Associazione
per lo Sviluppo
degli Studi di
Banca e Borsa
Università Cattolica
del Sacro Cuore
ENRICO MAZZA
“LA RICCHEZZA DELLA LITURGIA”
(SECOLI XIII-XV)
Introduzione
GIUSEPPE VIGORELLI
Ciclo di conferenze e seminari
“L’Uomo e il denaro”
Milano 14 dicembre 2009
QUADERNO N. 41
Associazione
per lo Sviluppo
degli Studi di
Banca e Borsa
Università Cattolica
del Sacro Cuore
ENRICO MAZZA
“LA RICCHEZZA DELLA LITURGIA”
(SECOLI XIII-XV)
Introduzione
GIUSEPPE VIGORELLI
Ciclo di conferenze e seminari
“L’Uomo e il denaro”
Milano 14 dicembre 2009
Sede:
Segreteria:
Cassiere:
Presso Università Cattolica del Sacro Cuore - Milano, Largo A. Gemelli, n. 1
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2
Giuseppe VIGORELLI,
Presidente Associazione per lo Sviluppo degli Studi di Banca e Borsa
Introduzione
Il significato di queste brevi introduzioni risponde ad
una scelta che abbiamo fatto nell’intento di cogliere questa
occasione per dipanare il filo conduttore del lungo discorso
che ci occupa da tempo sul rapporto dell’Uomo col Denaro
nella Storia. E’ appunto in relazione a questo obiettivo che
poi, in conseguenza dello stesso, vengono svolgendosi i temi
che proponiamo all’attenzione del nostro pubblico in applicazione alla realtà concreta in cui viviamo. E ciò ci permette di offrire uno spaccato culturale in ogni disciplina interpretando il messaggio sotteso che si ispira “al nostro sentire”. E questo è e resta il nostro impegno.
Continuando quindi sulle orme delle fonti a cui ci
siamo impegnati riprendiamo ora dal quarto capitolo della
recente Enciclica “Caritas in veritate” di Benedetto XVI
sullo “sviluppo dei popoli, dei diritti e doveri e dell’ambiente”.
Il Pontefice inizia affermando come la solidarietà
universale oltre che essere per tutti un beneficio ed una
realtà ovunque condivisibile è anche un dovere, essendo
tutti titolari non solo di diritti ma anche soprattutto di doveri, mancando il rispetto dei quali si sconfina nell’arbitrio.
Infatti “L’esasperazione dei diritti sfocia nella
dimenticanza dei doveri. I doveri delimitano i diritti, perché rimandano al quadro antropologico ed etico entro la
cui verità anche questi ultimi si inseriscono, e così non
diventano arbitrio”(num. 43). Ma “La concezione dei diritti e dei doveri nello sviluppo, deve tenere conto anche delle
problematiche connesse con la crescita demografica” in
3
quanto “Il vero sviluppo concerne i valori irrinunciabili
della vita e della famiglia. L’apertura moralmente responsabile alla vita è una ricchezza sociale ed economica, anziché una causa del sottosviluppo.
Grandi Nazioni sono potute uscire dalla miseria
anche grazie al grande numero e alle capacità dei loro abitanti. Al contrario, Nazioni un tempo floride conoscono
ora una fase di incertezza e in qualche caso di declino proprio a causa della denatalità, problema cruciale per le
società di avanzato benessere”.
E “Famiglie di piccola e talvolta piccolissima
dimensione, corrono il rischio di impoverire le relazioni
sociali e di non garantire forme efficaci di solidarietà.
Diventa così una necessità sociale e perfino economica,
proporre ancora alle nuove generazioni la bellezza della
famiglia e del matrimonio. In questa prospettiva, dunque,
gli Stati sono chiamati a varare politiche che promuovano
la centralità e l’integrità della famiglia, fondata sull’unione tra un uomo e una donna”(num.44).
“Rispondere alle esperienze morali più profonde
della persona ha anche importanti e benefiche ricadute sul
piano economico. L’economia infatti ha bisogno dell’etica
per il suo corretto funzionamento; non di un’etica qualsiasi, bensì di un’etica amica della persona.
Oggi si parla molto di etica in campo economico,
finanziario e aziendale, ma si nota un certo abuso dell’aggettivo etico, che adoperato in modo generico si presta a
designare contenuti anche molto diversi, fino al punto di far
passare, sotto la sua copertura, decisioni e scelte contrarie
alla giustizia e al vero bene dell’uomo.
Prosegue il Papa, “Tra le imprese finalizzate al pro-
4
fitto e organizzazioni non finalizzate allo stesso scopo, è
andata emergendo un’ampia area intermedia, costituita da
imprese tradizionali, che però sottoscrivono patti di aiuto
ai Paesi arretrati: fondazioni, gruppi di imprese aventi
scopi di utilità sociale, nonché il variegato mondo dei soggetti della cosiddetta economia civile. Non si tratta solo di
un “terzo settore”, ma di una nuova ampia realtà composita che coinvolge il privato e il pubblico e che non esclude il
profitto, ma lo considera strumento per realizzare finalità
umane e sociali. Esse fanno evolvere il sistema verso la
chiara e complicata assunzione dei doveri da parte dei soggetti economici. Non solo. E’ la stessa pluralità delle forme
istituzionali di impresa a generare un mercato più civile e
al tempo stesso più competitivo” (num. 46).
Negli interventi per lo sviluppo va fatto salvo il principio della centralità della persona umana che perciò deve
farsene direttamente carico.
Le persone beneficiate, però dovrebbero essere
coinvolte direttamente nella loro progettazione e rese protagoniste della loro attuazione. Artefici del loro proprio
sviluppo i popoli ne sono i primi responsabili e non potranno realizzarlo nell’isolamento, ma nell’integrazione con gli
altri popoli.
E accanto ai macro progetti servono i micro progetti con la
mobilitazione fattiva di tutti i soggetti della società civile,
tanto delle persone giuridiche quanto delle persone fisiche.
Gli stessi Organismi internazionali dovrebbero intanto
interrogarsi sulla reale efficacia dei loro apparati burocratici e amministrativi, spesso troppo costosi” (num. 47).
“Il tema dello sviluppo è oggi fortemente collegato
anche ai doveri che nascono dal rapporto dell’uomo con
l’ambiente naturale. Nella natura Benedetto XVI riconosce il meraviglioso risultato dell’intervento creativo di Dio
che l’uomo può responsabilmente utilizzare per soddisfare i
5
suoi legittimi bisogni”. “Infatti, argomenta, la natura è
espressione di un disegno di amore e di verità che ci precede e ci è donata come ambiente di vita. Ci parla del Creatore e del Suo amore per l’umanità, destinata ad essere
“ricapitolata” in Cristo alla fine dei tempi”, ma contemporaneamente è contrario al vero sviluppo considerare la
natura più importante della stessa persona umana.
Secondo il Pontefice, l’uomo interpreta e modella
l’ambiente naturale mediante la cultura che a sua volta
viene orientata mediante la libertà responsabile, attenta ai
dettami della legge morale.
I progetti, per uno sviluppo umano integrale, non
possono pertanto ignorare le generazioni successive, ma
devono essere improntati a solidarietà e a giustizia intergenerazionale, tenendo conto dei molteplici ambiti: l’ecologico, il giuridico, l’economico, il politico, il culturale
(num.48).
Le questioni legate alla cura e alla salvaguardia
dell’ambiente poi, devono oggi tenere in debita considerazione le problematiche energetiche. L’accaparramento
delle risorse energetiche non rinnovabili da parte di alcuni Stati, gruppi di potere e imprese, costituisce infatti un
grave impoverimento per lo sviluppo dei Paesi poveri.
La comunità internazionale ha dunque il compito
imprescindibile di trovare le vie istituzionali per disciplinare lo sfruttamento delle risorse non rinnovabili con la partecipazione anche dei Paesi poveri in modo di pianificare
insieme il futuro. Anche su questo fronte vi è urgente
necessità morale di una rinnovata solidarietà, specialmente nei rapporti tra i Paesi in via di sviluppo e i Paesi altamente industrializzati, con una ridistribuzione delle risorse
energetiche, in modo che i Paesi che ne sono privi possano
accedervi.
6
Naturalmente, questa responsabilità è globale, perché non concerne solo l’energia, ma tutto il Creato, che non
dobbiamo lasciare alle nuove generazioni depauperato
delle sue risorse.
All’uomo è lecito esercitare un governo responsabile sulla natura per custodirla, metterla a profitto e coltivarla anche in forme nuove e con tecnologie avanzate in modo
che essa possa degnamente accogliere e nutrire le popolazioni che vi abitano.
Dobbiamo perciò avvertire come dovere gravissimo
quello di consegnare la Terra alle nuove generazioni in uno
stato tale che anch’esse possano degnamente abitarla e
ulteriormente coltivarla. La protezione, dunque, dell’ambiente, delle risorse e del clima richiede che tutte le Nazioni agiscano congiuntamente e dimostrino prontezza ad
operare in buona fede, nel rispetto della legge e della solidarietà nei confronti soprattutto delle regioni più deboli del
pianeta (num. 50).
Anche la Chiesa, afferma il Pontefice, ha una sua
responsabilità per il Creato e deve farla valere anche in
pubblico, e facendolo, deve difendere non solo la terra,
l’acqua e l’aria come doni della creazione appartenenti a
tutti, ma deve innanzitutto proteggere l’uomo stesso contro
la distruzione di sé medesimo. Quando l’ecologia umana è
rispettata dentro la società, anche l’ecologia ambientale ne
trae beneficio.
Infatti, il sistema ecologico si regge sul rispetto di un progetto che riguarda sia la sana convivenza nella società sia
il buon rapporto con la natura.
Il problema decisivo è la complessiva tenuta morale della società stessa. Se non si rispetta il diritto alla vita
e alla morte naturale, se si rende artificiale il concepimen-
7
to, la gestazione e la nascita dell’uomo, se si sacrificano
embrioni umani alla ricerca, la coscienza comune finisce
per perdere il concetto di ecologia umana, e in essa, quello di ecologia ambientale.
Il libro della natura è uno ed indivisibile, afferma
ancora il Papa, sia sul versante dell’ambiente come sul versante della vita, della sessualità, della famiglia, delle relazioni sociali, in una parola, dello sviluppo integrale.
I doveri che abbiamo visto verso l’ambiente si collegano con i doveri che abbiamo visto verso la persona considerata in sé stessa e in relazione con gli altri. Non si possono esigere gli uni e conculcare gli altri.
Questa è una grave anomalia della mentalità e della
prassi odierna che avvilisce la persona, sconvolge l’ambiente e danneggia la società (num. 51).
E infine conclude il Pontefice: “Ciò che ci precede
e che ci costituisce tra l’amore e la verità sussistenti, ci
indicano che cosa sia il bene e in che cosa consista la
nostra felicità. Ci indica quindi la strada verso il vero sviluppo (num. 52).
8
9
10
Daniela PARISI
Presentazione
Ho letto un libro pubblicato da poco, scritto da Ulrich
Beck, sociologo tedesco, che tratta del “Dio personale”. Oggi
molte persone si ritengono religiose e lo sono nel senso che
hanno un atteggiamento religioso rispetto alle domande
esistenziali dell’uomo nel mondo. Sono persone che non si
sentono parte di una organizzazione. La religiosità – ci dice
Beck – non scompare ma si affievoliscono i legami con le
comunità religiose organizzate, si dissolve l’autorità dei
“Padri della Chiesa”, il potere delle religioni è in declino.
La religione, insomma, si individualizza: assistiamo ad una
separazione tra fede soggettiva e religione istituzionale.
Il regresso della religione istituzionalizzata porta, tra l’altro,
anche ad una valorizzazione della liturgia, spazio in cui si
rende presente la Chiesa nel mondo, momento fondamentale
in cui la comunità ecclesiale trae origine.
Per la mia generazione questo è un evidente cambiamento di prospettiva: tutta la mia vita di fede è stata scandita
dalla partecipazione alla liturgia accompagnata indissolubilmente dallo sforzo di renderla partecipata, perché no, vivace
e aderente ai tempi; una liturgia a cui si chiedeva di rispecchiare la presenza di Dio nel mondo.
Ecco che allora è sempre stata una scoperta feconda
partecipare a celebrazioni cercando di accostarsi alla comunità che prendeva vita da essa: in parrocchia a Milano, in
Lituania, in America Latina, a Sesto San Giovanni, in un villaggio sperduto del Kenya o in una cappella in mezzo alle
Alpi, oppure ancora in una chiesa di ospedale, in un campus
universitario, nel mezzo di un bosco, in alta montagna, in una
casa privata, in luoghi di culto di diverse denominazioni della
11
cristianità e, infine, in occasione di giornate-messa/giornate
scandite dal significato di ogni diversa parte della liturgia
domenicale con l’offerta dei gesti compiuti.
Qui vorrei ricordare che nel 986 d.C., Vladimiro il
Grande principe di Kiev, interrogò a proposito della loro fede
giudei, musulmani e cristiani di rito romano e di rito bizantino, e ricevette anche dei delegati di ritorno da Bisanzio.
Questi, a proposito di una liturgia bizantina cui avevano
assistito in Santa Sofia gli raccontarono: “Non sapevamo se
eravamo in cielo o in terra, perché sicuramente non vi è tale
splendore o bellezza in alcun punto della terra. Non possiamo
descriverlo; sappiamo solamente che Dio dimora lì tra gli
uomini e che il loro culto è superiore a quello di tutti gli altri
luoghi…”.
Allora ci siamo chiesti: perché c’è bisogno di
esprimere la devozione, il ringraziamento, le richieste a Dio
attraverso ritualità liturgiche? In che modo la loro ricchezza
(ori, argenti, processioni, paramenti, incenso…) è il preludio
della bellezza celeste?
Ed ecco il bisogno avvertito con urgenza, soprattutto
ora che ci prepariamo alle solennità della liturgia natalizia, di
ascoltare una voce esperta.
La voce di un esperto in liturgia, il professor Enrico Mazza.
Teologo, addottoratosi in Liturgia a Roma al Pontificio ateneo Sant’Anselmo, don Enrico Mazza è docente di Storia
della liturgia alla facoltà di Lettere dell'Università e insegna
Liturgia presso lo studio teologico di Reggio Emilia.
Tra le sue numerose pubblicazioni ricordiamo: Le
odierne preghiere eucaristiche (2 voll., Bologna 1991); La
celebrazione eucaristica: genesi del rito e sviluppo dell'interpretazione (San Paolo, Cinisello Balsamo 1996); Continuità
e discontinuità. Concezioni medievali dell'eucaristia a confronto con la tradizione dei Padri e della Liturgia (Ed. Litur-
12
giche, CLV, Roma 2001); L’idea di Sacrificio. Un approccio
alla teologia liturgica in cui si dipana e indaga il significato
del termine Sacrificio che a tanti fedeli pone problemi: per
Enrico Mazza andare alla ricerca della storia e dei volti delle
vittime, immaginando creativamente prassi di liberazione e
di restituzione della dignità a chi ne viene derubato, affinché
si renda evidente, almeno in parte, il dono di quel Dio che
nell’amore salva. E’ così che anche su confessione, penitenza, riconciliazione, perdono egli analizza la ricca terminologia con la quale viene designato il sacramento della penitenza e mette in evidenza le diverse forme che la penitenza ha
assunto nella storia (La celebrazione della penitenza, 2007).
13
14
Prof. Enrico MAZZA
Docente di Storia della Liturgia, nell’Università Cattolica del
Sacro Cuore
“Ricchezza e Liturgia”
C'è della ricchezza nella liturgia. E possiamo intendere questa espressione in molti sensi. Un tema come questo fa
subito pensare alle ricchezze che sono profuse negli oggetti
che servono alla celebrazione liturgica stessa: le chiese e ogni
edificio liturgico, i calici e le patene, gli altari e le croci gemmate, i libri liturgici, gli affreschi, i bassorilievi, le icone e i
vari paramenti che sono protagonisti di ogni rito. Dico protagonisti perché sono più evidenti gli abiti di cui sono parati i
ministri, che i ministri stessi della celebrazione. Lo aveva
visto bene Fellini nel film Roma con la sfilata di moda ecclesiastica.
Questo accade non solo ai paramenti bensì a ogni tipo
di ricchezza presente nella liturgia, che potrebbe catturare
l’attenzione dei fedeli al punto da distrarli dalla celebrazione
stessa.
1. Nell’epoca tardoantica: il caso emblematico di Costantino
Costantino aveva fatto costruire diverse basiliche, la
prima delle quali era stata la Basilica del Salvatore che, più
tardi, si sarebbe chiamata San Giovanni in Laterano, ove
aveva profuso ricchezze enormi del suo patrimonio personale. Il terreno su cui era stata costruita la basilica, era appartenuto alla famiglia dei Laterani ed era stato ereditato da Fausta, moglie di Costantino il quale lo aveva donato a papa Milziade; Costantino stesso aveva provveduto alla costruzione
della basilica dotandola di grandi ricchezze, sicché era nota
come Basilica aurea.
15
A partire dall’inverno dopo la sua vittoria, egli aveva
fatto restituire ai cristiani i beni confiscati durante le precedenti persecuzioni, senza indennizzare i nuovi detentori e,
inoltre, aveva inviato del denaro alle chiese africane con l’esclusione dei donatisti1. Ecco come Paul Veyne descrive il
fatto: «Nello stesso inverno 312-313 la tradizione vuole che
egli abbia fatto costruire per il vescovo di Roma una grande
chiesa a pianta ufficiale, basilicale. Costruire era una normale attività di ogni imperatore; normale da parte di un sovrano
che aveva un Dio prediletto. Eliogabalo aveva eretto un tempio, un culto, un clero del Sole siriano e Aureliano un tempio
del Sole imperiale. Ancora più normale da parte di un vincitore, tenuto a ringraziare il Dio al quale doveva il suo successo; Augusto aveva fondato dei templi e anche una festa di
Apollo per la sua vittoria ad Azio»2. «Costantino distribuisce
somme enormi alla chiesa, a titolo personale (l’imperatore
come ogni aristocratico, aveva il diritto e il dovere di comportarsi da mecenate). Ma per il resto, in virtù del principio
di uguaglianza tra le due religioni, non fa altro che dare al cristianesimo gli stessi privilegi che aveva già il paganesimo»3.
Nel 325/326 con la demolizione del tempio di Venere,
iniziò la costruzione della basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme, per volere di Costantino che finanziò questo capolavoro di arte e di ricchezza. La più ricca di ogni altra, dice
Jan Willem Drijvers4, e fu arricchita dai doni dell’imperatore5
che, nella lettera al vescovo Macario si raccomandò di non
badare a spese nella costruzione e nella decorazione di questa chiesa6.
1
Cf.: Eusebii, Historia ecclesiastica, 10, 5 (Eusèbe de Césarée, Histoire ecclésiastique, Introduction de F. Richard, Traduction de G. Bardy, revue par L. Neyrand, (=
Sagesse chrétienne), Les Éditions du Cerf, Paris, 2003, pag. 549s).
2
Veyne P., Quand notre monde est devenu chrétien (312-394), (= Bibliothèque. Collection Albin Michel. Idées. Dirigée par Hélène Monsacré), Albin Michel, Paris,
2007, pagg. 143-144.
3
Veyne P., Quand notre monde est devenu chrétien (312-394), … pag. 153.
4
Drijvers J. W., Cyril of Jerusalem: Bishop and City, (= Supplements to Vigiliae
Christianae 72), Brill, Leiden - Boston, Mass., 2004, pag. 17.
16
Ci sono diversi accenni a questa costruzione nella Vita
di Costantino, ove Eusebio narra dell’impegno finanziario e
artistico di Costantino per il Santo Sepolcro: «L'imperatore
ordinò, mediante la promulgazione di leggi pie e attraverso
generose sovvenzioni, che nei pressi della grotta salvifica
fosse edificato un luogo di culto degno di Dio con ricca
munificenza imperiale, cosa che peraltro si riprometteva di
fare da lungo tempo (…). Diede disposizione ai governatori
delle popolazioni orientali di rendere l'opera mirabile, imponente e sontuosa, anche con gran dispendio di danaro»7.
Per nostra corretta documentazione Eusebio trascrive
anche dei documenti autentici di Costantino che provano la
sua attività per la costruzione del Santo Sepolcro. Questi scrive una lettera a Eusebio, metropolita di Cesarea – quindi con
giurisdizione su Gerusalemme – raccomandandogli l’opera e
invitandolo a dare disposizioni in tal senso e a provvedere «a
compiere tutto ciò che è necessario, in modo che, non solo la
basilica ma anche gli edifici annessi siano più belli di qualsiasi costruzione in qualunque altro luogo e che tutti i più
splendidi santuari in qualsiasi città siano superati da tale
opera». Inoltre gli dice: «Sappi anche che la cura e il buon
esito della ricostruzione delle mura sono state da me affidate
al nostro amico Dracilliano che ricopre la carica di prefetto
illustrissimo e al governatore della provincia»8.
In altre parole, gli dice che sono le strutture stesse dell’amministrazione imperiale che vengono utilizzate per questo scopo. Eusebio, poi, descrive la chiesa del Santo Sepolcro
in questi termini: «L'imperatore fece costruire il santuario
(…) rendendo splendido il tutto con ricchi arredi imperiali e
Ibidem, pag. 19.
Ibidem, pag. 20.
7
De Vita Constantini, 29 (Franco L., (ed.), Eusebio di Cesarea. Vita di Costantino,
(= Biblioteca Universale Rizzoli. Classici greci e latini), Edizione Rizzoli, Milano,
2009, pag. 285).
8
De Vita Constantini, 31 (Ibidem, pag. 287).
5
6
17
lo ornò anche di un gran numero di doni votivi di bellezza
indicibile, d'oro, d'argento e di pietre preziose, eseguiti nei
materiali più diversi e impeccabilmente foggiati sia nelle
proporzioni sia nella quantità sia nella varietà, l'aspetto dei
quali non è possibile descrivere dettagliatamente in questa
opera»9. Nel medesimo scritto si vede che l’impegno di
Costantino non è limitato al Santo Sepolcro ma si estende
anche ad altri edifici dato che egli scrive a Eusebio di operare «con zelo intorno agli edifici delle chiese, o per restaurare
quelli esistenti o per ampliarli rendendoli più grandi o per
costruirne di nuovi là dove la necessità lo richieda. Tu stesso,
e gli altri tramite te, richiederai il danaro necessario ai governatori e all'ufficio del pretorio. A essi infatti è stato ordinato
di cooperare con ogni sollecitudine a quanto sarà richiesto
dalla tua santità»10. La descrizione di Egeria è molto precisa
e concorda con quanto ha scritto Eusebio: «È inutile descrivere lo splendore della chiesa, dell’Anastasis, della Croce o
di Betlemme. Non vedi nient’altro che oro, gemme e sete. E
se vedete dei veli, sono di seta intessuta d’oro; e le tende sono
ugualmente di seta intessuta d’oro. Gli oggetti di culto, di
ogni tipo, che si usano (proferuntur) in quel giorno, sono
d’oro incrostato di gemme»11.
Moltiplicare le costruzioni era un atto imperiale per
eccellenza e Costantino copre di chiese Roma, Gerusalemme,
e tutto l’impero12: chiese che, come tutti gli edifici voluti dall’imperatore, debbono essere degne del loro committente ed
esprimere l’importanza e la potenza dell’impero con l’impo9
De Vita Constantini, 40 (Ibidem, pag. 295). Inoltre "La legge prevedeva altresì che
non si lesinassero sovvenzioni in danaro, ma che si provvedesse alla ricostruzione
attingendo allo stesso tesoro imperiale. Comunicò per iscritto tali disposizioni a tutti
i vescovi delle Chiese locali e nello stesso modo si degnò di renderle note anche a
noi, inviando alla nostra persona questa prima lettera" (De Vita Constantini, 45; in:
Ibidem, pag. 211).
10
De Vita Constantini, 46 (Ibidem, pag. 213).
11
Itinerarium Egeriae, 25, 8 (Maraval P., (éd.), Égérie. Journal de voyage (Itinéraire), (= Sources chrétiennes 296), Les Éditions du Cerf, Paris, 1982, pag. 252).
12
Veyne P., Quand notre monde est devenu chrétien (312-394), … pag. 160.
18
nenza della loro struttura e la ricchezza che l’imperatore vi ha
profuso traendole dal suo patrimonio personale. È rivelatrice,
in tal senso, la frase di Eusebio riportata più sopra: con ricca
munificenza imperiale. Ma già allora ci si rendeva conto che
questa profusione di ricchezza nella liturgia proveniva da una
mentalità che era più tributaria della concezione imperiale e
pagana del potere, che della concezione cristiana del culto.
Lo vediamo già all’epoca di papa Damaso (circa 305-384).
Uno degli argomenti contro Damaso era tratto proprio dalla
eccessiva profusione di ricchezza: «Se le tengano le basiliche
scintillanti di ori e rivestite dell’ambizione di marmi preziosi, o erette sulla magnificenza delle colonne; si tengano anche
le loro possessioni, ampie ed estese, a causa delle quali la
fede viene messa alla prova»13.
In aggiunta, possiamo citare un caso curioso avvenuto a Cirillo, vescovo di Gerusalemme, quando la città fu colpita da una carestia nel 354/355. I poveri si rivolgevano a
Cirillo - che era già un grande personaggio pubblico - per
avere del cibo. Non avendo denaro egli mise in vendita un
vestito di gran valore intessuto d’oro e pietre preziose, che
Costantino aveva donato al vescovo Macario - Cirillo è l’immediato successore di Macario - affinché lo indossasse
durante la liturgia rendendola così più solenne. Non era un
‘paramento’ dato che i paramenti non esistevano ancora a
quell’epoca, ma era stato donato - e veniva usato - per le celebrazioni liturgiche proprio perché era un vestito di grande
valore. L’abito fu comperato da un mercante che lo rivendette poi a un’attrice che lo indossava nei suoi spettacoli14. Per
motivi di polemica dottrinale, durante la disputa ariana, Acacio vescovo di Cesarea ottenne la deposizione di Cirillo. Per
rendere esecutiva la sentenza con un decreto di esilio, Acacio
13
Faustini et Marcellini presbyterorum partis Ursini, Adversus Damasum libellus
precum ad imperatores Valentinianum, Theodosium et Arcadium, cap. 34 (Patrologia Latina, Vol. 13, col. 106).
14
Drijvers J. W., Cyril of Jerusalem : Bishop and City, … pag. 38.
19
accusò Cirillo presso Costanzo II, figlio di Costantino, di
scarsa fedeltà all’imperatore e come prova addusse l’episodio
della vendita del ricco vestito regalato da Costantino, che
abbiamo appena raccontato. L’accusa fece presa sull’imperatore che, indignato, decretò l’esilio di Cirillo. Anche questo
manifesta la mentalità imperiale che era più sensibile allo
sfarzo del culto che ai valori evangelici, pur trattandosi di un
imperatore cristiano.
A Milano c'è Ambrogio che parla dello splendore del
tempio e dice esplicitamente che ci sono calici d’oro e non ha
problemi a usarli. Tuttavia, con eguale sicurezza, egli li dà in
dono a chi è nelle necessità e, anzi, dichiara che i sacramenti
non hanno bisogno di oggetti d’oro. Nei sacramenti, infatti,
l’oro è costituito dalle anime dei fedeli15.
Abbiamo presentato il caso di Costantino che è
emblematico, per l’importanza di questo personaggio nella
storia del cristianesimo. Questi ha creato un precedente fondamentale per quanto riguarda il rapporto tra liturgia e ricchezza, così come lo abbiamo descritto sopra, quando abbiamo parlato dell’ideologia imperiale che considera l’edilizia
come strumento della manifestazione della potenza dell’impero. Un impianto che viene confermato e condiviso dai Padri
della chiesa come Ambrogio e Giovanni Crisostomo, anche se
essi esprimono chiaramente i valori evangelici sul culto che
15
"Melius fuerat ut uasa uiuentium seruares quam metallorum. His non posset
responsum referri. Quid enim diceres: Timui ne templo Dei ornatus deesset?
Responderet: Aurum sacramenta non quaerunt neque auro placent, quae auro non
emuntur; ornatus sacramentorum redemptio captiuorum est. Vere illa sunt uasa
pretiosa quae redimunt animas a morte. Ille uerus thesaurus est Domini, qui operatur quod sanguis eius operatus est. Unc uas dominici sanguinis agnoscitur cum
in utroque uiderit redemptionem, ut calix ab hoste redimat quos sanguis a peccato
redemit" (Ambrosii Mediolanensis, De officiis, lib. 2, cap. 28, par. 138 (Testard
M., (éd.), Ambroise. Les Devoirs, (= Collection des Universités de France. Publiée
sous le patronage de l'Association Guillaume Budé), Société d’édition “Les Belles Lettres”, Paris, 1992, Vol. 2, pag. 71, linea 13).
16
Cf.: Mazza E., Lex orandi et Lex credendi. Que dire d’une Lex agendi ou Lex vivendi? Pour une théologie du culte chrétien, "La Maison-Dieu", 250 (2007) 111-133.
20
consiste essenzialmente nella santità interiore16 e non nello
splendore esteriore dei riti e nella ricchezza ivi profusa.
2. Un importante documento giuridico: il ‘Quinisesto’ concilio ecumenico
Nel concilio ecumenico in Trullo, o Quinisextus17,
viene proposto un interessante problema a proposito della
comunione eucaristica18. Il modo di fare la comunione ci è
noto: il fedele mette le mani una sopra l’altra in forma di
croce e riceve «la comunione della grazia». Ma a quell’epoca ci sono alcuni che ritenendo le proprie mani indegne, «si
fanno fabbricare dei contenitori di oro o di altro materiale per
ricevere il dono divino e si sentono degni di ricevere l’immacolata comunione con tali contenitori». L’intenzione di tali
fedeli è di preservare la sacralità della comunione utilizzando
materiali preziosi al posto delle mani.
Questo nome deriva dal fatto che i due precedenti concili (il quinto e il sesto)
non avevano promulgato canoni. L’imperatore Giustiniano II, allora, volle un
nuovo concilio, che continuasse l’opera dei due precedenti promulgando i canoni
al posto loro. Il concilio Trullano, pertanto, non è il settimo concilio ecumenico,
ma fa corpo unico con i due precedenti. È per questo motivo che viene qualificato come Quinisextus; in tal modo il secondo concilio di Nicea è il settimo concilio ecumenico. Questa è la posizione delle chiese d’Oriente mentre la chiesa romana ha molto esitato a considerarlo come ecumenico, specie a causa dei suoi canoni ‘antiromani’. Tuttavia, papa Adriano recepì come ecumenico il concilio Niceno
II (787) che, a sua volta, nel canone 1, recepisce tutti i canoni emanati precedentemente e, quindi, anche i canoni del concilio in Trullo. "La costituzione apostolica Sacri Canones di papa Giovanni Paolo II, parlando delle leggi canoniche antiche, si riferisce esplicitamente “al Sinodo Quinisesto, riunito nella Sala del Trullo
della città di Costantinopoli nell’anno del Signore 691 circoscrivendo più distintamente nel secondo canone l’estensione delle stesse leggi”. È significativo che il
Papa di Roma citi il famoso can. 2 del Trullano, che conferma i canoni precedentemente emanati, organizzando così tutti questi canoni in un “Codice”" (Salachas
D., Il Diritto Canonico delle Chiese orientali nel primo millennio, Confronti con
il diritto canonico attuale delle Chiese orientali cattoliche: CCEO, (= Collana Diaconia del diritto), Edizioni Dehoniane, Roma - Bologna, 1997).
18
Concilio in Trullo (691/692), can. 101 (Di Berardino A., (ed.), I canoni dei concili della chiesa antica, Vol. I: I concili greci, a cura di C. Noce, C. Dell’Osso e D.
Ceccarelli Morolli, (= Studia Ephemeridis Augustinianum 95), Institutum Patristicum Augustinianum, Roma - Città del Vaticano, 2006, pag. 168ss).
17
21
Il concilio è lapidario e dice: «Noi non li approviamo
assolutamente poiché danno più valore alla materia inanimata e schiava rispetto all’immagine di Dio». Ossia all’uomo
che è creato a immagine di Dio: le mani dell’uomo valgono
di più dell’oro e di ogni materiale prezioso. Ed ecco la pena:
«Se qualcuno venisse sorpreso a distribuire l’immacolata
comunione a coloro i quali presentano dei contenitori, sia
scomunicato, così come colui che li presenta». Il testo parla
da solo e non c'è bisogno di commento per ribadire che la
preziosità dei materiali degli oggetti utilizzati nella liturgia
non dipende dalla natura e dai contenuti della liturgia medesima, ma da altre considerazioni che non vengono considerate pertinenti. Per la precisione: il senso del sacro.
3. Nel medioevo: il caso di Benedetto di Aniane
Il grande fondatore del monachesimo benedettino è
senz’altro san Benedetto da Norcia, ma è stato san Benedetto di Aniane (ca 750-821) che ha fatto la riforma dei monasteri in epoca carolingia e, in tal modo, ha trasformato tutto il
monachesimo europeo in monachesimo benedettino: una
regula una consuetudo. Inoltre, dopo aver riformato i monasteri e dopo averli ricondotti all’osservanza rigorosa della
regola, questi sono divenuti il tessuto connettivo del cristianesimo medievale. In sede storica si afferma che la riforma
carolingia è stata un grande momento dell’evangelizzazione
dell’Europa. E questa è legata al monachesimo: è stata creata un’unica spiritualità, quella del monachesimo benedettino,
e un’unica liturgia per tutte le chiese d’Europa, quella romana. Anche la riforma del Sacramentario, il più importante dei
libri liturgici, passa attraverso Benedetto di Aniane19.
Questi, che si chiamava Vitiza, dopo essere stato al
servizio di Carlo Magno come amministratore, ha avuto il
19
Da qui nascerà, sei secoli dopo, il Messale romano che è arrivato fino a noi praticamente immutato.
22
permesso di entrare in monastero ed è monaco nel monastero di San Sequano in Borgogna, vicino a Saint-Seine. La sua
vita non è facile perché la sua sete di perfezione spirituale
viene malintesa, irrisa e disprezzata dagli altri monaci. Subisce svariate umiliazioni, ma in senguito le sue ragioni vengono riconosciute e, alla morte dell’abate, viene invitato a succedergli. Egli rifiuta capendo che il monastero, globalmente
preso, non è pronto a seguirlo nella riforma della vita monastica che egli si prefigge. Si ritira, quindi, da questo monastero e si reca nel sud, in Settimania, dove si trovano i possedimenti paterni. Egli fonda un monastero lungo il fiume
Aniane con alcuni monaci, presso la chiesa di san Saturnino.
Il monastero è modesto e povero, come diremmo noi, ma corrisponde allo standard di vita della popolazione rurale dell’epoca. Si tratta di edifici con muri a secco ricoperti di argilla e
paglia20. «Non avevano alcuna proprietà, non vigne, bestiame
o cavalli, possedevano solo un asino»21; eppure possedevano
un mulino con il macchinario e gli attrezzi in ferro, cosa rarissima per quell’epoca. Detto questo torniamo al nostro argomento, ricchezza e liturgia. Benedetto di Aniane «non voleva
poi possedere vasi sacri d’argento, nei quali consacrare il
corpo di Cristo: infatti in un primo tempo li ebbe di legno, poi
di vetro, infine permise che fossero di stagno; rifiutava di
avere una pianeta serica e se qualcuno gliel’avesse data, subito l’avrebbe certamente prestata ad altri perché la usassero»22.
Come si vede in questo brano, non c'è alcun legame tra la ricchezza degli oggetti del culto, in specie i vasi sacri, e la loro
funzione di stare a contatto con il corpo di Cristo. I calici e le
patene potevano essere di legno o di vetro: non per questo
erano meno adatti a esprimere il rispetto e la venerazione al
Andenna G., "Benedetto di Aniane riformatore monastico in epoca carolingia",
in: Andenna G. - Bonetti C. (edd.), Benedetto di Aniane. Vita e riforma monastica, (= Storia della chiesa. Fonti 5), Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 1993,
pag. 11.
21
Ibidem, pag. 12.
22
Ardone Smaragdo, Vita di san Benedetto Abate di Aniane, in: Andenna G. Bonetti C. (edd.), Benedetto di Aniane. Vita e riforma monastica, … pag. 71.
20
23
corpo e sangue di Cristo, ossia meno adatti al culto. Né i calici d’argento erano considerati più adatti a causa della maggiore preziosità. La povertà come scelta di vita o, meglio, il
livello di vita simile a quello degli altri abitanti rurali di quelle terre, esigeva calici e patene di legno o di vetro o, nel
migliore dei casi, di stagno. Nulla più. La preziosità degli
oggetti di culto, quindi, non nasce dalla loro destinazione, ma
dallo stile di vita di quella determinata comunità monastica.
Il biografo segnala un grande cambiamento nell’anno
78223, con la costruzione di un nuovo grande monastero in
muratura con l’aiuto dei duchi e dei conti. Qui anche le lampade del coro sono d’argento. È un cambiamento totale spiegato come sacralità: «Quel luogo possiede una tale sacralità
che …»24. Inoltre «radunò una moltitudine di libri, preziosi
paramenti ecclesiastici, calici d’argento di straordinaria grandezza, oggetti d’argento da usare durante l’offertorio»25. La
ragione di questo cambiamento sta nell’inserimento negli
schemi politici di re Carlo, con la prospettiva di ottenere poi
la tuitio e il mundiburdium che effettivamente vennero concessi da Carlo Magno a questo monastero assieme all’immunità. Con i cambiamenti introdotti, il monastero si mostra
degno di divenire un monastero regio, inserito nel programma politico di Carlo Magno. Il monastero regio godeva di
vari privilegi e, soprattutto, era esente dalle eventuali pretese
dei famigliari di Benedetto di Aniane di impossessarsi dei
beni del monastero che era stato costruito sui terreni di famiglia. In quanto monastero regio, il cenobio era immediatamente soggetto all’imperatore e libero da ogni altro obbligo.
Ma per essere degno di questo ruolo doveva esprimere la
potenza e la ricchezza del re: ecco, dunque, il bisogno di
avere un edificio in muratura, una chiesa imponente e una
liturgia ricca di splendore e di oggetti preziosi. Cosa che pun23
24
25
Ibidem, pag. 75.
Ibidem.
Ibidem, pag. 77.
24
tualmente avvenne. Ascoltiamo ora un altro dato che ci è fornito da Andenna: «Eginardo, nel De vita Caroli Magni, ricorda con particolare precisione che il re franco aveva donato
aIl'abate Benedetto di Aniane una croce gemmata, cinture
d'oro con gemme, foglie d'oro lavorate con gemme, calici
d'oro e d'argento, patene d'oro per l'offertorio ornate con
gemme. Inoltre, per rendere più solenne e più sacro il cenobio di Aniane, Carlo aveva posto in una cassetta d'oro le reliquie di tutti gli apostoli e l'aveva presentata all'abate Benedetto insieme ad uno stupendo scettro di avorio»26.
In tal modo, con questi doni, il monastero partecipa
della potenza e della ricchezza del re: e, quindi, anche il suo
culto e la sua liturgia. Non è la liturgia che esige l’oro, l’argento e le ricchezze, a causa della sua natura e del suo contenuto, ma la qualifica di monastero regio posseduta dal cenobio di Benedetto di Aniane. Per lui, l’eucaristia sarebbe andata bene anche con calici di legno.
4. La preghiera eucaristica della liturgia di Alessandria
Dopo aver esaminato il caso degli oggetti usati nella
liturgia, che sono più o meno preziosi, passiamo a considerare un dato interessante che è contenuto nell’anafora - la preghiera eucaristica - della chiesa egiziana. Dobbiamo premettere che la liturgia alessandrina è fortemente debitrice della
cultura di questo paese, soprattutto della sua cultura religiosa. In altre parole, la liturgia alessandrina può nascere solo in
Egitto. Qui c'è l’uso di celebrare i rituali del Dio Sole al mattino, quando il Sole si alza. In Egitto il sorgere del Sole e il
suo cammino fino al tramonto è un fatto religioso di grande
rilievo. Ed ecco che nel monachesimo giudaico dei Terapeuti, stanziato sul lago Mareotis presso Alessandria, il rito più
Andenna G., "Benedetto di Aniane riformatore monastico in epoca carolingia",
in: Andenna G. - Bonetti C. (edd.), Benedetto di Aniane. Vita e riforma monastica, … pag. 17.
26
25
importante della giornata è costituito dalle preghiere del mattino recitate all’alba di fronte al Sole che sorge.
Successivamente, le preghiere giudaiche che i Terapeuti recitano al mattino diventeranno la preghiera eucaristica egiziana. Pertanto, coerentemente con questa cultura, la
messa – ossia la Cena del Signore (1Cor 11, 20) – viene celebrata al mattino e non più alla sera come invece si converrebbe in base alla sua origine. In tal modo le preghiere dell’eucaristia non sono più collegate con le preghiere del pasto
rituale giudaico, la cena, ma con le preghiere della liturgia
mattutina del giudaismo. Nella terza parte dell’anafora - di
quella egiziana in particolare - si prega per la chiesa e per
varie altre intenzioni. In Egitto la chiesa, erede della comunità giudaica, ha ereditato dal giudaismo anche le persecuzioni
ed è sempre stata perseguitata; al punto che il calendario di
questa chiesa lega l’inizio del computo non alla nascita di
Cristo bensì alla fine delle persecuzioni (29 agosto 284). E
quindi la preghiera per la pace è una grande domanda che
inquadra tutte le intercessioni dell’anafora alessandrina. Si
prega per la pace della chiesa, per il re e per il suo esercito, e
perché il re pensi pensieri di pace27.
Dopo questa lunga premessa, ritorniamo al nostro
tema. In Egitto tutta l’economia, e la vita stessa, è legata al
comportamento del Nilo con le sue piene. Se queste non arriveranno al momento giusto e non saranno al giusto livello, non
ci sarà un buon raccolto e sarà la carestia e la fame. Nelle religioni precristiane dell’Egitto, la crescita delle acque del Nilo
era accompagnata da vari riti che i sacerdoti compivano su di
una barca da cerimonia, nel mezzo del fiume, con tutto il popolo assiepato sulle rive28. La liturgia cristiana, in Egitto, recepi-
27
Segno di unità. Le più antiche eucaristie delle chiese, A cura dei Monaci e delle
Monache del Monastero di Bose sotto la direzione di Enrico Mazza, (= Liturgia e
vita), Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose, Bose (Biella), 1996, pag. 187.
26
sce questi usi e recepisce la preoccupazione per la crescita
delle acque del Nilo29. Non si fa fatica a capire perché nell’anafora si preghi per la piena del Nilo, secondo il costume.
Ecco come viene formulata questa preghiera nell’anafora alessandrina: «Manda piogge buone in abbondanza sui
luoghi a cui mancano e che ne hanno bisogno, rendi lieta e
rinnova la faccia della terra (Sal 104 (103),30) con la loro
discesa, affinché al suo stillare essa dando frutti si rallegri.
Eleva le acque dei fiumi alla loro giusta misura, rallegra e rinnova con il loro salire la faccia della terra, impregna i suoi
solchi, moltiplica i suoi germogli. Benedici i frutti della terra,
Signore, conservali per noi incorrotti, facceli maturare per la
semenza e la messe, affinché al suo stillare dando frutto si
rallegri. Benedici, anche ora o Signore, il corso dell’anno
della tua bontà (Sal 65 (64),12), per i poveri del tuo popolo,
per la vedova e per l’orfano, per lo straniero e per il forestiero, per tutti noi che speriamo in te e che invochiamo il tuo
santo Nome; infatti, gli occhi di tutti sperano in te e tu dai
loro cibo al tempo opportuno (Sal 145 (144),15). [Tu che sei]
colui che dà il cibo a ogni carne, riempi di gioia e di letizia i
nostri cuori, affinché sempre bastiamo a noi stessi (autàrkeian) e abbondiamo in ogni opera buona in Cristo nostro
Signore»30.
Propriamente parlando, qui non si chiede la ricchezza
perché si chiede solo che noi sempre bastiamo a noi stessi
ossia che non siamo nella necessità di chiedere un aiuto ad
altri. Tuttavia il Nilo è la grande risorsa dell’Egitto e la sua
ricchezza indiscutibile, in ordine ai raccolti. Pregare per la
Su tutto questo, cf.: Bonneau D., La crue du Nil divinité égyptienne à travers
mil ans d’histoire (332 av. - 641 ap. J. C.). D’après les auteurs grecs et latins, et
les documents des époques ptolémaïque, romaine et byzantine, (= Etudes et commentaires 52), Librairie C. Klincksieck, Paris, 1964.
29
Questa cerimonia ha continuato per tutto il periodo cristiano ed è stata soppressa solo con l’avvento dell’Islam.
30
Segno di unità, … pag. 189.
28
27
crescita delle acque del Nilo al loro giusto livello, significa
pregare per un ricco raccolto. Ebbene sì: qui si prega per la
ricchezza del paese che non è mai disgiunta dalla pace. La
crescita delle acque del Nilo (che noi scorrettamente chiamiamo ‘piena’) rallegra e rinnova la faccia della terra. Si
prega per la semenza e per la messe, per i frutti e per il buon
clima. Si prega soprattutto per i poveri e perché noi abbondiamo in ogni opera buona; ossia, in altri termini, si chiede
l’abbondanza dei raccolti affinché noi non dobbiamo chiedere nulla a nessuno e, poi, affinché noi facciamo l’opera buona
di dare a chi non ha. Certo, si è chiesta la ricchezza, ma la si
è chiesta per ridistribuirla nella carità, che è il primo dei
comandamenti. Così inquadrata, dunque, la ricchezza è vista
come valore per cui pregare e per cui si prega nella liturgia.
Abbiamo superato il problema della ricchezza degli
oggetti usati nel culto per arrivare alla corretta visione della
ricchezza nella vita di ogni giorno: affinché sempre bastiamo
a noi stessi, ossia affinché noi siamo autosufficienti per far
fronte alle nostre necessità, e possiamo dare a coloro che non
hanno. La preghiera non si limita a formulare queste domande in astratto, ma entra nel modo della produzione di questo
risultato e chiede, in modo tecnico, il giusto livello della crescita delle acque, per parlare poi dell’impregnare i solchi,
della moltiplicazione dei germogli, che non marciscano e che
possa esserci la maturazione per la semenza e per la messe.
È un buon agricoltore, colui che si esprime con tanta precisione in questa preghiera. Egli sa come pregare, stante la sua
conoscenza dell’agricoltura e dei suoi problemi.
È possibile trasformare questa preghiera così equilibrata in una preghiera adatta alla vita e all’economia di oggi?
Io credo di sì, ma non mi ci arrischio perché la composizione
di una preghiera non è solamente un fatto di tecnica letteraria: ci vuole l’ispirazione, e questa non viene a comando, ma
quando Dio la dona suggerendo le giuste espressioni per un
giusto equilibrio.
28
5. Alcuni punti fermi per poter concludere
1) Abbiamo visto che il rapporto ricchezza – liturgia
non si esprime nella preziosità dei calici e delle patene, o
degli altari e delle rappresentazioni artistiche. Abbiamo
visto il caso dell’anafora alessandrina di san Marco che
chiede la crescita delle acque del Nilo - la ricchezza dell’Egitto - per un ricco raccolto affinché tutti siano autosufficienti (autàrkeian), bastando a se stessi, e per dare ai poveri, che sono una vera e propria classe sociale. La ragione di
questa richiesta è palese: la liturgia non è mai affetta da
angelismo, con preghiere che riguardano solo lo spirito e la
vita ultraterrena; la liturgia è legata alla vita terrena, al
punto che il suo rito principale è la cena del Signore, un rito
di pane e vino, in cui si mangia e si beve a immagine dell’ultima cena. Nell’eucaristia, e nella liturgia in generale, si
prega sempre per i bisogni e le necessità di questa vita, in
continuità con la preoccupazione della vita eterna. Il tema
del Regno di Dio abbraccia adeguatamente la preoccupazione per la vita terrena e quella per la vita eterna. Oltre alla
preghiera per il cibo e per la bevanda, ci si rivolge a Dio
anche per il buon ordine del mondo e della società in cui si
deve vivere. Vediamo in che modo: nelle antiche anafore c'è
una reale preoccupazione per il re e per la sua famiglia, per
le guardie di palazzo e per coloro che abitano nel palazzo,
ossia per tutti coloro che detengono il potere e per i loro
successori. Anche Ambrogio attesta che nella preghiera
eucaristica, ossia nel ‘Canone romano’ in uso allora, si
prega per il re31. In altri termini, questa è una preoccupazione per la polis e, quindi, siamo nell’area della politica.
2) Usando il linguaggio di oggi, diremmo che ciò
significa preoccuparsi per l’intera società, per i suoi centri
31
De sacramentis, IV, 14 (Botte B., (éd.), Ambroise de Milan. Des sacrements Des mystères - Explication du symbole, Texte établi, traduit et annoté par Dom
Bernard Botte, OSB, (= Sources chrétiennes 25), Les Éditions du Cerf, Paris,
1950, p. 108).
29
di potere e per il suo sviluppo. Possiamo chiederci se questo tipo di preoccupazione, questo tipo di preghiera, è ancora un fatto religioso. Forse non pecca troppo di orizzontalismo? Non possiamo accettare l’opposizione tra orizzontalismo e verticalismo perché, con il dono dello Spirito Santo,
l’orizzontale coincide con il verticale. Per rispondere in
modo adeguato dobbiamo far ricorso al tema biblico del
Regno di Dio che è certamente un tema religioso.
3) Quando pensiamo al Regno di Dio, noi accostiamo l’idea di Dio all’immagine di un re terreno, raffigurato
nei suoi momenti cerimoniali perché qui vediamo meglio la
sua regalità: ci raffiguriamo un personaggio riccamente
drappeggiato, con la corona in testa, attorniato dalla sua
corte. Nella Bibbia non è così. Qui il tema del Regno non è
legato a tali aspetti di cerimonialità, ma all’idea di potenza.
Il tema del Regno di Dio vuol esprimere la grandezza di
Dio, ossia che egli agisce con potenza, tanto nella storia
quanto nella creazione. Se volessimo tradurre in termini
odierni il tema del Regno, tipico del mondo antico, dovremmo parlare del re che, governando, ‘influisce’ nella storia in
modo efficace. Questo tema esprime la causalità di Dio
nella storia e la sua potenza (dynamis). Nel Nuovo Testamento lo Spirito Santo – che è negli uomini e li guida – è
chiamato appunto dynamis.
4) Credo che sia questa la ricchezza della liturgia: di
avere come referente il Regno di Dio - nel senso ora descritto. A causa di questo referente, la chiesa è giustamente
preoccupata di essere inserita nella storia e nelle sue vicende, preoccupata di influire nella storia. Influire come? A
immagine della persona di Cristo. Vista in questa prospettiva, l’eucaristia è una realtà politica, un evento politico
quant’altri mai, che si ripete ogni domenica. Nell’eucaristia
nasce una comunità a immagine di Cristo - al punto da essere chiamata il corpo di Cristo - per entrare e influire nella
storia. Una realtà religiosa e, nello stesso tempo, una realtà
politica in senso proprio, dato che si prefigge di edificare la
‘polis’.
30
6. Perché parlare della ricchezza della liturgia
Da quanto emerso sopra, tre rilievi riassuntivi:
1) La preziosità degli oggetti e la grandiosità degli
edifici utilizzati per la liturgia non appartiene alla natura del
culto. Il culto consiste nella santità interiore dell’uomo, a
immagine di Cristo, e nella sua espressione nella Chiesa. La
preziosità e la ricchezza dell’arredo liturgico appartiene al
linguaggio del culto non alla sua natura.
2) Nella liturgia non c’è posto né per la scelta della
povertà né per la scelta della ricchezza. Si deve tenere il giusto equilibrio tra questi due poli, in base alla cultura al tenore di vita e al linguaggio espressivo dell’epoca in cui si vive.
3) La liturgia non è fine a se stessa. Lo scopo della
liturgia non è di essere celebrata, ma di cambiare l’uomo.
Conclusione
Considerata dal punto di vista del suo scopo, la liturgia è legata alla storia e ai progetti che incidono su di essa,
con una sua specificità: il rapporto con Cristo. È come un’incubatrice in cui maturano le cose a immagine di Cristo. E ora
una domanda retorica: ma c'è qualcosa nella storia che non
abbia a che fare con la politica, la cultura e l’economia?
Ricordiamo che la politica è, nell’accezione etimologica, la
sapienza della buona gestione della città e ciò comporta
anche cultura ed economia. In che senso la comunità e la sua
liturgia sono un’incubatrice di tali progetti? Politica ed economia non possono essere dedotte né dalla redenzione di Cristo né dalla sua liturgia: sarebbe un errore tragico! Nondimeno un rapporto esiste, proprio come l’eucaristia alessandrina
sta in rapporto con la crescita delle acque del Nilo.
Posso dire che è questa la ricchezza della liturgia, di
essere in rapporto con lo sviluppo della storia in tutti i suoi
aspetti, perché la liturgia è come un’incubatrice. Mi fermo
qui e non vado oltre, lasciando a voi di continuare la rifles-
31
sione sul come si influisce nella storia da operatori dell’economia, della politica e della cultura: a immagine di Cristo.
Quella di cui parliamo, dunque, è una ricchezza ben diversa
da quella dei calici e degli altari d’oro.
E dicendo tutto questo non abbiamo fatto altro che
esporre il tema biblico del Regno di Dio in differenti categorie culturali, le nostre. E il Regno di Dio è un dono, anzi il
dono massimamente desiderato e richiesto al punto che i rabbim del Talmud dichiaravano che se, nella preghiera, uno non
faceva menzione del Regno di Dio, non aveva pregato. Di
fronte al dono c'è un comportamento obbligato: il ringraziamento e in contraccambio, ossia il contraddono—come insegna Marcel Mauss32, ben noto agli antropologi culturali e agli
storici dell’economia. La gratitudine per il Regno di Dio,
come dono, prende corpo nell’eucaristia che, nella preghiera
costitutiva, recita: «È veramente cosa buona e giusta (…) rendere grazie».
32
Per l’applicazione di questo principio all’eucaristia, cf.: Mazza E., Le odierne
preghiere eucaristiche, Vol. I: Struttura Teologia Fonti, (= Liturgia e vita 1), Edizioni Dehoniane, Bologna, 1984, Seconda edizione, Bologna 1991, pagg. 123ss.
32
33
34
ADERENTI ALLA ASSOCIAZIONE
PER LO SVILUPPO DEGLI STUDI DI BANCA E DI BORSA
Allianz Bank Financial Advisors, S.p.A.
Anima SGR S.p.A.
Asset Banca S.p.A.
Associazione Nazionale per le Banche Popolari
Banca Agricola Commerciale della Repubblica di San Marino
Banca Agricola Popolare di Ragusa
Banca Aletti & C. S.p.A.
Banca Antoniana - Popolare Veneta
Banca di Bologna
Banca della Campania S.p.A.
Banca Carige S.p.A.
Banca Carime S.p.A.
Banca Cassa di Risparmio di Asti S.p.A.
Banca CRV - Cassa di Risparmio di Vignola S.p.A.
Banca della Ciociaria S.p.A.
Banca Esperia S.p.A.
Banca Fideuram S.p.A.
Banca del Fucino
Banca Imi S.p.A.
Banca di Imola S.p.A.
Banca per il Leasing - Italease S.p.A.
Banca di Legnano S.p.A.
Banca delle Marche S.p.A.
Banca Mediolanum S.p.A.
Banca del Monte di Parma S.p.A.
Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A.
Banca Nazionale del Lavoro S.p.A.
Banca della Nuova Terra S.p.A.
Banca di Piacenza
Banca del Piemonte S.p.A.
Banca Popolare dell’Alto Adige
Banca Popolare di Ancona S.p.A.
Banca Popolare di Bari
Banca Popolare di Bergamo S.p.A.
Banca Popolare di Cividale
Banca Popolare Commercio e Industria S.p.A.
Banca Popolare dell’Emilia Romagna
Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio
Banca Popolare di Garanzia S.p.A.
Banca Popolare di Intra S.p.A.
Banca Popolare Lodi S.p.A.
Banca Popolare di Marostica
Banca Popolare del Mezzogiorno S.p.A.
Banca Popolare di Milano
Banca Popolare di Novara S.p.A.
Banca Popolare di Puglia e Basilicata
Banca Popolare Pugliese
Banca Popolare di Ravenna S.p.A.
Banca Popolare di Sondrio
Banca Popolare di Spoleto S.p.A.
Banca Popolare Valconca S.p.A
Banca Popolare di Verona - S. Geminiano e S. Prospero S.p.A.
Banca Popolare di Vicenza
Banca Regionale Europea S.p.A.
Banca di San Marino
35
Banca di Sassari S.p.A.
Banca Sella S.p.A.
Banco di Brescia S.p.A.
Banco di Desio e della Brianza
Banco di Napoli S.p.A.
Banco Popolare Scpa
Banco di San Giorgio S.p.A.
Banco di Sardegna S.p.A.
Barclays Bank Plc
Carichieti S.p.A.
Carifermo S.p.A.
Cariromagna S.p.A.
Cassa Lombarda S.p.A.
Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno S.p.A.
Cassa di Risparmio in Bologna S.p.A.
Cassa di Risparmio di Cento S.p.A.
Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana S.p.A.
Cassa di Risparmio di Ferrara S.p.A.
Cassa di Risparmio di Firenze S.p.A.
Cassa di Risparmio di Foligno S.p.A.
Cassa di Risparmio Friuli Venezia Giulia S.p.A.
Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza S.p.A.
Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia S.p.A.
Cassa di Risparmio di Prato S.p.A.
Cassa di Risparmio di Ravenna S.p.A.
Cassa di Risparmio della Repubblica di S. Marino
Cassa di Risparmio di Rimini S.p.A.
Cassa di Risparmio di San Miniato S.p.A.
Cassa di Risparmio di Savona S.p.A.
Cassa di Risparmio della Spezia S.p.A.
Cassa di Risparmio del Veneto S.p.A.
Cassa di Risparmio di Venezia S.p.A.
Cassa di Risparmio di Volterra S.p.A.
Cedacri S.p.A.
Centrobanca S.p.A.
Cerved S.p.A
Credito Artigiano S.p.A.
Credito Bergamasco S.p.A.
Credito Emiliano S.p.A.
Credito di Romagna S.p.A.
Credito Siciliano S.p.A.
Credito Valtellinese
CSE - Consorzio Servizi Bancari
Deutsche Bank S.p.A.
Eticredito Banca Etica Adriatica
Euro Commercial Bank S.p.A.
Federazione Lombarda Banche di Credito Cooperativo
Federcasse
Findomestic Banca S.p.A.
Intesa SanPaolo S.p.A.
Istituto Centrale Banche Popolari Italiane
Mediocredito Trentino Alto Adige S.p.A.
SEC Consorzio Bancario Servizi Informatici
Sedicibanca S.p.A.
SIA-SSB S.p.A.
UBI Banca Scpa
UBI Banca Private Investment S.p.A.
UBI Pramerica SGR S.p.A.
UGF Banca S.p.A.
Unicredit Banca S.p.A.
36
Unicredit Credit Management Bank S.p.A.
Unicredit Banca di Roma S.p.A.
Unicredito Italiano S.p.A.
Veneto Banca Holding Scpa
Amici dell’Associazione
Arca SGR S.p.A.
Associazione Studi e Ricerche per il Mezzogiorno
Banca Intesa a.d. Beograd
Casse del Centro S.p.A.
Centro Factoring S.p.A.
Finsibi S.p.A.
Fondazione Cassa di Risparmio di Biella S.p.A.
Kpmg S.p.A.
37
QUADERNI PUBBLICATI
N.
1
Dionigi Card. Tettamanzi
“ORIENTAMENTI MORALI DELL’OPERARE
NEL CREDITO E NELLA FINANZA”
Introduzione di G. Vigorelli - F. Cesarini - novembre 2003
N.
2
G. Rumi - G. Andreotti - M. R. De Gasperi
“UN TESTIMONE DELL’APPLICAZIONE DELL’ETICA
ALLA PROFESSIONE: ALCIDE DE GASPERI”
Introduzione di G. Vigorelli - dicembre 2004
N.
3
P. Barucci
“ETICA ED ECONOMIA NELLA «BIBBIA» DEL CAPITALISMO”
Introduzione di G. Vigorelli - aprile 2005
N.
4
A. Ghisalberti
“IL GUADAGNO OLTRE IL NECESSARIO: LEZIONI
DALL’ECONOMIA MONASTICA”
Introduzione di G. Vigorelli - maggio 2005
N.
5
G.L. Potestà
“DOMINIO O USO DEI BENI NEL GIARDINO DELL’EDEN?
UN DIBATTITO MEDIEVALE FRA DIRITTO E TEOLOGIA”
Introduzione di G. Vigorelli - giugno 2005
N.
6
E. Comelli
“IL RUOLO DELLA DONNA NELL’ECONOMIA:
LA TRADIZIONE EBRAICA”
Introduzione di G. Vigorelli - giugno 2005
N.
7
A. Profumo
“L’IMPRENDITORE TRA PROFITTO, REGOLE E VALORI”
Introduzione di G. Vigorelli - ottobre 2005
N.
8
S. Gerbi
“RAFFAELE MATTIOLI E L’INTERESSE GENERALE”
Introduzione di G. Vigorelli - novembre 2005
N.
9
A. Bazzari
“ASPETTI ECONOMICI DELLA CARITÁ ORGANIZZATA”
Introduzione di G. Vigorelli - dicembre 2005
N.
10
L. Sacconi
“PUÒ L’IMPRESA FARE A MENO DI UN CODICE MORALE?”
Introduzione di G. Vigorelli - febbraio 2006
N.
11
S. Piron
“I PARADOSSI DELLA TEORIA DELL’USURA NEL MEDIOEVO”
Introduzione di G. Vigorelli - aprile 2006
N.
12
A. Spreafico
“MERCATO, GIUSTIZIA, MISERICORDIA: riflessione biblica”
Introduzione di G. Vigorelli - maggio 2006
38
N.
13
L. Castelfranchi
“IL DENARO NELL’ARTE”
Introduzione di G. Vigorelli - giugno 2006
N.
14
D. Tredget
“I BENEDETTINI NEGLI AFFARI E GLI AFFARI COME VOCAZIONE:
L’EVOLUZIONE DI UN QUADRO ETICO PER LA NUOVA ECONOMIA”
Introduzione di G. Vigorelli - ottobre 2006
N.
15
G. Forti
“PERCORSI DI LEGALITÀ IN CAMPO ECONOMICO:
UNA PROSPETTIVA CRIMINOLOGICO-PENALISTICA”
Introduzione di G. Vigorelli - dicembre 2006
N.
16
V. Colmegna
“ASPETTI ECONOMICI E NON DI UNA FONDAZIONE:
L’ESPERIENZA DELLA CASA DELLA CARITÀ”
Introduzione di G. Vigorelli - gennaio 2007
N.
17
I. Musu
“CRESCITA ECONOMICA E RISORSE ESAURIBILI: LA SFIDA
ENERGETICO-AMBIENTALE”
Introduzione di G. Vigorelli - gennaio 2007
N.
18
G. Cosmacini
“LA QUALITÀ DELLA MEDICINA TRA ECONOMIA ED ETICA:
UNA VISIONE STORICA”
Introduzione di G. Vigorelli - febbraio 2007
N.
19
D. Antiseri
“LA «VIRTÙ» DEL MERCATO NELLA TRADIZIONE
DEL CATTOLICESIMO LIBERALE”
Introduzione di G. Vigorelli - marzo 2007
N.
20
N. Kauchtschischwili
“DOSTOEVSKIJ E IL DENARO”
Introduzione di G. Vigorelli - maggio 2007
N.
21
E. Reggiani
“BEAU IDÉAL. HARRIET MARTINEAU
E UNA RAPPRESENTAZIONE DEL CAPITALIST”
Introduzione di G. Vigorelli - maggio 2007
N.
22
P. Cherubini
“STUDIARE DA BANCHIERE
NELLA ROMA DEL QUATTROCENTO”
Introduzione di G. Vigorelli - luglio 2007
N.
23
C. Casagrande
“IL PECCATO DI AVARIZIA NEL MEDIOEVO”
Introduzione di G. Vigorelli - ottobre 2007
N.
24
A. Varzi
“IL DENARO È UN’OPERA D’ARTE (O QUASI)”
Introduzione di G. Vigorelli - novembre 2007
39
N.
25
L. Ornaghi
“INTERESSE E ANTROPOLOGIA INDIVIDUALISTA:
IL POSSESSIVISMO ‘MODERNO’”
Introduzione di G. Vigorelli - dicembre 2007
N.
26
R. Rusconi
“MONTE DI DENARO E MONTE DELLA PIETÀ
PREDICAZIONE, PRESTITO A USURA E ANTIGIUDAISMO
NELL’ITALIA RINASCIMENTALE”
Introduzione di G. Vigorelli - marzo 2008
N.
27
A. Perego
“IL CITTADINO-CONSUMATORE E IL MERCATO:
VITTIMA O PROTAGONISTA?”
Introduzione di G. Vigorelli - maggio 2008
N.
28
G. Vaggi
“DALLA MONETA IN ADAM SMITH AI DERIVATI,
OVVERO LA FINANZA E LA PRODUZIONE DI RICCHEZZA”
Introduzione di G. Vigorelli - maggio 2008
N.
29
F. Botturi
“LA RICHEZZA DEL BENE COMUNE”
Introduzione di G. Vigorelli - giugno 2008
N.
30
G. Ceccarelli
“DENARO E PROFITTO A CONFRONTO:
LE TRADIZIONI CRISTIANA E ISLAMICA NEL MEDIOEVO”
Introduzione di G. Vigorelli - luglio 2008
N.
31
S. Natoli
“IL DENARO E LA FELICITÀ”
Introduzione di G. Vigorelli - dicembre 2008
N.
32
D. Rinoldi
“CORRUZIONE PUBBLICA E PRIVATA, UNITÀ DEL MONDO, SOCIETÀ LIQUIDA”
Introduzione di G. Vigorelli - gennaio 2009
N.
33
G. Costa
“GUGLIELMO RHEDY, HOMO ECONOMICUS”
Introduzione di G. Vigorelli - gennaio 2009
N.
34
A. Cova
“BANCHIERI E BANCHE NELL’EUROPA MODERNA E CONTEMPORANEA:
GIOVANNI ANTONIO ZERBI E JOHN LAW”
Introduzione di G. Vigorelli - febbraio 2009
N.
35
P. Giarda
“LA FAVOLA DEL FEDERALISMO FISCALE”
Introduzione di G. Vigorelli - marzo 2009
N.
36
E. Fehr
“ON SELF-INTEREST AND COMMON INTEREST NEUROECONOMIC
REFLECTIONS”
Introduzione di G. Vigorelli - luglio 2009
40
N.
37
R. Lambertini
“IL DIBATTITO MEDIEVALE SUL CONSOLIDAMENTO
DEL DEBITO PUBBLICO DEI COMUNI”
L’intervento del teologo Gregorio Da Rimini (†1358)
Introduzione di G. Vigorelli - giugno 2009
N.
38
A. Varzi
“IL FILOSOFO E I PRODOTTI DERIVATI”
Introduzione di G. Vigorelli - luglio 2009
N.
39
M. Onado
“CRISI FINANZIARIA E REGOLE”
Introduzione di G. Vigorelli - ottobre 2009
N.
40
E. Anheim
“IL FINANZIAMENTO DELLA PITTURA ALLA CORTE DEI PAPI”
(SECOLI XIII-XV)
Introduzione di G. Vigorelli - novembre 2009
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Per ogni informazione circa le pubblicazioni ci si può rivolgere alla Segreteria
dell’Associazione - tel. 02/62.755.252 - E-mail:
[email protected] - sito web: www.assbb.it
Finito di stampare dicembre 2009
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