N o 59:2 | 2012
N o 59:2
2012
N o 59:2
2012
L’ORLANDO FURIOSO E LA TRADIZIONE CAVALLERESCA
Numero a cura di Annalisa Izzo
Annalisa IZZO
Premessa
Franca STROLOGO
Le madri di Malagigi e Ferraù, le figlie di Marsilio e le Spagne di Boiardo e Ariosto
N o 59:2 | 2012
Barbara WAHLEN
La parola raccontata dai cavalieri-narratori nella
Continuation du Roman de Meliadus (ms. Ferrell 5)
N o 59:2 | 2012
Annalisa IZZO
Appunti su novelle e discorso diretto nel Mambriano
Angela Matilde CAPODIVACCA
«Forsi altro canterà con miglior plectio»:
l’innamoramento di Angelica in Ariosto e Niccolò degli Agostini
Francesco FERRETTI
Menzogna e inganno nel Furioso
Alessandra VILLA
Excursus ezzeliniani: il beato Luca Belludi nel canto XVII dell’Orlando Furioso?
Alberto RONCACCIA
L’innamoramento di Angelica nella trama cavalleresca
Mattia MANZOCCHI
«Che l’autor s’habbia corretto, così nell’ortografia come nelle parole». Considerazioni
sugli interventi correttori di Girolamo Ruscelli al testo dell’Orlando Furioso
Stefano JOSSA
Coincidenze casuali e incontri possibili: Ariosto oggi
Simone ALBONICO
Ricordo di Marco Praloran
ISBN 978-2-05-102504-1
9:HSMAPB=UWZUYV:
SLATKINE
Jacopo GROSSER
Geometrie stilistiche nei discorsi diretti della Gerusalemme Liberata
Rivista svizzera
delle letterature romanze
Fascicolo italiano
Appunti su novelle e discorso diretto
nel Mambriano
1. Premessa
Nel sondare le «possibilità che si prospettavano allo scrittore di poemi
cavallereschi dopo la pubblicazione dell’Inamoramento de Orlando», Marco
Villoresi considera i casi della continuazione dell’Agostini, dell’Innamoramento
di Galvano del Fossa e del Mambriano di Francesco Cieco.1 E scrive che
«tutti e tre i poemi sono accomunati da chiari problemi di governabilità
interna: il disegno narrativo sembra spesso precario ed improvvisato». Nel
caso del poema del Cieco, poi, colpisce il significativo scarto tra la conclusione delle vicende relative all’eroe eponimo, che nel canto XXVI sposa
la maga Carandina, e il seguito dell’opera, che prosegue per ulteriori venti
canti in cui l’autore «continua ad affastellare imprese d’armi e d’amore».2
In questo intervento vorrei provare a descrivere un particolare aspetto
del disegno narrativo del Mambriano, vale a dire la presenza e la funzione
delle novelle intercalate, in relazione con l’uso del discorso diretto. Credo
infatti che una riflessione sulla forma dell’intreccio nel poema cavalleresco
non possa prescindere da un’indagine sulle dinamiche dell’enunciazione.
In particolare mi sembra che molto possiamo capire dalla integrazione dei
racconti nel racconto: proprio ai fini di una più articolata discussione
intorno alla tecnica dell’entrelacement praticata da Boiardo e Ariosto ho già,
in altra sede,3 sottolineato l’opportunità di focalizzare l’attenzione sul
ruolo svolto nella struttura complessiva delle opere dai racconti metadiegetici. Da molti anni la critica si è concentrata sulle così dette novelle dei
due capolavori per evidenziare soprattutto gli effetti di glissement générique
che il loro uso «mascherato» imprime alla forma del romanzo cavalleresco
(e forse, in prospettiva, del romanzo moderno tout court). Questa pista
Marco Villoresi, La fabbrica dei cavalieri. Cantari, poemi, romanzi in prosa fra Medioevo e Rinascimento,
Roma, Salerno, 2005, pp. 346 sgg.
2
Ibidem, p. 348.
3
Annalisa Izzo, Discorso diretto e entrelacement nel romanzo cavalleresco: Boiardo e Ariosto, in Ead. (a cura
di), «D’un parlar ne l’altro». Aspetti dell’eneunciazione dal romanzo arturiano alla Gerusalemme liberata,
Pisa, ETS (in corso di stampa).
1
49
Annalisa IZZO, «Appunti su novelle e discorso diretto nel Mambriano», Versants 59:2, fascicolo italiano, 2012, pp. 49-66
ANNALISA IZZO
d’indagine, pur avendo condotto a risultati importanti,4 ha a mio avviso
distolto l’attenzione da un altro tipo di riflessione, quella volta a sondare il
ruolo esercitato da tali «digressioni» sul piano sintagmatico, sul piano cioè
dell’intreccio, dell’entrelacement vero e proprio. Una ricognizione complessiva ha mostrato che, in entrambe le opere (anche se con intensità e
sviluppi differenti), le «novelle» sono parte integrante di una strategia che
sfrutta il discorso del personaggio (soprattutto diretto, ma anche indiretto)
in quanto strumento funzionale alla ramificazione della trama, che si opera
anche attraverso la moltiplicazione dei piani narrativi. L’insieme dei
racconti metadiegetici (insieme di cui le «novelle» fanno «semplicemente»
parte) da un lato accresce la tela della storia con nuovi fili, dall’altro moltiplica i livelli diegetici, di enunciazione e cronologici. Vale a dire che tali
inserti non solo giocano un ruolo fondamentale sul piano orizzontale
dell’entrelacement ma sviluppano e ramificano il piano verticale: è precisamente quest’ultimo aspetto che resta trascurato nell’approccio fin qui
praticato dalla critica, voglio dire quello che ha investigato sulla «natura
novellistica» dei racconti metadiegetici. Aspetto che a me sembra invece di
notevole importanza per capire in che modo e fino a che punto Boiardo
e Ariosto hanno rinnovato e rivivificato una tecnica il cui uso andava
sbiadendo. Il confronto con i testi della tradizione arturiana fornisce
conferme importanti anche in questo senso: si pensi ai racconti interni del
ciclo Guiron le courtois. Intertesto tra i più significativi per la tradizione
cavalleresca italiana e per l’Ariosto in particolare, il Guiron ha un impianto
davvero innovativo anche perché inserisce un numero rilevante di storie
interne raccontate direttamente dai personaggi, a scopo di intrattenimento, creando una trama parallela a quella principale, sostituendo, per
dirlo con Richard Trachsler, la Parola all’Azione.5 Ora, alcune delle storie
intercalate ne L’Inamoramento de Orlando hanno apparentemente una
funzione digressiva e d’intrattenimento e sembrano rievocare proprio
questo tipo di modello presente nella tradizione: in realtà lo manipolano
radicalmente facendo in modo che la storia enchassée agisca direttamente e
Mi riferisco in particolare all’articolo di Giuseppe Sangirardi, Les nouvelles du Roland furieux, in
Nouvelle et roman: les dynamiques d’une interaction du Moyen Âge au Romantisme (Italie, France, Allemagne),
études réunies par Patrizia De Capitani, in «Filigrana», 10, 2009, pp. 115-128.
5
Richard Trachsler, Il racconto del racconto. La parola del cavaliere nel Guiron le Courtois, in Annalisa Izzo
(a cura di), «D’un parlar ne l’altro». Aspetti dell’eneunciazione dal romanzo arturiano alla Gerusalemme
liberata, cit.
4
50
APPUNTI SU NOVELLE E DISCORSO DIRETTO NEL MAMBRIANO
profondamente sull’evoluzione della trama principale. Quanto ad Ariosto,
non gli’interesserà nemmeno troppo giocare su questa ambiguità: la
(quasi)6 totalità delle storie incastonate – e in forma di racconto del personaggio – rinuncia all’illusione della digressione e si mostra fin da subito
come funzionale allo sviluppo della vicenda principale del paladino
coinvolto. Non mi dilungo qui sulla dimostrazione del modus operandi di
Boiardo e di Ariosto dal momento che ho già tentato di illustrarne altrove
il funzionamento. Mi interessava però ricordare, ad apertura di questo
intervento, come il discorso diretto con funzione narrativa giochi un
ruolo determinante nell’articolazione dell’intreccio nei due capolavori
rinascimentali del genere cavalleresco.
Sicuramente ad attirare la nostra attenzione verso un componimento a
lungo trascurato dalla critica,7 il Mambriano di Francesco Cieco, è in
prima istanza il bisogno di una mise en contexte che ci consenta di capire
meglio il terreno su cui nascono prima l’Orlando di Boiardo e poi quello
di Ariosto. Tuttavia tale vizio di partenza – studiare un’opera per far luce
su altre – è sanato, come spesso succede, dall’osservazione dei fatti:
come spero di mostrare, il Cieco ha la sua proposta da fare in materia di
entrelacement; il modello che si evince dal suo poema non è poi così
«improvvisato» e, sicuramente, più che subordinato al modello boiardesco
a quello si vuole alternativo.
2. Le novelle
Nelle occasioni in cui si è occupata delle novelle del Mambriano la
critica ha unanimemente ribadito la separatezza di questi inserti rispetto
alla trama principale. Ha scritto Javier Gómez-Montero:
[…] sus novelas interrumpen momentáneamente los lances caballerescos y se
supeditan a una moralidad o ensenañza expresa y aún vinculada a la cuentística
6
Il racconto dell’oste al canto XXVIII, quello di Lidia al XXXIV e quello del barcaiolo al XLIII
sono quelli più liberi e, se si vuole, più digressivi rispetto alla fabula principale.
7
Il testo non può contare ancora su un’edizione affidabile. In quest’intervento mi baso sull’edizione
stabilita da Giuseppe Rua, Francesco Cieco da Ferrara, Libro d’arme e d’amore nomato Mambriano, 3
voll., introduzione e note di Giuseppe Rua, Torino, Unione tipografico-editrice torinese, 1926. Il
maggiore lavoro critico sull’opera è legato agli studi di Jane E. Everson cui si deve, tra l’altro,
Bibliografia del Mambriano di Francesco Cieco da Ferrara, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 1994.
51
ANNALISA IZZO
medieval. Bien al contrario, en el Innamorato y en el Furioso, aun manteniendo en
gran medida y en diverso grado elementos novelísticos, el universo plasmado en
las novelas y relatos intercalados o bien responde al de la aventura caballeresca o
bien las figuras son parte integrante de las acciones principales; además, el sentido
de esos relatos no resulta siempre tan explícito como en el Mambriano […].8
Il Cieco procederebbe, cioè, in direzione diametralmente opposta
rispetto a Boiardo. Così al canto II.42-115, alla corte di Carandina una
fanciulla prende la parola per allietare la compagnia e racconta la storia
della figlia del re di Cipro; al canto VII.36-75, di nuovo alla corte di
Carandina, Malagigi racconta di un’avventura avuta presso un mercante
di Alessandria d’Egitto; al canto X.5-59, durante la festa per il matrimonio
di Fulvia e Feburo il giullare Tripaldo racconta di come sia riuscito a
sposare una ricca fanciulla e di uno scherzo fattole; ai canti XV.82-XVI.98
al vecchio Pinamonte innamorato di Bradamante viene raccontata, affinché
gli serva da lezione, la storia dell’ateniese Agrisippo; ai canti XXI.31XXIII.10, per incoraggiare Carandina una fanciulla racconta la storia di
Lodorico; XXV.7-92 la fanciulla che ha raccontato la storia del re di
Cipro viene richiesta da Rinaldo di raccontarne un’altra: la gara delle tre
mogli che beffano i mariti.
Guardando alla relazione di questi inserti con la fabula principale si
osserverà che essi si qualificano come vere e proprie narrazioni digressive
ed estrapolabili.9 Anche se Malagigi e Tripaldo raccontano, o pretendono
di raccontare, episodi della loro vita, questi hanno il mero scopo dell’intrattenimento e della moralità.
Che per le due ultime novelle del corpus10 le cose non stiano in questi
termini è fatto, tuttavia, su cui non ci si è soffermati. Parlo della storia
raccontata ad Ivonetto dal cavaliere sepolto vivo (XXXVI.14-37) e della
Javier Gomez-Montero, Transformaxiones de la novella en el romanzo cavalleresco, in «Cuadernos de
Filología Italiana», 4, 1997, pp. 68-69.
9
Alle novelle andrebbero, in questo senso, affiancati i due apologhi del canto terzo, ma anche interventi che ricordano episodi del mondo classico come quello dell’Industria, XXVII.55-56, o quello di
Ivonetto, XXXV.95-97.
10
Si noti che le novelle sono state pubblicate anche autonomamente da Giuseppe Rua, Novelle del
Mambriano del Cieco da Ferrara, esposte e illustrate da Giuseppe Rua,Torino, Ermanno Loescher, 1888,
e da Nico Schileo, Le novelle del Mambriano, prefazione e note di Nico Schileo, Lanciano, Carabba
editore, 1917. Significativo che solo la raccolta più recente include la novella «Il nuovo Meleagro»,
ossia la storia che l’uomo del sepolcro, nel canto XXXVI, racconta a Ivonetto.
8
52
APPUNTI SU NOVELLE E DISCORSO DIRETTO NEL MAMBRIANO
storia raccontata da Orio ad Orlando (XXXIX.29-XL.98). Nel primo
caso il narratore invoca l’aiuto del giovane Ivonetto affinché, dopo aver
affrontato varie giostre e scontri, sradichi un malefico virgulto, azione che
metterà fine all’incantesimo operato dalla strega Uriella che impedisce al
cavaliere di morire in pace. Ascoltato il racconto, Ivonetto porterà a
compimento le singole prove e potrà sradicare l’arbusto (XXXVII.92).
Nel canto successivo (XXXVIII.18-24) troverà spazio un altro racconto
metadiegetico, strettamente dipendente da quello del cavaliere: è l’autobiografia di Uriella, che racconta le ragioni e gli antefatti del suo
maleficio.
Nel secondo caso leggiamo l’avventurosa e drammatica autobiografia
di Orio D’Oria, figlio di uno dei più ricchi signori genovesi, finito, dopo
innumerevoli disavventure, prigioniero dei ladroni. In una caverna lo
troverà Orlando e dopo averlo liberato (XXXIX.5) ne ascolterà (dall’ottava 28) le disavventure. Il racconto si interrompe alla fine del canto
XXXIX, per concedere a Orio di riposarsi, poi riprende al XL.5, ma in
discorso indiretto, che però all’ottava 17 ritorna sotterraneamente al
discorso diretto, fino alla fine (ott. 98). La portata del racconto analettico
copre la vita di Orio fino al momento in cui Orlando lo libera. Ma Orio
ha appena finito di raccontare che il Conte ribatte:
Orlando gli rispose: Io ti prometto
Ch’io non vidi mai uom sotto la luna
Più di te conquassato da fortuna
E sappi che a Marsiglia mi trovai
Quel giorno che il tuo suocero s’accorse
De la figliuola, il che gli spiacque assai (98.6-8-99.1-3)
Orlando cioè, fornendo ragguagli al suo interlocutore, rivela di aver
già conosciuto alcuni dei protagonisti del racconto appena ascoltato e,
soprattutto, completa la storia. Qui evidentemente, come nel caso del
racconto di Uriella, il testo gioca con l’ordine dei segmenti narrativi,
complicandone la successione, alterando la serie post quem/ante quem;
alterazione che, pur nella sua semplicità, ottiene comunque un effetto di
sorpresa nel lettore. I ragguagli proseguono fino a fine canto e poi oltre,
nel XLI.2-4, dove si noterà lo slittamento al discorso indiretto (mentre il
congedo dal canto precedente sembra doversi attribuire alla voce di
Orlando). Del resto il paladino prosegue ormai il viaggio insieme a Orio,
53
ANNALISA IZZO
che resterà suo compagno d’avventure fino al conclusivo ricongiungimento con Policastra (XLV.49).
Appare subito chiaro come questi due racconti nel racconto si concepiscano, a differenza di quelli precedentemente ricordati, come parte
integrante della trama principale: 1) il protagonista (e/o i personaggi) del
racconto metadiegetico è un personaggio presente anche nella trama
principale; 2) il racconto metadiegetico è completato/integrato da altri
racconti narrati da altri personaggi della trama principale; 3) il racconto
del narratore interno determina un’azione del paladino, oppure la giustifica; 4) il racconto non è chiuso in sé ma si completerà grazie all’azione
del paladino.
La relazione che si stabilisce tra metadiegesi e diegesi è cioè di tipo
esplicativo, con un’osmosi completa tra il dentro e il fuori, tra il primo e
il secondo livello narrativo, accentuato da uno slittamento in più punti tra
discorso diretto del personaggio e discorso indiretto del narratore principale.
Tra il blocco di novelle collocate tra i canti II e XXV, e le due ultime,
tra i canti XXXVI e XXXIX si segnala quindi uno scarto. Scarto che pare
più evidente se, prescindendo dalla definizione di novella (che presuppone
caratteristiche formali di un preciso genere) circoscriviamo la nostra
attenzione ai racconti metadiegetici in discorso diretto. Noteremo allora
che nello scorcio finale del poema la loro presenza si intensifica:
–
–
–
XLI.32: ad Astolfo che chiede dove possa trovare avventure, un catalano gli
racconta (32-35) di un castello abitato dal vecchio Gioroante, che tiene prigionieri gli innamorati della figlia Argonetta. Astolfo parte per affrontare l’impresa.
XLII.75: la dama Polima incontra Orlando e gli racconta (76-79) di essere stata
defraudata del suo regno da Grandonio. Gli chiede aiuto e aggiunge che Sinodoro
si trova in grande pericolo e che Rinaldo non ha tenuto fede alla promessa di
soccorrerla. Alle ottave 81-83 Polima descrive la situazione del castello di Belsito
in cui è arroccato Grandonio. Orlando parte per affrontare l’impresa.
XLV.16-22: Calcabrino, che ha fatto prigionieri molti baroni cristiani tra cui lo
stesso Carlo Magno, racconta a quest’ultimo come e perché ha agito per amore di
una donna. In soccorso di Carlo si muoverà Rinaldo.
Proprio da questi racconti secondi, in effetti, si svilupperanno le
ultimissime vicende del poema, in un intreccio capillare tra narrazione
metadiegetica e fabula principale. Si osserva cioè che quei brani (ai canti
XXXVI e XXXIX) che per una serie di ragioni, insieme con la critica,
54
APPUNTI SU NOVELLE E DISCORSO DIRETTO NEL MAMBRIANO
classifichiamo come «novelle» fanno parte di un programma narrativo che
comprende altri e più brevi racconti-secondi in relazione esplicativa con
il racconto di primo grado, che determinano cioè l’azione dei protagonisti del primo livello narrativo: Gioroante sarà sconfitto da Orlando nel
XLIV.45; con Grandonio sarà firmata la pace da Orlando nel canto
XLIV.64-65; la vicenda di Orio si chiuderà al canto XLV.68, come pure al
XLV.79 muore Calcabrino per mano di Rinaldo. Prima di un finale
ricongiungimento in cui tutti si raccontano le loro vicissitudini.
Insomma dal canto XXXVI al XLV il racconto metadiegetico ha un
ruolo preponderante nell’attivazione della trama: è lì che le azioni hanno
origine.
La situazione nei canti precedenti è diversa: da un lato infatti le novelle
si configurano come segmenti assolutamente isolati, legati alla trama
principale da rapporti tematici; dall’altro, la maggior parte degli interventi
metadiegetici ha prima di tutto lo scopo di coprire, analetticamente, un
segmento narrativo della fabula principale. Il tipo più frequente di
racconto analettico è quello che: 1) copre parti del racconto principale
non raccontate dal narratore primo; 2) riprende eventi già accaduti.11
Qualche esempio en passant: IX.30-32 Amone racconta a Carlo e a
Rinaldo di come sia riuscito a sfuggire dalla prigionia dei saraceni; IX.9496 un anonimo fornisce a Grifonetto ragguagli sull’azione bellica che
volge a danno dei saraceni; XIII.45-50 Carminiano dà a Rinaldo notizie
della guerra, di Mambriano e di Sinodoro, creduto morto; XXVII.32-46
il giovane Manfredonio racconta a Rinaldo le vicende di Mambriano e di
Carlo precedenti il momento del racconto; XXVII.75-77 un messo
annuncia a Fulvia l’arrivo imminente di Orlando e dei suoi, dando informazioni sulla loro situazione attuale; XXXII.62-64 Astolfo racconta a
Fulvia di sue presunte prodezze; XXXIV.7-11 Carminiano a Sinodoro
riepiloga gli eventi che hanno portato alla conversione dei pagani. E gli
esempi potrebbero continuare: al di là della complessità dei singoli
racconti, per ragioni diverse più o meno significativi, ciò che conta è
fornire al lettore informazioni su altri segmenti della fabula, consentendogli così una visione abbastanza completa dell’affresco narrativo. Solo in
11
Tra i molti esempi possibili, cfr. XXVII.43 in cui Sinodoro racconta a Orlando ciò che il gigante
gli ha appena rivelato quanto alla prigionia di Astolfo.
55
ANNALISA IZZO
pochissimi casi l’aggiornamento produce una nuova azione narrativa,
come in XX.59-63: un messo dà ad Orlando notizie tragiche di Fulvia a
cui Balugante ha ucciso il marito Feburo. Tenuta in assedio la donna
invoca l’aiuto del paladino che parte verso Piraga liberandola (XXVIII).
Con ciò non si vuol dire che il Mambriano non alimenti mai l’intreccio
attraverso analessi eterodiegetiche, che introducono cioè elementi narrativi del tutto nuovi e diversi rispetto alla linea principale.12 Ne fa tuttavia
un uso molto circoscritto: esse servono a dare origine ad un numero assai
ridotto di episodi, di nuovi fili narrativi, i quali però, questo è il fatto
interessante, diventeranno assolutamente determinanti per la fabula principale:
–
–
12
IV.20-23: Orlando e Astolfo s’imbattono in due guerrieri che litigano tra loro.
Orlando chiede ai due quale sia la ragione del loro contendere. Anche se breve, è
questo un vero e proprio racconto metadiegetico, in cui i protagonisti vengono
presentati («Io son figliuol del re di Portogallo, / Quest’altro è figlio del re
Balugante / Fratello di colei, per cui tal ballo / Fu cominciato […]», 21.1-4),
racconto organizzato intorno ad una trama ed esteso da un momento del passato
fino all’attualità dell’incontro con l’interlocutore («Quattro anni ho supplicato per
averla, / […] / Tanto che io l’ho condotta ove tu vedi, / A fin di trarne ancor
gloriosi eredi», 23). Il racconto ha come scopo rispondere alla domanda di
Orlando e chiedergli una valutazione («Giudica tu baron, se sei accorto, / Qual ti
par di noi due avere il torto», 21.7-8).Tale giudizio non arriverà; Orlando cercherà
a lungo di pacificarli, senza alcun successo; intanto Astolfo rapirà l’oggetto del
contendere, la bella Androsilla. Più tardi i due litiganti faranno la pace solo per
poter meglio contrapporsi a Orlando, ma uno dei due, Anfronio, resterà ucciso da
Orlando (mentre Astolfo verrà raggiunto e dovrà cedere la fanciulla): questa sarà
la causa della vendetta trasversale di Balugante, padre di Anfronio, contro Fulvia,
protetta da Orlando, vendetta che impegnerà il paladino in molte avventure;
IV.52-57: Fulvia, che è riuscita a salvare Orlando dalle grinfie di un terribile
mostro, chiede soccorso a sua volta al paladino e gli racconta la sua storia: il terribile tiranno di Utica, Meonte, ogni anno sacrifica a Marte un giovane di stirpe
regale e così facendo si garantisce il potere. Tra le vittime è caduto Cleonte,
giovane fratello della narratrice la quale, per vendicarlo, grazie alla magia ha
richiamato dagli inferi il mostro con cui Orlando si trova a combattere. La
fanciulla spera così di costringere un cavaliere a muoversi contro Meonte. Orlando
giura di mettersi al suo servizio. La fanciulla scioglie l’incanto, Orlando ribadisce
il giuramento. L’esito dell’impegno, l’uccisione del tiranno, si conoscerà solo al
canto XII, ottava 8.
Per questi aspetti cfr. Gerard Genette, Analepses, in Id., Figures III, Paris, Seuil, 1972, pp. 90-105.
56
APPUNTI SU NOVELLE E DISCORSO DIRETTO NEL MAMBRIANO
–
–
X.76-78: un pastore spiega a Orlando, Astolfo e Terigi perché un cavaliere corra
perdendo tutte le sue armi e racconta del malvagio Fulicano che uccide chiunque
passi davanti al suo palazzo. Il Conte uccide il reo (XI.11).
XXX.45-50: Ginisbaldo racconta a Rinaldo, suo ospite, del suo sfortunato amore
per Polima. Proprio in ragione di quest’amore il padrone di casa tradirà gli ospiti.
L’esito dello scontro sarà il suicidio di Ginisbaldo (XXXI.35).
Ciò che si rileva insomma è che il discorso diretto ha un ruolo
molto puntuale nella accensione delle avventure – almeno al di qua del
canto XXXVI.13 Il fatto non può che leggersi come una precisa scelta
formale e compositiva, soprattutto in considerazione del ruolo pervasivo
che, invece, su altri piani assume il discorso diretto.
3. I discorsi diretti
Un’analisi ravvicinata del tipo di discorso diretto prevalente nel
Mambriano servirà forse a mettere meglio a fuoco il disegno complessivo
intorno al quale si organizza la maggior parte del poema.
Anche ad una lettura superficiale ci si rende conto dell’importante
ruolo che vi svolgono le scene dialogate: l’alternanza di sommario, a
carico del narratore principale, e scena dialogata affidata ai personaggi,
scandisce insistentemente il ritmo di tutta l’opera. Il fenomeno è così
costante da consentire, almeno in questa fase preliminare, di prescindere
da disomogeneità ed oscillazioni, che pure evidenziano un equilibrio a
tratti diverso tra sommario e scena e una intensificazione occasionale
dell’uso del discorso indiretto rispetto a quello diretto. Ora, ciò che
colpisce – e ciò che ad un’analisi comparativa fa segnalare una peculiarità,
tanto rispetto all’Inamoramento quanto al Furioso – non sono soltanto
frequenza e lunghezza di tali scene dialogate, ma proprio la loro funzione.
O meglio, come si capirà tra non molto, la loro mancata funzione.
Per illustrare ciò che intendo dire mi soffermerò sull’analisi del primo
canto, che presenta, quanto all’organizzazione narrativa, caratteristiche
ricorrenti nell’opera tutta.14
13
Ma più esattamente dopo il XXXI, perché in effetti il primo grande scarto che si fa segnalare dal
XXXII al XXXVI è l’assenza di narrazioni metadiegetiche.
14
Questa ricognizione ha carattere propedeutico: un’analisi complessiva e dettagliata del discorso
diretto nel poema mi pare indispensabile proprio per metterne in luce la forma dell’intreccio.
57
ANNALISA IZZO
Il primo canto, centouno ottave – la lunghezza dei canti rimane
armoniosa in tutta l’opera – può essere così scomposto:
ottave e versi
1-6
7-12 (fino al v. 7)
12 (dal v. 8)-19 (vv. 3-4)
19 (dal v. 5)-24 (al v. 4)
21 (vv. 7-8)
24 (dal v. 5)-26
27-35 (fino al v. 4)
35 (dal v. 5)-37 (ma non vv. 5-6)
38-43 (fino al v. 3)
43 (vv. 4-8)
44-59 (fino al v. 3)
59 (dal v. 4)-62
63 (fino al v. 6)
63 (dal v. 7)-69 (fino al v. 2)
69 (dal v. 3)-71 (fino al v. 2)
71 (dal v. 3)-72
73-74 (fino al v. 4)
74 (dal v. 5)-75 (fino al v. 4)
75 (dal v. 5)-76
77
78-80 (fino al v. 5)
78 (v. 5)
80 (vv. 6-8)
81-82 (fino al v. 4)
82 (vv. 5-8)
83 (fino al v. 3)
83 (vv. 4-8)
84 (fino al v. 6)
84 (vv. 7-8)-85
86-90 (fino al v. 2)
90 (vv. 3-8)
91 (fino al v. 4)
91 (vv. 5-8)
92-98
99 (fino al v. 6)
99 (dal v. 7)-100 (al v. 5, e 7-8)
100 (vv. 6-7)
101
58
Argomento
invocazione
entrata in materia
dialogo
tempesta in mare
scambio di battute
invettiva contro la fortuna
esito della tempesta
dialogo
considerazioni e ingresso nel castello
dialogo
ecfrasi e sintesi di eventi
rimprovero in sogno
reazione al sogno
dialogo
sintesi di eventi
dialogo
sintesi di eventi
invito in sogno
reazione al sogno
invito
similitudine e sintesi di eventi
battuta
pensieri e dialogo
sintesi di eventi
battuta
sintesi di eventi
battuta
sintesi di eventi
dialogo
sintesi di eventi
dialogo
sintesi di eventi e d’intenti
battuta
sintesi di eventi e commenti
battuta
sintesi di eventi
maledizione
sintesi e conclusione
Voce
narratore
narratore
personaggi
narratore
personaggi
personaggio
narratore
personaggi
narratore
personaggi
narratore
personaggio
narratore
personaggi
parratore
personaggi
narratore
personaggio
narratore
personaggio
narratore
personaggio
personaggi
narratore
personaggio
narratore
personaggio
narratore
personaggi
narratore
personaggi
narratore
personaggio
narratore
personaggio
narratore
personaggio
narratore
Velocità
sommario
scena in DD
sommario
scena in DD
scena in DD
sommario
scena in DD
sommario
scena in DD
sommario
scena in DD
sommario
scena in DD
sommario
scena in DD
sommario
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sommario e DI
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APPUNTI SU NOVELLE E DISCORSO DIRETTO NEL MAMBRIANO
La prima ragione per cui ci è utile questa schematizzazione è che ci
permette di toccare con mano la capillarità con cui il discorso diretto
penetra, fin da subito, nello sviluppo della narrazione. La prima impressione è quella di una scrittura teatrale, in cui ciò che avviene è
rappresentato in scene dialogate. A prescindere dalle forme e dal contenuto delle parti non dialogate, è possibile apprezzare come a queste
ultime solo raramente venga concessa una lunga espansione, il solo caso
rilevante è quello delle quindici ottave comprendenti l’ecfrasi. La norma
è quella di non superare le cinque, sei ottave di sommario per passare la
parola direttamente ai personaggi. Per misurarne la capillarità si osservino
da un lato le battute secche (ad es. ottava 21.7-8, 78.5, 80.6-8 eccetera)
che spezzano il fluire del racconto-sommario a carico del narratore
principale, dall’altro gli intervalli tra una battuta e l’altra che possono
essere anche molto brevi, come succede soprattutto nella terza parte del
canto, dopo l’ottava 63, quando la voce del narratore principale limita il
suo intervento all’introduzione delle battute dell’uno o dell’altro personaggio. E in effetti è questa un’altra caratteristica da osservare: anche
quando lo scambio dialogico è molto fitto non si rinuncia mai al verbo
dichiarativo che permette di inserire la battuta, non si rinuncia mai cioè
alla presenza di un narratore. In spazi anche minimali. Prima della fine
del canto la voce del narratore è continuamente interrotta, anche solo
brevemente, anche solo per battute singole e fulminee, in un continuo
rimbalzare dal piano della narrazione a quello della rappresentazione,
dalla diegesi alla mimesi.
Una prima valutazione, dunque, ci dice che il procedere del racconto
si avvale in maniera molto significativa delle scene dialogate e, più in
generale, del discorso diretto del personaggio. Ossia che la narrazione del
Cieco è organizzata in modo che la scena dialogata e il discorso diretto
costituiscano, congiuntamente, una polarità forte, complementare e sullo
stesso piano rispetto alla sintesi per voce del narratore.
Vale la pena allora osservare da vicino questi dialoghi, per capire in che
modo e in che senso essi sostengano e innervino lo sviluppo narrativo.
Prima di una rapida rassegna delle situazioni mi soffermo brevemente
sul discorso tenuto dal vecchio incontrato da Mambriano all’ottava 12.
Collocato quasi ad apertura dell’opera, esso si manifesta subito come uno
di quegli incontri topici del genere: il cavaliere s’imbatte in un eremita o
in un vecchio che lo mette in guardia contro un dato pericolo e nel far
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ANNALISA IZZO
questo il personaggio incontrato fornisce spessissimo informazioni sulle
cause del pericolo, sull’origine di una data usanza eccetera. Apre lo
spazio, cioè, ad un frammento di narrazione analettica, retrospettiva,
facendo scivolare il piano diegetico dall’ora al prima. In questo caso, il
vecchio dichiara falsa la ragione stessa per cui Mambriano si è mosso alla
caccia di Rinaldo, la credenza cioè che il cavaliere cristiano abbia ucciso
a tradimento il re pagano Mambrino. A posteriori, l’informazione si
rivelerà esatta, pertanto essa è della più grande importanza, ma invece di
essere presentata sulla base di un resoconto retrospettivo è argomentata
a partire dalla constatazione del fatto che Rinaldo ha ucciso innumerevoli re nemici, implicitamente insinuando che per farlo non ha dovuto
ricorrere all’inganno o al tradimento. Ciò che merita di essere rilevato è
che, in questo luogo topico, non si cede alla seduzione di una vera e
propria narrazione analettica. Il discorso è sì retrospettivo, ma la presenza
di una trama è come evitata: il vecchio ricorda una lista di re che si
impadronirono del potere per sete di ricchezze e con violenza e che
Rinaldo fece fuori. Più che di fronte a un racconto siamo di fronte ad
un sillogismo.
Dall’ottava 24 alla 26 troviamo un’invettiva contro la fortuna («Sia
maledetto qualunque s’annida […] Nel gremio tuo con speranza di
pace»); alle ottave 35-37, Mambriano dopo il naufragio si risveglia grazie
a Carandina e si chiede cosa gli sia accaduto («Dicendo: Ove son io? chi
m’ha nascosto / su questo lito a la ripa del mare?»). Carandina lo rassicura
(«Non ti doler, che in buon loco sei gionto»), gli dice di avergli ridato la
vita («Da morte a vita revocato t’haggio / E con benignità quindi
raccolto»), lo invita alla calma («Or quetati») gli dice il nome del castello
e svela di esserene la regina venuta ad accoglierlo («E la regina sua con
lieto volto / Venuta qui da te guerrier valente»), quindi lo invita ad accettare tale fortuna («Accettal se tu hai il cor magnanimo»). Mambriano
risponde che solo i pazzi rifiutano il bene. All’ottava 43 troviamo un
rapidissimo scambio di battute tra i due protagonisti a commento della
struttura del castello. Quindi, alle ottave 59-62, il sogno di Mambriano:
un personaggio gli mostra come abbia mancato alle promesse fatte, lo
rimprovera per essersi circondato di meretrici, lo invita a sottrarsi al giogo
amoroso («Deh svelli ormai da te questa radice») e lo informa delle azioni
compiute da Rinaldo nel frattempo («Rinaldo adesso con le sue rapine /
Va per l’Asia affliggendo buoni e rei / Tal che ogni cosa sona ferro e
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APPUNTI SU NOVELLE E DISCORSO DIRETTO NEL MAMBRIANO
foco»). Alle ottave 63-69 si sviluppa un dialogo più articolato in cui
Mambriano annuncia la sua partenza («Dama partir mi convegno»),
Carandina ne chiede il motivo, Mambriano le dice del sogno («Testè
dormendo a l’ombra sopra un rio, / Ripreso fui da un, che la mia prole /
Ha in molta reverenza il qual m’ha imposto. / Ch’io men debba da te
separar tosto») e delle imprese di Rinaldo, nemico contro cui s’era mosso,
impedito poi dal naufragio. Carandina lo rimprovera per aver prestato
fede a un sogno («L’animo tuo in questo vo’ che superi»), ma si offre di
fare in modo che Rinaldo arrivi al castello per uno scontro («Cennami
pur, e lascia fare a me»). Mambriano accetta e lancia la sfida, Carandina
promette di convocare Rinaldo (« […] Io ti prometto / Che quivi arai
Rinaldo il terzo giorno»). Alle ottave 71-72 la regina dà ordine ai suoi di
cercare Rinaldo, ma questi si oppongono inizialmente per timore di
Malagigi, cugino del cavaliere. Carandina s’impone: venga allestita una
nave per prelevare Rinaldo. Intanto, ottave 74-75, una fanciulla appare in
sogno a Rinaldo ed enigmaticamente gli chiede aiuto. All’ottava 77 la
fanciulla rivela di essere Carandina e afferma di esser venuta a lui per
vendicarsi contro un oppressore. «Accetto tal battaglia» è la laconica
risposta di Rinaldo (78.5), quindi all’ottava 80.6, le congetture di
Rinaldo, che vede in Carandina virtù simili a quelle di Malagigi, sono
rese come se si trattasse di un discorso diretto esplicito: «Ond’ei dicea:
Costei lo rassomiglia». Carandina, o che abbia sentito la battuta, oppure
che gli legga nei pensieri, lo invita a non stupirsi. Dopo il primo incontro
amoroso con Rinaldo, Carandina gli riconosce grandi virtù amatorie
(82.5-8: «Di bona lega conosco il tuo argento, / Sì ch’ormai volentier
teco discombo»). Mambriano, saputa la cosa, minaccia la sua protettrice
(83.4-8: «Fatta mi sei in tre giorni ribella / […] Guarda meschina dove
t’incateni»). Alle ottave 84-85 abbiamo uno dei topici battibecchi tra
cavalieri che si sfidano a duello, come topico è il breve dialogo dell’ottava
90 tra Rinaldo, che sollecita Carandina a chiamarlo codardo e vile se non
vincerà, e la donna che gli conferma il suo amore. All’ottava 91.5-8,
Carandina annuncia che osserverà dall’alto lo scontro «[…] io salirò lieta
e tranquilla / Su l’alte mura, e starommi a vedere». All’ottava 99.6,
Carandina fa osservare alle sue ancelle la forza di Rinaldo e invita ad
aspettare il gran finale. Infine, all’ottava 100.6-7, Rinaldo, indispettito per
un colpo ricevuto, lancia una minaccia topica all’avversario («[…] Dio mi
neghi il Paradiso / S’io tel perdono […]»).
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ANNALISA IZZO
Vagliare nel dettaglio tali inserti ci consente di osservare che le
funzioni principali di questi discorsi diretti sono quella performativa (che
consente al parlante di compiere un’azione mediante la parola) o quella
prescrittiva (far compiere un’azione ad altri), con uno spazio di gran
lunga meno significativo destinato alla funzione descrittiva. Le citazioni
che ho riportato intendono offrire solo un saggio di questo relativo
sbilanciamento, ma una lettura attenta e completa delle ottave confermerà questa osservazione. Per limitarsi alle citazioni di cui sopra, si noterà
che nella maggior parte dei casi: 1) l’enunciato compie un atto ed è
quindi pienamente performativo («Sia maledetto», «Io ti prometto»,
«Accetto», ecc.); 2) l’enunciato ordina un comportamento («Non ti
doler», «quetati», «accettal», ecc,). In questo senso possiamo dire che il
discorso diretto del personaggio permette all’azione narrativa di procedere proprio per il fatto che la drammatizza, la mette in scena.15 Ciò
significa anche che il discorso diretto agisce sullo sviluppo narrativo al
primo livello cronologico, vale a dire quello relativo al perfetto accordo
tra storia (histoire) e racconto (récit) nell’ordine di successione degli eventi:
i discorsi dei personaggi hanno un ruolo propulsivo nell’hic et nunc della
trama. Rileggendo il piccolo corpus di interventi diretti dei personaggi nel
primo canto si noterà che non è possibile veramente circoscrivere delle
anacronie narrative, operare una distinzione tra piani, storia e racconto,
appunto: tutto ciò che è raccontato è presentato nell’ordine in cui i fatti
sono avvenuti. I soli fenomeni vagamente discrepanti rispetto a tale
sincronia perfetta sono: 1) il brevissimo cenno fatto ad azioni che si
producono altrove ma parallelamente (le già ricordate parole del personaggio apparso in sogno a Mambriano che, all’ottava 62.5-7, fa
rifermento alle scorrerie di Rinaldo); 2) le fulminee riprese di eventi
raccontati già, in presa diretta per così dire, dal narratore principale
(Carandina che informa Mambriano su ciò che gli è capitato, ottava
36.1-2; Mambriano che confessa a Carandina del rimprovero ricevuto in
sogno, ottava 64.5-8; il commento di Mambriano al tradimento della sua
amante, ottava 83.5). Un’attenta analisi dei tempi verbali confermerebbe
queste osservazioni, perché dovrebbe evidenziare, nei discorsi dei perso-
15
Per questi aspetti si consideri anche il lunghissimo discorso di Orlando che, al canto XX, tiene
una predica (ottave 2-50) che ottiene la conversione di un gruppo di pagani.
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APPUNTI SU NOVELLE E DISCORSO DIRETTO NEL MAMBRIANO
naggi, la netta preponderanza di verbi al presente indicativo, all’imperativo oppure, al passato prossimo. La narrazione, dunque, procede sul solo
piano della diegesi principale, di primo grado, articolata in segmenti
gestiti dalla voce del narratore primo e in forma di sommario, e segmenti
affidati alla rappresentazione, dove cioè la voce è data direttamente ai
personaggi.16 Più in generale, se scorriamo la successione dei nuclei
narrativi vediamo chiaramente come l’azione, incentrata quasi esclusivamente sul personaggio principale, proceda seguendo lo svolgersi delle sue
peripezie. Se consideriamo, ad esempio, l’ingresso in scena del personaggio di Carandina, non potrà sfuggirci che solo poche informazioni
sono fornite circa la sua identità e il suo passato (ottava 32): il Cieco
rifugge l’occasione di inserire un segmento biografico (magari messo in
bocca al personaggio) che avrebbe aperto una diegesi parallela alla trama
principale e che avrebbe potuto lasciare spazio a un’anacronia retrospettiva rispetto all’ordine degli episodi. Un altro snodo interessante,
precisamente in questo senso, è relativo al modo in cui sono articolati i
due nuclei, quello col dialogo tra Carandina e Mambriano, circa il
desiderio di quest’ultimo di scontrarsi con Rinaldo (ottava 63-69.2) e
quello in cui è narrata l’operazione di magia escogitata dalla regina per
portare il paladino cristiano al castello (ottave 69.3-81.1): la presentazione
degli episodi segue rigorosamente l’ordine causa-effetto che sottende la
successione cronologica e non lascia spazio a narrazioni complementari
(nemmeno la fanciulla apparsa a Rinaldo racconta per davvero qualcosa).
Insomma, ripensando anche a quanto detto a proposito del discorso del
vecchio incontrato da Mambriano, ci si renderà conto che il Cieco pare
evitare a bella posta le occasioni per sviluppare narrazioni parallele e
anacronie: una delle risorse tradizionali della narrazione letteraria, uno
dei tòpoi formali del genere epico, voglio dire il racconto retrospettivo
16
La propensione alla mess’in scena è tale che anche pensieri o affetti attribuibili a gruppi e collettività vengono espressi attraverso il discorso diretto. Si prenda, a titolo di esempio, la conclusione del
canto terzo, in cui Mambriano con le sue truppe e i suoi uomini prende il mare per andare contro i
cristiani. Le donne saracine restano sul porto, a guardare figli e mariti allontanarsi e il Cieco non resiste
alla tentazione di dar voce anche a gruppi di figuranti, di creare maggior pathos proprio passando alla
modalità più mimetica: «[…] Ciascuna moglie al marito con duolo / Il suo picciolo infante discropiva,
/ Dicendo:Tu ten vai pel mare a volo / Ed io rimango qua d’ogni ben priva. […]», III, 96, vv. 3-6. Allo
stesso modo, al canto sesto, ottava 31, le preoccupazioni di un gruppo sono rese mediante discorso
diretto «[…] Fra sé dicendo: Ove siam giunti noi? / Mambrian nostro ha smarrito il cervello, […]». Un
altro esempio si trova al canto XVII, ottava 70, in cui è «il popol» che parla al Conte.
63
ANNALISA IZZO
messo sulle labbra di un narratore interno, non riceve veramente spazio
in questo canto d’apertura. E avrà un ruolo molto circostanziato in tutto
il poema.
In effetti il discorso diretto nel Mambriano (almeno prima del canto
XXXVI) sembra essere funzionale soprattutto a queste precise esigenze:
1) lo sviluppo di una narrazione di tipo mimetico, in presa diretta, per cui
ciò che avviene sul piano dei fatti coincide con ciò che è sotto gli occhi
del narratario;17 2) il commento – o il lamento, o i pensieri – del personaggio; 3) la copertura narrativa del primo livello diegetico. A ciò si
aggiunga, come già visto, l’intrattenimento a scopo didattico (in particolare attraverso le così dette novelle). Ai fini di uno sviluppo dell’intreccio
esso viene sfruttato per determinare solo un numero ristretto di avventure principali – lo scontro con Balugante, con Meonte, con Fulicano, con
Ginisbaldo – mentre ne viene disinnescata la forza di espansione del
racconto lontano dal centro.
4. Conclusioni
Le osservazioni relative all’uso del discorso diretto confermano
l’impressione che nasce guardando alla presenza delle novelle nel poema.
Sembra chiara, cioè, una notevole resistenza del Cieco a inserire narrazioni parallele che non siano: 1) completive della narrazione principale;
2) pure digressioni, estrapolabili dalla narrazione principale. Si tratta a ben
vedere di una resistenza all’esplosione della trama. Il Cieco favorisce un
particolare tipo di discorso metadiegetico, vale a dire quello che consente
lo sviluppo orizzontale dell’azione (omodiegesi, in avanti e indietro
rispetto a un piano principale), a coprire segmenti della fabula; ne fa uno
strumento molto meno diffuso per aprire a ventaglio le azioni: anche se
non c’è tempo adesso di approfondire altri aspetti, è sintomatico per
esempio che, con le eccezioni viste, gli incontri tra personaggio-(narratore) bisognoso di aiuto e paladino-(narratario) hanno spesso esito
fallimentare. Oltre all’incontro del canto I tra Mambriano e il vecchio, si
pensi, per ricordare un altro caso, all’incontro tra Rinaldo e il pastore
17
Esemplare in questo senso il canto XXVII.
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APPUNTI SU NOVELLE E DISCORSO DIRETTO NEL MAMBRIANO
Geraldo, nel canto XXIV: al paladino che gli chiede chi l’abbia punito
legandolo a quel modo, il pastore racconta l’enorme ingiustizia subita.
Rinaldo si limita a fargli una predica, non si offre di vendicare il misfatto
e, per giunta, all’invito ospitale risponde «L’albergo è bello e buon, ma
non mi piace» (ottava 18.8).
Nel costruire il suo intreccio, Cieco elude le occasioni topiche per
aprire la trama verso linee narrative eterodiegetiche, mentre confina la
quasi totalità delle così dette novelle alla funzione di exemplum, in
rapporto tematico con la fabula e solo in due casi in rapporto causaeffetto. Come se perseguisse un obiettivo preciso. Marco Praloran aveva
notato che «l’adesione del Cieco alla tecnica narrativa di Boiardo è
molto evidente, ma sembra rifuggire dai rischi centrifughi non facilmente padroneggiabili di quel racconto».18 Certo, la cosa può porsi in
questi termini, di soggezione, sostanzialmente, e di inadeguatezza rispetto
alle novità proposte dall’Inamoramento. Credo tuttavia che si possa optare
per un’altra ipotesi, e che si possa ammettere che il Cieco abbia cercato,
per buona parte della sua opera, di disegnare un’autonoma proposta
narrativa, affatto alternativa al modello boiardesco. A sostegno di questa
suggestione i molti elementi che determinano una riconoscibile
coerenza interna del testo, resi visibili dall’analisi del piano enunciativo:
la pervasività del discorso diretto e della scena dialogata come elementi
strutturali (in senso soprattutto mimetico) e non meramente decorativi
della trama; il contenimento delle svolte digressive determinate dai
racconti metadiegetici, sostanzialmente limitate nel numero ma strategicamente finalizzate all’attivazione di lunghe parabole diegetiche sull’asse
principale della fabula; la sistematica restrizione delle aperture eterodiegetiche tout court; la distinzione nel trattamento del racconto metadiegetico
finalizzato all’intrattenimento (più esteso e complesso diegeticamente) e
quello funzionale all’intreccio (più sintetico); la definizione di una
funzione fissa per le così dette novelle.
Una proposta deliberatamente centripeta, certo, ma non monolitica,
controbilanciata com’è dall’istanza mimetica e dal movimento diacronico,
in avanti e indietro sullo stesso asse diegetico.
Marco Praloran, «Maraviglioso artificio».Tecniche narrative e rappresentative nell’«Orlando innanmorato»,
Lucca, Pacini Fazzi, 1990, pp. 78-79.
18
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ANNALISA IZZO
E che si tratti di un preciso progetto, possiamo confermarlo osservando come sono organizzate, nel loro sviluppo, le azioni narrative
innescate dai principali racconti metadiegetici:
a) IV.20-23: ha inizio, dopo il racconto, l’azione che porta al conflitto con Balugante;
b) IV.52-57: ha inizio, col racconto di Fulvia, l’azione che porterà allo scontro con
Meonte;
c) X.76-78: col racconto del pastore ha inizio lo scontro con Fulicano;
d) XI.11: fine dell’azione contro Fulicano;
e) XII.8: fine dell’azione contro Meonte;
f ) XXVIII.58: fine dell’azione contro Balugante.
Come lascia pensare la struttura ad emboîtement 19, l’obiettivo preciso
cui forse il Cieco tendeva era in sostanza un pattern definito e rigoroso,
entro il quale circoscrivere un florilegio misurato di avventure, un
progetto molto stilizzato a ben vedere. Lungi dall’essere «improvvisato e
precario» il disegno narrativo del Mambriano sembra piuttosto rispondere
a una diversa esigenza di gestione del mondo narrato. Certo, dopo il
canto XXX20 le cose cambiano, e sembrano andare in un’altra direzione.
Come leggere questa disomogeneità? Troppo scarse le notizie sulla
composizione dell’opera per fare congetture redazionali. Fatto sta che
negli ultimi canti, nell’ultimo «affastellare imprese d’armi e d’amore», una
volta che gli è venuto a mancare l’eroe eponimo, il Cieco amplifica l’uso
della novella, la sottrae alla mera funzione esemplare cui l’aveva relegata e
ne sviluppa la potenzialità narrativa, espandendo al contempo il ruolo del
racconto metadiegetico. Sbandamento rispetto al progetto più rigoroso,
ludica esplorazione di una diversa soluzione poetica, o davvero incoercibile attrazione del modello boiardesco?
Annalisa IZZO
Università di Losanna
[email protected]
19
Come si può osservare l’azione a) finisce in f ), l’azione b) finisce in e), mentre l’azione c) ha
seguito immediatamente in d).
20
Si noti la virata già al canto XXX.45-50: dalla storia raccontata da Ginisbaldo nasce lo scontro
con Rinaldo e i suoi, che però si conclude a XXXI.35. Il movimento racconto-azione-fine dell’avventura si colloca già fuori dal pattern, in uno spazio che il Cieco investirà di nuove sperimentazioni.
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