’EORTC) rilevano la valutazione dei servizi da parte di pazienti e familiari sulla
base di ciò di cui questi hanno fatto esperienza, spesso in molteplici strutture e non necessariamente
nello stesso ospedale (Brédart A. et al., 2005).
Diviene necessario riflettere sul modo in cui la persona vive e valuta l’intero percorso di cura, che
contempla inevitabili momenti di crisi. La letteratura scientifica più recente ha posto attenzione a un
costrutto che permette di avviare tale riflessione: si tratta della “continuity of care” (Haggerty J.H.
et al., 2003), ove per continuità si intende il grado con cui una serie di eventi sanitari sono percepiti
come coerenti, connessi e consistenti con i bisogni avvertiti dal paziente.
Affinchè un percorso sia vissuto in termini di continuità, è necessario che siano garantiti tre aspetti:
informativi
(informational
continuity),
relazionali
(relational
continuity),
organizzativi
(management continuity). L’informational continuity si riferisce alla continuità delle informazioni
condivise tra gli operatori socio-sanitari che hanno in cura la persona; tali informazioni riguardano
non solo lo stato di malattia, ma anche altri aspetti come le preferenze per i trattamenti. La
relational continuity indica la presenza di un gruppo di professionisti che lavora con la persona e
che svolge una funzione di ponte tra trattamenti passati, presenti e futuri. Questo collante è anche
garantito dal fatto che le prestazioni sanitarie vengano erogate da diversi professionisti in modo
51
complementare e tempestivo (management continuity). Nel momento in cui questi tre aspetti sono
garantiti, la persona si sente accompagnata in un percorso e vengono meno quelle sensazioni di
solitudine, isolamento, mancanza o scarsità di dialogo con e tra professionisti, che appesantiscono
un percorso di per sè complesso. Non secondaria è, inoltre, la necessità di curare e garantire la
continuità di scambi e collaborazione tra i servizi socio-sanitari e le associazioni di familiari e
pazienti che assolvono a numerose ed importanti funzioni entro la rete assistenziale (Copelli P. et
al., 2011; Gasparini M. et al., 2006; PNLG10). Ad oggi sono ancora molto pochi gli studi che hanno
analizzato il tema della percezione di continuità della cura in persone con neoplasia (Nazareth I. et
al., 2008; King M., 2008; King M. et al., 2009; Priami D. et al., 2011). Pare, dunque, necessario
approfondire lo studio di questo costrutto perché “ [...] ciò che è in gioco è l’umanizzazione
dell’intero sistema sanitario: a partire da quella dei rapporti tra équipe assistenziale e
malato”(Cifaldi L. et al., 2008). Così come appare utile ed interessante collocare tale
approfondimento nella prospettiva della patient experience ( Coulter A., 2006; Coulter A. et al.,
2001; Sizmur et al., 2009; Doyle C. et al., 2010; Cornwell J, 2009), al fine di mettere in luce la
valutazione che i pazienti forniscono rispetto all’assistenza e cura ricevute.
Questa terza parte dello studio si propone di ricostruire insieme alle persone con neoplasia al colon
retto e alla mammella il percorso di cura ricevuto nella rete e di evidenziare quali aspetti
influenzano la percezione di continuità e quali sono i fattori critici, da migliorare e quelli di
successo. In aggiunta, sarà messo a punto e validato uno strumento funzionale a rilevare gli aspetti
che determinano la continuità del processo di cura e le variabili che la possono influenzare.
Metodologia
La ricerca si strutturerà in due momenti strettamente collegati:
• Azione 1 indagine qualitativa
• Azione 2 indagine quantitativa
Azione 1
E’ stata messa a punto una traccia di intervista semi-strutturata (Allegato 2 Griglia
Intervista_Azione 1), sono state condotte 30 interviste a persone per le quali sia stata fatta una
diagnosi di neoplasia colon retto/mammario nell’ambito della rete oncologica romagnola. Più
precisamente, il campione di intervistati è composto da 3 gruppi appaiati per patologia, età, genere,
stadio di malattia (avanzato sì/no) e trattamento in corso (sì/no): 10 residenti a Ravenna, che hanno
fatto tutto il percorso a Ravenna; 10 residenti a Ravenna, che hanno fatto una parte del percorso
all’IRST; 10 residenti, a Ravenna che hanno fatto tutto il percorso all’IRST.
I ricercatori dell’IRST e dell’Università di Bologna coinvolti nello studio hanno selezionato i
nominativi delle persone da intervistare, escludendo quelle che, in ragione delle condizioni cliniche
52
(stadio terminale della malattia, persone in hospice e in trattamento palliativo) o perché non
consapevoli delle proprie condizioni cliniche, non sono state ritenute idonee alla somministrazione
dell’intervista e/o del questionario.
Le interviste sono state condotte da una psicologa dell’IRST e si sono svolte nei locali dell’IRST
e/o dell’Azienda Usl di Ravenna.
L’intervista ha richiesto circa 45 minuti con la finalità di ricostruire l’intero percorso di curaassistenza ricevuta. Per ogni fase del percorso è stato richiesto all’intervistato di esprimere una
valutazione sulle cure ricevute e di esprimere indicazioni e suggerimenti per migliorare il servizio
offerto.
Per facilitare la registrazione fedele del punto di vista delle persone affette da neoplasia, l’incontro è
stato audio-registrato, solo dopo aver chiesto e ricevuto il consenso del paziente.
I dati raccolti sono trattati nel più assoluto rispetto della normativa sulla privacy (decreto legislativo
196 del 30 giugno 2003 “Codice in materia di protezione dei dati personali”).
Lo studio, approvato dal Comitato Etico dell’Area Vasta Romagna, finanziato da AgeNas (Agenzia
Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali), con la compartecipazione dell’Azienda Usl di Ravenna,
dell’IRST di Meldola e del Dipartimento di Medicina e Sanità Pubblica dell’Università di Bologna
si compone di due studi strettamente collegati tra loro, uno qualitativo (ottobre 2011-marzo 2012) e
l’altro quantitativo (aprile – settembre 2012). Nelle sezioni successive saranno presentati alcuni dei
risultati ottenuti dallo studio qualitativo. In particolare vengono presentati i risultati ottenuti
dall’indagine di 14 interviste condotte a donne con neoplasia alla mammella, che dai database
aziendali risultavano aver condotto una parte o tutto il percorso presso l’Hub della rete.
Analisi dei dati
Le interviste, della durata media di 45 minuti, sono state audio registrate e successivamente
trascritte in formato word, solo dopo aver chiesto e ricevuto il consenso del paziente (“Scheda
Informativa per il paziente adulto e capace”). Sui documenti risultanti è stata effettuata:
a. l’analisi del contenuto (Berelson B., 1952), in un primo momento, per ogni intervista sono
state individuate le frasi che indicavano dei contenuti semantici specifici (= unità di
classificazione) (Cicognani E., 2002, p.83); tali unità sono state successivamente accorpate
in categorie più ampie in base alla condivisione di uno specifico argomento (Cicognani E.,
2002, p.85). Le varie unità di classificazione individuate sono state denominate utilizzando
le parole usate dagli stessi intervistati e sono state descritte dando voce direttamente ai
pazienti e alle loro narrazioni (Priami D. et al., 2011).
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b. l’analisi testuale con l’ausilio del software T-Lab Pro versione 4.1 (www.tlab.it), che
consente di individuare le parole che occorrono con maggiore frequenza nel testo e le reti
semantiche che gravitano attorno ad alcune parole chiave (Lancia F., 2004)
In fase di discussione, le principali aree tematiche descritte dai partecipanti sono state poste a
confronto con i modelli teorici della continuity of care (Nazareth I. et al., 2008; King M., 2008;
King M. et al., 2009; Priami D. et al., 2011) al fine di rintracciarne analogie e specificità.
Nella sezione successiva sono presentati i principali risultati ottenuti dall’analisi delle 14 interviste,
ponendo attenzione agli aspetti che definiscono, secondo le donne con neoplasia alla mammella, un
percorso di cura come positivo, di qualità. Per facilitare la lettura del Report si è deciso di
presentare alcuni dei risultati specifici dell’Analisi Testuale nell’Allegato 3, anche perché possono
essere considerati come un ulteriore approfondimento a quanto emerso dall’analisi del contenuto.
Risultati
Cosa influenza la continuità nel percorso di cura delle donne con neoplasia alla mammella?
“Andiamo alla visita, a fare questo colloquio , entriamo in questa stanza c’era la Dottoressa della chirurgia, c’era
un’anestesista, c’era una radioterapista e un’infermiera. Più eravamo io e mio marito.
Io esco da questa stanza dopo questo colloquio sbattezzata perché non è stato né un colloquio né una visita è stato non
lo so, un quarto d’ora, venti minuti di caos. Io capisco e posso capire che il medico chirurgo tutti i giorni apre, taglia,
toglie, sistema e cuce e per lui è normale. Però a mio avviso questo non dà il diritto a non avere educazione nei
confronti di un paziente che comunque ha appena ricevuto una notizia particolare e che si dovrà sottoporre ad un
intervento …. Mi ha voluto disegnare sul seno la parte che lei avrebbe tolto non avevano un pennarello per disegnare
sulla pelle. Il disegno mi è stato fatto con un evidenziatore arancione. E io sinceramente questa cosa […] per carità uno
si fa la doccia e l’evidenziatore va via come va via il pennarello però io avevo appuntamento quel giorno, non è che
sono capitata per caso chiedendo se c’era posto. No. Io avevo appuntamento, un colloquio per un intervento.
Però nel momento in cui tutti non siamo uguali, chi ricopre un ruolo più importante di me a livello gerarchico a livello
professionale, il dottore, deve avere comunque il rispetto, l’educazione per la persona che ha davanti. … a maggior
ragione il tatto e la sensibilità nel momento in cui c’è una situazione diagnostica non indifferente. Lei ha ricevuto una
telefonata e ha parlato senza scusarsi, io ero lì aperta con l’evidenziatore giallo disegnato sul seno, parlava ad alta voce
al telefono, mentre lei parlava la radioterapista o l’infermiera non ricordo mi parlavano perché mi dovevano spiegare un
paio di cose.. ribadisco: il caos. Non c’è stato un momento di tranquillità dove è stato possibile, sedersi, guardarsi un
attimino negli occhi” e dire” Dottoressa questa è la situazione: cosa posso fare? Cosa non posso fare? Cosa è giusto?
Cosa mi consiglia? Perché così?”. Io sono una persona che ha bisogno di sapere a che cosa andrà incontro […] io non
ho avuto fiducia in lei. Non mi ha dato quel feeling che doveva innescarsi, complicità. Finito il pomeriggio torno a casa
e dico che non voglio assolutamente tornare lì. Mercoledì andiamo in un altro centro. E’ stato un altro mondo a livello
di visita, […] non era una visita ma un massaggio. Un massaggio. Ero stesa nel lettino. E stavo ricevendo un massaggio.
La visita è stata molto tranquilla, l’atteggiamento molto sereno, sta di fatto che dopo la visita … mi ha chiesto molto
serenamente se avevo intenzione di ricoverarmi lì e gli dissi “sì perché ho molta fiducia in voi” (Intervista 1).
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12 su 14 donne dichiarano di aver iniziato un percorso in alcune strutture del nodo spoke della rete
oncologica romagnola e poi di averlo interrotto rivolgendosi fuori regione (3 ) o in Strutture
considerate di riferimento in regione Emilia-Romagna (9). 1 persona dichiara di aver fatto tutto il
percorso e/o parte presso l’hub della rete oncologica romagnola e 1 di aver iniziato a Napoli, e
continuato nelle strutture di Area Vasta Romagna.
Dall’analisi delle interviste è stato possibile rintracciare alcuni elementi che portano le donne a
continuare il percorso di cura all’interno della struttura ove hanno ricevuto la diagnosi o a trasferirsi
in altri strutture alla ricerca di un’assistenza di qualità, analizziamoli ad uno ad uno nelle sezioni
successive.
La fiducia nei professionisti
“Non mi trovavo con l’oncologo che avevo prima … a livello professionale veramente niente da dire ma il carattere …
quando sei così turbato, anche affrontare un oncologo duro … ti irrigidisci anche tu, anche perché l’oncologo deve
essere la tua persona di fiducia, devi averne in lui, altrimenti non riesci a lottare. Ho cambiato oncologo … posso dire
che se mio marito mi lascerà, ho trovato l’uomo della mia vita, una persona splendida che io considero oncologo,
psicologo, amico … di tutto e di più … una persona splendida” (Intervista 2)
Si rintraccia l’importanza per il paziente di sentire in tutti i vari momenti del percorso di potersi
fidare delle persone che lo hanno in cura. L’analisi con il T-Lab supporta questa affermazione,
dimostrando che tra le parole che occorrono con maggior frequenza nel testo si riscontra la parola
“sentire” da intendersi come attenzione alle proprie sensazioni psicologiche (Allegato 3 – Sezione
A). Ma quando una persona sente di poter fidarsi/affidarsi? In primis, quando sono compresenti
negli operatori due qualità fondamentali: la preparazione professionale e le doti umane-empatiche.
La preparazione professionale
Il Dottore “Ma sì è una forma tumorale molto piccola, facciamo un’anestesia locale e togliamo la zona”.
Io chiedo … “Ma non mi fate il linfonodo sentinella? Indagini, risonanza magnetica?”
E lui “No, no è una cosa piccolissima, cosa vuole che le faccia il linfonodo sentinella” .
“Va bene”.
Intanto ne parlo con il mio medico di base, e anche lei era un po’ perplessa … Io mi fido e faccio l’intervento.
Arriva l’esame istologico che evidenzia dei focolai attivi sui margini. Allora lo stesso dottore dice “Va bene, facciamo
un interventino in anestesia locale” e io “Ma come, non facciamo ulteriori esami per capire quanto sono estesi questi
focolai?” E lui “Non c’è bisogno” .
“E invece io ero estremamente preoccupata […] parlo con la mia dottoressa …”
“Quando mi telefona la segreteria della chirurgia per dirmi la data dell’operazione e mi fa “Non insista! È solo un
interventino” … le dico “Mi spiace ma la vostra superficialità e arroganza mi portano a non volerne sapere più niente
di voi” Me ne sono andata … e poi altrove ho trovato quello che cercavo, una grande professionalità ed umanità”
(Intervista 7)
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La preparazione professionale si manifesta anche nella capacità degli operatori di dare delle
informazioni chiare su quello che succederà, sulle complicanze, sui servizi a disposizione, ma è
altrettanto importante che queste informazioni vengano date con tatto ed umanità.
L’umanità
“Mi ha accolta come un’amica facendomi una carezza, e in quei momenti una carezza… in altri momenti non vuol dire
nulla, ma per me una carezza nei capelli e una botta sulla spalla dicendo: ”il suo problema è serio ma non così grave
come le hanno detto” per me è stato tanto. Per cui sono andata a pelle e ho scelto di essere seguita lì” (Intervista 2).
“Mi ricordo che dissi “Professore, io è un mese che ricevo solo botte nei denti … “ e lui “ ma va bene, io sono il
dentista!”(Intervista 11)
Le donne intervistate dichiarano di essersi sentite “seguite”, andando alla ricerca di operatori
professionali ed empatici.
L’importanza della relazione con il medico è supportata dall’analisi testuale, dalla quale emerge che
la parola che più occorre nel testo è “Dottore”; questa a sua volta si associa ai nomi dei vari
professionisti e a verbi che richiamano lo scambio comunicativo (parlare; prendere appuntamento;
chiedere, chiamare) (Allegato 3_Sezione B)
Quando le donne sentono di non poter parlare, dialogare con i medici che li hanno in cura, quando
in altri termini si rompe qualcosa nella relazione alcune donne preferiscono scegliere altri percorsi
assistenziali. La scelta del “dove andare” è influenzata dalle informazioni pubblicitarie disponibili
on-line e dalle esperienze di conoscenti/amici.
Scegliere una struttura per fama/riconoscimento sociale
“… sono andata lì perché mio cognato sapeva di una sua amica che aveva avuto questo problema… avrei potuto fare
tutto vicino casa , ma sapevo che in quella struttura erano specializzati e ho preferito andare lì.” (intervista 19)
“… mi sono informata, ho navigato su internet per capire anche la mia malattia e dalle mie ricerche ho capito che i
centri grossi erano qui o fuori regione., dato che sono molto casalinga, mi piace stare qui, pensando anche alla mia
famiglia, a mia mamma a tutti, volevo stare vicino.. e comunque ho scelto la struttura in Regione”. (intervista 17)
“avevo appuntamento il lunedì pomeriggio in ospedale, ma il lunedì mattina con i miei famigliari avevamo intenzione
di andare a fare una visita fuori regione, vuoi perché questo nome … anche solo chi guarda un po’ di televisione di
salute e ricerca sa che è un nome che negli ultimi anni abbiamo sentito ricordare parecchio.
Poi uno magari ascolta e fa altre cose e spera sempre che una situazione del genere non ci debba neanche mai sfiorare e
però non è così ... perché tutto può capitare, se non a me ad un familiare e così queste cose è sempre bene saperle, da chi
si può andare, chi è il mago e chi è che lo fa tutti i giorni … di professione.
E quindi la mattina stessa chiamai dopo essermi infilata in Internet […]
Il dopo intervento è stata un’altra piccola batosta … vengo contattata da un’oncologa che mi deve riferire dell’esame
istologico e citologico dell’intervento stesso. Ok, prendiamo appuntamento, andiamo fuori regione .. Ha iniziato a
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parlare di chemioterapia, perdita di capelli… ho perso il lume della ragione… Mi disse che io potevo fare la terapia
ovunque volessi, il più vicino a casa possibile. La mia era … una cura standard. Quindi … era più una questione di
comodità… mi hanno detto che avrei potuto seguire il trattamento nella mia Regione, vicino casa … (Intervista 1)”
La scelta della struttura entro la quale iniziare il percorso di cura assistenza è fortemente influenzata
dalle informazioni e dalle campagne comunicative presenti nel territorio/comunità circostante. Le
donne che hanno fatto il primo intervento chirurgico fuori Area Vasta Romagna (5 persone),
vengono poi inviate per il trattamento chemioterapico e/o radioterapico in loco, soprattutto presso
l’hub della rete oncologica romagnola e l’invio avviene generalmente per contatto/conoscenza
personale tra i professionisti delle due strutture.
I risultati successivi riferiscono della qualità dell’assistenza ricevuta unicamente nella struttura hub,
anche perché le donne intervistate hanno fatto tutto il percorso o gran parte di esso in tali strutture.
Fluidità negli snodi assistenziali
“Il passaggio dalla prevenzione alla chirurgia è stato fatto tutto da loro. Ogni volta che andavo in prevenzione mi
davano un pacchettino diciamo così una busta di plastica con dentro tutto ciò che si faceva. Quando me ne andavo
riconsegnavo e basta. Per quello che mi riguarda personalmente come paziente, il percorso è ottimale, nel senso che il
paziente non deve girare, fare file” (intervista 9)
“quando entri qui dentro ti senti protetto. Loro ti spiegano, ti controllano ogni 2/3 mesi. Ti seguono. Non devi fare
nulla.” (intervista 4)
Una condizione necessaria per garantire la sensazione di continuità tra le varie figure professionali e
le varie fasi di trattamento è la presenza anche di un sistema informatico in grado di registrare le
informazioni del paziente in modo appropriato, facilitando lo scambio informativo dei dati sui
pazienti tra le varie strutture, come testimoniano le esperienze seguenti:
“Automaticamente mi prendono tutti gli appuntamenti. Ho visto che sono molto … computerizzati.
Qui la tua storia è qui dentro, tutti vedono tutto ed è una cosa molto positiva. Non devi prenderti su mille fogli o cose
eccetera. E gli appuntamenti sono gestiti da loro.” (intervista 19)
“io penso avessero tutto su computer perché la prima volta che sono stata dalla Dott.ssa abbiamo riepilogato tutto quello
che era stato l’intervento, l’istologico … quindi io penso che tutti avessero accesso a questo”. (intervista 11)
L’avere un sistema di registrazione comune delle informazioni sul paziente facilita la condivisione
tra i vari professionisti del piano terapeutico e si riflette nella percezione dei pazienti che gli
operatori condividano con un linguaggio comune il piano di cura-assistenza. Questo si riflette anche
nella percezione che le persone hanno dei professionisti, come di un team assistenziale.
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Il lavoro in equipe
“si incontreranno ai meeting … in tutti i passaggi tutti ti spiegano il loro pezzo e anche la parte prima…anche perché
tutti parlano alla stessa maniera” (intervista 17)
“io li penso come una corona unita… io penso che lavorino insieme… magari in commissione parlano tra di loro. Per
esempio quando devono capire qualcosa. Fermi tutti un attimo, perché c’ha questo, questo e questo? … quando per
esempio faccio la TAC… poi dopo loro si ritrovano e ne parlano… è una bella equipe. (intervista 24)
Le intervistate pensano che i professionisti lavorino in equipe, un’equipe che condivide i
trattamenti, l’iter di cura e che si caratterizza per la qualità delle informazioni date ai pazienti e
della relazione instaurata.
La qualità delle informazioni
“quando andavo via mi spiegavano già tutto, i sintomi che avrei avuto li conoscevo quando uscivo da qui. Solo una
volta la Dottoressa che mi aveva detto cosa sarebbe potuto succedere dopo aver fatto il primo ciclo della seconda fase
della chemio, e a me è venuta amplificata. E lei mi ha sempre detto che per qualsiasi cosa avrei dovuto chiamarla. Solo
che a me non piace disturbare. Sono talmente informata di tutto che questi dolori da parto erano per me normali. Lei mi
ha detto poi che i miei erano troppo amplificati e che avrei dovuto chiamare. Mi avrebbero dato altro da prendere. Io
penso sempre di essere una briciola a confronto delle situazioni che ci sono qui dentro. “(intervista 17)
“mi ha spiegato ha saputo spiegarmi nel bene e nel male ciò che succedeva all’interno del mio corpo, perché io di
domande ne ho tante… ha saputo mettere dei paletti alle mie domande, non per dirmi “No basta non ti rispondo più
perché hai fatto troppe domande” ma mettere dei paletti perché “più di così non posso risponderti perché la medicina
non va oltre ha accolto anche quello che io pensavo … come paziente … io gli dicevo “Dottore non sarebbe meglio se
al posto di … facessimo “ e lui ha preso in considerazione ciò che ho detto, dicendomi che a volte non era appropriato e
qualche volta dicendomi “insomma, tutto sommato …” (intervista 9)
“mi ha spiegato per filo e per segno tutti i codici dell’esame istologico tutto quanto. Una spiegazione esauriente
tranquilla. Con la calma e la tranquillità che ci vuole quando hai davanti una persona che deve affrontare una terapia
impegnativa . … ha chiamato il Dott. chiedendo di fissarmi un appuntamento visto che avrei dovuto iniziare la terapia a
fine giugno.” (intervista 1)
La chiarezza informativa dà alle persone un senso di sicurezza, mettendole nella condizione di saper
chiaramente interpretare i segnali del proprio corpo e di chiedere ulteriori informazioni, grazie
anche al tipo di rapporto che hanno instaurato con il team assistenziale.
La qualità relazionale
“Un giorno stavo aspettando per prenotare un appuntamento e l’addetta mi ha chiesto scusa perché mi stavano facendo
aspettare … mi ha detto che i pazienti li stavano facendo aspettare troppo … ma io gli ho detto che quando vengo qua
sto proprio bene. Avrà pensata che ero matta. Io mi sentivo protetta. Infatti l’ultima volta che ho incontrato la mia
dottoressa di riferimento e mi ha detto che mi avrebbe abbandonata perché ero guarita, a parte la soddisfazione e la
gioia, però ho detto “Ma come? E io adesso cosa faccio?” è una crisi che prende un po’ a tutti … perché io mi sentivo
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protetta … ero un po’ spaventata … “e adesso cosa devo fare? Non ho più i miei appuntamenti … e se mi succede
qualcosa? “ E lei … “un po’ di tempo, poi passa …”(Intervista 11)
La considerazione per la persona passa anche attraverso il rispetto degli appuntamenti, la gentilezza,
la disponibilità a rispondere alle domande, ad accogliere i dubbi, le richieste, le emozioni, a parlare
da persona a persona, come dimostrano le testimonianze successive.
“anche il fatto degli appuntamenti snelli, puntuali mentre da X aspetti delle ore..la gentilezza dei dottori, degli
infermieri…” (intervista 19)
“La dottoressa è stata tranquilla nel salutarmi, insomma ha salutato me e non un numero” (Intervista 24)
È importante che ci siano delle figure di riferimento costanti nei vari momenti di cura, in grado di
accogliere i dubbi del paziente e di assisterlo. In alcuni casi questa funzione viene assolta dal
personale infermieristico.
Il ruolo dell’infermiere
“… la dottoressa la vedi comunque una volta ogni tre mesi… e adesso come adesso io vedo più spesso le infermiere del
day hospital. E se ho qualcosa da chiedere, chiedo a loro. Se loro mi sanno rispondere lo fanno, sennò mi dicono di
chiedere con i vari dottori. Ma sono sempre gentili e carine in tutto e per tutto… sempre. Anche quando sono stata poco
bene con la chemio che telefonavo, non ho mai sentito dall’altra parte del telefono una persona nervosa o scocciata
perché aveva da fare … sempre massima disponibilità” (intervista 19)
“Ho notato che nel mio caso erano più le infermiere ad informarmi su quello che avrei potuto o dovuto fare piuttosto
che il medico… che c’era la possibilità di mettere delle valvoline oppure questi accessi venosi diretti fissi per evitare
tutte le volte di bucare. Secondo me sarebbe stato utile che lo facesse il dottore all’inizio. Sennò sarebbe stato tutto
un…, almeno per me, terrorismo subdolo” (intervista 4)
Come testimoniano le esperienze precedenti, l’atteggiamento nei confronti del personale
infermieristico non è univoco: alcuni li descrivono come importanti punti di riferimento lungo il
percorso, altri invece dichiarano di fidarsi maggiormente dei medici.
L’oncologo di riferimento
“Ho anche un medico di riferimento che penso vada in ordine alfabetico… che era la mia referente io l’ho imparato per
caso… perché io ogni volta che timbro il bigliettino viene fuori il suo nome… questa cosa non mi è chiara per niente.
Nessuno mi ha detto niente durante i colloqui. Forse questo passaggio va rivisto … alla fine è il mio medico di
riferimento ma è quella con cui ho parlato meno” (Intervista 4)
“Però giusto per capire perché nel momento in cui il Dott. X chiama il Dott. Y, nella mia testa visto che il giorno
successivo vado a fare una visita con lui in cui programmiamo il tutto, mi sembrava scontato logico che il Dott. Y mi
continuasse a seguire. .. In realtà io non l’ho né più visto né più sentito, né più chiamato e passando il codice fiscale nel
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lettore ho visto che c’era scritto “Dott.ssa di Riferimento Z” A me nulla cambia però magari una telefonata per dire
“Guardi io Dott. Y seguo questa parte e non quest’altra …”(intervista 1)
“Ho sentito da poco il mio oncologo di riferimento perché lui in alcune giornate si fa chiamare, c’è un arco di tempo, mi
pare due giornate alla settimana dalle 2 alle 3 in cui lui risponde alle pazienti lui stesso … “(intervista 7)
Emerge l’importanza di una figura di riferimento, 3 persone la individuano, e 2 di queste la
descrivono come “calata dall’altro” ed individuata trascurando le relazioni già instaurate tra
paziente e oncologi.
L’Integrazione ospedale territorio
“… ogni volta che faccio chemio riesco ad ottenere un assegno di cura, quindi vado dall’assistente sociale, ovviamente
solo quando faccio chemioterapia anche perché le spese, il viaggio, ho bisogno di una persona che mi aiuti a pulire
casa”(Intervista 2)
Ci sono casi ove è necessario attivare e favorire l’integrazione ospedale-territorio per evitare che la
persona rimanga sola in alcuni momenti delicati del percorso di cura. Dalle interviste solo 1 persona
dichiara di aver richiesto questo servizio. In questo passaggio un ruolo centrale dovrebbe essere
svolto dal medico di medicina generale.
Il ruolo del Medico di Medicina Generale
“Il mio medico di base … mi aiuta molto tuttora anche lui… una volta al mese ci vediamo … lo sento come una figura
d’appoggio” (intervista 4)
“Vado dall’oncologa che ancora non conoscevo … incomincia a chiedermi se abbiamo dei bambini, dei figli. In quel
momento ho detto “no, però adesso lo cerchiamo, lo vorremmo avere” e lei ha fatto un gran sospirone e ho capito… ha
iniziato a dire che sempre a lei toccava dire queste cose … “nei tuoi geni c’è una percentuale del 20% di recidive e visto
che sei giovane bisogna che tu faccia la chemio, non solo la radio e un’immunoterapia e soprattutto anche
l’ormonoterapia per cinque anni… mi è crollato il mondo addosso. Il fatto di perdere la possibilità di avere dei figli mi
dava l’impressione di dover morire. Di non vedere il futuro. Di non avere un senso nella vita, di non lasciare niente di
me. Mi sembrava di dover morire. […] la Dottoressa ha capito e mi ha detto che avrebbe potuto mettermi in contatto
con una dottoressa che faceva al caso mio […] non sapevo di chi stesse parlando, ha detto che mi avrebbe fatto
sapere… ma i giorni passavano e niente… mi diceva che non riusciva a trovarla, che forse era in ferie…
chiamo il mio medico di base perché non sapevo più dove sbattere la testa… mi dice di farmi dire il nome di questa
dottoressa così magari provava a cercarla… mi lascia anche il suo cellulare che di solito non si fa… alla sera mi lascia
un messaggio in segreteria, aveva trovato la dottoressa, non si trovava perché era ad un convegno, ma era riuscito a
scovarla là e mi ha detto che mi aspettava il giorno dopo…” (inter.14)
Il MMG è per 8 intervistate un punto di riferimento significativo, che: diagnostica precocemente la
neoplasia avviando gli opportuni accertamenti; indirizza la persona verso specifici professionisti e
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la accompagna durante l’intero percorso, intervenendo in alcuni momenti del percorso su richiesta
dell’assistito per migliorare la qualità del percorso di cura e facilitare alcuni passaggi.
L’importanza del MMG emerge anche dalle analisi effettuate con il T-Lab (Allegato 3_Sezione C),
che lo descrivono come figura di riferimento a cui i pazienti possono chiedere informazioni sul
percorso di cura.
Garantire la continuità anche nel follow up
“Ho un’agenda piena di appuntamenti, scanditi dal follow up ” (Intervista 9)
“per quello che riguarda mammografie ed ecografie te li danno loro da una volta all’altra, uno va e fa l’eco e poi prende
direttamente l’appuntamento per la volta dopo. Su quello non c’è niente da dire, ecco. Quello che io non capisco…
quando si esce dal day hospital che uno in un certo periodo ti fanno loro tutte le richieste poi ti affidano al medico di
base e tutti preparano le loro lettere per il medico che deve poi farsi carico di farti fare tutte le analisi che servono e
allora mi sono chiesta: io sono ancora relativamente giovane, ma più che altro capisco ancora. Io non ho mai visto e
forse non lo potranno fare non lo so, un medico di base che scaduto l’anno e che ne so i mesi che tu avresti per fare la
visita, ti dice “guarda devi fare le analisi”… se volessero veramente tutelare le persone dovrebbero lasciare un po’ da
parte il medico di base… se tu ti dimentichi non è certo il medico di base che te lo ricorda ..”. (Intervista 10)
Per alcune intervistate (N. 2) dovrebbero essere messe in atto delle strategie per accompagnare la
persona anche nei momenti del follow-up, facilitando i processi di prenotazione/effettuazione dei
diversi esami.
Tra gli interventi post-trattamento, 4 intervistate segnalano come particolarmente critico
l’intervento plastico di ricostruzione della mammella:
“l’unica cosa è … l’attesa per sostituire le protesi definitive. Sono già 7 mesi che sono stata operata e ho l’espansore.
Capisco che hanno difficoltà perché il chirurgo plastico viene solo una volta al mese e viene da fuori regione… e a volte
nemmeno sempre. Le donne sono tante. Per me dovrebbero però dare in dotazione del reparto di senologia un chirurgo
plastico a tempo pieno… Credo che il reparto di senologia che già funziona bene, dovrebbe essere dotato di un medico
chirurgo stabile, fisso… anche psicologicamente ho bisogno di chiudere questa fase.”(Intervista 7)
Altri servizi di cura per il paziente
“Devo dire che è stato importante nei primi tempi il lavoro della fisioterapia. Sempre presso un nodo della rete
oncologica romagnola appena operata è venuta la fisioterapista a farci fare un po’ di esercizi. E il primo mese sono
andata una volta alla settimana facevo sedute di fisioterapia specifica per noi donne operate e devo dire che queste
erano davvero molto brave” (Intervista 7)
2 donne dichiarano di aver trovato giovamento dalla partecipazione a sedute di fisioterapia.
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Proporre il supporto psicologico
“in un nodo della rete oncologica della Romagna c’era il supporto psicologico e il nominativo rimaneva nascosto. E io
gli dissi che se avevo bisogno di uno psicologo, ci sarei andata tranquillamente, senza vergogna, è normale, sono cose
che ti sconvolgono la vita, se uno ha bisogno deve andare, io mi sento di avere avuto bisogno, perché come le ho detto,
sono sempre stata seguita al meglio. E se anche più avanti riterrò di averne bisogno, io ci vado! È un dottore come un
altro.” (intervista 17)
3 donne dichiarano di aver ricevuto indicazioni sulla possibilità di ricevere un supporto psicologico,
ma di non aver usufruito di questo servizio, preferendo “farcela da sole” anche grazie alla presenza
di operatori e familiari supportavi; 2 persone dichiarano di aver ricevuto supporto farmacologico,
come testimoniano le esperienza successive:
“Il mio medico di base ha avuto un ruolo importante quando all’inizio mi è stato diagnosticato il tumore … e lui mi ha
sostenuta e mi ha dato una pillolina che prendo tutt’ora perché mi ha veramente dato la forza” (Intervista 11)
“Io continuo a prendere gli psicofarmaci, prendo qualcosa per dormire e degli ansiolitici … con il Dottore che mi
seguiva prima stavo bene, parlavo … adesso invece questo nuovo dottore mi ha dato altre pillole che costano un po’…
80 euro. A volte ne dovevo comprare due scatole in un mese, è una spesa … alla fine non le ho prese più … diciamo
che ho di nuovo queste crisi di panico, a volte solo di pianto, a volte mi manca l’aria …” (Intervista 13).
Le terapie alternative
“Questa non è una malattia, è un’altra cosa. Si è formata nel tuo fisico. Sto leggendo anche un libro che parla di queste
cose che vengono fuori per traumi subiti. Alcuni ci credono. Altri no. Per carità. Ma è possibile. Forse c’è anche una
predisposizione fisica ma il fatto di passare dei periodi della vita preoccupandosi per tante cose insomma subisci un
trauma di qualsiasi natura […] Il trauma non si sgretola: se uno non lo supera resta lì. Sono convinta che ci siano delle
situazioni in cui il trauma sfoci in tumori di questo tipo. Resta il fatto che sia un’idea” (Intervista 1).
“Diciamo che tendo a farmi dei training autogeni da sola” (Intervista 10)
“La mia psicologa mi ha insegnato a fare delle visualizzazioni ed isolarmi da questa cosa. E infatti durante la risonanza
ho tenuto gli occhi chiusi e quella luce che si vede dentro me la sono immaginata come il sole e ho cantato tra me e me
ovviamente” (Intervista 19)
4 persone dichiarano di avere una visione “alternativa” che riconduce il tumore all’esito di un
trauma di natura psicologica. 3 donne dichiarano inoltre di aver utilizzato alcune tecniche a
mediazione corporea (training autogeno, visualizzazioni, agopuntura) per affrontare con maggiore
serenità alcuni momenti del percorso di cura, considerati ansiogeni, come alcuni esami e terapie.
Discussione
I risultati ottenuti dall’analisi delle interviste evidenziano che sono in gioco tre principali aspetti in
un percorso di cura di qualità: presenza di professionisti “umani” e interessati all’aspetto
relazionale, che lavorano in rete, si scambiano le informazioni nei vari momenti di cura e
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“accompagnano” la persona attraverso le varie fasi del percorso, favorendo l’accesso ai diversi
servizi in maniera molto rapida.
Questi dati si situano in linea con i contributi della letteratura sulla continuity of care, che definisce
che affinché un percorso sia vissuto in termini di continuità, è necessario che siano garantiti tre
aspetti: informativi (informational continuity), relazionali (relational continuity), organizzativi
(management continuity). L’informational continuity si riferisce alla continuità delle informazioni
condivise tra gli operatori socio-sanitari che hanno in cura la persona; tali informazioni riguardano
non solo lo stato di malattia, ma anche altri aspetti come le preferenze per i trattamenti. La
relational continuity indica la presenza di un gruppo di professionisti che lavora con la persona e
che svolge una funzione di ponte tra trattamenti passati, presenti e futuri. Questo collante è anche
garantito dal fatto che le prestazioni sanitarie vengano erogate da diversi professionisti in modo
complementare e tempestivo (management continuity). Nel momento in cui questi tre aspetti sono
garantiti, la persona si sente accompagnata in un percorso e vengono meno quelle sensazioni di
solitudine, isolamento, mancanza o scarsità di dialogo con e tra professionisti, che appesantiscono
un percorso di per sé complesso. Non secondaria è, inoltre, la necessità di curare e garantire la
continuità di scambi e collaborazione tra i servizi socio-sanitari e i servizi territoriali, in primis
favorendo il dialogo e la partecipazione del MMG. Utile anche il contatto con le associazioni di
familiari e pazienti che potrebbero assolvere a numerose ed importanti funzioni (Copelli P. et al.
2011; PNLG10).
Sviluppi Futuri
I dati sinora raccolti sebbene siano ricchi dal punto di vista contenutistico, aprono delle piste di
approfondimento futuro.
Per il modo in cui sono state selezionate le persone da intervistare (studio 1 senza ancora la parte di
studio 2 quantitativo) e per l’esiguità del numero di partecipanti, i dati ottenuti dall’analisi delle
interviste pur consentendo di esplorare i fattori e gli elementi che qualificano un percorso di cura di
qualità, non permettono di fare delle inferenze sull’adeguatezza/non adeguatezza del percorso, sulla
corrispondenza tra percorso strutturato nei protocolli aziendali ed effettive esperienze vissute dai
pazienti. Per rispondere a tali quesiti sarebbe necessario strutturare uno studio, che, con l’ausilio di
questionari autosomministrati, permetta di raccogliere in modo molto più strutturato e capillare
delle informazioni di natura quantitativa. Le indicazioni raccolte dovrebbero essere utilizzate per
condurre delle riflessioni per esempio sulla presenza/assenza del referente clinico del caso nei vari
momenti di cura e sulla presenza del case manager infermieristico nel follow up.
I dati raccolti potrebbero poi essere utilizzati nell’ambito della programmazione della rete, per
ragionare su quali cambiamenti organizzativi introdurre per garantire la continuity of care.
63
I risultati raccolti nello studio qualitativo (30 interviste di cui analizzate quelle sul carcinoma della
mammella), saranno posti a confronto con la letteratura esistente sulla continuità delle cure in
oncologia, per evidenziare analogie, sovrapposizioni, specificità della popolazione considerata. Sarà
successivamente messo a punto un questionario in grado di valutare la soddisfazione e la continuità
del percorso di cura. I questionari risultanti saranno somministrati a circa 300 persone con diagnosi
di neoplasia alla mammella e al colon-retto. Anche in questo caso saranno individuati i nominativi
delle persone da coinvolgere, escludendo quelli che, in ragione delle condizioni cliniche o perché
non consapevoli delle proprie condizioni cliniche, non verranno ritenute idonee alla
somministrazione del questionario.
Indicativamente il questionario, in formato cartaceo, sarà somministrato alle persone selezionate
durante visite di controllo e follow-up.
Il questionario sarà sottoposto ad una procedura di validazione ed, in particolare, sarà calcolata la
validità concorrente tra gli items costruiti ad hoc sulla “Continuity of Care” e altre scale che
misurano l’esperienza del paziente, la percezione rispetto alla qualità di vita etc...
I questionari raccolti verranno invece inseriti in un database che conterrà le seguenti informazioni:
dati demografici, tipo e stadio della malattia (carcinoma della mammella e del colon-retto),
intervento chirurgico se presente, presenza di altre patologie da anamnesi, tipologia di trattamento
(chemio e/o radio).
I dati raccolti dai questionari saranno analizzati con l’utilizzo del software SPSS effettuando analisi
di natura descrittiva (medie, frequenze, correlazioni) ed inferenziale (analisi fattoriale) per
individuare le componenti della continuità e le variabili che la possono influenzare.
64
5.Conclusioni
Le trasformazioni sociali, demografiche ed epidemiologiche che si sono prodotte nel corso degli
ultimi decenni pongono nuovi problemi di salute, amplificano le diseguaglianze tra i gruppi di
popolazione e differenziano le loro aspettative verso i servizi. Tali modifiche richiedono un
significativo cambiamento delle politiche ed un riesame dei modelli assistenziali poiché i bisogni
della società, sempre più articolati e complessi, non permettono risposte settoriali alla malattia o al
disagio sociale, ma richiedono risposte unitarie volte a considerare la persona nella sua globalità.
L’integrazione delle cure è la modalità attraverso cui le società evolute, nel mondo, sperano di
controllare le tensioni e le contraddizioni che sono all’origine delle disfunzioni del sistema
sanitario, fra cui ad esempio la frammentazione delle cure, l’uso inadeguato delle competenze,
l’iniquità nell’ accesso ad alcuni servizi.
Tra i benefici più immediati introdotti dall’applicazione dei modelli a rete, ci sono la
razionalizzazione delle risorse (tangibili, intangibili, umane), un utilizzo mirato degli investimenti,
un aumento delle conoscenze, delle competenze e della specializzazione.
Emerge dunque un ruolo fondamentale delle reti in termini di efficienza gestionale, decisionale e di
integrazione. La rete come leva di un potenziale cambiamento. La rete però è anche una dinamica di
attori, uno spazio di creatività istituzionale dove si possono rinegoziare i ruoli di ciascuno e
inventare nuove soluzioni (referenti, lavoro collettivo, valori professionali…), in altri termini un
luogo di sperimentazione sociale nel senso pieno del termine. In aggiunta la condivisione di
conoscenze e di esperienze pratiche tra professionisti (medici, operatori sociali e sanitari, tecnici,
amministrativi, infermieri, managers etc…) si è dimostrata aumentare la performance della rete
rendendo possibile la diffusione delle innovazioni e l’adozione di nuove pratiche.
Quindi l’analisi non è solo da un punto di vista sanitario ed economico, è necessario interessarsi al
cambiamento culturale, al ruolo dei professionisti e ai cambiamenti organizzativi messi in campo.
Sebbene i vantaggi delle reti siano ben descritti in letteratura, sono ancora pochi gli studi che hanno
cercato di analizzare gli aspetti critici di successo di un’organizzazione reticolare in Sanità, così
come percepiti da informatori chiave, stakeholders e pazienti. Infatti la valutazione per le reti fa
riferimento al miglioramento della presa in carico della persona, rispetto ad una situazione ritenuta
problematica, quindi pone al centro del giudizio non solo gli operatori della rete ma in primis il
paziente nel senso del coordinamento degli interventi, fluidità della traiettoria di cura, continuità
della presa in carico.
Dall’analisi del caso di studio della Rete Oncologica della Romagna emerge forte la necessità di
dare grande importanza alla dimensione della qualità delle relazioni umane, come elemento
65
essenziale per motivare i professionisti a raggiungere obiettivi come efficacia (effectiveness) e
qualità delle cure. Inoltre risulta essenziale il sapere che il sistema valoriale è condiviso, per
realizzare un buon clima lavorativo e buone relazioni umane, tra i diversi professionisti.
Per quanto concerne invece la presa in carico della persona con esperienza di tumore, emergono
come fattori critici da stressare un’analisi attenta, rigorosa e costante dell’appropriatezza nella
traiettoria di cura, la necessità di avere una continuità in un percorso, già di per sé difficile, inoltre
forte e chiara l’importanza dell’umanizzazione dei servizi e della corretta comunicazione medico
paziente.
66
Allegato 1
La traccia di intervista
Premessa
L’identificazione dei domìni è stata effettuata sulla base dei seguenti riferimenti:
1. Modello di valutazione della qualità secondo Donabediàn (2003)
2. Modello di analisi organizzativa di Tonelli (2004)
3. Tassonomia delle reti sanitarie integrate, secondo Bazzoli et al. (1999), modif.
4. Modello OMS (regional Office for Europe) e documento inglese A practical guide to
integrated working (che a tale modello si ispira).
5. Bibliografia minima pertinente al tema della Interorganizational collaboration (networks) in
healthcare.
Tali riferimenti sono stati scelti in quanto pertinenti ai principali aspetti, concettuali e operativi,
emersi e discussi durante la fase esplorativa del Gruppo di Lavoro del progetto. Inoltre, tutti i
documenti citati offrono strumenti per una lettura ‘di sistema’, che consente quindi di descrivere e
analizzare:
- fattori generali, comuni a tutte le organizzazioni sanitarie (reti ospedaliere e sanitarie non sono
che versioni particolari di organizzazioni sanitarie);
- fattori specifici, che caratterizzano le singole reti nel loro rispettivo mandato assistenziale.
Struttura e temi dell’intervista
Dominio 1 (comune a tutti i ‘casi’) – La situazione di partenza.
Tema guida: la strategia e la progettazione della rete: perché, dove, chi, come, in quanto tempo?
Dominio 2 (comune a tutti i ‘casi’) – Macro-struttura della rete - Azioni per la costruzione della
rete
Temi guida: modello di rete, azioni per costruire la rete (rete come variabile dipendente).
Dominio 3 (specifico) – L’organizzazione della rete, l’assistenza in rete
Tema guida: i processi in rete (rete come variabile indipendente).
Dominio 4 (comune a tutti i ‘casi’) – Valutazione di successo/insuccesso – Barriere e fattori
facilitanti
Temi guida: valutazione del grado di successo del progetto, ostacoli (superati, da superare), fattori
di successo (e loro grado di trasferibilità ad altre esperienze)
Descrizione dei domìni
Dominio 1 (comune a tutti i ‘casi’) – La situazione di partenza
Rispondono: il DG, il DS, altri soggetti coinvolti a livello strategico (es. assessore regionale o suo
delegato, direttore dipartimento sanità regione, sindaco, preside di facoltà o rettore, ecc.)
Tema guida: la strategia e la progettazione della rete: perché, dove, chi, come, in quanto tempo?
67
Traccia
1. A quali problemi intende/va rispondere il progetto di rete?
2. Quali erano/sono dunque i principali obiettivi? I risultati attesi a (n) anni?
3. Può descrivere in sintesi il contesto in cui è nato il progetto di rete? (condizioni favorevoli o
contrarie; documentare quanto più possibile)
a. Es. contesto politico/economico:
nell’area geografica in questione esiste (non esiste) una ‘storia’ di progetti
collaborativi o di partnership, anche in settori diversi dalla sanità
b. Es. contesto socio/culturale:
la società civile è (non è) propensa a lavorare o organizzarsi in iniziative
collaborative
4. Può indicare e rendere disponibili gli atti principali e la normativa che hanno sostenuto la
formalizzazione del progetto di rete?
5. Quanto tempo è stato necessario per la progettazione e la formalizzazione? (tempo intercorso
tra la prima proposta ufficiale e ‘ristretta’ e il ‘lancio’ definitivo del progetto)
6. Può descrivere in sintesi le modalità con cui è stato cercato e ottenuto il consenso necessario per
lanciare il progetto? Quali sono stati i soggetti coinvolti?
***************
Dominio 1 - Note per l’intervistatore
-
Elencare i punti che si ritiene siano stati trattati in modo esauriente durante il colloquio
o …………………………………………………………………………………………
Elencare qui di seguito eventuali temi sollevati e non previsti dalla traccia
o …………………………………………………………………………………………
……….
-
Altri commenti
Dominio 2 (comune a tutti i ‘casi’) – Macro-struttura della rete - Azioni per la costruzione della rete
Rispondono: il DG, il DS, il Direttore Dipartimento Professioni Sanitarie / Direttore
dell’’Assistenza / Direttore del Servizio Infermieristico, altri soggetti coinvolti a livello strategico
(es. assessore regionale o suo delegato, direttore dipartimento sanità regione, sindaco), preside di
facoltà o rettore, direttori di dipartimenti..
Temi guida: modello di rete, azioni per costruire la rete (rete come variabile dipendente).
Nota. Dal domìnio 2 – domande del gruppo 3 d, deve emergere una lista di processi tecnicoprofessionali e di processi gestionali maggiormente coinvolti nel progetto di rete. L’elenco dei
processi suggerirà i soggetti (responsabili di area, coordinatori, direttori ecc..) a cui porre i quesiti
del dominio 3.
Per l’identificazione dei processi gestionali si può fare riferimento all’elenco della tabella 3 (tratta
da Tonelli, 2008).
I processi tecnico-professionali (semplici, complessi, mono o multidisciplinari) saranno identificati
dai percorsi assistenziali di pazienti con determinate patologie (es. percorso del paziente con
scompenso cardiaco, con stroke, infarto ecc.), dai trattamenti (es. bypass A-C) o dai sottogruppi di
pazienti (es. pazienti anziani) a cui il progetto di rete si rivolge.
Traccia
1. Può definire il modello e/o le dimesnioni di rete a cui il progetto si ispira maggiormente,
68
facendo riferimento al dizionario minimo che le proponiamo? (il modello da lei descritto può
derivare dalla composizione di 2 o più dimensioni, tra quelle proposte)
2. Quali presìdi / strutture (es. ospedali, distretti, DSM, consultori, residenze ecc.) fanno parte
della rete?
3. Può descrivere i principali ambiti di intervento interessati dal progetto, tra quelli di seguito
elencati? (per le risposte ai quesiti b, g, i: utilizzare anche le tabelle 1 e 2).
a. Strutture fisiche
a. es. Sono stati realizzati interventi di costruzione, ristrutturazione, ampliamento di
edifici ?
b. Risorse finanziarie
a. Sono stati definiti/modificati i criteri di allocazione delle risorse aziendali?
b. Sono stati fatti investimenti ad hoc?
c. Sono stati acquisiti fondi da fonti esterne (Regione, Ministero, Europa,..)?
c. Tecnologia e informazione
a. Sono stati attivati e/o migliorati i sistemi di Information and communication
technology ?
d. Processi gestionali e tecnico-professionali
a. Quali processi sono stati revisionati/reingegnerizzati/riprogettati per favorire lo
sviluppo della rete? (fare elenco: questa parte verrà poi trattata con maggior dettaglio
nel domìnio 3) – vedi anche tabella 3.
b. Quanto tempo è stato necessario per la messa a regime di tali processi? (es.
pianificazione per n mesi, sperimentazione per n mesi, ecc.)?
c. Sono stati ridefiniti ruoli e responsabilità? Sono stati modificati i processi
decisionali? Se sì, in che modo?
69
e. Politica e informazione
a. Qual è stato il ruolo giocato da autorità e opinion leader?
b. E’ stato necessario affrontare/appianare conflitti per poter procedere? Quali?
c. Sono emerse incongruenze tra leadership formale e sostanziale del progetto?
d. Qual è stato il ruolo svolto dai media? È stato possibile utilizzarli per la diffusione di
informazioni? Oppure hanno rappresentato un ostacolo?
f. Cultura
a. Sono stati realizzati interventi di natura culturale nei confronti di particolari gruppi di
soggetti?
b. E’ stato utilizzato/valorizzato il supporto offerto da soggetti/gruppi specifici, in virtù
di proprie e pertinenti attitudini culturali, sociali o professionali (es. cultura
scientifica, etica, gestionale, ecc.)?
g. Formazione e ricerca
a. Sono state sviluppate azioni nel campo della formazione e della ricerca, per la
promozione e lo sviluppo della rete (singoli presìdi, interpresìdi intraziendale,
interaziendale)?
b. La Direzione ha ricevuto a questo riguardo proposte o richieste dai professional o
dagli uffici di staff?
h. Aspetti emotivi individuali e collettivi
a. Sono stati realizzati interventi finalizzati a migliorare l’adesione e la comprensione
della rete, a rafforzare la motivazione dei soggetti o dei gruppi cruciali per il
successo del progetto?
i. Aspetti normativi e regolatòri
a. Sono stati firmati contratti?
b. Sono stati creati nuovi assetti istituzionali? (es. dipartimenti, fondazioni, consorzi,
ecc..)
c. Sono stati firmati nuovi accordi sindacali?
d. Sono stati definiti obiettivi di budget mirati a promuovere la rete?
e. E’ stato messo in atto un sistema valutativo/premiante finalizzato a promuovere la
rete?
**************
70
Modelli e dimensioni di rete: un possibile dizionario essenziale (nota 1)
Le definizioni proposte qui di seguito non rispondono tutte a un unico set di criteri, ma a modi
diversi, adottati da diversi documenti e progetti in ambito internazionale, di classificare o
orientare servizi con l’intento di migliorare il loro livello di organizzazione e interconnessione.
Per ciascuno dei termini presentati viene indicata una breve definizione e almeno una fonte
bibliografica di riferimento.
Linkage
Un collegamento relativamente semplice, benché sistematico, tra diverse organizzazioni. A
ciascun ‘fornitore’ viene richiesto di essere consapevole dell’esistenza e di comprendere gli altri
‘fornitori’ per quanto riguarda i bisogni di salute e di assistenza a cui rispondono, le
responsabilità finanziarie e i criteri per la presa in carico dei pazienti. Questo modello implica
l’identificazione di problemi nel collegamento e la loro soluzione, promuovendo lo scambio di
informazioni e assicurando la reciproca chiarezza in termini di responsabilità, obiettivi e risorse.
E’ la forma di interconnessione tra organizzazioni che richiede il minor livello di cambiamento
e lascia a ciascuna di esse la propria struttura, autonomia e gestione di risorse.
(Fonte: Integrated Healthcare for People with Chronic Conditions. Norwegian Knowledge
Centre for the Health Services, 2008)
Coordinamento
E’ un approccio più strutturato, che implica l’esistenza di strutture e processi aggiuntivi ed
espliciti, quali ad esempio: flussi informativi routinari e condivisi, gestione dedicata della
transizione tra un setting assistenziale e l’altro, individuazione di una responsabilità specifica
per il coordinamento.
E’ un approccio intermedio e incrementale verso il cambiamento. Richiede una nuova
organizzazione dell’offerta, del finanziamento e della governance.
(Fonte: Integrated Healthcare for People with Chronic Conditions. Norwegian Knowledge
Centre for the Health Services, 2008)
Esiste una visione condivisa dei bisogni dell’utilizzatore del servizio. Le azioni e le decisioni
sono coordinate.
(Fonte: A practical guide to integrated working’. Care Services Improvement Partnership,
2008)
Differenziazione
Si riferisce al numero di differenti prodotti o servizi che l’organizzazione (o il sistema sanitario)
offre e si riflette nello sviluppo di conoscenze, funzioni, dipartimenti e comunque punti di vista
specializzati.
Si riferisce all’abilità di fornire un numero e una tipologia di servizi appropriati lungo l’intera
catena di assistenza. Il grado di differenziazione può essere misurato attraverso la proporzione
di (tipologie di) servizi che, per una determinata dimensione di assistenza (ad es. assistenza
pediatrica) viene erogato (programmato, gestito) in singoli ospedali o strutture.
(Fonte: Bazzoli G.J et al. 1999. A taxonomy of health networks and syspems: bringing order out
of chaos)
Centralizzazione
Il grado in cui i servizi sono centralizzati o decentrati rispetto ai processi decisionali e alla
pianificazione delle attività. Il grado di decentramento ha implicazioni per la velocità con cui le
71
decisioni vengono prese, l’abilità di sviluppare nuovi prodotti o servizi e la capacità di rendere
conto a diversi portatori di interesse. II grado di centralizzazione può essere misurato attraverso
la proporzione di (tipologie di) servizi che, per una determinata dimensione di assistenza viene
erogato (programmato, gestito) a livello di ‘rete’ piuttosto che a livello di singoli ospedali o
strutture.
(Fonte: Bazzoli G.J et al. 1999. A taxonomy of health networks and syspems: bringing order out
of chaos)
72
Integrazione
Questo modello implica l’esistenza di un singolo sistema che assuma la responsabilità per tutti i
servizi, la gestione delle risorse e dei finanziamenti attraverso un’unica struttura o attraverso
accordi contrattuali tra diverse organizzazioni. Un esempio di questo tipo è la Kaiser
Permanente, una HMO americana.
Un sistema integrato richiede cambiamenti radicali e strutturali e la creazione di nuovi
programmi e unità nei quali le risorse provenienti da sistemi multipli siano accorpate.
(Fonte: Integrated Healthcare for People with Chronic Conditions. Norwegian Knowledge
Centre for the Health Services, 2008)
Un mezzo per migliorare i servizi in relazione a: accesso, qualità, efficienza, soddisfazione degli
utilizzatori. L’integrazione orizzontale si basa su strategie appropriate per legare livelli di cura
simili tra loro (ad esempio attraverso confini professionali o dipartimentali). L’integrazione
verticale si basa su strategie appropriate per collegare diversi livelli di cura (ad esempio: cure
primarie, secondarie ecc.). La continuità delle cure è un concetto semplice, espresso nella
prospettiva dell’esperienza del paziente. L’integrazione delle cure è un concetto più ampio che
comprende, ad esempio, aspetti tecnologici, di management ed economici.
(Fonte: WHO, Regional Office for Europe)
La capacità di ‘mettere insieme i pezzi’ allo scopo di migliorare la qualità dei servizi offerti.
L’integrazione può essere ottenuta mediante gestione ‘proprietaria’ dei servizi e programmi di
interesse o mediante relazioni contrattuali. Il grado di integrazione può essere misurato
attraverso la proporzione di (tipologie di) servizi che, per una determinata dimensione di
assistenza (ad es. assistenza pediatrica) viene erogato (programmato, gestito) mediante accordi
contrattuali tra diverse organizzazioni.
(Fonte: Bazzoli G.J et al. 1999. A taxonomy of health networks and syspems: bringing order out
of chaos)
73
Tabella 1
74
Tabella 2
***************
75
Tabella 3
76
Dominio 2 - Note per l’intervistatore
-
Indicare i punti che si ritiene siano stati trattati in modo esauriente durante il colloquio
o …………………………………………………………………………………………
……….
-
Indicare i processi tecnico-professionali maggiormente coinvolti dal processo di rete
o …………………………………………………………………………………………
……….
o …………………………………………………………………………………………
……….
o …………………………………………………………………………………………
……….
o …………………………………………………………………………………………
……….
o …………………………………………………………………………………………
……….
o …………………………………………………………………………………………
……….
-
Indicare i processi gestionali maggiormente coinvolti dal processo di rete
o …………………………………………………………………………………………
……….
o …………………………………………………………………………………………
……….
o …………………………………………………………………………………………
……….
o …………………………………………………………………………………………
……….
o …………………………………………………………………………………………
……….
o …………………………………………………………………………………………
……….
Elencare eventuali temi sollevati e non previsti dalla traccia
o …………………………………………………………………………………………
……….
o …………………………………………………………………………………………
……….
o …………………………………………………………………………………………
……….
-
-
Altri commenti
77
Dominio 3 (specifico) – L’organizzazione della rete, l’assistenza in rete
Rispondono: Responsabili di staff o uffici aziendali (es. sistemi informativi, formazione, controllo
di gestione), professional in posizione apicale (es. direttori di dipartimento, unità operative
complesse, aree funzionali, ecc.).
Tema guida – I processi in rete (rete come variabile indipendente).
Nota. La scelta dei soggetti da intervistare sarà orientata dai contenuti dell’intervista del dominio
2 (elenco processi tecnico-professionali e di processi gestionali maggiormente coinvolti nel
progetto di rete).
Traccia
1. Sistema di regole per il funzionamento dei processi tecnici e gestionali: procedure, protocolli,
linee guida
a. Quali protocolli, procedure e LG assicurano il corretto svolgimento dei principali
processi in rete?
b. Sono state definite o riviste altre procedure, trasversali e/o di supporto?^
2. Sistema informativo
a. Quale sistema informativo assicura il monitoraggio dei processi maggiormente
coinvolti dal progetto di rete?
b. Come viene monitorata la qualità dei servizi?
c. Come viene monitorata l’equità dei servizi?
d. Sono stati definiti e condivisi indicatori ? se sì, di quale tipo (attività, processo, esito
di salute, ecc.) ?
e. Vengono realizzati e diffusi report periodici di performance della rete?
3. Processi comunicativi
a. In quale modo vengono presidiati i processi comunicativi tra i professionisti coinvolti
in tali processi?
b. O quelli tra professionisti e pazienti?
4. Gestione della rete (o del progetto di rete)
f. E’ stato identificato un network manager? O un coordinatore/amministratore del
progetto di rete?
g. Se sì, con quali funzioni? Con quale profilo di competenze ed esperienza?
h. Quali altre strumenti assicurano la gestione dei processi in rete?
78
Dominio 3 - Note per l’intervistatore
-
Indicare i punti che si ritiene siano stati trattati in modo esauriente durante il colloquio
o …………………………………………………………………………………………
……….
-
Elencare eventuali temi sollevati e non previsti dalla traccia
o …………………………………………………………………………………………
……….
o …………………………………………………………………………………………
……….
o …………………………………………………………………………………………
……….
-
Altri commenti
79
Dominio 4 (comune) – Valutazione di successo/insuccesso – Barriere e fattori facilitanti
Rispondono: il DG, il DS, altri soggetti coinvolti a livello strategico (es. assessore regionale o suo
delegato, direttore dipartimento sanità regione, sindaco), preside di facoltà o rettore, direttori di
dipartimenti; ma anche i professionals che hanno risposto ai quesìti del dominio 3.
Temi guida – Valutazione del grado di successo del progetto, ostacoli (superati, da superare),
fattori di successo (e loro grado di trasferibilità ad altre esperienze)
Traccia
1. Qual è, a suo giudizio, il grado di sostenibilità nel tempo del progetto?
2. Ad oggi (n=x anni dall’avvio) qual è il livello di integrazione raggiunto, ‘quanta rete c’è’?1
3. In relazione agli obiettivi del progetto, qual è la qualità dei servizi offerti?
a. E’ migliorata? È rimasta invariata? È peggiorata?
b. Quali dimensioni della qualità sono state maggiormente interessate?
c. Il sistema di monitoraggio della qualità è modificato rispetto al periodo pre-rete?
4. Qual è il livello di equità dei servizi offerti?
a. E’ migliorato? È rimasto invariato? È peggiorato?
b. Il sistema di monitoraggio dell’equità è modificato rispetto al periodo pre-rete?
5. Qual è a suo giudizio la qualità delle relazioni tra i soggetti coinvolti dal progetto (es. diverse
categorie di professionisti, professionisti vs direzione aziendale o regionale, ecc.)? Inoltre:
a. Le relazioni si sono modificate in concomitanza o a causa della rete?
b. La qualità delle relazioni viene presidiata in qualche modo?
6. Qual è a suo giudizio il grado di benessere organizzativo all’interno della rete? (specificare,
per diverse categorie di professionisti o per diverse aree interessate). Inoltre:
a. Il clima si è modificato in concomitanza o a causa della rete?
b. Il clima/benessere organizzativo viene presidiato in qualche modo?
7. Qual è a suo giudizio il grado di consenso sociale di cui gode il progetto ?
8. Barriere
a. Quali sono (stati) gli ostacoli più forti da superare (generali, specifici)? – se
possibile, indicarne almeno 3
b. Quali azioni (tra quelle considerate nel dominio 2) hanno avuto il minor grado di
successo?
9. Fattori favorenti
a. Quali sono stati i fattori favorenti più importanti (generali, specifici)? – se possibile,
indicarne almeno 3
b. Quali azioni (tra quelle considerate nel dominio 2) hanno avuto maggior successo?
c. Qual è stato il ruolo del network manager? (se identificato)
d. Pensa che sarebbe necessario identificare un network manager (se non è stato
identificato)? Con quale profilo di competenze ed esperienza?
1
L’intervistato dovrebbe dare una propria valutazione (ad esempio rispetto a una scala da 1 a 10) del livello di integrazione raggiunto
nell’ambito del progetto descritto, facendo riferimento alle definizioni proposte dal dizionario essenziale o, se preferito, ad altre
definizioni, purché documentate e verificabili.
80
Allegato 2
Griglia Intervista
GRIGLIA DOMANDE INTERVISTA STRUTTURATA*
* Le domande sono un adattamento dello strumento presentato da:
Miller A.R., Condin C.J., McKellin W.H., Shaw N., Klassen A.F., Sheps S. Continuity of care for
children with complex chronic health conditions: parents’ perspectives. BMC Health Serv Res
2009; 21: 9:24.
PREMESSA
L’Azienda Usl di Ravenna e l’Irst di Meldola, con il coordinamento dell’ Agenzia Nazionale per i
Servizi Sanitari Regionali e dell’Università di Bologna, hanno attivato una ricerca per raccogliere il
punto di vista e l’esperienza delle persone con neoplasia alla mammella e al colon-retto rispetto al
tema della continuità della cura. Nello specifico quest’intervista ha come scopo principale quello di
ricostruire, insieme a Lei, il percorso di cura-assistenza che ha ricevuto, evidenziando eventuali
aspetti che potrebbero essere migliorati.
Ci teniamo a precisare che le informazioni che ci fornirà saranno trattate anonimamente nel rispetto
della privacy e per i soli scopi di ricerca.
Area
Family
background
Argomenti
Informazioni
biografiche e
demografiche
Descrizione e
conoscenza della
patologia
Interazioni
Elenco dei
con i servizi di professionisti che sono
cura/assistenza stati coinvolti nel
percorso
Descrizione del ruolo
giocato da ciascun
specialista; tipo e
qualità di relazione con
ciascun professionista
Percezione di uno
specialista che
sovrintende alla cura
Interazioni tra Percezioni della misura
i servizi di
in cui gli specialisti
cura/assistenza condividono una
comprensione comune
della patologia e delle
Domande
(trasversale alla domanda sotto)
Mi racconti un po’ della sua patologia...
lo facciamo attraverso una modalità un po' diversa:
Proviamo a fare un elenco degli specialisti/i
medici/infermieri che lei ha avuto modo di vedere
dai primi disturbi, dai primi esami, dalla diagnosi, al
trattamento, ad oggi…
(MMG, specialisti, oncologo, ….) (*)
Mi racconti come e quando è entrato in relazione
con ciascun specialista?
Quale ruolo hanno svolto? Che informazioni le
hanno dato?
Qual è/qual è stata la relazione con ognuno di loro?
È cambiata nel corso del tempo?
C’è qualche aspetto che migliorerebbe?
C’è una o più persone (specialisti,
un’organizzazione) in questa rete*, che è più
coinvolto nella cura della sua persona? Se lei fosse
al centro di una ipotetica rete*, chi metterebbe più
vicino a lei e perché? Chi più distante?
Mi racconti di questa persona/organizzazione, come
l’ha scelta, che rapporto avete costruito…
Lei si è sentito parte di un percorso che è iniziato
dalla diagnosi, o anche dai primi esami ad oggi?
Sente che gli specialisti condividono un piano di
interventi comuni per rispondere ai suoi bisogni? Gli
specialisti, rappresentati come nodi della rete*,
81
azioni per rispondere ai
bisogni della persona
Patient
experience
Percezioni delle
relazioni tra specialisti
Percezione della
condivisione di
informazioni tra
specialisti
Condivisione scelte
Adeguatezza
Informazioni
Valutazione
della
continuità
Valutazione della cura e
coerenza nella cura
Significato della
“continuità della cura”
Percezione e
valutazione
della
prossimità
della cura
Descrizione della
traiettoria di cura e
percezione del valore
della prossimità di cura
Ricerca
Descrizione e
percezione della
partecipazione a studi
clinici
Rilevazione di altri
attori nel fornire
supporto e/o cura alle
persone
(famiglia/gruppi, assoc)
Le principali sfide
Altre persone
significative
Domande
conclusive
riconoscono i medesimi problemi/sintomi?
Condividono tra di loro il piano di trattamento/cura?
In che modo?
Gli specialisti da lei richiamati si conoscono?
Come lo specialista x conosce lo specialista y?
Come lo specialista y è informato della sua salute,
ovvero come avviene lo scambio di informazioni tra
“i nodi” della rete*? (in forma di cartella clinica;
comunicazione scritta/verbale…)
Ha avuto la percezione di poter prendere parte alle
scelte terapeutiche?
Ha avuto la percezione di poter prendere parte alle
scelte terapeutiche?
Dalla diagnosi alla terapia (anche farmacologica) le
sono state date delle informazioni in maniera chiara?
Le sono state date delle informazioni in maniera
sufficiente? (Quando nella rete e Da parte di chi?)
Pensa di essere stato trattato con rispetto?
Le è capitato di sentire il bisogno di capirci qualcosa
di più? In questo caso a chi si è rivolto?
Se o lei o qualcuno della sua famiglia avesse
bisogno di informazioni aggiuntive sulla diagnosi,
sul trattamento farmacologico ecc.. con chi ne
parlerebbe (medici/infermieri)?
Ritiene che siano stati accolti i suoi bisogni, anche
di supporto psicologico? Da chi? In che modo?
Ci sono secondo lei in questa rete* dei legami forti o
deboli? In che senso? Perché?
C’è stato un gran parlare recentemente di “continuità
della cura”. Che cosa significa per lei “continuità
della cura”?
Ha usufruito di tutte le prestazioni nella sua città?
SE Sì: Che valore attribuisce al fatto di aver potuto
usufruire di tutte le cure adeguate nella sua città?
SE No: Perché si è allontanato da casa per sottoporsi
alle terapie? L’ha scelto lei o è stato inviato da
qualcuno? Chi? Che informazioni ha ricevuto in
merito? Che valore attribuisce al fatto di aver potuto
usufruire delle cure erogate in Romagna?
Nel suo percorso di cura, è entrato a far parte di una
sperimentazione di tipo clinico? Le è stato proposto
oppure si è informato in questo senso? Quale effetto
le ha fatto questa esperienza?
Ci sono altre persone o servizi/associazioni che
l’hanno accompagnata in questo percorso? Come
l’hanno aiutata?
Ci sono stati dei servizi/ tipi di aiuto che sono stati
difficili da ottenere? Quali difficoltà ha incontrato?
82
Ci sono servizi/prestazioni che, nella sua esperienza,
sarebbero migliorabili? Quali? In che senso?
* La “rete” a cui si fa riferimento nella presente griglia di domande è quella co-costruita insieme
all’intervistato, chiedendogli di fare l’elenco dei professionisti contattati; non è quindi possibile
definirla a priori.
83
Allegato 3: Principali risultati ottenuti dal T-Lab
Premessa: che cos’è il T-Lab
T-LAB è un software costituito da un insieme di strumenti linguistici e statistici per l'analisi di
contenuto; i testi analizzabili possono essere i più vari: articoli di giornali, trascrizioni di interviste
e discorsi, risposte a domande aperte, documenti aziendali, materiali scaricati da Internet, testi
legislativi, libri, etc.
Il T-Lab è stato utilizzato per condurre un’analisi testuale delle interviste raccolte, focalizzando
l’attenzione su alcuni termini che dall’analisi del contenuto erano risultati centrali: l’importanza
della comunicazione; le caratteristiche dell’oncologo di riferimento ed il ruolo del Medico di
Medicina Generale nel percorso.
Corpus analizzato
Il corpus comprende 14 testi-abstract e un totale di 50.374 occorrenze. Nell’analisi sono state
considerate le parole con una soglia di frequenza N= 6 per un totale di N= 3115 lemmi che
contengono le label (o tag) con le quali sono state raggruppate.
Dopo aver preparato il corpus testuale sottoponendolo ad una disambiguazione e lessicalizzazione
del testo, è stata effettuata in primis l’analisi delle associazioni di parole, analizzando nello
specifico le parole con maggiore occorrenza e la rete semantica che gravita attorno al lemma con
una maggiore occorrenza (“dottore”), e a seguire i termini che sono strettamente associati alla
figura del Medico di Medicina Generale. Come indice di associazione tra le parole è stato utilizzato
il coefficiente del coseno.
Alcuni Risultati
Sezione A
L’importanza degli aspetti relazionali e comunicativi è supportata dall’analisi con il T-Lab che ha
dimostrato che tra le parole che occorrono con maggior frequenza nel testo si riscontrano parole
che fanno riferimento allo scambio comunicativo (ex. vedere, sentire, parlare, chiamare, chiedere)
e alla relazione curante con il medico di riferimento nelle varie strutture della Rete (Dottore, nodo
della rete, dottoressa, terapia, nodo della rete, chemio) (Tab. Ia).
84
Tab. Ia- Parole con maggiore occorrenza
Lemma
Coefficiente del Coseno Lemma
Coefficiente del Coseno
Dottore
341
Chiamare
94
Nodo della rete 190
Terapia
93
Vedere
134
Prima
91
Sentire
125
Nodo della rete 87
Parlare
121
Chiedere
86
Prendere
116
Chemio
85
dottoressa
96
Trovare
83
Sezione B
È stata effettuata l’analisi dell’associazione di parole effettuata con in specifico con il lemma che
occorre di più : “Dottore” (341 occorrenze).
Tra i dottori individuati dai pazienti in primis ci sono gli oncologi riconosciuti dai pazienti come
figure di riferimento. I lemmi strettamente associati al termine “dottore” fanno riferimento a:
- nomi degli oncologi di riferimento;
- verbi che denotano uno scambio comunicativo (parlare, chiamare, prendere appuntamento,
chiedere)
- collegamento dell’oncologo con il chirurgo (cognomi del chirurgo)
- termini che denotano il percorso di cura (terapia, giorno, visita) (Tab. IIa).
Tab. IIa- Parole associate a “Dottore” e grado di associazione
Lemma
Coefficiente del Lemma
Coefficiente del Lemma
Coefficiente del
Coseno
Coseno
Coseno
Dottoressa 0,4256
Nome_doc
0,1944
Terapia
0,1685
Vedere
0,2339
Nome_doc
0,1891
giorno
0,1580
Nome_doc
0,2321
Nome_doc
0,1879
Chiedere
0,1577
Nome_doc
0,2256
Chiamare
0,11843
Visita
0,1563
Parlare
0,2068
Prima
0,1817
Nome_doc 0,1541
Nome_doc
0,2041
Prendere
0,1810
Nodo rete
0,1437
Nome_doc
0.1959
appuntamento 0,1695
Trovare
0,1427
Sezione C
Il termine “medico di base” è strettamente associato a lemmi che lo individuano come figura a cui
85
le persone si rivolgono (chiedere, chiamare) per avere informazioni ulteriori sul percorso di cura,
sulle strutture alle quali rivolgersi (nodi della rete oncologica romagnola), sui vari esami e/o esiti
(tac, risonanza, esito); significativo è il lemma importante, che come emerge dall’analisi del
contenuto supporta l’esperienza di alcuni pazienti che vedono e descrivono il MMG come un
importante punto di riferimento supportivo all’interno del percorso di cura.
Tab. IIIa- Parole associate a “Medico di base” e grado di associazione
Lemma
Coefficiente del Coseno Lemma
Coefficiente del Coseno
Chiedere
0,1412
Tac
0,0910
Funzionare 0,1316
Chiamare
0,0900
Persone
0,1146
Mese
0,0867
Nodo rete
0,0926
Risonanza
0,0840
Nodo rete
0,0926
Esito
0,0840
Bisogno
0,0926
importante 0,0840
Prima
0,0915
86
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