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Giorgio Moio, Dante e la politica in Nuovi itinerari danteschi

2021, Nuovi itinerari danteschi, a cura di Angelo Manitta, Il Convivio edizioni, 2021

GIORGIO MOIO DANTE E LA POLITICA Estratto da Citazione bibliografica: Nuovi Itinerari Danteschi, a cura di Angelo Manitta, Il Convivio Editore, Castiglione di Sicilia (CT), maggio 2021, pp. XXII-506 ISBN 978-88-3274-461-3 Il Convivio Editore Via Pietramarina-Verzella, 66 95012 Castiglione di Sicilia (CT) – Italia www.ilconvivioeditore.com Proprietà letteraria riservata Prima edizione: Maggio 2021 Direzione di Giuseppe Manitta NOTA Il presente volume nasce come numero speciale e funge da supplemento alla rivista “Letteratura e Pensiero” (anno III, n. 2, Aprile-Giugno 2021, n. 8) fondata da Angelo Manitta e diretta da Giuseppe Manitta, che ha il seguente Comitato Scientifico: Giuseppe A. Camerino (Univ. del Salento - Lecce), Vittorio Capuzza (Università Tor Vergata - Roma), Gandolfo Cascio (Università di Utrecht), Carmine Chiodo (Univ. Tor Vergata - Roma), Vincenzo Guarracino (Poeta, Critico letterario), Francesco D’Episcopo (Università Federico II – Napoli), Giuseppe Rando (Univ. Messina), Fabio Russo (Univ. di Trieste), Claudio Tugnoli (Univ. di Trento). INDICE DEL VOLUME INTRODUZIONE di Angelo Manitta IX SUL FILO DEL PENSIERO ERMINIA ARDISSINO, Impero, giustizia, amore. Una lettura di Paradiso VII (con una proposta sul “doppio lume” del sesto verso) 3 CONCETTO MARTELLO, Analogia dell’essere e trascendenza divina nel Paradiso dantesco 23 FABIO RUSSO, Tenebra e Luce, e quanta umanità nel cammino del protagonista e artefice Dante verso Dio 47 GIUSEPPE RANDO, In margine al «Padre nostro» di Dante (Purg. XI, 1-24) 61 BIANCA GARAVELLI, L’antico sangue e l’opere leggiadre. Politica, arte e fama nel canto XI del Purgatorio 67 FRANCESCO D’EPISCOPO, Dante poeta-teologo 77 GIORGIO MOIO, Dante e la politica 81 CARLO DI LIETO, Esegesi psicoanalitica del canto V dell’Inferno 89 ASTERIA CASADIO, ‘Formularità’ nella rima dantesca 105 PERSONE E PERSONAGGI JOSÉ BLANCO JIMÉNEZ, Flegïàs e Filippo Argenti: uno scolio narrativo 117 ELISABETTA BENUCCI, Il culto di Dante nelle scrittrici italiane dell’Ottocento: dal Risorgimento alle celebrazioni del 1865 169 ALICE BENA, «La gloriosa donna de la mente»: Dante Gabriel Rossetti lettore della Vita Nuova 199 VINCENZO GUARRACINO, All’ombra di Dante. Leopardi e la cantica Appressamento della morte 221 NOVELLA PRIMO, “Appressamenti” danteschi nella scrittura di Giacomo Leopardi 231 VITTORIO CAPUZZA, La «femmina balba» (Purg. XIX, 6-33): ispirazioni e aggiunta dantesca. Intorno a un’inedita lettera di Francesco Torraca 241 GANDOLFO CASCIO, Dante con gli amici, nello studiolo, per mare e su per la montagna 251 DANIELE SANTORO, Inferno X 72. Una postilla testuale sul congedo di Cavalcante 277 FRANCESCO MARTILLOTTO, Dante nel Tasso epistolografo 281 ROMANO MANESCALCHI, L’interpretazione «sub lectoris officio» in Dante ed in Auerbach 291 LORETTA MARCON, Il gondoliere dantofilo Antonio Maschio: la genesi di una passione raccontata da Maria Alinda Bonacci Brunamonti nel suo diario di viaggio 317 LUOGHI E AMBIENTI CHIODO CARMINE, Dante e le Marche nella critica novecentesca 331 OTILIA DOROTEEA BORCIA, La fortuna di Dante in Romania (dal 1848 al 2020). 367 BRUNA PANDOLFO, Aggiornamenti e riflessioni sull’iconografia dantesca in Sicilia 377 ROBERTO FRANCO, Per tremoto o sostegno manco. I versi “geologici” della Commedia di Dante Alighieri 405 ROSA ELISA GIANGOIA, I fiori nelle opere di Dante Alighieri 421 ANGELO MANITTA, L’alloro in Dante: aspetti botanici, mitologici e simbolici 435 INDICE DEI NOMI, DEI LUOGHI E DEI PERSONAGGI 475 GIORGIO MOIO DANTE E LA POLITICA Uno dei più esperti studiosi di Dante Alighieri, Ugo Dotti, mio professore all’Università, durante una sua lezione tenne a dire che il Dante poeta è conosciuto anche dalle pietre mentre del Dante politico poco si sa. E vorrei soffermarmi proprio sul secondo aspetto del Sommo Poeta che assunse un ruolo importante nella diaspora politica della sua Firenze, dapprima tra i guelfi e i ghibellini, poi tra le due fazioni dei guelfi: i Bianchi e i Neri. I nemici politici Dante li colloca tutti all’Inferno, assieme ai malvagi e ai rei, nei vari gironi, a seconda del reato. La disposizione circolare dell’Inferno, d’altronde, è una metafora proprio della politica fiorentina che girava attorno a se stessa senza trovare una risoluzione verso l’esterno, verso un avanzamento d’idee e di programmazione, implodendo al suo interno. Come sappiamo, Dante patteggiava per i guelfi “bianchi”, contrariamente all’altro famoso poeta fiorentino Guido Cavalcanti, che faceva parte dei “neri”. Entrambi appartenevano alla stessa famiglia che si divise a seguito di una lite, come riporta lo storico e politico del tempo Dino Compagni nella sua Cronica delle cose occorrenti ne’ tempi suoi (Libro I, 25): «Queste due parti, Neri e Bianchi, nacquono d’una famiglia che si chiamono Cancellieri, che si divise: per che alcuni più congiunti si chiamorono Bianchi, gli altri Neri; e così fu divisa tutta la città». Testimonianze di questa attiva partecipazione alla vita politica del tempo di Dante, oltre che nella Divina Commedia, si riscontra nel Convivio e nelle Epistole; partecipazione che pagò a caro prezzo con l’esilio. È soprattutto con il De Monàrchia (nell’accezione latina = Della Monarchia. D’ora in avanti Monarchia) che Dante ci rivela quella che è stata la sua posizione politica, in special modo su uno dei temi più dibattuti della sua epoca: il rapporto tra il potere temporale (rappresentato dall’imperatore) e l’autorità religiosa e spirituale (rappresentata dal papa). E la sua è una chiara posizione: si oppone alle pretese temporali del papa Bonifacio VIII in difesa dell’autonomia della Repubblica di Firenze. Scritto in latino tra il 1312-13 (data della composizione tra le più accreditate, cioè al tempo della discesa di Enrico VII di Lussemburgo in Italia), il Monarchia è un trattato suddiviso in tre volumi1. Ma qual era lo scenario 1 Libro I: Dissertazione sulla questione se l’ufficio dell’imperatore sia necessario al bene – 15 capp.; Libro II: Dissertazione sulla questione se l’impero romano si sia imposto di 81 GIORGIO MOIO socio-politico e religioso in cui si palesò il Monarchia? In piena guerra per il potere temporale, a Firenze ‒ come sappiamo ‒ imperversava la lotta intestina tra le fazioni dei ghibellini e dei guelfi che ispirarono anche i componimenti di lode di Dino Compagni (Aldebrandino, Ildebrandino, detto Dino)2, come detto più sopra. Il Monarchia è in realtà un vero trattato politico che racchiude, inoltre, accenni dei suoi intendimenti poetici e sociali che troviamo poi nella Divina Commedia; vi troviamo anche il fondamentale concetto religioso, mettendo a tacere quei dubbi sorti in altri luoghi sulla sua ortodossia, in quanto non disdegnava di criticare la presuntuosità e l’ignoranza dei clericali. Non c’è dubbio che chiunque si accinga a studiare la Divina Commedia, non può esimersi dallo studiare i tre volumi che comprendono il Monarchia, in quanto è la più congiunta con l’opera poetica maxime di Dante. Fu scritto intorno al 1310, quando fervevano le ragioni dei sodali guelfi Bianchi del Nostro e pubblicato per la prima volta nel 1559. I punti salienti possiamo così determinarli: una devota sottomissione alle dottrine e ai decreti della Santa Chiesa Romana; il principio che con tali dottrine avvenisse l’unione di tutte le nazioni del mondo, un impero universale, con gli stessi diritti e leggi, con l’imperatore nelle vesti di supremo capo degli eserciti e del Senato amministrativo dei diritti; il potere della potestà imperiale su quella della Chiesa difesa dai ghibellini, che doveva limitarsi soltanto ad un potere spirituale. Dunque è meglio che la umana generazione si governi per uno, che per molti: e perciò per Monarca, il quale è unico principe: e così è meglio e più accetto a Dio; ossia Iddio sempre voglia quello che è meglio. E come di due soltanto, uno solo fra di loro è meglio ed ottimo; è conseguente che il governo d’uno solo, fra l’uno ed i più, non tanto sia a Dio più accettabile, ma accettabilissimo. Però la umana generazione otdiritto sul mondo o meno – 11 capp.; Libro III: Dissertazione sulla questione se l’autorità imperiale derivi dal Pontefice o direttamente da Dio – 15 capp. 2 Politico, scrittore e storico, nacque a Firenze verso il 1246-47. Apparteneva ad una famiglia guelfa che appoggiava i Bianchi e la famiglia dei Cerchi, il cosiddetto “popolo grasso” fiorentino (la ricca borghesia), mantenendo una posizione equilibrata, simile a quella del suo amico Dante Alighieri. Anch’egli entusiasmato per la discesa in Italia di Enrico VII, nel quale aveva riposto le speranze di una supremazia dei Bianchi nei confronti dei Neri della famiglia Donati e una soluzione definitiva dei problemi sociali e religiosi di Firenze, speranze raccolte con il trattato Cronaca delle cose occorrenti ne’ tempi suoi [op. cit.] (con i “suoi” intendeva i tempi di Dante); un’opera di parte ‒ come sostiene il critico Giorgio Petrocchi ‒, «rivela la continua alternanza tra il resoconto e la riflessione moralistica, tra il fatto oggettivamente narrato e l’addolorato sentenziare in forme di monologo» (in Cultura e poesia del Trecento, Garzanti, 1965). 82 DANTE E LA POLITICA timamente vivrà, quando sarà da uno governata. E così necessaria la Monarchia al bene essere del mondo3. E ancora: Si dimanda se l’autorità del monarca romano, il quale è per diritto monarca del mondo, dipenda immediatamente da Dio, o dal suo vicario o ministro, per il quale intendo di parlare d’un successore di Pietro, ch’è veramente il portatore delle chiavi del regno dei cieli4. Nel 1329 l’opera dantesca fu messa al rogo dal cardinale Bertrando del Poggetto con l’accusa di eresia. Nel 1559 fu dichiarata dal Sant’Uffizio addirittura come libro proibito. Dunque, per secoli il Monarchia è stato “trascurato” dalla critica, o per meglio dire, censurato. Soltanto nel XVIII secolo s’incomincia a parlarne in modo corposo, attraverso la pubblicazione di alcuni volumi. Il primo volume pro-Monarchia vide la luce nel 1746 presso la tipografia Bonomi, De potestate summi Pontifici set de reprobatione Monarchiae compositae a Dante Alligherio fiorentino. Se si paragoni la teoria politica dell’Allighieri con quella di Platone nella sua Repubblica, si scorgerà nella prima il progresso che le scienze sociali appariscono aver fatto nella mente del suo costruttore. Se il progetto Platonico apparisce ineseguibile fra gli uomini, come la natura gli ha fatti: se per eseguirlo converrebbe impastar di nuovo i corpi politici, e rifare la umana sociabilità; il progetto dell’Allighieri, riportandosi ai tempi ne’ quali fu concepito, apparirà compatibile colla natura dell’uomo, e con quella della società. Il Monarca dell’Allighieri non è il principe nuovo del Machiavelli: non è il Leviathan dell’Hobbes; un despota il quale fa pesare uno scettro di ferro sopra un mucchio di schiavi: non è un uomo inebriato del suo potere e della sua forza, il quale ne abbia fatto il suo solo criterio, e dica, come un fastoso monarca già disse: ‒ lo stato son io ‒. Il Monarca dell’Allighieri non è niente più che un magistrato supremo in una repubblica di più stati indipendenti tra loro. In fatti egli chiamò repubblica la forma che egli proponeva alla Monarchia5. 3 DANTE ALIGHIERI, De Monàrchia, Libro I. ID., Libro III. 5 GIOVANNI CARMIGNANI, Su la Monarchia di Dante Allighieri. Considerazioni filosofico-critiche, in Dante Alighieri, De Monàrchia, trad. dal latino di Marsilio Ficino, a cura di Alessandro Torri, Liburni, 1344, p. XXXI. 4 83 GIORGIO MOIO Dunque, l’idea politica di Dante era alquanto rivoluzionaria e per il ferreo indottrinamento religioso dei potenti, passibile di eresia ‒ come abbiamo detto più sopra ‒: rivoluzionaria in quanto Dante aveva la piena consapevolezza, non soltanto il desiderio, che fosse giunto il tempo della necessità di dividere il potere temporale del clero da quello spirituale, la cosiddetta “teoria dei due soli” appoggiata dai ghibellini. E questo lo riscontriamo anche nella Divina Commedia, dove predomina la rettitudine morale, il sogno eroico, l’erudizione della politica antica fortemente immessa nelle condizioni sociali del suo tempo. E forse è per questo che affida a Virgilio la guida per il suo “allegorico” viaggio poetico, in quanto Virgilio è per antonomasia il cantore della politica antica romana. Sul piano prettamente politico, egli riconosceva un impero come costituzione universale, affidando le sue speranze alla spedizione del 1311 di Arrigo (e/o Enrico) VII di Lussemburgo, l’imperatore del Sacro Romano Impero eletto tre anni prima, al quale indirizzò l’Epistola VII, che su invito del papa Clemente V (che Dante nella Divina Commedia chiama Guasco, collocandolo nella III Bolgia dell’VIII cerchio dell’Inferno – Malebolge –, descritta nel Canto XIX, in cui sono puniti soprattutto i papi simoniaci, mercanti di cose sacre) doveva porre fine alla diatriba tra i guelfi e i ghibellini e ristabilire “il buon governo”, l’autorità imperiale sui comuni ribelli del nord. Ma il tentativo risultò fallimentare, sia per la cupidigia del papa che istigò i guelfi affinché si opponessero al disegno di pace dell’imperatore, sia per la sua scarsa forza: […] ma pria che ’l Guasco l’alto Arrigo inganni, parran faville de la sua virtute in non curar d’argento né d’affanni. Le sue magnificenze conosciute saranno ancora, sì che ’ suoi nemici non ne potran tener le lingue mute. A lui t’aspetta e a’ suoi benefici; per lui fia trasmutata molta gente, cambiando condizion ricchi e mendici; […] Insomma, Dante sperava in una monarchia universale e in una chiesa spirituale. Forse anche per questo la Commedia è costellata da dure reprimenda al potere temporale, fazioso e pieno d’odio e violenza al suo interno. Dunque la politica non è secondaria nella Commedia, sottolineata in entrambe le tre cantiche (sempre al IV Canto), come principi guida e struttura84 DANTE E LA POLITICA li. Nell’Inferno (III Cerchio), dove scontano le loro pene i “golosi”, Dante incontra Ciacco, un personaggio letterario di cui non si conosce la storiografia (anche del nome non è chiara la provenienza: Francesco da Buti lo presenta come nome dispregiativo: «Ciacco dicono alquanti che è nome di porco, onde costui era così chiamato per la golosità sua»), citato anche da Boccaccio, protagonista della novella ottava della nona giornata del Decameron, che lo descrive così: Fu costui uomo non del tutto di corte; ma, per ciò che poco avea da spendere ed erasi, come egli stesso dice, dato del tutto al vizio della gola, era morditore e le sue usanze erano sempre co’ gentili uomini e ricchi, e massimamente con quelli che splendidamente e dilicatamente mangiavano e beveano, da’ quali se chiamato era a mangiare, v’andava, e similmente, se invitato non era, esso medesimo s’invitava, ed era per questo vizio notissimo uomo a tutti i Fiorentini. Senza che, fuor di questo, egli era costumato uomo, secondo la sua condizione, ed eloquente e affabile e di buon sentimento; per le quali cose era assai volentieri da qualunque uomo ricevuto6. A Ciacco Dante pone tre domande in versi («ma dimmi, se tu sai, a che verranno / li cittadin de la città partita; / s’alcun v’è giusto; e dimmi la cagione / per che l’ha tanta discordia assalita», VI, 59-63) sulla situazione politica di Firenze, che possiamo parafrasare in questo modo: cosa faranno i cittadini di Firenze (la città partita)?; vi è qualche giusto tra loro?; quali sono le motivazioni di tanto odio e discordia?: E quelli a me: “Dopo lunga tencione verranno al sangue, e la parte selvaggia caccerà l'altra con molta offensione. Poi appresso convien che questa caggia infra tre soli, e che l’altra sormonti con la forza di tal che testé piaggia. Alte terrà lungo tempo le fronti, tenendo l’altra sotto gravi pesi, come che di ciò pianga o che n’aonti. Giusti son due, e non vi sono intesi; superbia, invidia e avarizia sono le tre faville c’ hanno i cuori accesi” (vv. 64-75). 6 Esposizioni sopra la Commedia, VI litt. 25. 85 GIORGIO MOIO La profezia di Ciacco si riferisce alla lotta intestina che scoppierà tra i guelfi Bianchi e Neri (… “Dopo lunga tencione / verranno al sangue, e la parte selvaggia / caccerà l’altra con molta offensione…). Infatti, nel maggio 1300, iniziò una lotta armata tra le due fazioni, a seguito di una zuffa che si consumò in piazza della Trinità tra Ricoverino de’ Cerchi (fazione dei Bianchi) e uno appartenente a Corso Donati (fazione dei Neri), durante la quale il Cerchi ebbe il naso tagliato di netto. Ciò che avvenne dopo lo lasciamo ai libri di storia. Tutta la scrittura dantesca poggia su basi politiche, in contrasto con la concezione ierocratica. D’altronde l’invenzione dello “stil novo”, che influenzerà la poesia dantesca (alla pari della letteratura latina e del linguaggio parlato e popolaresco), sviluppatosi a Firenze tra il 1280 e il 1310, su iniziativa del poeta bolognese Guido Guinizzelli, in contrapposizione alla scuola guittoniana (che aveva un forte legame con la letteratura provenzale e francese), possiamo considerarla anche un fatto politico senza precedenti: dal trobar clus si arriva ad uno sperimentalismo che modificherà le forme metriche canoniche. Linguaggio ineffabile (cfr. Kristina Landa) e intraducibile. Qui occorre subito avvertire che Dante non vuole affatto essere rispettato nelle sue oscurità, anzi sembra invocare a esigere ostinazione di ermeneuti, passione di esegeti, maniacalità di risolutori di crittografie. È Dante, in prima persona, che si affaccia qua e là, per lo più inatteso, a raccomandare, a coloro almeno che abbiano “intelletti sani”, di penetrare al di là delle apparenze, di scavare oltre la lettera, mirando alla dottrina sepolta “sotto ʼl velame de li versi strani”. È Dante a pretendere che il lettore aguzzi i suoi occhi al “vero”, trapassando il “velo” che lo occulta calcolatamente. E se ogni testo, in qualche misura, si fabbrica, un po’ alla volta, il proprio lettore, nel caso di Dante siamo dinanzi a un poeta che non perde occasione per sorvegliarsi il proprio utente, e per disciplinarlo, e per indirizzarlo, talvolta implicitamente, ma assai spesso in maniera aperta e diretta, con una sua lunga catena di ammonimenti e avvertimenti. E in questo pare nettamente innovativo, perché i classici e maestri suoi, a incominciare dal suo Virgilio, non erano affatto inclini a così autoritarie confidenze con i loro fruitori7. Ora la lingua italiana e/o lingua volgare, non era più patrimonio dei dotti, degli aristocratici e dei religiosi, ma patrimonio anche del popolo, spe7 EDOARDO SANGUINETI, Presentazione, in Dante Alighieri, a cura di Sandro Onofri, Roma, Edizioni l’Unità, 1993, pp. 6-7. 86 DANTE E LA POLITICA cialmente quello non avvezzo al latino, nonostante circa cento anni dopo, Pietro Bembo intravide nella prosa boccacciana il modello linguistico da adottare, teorizzato nelle Prose nelle quali si ragione della volgar lingua (1525), arrivando così alla «codificazione dell’italiano scritto», in contrapposizione al pluristilismo e al plurilinguismo dantesco. Il Bembo, che «esclude Dante, la cui lingua appare troppo piena di elementi “umili”, dialettali e di origine composita» (GIULIO FERRONI, Dal Classicismo a Guicciardini (1494-1559), in Storia della Letteratura Italiana, vol. 6, Milano, Mondadori, 2006, pp. 5-6), non tiene presente del fatto che ormai la lingua italiana è uno scontro politico tra la nobiltà e il popolo ormai capace di acculturarsi, nonostante fu molto attento a basarla sul modello ciceroniano e liviano; secondo il linguista Claudio Marazzini, al Bembo, che individuò il “gentile stato” anche nella poesia di Petrarca, «qualche problema poteva venire dalle parti del Decameron in cui emergeva più vivace il parlato» (La lingua italiana: profilo storico, Bologna, Il Mulino, 2002, p. 265), ma anche dalla diaspora con la “lingua cortese” proposta da Baldassarre Castiglione. Ognuno ha i suoi grattacapi. Ma torniamo a Dante. In maniera più esatta si potrà affermare che nella personalità dell’Alighieri confluisce, e per così dire si esemplifica, con una consapevolezza quale in nessuno altro si ritrova altrettanto chiara vigorosa e drammatica, la crisi degli istituti e delle forme della civiltà medievale; mentre la sua opera rappresenta l’estremo e supremo sforzo per superare quella crisi [della scelta della lingua] e restaurare l’equilibrio ormai compromesso8. Dunque Dante con i suoi personaggi stabilisce una doppia relazione contrapposta: la condanna morale non impedisce l’affetto e la stima per il peccatore e la miseria del peccato costituisce l’altra faccia della nobiltà dell’animo. A Dante stanno a cuore le vicende di uomini illustri della generazione precedente alla sua, «ch’a ben far puose li ’ngegni» (Inferno, Canto VI, v. 81), forse perché non ne intravede tra la sua generazione: Farinata degli Uberti, il già citato Arrigo, Mosca dei Lamberti, Tegghiaio Aldobrandi, Jacopo Risticucci: «Ancor vo’ che mi ’nsegni, e che di più parlar mi facci dono. Farinata e ’l Tegghiaio, che fuor sì degni, Iacopo Rusticucci, Arrigo e ’l Mosca 8 NATALINO SAPEGNO, Pagine di storia letteraria, Palermo, Manfredi, 1960, p. 35, ivi. 87 GIORGIO MOIO e li altri ch’a ben far puoser li ’ngegni dimmi ove sono e fa ch’io li conosca; ché gran disio mi stringe di savere se ’l ciel li addolcia, o lo ’nferno li attosca». E quelli: «Ei son tra l’anime più nere: diverse colpe giù li grava al fondo: se tanto scendi, là i potrai vedere». (ivi, vv. 77-87). Il Dante politico, che non è possibile scindere dal Dante poeta, ha a cuore sia la pace tra i suoi concittadini sia l’autonomia del comune, minacciati dal papa Bonifacio VIII, appoggiato dai guelfi Neri, che tramava per imporre a Firenze il dominio della Chiesa. Al centro della politica dantesca c’è l’accusa alla chiesa cattolica ormai amorale e corrotta dalla politica, che è poi la politica tipicamente medievale, all’interno della quale vivono due anime contrapposte: il potere politico terreno e quello religioso. Anche su questa profezia si basa la Divina Commedia, profezia che non vedrà mai realizzata, neanche dopo l’intervento del nuovo imperatore del Lussemburgo, Enrico VIII. Rifiutando un’amnistia, con la quale avrebbe dovuto ammettere le proprie colpe e subire l’onta di un’umiliazione pubblica, l’Alighieri preferì allontanarsi dalla sua amata Firenze per vivere gli ultimi anni di vita a Ravenna dove morì il 14 settembre 1321. 88