Quaderni della rassegna
179.
NARRARE E RAPPRESENTARE LA FAVOLA
Metamorfosi di un genere
A cura di
Francesca Malagnini
Franco Cesati Editore
Il volume è stato pubblicato con il contributo dell’Università per Stranieri di Perugia
- Finanziamento per Progetti di Ricerca di Ateneo - PRA 2019.
I contributi di questo volume sono stati sottoposti a revisione anonima.
ISBN 978-88-7667-869-1
© 2020 proprietà letteraria riservata
Franco Cesati Editore
via Guasti, 2 - 50134 Firenze
In copertina: Arthur Rackham, Cinderella (Ashenputtel) in a ball gown, illustrazione da Grimm’s Fairy Tales (1925), Londra, British Library.
Cover design: ufficio grafico Franco Cesati Editore.
www.francocesatieditore.com - email:
[email protected]
INDICE
Francesca Malagnini, Premessa
p.
9
Ilaria Rossini, «Cento novelle, o favole o parabole o istorie che dire
le vogliamo». Declinazioni del “fabuloso” nel programma poetico del
Decameron
»
11
Floriana Calitti, La voce “morale” degli animali dal Cinquecento
a Leopardi e oltre
»
21
Maria Teresa Imbriani, Il Liombruno di Calvino tra fonti orali e scritte
»
43
Toni Marino, La Narrative Practice Hypothesis di Daniel Hutto.
Folk psychology, fiaba e storytelling
»
65
Federico Giordano, Pentamerone per immagini. Quattro esempi
di rappresentazione visuale delle fiabe di Basile
»
81
Giovanna Zaganelli, Metamorfosi di Pinocchio in copertina
»
93
Catherine De Wrangel, Alessandro Siviglia e la dolce favola
» 109
Giacomo Nencioni, Gli occhi di Olimpia. Tracce del perturbante
nelle vite transmediali di Pinocchio
» 117
Mirco Michelon, Parola, immagine e rappresentazione. La favola
Melusina di Antonio Porta
» 125
7
Walter Zidarič, Cenerentola sulla scena musicale parigina alla fine
dell’Ottocento: ovvero Cendrillon di Jules Massenet
» 131
Antonio Catolfi, Cenerentola, una favola in diretta televisiva
di Andrea Andermann e Carlo Verdone
» 149
Vittoriano Gallico, Mutamento e resistenza della favola in
Lazzaro felice di Alice Rohrwacher
» 165
Antonio Allegra, Some things never change. Favola e ideologia
nella narrazione transumanista
» 177
Francesca Malagnini, Favola e fiaba: appunti linguistici
» 187
Abstract
» 205
Indice dei nomi
» 213
8
MARIA TERESA IMBRIANI
IL LIOMBRUNO DI CALVINO TRA FONTI ORALI E SCRITTE
A mia madre, disvelatice di Liombruno
1. Tra cantari e fiabe
Nel lungo e proficuo dibattito incentrato su Liombruno, in particolare sulla sua
versione canterina1, è rimasto escluso proprio colui che ne ha riproposto il tema
per i piccoli e grandi lettori della contemporaneità: Italo Calvino. Inserita al nr. 134
della celebre raccolta di Fiabe italiane (CALVINO 1993) e ascritta alla provincia di
Potenza in Basilicata, la fiaba narra di un fanciullo, Liombruno appunto, predestinato dal padre, prima della nascita, a un Nemico diabolico, e salvato, nel momento
della consegna, da un’aquila-fata che lo trasporta nel suo mondo, lo alleva e gli si
promette in sposa. Ma la fiaba non finisce qui: morso dalla nostalgia della sua famiglia, infatti, il giovane convince la fata-moglie a lasciarlo tornare nel mondo degli
uomini; quest’ultima, però, lo lascia andare imponendogli un “divieto”, secondo
il lessico proppiano, che sarà poi infranto dall’eroe. Perciò il nostos tra le fate e la
riconquista della sposa sarà disseminato di difficoltà e avventure: non mancano né
un torneo cavalleresco, né un “vanto”, né le mitiche sette paia di scarpe di ferro
da consumare, cui si aggiungono nell’ordine la conquista degli oggetti magici, una
visita alla casa dei venti e il “vissero felici e contenti” finale.
Come tutte le altre fiabe calviniane, anche Liombruno non fu trascritta direttamente dalla tradizione orale: il geniale narratore selezionò, riordinò e riprese da
«questi mai abbastanza lodati “demopsicologi”» (ID. 1996: 33) dell’Ottocento, seguaci della Scuola storica, le fiabe più originali e rappresentative dello spirito italiano,
1
Si vedano almeno VARANINI 1953; AGENO 1959; DONÀ 2005; BARILLARI 2007; BONAFIN 2014;
RABBONI 2009.
43
Maria Teresa Imbriani
per dare al paese quella raccolta nazionale e unitaria che fino ad allora era mancata.
Ispirata al lavoro dei fratelli Grimm, la raccolta giungeva, seppur tardiva, a un paese
uscito nuovamente diviso dal secondo conflitto mondiale e ancora bisognoso, come
già era accaduto al momento dell’unificazione dell’Italia, di ribadire un’unità che si
richiamasse al popolo. Nonostante l’impegno degli studiosi post-unitari, infatti:
la gran raccolta delle fiabe popolari di tutta Italia, che sia anche un libro
piacevole da leggere, popolare per destinazione e non solo per fonte, non
l’abbiamo avuto [sic]. Si poteva fare oggi? Poteva nascere con tanto «ritardo» sulle mode letterarie e sull’entusiasmo scientifico? Ci parve che forse
solo adesso esistevano le condizioni per fare un libro così, data la vasta mole
di materiale reperibile e dato il distacco da un «problema della fiabe)» più
scottante (ivi: 34).
Il lavoro di Calvino fu contemporaneamente geografico e storico: non solo
scelse le fiabe di cui poteva documentare «l’esistenza nei dialetti italiani» ma si
orientò contemporaneamente a «rappresentare tutte le regioni italiane» (ivi: 42),
nella lucida consapevolezza che, se le fiabe non appartengono a uno specifico luogo fisico («Le fiabe, si sa, sono uguali dappertutto» ivi: 43), pure ogni luogo coltiva
motivi e personaggi che ne rispecchiano le caratteristiche.
Diciamo dunque italiane queste fiabe in quanto raccontate dal popolo in Italia, entrate per tradizione orale a far parte del nostro folklore narrativo e similmente le diciamo veneziane o toscane o siciliane; e poiché la fiaba, qualunque origine abbia, è soggetta ad assorbire qualcosa dal luogo in cui è narrata
– un paesaggio, una moralità, o pur solo un vaghissimo accento o sapore di
quel paese –, il grado in cui si sono imbevute di questo qualcosa veneziano o
toscano o siciliano è appunto il criterio preferenziale della mia scelta (ivi: 43).
Il Liombruno di Calvino ha la sua fonte privilegiata, ma non esclusiva, come vedremo, nel Lionbruno delle Novelline popolari italiane che Domenico Comparetti
aveva pubblicato nel 1875 nella serie dei Canti e racconti del popolo italiano diretta
insieme ad Alessandro D’Ancona. Rimasto l’unico volume di un progetto ben più
ambizioso che avrebbe dovuto comprendere prefazione, varianti e «illustrazioni
comparative», Comparetti vi faceva confluire le «novelline», ossia le fiabe, «raccolte da me e da altri per me in varie parti d’Italia dalla bocca del popolo», «riferite
fedelmente come furono narrate», ma tradotte «tutte nella lingua comune, ad eccezione di poche» lasciate nel «dialetto originale» (COMPARETTI 1875: V)2. Quelle
2
Come si evince dalla prefazione (COMPARETTI 1875: V-VI), collaborarono alla raccolta Giuseppe Ferraro per le fiabe del Monferrato (Carpeneto) e di Barga (prov. di Lucca), Gherardo Nerucci per Montale (presso Pistoia), Antonio Gian Andrea per Jesi (provincia di Ancona), Raffaello
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Il Liombruno di Calvino tra fonti orali e scritte
lucane provenivano dalle trascrizioni di Raffaele Bonari – allievo di D’Ancona alla
Scuola Normale di Pisa nei primi anni Settanta dell’Ottocento, ma più noto sul
versante napoletano per aver curato il postumo Studio sul Leopardi di DE SANCTIS
1885, di cui fu tra gli uditori della seconda scuola – ed erano state raccolte tra Tito
e la nativa Spinoso, nella stessa valle dell’Agri, più tardi cantata e disvelata da Leonardo Sinisgalli anche sul versante dell’oralità3.
Alla Basilicata è assegnato il racconto da Calvino, che nella nota esplicativa precisa:
Un cantare cavalleresco toscano, trapiantato in Lucania, ha preso un po’ della
religiosità cupa di quei luoghi. La Bellissima istoria di Liombruno, cantare
in versi della fine del secolo XIV, è una compiuta storia di destino umano,
secondo le tradizioni del romanzo medievale: la nascita predestinata da un
voto al diavolo, la salvezza da parte d’una fata, l’educazione amorosa e cavalleresca, il ritorno a casa e il beneficio ai genitori, la giostra del cavaliere sconosciuto, il «vanto», la perdita dell’amata, e poi una serie di motivi prettamente
fiabistici come le sette scarpe di ferro, i tre oggetti fatati disputati dai ladri, la
casa dei venti (CALVINO 1993).
È ancora Calvino a segnalare alcune delle varianti di Liombruno sul versante
favolistico in altre tradizioni regionali dall’Emilia alla Sicilia4 e a indicare che, oltre
al cantare omonimo, alcuni dei motivi della fiaba sono strettamente connessi alla
tradizione canterina:
Il ritorno a casa in licenza della sposa soprannaturale è un motivo assai diffuso degli antichi cantari (per es. Il bel Gherardino) e delle fiabe popolari […].
Il «vanto» della sposa-fata è un noto motivo cavalleresco (cfr. il lai di Maria
di Francia, Lanval).
La trama della fiaba, i nomi dei protagonisti e le ambientazioni fantastiche
coincidono dunque con una storia tràdita da un cantare del Trecento, che ha avuto
una tradizione a stampa fortunata e continua a partire dal XVI secolo (VARANINI
1954: 253-259). Edito di recente dal ms. Antonelli 521 della Biblioteca Comunale
Ariostea di Ferrara (MANETTI 2002), il cantare era già noto a Vittorio Imbriani che
nella Novellaja fiorentina, oltre alla fiaba con variante di titolo (Leombruno), ne forniva una trascrizione da una stampa ottocentesca (IMBRIANI 1877: 454-471 riproNocchi per quelle del Mugello (Toscana), Salvatore Risicato per quelle di Catania e Demetrio
Camarda per la comunità albanese di Piana de’ Greci in Sicilia.
3
Si vedano almeno SINISGALLI 1955; VITELLI 2005; IMBRIANI 2012.
4
Calvino individua le versioni dell’Emilia, della Toscana, della Campania e della Sicilia e poi
precisa: «Tranne che nella siciliana (in cui la fata è La ’Mperatrici Trebisonna e il protagonista è il
solito Peppi), le altre versioni conservano per il protagonista e per la fata gli stessi nomi del cantare,
variamente pronunciati (Liombruno, Leonbruno, a Bologna Umbron; Chilina, Colina, Aquileina)».
45
Maria Teresa Imbriani
duce ANONIMO 1808). L’edizione critica, «impresa di molta fatica, ma abbastanza
rimeritata dal frutto», a detta di Alessandro D’Ancona (VARANINI 1953: 251), uscì
ad opera di Ezio Levi D’Ancona (LEVI 1914) e fu esemplata su una stampa toscana
del XV secolo: si tratta dell’edizione più fortunata del cantare riedita poi in SAPEGNO 1952: 843-868, cui seguì la trascrizione del ms. 1095 ritrovato nella Biblioteca
Nazionale di Parigi a opera di VARANINI 1954: 276-281. Ma qui non vogliamo fare
la storia editoriale del cantare per quanto siano urgenti e importanti le questioni
filologiche che emergono (su cui si veda la visione puntuale di DONÀ 2007: 159 e
sgg.), né potremo in questa sede considerare tutte le diverse versioni della fiaba,
elencate ora in APRILE 2000: II, 536-5595. A noi interessa, a partire dal lavoro di
Calvino, soffermarci sulla costante diffusione della storia di Liombruno in Italia,
dati da un lato il divario geografico (Romagna, Toscana, Basilicata, Sicilia) e dall’altro la distanza temporale (XIV e XIX secolo) tra il cantare in versi e il narratore
orale da cui apprende la fiaba Bonari per il Comparetti fonte di Calvino; l’obiettivo
che mi prefiggo in questa sede consiste nell’identificare il nucleo essenziale del racconto nella sua radice orale, più antico forse e del ms. Antonelli di Ferrara e della
fiaba comparettiana, alla base sia della tradizione canterina sia di quella favolistica,
e le costanti della storia, che chiameremo, seguendo ROUSSET 1980, «invarianti»,
che la accompagnano nel suo giro d’Italia e nelle sue mutazioni di genere. Se Donà
ha recentemente affermato, a proposito dei cantari, che dalla tradizione folklorica
questi testi derivano «senza mediazioni» (DONÀ 2007: 160), Calvino stesso si chiedeva se non ci fosse «un modo moderno» per «raccogliere le fiabe dalle bocche del
popolo» basato su una «maggiore coscienza storica e sociale e psicologica» (CALVINO 1996: 41) oltre che, si potrebbe aggiungere, filologica e linguistica.
2. La voce del popolo
Il ritrovamento di un manoscritto riconducibile al lavoro preparatorio della
raccolta comparettiana, forse proprio quello vergato da Bonari – la fonte della
fonte di Calvino –, variamente corretto e sintetizzato dal curatore per la stampa
definitiva, nel Fondo Comparetti della Biblioteca dell’Istituto centrale per la demoetnoantropologia di Roma, ci consente una serie di osservazioni sul passaggio
dall’oralità alla scrittura e qualche considerazione aggiuntiva sulla scelta di quella
versione di Liombruno tra le altre tradizionali da parte di Calvino. Questo e gli altri
brogliacci del Fondo erano noti a Italo Calvino che, nella sua lunga e documentata
Introduzione, a proposito delle poche fiabe della Lucania che gli provengono dal
5
APRILE 2000 assegna al Liombruno la tipologia thompsioniana (AARNE/THOMPSON/UTHER
2004) AT 400 La sposa perduta, anche se noi pensiamo che a molte altre categorie tipologiche possano corrispondere i diversi segmenti narrativi del Liombruno, a cominciare dal Patto con il diavolo.
46
Il Liombruno di Calvino tra fonti orali e scritte
Comparetti e che gli sembra siano narrate «con grande slancio romantico e gusto
per le storie più complicate», annota:
Gli undici «cunti» della Basilicata pubblicati nel volume del Comparetti (in
italiano, tranne uno) erano stati raccolti a Spinoso e a Tito (Potenza) da Raffaello Bonari e i manoscritti si possono ritrovare al Museo di Roma (CALVINO
1996: 65-66).
Il Museo delle Arti e Tradizioni Popolari, ora Museo della Civiltà, è ormai
separato dall’Istituto centrale per la demoetnoantropologia (diventato Istituto
Centrale per il Patrimonio Immateriale) dove, non facilmente6, è stato finalmente
rinvenuto il materiale comparettiano che Calvino aveva consultato nelle sue accurate ricerche: il manoscritto relativo a Lionbruno, nr. 158 del Fondo Comparetti
di Roma, è un brogliaccio di 31 cc. vergato sulla metà destra di fogli a righe in formato grande con svariate correzioni. La grafia nervosa e sottile non sembra quella
di Domenico Comparetti, ma non sappiamo se sia quella di Bonari. Il ms. 158,
su cui converrebbe ritornare con maggiore sistematicità, ci permette di formulare
alcune ipotesi sull’apporto del narratore orale nei confronti della storia che sta
raccontando. Le numerose cancellature di parole e frasi, quasi sicuramente dovute
alla mano di Domenico Comparetti, riguardano per la gran parte i dialoghi e le
riflessioni dei personaggi che tendono a giustificare, a impreziosire o a dilatare alcuni lacerti narrativi che si prestano maggiormente a interventi di illustrazione e di
adattamento, anche morale, al proprio livello culturale, alle conoscenze proprie e a
quelle del pubblico di uditori. Comparetti è infatti intervenuto a cassare periodi e
locuzioni che sembrano rimandare da vicino alla psicologia del narratore popolare,
da cui, forse già con la revisione del Bonari, proviene la narrazione. Ci sembra utile
riportare in questa sede una campionatura di frasi del ms. 158, espunte dal testo
finale della novellina a stampa, avvertendo che trascriveremo solo alcune di quelle
che sono interamente cassate con un tratto di penna orizzontale, mentre sarà più
difficile, caso mai si dovesse darne un’edizione con varianti, ricostruire le molte pagine illeggibili per le cancellature scarabocchiate e sovrapposte al testo primitivo.
All’inizio del racconto, per esempio, la risposta del pescatore al Nemico, che gli
promette «giustizia», si conclude con la seguente espressione: «Davvero? Ebbene
dillo su presto quello che ho da fare, che io darei anche l’anima al diavolo»; poco
più avanti, l’uomo rifletterà tra sé, pensando di ingannarlo, che la moglie «è fatta
anche lei vecchierella» e figli non ne verranno più. La sera prima della consegna
del fanciullo, è interessante leggere il battibecco cassato tra il marito e la moglie
che cerca di indagare il motivo del malessere di lui che le ha ordinato di mandarle
6
Abbiamo ricostruito la collocazione dei mss. romani del Fondo Comparetti dal saggio di
D’ALESSANDRO 1992 e da DELITALA 2007. Qualche notizia in più sul Fondo in MILILLO 1992.
47
Maria Teresa Imbriani
il fanciullo con il paniere l’indomani mattina sulla spiaggia: «A me non l’hai a dire,
a me non l’hai a dire. Povera me, stassera [sic] povera me! – Sta zitta. Te l’ho detto
che è nulla. Senti. Ora vieni qua. Io mi vado a coricare che non mi sento bene». Ma
la donna non si arrende:
Io credeva che tu l’avessi già il paniere. Come non te lo porti tu il paniere quand’è
mattina, che la creatura va a scuola e poi viene tardi? - Quando viene viene. Tu
dagli il paniere e mandamelo. - Come mai verrà il ragazzo solo solo fino al mare?
Tu lo vuoi far stancare la povera creatura. - E tu? Oh che capo duro. T’ho detto
che tu me l’hai a mandare, e tu mandamelo (Roma, Fondo Comparetti, ms. 158).
Interessante ci sembra poi la cancellatura del lungo sfogo della madre quando
riferisce della sua innocenza rispetto all’inganno subito da lei e dal figlio a causa del
patto con il Nemico. La donna infatti, parlando a Liombruno che ancora non si è disvelato, gli spiega che dal giorno della scomparsa non ha avuto più notizie del figlio:
E chi ce la poteva dare, amore della mamma? Ah! io sono stata ingannata,
io sono stata tradita! Se no non lo perdevo. Iddio per questo ha mandato la
maledizione sulla nostra casa, e non possiamo mai aver bene. Signorino mio,
è stato proprio il padre, il padre proprio che l’ha tradito il suo figliuolo! E io
non l’ho saputo se non quando l’avevo perso! Il figliuolo mio! Oh come non
me ne sono accorta allora? [++]7 Figlio mio bello, cuore della mamma tua, e
non t’ho più da vedere più? figlio, figlio! (Roma, Fondo Comparetti, ms. 158)
E quando Liombruno si fa riconoscere iniziano a piangere
tutti e due la mamma e il figliuolo. Figlio mio bello, amore della tua mamma! Io
non credeva che t’avrei veduto più! Cara gioia di questo core! E dove sei stato?
E com’è che l’avevi abbandonata la mamma tua, figlio mio, amore mio? E se lo
mangiava di baci, la povera madre (Roma, Fondo Comparetti, ms. 158).
Mi sembra ovvio, dai pochi lacerti di cui abbiamo dato testimonianza, che il
narratore popolare della fiaba di Spinoso sia in verità una donna, forse una nonna
novellatrice, che rimarca l’innocenza della madre, nella parte di vittima incolpevole, insieme al figlio, del tradimento del padre e dell’inganno del demonio. L’attenzione al ruolo delle madri le fa anche introdurre una significativa innovazione nella
saga liombruniana, con l’inserimento di un personaggio del tutto nuovo, cioè Voria
(voce dialettale per Bora), madre dei Venti, a conferma della ricchezza di questo
mondo popolare:
7
Due parole sono indecifrabili.
48
Il Liombruno di Calvino tra fonti orali e scritte
non è vero che l’Italia sia più povera di narrazioni fantastiche di altri popoli.
Tutt’altro! […] E il merito va tutto al popolo italiano che ha […] un’arte di
raccontare fiabe […] piena di felicità, d’inventiva fantastica, di spunti realistici, di gusto, di saggezza. Ognuna delle duecento fiabe del volume si basa su
un testo raccolto dalla voce di una vecchietta, d’un contadino, d’una ragazza
di villaggio, di una balia, d’un pastore (CALVINO 1996: VI).
La progressiva cancellazione della voce della donna nelle correzioni del ms.
158 passate a testo in Comparetti subisce un’ulteriore limatura in Calvino, dove
le uniche voce femminili ad aver diritto alla parola sono quelle di due personaggi
ultraterreni: la Fata Aquilina e appunto Voria, la madre dei Venti, nel ruolo di
mediatrice tra la terra e il cielo.
3. Varianti e invarianti narrative
Hanno fatto notare, prima AGENO 1959 all’uscita del Liombruno di VARANINI
1954 e recentemente DONÀ 2005 all’uscita del Liombruno di MANETTI 2002, che
fiabe e cantari condividono la stessa natura genetica, lo stesso DNA narrativo, provenendo spesso entrambi da una pratica orale, forse di gran lunga precedente alla
scritta o comunque sicuramente a essa affiancata. Se così fosse, non meraviglia che
un cantare di Liombruno, per decenni ritenuto di origine toscana, venga ritrovato
tra i mss. della collezione Antonelli di Ferrara, né meraviglia che Bonari abbia
udito la stessa vicenda dalla viva voce del popolo lucano, a Spinoso in Val d’Agri,
così come Vittorio Imbriani a suo tempo l’aveva raccolta dalla sua «novellaja fiorentina» e poi a seguire con la lunghissima serie di varianti favolistiche ricondotte
al Liombruno.
Ed è ovvio che bisogna certamente interrogarsi «sul concetto stesso di fonte
in ambito popolare» (RABBONI 2009: 426), dove i cantari rappresentano un ramo,
magari più alto e colto, della tradizione favolistica, ovvero «il primo genere letterario in cui le fiabe trovano espressione abituale e codificata» (DONÀ 2007: 164),
come sostiene appunto Carlo Donà, intervenuto anche sul cantare di Liombruno
(ID. 2005: 117-119).
Sebbene non sia escluso che proprio del cantare a stampa possano essere circolate copie un po’ ovunque anche nel Regno di Napoli, da cui potrebbe aver
appreso la storia, direttamente o indirettamente, il narratore a suo tempo interpellato da Bonari e quindi che la leggenda si sia diffusa dalla scrittura alla voce e non
viceversa, non mancano spie che fanno pensare a un’originale tradizione/trasposizione a partire dallo stesso nucleo narrativo. D’altronde, avvertiva CARDONA 1983:
25, «c’è un continuo e documentabile scambio fra i due mondi dell’oralità e della
scrittura», non sempre ricostruibile tuttavia in termini di stretta e “stemmatica”
discendenza.
49
Maria Teresa Imbriani
Se però mettiamo a confronto, evidenziando le particolarità di stampo narratologico8, il testo dei cantari e delle fiabe, potremmo almeno individuare le varianti
e le invarianti narrative, i motivi ricorrenti o quelli perduti, le innovazioni o errori
del narratore o i suoi richiami ad altre saghe limitrofe. Prendendo in esame tre
cantari, MANETTI 2002, LEVI 1914 e ANONIMO 1808 e tre redazioni favolistiche,
quella di IMBRIANI 1877, la più corrotta e lontana dalla tradizione tematica qui
rappresentata, e quelle di COMPARETTI 1875 e CALVINO 1993, possiamo in primo
luogo notare quanto le circostanze esterne influiscano sul contenuto narrativo e
anche poi quanto e in che modo Calvino, al lavoro per la sua versione, non si sia
sottratto al ruolo di un qualsiasi narratore che sempre interviene nel racconto con i
suoi aggiustamenti. Attraverso le innovazioni che apporta alla fiaba comparettiana
assorbendo alcuni particolari del cantare dall’edizione SAPEGNO 1952 (che ripropone però Levi 1914), è infatti proprio il nostro scrittore contemporaneo il primo a
ricercare i nuclei tematici più puri e antichi della vicenda di Liombruno, immergendosi «in questo mondo sottomarino disarmato d’ogni fiocina specialistica» (CALVINO 1996: 36), ma “armato” certamente del piacere e dell’arte del narrare9, alla
pari del popolo primo autore dell’opera. Anche a confronto con il materiale dei
cantari e pur conoscendo altre versioni della fiaba, la scelta calviniana si indirizza
infatti decisamente sulla versione raccolta da Bonari in Basilicata proprio perché è
senza dubbio «tra le decine e decine di versioni della stessa fiaba la più bella e più
caratteristica e più impregnata dello spirito di un luogo» (ivi: VI).
Per tutti i testi che esaminiamo (per i quali si veda la Tabella in Appendice), il
padre di Liombruno è un «pescatore», a eccezione proprio di Comparetti dov’è
un «marinaio», variante significativa di un mondo dell’Appennino interno lontano
dagli usi marinareschi; il «Nemico» è così definito solo in Comparetti e quindi in
Calvino, mentre per Manetti e Levi è il «dimonio», nella stampa ottocentesca è
un «Corsaro/Turco» e in Imbriani un «serpente». Significativa è l’inversione che
riguarda la moglie «vecchia» (che si ricordi era «vecchierella» nel ms. 158) o «in
età avanzata» in Comparetti e Calvino, che nei cantari è «più fresca che rosa»; i figli
qui sono tre, in Imbriani 12, invece Comparetti/Calvino fanno del nascituro l’ultimo figlio della coppia non più giovane, che ha già tre-quattro figli in Comparetti
e quattro in Calvino, da consegnare al compimento dei 13 anni, mentre negli altri
testi la consegna è immediata e viene richiesto il figlio minore. Una corruzione dialettale si nasconde nel nome della fata che diventa Colina in Comparetti, Chilina
in Imbriani, mentre è Madonna Aquilina nei cantari e in Calvino che li riprende:
si manifesta in forma di aquila nei cantari e in Calvino a salvare il fanciullo, in for-
Resta ancora utile il metodo di BENDINELLI 1981.
«Prevedo già molte delle critiche che m’aspettano. Chi predilige il testo popolare genuino
non mi potrà perdonare d’averci “messo le mani” e anche soltanto d’aver preteso di “tradurre”»:
CALVINO 1996: 44.
8
9
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Il Liombruno di Calvino tra fonti orali e scritte
ma di fata invece in Comparetti che sottolinea la reazione del Nemico, tra lampi
e tuoni. Nei cantari la fata ha 10 anni e sposerà Liombruno, dopo averlo allevato
e istruito (dopo 8 anni per l’Anonimo), mentre in Comparetti la Fata Colina è la
regina delle fate che lo alleveranno e gli si prometterà in sposa quando il giovane
le chiederà il permesso di andare dai genitori; in Calvino infine è l’aquila fata ad
annunciare, prima dell’educazione dell’eroe, che sarà suo sposo. L’eroe, «malinconico» per Manetti, «nequitoso» per Levi, «pensieroso» per l’Anonimo, ha nostalgia del padre e della madre per Comparetti, di casa per Calvino. L’anello magico
che la fata consegna a Liombruno diventa un rubino solo in Comparetti/Calvino e
il viaggio di 400 giorni dei cantari, fatto però in una notte, non è specificato nelle
fiabe. Altra inversione tra cantari e fiabe è che nei primi l’eroe è immediatamente
riconosciuto, mentre nelle altre il disvelamento avviene per gradi. Diverso è anche
il tempo in cui Liombruno soggiorna nel mondo terreno prima di manifestare l’intenzione di tornare da Aquilina, differita dalla partecipazione al torneo: nove mesi
nei cantari Manetti/Levi, per poi rispondere al bando del torneo del re di Granata;
dopo pochi giorni in Comparetti e la città del bando è Napoli, significativamente
capitale del Regno, tutte informazioni omesse in Calvino. Il combattimento contro
un forte saracino cui segue il consiglio tra Re e Baroni nei cantari, del tutto omessi
in Imbriani che parla di Casino dei Nobili, diventa una giostra di abilità (una stella da infilzare in Comparetti, non specificata in Calvino) che dura per tre giorni
finché il re non lo costringe a palesarsi. Al vincitore del torneo spetta in moglie
la figlia del re, ma Liombruno pronuncia il “vanto”, che nei cantari avviene nella
sala del trono (e in Imbriani nel Casino dei Nobili), omesso da Calvino, come dalla
sua fonte Comparetti, se non nei termini di rinuncia al matrimonio con la figlia
del re perché ha una sposa più bella. La punizione della Fata con l’imposizione di
consumare sette paia di scarpe di ferro prima di poterla rivedere è innovazione di
Comparetti e quindi di Calvino: nei cantari infatti Liombruno è abbandonato da
Aquilina indignata su un prato. I tre malandrini dei cantari in cui il protagonista
s’imbatte nel bosco sono tre ladri in Comparetti e Calvino, mentre in Imbriani due
assassini incrociati in un’Osteria. Gli oggetti magici sono sostanzialmente gli stessi,
un mantello, gli stivali («usatti» nei cantari) e la montagna di denaro che, se manca
del tutto in Imbriani, si trasforma in borsa magica sempre piena di soldi per Comparetti/Calvino. Significativa ci appare anche la variante che riguarda la casa dei
venti, dove Liombruno incontra un vecchio per i cantari, un’Eremita in Imbriani
e Voria (ricordiamo, voce dialettale per Bora) in Comparetti/Calvino. I venti sono
71 e Valeriano lo accompagna fino al palazzo di Aquilina sorvegliato dai dragoni in
Manetti; in Levi e in Anonimo i venti sono Ponente, Garbino, Levante, Greco, Marino, Maestro, Ostro, Borea, Tramontana e Scirocco che lo conduce dalla moglie;
in Imbriani sono sette, Marino, Scirocco, Ponente, Levante, Pisano e Tramontano
che lo accompagna al palazzo sorvegliato da leoni; in Comparetti i venti non sono
specificati ma è Scirocco a condurlo, mentre Calvino ne nomina cinque, Tramontana, Maestrale, Gea, Libeccio e Scirocco appunto che lo accompagnerà dalla don-
51
Maria Teresa Imbriani
na. Nei cantari Liombruno, non visto, assiste alla cena di Aquilina e poi si corica
a fianco a lei nel letto dove saranno scoperti, quasi novelli Amore e Psiche; nelle
fiabe si fa riconoscere mentre la donna è a tavola. Nel finale i cantari rimarcano la
pace dei due sposi, mentre le fiabe sottolineano il “perdono” della fata.
Alle osservazioni fin qui condotte, si può aggiungere che non irrilevante è
il contributo di Calvino nella riproposizione della fiaba comparettiana: intanto,
come si è già sottolineato, vi è il ripristino del personaggio del «pescatore» al posto
del «marinaio» e dell’aquila che, solo dopo l’intervento salvifico, si trasforma in
Fata Aquilina. Quest’ultima poi prende il nome dalla fusione delle fonti: in Comparetti è infatti Fata Colina, nei cantari Madonna Aquilina, perdendo da un lato il
nome dialettale e dall’altro i connotati epico-cavallereschi. La Fata lo trasporta su
un’«alta montagna» e gli annuncia le nozze nel momento della sua trasformazione:
è dunque sparito il palazzo della fonte e tutte le indicazioni temporali ed estremamente sintetizzata è l’educazione dell’eroe tra le fate. Al momento della consegna
del rubino, la Fata detterà le sue condizioni, ma i venti giorni stabiliti per il ritorno
in Comparetti diventano in Calvino un anno come nei cantari. Eliminato il lungo
dialogo con i genitori prima del riconoscimento, Calvino lo farà partecipare alla
giostra, ma senza infilzare la «stella»; così, catturato dal re che gli impone di sposare la figlia, svela subito di avere già una promessa sposa: in Comparetti invece
si conserva la solennità del «vanto» dei cantari perché Liombruno svelerà la sua
natura solo al momento delle nozze alla presenza del re, della figlia e di tutta la corte. Acquisita l’innovazione delle sette paia di scarpe di ferro (come non ricordare
qui la nonna Lucia di Carducci?), acquisito il personaggio della madre dei Venti di
contro ai cantari, Calvino introduce il nome per i venti, che manca nella sua fonte,
con delle novità anche rispetto alle saghe tradizionali: Maestrale, Gea e Libeccio
infatti sono solo nella sua versione. Nel finale è poi omessa la celebrazione delle
nozze ma al «gran banchetto nel palazzo», i Venti saranno «tutti invitati a turbinare
intorno in segno di festa»10.
Ogni autore insomma adatta il racconto al suo tempo, si potrebbe dire, e lo
declina, semplificandolo o complicandolo, al suo pubblico. Sulle invarianti fondamentali, si aggiungono poi alcune varianti significative che si riconnettono al contesto geostorico: prendiamo la giostra, che da combattimento contro il «saracino»
(che peraltro viene non solo sconfitto ma ucciso da Liombruno e che riaffiora in
Imbriani come Corsaro/Turco e prende il posto del Demonio/Nemico) diventa via
via un’abilità, la stella da infilzare a cavallo con una lancia in resta. O prendiamo il
«vanto» che ancora resiste nella redazione favolistica di Imbriani e viene eliminato
in quei termini in Calvino. Il substrato mitico-religioso affiora poi un po’ ovun-
10
«Allora mangiarono e bevvero insieme e chiamarono le serve e fecero gran festa. Il giorno
appresso ordinarono tutto per lo sposalizio e sposarono con gran magnificenza e allegria. La sera
poi fecero una festa di ballo e una bella cena, che bisognava vedere!»: COMPARETTI 1875: 182-183.
52
Il Liombruno di Calvino tra fonti orali e scritte
que, dal pescatore al demonio/serpente tentatore, dalla simbologia del numero 7
all’apparizione della donna in forma di aquila/angelo, dal riferimento ai saraceni al
perdono della donna. D’altro canto, non si può negare che le costanti del nucleo
essenziale del racconto facciano riferimento ad archetipi fondanti della nostra tradizione, oltre che della nostra psicologia, che affiancano la fiaba alle saghe eroiche
della mitologia classica, rendendole fruibili al pubblico di un mondo cambiato nei
suoi paesaggi interiori ed esteriori. Le fiabe sono:
per loro natura soffitte e ripostigli […]. I loro contenuti sono disordinati,
e spesso alterati, un guazzabuglio di dati, intenzioni e gusti diversi; ma tra
di essi casualmente si può trovare qualcosa di valore permanente: un’antica
opera d’arte, non troppo rovinata, che solo la stupidità può aver ficcato in un
angolo (TOLKIEN 1983: 196).
Resta a questo punto la considerazione, riguardo non solo al modo, ma anche
al perché un autore rielabori il modello di riferimento, mito o motivo letterario che
sia, impresso quasi come un palinsesto nella memoria collettiva e riaffiorante qui e là
in filigrana a riconnettere il mondo medievale alle sue radici più profonde e antiche.
In Liombruno l’invariante più significativa mi sembra riconducibile al nostos, il
ritorno: la nostalgia di casa e dei genitori prima, che lo induce a lasciare la Fata e il
mondo incantato, quasi un novello Ulisse che lascia Calipso e l’immortalità che la
donna vorrebbe donargli; la nostalgia della Fata-moglie, ora diventata un doppio
di Penelope, la quale, ormai umanizzata anche lei in virtù dell’amore, lo attende
consumandosi nel dolore. Una nostalgia che costringe l’eroe ad affrontare la punizione, le sette paia di scarpe di ferro, significativamente aggiunte nella redazione
favolistica e che visivamente traducono la fatica e la pena dell’eroe alle prese con
un’impresa impossibile. Non a caso, il narratore orale metteva in bocca al suo eroe
il lamento per i beni della fortuna perduti per un capriccio, frase anch’essa cassata,
ma spia eloquente della morale popolare:
Povero me, diceva, avevo trovato la mia fortuna, e l’ho gettata via per un
capriccio! Non dovevo andar dritto dalla mia sposa che mi aveva fatato, e mi
voleva tanto bene? Ed ora come farò per ritrovarla? (Roma, Fondo Comparetti, ms. 158)
L’archetipo di Liombruno è forse più antico dei cantari, che via via affiorano
come sue fonti tra gli studiosi: tramontato il Lanval di Maria di Francia (cfr. BONAFIN 2014) mentre si fa avanti l’Yvain di Chrétien de Troyes (cfr. BARILLARI 2007),
il romanzo di formazione di questo eroe ferino ribadisce il concetto della libertà e
della fortuna dell’uomo, nonostante la predestinazione/maledizione iniziale (edipica?), determinata dalla scelta del padre.
53
Maria Teresa Imbriani
Bibliografia
AARNE/THOMPSON/UTHER 2004 = ANTTI AARNE / STITH THOMPSON / HANS-JÖRG UTHER,
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System of Antti Aarne and Stith Thompson, Helsinki, Suomalainen Tiedeakademia.
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Liombruno, in «Romance philology», 13: 59-66.
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suo padre al Demonio e come fu liberato ed altre cose bellissime come leggendo
intenderete, Bologna, Stamperia alla Colomba.
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letterari, in MICHELANGELO PICONE / LUISA RUBINI (edd.), Il cantare italiano tra
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2005), Firenze, Olschki: 171-181.
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«fiabesco» italiano, in «Quaderni di italianistica», 2: 1-38.
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di Liombruno, in «Romance Philology», 68: 221-230.
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Milano, Mondadori («I Meridiani») (1a ed. 1956: Fiabe italiane. Raccolte dalla
tradizione popolare durante gli ultimi cento anni e trascritte in lingua dai vari
dialetti, Torino, Einaudi [«I Millenni»]).
CALVINO 1996 = ITALO CALVINO, Sulla fiaba, Milano, Mondadori, (già Introduzione
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Torino, Einaudi: 25-101.
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fondo Comparetti, in «Storia, antropologia e scienze del linguaggio», 7: 93-113.
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DONÀ 2007 = CARLO DONÀ, Cantari, fiabe e filologi, in MICHELANGELO PICONE
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54
Il Liombruno di Calvino tra fonti orali e scritte
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antichi editi e ordinati, serie I (Cantari leggendari), Bari, Laterza («Scrittori
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Introduzione di DOMENICO DE ROBERTIS, Roma, Salerno Editrice: I, 303-339;
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MILILLO 1992 = AURORA MILILLO, La zattera della memoria, in CIRO MARZOCCHI,
Novelle popolari senesi 1879 (manoscritto n. 57), Roma, Bulzoni: I-XXXV.
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«Lettere italiane», 61: 425-459.
ROUSSET 1980 = JEAN ROUSSET, Don Giovanni, Parma, Pratiche.
SAPEGNO 1952 = NATALINO SAPEGNO, Storia di Liombruno, in ID. (ed.), Poeti minori
del Trecento, Milano-Napoli, Ricciardi: 843-868.
SINISGALLI 1955 = LEONARDO SINISGALLI, Poesie lucane scelte e trascritte dai dialetti
indigeni, in «Civiltà delle macchine», III, 2 [poi in GIUSEPPE APPELLA (ed.),
Roma, Edizioni della Cometa: 5-14].
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di Pisa, Pisa, Giardini: 123-136.
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della «Storia di Liombruno», in «Studi mediolatini e volgari», II: 250-281.
VITELLI 2005 = FRANCO VITELLI, Dialetto e trascrizioni di poesie dialettali in
Sinisgalli, in «Forum italicum», 39: 520-541.
55
Maria Teresa Imbriani
Appendice
Tavola sinottica dei nuclei tematici della storia di Liombruno
MANETTI
2002
LEVI 1914
ANONIMO
1808
IMBRIANI
1877
pescatore
pescatore
pescatore
pescatore
dimonio
dimonio
C o r s a r o / serpente
Turco
COMPARETTI
1875
marinaio
pescatore
Nemico
Nemico
moglie più moglie più moglie più non se ne vecchia
fresca che fresca che fresca che parla
rosa
rosa
rosa
tre figli
tre figli
tre figli
dodici figli
CALVINO
1993
in età avanzata
non ancora non ancora
nato (3-4 fi- nato (4 figli)
gli)
patto con patto con patto con patto con patto (con
c o n s e g n a c o n s e g n a c o n s e g n a c o n s e g n a inganno da
immediata
parte
del
immediata
immediata
immediata
marinaio)
e consegna
differita
patto (con
inganno da
parte
del
pescatore)
e consegna
differita
Leombruno nasce e vie- nasce e vie(si descrive ne chiamato ne chiamato
l’ultimo fi- Lionbruno Liombruno
glio)
consegna del consegna del consegna del c o n s e g n a consegna a consegna a
13 anni
figlio minore figlio minore figlio minore dei figli dal 13 anni
(7 anni)
(7 anni)
(7 anni)
maggiore al
minore
isola
isola
isola
c o n s e g n a spiaggia
diretta
il fanciullo il fanciullo grida fino viene rifiusi fa il segno si fa il segno a quando tato dal serdella Croce della Croce il Corsaro/ pente
Turco non
scappa
56
gioca con
dei pezzi di
legno a forma di croce
spiaggia
gioca con
dei pezzi di
legno a forma di croce
Il Liombruno di Calvino tra fonti orali e scritte
intervento
dell’aquila
(uccello in
forma
di
donzella)
intervento
dell’aquila
(donna che
pare un’aquila)
intervento intervento intervento intervento
dell’aquila dell’aquila
della Fata dell’aquila
(sotto forColina, regime “grifana delle fate
gne”
una
donzella
che pareva
un’aquila)
viaggio fino
al
castello (tutta la
notte)
viaggio fino
al
castello (tutta la
notte)
viaggio fino
al
castello (tutta la
notte)
viene lasciato su un’isola sul tetto
del palazzo
di Madonna
Chilina
agnizione
di Madonna Aquilina
(che ha dieci anni)
agnizione
di Madonna Aquilina
(che ha dieci anni)
agnizione
di Madonna Aquilina
(che ha dieci anni)
agnizione di
Madonna
Chilina con
dodici damigelle
allevato e
istruito,
sposa Aquilina:
qui
viene nominato Liombruno
allevato e
istruito,
sposa Aquilina:
qui
viene nominato Liombruno
allevato e
istruito,
sposa Aquilina dopo
8 anni: qui
viene nominato Liombruno
Liombruno
“malinconico” vuole
rivedere i
fratelli e i
genitori
Liombruno
“nequitoso”
vuole rivedere i fratelli e i genitori
Liombruno
“pensieroso” vuole
rivedere i
fratelli e i
genitori
viene portato nel palazzo della
Fata Colina
e allevato
dalle fate
viene trasportato
su un’alta
montagna
l’aquila si
trasforma in
Fata Aquilina e gli dice
che sarà suo
sposo
le fate lo
allevano e
istruiscono
Chilina legge il pensiero di Leombruno
e prepara i
regali per i
genitori e gli
11 fratelli
57
Liombruno
chiede alla
Fata il permesso di andare a trovare il padre
e la madre
(e la Fata gli
si promette
in sposa)
Liombruno
ha nostalgia
della casa
terrena
Maria Teresa Imbriani
consegna
dell’anello e
condizioni
di Aquilina:
tornare entro un anno
e non parlare di nulla
consegna
dell’anello e
condizioni
di Aquilina:
tornare entro un anno
e non parlare di lei
consegna
dell’anello
e condizioni di Aquilina: tornare entro un
anno e non
parlare di
nulla
consegna
dell’anello e
condizioni
di Chilina:
non parlare
di lei
consegna
del rubino
e condizioni di Colina: tornare
entro venti
giorni
consegna di
un rubino e
condizioni
di Aquilina:
tornare entro un anno
e non parlare di lei
viaggio (400
giorni, ma
lo fa in una
notte per la
magia della
donna)
viaggio (400
giorni, ma
lo fa in una
notte per la
magia della
donna)
viaggio
(400 giorni,
ma lo fa in
una notte
per la magia
della
donna)
carica i doni
e viene trasportato in
un battibaleno
viaggia
come
un
principe e
arriva nella
piazza
arriva in paese e bussa
alla porta
del pescatore: voci della gente
chiede
al
rubino vesti
e corteo da
cavaliere
chiede
al
rubino vesti
e corteo da
cavaliere
chiede
al
rubino vesti
e corteo da
cavaliere
viene rico- viene rico- viene rico- non viene non viene non viene
nosciuto
nosciuto
nosciuto
riconosciuto riconosciuto riconosciuto
si fa raccontare la storia dai suoi
genitori e
viene riconosciuto da
una cicatrice a forma
di 7 che ha
sulla testa
58
t r a s f o r m a trasforma la
la casa e si casa e si papalesa dopo lesa
un
lungo
dialogo tra
la madre e
il padre al
risveglio
Il Liombruno di Calvino tra fonti orali e scritte
dopo 9 mesi
vuole
andarsene ma
i parenti lo
invitano a
partecipare
al
torneo
bandito dal
re di Granata
dopo 9 mesi
vuole
andarsene ma
i parenti lo
invitano a
partecipare
al
torneo
bandito dal
re di Granata
spiega che
i mercanti
l’hanno fatto cavaliere
di Bufaloro
e vuole andarsene ma
i parenti lo
invitano a
partecipare
al
torneo
bandito dal
re di Granata
vuole provare la sua
ventura e si
fa armare
dall’anello
vuole provare la sua
ventura e si
fa armare
dall’anello
combatte
contro un
forte saracino e vince; il re gli
promette
sua figlia in
moglie ma
prima prende consiglio
dai baroni
combatte
contro un
forte saracino e vince; il re gli
promette
sua figlia in
moglie ma
prima prende consiglio
dai baroni
il padre lo
porta
al
casino dei
Nobili e qui
si vanta di
avere una
bellissima
sposa
dopo pochi
giorni parte
e arriva in
una grande
città (“come
sarebbe a
dire Napoli”) e sente il
bando
partenza
dopo
un
tempo non
specificato
e arrivo in
una
città
non specificata dove
sente il bando
vuole provare la sua
ventura e si
fa armare
dall’anello
per spacconata chiede
al
rubino
aiuto
vuole fare
il gradasso
grazie all’anello
combatte
contro un
forte saracino e vince; il re gli
promette
sua figlia in
moglie ma
prima prende consiglio
dai baroni
infilza una
stella
ma
scappa per
tre volte finché il re non
lo fa catturare
partecipa
alla giostra
per tre giorni di seguito
e vince ma
scappa finché il re non
lo costringe
a palesarsi
59
Maria Teresa Imbriani
il vanto nella sala del
trono con i
baroni: ha
la
donna
più
bella
del mondo
e il re gli
concede 30
giorni per
mostrarla,
a pena di
morte
il vanto nella sala del
trono con i
baroni: ha
la
donna
più bella del
mondo e il
re gli concede 30 giorni
per mostrarla, a pena di
morte
il vanto nella sala del
trono con i
baroni: ha
la
donna
più
bella
del mondo
e il re gli
concede 30
giorni per
mostrarla,
a pena di
morte
i Nobili gli
concedono
3 giorni per
portare la
sposa al Casino
il re fa preparare
le
nozze, ma
in quel momento Liombruno
dichiara di
non poter
sposare la
figlia del re
perché ha
già un’altra
sposa
dichiara di
non poter
sposare la
figlia del re
perché ha
già un’altra
sposa
Aquilina,
chiamata attraverso l’anello, manda
prima
due serve e
poi compare e lo porta
in un prato dove lo
abbandona
senza nulla
il 31° giorno la donna arriva,
ma manda
prima di lei
due serve,
poi compare e lo porta
in un prato dove lo
abbandona
senza nulla
il 30° giorno la donna arriva,
ma manda
prima di lei
due serve,
poi compare e lo porta
in un prato dove lo
abbandona
senza nulla
appaiono
in sequenza
due serve
e il terzo
giorno Chilina che gli
strappa l’anello e sparisce
Colina, evocata attraverso il rubino, manda
prima le due
serve, poi si
manifesta,
gli
toglie
l’anello
e
gli dice che
la potrà ritrovare solo
dopo aver
consumato 7 paia di
scarpe
di
ferro
Aqulina,
evocata attraverso
il
rubino,
manda prima le due
serve, poi si
manifesta,
gli
toglie
l’anello
e
gli dice che
la potrà ritrovare solo
dopo aver
consumato 7
paia di scarpe di ferro
60
Il Liombruno di Calvino tra fonti orali e scritte
entra in un
bosco e s’imbatte in tre
malandrini
entra in un
bosco e s’imbatte in tre
malandrini
entra in un
bosco e s’imbatte in tre
malandrini
si congeda
dai genitori
e si mette in
cerca della
sposa pieno
di denari
il re lo fa
bastonare
e, rimasto
senza nulla, prima di
uscire dalla
città, si fa
fare da un
fabbro le
7 paia di
scarpe di
ferro e ne
indossa un
paio
rimasto senza nulla, prima di uscire
dalla città, si
fa fare da un
fabbro le 7
paia di scarpe di ferro e
ne indossa
un paio
i malandrini
litigano per
un mantello, dei calzari (“usatti”) e una
montagna
di denaro.
Liombruno
li deruba e
lascia che si
ammazzino
tra di loro
i malandrini
litigano per
un mantello, dei calzari (“usatti”) e una
montagna
di denaro.
Liombruno
li deruba e
lascia che si
ammazzino
tra di loro
i malandrini
litigano per
un mantello, dei calzari (usatti) e una
montagna
di denaro.
Liombruno
li deruba e
lascia che si
ammazzino
tra di loro
entra
in
un’Osteria
dove incontra due assassini che
litigano per
gli stivali e
il mantello;
i due assassini si uccidono tra di
loro
in un bosco
dorme con
tre
ladri,
che la mattina lo chiamano per
fare da giudice della
spartizione:
lui li deruba di stivali,
mantello e
borsa
in un bosco
incontra tre
ladri, che
lo chiamano per fare
da giudice
della spartizione: lui
li deruba di
stivali, mantello e borsa
61
Maria Teresa Imbriani
va in due
osterie per
interrogare
i mercanti,
che gli indicano la casa
dei
venti,
dove trova
un vecchio;
i venti sono
71 e l’ultimo
(Valeriano)
gli promette
di condurlo
da Aquilina
va in un’osteria per
interrogare
i mercanti,
che gli indicano la casa
dei
venti,
dove trova
un vecchio;
interroga i venti
(Ponente,
Garbino,
Levante,
Greco, Marino, Maestro, Ostro,
Borea, Tramontana)
fino a che
l’ultimo,
Scirocco,
promette di
condurlo da
Aquilina
va in un’osteria per
interrogare
i mercanti,
che gli indicano la casa
dei
venti,
dove trova
un vecchio;
interroga i venti
(Ponente,
Garbino,
Levante,
Greco, Marino, Maestro, Ostro,
Borea, Tramontana)
fino a che
l’ultimo,
Scirocco,
promette di
condurlo da
Aquilina
va in una
locanda e
il padrone
gli indica le
sette montagne, dove
trova un’Eremita che
ospita i 7
venti (Marino, Scirocco, Ponente, Levante,
Pisano, Tramontano)
in mezzo a
un
bosco
s’imbatte
nella casa
dei venti e la
madre Voria
lo
ospita
nascondendolo
dai
Venti che,
tornando a
casa, sentono odore di
carne umana: la madre
serve loro la
polenta
in mezzo a
un bosco,
su una rupe
scoscesa,
s’imbatte
nella casa
dei venti e la
madre Voria
lo
ospita
nascondendolo; i venti
( Tr a m o n tana, Maestrale, Gea,
Libeccio,
Scirocco)
tornando a
casa sentono odore di
carne umana: la madre
serve loro la
polenta
Valeriano lo Scirocco lo Scirocco lo Tramontano Scirocco lo Scirocco lo
a c c o m p a - conduce al conduce al lo conduce conduce al conduce al
palazzo
palazzo
al palazzo palazzo
gna fino al palazzo
sorvegliato
palazzo sorda leoni
vegliato dai
dragoni
62
Il Liombruno di Calvino tra fonti orali e scritte
Aquilina è
a tavola e
Liombruno
non
visto
mangia al
suo posto;
lei lo rimpiange. Poi
va a letto,
lui le si corica a fianco
e viene scoperto
Aquilina è
a tavola e
Liombruno
non
visto
mangia al
suo posto;
lei lo rimpiange. Poi
va a letto,
lui le si corica a fianco
e viene scoperto
Aquilina è
a tavola e
Liombruno
non
visto
mangia al
suo posto;
lei lo rimpiange. Poi
va a letto,
lui le si corica a fianco
e viene scoperto
e n t r a
nell’appartamento
della donna
e mangia la
sua minestra
trova
la
donna che
soffre d’inedia e le sottrae il cibo
nascondendosi con il
mantello
trova
la
donna che
soffre d’inedia e le sottrae il cibo
nascondendosi con il
mantello
Liombruno
racconta la
sua storia e
fanno pace
Liombruno
racconta la
sua storia e
fanno pace
Liombruno
racconta la
sua storia e
fanno pace
Madonna
Chilina lo
perdona e
chiama tutti
i familiari al
palazzo per
la celebrazione delle
nozze
si rende visibile e si fa
riconoscere;
Colina
lo
perdona e si
festeggiano
le nozze
si rende visibile e si fa
riconoscere;
Aquilina lo
perdona e
si organizza
un banchetto
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