Etica & Politica / Ethics & Politics, XV, 2013, 2, pp. 301-320
Disabilità, immaginazione e cittadinanza sessuale
Brunella Casalini
Università di Firenze
Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali
[email protected]
Nearly everyone want to be normal. And who can
blame them, if the alternative is being abnormal, or
deviant, or not being one of the rest of us? Put in
those terms, there doesn’t seem to be a choice at all.
(Michael Warner, The Trouble with Normal: Sex,
Politics and the Ethics of Queer Life, 1999)
ABSTRACT
The paper describes and evaluates an initiative recently promoted through the web in Italy: a
signatures gathering campaign for formal recognition of professionally trained sexual assistants to
disabled people a job that already has proper legal status in several Western countries. I analyze the
pros and cons of this kind of answer to the sexual difficulties, and needs, of disabled people, and then
move on to the more general issue of disability and what has come to be known as “sexual
citizenship”. The contemporary theoretical alliance between critical disability studies, feminist
studies, queer theory, critical race theory and postcolonial theory, suggests for us the need for a global
cultural revolution: it is necessary, first of all, to understand, and then try to correct, the various, and
often unconscious images, associations, and feelings that oppress some groups in our societies. A
radical change in view is suggested not just about the image of disabled people, but also for gay men
and lesbians, women, people of colour, migrant people, sexual workers, and old people.
KEYWORDS
Sexual assistant, caring profession, sex work, disabled people, social model of disability, critical
disability studies, sexual citizenship
1. Introduzione
Dal mese di novembre dello scorso anno è in corso sul web una raccolta di firme
per il riconoscimento legale di un servizio che altri paesi da tempo assicurano
alle persone con disabilità: quello della possibilità di ricorrere alla figura
dell’assistente sessuale. Si tratta di un’iniziativa al momento solo privata, che si
ripromette, però, di gettare le basi per una petizione pubblica.
Avanzata dal movimento delle persone con disabilità anche in Francia
qualche tempo prima che in Italia, questa idea sollecita a fare i conti con un
tema poco frequentato nel dibattito pubblico del nostro paese almeno fino a non
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BRUNELLA CASALINI
moltissimo tempo fa, al di fuori degli addetti ai lavori, quale quello della
cittadinanza sessuale dei disabili, tema intorno al quale ruotano tanti pregiudizi
e molte paure. Le persone disabili, infatti, sono spesso trattate e immaginate
dalla società come prive di sessualità e sessualmente “neutre”. Lo testimonia,
banalmente, la divisione delle toilette in per maschi, per femmine e per disabili1.
Dopo aver illustrato la proposta, ne discuterò qui i possibili limiti. Quella del
ricorso all’assistente sessuale è una strada percorribile per migliorare la qualità
della vita di alcuni disabili qualora si sia disposti a risolvere un problema tuttora
aperto nel nostro paese: la questione del riconoscimento delle/dei sex worker.
L’attività dell’assistente sessuale, infatti, nonostante i necessari distinguo,
rientra pur sempre nell’ambito degli scambi sesso-economici. Il ricorso a questa
figura non è, in ogni caso, una panacea. L’obiettivo dell’inclusione piena del
disabile nella cittadinanza sessuale dovrebbero essere perseguito
contemporaneamente anche per altre vie, quali: il garantire alla persona disabile
fisiche o mentali occasioni per tessere relazioni al di fuori dell’ambiente
familiare; l’introduzione in tutte le scuole dell’educazione sessuale e alla
relazione, terreno sul quale il nostro paese è ancora indietro, mancando a
tutt’oggi una legge in materia; l’istituzione di centri d’ascolto dedicati nei
consultori e un’attività di consulenza specifica rivolta alle famiglie.
Contemporaneamente, appare necessario avviare una riflessione critica sulle
fondamenta sui cui è stato eretto storicamente il confine “politico” tra normale e
patologico, tra corpi abili e corpi disabili, confine che costituisce la principale
barriera che il disabile deve superare per accettarsi, essere accettato e
avvicinato2. In questa direzione, sulle orme dei critical disability studies, si
Cfr. H.-J. Styker, Les métamorphoses du handicap de 1970 à nos jours, Presses Universitaires
de Grenoble, Grenoble 2009, p. 142. Tobin Siebers così commenta la questione dei bagni
unisex per disabili: “The practice of using unisex accessible toilets exposes the fact that ablebodiedness overdetermines the assignment of gender. In the game of signifying practices, the
difference between ability and disability trumps the difference between Ladies and
Gentlemen every time” (T. Siebers, Disability theory, The University of Michigan Press, Ann
Arbor 2008, p. 168).
2 Sulla necessità di adottare una strategia ampia, non limitata alla figura dell’assistenza
sessuale, insiste, per esempio, la psicoterapeuta e sessuologa Priscilla Berardi, che scrive: “È
necessario cambiare il pensiero socio-culturale affinché le persone, disabili e non, si incontrino
e si mescolino. Vanno abbattute le barriere mentali, ultimo baluardo di un rapporto
gerarchico tra chi è “normale” e chi è “da assistere” e “fuori schema”. Ben vangano i film, i
documentari, le conferenze, gli articoli, le lezioni magistrali. Ben venga un’educazione
sessuale e affettiva fatta ai disabili per insegnare a corteggiare, a conoscere e usare il proprio
corpo, le sue funzioni, le risposte agli stimoli, il piacere che può provare e donare e non solo la
sofferenza, al fine di annullare la scissione mente-corpo. Un’educazione che mostri che ognuno
ha un proprio stile di seduzione e che protegga dagli abusi dei malintenzionati. Ben vengano
le opportunità per le famiglie, gli educatori, i medici, gli insegnanti e tutte le figure coinvolte
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1
Disabilità, immaginazione e cittadinanza sessuale
guarda qui con interesse all’alleanza che negli ultimi anni si è andata profilando
tra studi sulla disabilità, femminismo3, teoria queer, critical race theory e teoria
postcoloniale4.
2. Assistente sessuale, sexual surrogate o sex worker?
L’idea da cui muove la petizione promossa sulla rete in Italia è fornire un accesso
facilitato alla sessualità per i disabili mediante il riconoscimento di una nuova
figura professionale, quella dell’assistente sessuale. Una richiesta avanzata nel
2007 anche in Francia durante un convegno internazionale dal titolo Dependance
physique: intimité et sexualité, che è riuscita a stimolare un’importante
discussione pubblica, tuttora aperta oltralpe5.
Cos’è l’assistente sessuale? Con le parole di Max Ulivieri, il principale
sostenitore della proposta in Italia:
L’assistenza sessuale è un servizio che consiste nell’avere a disposizione un
nella cura della sessualità o della disabilità di mettersi in discussione e analizzare i propri
pregiudizi” (P. Berardi, Sessualità è relazione, per realizzare compiutamente se stessi,
“Haccaparlante”, 2, 2013, numero monografico dedicato al tema: Il corpo degli altri.
Sessualità e disabilità: immagini e nuove prospettive, p. 13).
3 Per le molte ragioni di dialogo tra femminismo e disability studies, cfr. R. Garland-Thomson,
Integrating disability, transforming feminist theory, in L. J. Davis (a c. di), The disability studies
reader, Routledge, New York-London 2013, pp. 333-353. In italiano si può vedere
l’interessante lavoro di Maria Giulia Bernardini, Corpi esibiti, corpi celati, corpi negati,
“Ragion Pratica”, 2, 2011, pp. 385-402.
4 Cfr. M. Shildrick, Critical disability studies: rethinking the convention for the age of
postmodernity, in N. Watson, A. Roulstone e C. Thomas (a c. di), Routledge handbook of
disability studies, Routledge, London-New York 2012, pp. 30-41; Ead., Dangerous discourses
of disability, Subjectivity and sexuality, palgrave, macmillan, London 2009; R. GarlandThomson, Extraordinary bodies. Figuring physical disability in American culture and literature,
Columbia University Press, New York 1997. In quest’ultimo lavoro, Garland-Thomson scrive:
“Constructed as the embodiment of corporeal insufficiency and deviance, the physically
disabled body becomes a repository for social anxieties about such troubling concerns as
vulnerability, control and identity. I want to move disability from the realm of medicine into
that of political minorities, to recast it from a pathology to a form of ethnicity. By asserting
that disability is a reading of bodily particularities in the context of social power relations, I
intend to counter the accepted notion of physical disability as an absolute inferior state and a
personal misfortune. Instead, I show that disability is a representation, a cultural
interpretation of physical trasformantion or configuration, and a comparison of bodies that
structures social relations and institutions” (ivi, p. 6).
5 La conferenza è stata organizzata a Strasburgo, presso il Parlamento europeo, da Handicap
International, CHA (Collectif Handicap et Autonomie), AFM (Association Française contre les
Myopathies) e l’APF (Association des Paralysés de France).
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BRUNELLA CASALINI
team di specialisti: da psicologi o sessuologi all’assistente sessuale vero e
proprio che permette al disabile di entrare in contatto con la propria
sessualità. Il modo è deciso caso per caso: ci sono situazioni in cui la
persona ha bisogno di vivere un’esperienza per essere spronato, in altri c’è
la necessità di soddisfare un bisogno sostanzialmente fisico. L’assistente
sessuale non promette di essere il principe azzurro: permette solo di
entrare in contatto con questa parte di sé. Generalmente, anche
rifacendosi agli esempi di altri Paesi, l’assistente sessuale incontra la
persona che lo/la contatta assieme allo psicologo e decide come e cosa fare.
Possono essere carezze, stimolazioni, nella mia bozza di proposta non è
previsto il rapporto completo, che sarebbe invasivo per l’assistente, sia
metterebbe in gioco altre variabili (anche semplicemente sanitarie e
igieniche)6.
Questa figura, ormai nota al grande pubblico grazie al film The Sessions, è
legalmente riconosciuta in diversi paesi europei7: in Olanda dal 1980, in
Danimarca dal 19878, in Germania dal 19959 e nella Svizzera tedesca dal 2003 e
dal 2009 anche nella Svizzera francese. In questi paesi sono previsti veri e propri
corsi di formazione, che dovrebbero aiutare l’assistente sessuale sia a conoscere
le diverse forme di disabilità e a tener conto delle difficoltà specifiche che
possono nascere a seconda dei casi, sia a gestire l’eventuale coinvolgimento
emotivo.
In Olanda l’assistenza sessuale esiste da oltre trent’anni, grazie a René
Vercoutre, un olandese immobilizzato su una sedia a rotelle che, in seguito a
C. Pierami, Il sesso per un disabile? Diritto ed esigenza, Tgcom24, 7 febbraio 2013:
http://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca/articoli/1080674/il-sesso-per-un-disabile-diritto-edesigenza.shtml (ultimo accesso 21 giugno 2013).
7
C. Pierami, Sogno di fare l’assistente sessuale, Tgcom24, 7 febbraio 2013:
http://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca/articoli/1080749/sogno-di-fare-lassistentesessuale.shtml (ultimo accesso 21 giugno 2013). Per un’approfondita analisi comparativa
della situazione in Europa, cfr. G. Garofalo Geymonat, L’assistenza sessuale in Europa: una
ricerca comparata, “Haccaparlante”, 2, 2013, pp. 44-49.
8 La Danimarca offre al disabile la possibilità di frequentare una prostituta una volta al mese
e di chiedere allo stato il rimborso spese. L’iniziativa è stata pubblicizzata mediante un
volantino nel quale si invita l’assistente personale ad accompagnare la persona disabile che ne
faccia richiesta da un/una sex worker (cfr. L. Gravesen in Aarhus, Taxpayers foot bill for
disabled Danes’ visits to prostitutes, “The Telegraph”, 2 ottobre 2005:
http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/europe/denmark/1499735/Taxpayers-foot-billfor-disabled-Danes-visits-to-prostitutes.html ¨C ultimo accesso 20 giugno 2013).
9 V. De Filippis, Assistenza sessuale: come funziona in Germania, “Fai notizia. Radio radicale”, 14 giugno 2013:
http://www.fainotizia.it/contributo/12-06-2013/testo/assistenza-sessuale-come-funzionagermania (ultimo accesso: 20 giugno 2013).
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6
Disabilità, immaginazione e cittadinanza sessuale
brutte esperienze con delle prostitute10, all’inizio degli anni Ottanta, insieme ad
altri quattro disabili, fondò la SAR, un’associazione di assistenza alternativa
formata da volontari, che aiutano le persone disabili a vivere la loro dimensione
sessuale. Uno dei responsabili dell’associazione puntualizza che gli associati non
praticano la prostituzione; al contrario, lavorano affinché i disabili non vi
ricorrano. Durante gli incontri non viene consumato soltanto sesso; si
instaurano relazioni di amicizia e di fiducia. La cittadina olandese di
Amstelveen è arrivata finanziare attraverso i servizi sociali questa attività:
previa autorizzazione medica viene rimborsata una visita al mese della SAR11.
Da tempo esistente nella Svizzera tedesca, grazie all’associazione Fachstelle
für Behinderung und Sexualität, la figura dell’assistente sessuale ha cominciato a
diffondersi anche nella Svizzera francese, dove l’istituto Sexualité et Handicaps
Pluriels12 ha rilasciato i primi dieci diplomi al termine di un corso di formazione
che prevede l’acquisizione di conoscenze mediche, giuridiche, sociali,
sessuologiche ed etiche13. I partecipanti al corso sono sottoposti ad una serie di
test psicologici e di colloqui volti ad escludere eventuali disagi mentali. Gli/le
assistenti sessuali svizzeri/e, come i volontari olandesi, non si considerano
prostituti/e. Una di loro, Nina de Vries, afferma:
se si considera prostituzione ogni prestazione sessuale a pagamento, allora
anche la mia attività lo è, ma se si pensa che la prostituzione sia
sfruttamento delle persone per averne un guadagno economico, allora
quello che faccio non ha nulla a che vedere con tutto ciò. Infatti, se
riusciamo a sospendere il giudizio e ci fermiamo a riflettere, vediamo in
modo diverso il lavoro di chi con cuore e rispetto si dedica ad uno scambio
di dolcezza e di cure. Inoltre, diversamente da una prostituta, io non offro
rapporti sessuali completi, e mentre una prostituta considera il denaro che
guadagna la cosa più importante, per me al primo posto ci sono le persone
e il tipo di interazione e di atmosfera che con esse riesco ad instaurare14.
A. Radaelli, Diversamente sesso, “LarepubblicaD”, luglio 2007:
http://d.repubblica.it/dmemory/2007/07/28/attualita/attualita/062amb55962.html (ultimo
accesso 21 giugno 2013).
11 Cfr. M. C. Giongo, Prostitute e disabili, Blogolanda, 21 settembre 2009:
http://www.blogolanda.it/2009/09/21/prostitute-e-disabili/ (ultimo accesso 20 luglio 2013).
12 SEHP: http://www.sehp.ch/ (ultimo accesso: 15 luglio 2013). Sull’argomento, cfr. anche: L.
Nayak, Une logique de promotion de la “santé sexuelle”, “Ethnologie française”, XLIII, 3,
20013, pp. 461-468.
13 Cfr. S. Sabatini, Noi assistenti sessuali di portatori di handicap, “disabiliabili”, 18 giugno
2009,
http://www.disabiliabili.net/la-sfera-dei-sentimenti/214-risorse_della_rete/28765noi_assistenti_sessuali_di_portatori_di_handicap (ultimo accesso: 10 luglio 2013).
14 Assistenti sessuali per disabili. Un progetto già attivo in Svizzera, ma che fa molto discutere,
“Diversamente abili”:
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10
BRUNELLA CASALINI
Laddove esiste, chi pratica la professione dell’assistente sessuale, come la de
Vries, tende a contrapporre la propria esperienza a quella della prostituta,
sottolineando come la molla che porta a scegliere questo lavoro sia, non il
denaro, ma un desiderio di donare piacere e gioia a persone che non hanno
occasione di sentire toccato il loro corpo se non per essere ispezionati, lavati,
puliti e vestiti.
Nel film The Sessions, tratto dal romanzo autobiografico di Mark O’Brien15,
Cheryl spiega che al contrario della prostituta l’assistente sessuale non fa nulla
per riuscire a trattenere e fidelizzare il proprio cliente: dall’inizio è chiaro che il
numero delle sedute sarà precisamente limitato; inoltre, a differenza della
prostituta l’assistente sessuale trascorre la maggior parte del tempo in esercizi
preparatori alla sessualità: il 90% del tempo delle sedute viene trascorso
praticando esercizi di rilassamento e di educazione sessuale. Lo stesso assistente
sessuale non svolge con il cliente più di dodici sedute e solo dopo la quinta inizia
una forma di contatto fisico che prevede la possibilità di abbracciarsi e di
toccarsi. L’obiettivo dell’attività del partner surrogato è terapeutico: non si
tratta tanto di far raggiungere al cliente il piacere sessuale e di fornirgli una
gratificazione, quanto di aiutarlo ad affrontare le relazioni sociali e fisiche con
più sicurezza, vincendo l’ansia e la paura che possono ostacolare il
raggiungimento dell’intimità sul piano emotivo; in altri termini, si tratta di
aiutare il cliente a raggiungere la “salute sessuale” obiettivo fissato già nel 1975
dall’Organizzazione mondiale della sanità come fondamentale per il
raggiungimento del benessere della persona. Un altro elemento fondamentale di
distinzione tra la figura del surrogate partner statunitense e quella della
prostituta è dato dal fatto che il partner surrogato agisce all’interno di una
relazione triadica che prevede la mediazione e la supervisione di un terapeuta, di
un professionista della salute mentale, che può essere uno psicologo o uno
psicoterapeuta che media la relazione, svolgendo un’attività di supervisione. I
membri dell’IPSA, l’International Professional Surrogates Association16, sono
tenuti al rispetto di un codice etico che stabilisce alcuni principi guida
fondamentali. Il surrogate partner è responsabile del corretto funzionamento
della relazione triadica che lo coinvolge insieme al cliente e allo psicoterapeuta,
con i quali stabilisce le regole fondamentali dell’interazione che avverrà tra lui
http://www.diversamenteabili.info/Engine/RAServePG.php/P/69511DIA0300/M/87611DIA01
10 (ultimo accesso: 10 luglio 2013).
15 Cfr. M. O’Brien, On seeing a sex surrogate, “The Sun Magazine”, maggio 1990:
http://thesunmagazine.org/issues/174/on_seeing_a_sex_surrogate?print=all (ultimo accesso: 8
luglio 2013) e Id., How I became a human being: A disabled man’s quest for independence,
University of Wisconsin Press 2003.
16 Cfr. http://www.surrogatetherapy.org/ (ultimo accesso: 8 luglio 2013).
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Disabilità, immaginazione e cittadinanza sessuale
/lei e il cliente. La relazione tra sexual surrogate e cliente non deve mai andare al
di là del setting terapeutico e deve avvenire sempre sotto regolare supervisione.
Il surrogate partner è tenuto al rispetto della privacy del cliente e deve mantenere
il massimo riserbo in relazione ai dati e alle informazioni personali acquisite
durante gli incontri.
Per alcuni, tuttavia, il confine tra accompagnamento alla vita sessuale e
prostituzione è labile: anche i clienti non disabili delle prostitute spesso non sono
in cerca del mero piacere genitale, ma ricercano piuttosto una “finzione di
intimità”17, che può anche contemplare una mancanza di interesse a consumare
un rapporto sessuale completo. Un atteggiamento “umanista” può non essere
assente dal comportamento della prostituta nei confronti di alcuni dei suoi
clienti. La sostituzione di un’etichetta con un’altra vorrebbe eliminare lo stigma
che sembra toccare tutte le attività sesso-economiche18, ma non cambia la
sostanza e, semmai, come scrive Norbert Campagna vedere l’attività
prostitutiva sotto la luce dell’assistente sessuale potrebbe essere un modo per
non pensare alla sessualità remunerata come a una “semplice fisica o meccanica
dei corpi”19.
Che assistenza sessuale e prostituzione siano in fondo non distinguibili tra
loro, e questo evidenzi piuttosto il carattere negativo di entrambe, è, invece, la
convinzione espressa in Francia dal Comité consultatif national d’éthique (CCNE)
e da una parte del movimento femminista. Nel parere espresso l’11 marzo 2013,
in relazione al riconoscimento legale della figura dell’assistente sessuale20, parere
che era stato chiesto nel 2011 dall’allora ministra alla coesione e alla solidarietà
sociale Roselyne Bachelot, il CCNE precisa che la sua contrarietà nasce dalla
considerazione che “il n’est pas possible de faire de l’aide sexuelle une situation
professionnelle comme les autres en raison du principe de non-utilisation
marchande du corps humain”21. Quella tra assistente sessuale e persona disabile
è una relazione, in cui si deve tenere conto sia della vulnerabilità delle persone
disabili, che corrono il pericolo di un transfert affettivo, sia della vulnerabilità
Cfr. E. Berstein, Temporaneamente tua. Intimità, autenticità e commercio del sesso (2007),
Odoya, 2009.
18 Cfr. G. Garofalo, Prostituzione, in S. Marchetti, J. M. H. Mascat, V. Perilli (a cura di),
Femministe a parole, EDIESSE, Roma 2012, p. 224.
19 N. Campagna, La sexualité des handicapés. Faut-il seulement la tolérer ou aussi l’encourager?,
Labor et Fides, Genève 2012, p. 187.
20 Handicap : l’assistance à la sexualité en débat, Le Monde.fr, 12 marzo 2013:
http://actualite.portail.free.fr/societe/12-03-2013/handicap-l-assistance-a-la-sexualite-endebat/ (ultimo accesso: 7 luglio 2013).
21 Handicap: le CCNE s’oppose à l’assistance à la sexualité, Gènéthique, 12 marzo 2013:
http://www.genethique.org/?q=content/handicap-le-ccne-soppose-%C3%A0-lassistance%C3%A0-la-sexualit%C3%A9 (ultimo accesso: 10 luglio 2013).
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BRUNELLA CASALINI
dell’assistente sessuale che a sua volta può venire coinvolto emotivamente con
serie implicazioni per la sua stessa serenità personale. Il CCNE, per altro, ritiene
che l’aiuto sessuale non rientri tra le funzioni e le responsabilità dello stato, ma
debba essere fatto rientrare nell’ambito della sfera privata, delle scelte
individuali22. In Francia, come in Italia, per altro esiste il reato di prossenetismo,
per cui è impensabile servirsi di un intermediario tra la persona che si
prostituisce e la persona che beneficia dei suoi servizi.
Il parere del CCNE ha suscitato reazioni prevalentemente positive nel mondo
femminista francese. Per Claudine Legardinier, specialista sul tema della
prostituzione e membro del Mouvement du nid, un’associazione attiva
nell’ambito della lotta alle attività prostitutive, il pericolo di una riduzione a
merce della sessualità è evidente, così come è evidente il rischio di arrivare ad
una forma di legalizzazione del prossenetismo. Spiega, la Legardinier:
Même si l’on crée cette profession au nom des meilleures intentions du
monde, on aboutira à une forme de légalisation d’un service sexuel
rémunéré et donc à une légalisation de la prostitution.
La paura di una parte del femminismo è che l’assistente sessuale finisca per
essere un’altra figura femminile votata al dono di sé e sfruttata in vista della
soddisfazione del piacere maschile. Una paura comprensibile, che non può essere
sottovalutata vista la difficoltà che la società continua ad avere ad accettare e a
non giudicare negativamente il fatto che una donna, ancor più se disabile, possa
avere desideri sessuali e una vita sessuale attiva, al di fuori di una relazione
stabile. Nei paesi dove la prostituzione è riconosciuta come lavoro esistono sia
assistenti sessuali donne che assistenti sessuali maschi che esercitano con donne
e con uomini, indipendentemente dal loro orientamento sessuale; tuttavia, è vero
che la domanda continua ad essere prevalentemente maschile. Un’analoga
preoccupazione è stata espressa anche da Maudy Piot, presidente
dell’associazione Femmes pour le dire, femmes pour agir (FDFA) e dalla Ligue du
droit international des femmes, che vede nella figura dell’assistente sessuale una
sorta di “cavallo di Troia”, utile soltanto all’industria del sesso che da sempre
sfrutta i corpi femminili ed esercita violenza sulle donne23.
Per rispondere a queste obiezioni, che esprimono il punto di vista di quella
parte del femminismo contemporaneo da sempre poco propenso a prendere sul
Cfr. ivi.
Légalisation de l’assistance sexuelle, EPSorg, 14 marzo 2013:
http://epsorg.fr/solidaire/sante/legalisation-de-lassistance-sexuelle-en-debat/ (ultimo accesso:
1 luglio 2013).
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22
23
Disabilità, immaginazione e cittadinanza sessuale
serio ed ascoltare le rivendicazioni delle attiviste sex worker24, è opportuno
soffermarsi su quella che è la situazione attuale nei paesi dove non è riconosciuta
la figura dell’assistente sessuale. Nei casi in cui il disabile presenta difficoltà
motorie tali da rendergli impossibile praticare da solo la masturbazione, talvolta
accade che sia l’assistente personale o un familiare prossimo a trovarsi di fronte
al dilemma di come soddisfare le sue richieste. Non mancano testimonianze di
madri o assistenti personali che hanno cercato di aiutare il disabile, ritrovandosi
in situazioni penose o contrarie alle norme sociali25. Di fatto, in Francia come in
Italia, ovvero in tutti quei paesi in cui non esistono figure professionali come
l’assistente sessuale e il partner surrogato, i disabili spesso ricorrono al lavoro
informale della prostituta. In Spagna, ad offrire questo servizio sono prostitute
come Marien26, che da oltre dieci anni si occupa solo di disabili. Marien definisce
il suo lavoro un “servizio sociale”, guadagna molto bene ed è soddisfatta
dell’affetto e della gratitudine che i suoi clienti le dimostrano. Il lavoro di Marien
è svolto anche in Italia da sex worker che, talvolta, hanno rispetto alle altre
prostitute solo una maggiore sensibilità per la situazione delle persone con
disabilità. In paesi come la Francia27, la Spagna e l’Italia, sono i familiari, e
spesso le madri, a rivolgersi al mercato del sesso per andare incontro ai desideri
dei figli, quasi sempre ai desideri dei figli maschi.
In Australia, nel Nuovo Galles del Sud, sex workers e movimento dei disabili
sono arrivati a pensare e realizzare progetti comuni di formazione e
specializzazione28, realizzando un modello alternativo rispetto a quello
dell’assistente sociale europeo e del surrogate partner statunitense qualcosa che
nel nostro paese, al momento, non sarebbe neppure pensabile data l’esistenza del
reato di favoreggiamento e sfruttamento dell’attività prostitutiva.
Sulle posizioni politiche delle attiviste sex worker, cfr. J. Nagle (a c. di), Whores and Other
Feminists, Routledge, New York-London 1997.
25 Queste situazioni, oltre a configurare un incesto quando è la madre a masturbare il figlio,
possono facilmente scivolare verso forme di abuso sessuale. Si dovrebbe anche per questo
evitare che sia la persona che ha cura del disabile ad andare incontro anche ai suoi bisogni
sessuali, nel caso in cui non sia il partner. Cfr. N. Campagna, La sexualité des handicapés, cit.,
pp. 174-178.
26 Cfr. Maria Novella De Luca, Marien, escort dei disabili. “Col sesso faccio del bene”, La
Repubblica.it, 28 aprile 2009: http://www.repubblica.it/2009/04/sezioni/cronaca/prostitutadisabili/prostituta-disabili/prostituta-disabili.html (ultimo accesso: 15 luglio 2013).
27 Handicap et sexualité - France 3 Rhône-Alpes le 26/02/2011:
http://www.youtube.com/watch?v=VRxyYC94SWs (ultimo accesso: 10 luglio 2013).
28 Cfr. Touching base. Sex workers and people with disability coming together:
http://www.touchingbase.org/ (ultimo accesso: 1 luglio 2013).
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24
BRUNELLA CASALINI
2. Disabilità e sessualità
Da quanto appena detto risulta evidente come la proposta di introdurre una
figura quale quella dell’assistente sessuale sollevi più di un problema. Il primo è
relativo al riconoscimento del lavoro del sex worker. È evidente che quella
dell’assistente sessuale è un’attività che ha che fare con lo scambio di sesso per
denaro e che poco senso avrebbe riconoscere la legittimità di un lavoro fondato
su questo principio solo nel caso in cui il cliente o la cliente sia disabile. La
possibilità di introdurre la figura dell’assistente sessuale è inevitabilmente
condizionata dal modo in cui un paese regola il fenomeno della prostituzione e,
più in generale, gli scambi sesso-economici. In molti dei paesi in cui questa
figura esiste, come la Germania, la Svizzera e l’Olanda, la prostituzione è ormai
“considerata un servizio alla persona, non troppo lontano da quello fornito da
un’infermiera”29. In questi paesi il sex worker ha diritti e specifiche forme di
protezione alla stregua di ogni altro lavoratore. In altri paesi, viceversa, la
prostituzione o è solo tollerata o è apertamente condannata in quanto vista
come una forma di violenza nei confronti delle donne. Un tema sul quale il
femminismo contemporaneo si è da tempo collocato su posizioni contrapposte e
antagoniste che non facilitano un dialogo e un confronto sereno, capace di tener
conto anche di quanti svolgono attività che possono essere collocate all’interno
del termine ombrello sex work30. Per femministe influenti nella lotta
internazionale contro il mercato del sesso come Catharine MacKinnon e
Kathleen Barry, co-fondatrice della organizzazione non governativa presso le
Nazioni Unite Coalition Against Trafficking in Women, tutte le attività sessoeconomiche rappresentano una violenza nei confronti delle donne e offrono un
incentivo per crimini quali la tratta di esseri umani. Non c’è differenza, dunque,
tra favorire la prostituzione, la tratta e la violenza nei confronti delle donne, né
tra stupro e prostituzione. Secondo queste autrici, nessuna donna può realmente
desiderare vendere sesso e tutte, se potessero, abbandonerebbero la
prostituzione31.
Di fronte ad una realtà in cui, di fatto, questo mestiere esiste ed è largamente
praticato, tuttavia ci si può chiedere se, proprio per evitare forme di
sfruttamento e offrire garanzie e protezione a chi lo svolge, non sarebbe utile
uscire da situazioni grigie e indefinite come quella in cui si trovano le lavoratrici
del sesso in Italia. Ciò renderebbe più sicuro il ricorso alla prostituta da parte dei
disabili che scelgono di ricorrervi e, più in generale, favorirebbe l’emergere alla
G. Garofalo, Prostituzione, cit., p. 226.
Cfr. ivi, p. 227.
31 Sul tema si veda l’antologia a cura di C. Stark e R. Whinant, Not for sale. Feminists
resisting prostitution and pornography, Spinifex Press, North Melbourne, Australia 2004.
310
29
30
Disabilità, immaginazione e cittadinanza sessuale
luce del sole di un mercato in cui lo sfruttamento e la violenza sono facilitati
proprio dal fatto che esso si svolge ai margini della società.
La seconda questione posta dalla figura dell’assistente sessuale è se essa
risponda alle domande provenienti dell’ampio e variegato mondo della
disabilità. Come ammettono gli stessi promotori della proposta, il ricorso allo
scambio sesso-economico non può essere un intervento risolutivo rispetto agli
ostacoli posti dal ben più vasto problema costituito dalla negazione sociale della
vita sessuale delle persone con disabilità. L’aiuto diretto nella forma
dell’assistente sessuale o del sexual surrogate rischia di essere per le persone
disabili una forma di autoerotismo non diverso dalla masturbazione o del ricorso
a sexual toys che pure in alcuni casi viene suggerito32. Il che non significa
sottovalutare gli elementi positivi dell’autoerotismo e della masturbazione, ma
evidenziare il pericolo che possa continuare a mancare quella dimensione del
darsi all’altro e del sentirsi desiderati dall’altro che fa parte della pienezza di un
rapporto sessuale, tanto più quando si desidera che esso sia accompagnato da
una soddisfazione anche sul piano affettivo, che consenta veramente di uscire
dalla solitudine. Di nuovo, non si tratta di sottovalutare il fatto che il sesso senza
amore o affetto possa offrire comunque una forma importante di gratificazione,
ma di ricordare che non tutti possono riconoscersi o volere per se stessi che il
sesso sia si dia soltanto in cambio di denaro e senza coinvolgimento affettivo.
La terza questione è se l’assistenza sessuale debba configurarsi come un
servizio che lo stato deve fornire mediante una sorta di cash for sexual care. Se i
problemi di inclusione e di cittadinanza sessuale dei disabili vengono ridotti a
quelli del riconoscimento di un diritto all’assistenza sessuale finanziata dallo
stato il rischio è che si legittimi una nuova forma di segregazione e si rafforzi
l’opinione per cui la vita sessuale del disabile, se esiste, può essere considerata
alla stregua di un bisogno idraulico. Per altro, se l’assistenza sessuale si
configura come un intervento con finalità terapeutiche, relative alla salute
sessuale, il corpo del disabile viene ricondotto suo malgrado, ancora una volta,
nel quadro della medicalizzazione e della normalizzazione, quasi che il desiderio
sessuale della disabile potesse essere considerato una malattia33.
Alla luce di queste perplessità la proposta dell’assistenza sessuale mi sembra
meritevole, nell’immediato, soprattutto come provocazione, per gli stimoli che
offre a portare nella discussione pubblica due temi su cui troppo a lungo si è
taciuto: il primo riguarda la possibilità di vedere il lavoro del sex worker come
K.Naphtali, E. MacHattie, S. L. Elliott, A. Krassioukov, PleasureABLE: sexual device
manual for persons with disabilities, Disabilities Health Research Network, 2009:
http://www.dhrn.ca/files/sexualhealthmanual_lowres_2010_0208.pdf (ultmo accesso 11 luglio
2013).
33 Cfr. L. Nayak, Une logique de promotion de la “santé sexuelle”, cit., p. 463.
311
32
BRUNELLA CASALINI
un’attività lavorativa a tutti gli effetti, che potrebbe in alcuni casi avere anche
intenti terapeutici, e non necessariamente solo per le persone con disabilità; la
seconda riguarda le opportunità che il disabile ha di sperimentare una vita
sessuale e affettiva. All’interno dello stesso movimento per i diritti dei disabili,
anche in paesi in cui la sua presenza è stata forte e importante quali il Regno
Unito, infatti, il riconoscimento del diritto ad avere delle opportunità per il
soddisfacimento della vita sessuale non è mai stato posto come una priorità. La
casa, il lavoro, il diritto ad una vita indipendente sono parsi da sempre
prioritari. Si è dovuto attendere il 1996 e la pubblicazione di The sexual politics
of disability di Shakespeare, Gillespie-Sells and Duncan per vedere affrontato in
modo esplicito l’argomento in chiave teorico-politica. Arrivare a toccare il tema
della sessualità nella prospettiva della disabilità è, invece, un passo importante.
Esso ci porta oltre la dimensione, pur essenziale, dell’eguaglianza dei diritti, per
andare a investire un ostacolo al superamento delle forme di discriminazione che
non può essere abbattuto solo mediante il ricorso al diritto, perché ha a che fare
con le norme culturali che privilegiano una certa immagine ideale del corpo e
della mente ritenuti socialmente degni di accedere ad una piena vita sessuale.
L’esistenza di questo tipo di barriere dovrebbe spingerci a chiederci perché la
“disabilità” e la vita sessuale della persona disabile sia difficile da accettare per
le c.d. “persone normodotate”. Dovrebbe portarci a riflettere sulla tenuta del
confine tra abilità e disabilità, sul perché tutti i corpi differenti suscitino ansia e
siano percepiti come una minaccia, perché inneschino quelli che Kristeva
definisce processi di abiezione e, infine, sul perché sembra irresistibile nei loro
confronti la spinta a correggerli e a normalizzarli. Basta pensare, per fare alcuni
esempi, ai numerosi casi recenti in cui bambini down piccolissimi sono stati
sottoposti a chirurgia estetica facciale dai genitori, per non rendere riconoscibile
la sindrome da cui sono affetti34.
Secondo Thomas Couser, “Parte di ciò che rende la disabilità così minacciosa
al non disabile può essere precisamente l’indistinzione e la permeabilità dei suoi
confini”35. L’interrogazione sui confini del normale ha creato un fecondo terreno
di alleanza, di cui è oggi una delle espressioni più significative la c.d. crip theory36,
tra queer theory, gender theory, critical race theory e critical disability studies,
Cfr. Ann K. Suzedelis, Adding burden to burden: cosmetic surgery for children with down
syndrome, 8 (2006), pp. 538-540: http://virtualmentor.ama-assn.org/2006/08/oped1-0608.html
35 Cit. in M. Shildrick, Dangerous discourses of disability, subjectivity and sexuality, cit., p. 4.
36 “Queer” (che può essere tradotto con l’italiano “frocio”) è stato a lungo un epiteto negativo,
utilizzato in modo aggressivo al fine di stigmatizzare donne e uomini omosessuali. La queer
theory se ne è riappropriata capovolgendone il segno. La stessa operazione di riappropriazione
e risignificazione viene proposta in relazione al termine “crip” (“storpio”). Cfr. R. McRuer,
Crip theory, New York University Press, New York 2006 e A. Kafer, Feminist, Queer, Crip,
Indiana University Press, Bloomington, Indiana 2013.
312
34
Disabilità, immaginazione e cittadinanza sessuale
approcci teorici che tutti, su fronti diversi, si sono trovati ad affinare strumenti
di analisi e di critica per comprendere la logica che sorregge la “gerarchia dei
corpi” presente nelle moderne società occidentali. Una gerarchia articolata
lungo assi che sono rappresentati dal genere, dalla bianchezza,
dall’abilità/disabilità, dall’agismo o ageismo, dalla classe e dall’orientamento
sessuale. La collocazione di un corpo nell’ordine, che vede i corpi bianchi,
mascolini, eterosessuali e normodotati in posizione apicale, determina di fatto la
distribuzione dei beni cui la società attribuisce valore, tra i quali dobbiamo porre
anche la sessualità. Per questo le teorie liberali della giustizia, à la Rawls, sono
insufficienti. L’oppressione dei gruppi minoritari non può essere eliminata che
mediante un’operazione di critica culturale, di critica dell’egemonia, che abbatta
la moderna gerarchia dei corpi, nata con il sostegno del moderno sapere
scientifico.
Il lavoro dei critical disability studies sul concetto di abilità prosegue sulla
stessa linea degli studi che decostruiscono e denaturalizzano la bianchezza,
l’eterosessualità e la mascolinità, al fine di rendere visibile il privilegio nascosto
sotto la norma37. Nell’approccio dei critical disability studies la critica al modello
medico è ancora centrale, come lo era per il modello sociale. Quello che ora si
sottolinea, tuttavia, non è semplicemente l’insufficienza del modello medico, la
sua tendenza a ridurre la disabilità a sfortuna, a dramma individuale e a
considerare devianti, patologici e difettosi i corpi e le menti disabili. Nel social
model of disability38 si insiste sul fatto che non è il difetto fisico o mentale (su cui
la medicina rivolge ogni attenzione al fine di correggerlo) ad impedire di per sé
alla persona di avere una vita normale e autonoma, ma il modo in cui la società è
stata pensata e costruita. Nell’approccio critico alla disabilità il modello medico
viene ancora criticato, ma per il suo carattere “politico”, ovvero per la sua falsa
neutralità e oggettività. Come scrive Alison Kafer, in questa nuova prospettiva
teorica si tratta non tanto di lavorare come ha fatto il modello sociale della
disabilità intorno alla distinzione tra menomazione (impairment) e disabilità,
quanto a partire dalla constatazione che “entrambe, menomazione e disabilità,
Sulla critica al concetto di ableism, cfr. R. McRuer, Compulsory able-bodiedness and
queer/disabled existence, in S. L. Snyder, B. J. Brueggemann and R. Garland-Thomson (a c.
di), Disability studies. Enabling humanities, The Modern Language Association of America,
New York 2002, pp. 88-106; F. Kumari Campbell, Contours of ableism. The production of
disability and abledness, Palgrave, MacMillan, New York 2009.
38 Il modello sociale della disabilità nasce nel Regno Unito negli anni settanta all’interno
della Union of the Phisically Impaired against Segregation (1974). Per una presentazione
sintetica delle idee del movimento e la sua difesa rispetto alle tendenze postmoderne che si
sono affermate nei più recenti studi sulla disabilità, cfr. Colin Barnes, Understanding the social
model of disability, in N. Watson, A. Roulstone e C. Thomas (a c. di), Routledge Handbook of
Disability Studies, cit., pp. 12-29.
313
37
BRUNELLA CASALINI
sono sociali”: “il semplice provare a determinare cosa costituisca una
menomazione rende chiaro il fatto che una menomazione non esiste in modo
indipendente dai suoi significati e dalle sue interpretazioni sociali”39.
Considerare come costruzioni sociali, storicamente determinate, sia la
menomazione che la disabilità presenta alcuni vantaggi importanti rispetto al
modello sociale: si può infatti continuare a insistere sulla necessità di lottare per
abbattere tutte le barriere architettoniche e sociali che impediscono la piena
inclusione della persona disabile, senza rinunciare a confrontarsi con le
conseguenze che derivano dalle nozioni di “abilità/disabilità” proposte della
medicina e dalla scienza. Si possono valutare positivamente gli interventi che i
progressi della scienza e delle nuove tecnologie rendono possibili al fine di
migliore la vita delle persone con disabilità, mantenendo tuttavia un
atteggiamento critico e riflessivo verso l’ansia diffusa rispetto a tutte le
situazioni in cui il corpo o la mente di una persona sembrano discostarsi da una
presunta normalità, posta come dato oggettivo sostenuto scientificamente. Da
questo punto di vista, i critical disability studies, la queer theory e il femminismo
partono da una comune consapevolezza relativa alla tendenza della scienza
moderna a medicalizzare i corpi oppressi, a tentare di normalizzarli e asservirli
ad un ideale di perfezione. Nella modernità il dominio non viene più esercitato
nelle forme di una violenza pubblica esercitata sui corpi, esso agisce mediante
azioni di disciplinamento che consistono nell’interiorizzazione di modelli e
norme, ovvero attraverso la colonizzazione delle menti e il condizionamento del
comportamento corporeo. Non stupisce, perciò, vedere gli studi sulla disabilità,
come prima di loro il femminismo nero e postcoloniale, attingere alla critical race
theory40 e alle opere di pensatori come Paolo Freire, Franz Fanon e Albert
Memmi. Per Thomas Shakespeare, uno dei difetti delle relazioni di cura in cui
tradizionalmente le persone con disabilità sono coinvolte è che essere producono
in molte persone disabili l’interiorizzazione di una sensazione di profonda
incapacità e impotenza. Non diversamente da quanto accade nella relazione tra
colonizzato e colonizzatore e in quella tra oppresso e oppressore, anche la
persona disabile acquisisce così la tendenza a far propria in modo inconsapevole
l’immagine di sé proposta dai modelli sociali dominanti. Shakespeare scrive:
Come il colonialismo ha condotto alla degradazione delle culture indigene,
così l’impatto della cura coloniale può minare il rispetto di sé e la
positività di coloro che sono resi dipendenti, e creare agenti che sono in
A. Kafer, Feminist, Queer, Crip, cit., p. 7.
Per il ricorso alla critical race theory, cfr. F. Kumar Campbell, Contours of Ableism, cit.; in
particolare, cap. II: Internalised ableism: The tyranny within.
314
39
40
Disabilità, immaginazione e cittadinanza sessuale
una certa misura danneggiati dal trattamento ricevuto41.
Nel tentativo di liberarsi dalla colonizzazione cui i loro corpi e le loro menti
sono stati soggetti, femminismo nero e postcoloniale, critical race theory, queer
theory e critical disability studies hanno avuto bisogno di attivare politiche
culturali contro-egemoniche e hanno trovato un terreno fertile per la loro
elaborazione nella loro stessa esperienza di marginalità. La marginalità, come ha
suggerito nei suoi numerosi lavori bell hooks, può essere vista e vissuta come una
diversa prospettiva da cui guardare il mondo, un modo alternativo rispetto alla
visione del mondo dell’oppressore, di colui che conosce e guarda la realtà sempre
dal centro e mai dai margini, sempre da dentro e mai da fuori. La marginalità
può fornire le basi per la costruzione di quella che la hooks definisce una
“oppositional world view”:
la marginalità è un luogo di radicale possibilità, uno spazio di resistenza.
Capire la marginalità come posizione e luogo di resistenza è cruciale per
chi è oppresso, sfruttato e colonizzato42.
Il margine offre la possibilità di sviluppare una visione critica e una voce
autonoma grazie alla quale si possono raccontare storie che, senza trascendere la
realtà, al contrario partendo dal contesto e dall’esperienza vissuta, aprono lo
spazio dell’immaginazione verso orizzonti inesplorati, perché prima mai
raccontati.
3. Democrazia sessuale, immaginazione e affetti
Se la giustizia ha a che fare anche con le rappresentazioni, la cultura, gli
stereotipi, come ci insegna la storia di oppressione delle donne, dei neri, degli
omosessuali e dei disabili, allora, solo modificando le nostre abitudini culturali si
può realizzare una società democratica più giusta e quindi inclusiva di tutte le
varietà dell’umano43. Parlare della sessualità delle persone con disabilità
richiede, prima ancora che l’abbattimento di barriere fisiche, quello degli
stereotipi e delle barriere culturali e mentali, legate alle emozioni negative che
sono associate al corpo e alla mente della persona disabile, così come a quello
della donna incinta o nel periodo delle mestruazioni o alla sessualità omosessuale
tutti casi nei quali i confini tra puro e impuro rischiano di cadere sotto la spinta
T. Shakespeare, Help, Venture Press, Birmingham 2000, p. 19.
b. hooks, Elogio del margine, Feltrinelli, Milano 1998, p. 69.
43 Cfr. I. Marion Young, La politica della differenza (1990), Feltrinelli, Milano 1996.
315
41
42
BRUNELLA CASALINI
di corpi che sfuggono all’ordine in cui la modernità ha cercato di relegarli,
costringendoli alla vergogna di sé, al tentativo di emulare le norme44. Per
includere questi corpi nella cittadinanza democratica abbiamo bisogno di storie
che ci aiutino ad associare emozioni positive alla diversità, a cominciare da
quella che scopriamo dentro di noi, quando rinunciamo all’idea di poter
controllare razionalmente ogni aspetto della nostra vita. Come scrive Iris Marion
Young: “Per imparare a sentirci a nostro agio con coloro che percepiamo come
diversi, potrebbe essere necessario imparare a trovarci a nostro agio con
l’eterogeneità che è in noi”45.
In Disability, sex radicalism and political agency, Abby Wilkerson sostiene
l’urgenza di una “politica radicale del sesso fondata nell’esperienza di tutti quei
gruppi che sono più marginalizzati socialmente” e denuncia la difficoltà a
riconoscere la sessualità come un aspetto della vita cui ognuno dovrebbe poter
avere diritto46. Le diseguaglianze sociali di cui soffrono i gruppi oppressi sono
perpetuate infatti anche mediante stereotipi sessuali e, più in generale, la
maggiore vulnerabilità alla violenza sessuale delle persone che appartengono a
questi gruppi e la loro minore capacità di scegliere se avere rapporti sessuali e
con chi. La relazione stretta esistente tra status sessuale e status sociale e
politico come hanno sottolineato prima il movimento femminista con la sua
originaria richiesta di liberazione sessuale e poi la queer theory spiega perché una
vera democrazia non possa che essere anche una democrazia sessuale, nella quale
l’eguaglianza dei diritti presuppone anche l’uguaglianza di agency sessuale. Il
corpo, le sue possibilità, i suoi bisogni e suoi desideri, l’identità sessuale e
l’orientamento sessuale, tutto ciò che tradizionalmente è stato considerato parte
della sfera intima, e marginalizzato se non escluso dalla sfera pubblica, devono
essere riconosciuti nella loro valenza politica come parte integrante della
cittadinanza.
Nel tentativo di far emergere tutte le implicazioni derivanti dall’inclusione
del corpo e dell’intimità nella dimensione della cittadinanza, Plummer vede la
intimate citizenship o cittadinanza sessuale articolarsi intorno a tre momenti
fondamentali: “il controllo (o no) sul proprio corpo, sui propri sentimenti e sulle
proprie relazioni; l’accesso (o no) alle rappresentazioni, alle relazioni e agli spazi
pubblici, ecc.; e le scelte socialmente fondate (o no) sulle esperienze identitarie e di
genere” (corsivi nell’originale)47. Secondo questa ampia definizione, la
Cfr. M. C. Nussbaum, Disgusto e umanità. L’orientamento sessuale di fronte alla legge (2010),
con un saggio di Vittorio Lingiardi e Nicla Vassallo, il Saggiatore, Milano 2011.
45 I. Marion Young, La politica della differenza (1990), cit., p. 192.
46 A. Wilkerson, Disability, sex radicalism and political agency, in K. Q. Hall (a c. di), Feminist
disability studies, Indiana University Press, Bloomington, kindle edition.
47 K. Plummer, Intimate citizenship. Private decisions and public dialogues, University of
Washington Press, Seattle-London 2003, p. 14.
316
44
Disabilità, immaginazione e cittadinanza sessuale
cittadinanza sessuale ha a che fare non solo con i diritti, ma con le
rappresentazioni, l’accesso allo spazio pubblico e le pratiche. In questo senso il
problema della sessualità delle persone disabili, eterosessuali, omosessuali o
bisessuali, è una questione di mancanza di opportunità determinata da
condizioni che sono prima di tutto culturali e sociali. Le persone con disabilità
sono escluse a causa dei loro corpi troppo ingombranti, impegnativi e
disturbanti, per essere trascesi secondo il modello classico di cittadino
disincarnato e ridotto a razionalità. Il modello di una cittadinanza capace di
includere le donne, gli omosessuali, i disabili, i minori e i malati deve
necessariamente mettere in discussione una politica che separi pubblico e
privato, pretendendo di partire dalla negazione del contesto, dei sentimenti,
della dimensione bisognosa e desiderante dei corpi, della loro natura carnale e
finita. Per affermarsi questo nuovo modello di cittadinanza, che lentamente ha
preso forma negli ultimi decenni, ha avuto bisogno e ha ancora bisogno di un
immaginario che renda pensabile e praticabile una politica che parta dal corpo
del cittadino, che lavori sulle emozioni e sugli affetti superando l’egemonia
culturale del giovanilismo, della mascolinità, dell’eterosessismo, dell’abilismo e
del salutismo.
Il silenzio ha un effetto di disciplinamento: se di qualcosa non si parla, se non
ci sono modi per nominarla, è come se non esistesse. Spesso quest’inesistenza
non influisce solo sul modo di percepire la realtà da parte dell’opinione pubblica
maggioritaria, ma anche da parte della stessa minoranza oppressa, che ¨C come
abbiamo detto può arrivare ad interiorizzare una immagine negativa di sé, a
rimuovere e a negare quella parte di sé che vorrebbe ribellarsi al silenzio, che
vorrebbe emergere ed esprimersi.
Mi ha colpito, leggendo un forum dedicato a Maternità e disabilità,
l’imbarazzo di giovani madri disabili che si raccontavano, dopo aver inutilmente
cercato conferme e rassicurazioni in altri spazi della rete. Alice, una neo-mamma
disabile, più precisamente focomelica, scrive:
Navigando su internet volevo cercare siti con esperienze analoghe alla mia, e
mi sono accorta che parlare di mamme disabili sembri quasi un tabù. Tante
mamme hanno figli disabili, ma di figli con mamme disabili non se ne parla.
Eppure sono convinta che la mia esperienza l’abbiano vissuta molte donne come
me, ed anche loro vorrebbero condividere argomenti di questo tipo48.
Il messaggio di Alice trova un’eco in quello di BabyG:
Dunque io sono affetta da una malattia genetica e da qualche anno sono
48
http://www.oltrelebarriere.net/forum/topic/gravidanza (ultimo accesso: 1 luglio 2013).
317
BRUNELLA CASALINI
in carrozzina, e sono in dolce attesa, ho quasi terminato il 4 mese. Beh, ho
letto le vostre parole e mi sono ritrovata soprattutto in quelle di Alice,
quando dice di non aver trovato su internet storie o esperienze di mamme
disabili.
Per Alice e BabyG sarà stata motivo di orgoglio la statua rappresentante la
pittrice focomelica Alison Lapper incinta di sette mesi, scolpita dall’artista Mac
Quinn, che è stata collocata in Trafalgar Square nel 2005 e la cui riproduzione
gigante in materiale plastico gonfiabile, posto al centro della cerimonia
inaugurale delle para-olimpiadi di Londra del 2012, è stata quest’anno esposta
all’ingresso della Biennale di Venezia. La stessa Lapper ha definito la statua che
la rappresenta “una forma di anti-monumento”, nella misura in cui essa non ha
come obiettivo quello di celebrare un ideale, ma all’opposto di metterlo in
discussione49: rappresenta infatti una bellezza che non ha bisogno della
perfezione che la società invita ognuno di noi ad inseguire. Alison Lapper
Pregnant non è solo un invito a guardare alla bellezza e all’eleganza di un corpo
che stravolge i canoni estetici consueti, ma anche al tempo stesso una
rivendicazione del diritto alla maternità delle donne disabili. Se è difficile parlare
di sessualità e disabilità, in effetti, è anche perché molti sono spaventati all’idea
che persone con disabilità fisiche, e ancor più mentali, possano mettere al mondo
dei bambini.
Ciò di cui non si parla e che non viene rappresentato è tabù, è privo della
stessa legittimità ad esistere; per questo viene relegato nello spazio della colpa o
della vergogna, del silenzio e dell’invisibilità. Il primo passo verso l’inclusione è
quindi la parola, il racconto, l’immagine e il dare rappresentazione.
È facile sentire parlare di una disabilità rappresentata da corpi bionici,
eccezionali, quali quelli di Oscar Pistorius o della bellissima attrice, atleta e
attivista Aimee Mullins, che sfoggia le sue dodici paia di strabilianti protesi alle
gambe, adatte per ogni diverso tipo di evento: dalla corsa ad una serata elegante
in tacchi alti. Questi corpi, in fondo, affascinano per la loro capacità di
confermare il progetto moderno di un corpo plastico, infinitamente potenziabile.
Mentre personaggi come Pistorius e Mullins mettono in crisi una visione della
disabilità come difetto e mancanza, spingendo il nostro sguardo verso un
orizzonte post-umano, rispetto al quale anche i corpi abili appaiono bisognosi di
un sostegno tecnologico; altri corpi disabili stentano ancora ad essere
riconosciuti e pensati nello spazio dell’umano. Più difficile da sentire raccontare
e da vedere rappresentate senza i toni della tragedia, della sfortuna e del
Ann Millett-Gallant, Sculpting body ideals: Alison Lapper pregnant and the public display of
disability, in L. J. Davis, The disability studies reader, Routledge, New York-London 2013, pp.
398-410.
318
49
Disabilità, immaginazione e cittadinanza sessuale
dramma, infatti, sono le storie di persone come Sesha, di cui ha parlato la
madre, la filosofa Eva Feder Kittay50, di Hikari, Jamie, Moreno, e Tommy
raccontati dai loro rispettivi padri: lo scrittore giapponese Kenzaburo Oe51, il
filosofo Michael Berubé52, il sociologo del diritto Massimiliano Verga53 e il
giornalista, scrittore e conduttore Gianluca Nicoletti54.
Per quanto riguarda il tema disabilità e sessualità devono considerarsi
benvenute iniziative quali la mostra fotografica di Belinda Meson-Lovering,
intitolata Intimate Encounters: disability and sexuality55, e i recentissimi filmdocumentario Sex, amour et handicap (2010) di Jean-Michel Carré56, El Sexo de
los Angeles (2004) di Frank Toro57 e Sesso, Amore & Disabilità (2012), nato dalle
ricerche di Priscilla Berardi58, alla quale va il merito di aver documentato per la
prima volta in Italia anche il fenomeno dell’omodisabilità, ovvero la condizione
di quanti si trovano a sostenere psicologicamente il peso del duplice stigma
derivante dall’essere ad un tempo omosessuali e disabili59 mostrando la fecondità
dell’alleanza tra movimento lgbt e movimento dei disabili sul terreno della
ricerca empirica, così come io ho tentato qui di illustrarne le potenzialità sul
piano teorico. Non va sottovalutato neppure il valore delle testimonianze
raccolte attraverso le interviste di “Radio radicale”, nella rubrica Fai notizia, tra
le quali voglio ricordare qui la storia di Giulia e Valerio. Insieme da otto anni,
questi due giovani, affetti da gravi disabilità fisiche, dimostrano, da un lato,
quanto può essere importante il ruolo dei genitori, la loro capacità di ascolto e di
E. Kittay, Love’s Labor, Routledge, New York 1999.
K. Oe, Una famiglia, Mondadori, Milano 1995.
52 M. Berubé, Life As We Know It: A Father, a Family, and an Exceptional Child, Vintage
1998.
53 M. Verga, Zigulì. La mia vita dolceamara con un figlio disabile, Mondadori, Milano 2012.
54 G. Nicoletti, Una notte ho sognato che parlavi. Così ho imparato a fare il padre di mio figlio
autistico, Mondadori, Milano 2013.
55 Per la presentazione della mostra in Nuova Zelanda:
http://www.youtube.com/watch?v=pWsSMqTNg4o (ultimo accesso: 10 luglio 2013).
56 Les films Grains de sable 2010. Il documentario si può vedere al seguente indirizzo internet:
http://www.reflexio.ch/medias/sexeamourhandicap.htm (ultimo accesso: 5 luglio 2013).
57 https://www.youtube.com/watch?v=Uj172Q7R368 (ultimo accesso: 6 luglio 2013). Sul filmdocumentario di Frank Toro, cfr. Jesús González Amago, Re-inventarse. La doble exclusión:
vivir siendo homosexual y discapacitado, Comité Español de Representantes de Personas con
Discapacidad ¨C CERMI 2005, pp. 135-140: http://www.cermiasturias.org/fotos/Libro16.pdf
(ultimo accesso: 7 lugli 2013).
58 Cfr. http://www.sessoamoredisabilita.it/ (ultimo accesso: 10 luglio 2013).
59 Priscilla Berardi, con la collaborazione di Cristina Chiari e Ilaria Grasso, Abili di cuore.
Omo-disabilità: quale rapporto tra omosessualità e disabilità?, con il supporto del Centro
bolognese di terapia della famiglia, del centro di documentazione handicap di Bologna e di
Handygay di Roma, Arcigay. Italian Lesbian & Gay Association, Bologna 2007:
http://www.lelleri.it/report/abilidicuore.pdf (ultimo accesso: 2 luglio 2013)
319
50
51
BRUNELLA CASALINI
apertura mentale rispetto all’idea che i figli disabili possano avere una loro vita
sessuale e affettiva; dall’altra anche il ruolo che possono avere gli assistenti dei
disabili nell’aiutare in questo caso i due giovani a vivere la loro sessualità,
consentendo loro di superare i condizionamenti derivanti da evidenti difficoltà di
carattere motorio. Giulia e Valerio hanno avuto famiglie che sono state capaci di
sostenerli e accompagnarli nel loro percorso di crescita, rafforzando la loro
autostima, dando loro una corretta educazione sessuale, aiutandoli a stare
insieme agli altri60. Non sempre questo accade, più spesso la realtà familiare può
essere castrante e infantilizzante per la persona disabile come evidenzia il fatto
che diventa un peso quasi insopportabile nell’esperienza di un figlio o di una
figlia disabile confessare il desiderio di una vita sessuale e insieme la propria
omosessualità. L’indipendenza dalla famiglia come da tempo ha sottolineato
nelle sue battaglie il movimento per la vita indipendente anche da questo punto
di vista può rivelarsi un elemento cruciale per arrivare ad essere riconosciute
come persone adulte, che hanno diritto ad esprimere la propria vita sessuale.
60 Valeria De Filippis, Giulia: “Non si può escludere la sessualità dalla propria vita”:
http://www.fainotizia.it/contributo/18-062013/testo/Giulia%3ANonsipu%C3%B2escluderelasessualit%C3%A0 (ultimo accesso: 20
giugno 2013) e sempre sulla stessa pagina Internet l’intervista al fidanzato.
320