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Il "Liombruno" di Calvino tra fonti orali e scritte

2020, Narrare e rappresentare la favola. Metamorfosi di un genere, a cura di Francesca Malagnini, Firenze, Franco Cesati

Quaderni della rassegna 179. NARRARE E RAPPRESENTARE LA FAVOLA Metamorfosi di un genere A cura di Francesca Malagnini Franco Cesati Editore Il volume è stato pubblicato con il contributo dell’Università per Stranieri di Perugia - Finanziamento per Progetti di Ricerca di Ateneo - PRA 2019. I contributi di questo volume sono stati sottoposti a revisione anonima. ISBN 978-88-7667-869-1 © 2020 proprietà letteraria riservata Franco Cesati Editore via Guasti, 2 - 50134 Firenze In copertina: Arthur Rackham, Cinderella (Ashenputtel) in a ball gown, illustrazione da Grimm’s Fairy Tales (1925), Londra, British Library. Cover design: ufficio grafico Franco Cesati Editore. www.francocesatieditore.com - email: [email protected] INDICE Francesca Malagnini, Premessa p. 9 Ilaria Rossini, «Cento novelle, o favole o parabole o istorie che dire le vogliamo». Declinazioni del “fabuloso” nel programma poetico del Decameron » 11 Floriana Calitti, La voce “morale” degli animali dal Cinquecento a Leopardi e oltre » 21 Maria Teresa Imbriani, Il Liombruno di Calvino tra fonti orali e scritte » 43 Toni Marino, La Narrative Practice Hypothesis di Daniel Hutto. Folk psychology, fiaba e storytelling » 65 Federico Giordano, Pentamerone per immagini. Quattro esempi di rappresentazione visuale delle fiabe di Basile » 81 Giovanna Zaganelli, Metamorfosi di Pinocchio in copertina » 93 Catherine De Wrangel, Alessandro Siviglia e la dolce favola » 109 Giacomo Nencioni, Gli occhi di Olimpia. Tracce del perturbante nelle vite transmediali di Pinocchio » 117 Mirco Michelon, Parola, immagine e rappresentazione. La favola Melusina di Antonio Porta » 125 7 Walter Zidarič, Cenerentola sulla scena musicale parigina alla fine dell’Ottocento: ovvero Cendrillon di Jules Massenet » 131 Antonio Catolfi, Cenerentola, una favola in diretta televisiva di Andrea Andermann e Carlo Verdone » 149 Vittoriano Gallico, Mutamento e resistenza della favola in Lazzaro felice di Alice Rohrwacher » 165 Antonio Allegra, Some things never change. Favola e ideologia nella narrazione transumanista » 177 Francesca Malagnini, Favola e fiaba: appunti linguistici » 187 Abstract » 205 Indice dei nomi » 213 8 MARIA TERESA IMBRIANI IL LIOMBRUNO DI CALVINO TRA FONTI ORALI E SCRITTE A mia madre, disvelatice di Liombruno 1. Tra cantari e fiabe Nel lungo e proficuo dibattito incentrato su Liombruno, in particolare sulla sua versione canterina1, è rimasto escluso proprio colui che ne ha riproposto il tema per i piccoli e grandi lettori della contemporaneità: Italo Calvino. Inserita al nr. 134 della celebre raccolta di Fiabe italiane (CALVINO 1993) e ascritta alla provincia di Potenza in Basilicata, la fiaba narra di un fanciullo, Liombruno appunto, predestinato dal padre, prima della nascita, a un Nemico diabolico, e salvato, nel momento della consegna, da un’aquila-fata che lo trasporta nel suo mondo, lo alleva e gli si promette in sposa. Ma la fiaba non finisce qui: morso dalla nostalgia della sua famiglia, infatti, il giovane convince la fata-moglie a lasciarlo tornare nel mondo degli uomini; quest’ultima, però, lo lascia andare imponendogli un “divieto”, secondo il lessico proppiano, che sarà poi infranto dall’eroe. Perciò il nostos tra le fate e la riconquista della sposa sarà disseminato di difficoltà e avventure: non mancano né un torneo cavalleresco, né un “vanto”, né le mitiche sette paia di scarpe di ferro da consumare, cui si aggiungono nell’ordine la conquista degli oggetti magici, una visita alla casa dei venti e il “vissero felici e contenti” finale. Come tutte le altre fiabe calviniane, anche Liombruno non fu trascritta direttamente dalla tradizione orale: il geniale narratore selezionò, riordinò e riprese da «questi mai abbastanza lodati “demopsicologi”» (ID. 1996: 33) dell’Ottocento, seguaci della Scuola storica, le fiabe più originali e rappresentative dello spirito italiano, 1 Si vedano almeno VARANINI 1953; AGENO 1959; DONÀ 2005; BARILLARI 2007; BONAFIN 2014; RABBONI 2009. 43 Maria Teresa Imbriani per dare al paese quella raccolta nazionale e unitaria che fino ad allora era mancata. Ispirata al lavoro dei fratelli Grimm, la raccolta giungeva, seppur tardiva, a un paese uscito nuovamente diviso dal secondo conflitto mondiale e ancora bisognoso, come già era accaduto al momento dell’unificazione dell’Italia, di ribadire un’unità che si richiamasse al popolo. Nonostante l’impegno degli studiosi post-unitari, infatti: la gran raccolta delle fiabe popolari di tutta Italia, che sia anche un libro piacevole da leggere, popolare per destinazione e non solo per fonte, non l’abbiamo avuto [sic]. Si poteva fare oggi? Poteva nascere con tanto «ritardo» sulle mode letterarie e sull’entusiasmo scientifico? Ci parve che forse solo adesso esistevano le condizioni per fare un libro così, data la vasta mole di materiale reperibile e dato il distacco da un «problema della fiabe)» più scottante (ivi: 34). Il lavoro di Calvino fu contemporaneamente geografico e storico: non solo scelse le fiabe di cui poteva documentare «l’esistenza nei dialetti italiani» ma si orientò contemporaneamente a «rappresentare tutte le regioni italiane» (ivi: 42), nella lucida consapevolezza che, se le fiabe non appartengono a uno specifico luogo fisico («Le fiabe, si sa, sono uguali dappertutto» ivi: 43), pure ogni luogo coltiva motivi e personaggi che ne rispecchiano le caratteristiche. Diciamo dunque italiane queste fiabe in quanto raccontate dal popolo in Italia, entrate per tradizione orale a far parte del nostro folklore narrativo e similmente le diciamo veneziane o toscane o siciliane; e poiché la fiaba, qualunque origine abbia, è soggetta ad assorbire qualcosa dal luogo in cui è narrata – un paesaggio, una moralità, o pur solo un vaghissimo accento o sapore di quel paese –, il grado in cui si sono imbevute di questo qualcosa veneziano o toscano o siciliano è appunto il criterio preferenziale della mia scelta (ivi: 43). Il Liombruno di Calvino ha la sua fonte privilegiata, ma non esclusiva, come vedremo, nel Lionbruno delle Novelline popolari italiane che Domenico Comparetti aveva pubblicato nel 1875 nella serie dei Canti e racconti del popolo italiano diretta insieme ad Alessandro D’Ancona. Rimasto l’unico volume di un progetto ben più ambizioso che avrebbe dovuto comprendere prefazione, varianti e «illustrazioni comparative», Comparetti vi faceva confluire le «novelline», ossia le fiabe, «raccolte da me e da altri per me in varie parti d’Italia dalla bocca del popolo», «riferite fedelmente come furono narrate», ma tradotte «tutte nella lingua comune, ad eccezione di poche» lasciate nel «dialetto originale» (COMPARETTI 1875: V)2. Quelle 2 Come si evince dalla prefazione (COMPARETTI 1875: V-VI), collaborarono alla raccolta Giuseppe Ferraro per le fiabe del Monferrato (Carpeneto) e di Barga (prov. di Lucca), Gherardo Nerucci per Montale (presso Pistoia), Antonio Gian Andrea per Jesi (provincia di Ancona), Raffaello 44 Il Liombruno di Calvino tra fonti orali e scritte lucane provenivano dalle trascrizioni di Raffaele Bonari – allievo di D’Ancona alla Scuola Normale di Pisa nei primi anni Settanta dell’Ottocento, ma più noto sul versante napoletano per aver curato il postumo Studio sul Leopardi di DE SANCTIS 1885, di cui fu tra gli uditori della seconda scuola – ed erano state raccolte tra Tito e la nativa Spinoso, nella stessa valle dell’Agri, più tardi cantata e disvelata da Leonardo Sinisgalli anche sul versante dell’oralità3. Alla Basilicata è assegnato il racconto da Calvino, che nella nota esplicativa precisa: Un cantare cavalleresco toscano, trapiantato in Lucania, ha preso un po’ della religiosità cupa di quei luoghi. La Bellissima istoria di Liombruno, cantare in versi della fine del secolo XIV, è una compiuta storia di destino umano, secondo le tradizioni del romanzo medievale: la nascita predestinata da un voto al diavolo, la salvezza da parte d’una fata, l’educazione amorosa e cavalleresca, il ritorno a casa e il beneficio ai genitori, la giostra del cavaliere sconosciuto, il «vanto», la perdita dell’amata, e poi una serie di motivi prettamente fiabistici come le sette scarpe di ferro, i tre oggetti fatati disputati dai ladri, la casa dei venti (CALVINO 1993). È ancora Calvino a segnalare alcune delle varianti di Liombruno sul versante favolistico in altre tradizioni regionali dall’Emilia alla Sicilia4 e a indicare che, oltre al cantare omonimo, alcuni dei motivi della fiaba sono strettamente connessi alla tradizione canterina: Il ritorno a casa in licenza della sposa soprannaturale è un motivo assai diffuso degli antichi cantari (per es. Il bel Gherardino) e delle fiabe popolari […]. Il «vanto» della sposa-fata è un noto motivo cavalleresco (cfr. il lai di Maria di Francia, Lanval). La trama della fiaba, i nomi dei protagonisti e le ambientazioni fantastiche coincidono dunque con una storia tràdita da un cantare del Trecento, che ha avuto una tradizione a stampa fortunata e continua a partire dal XVI secolo (VARANINI 1954: 253-259). Edito di recente dal ms. Antonelli 521 della Biblioteca Comunale Ariostea di Ferrara (MANETTI 2002), il cantare era già noto a Vittorio Imbriani che nella Novellaja fiorentina, oltre alla fiaba con variante di titolo (Leombruno), ne forniva una trascrizione da una stampa ottocentesca (IMBRIANI 1877: 454-471 riproNocchi per quelle del Mugello (Toscana), Salvatore Risicato per quelle di Catania e Demetrio Camarda per la comunità albanese di Piana de’ Greci in Sicilia. 3 Si vedano almeno SINISGALLI 1955; VITELLI 2005; IMBRIANI 2012. 4 Calvino individua le versioni dell’Emilia, della Toscana, della Campania e della Sicilia e poi precisa: «Tranne che nella siciliana (in cui la fata è La ’Mperatrici Trebisonna e il protagonista è il solito Peppi), le altre versioni conservano per il protagonista e per la fata gli stessi nomi del cantare, variamente pronunciati (Liombruno, Leonbruno, a Bologna Umbron; Chilina, Colina, Aquileina)». 45 Maria Teresa Imbriani duce ANONIMO 1808). L’edizione critica, «impresa di molta fatica, ma abbastanza rimeritata dal frutto», a detta di Alessandro D’Ancona (VARANINI 1953: 251), uscì ad opera di Ezio Levi D’Ancona (LEVI 1914) e fu esemplata su una stampa toscana del XV secolo: si tratta dell’edizione più fortunata del cantare riedita poi in SAPEGNO 1952: 843-868, cui seguì la trascrizione del ms. 1095 ritrovato nella Biblioteca Nazionale di Parigi a opera di VARANINI 1954: 276-281. Ma qui non vogliamo fare la storia editoriale del cantare per quanto siano urgenti e importanti le questioni filologiche che emergono (su cui si veda la visione puntuale di DONÀ 2007: 159 e sgg.), né potremo in questa sede considerare tutte le diverse versioni della fiaba, elencate ora in APRILE 2000: II, 536-5595. A noi interessa, a partire dal lavoro di Calvino, soffermarci sulla costante diffusione della storia di Liombruno in Italia, dati da un lato il divario geografico (Romagna, Toscana, Basilicata, Sicilia) e dall’altro la distanza temporale (XIV e XIX secolo) tra il cantare in versi e il narratore orale da cui apprende la fiaba Bonari per il Comparetti fonte di Calvino; l’obiettivo che mi prefiggo in questa sede consiste nell’identificare il nucleo essenziale del racconto nella sua radice orale, più antico forse e del ms. Antonelli di Ferrara e della fiaba comparettiana, alla base sia della tradizione canterina sia di quella favolistica, e le costanti della storia, che chiameremo, seguendo ROUSSET 1980, «invarianti», che la accompagnano nel suo giro d’Italia e nelle sue mutazioni di genere. Se Donà ha recentemente affermato, a proposito dei cantari, che dalla tradizione folklorica questi testi derivano «senza mediazioni» (DONÀ 2007: 160), Calvino stesso si chiedeva se non ci fosse «un modo moderno» per «raccogliere le fiabe dalle bocche del popolo» basato su una «maggiore coscienza storica e sociale e psicologica» (CALVINO 1996: 41) oltre che, si potrebbe aggiungere, filologica e linguistica. 2. La voce del popolo Il ritrovamento di un manoscritto riconducibile al lavoro preparatorio della raccolta comparettiana, forse proprio quello vergato da Bonari – la fonte della fonte di Calvino –, variamente corretto e sintetizzato dal curatore per la stampa definitiva, nel Fondo Comparetti della Biblioteca dell’Istituto centrale per la demoetnoantropologia di Roma, ci consente una serie di osservazioni sul passaggio dall’oralità alla scrittura e qualche considerazione aggiuntiva sulla scelta di quella versione di Liombruno tra le altre tradizionali da parte di Calvino. Questo e gli altri brogliacci del Fondo erano noti a Italo Calvino che, nella sua lunga e documentata Introduzione, a proposito delle poche fiabe della Lucania che gli provengono dal 5 APRILE 2000 assegna al Liombruno la tipologia thompsioniana (AARNE/THOMPSON/UTHER 2004) AT 400 La sposa perduta, anche se noi pensiamo che a molte altre categorie tipologiche possano corrispondere i diversi segmenti narrativi del Liombruno, a cominciare dal Patto con il diavolo. 46 Il Liombruno di Calvino tra fonti orali e scritte Comparetti e che gli sembra siano narrate «con grande slancio romantico e gusto per le storie più complicate», annota: Gli undici «cunti» della Basilicata pubblicati nel volume del Comparetti (in italiano, tranne uno) erano stati raccolti a Spinoso e a Tito (Potenza) da Raffaello Bonari e i manoscritti si possono ritrovare al Museo di Roma (CALVINO 1996: 65-66). Il Museo delle Arti e Tradizioni Popolari, ora Museo della Civiltà, è ormai separato dall’Istituto centrale per la demoetnoantropologia (diventato Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale) dove, non facilmente6, è stato finalmente rinvenuto il materiale comparettiano che Calvino aveva consultato nelle sue accurate ricerche: il manoscritto relativo a Lionbruno, nr. 158 del Fondo Comparetti di Roma, è un brogliaccio di 31 cc. vergato sulla metà destra di fogli a righe in formato grande con svariate correzioni. La grafia nervosa e sottile non sembra quella di Domenico Comparetti, ma non sappiamo se sia quella di Bonari. Il ms. 158, su cui converrebbe ritornare con maggiore sistematicità, ci permette di formulare alcune ipotesi sull’apporto del narratore orale nei confronti della storia che sta raccontando. Le numerose cancellature di parole e frasi, quasi sicuramente dovute alla mano di Domenico Comparetti, riguardano per la gran parte i dialoghi e le riflessioni dei personaggi che tendono a giustificare, a impreziosire o a dilatare alcuni lacerti narrativi che si prestano maggiormente a interventi di illustrazione e di adattamento, anche morale, al proprio livello culturale, alle conoscenze proprie e a quelle del pubblico di uditori. Comparetti è infatti intervenuto a cassare periodi e locuzioni che sembrano rimandare da vicino alla psicologia del narratore popolare, da cui, forse già con la revisione del Bonari, proviene la narrazione. Ci sembra utile riportare in questa sede una campionatura di frasi del ms. 158, espunte dal testo finale della novellina a stampa, avvertendo che trascriveremo solo alcune di quelle che sono interamente cassate con un tratto di penna orizzontale, mentre sarà più difficile, caso mai si dovesse darne un’edizione con varianti, ricostruire le molte pagine illeggibili per le cancellature scarabocchiate e sovrapposte al testo primitivo. All’inizio del racconto, per esempio, la risposta del pescatore al Nemico, che gli promette «giustizia», si conclude con la seguente espressione: «Davvero? Ebbene dillo su presto quello che ho da fare, che io darei anche l’anima al diavolo»; poco più avanti, l’uomo rifletterà tra sé, pensando di ingannarlo, che la moglie «è fatta anche lei vecchierella» e figli non ne verranno più. La sera prima della consegna del fanciullo, è interessante leggere il battibecco cassato tra il marito e la moglie che cerca di indagare il motivo del malessere di lui che le ha ordinato di mandarle 6 Abbiamo ricostruito la collocazione dei mss. romani del Fondo Comparetti dal saggio di D’ALESSANDRO 1992 e da DELITALA 2007. Qualche notizia in più sul Fondo in MILILLO 1992. 47 Maria Teresa Imbriani il fanciullo con il paniere l’indomani mattina sulla spiaggia: «A me non l’hai a dire, a me non l’hai a dire. Povera me, stassera [sic] povera me! – Sta zitta. Te l’ho detto che è nulla. Senti. Ora vieni qua. Io mi vado a coricare che non mi sento bene». Ma la donna non si arrende: Io credeva che tu l’avessi già il paniere. Come non te lo porti tu il paniere quand’è mattina, che la creatura va a scuola e poi viene tardi? - Quando viene viene. Tu dagli il paniere e mandamelo. - Come mai verrà il ragazzo solo solo fino al mare? Tu lo vuoi far stancare la povera creatura. - E tu? Oh che capo duro. T’ho detto che tu me l’hai a mandare, e tu mandamelo (Roma, Fondo Comparetti, ms. 158). Interessante ci sembra poi la cancellatura del lungo sfogo della madre quando riferisce della sua innocenza rispetto all’inganno subito da lei e dal figlio a causa del patto con il Nemico. La donna infatti, parlando a Liombruno che ancora non si è disvelato, gli spiega che dal giorno della scomparsa non ha avuto più notizie del figlio: E chi ce la poteva dare, amore della mamma? Ah! io sono stata ingannata, io sono stata tradita! Se no non lo perdevo. Iddio per questo ha mandato la maledizione sulla nostra casa, e non possiamo mai aver bene. Signorino mio, è stato proprio il padre, il padre proprio che l’ha tradito il suo figliuolo! E io non l’ho saputo se non quando l’avevo perso! Il figliuolo mio! Oh come non me ne sono accorta allora? [++]7 Figlio mio bello, cuore della mamma tua, e non t’ho più da vedere più? figlio, figlio! (Roma, Fondo Comparetti, ms. 158) E quando Liombruno si fa riconoscere iniziano a piangere tutti e due la mamma e il figliuolo. Figlio mio bello, amore della tua mamma! Io non credeva che t’avrei veduto più! Cara gioia di questo core! E dove sei stato? E com’è che l’avevi abbandonata la mamma tua, figlio mio, amore mio? E se lo mangiava di baci, la povera madre (Roma, Fondo Comparetti, ms. 158). Mi sembra ovvio, dai pochi lacerti di cui abbiamo dato testimonianza, che il narratore popolare della fiaba di Spinoso sia in verità una donna, forse una nonna novellatrice, che rimarca l’innocenza della madre, nella parte di vittima incolpevole, insieme al figlio, del tradimento del padre e dell’inganno del demonio. L’attenzione al ruolo delle madri le fa anche introdurre una significativa innovazione nella saga liombruniana, con l’inserimento di un personaggio del tutto nuovo, cioè Voria (voce dialettale per Bora), madre dei Venti, a conferma della ricchezza di questo mondo popolare: 7 Due parole sono indecifrabili. 48 Il Liombruno di Calvino tra fonti orali e scritte non è vero che l’Italia sia più povera di narrazioni fantastiche di altri popoli. Tutt’altro! […] E il merito va tutto al popolo italiano che ha […] un’arte di raccontare fiabe […] piena di felicità, d’inventiva fantastica, di spunti realistici, di gusto, di saggezza. Ognuna delle duecento fiabe del volume si basa su un testo raccolto dalla voce di una vecchietta, d’un contadino, d’una ragazza di villaggio, di una balia, d’un pastore (CALVINO 1996: VI). La progressiva cancellazione della voce della donna nelle correzioni del ms. 158 passate a testo in Comparetti subisce un’ulteriore limatura in Calvino, dove le uniche voce femminili ad aver diritto alla parola sono quelle di due personaggi ultraterreni: la Fata Aquilina e appunto Voria, la madre dei Venti, nel ruolo di mediatrice tra la terra e il cielo. 3. Varianti e invarianti narrative Hanno fatto notare, prima AGENO 1959 all’uscita del Liombruno di VARANINI 1954 e recentemente DONÀ 2005 all’uscita del Liombruno di MANETTI 2002, che fiabe e cantari condividono la stessa natura genetica, lo stesso DNA narrativo, provenendo spesso entrambi da una pratica orale, forse di gran lunga precedente alla scritta o comunque sicuramente a essa affiancata. Se così fosse, non meraviglia che un cantare di Liombruno, per decenni ritenuto di origine toscana, venga ritrovato tra i mss. della collezione Antonelli di Ferrara, né meraviglia che Bonari abbia udito la stessa vicenda dalla viva voce del popolo lucano, a Spinoso in Val d’Agri, così come Vittorio Imbriani a suo tempo l’aveva raccolta dalla sua «novellaja fiorentina» e poi a seguire con la lunghissima serie di varianti favolistiche ricondotte al Liombruno. Ed è ovvio che bisogna certamente interrogarsi «sul concetto stesso di fonte in ambito popolare» (RABBONI 2009: 426), dove i cantari rappresentano un ramo, magari più alto e colto, della tradizione favolistica, ovvero «il primo genere letterario in cui le fiabe trovano espressione abituale e codificata» (DONÀ 2007: 164), come sostiene appunto Carlo Donà, intervenuto anche sul cantare di Liombruno (ID. 2005: 117-119). Sebbene non sia escluso che proprio del cantare a stampa possano essere circolate copie un po’ ovunque anche nel Regno di Napoli, da cui potrebbe aver appreso la storia, direttamente o indirettamente, il narratore a suo tempo interpellato da Bonari e quindi che la leggenda si sia diffusa dalla scrittura alla voce e non viceversa, non mancano spie che fanno pensare a un’originale tradizione/trasposizione a partire dallo stesso nucleo narrativo. D’altronde, avvertiva CARDONA 1983: 25, «c’è un continuo e documentabile scambio fra i due mondi dell’oralità e della scrittura», non sempre ricostruibile tuttavia in termini di stretta e “stemmatica” discendenza. 49 Maria Teresa Imbriani Se però mettiamo a confronto, evidenziando le particolarità di stampo narratologico8, il testo dei cantari e delle fiabe, potremmo almeno individuare le varianti e le invarianti narrative, i motivi ricorrenti o quelli perduti, le innovazioni o errori del narratore o i suoi richiami ad altre saghe limitrofe. Prendendo in esame tre cantari, MANETTI 2002, LEVI 1914 e ANONIMO 1808 e tre redazioni favolistiche, quella di IMBRIANI 1877, la più corrotta e lontana dalla tradizione tematica qui rappresentata, e quelle di COMPARETTI 1875 e CALVINO 1993, possiamo in primo luogo notare quanto le circostanze esterne influiscano sul contenuto narrativo e anche poi quanto e in che modo Calvino, al lavoro per la sua versione, non si sia sottratto al ruolo di un qualsiasi narratore che sempre interviene nel racconto con i suoi aggiustamenti. Attraverso le innovazioni che apporta alla fiaba comparettiana assorbendo alcuni particolari del cantare dall’edizione SAPEGNO 1952 (che ripropone però Levi 1914), è infatti proprio il nostro scrittore contemporaneo il primo a ricercare i nuclei tematici più puri e antichi della vicenda di Liombruno, immergendosi «in questo mondo sottomarino disarmato d’ogni fiocina specialistica» (CALVINO 1996: 36), ma “armato” certamente del piacere e dell’arte del narrare9, alla pari del popolo primo autore dell’opera. Anche a confronto con il materiale dei cantari e pur conoscendo altre versioni della fiaba, la scelta calviniana si indirizza infatti decisamente sulla versione raccolta da Bonari in Basilicata proprio perché è senza dubbio «tra le decine e decine di versioni della stessa fiaba la più bella e più caratteristica e più impregnata dello spirito di un luogo» (ivi: VI). Per tutti i testi che esaminiamo (per i quali si veda la Tabella in Appendice), il padre di Liombruno è un «pescatore», a eccezione proprio di Comparetti dov’è un «marinaio», variante significativa di un mondo dell’Appennino interno lontano dagli usi marinareschi; il «Nemico» è così definito solo in Comparetti e quindi in Calvino, mentre per Manetti e Levi è il «dimonio», nella stampa ottocentesca è un «Corsaro/Turco» e in Imbriani un «serpente». Significativa è l’inversione che riguarda la moglie «vecchia» (che si ricordi era «vecchierella» nel ms. 158) o «in età avanzata» in Comparetti e Calvino, che nei cantari è «più fresca che rosa»; i figli qui sono tre, in Imbriani 12, invece Comparetti/Calvino fanno del nascituro l’ultimo figlio della coppia non più giovane, che ha già tre-quattro figli in Comparetti e quattro in Calvino, da consegnare al compimento dei 13 anni, mentre negli altri testi la consegna è immediata e viene richiesto il figlio minore. Una corruzione dialettale si nasconde nel nome della fata che diventa Colina in Comparetti, Chilina in Imbriani, mentre è Madonna Aquilina nei cantari e in Calvino che li riprende: si manifesta in forma di aquila nei cantari e in Calvino a salvare il fanciullo, in for- Resta ancora utile il metodo di BENDINELLI 1981. «Prevedo già molte delle critiche che m’aspettano. Chi predilige il testo popolare genuino non mi potrà perdonare d’averci “messo le mani” e anche soltanto d’aver preteso di “tradurre”»: CALVINO 1996: 44. 8 9 50 Il Liombruno di Calvino tra fonti orali e scritte ma di fata invece in Comparetti che sottolinea la reazione del Nemico, tra lampi e tuoni. Nei cantari la fata ha 10 anni e sposerà Liombruno, dopo averlo allevato e istruito (dopo 8 anni per l’Anonimo), mentre in Comparetti la Fata Colina è la regina delle fate che lo alleveranno e gli si prometterà in sposa quando il giovane le chiederà il permesso di andare dai genitori; in Calvino infine è l’aquila fata ad annunciare, prima dell’educazione dell’eroe, che sarà suo sposo. L’eroe, «malinconico» per Manetti, «nequitoso» per Levi, «pensieroso» per l’Anonimo, ha nostalgia del padre e della madre per Comparetti, di casa per Calvino. L’anello magico che la fata consegna a Liombruno diventa un rubino solo in Comparetti/Calvino e il viaggio di 400 giorni dei cantari, fatto però in una notte, non è specificato nelle fiabe. Altra inversione tra cantari e fiabe è che nei primi l’eroe è immediatamente riconosciuto, mentre nelle altre il disvelamento avviene per gradi. Diverso è anche il tempo in cui Liombruno soggiorna nel mondo terreno prima di manifestare l’intenzione di tornare da Aquilina, differita dalla partecipazione al torneo: nove mesi nei cantari Manetti/Levi, per poi rispondere al bando del torneo del re di Granata; dopo pochi giorni in Comparetti e la città del bando è Napoli, significativamente capitale del Regno, tutte informazioni omesse in Calvino. Il combattimento contro un forte saracino cui segue il consiglio tra Re e Baroni nei cantari, del tutto omessi in Imbriani che parla di Casino dei Nobili, diventa una giostra di abilità (una stella da infilzare in Comparetti, non specificata in Calvino) che dura per tre giorni finché il re non lo costringe a palesarsi. Al vincitore del torneo spetta in moglie la figlia del re, ma Liombruno pronuncia il “vanto”, che nei cantari avviene nella sala del trono (e in Imbriani nel Casino dei Nobili), omesso da Calvino, come dalla sua fonte Comparetti, se non nei termini di rinuncia al matrimonio con la figlia del re perché ha una sposa più bella. La punizione della Fata con l’imposizione di consumare sette paia di scarpe di ferro prima di poterla rivedere è innovazione di Comparetti e quindi di Calvino: nei cantari infatti Liombruno è abbandonato da Aquilina indignata su un prato. I tre malandrini dei cantari in cui il protagonista s’imbatte nel bosco sono tre ladri in Comparetti e Calvino, mentre in Imbriani due assassini incrociati in un’Osteria. Gli oggetti magici sono sostanzialmente gli stessi, un mantello, gli stivali («usatti» nei cantari) e la montagna di denaro che, se manca del tutto in Imbriani, si trasforma in borsa magica sempre piena di soldi per Comparetti/Calvino. Significativa ci appare anche la variante che riguarda la casa dei venti, dove Liombruno incontra un vecchio per i cantari, un’Eremita in Imbriani e Voria (ricordiamo, voce dialettale per Bora) in Comparetti/Calvino. I venti sono 71 e Valeriano lo accompagna fino al palazzo di Aquilina sorvegliato dai dragoni in Manetti; in Levi e in Anonimo i venti sono Ponente, Garbino, Levante, Greco, Marino, Maestro, Ostro, Borea, Tramontana e Scirocco che lo conduce dalla moglie; in Imbriani sono sette, Marino, Scirocco, Ponente, Levante, Pisano e Tramontano che lo accompagna al palazzo sorvegliato da leoni; in Comparetti i venti non sono specificati ma è Scirocco a condurlo, mentre Calvino ne nomina cinque, Tramontana, Maestrale, Gea, Libeccio e Scirocco appunto che lo accompagnerà dalla don- 51 Maria Teresa Imbriani na. Nei cantari Liombruno, non visto, assiste alla cena di Aquilina e poi si corica a fianco a lei nel letto dove saranno scoperti, quasi novelli Amore e Psiche; nelle fiabe si fa riconoscere mentre la donna è a tavola. Nel finale i cantari rimarcano la pace dei due sposi, mentre le fiabe sottolineano il “perdono” della fata. Alle osservazioni fin qui condotte, si può aggiungere che non irrilevante è il contributo di Calvino nella riproposizione della fiaba comparettiana: intanto, come si è già sottolineato, vi è il ripristino del personaggio del «pescatore» al posto del «marinaio» e dell’aquila che, solo dopo l’intervento salvifico, si trasforma in Fata Aquilina. Quest’ultima poi prende il nome dalla fusione delle fonti: in Comparetti è infatti Fata Colina, nei cantari Madonna Aquilina, perdendo da un lato il nome dialettale e dall’altro i connotati epico-cavallereschi. La Fata lo trasporta su un’«alta montagna» e gli annuncia le nozze nel momento della sua trasformazione: è dunque sparito il palazzo della fonte e tutte le indicazioni temporali ed estremamente sintetizzata è l’educazione dell’eroe tra le fate. Al momento della consegna del rubino, la Fata detterà le sue condizioni, ma i venti giorni stabiliti per il ritorno in Comparetti diventano in Calvino un anno come nei cantari. Eliminato il lungo dialogo con i genitori prima del riconoscimento, Calvino lo farà partecipare alla giostra, ma senza infilzare la «stella»; così, catturato dal re che gli impone di sposare la figlia, svela subito di avere già una promessa sposa: in Comparetti invece si conserva la solennità del «vanto» dei cantari perché Liombruno svelerà la sua natura solo al momento delle nozze alla presenza del re, della figlia e di tutta la corte. Acquisita l’innovazione delle sette paia di scarpe di ferro (come non ricordare qui la nonna Lucia di Carducci?), acquisito il personaggio della madre dei Venti di contro ai cantari, Calvino introduce il nome per i venti, che manca nella sua fonte, con delle novità anche rispetto alle saghe tradizionali: Maestrale, Gea e Libeccio infatti sono solo nella sua versione. Nel finale è poi omessa la celebrazione delle nozze ma al «gran banchetto nel palazzo», i Venti saranno «tutti invitati a turbinare intorno in segno di festa»10. Ogni autore insomma adatta il racconto al suo tempo, si potrebbe dire, e lo declina, semplificandolo o complicandolo, al suo pubblico. Sulle invarianti fondamentali, si aggiungono poi alcune varianti significative che si riconnettono al contesto geostorico: prendiamo la giostra, che da combattimento contro il «saracino» (che peraltro viene non solo sconfitto ma ucciso da Liombruno e che riaffiora in Imbriani come Corsaro/Turco e prende il posto del Demonio/Nemico) diventa via via un’abilità, la stella da infilzare a cavallo con una lancia in resta. O prendiamo il «vanto» che ancora resiste nella redazione favolistica di Imbriani e viene eliminato in quei termini in Calvino. Il substrato mitico-religioso affiora poi un po’ ovun- 10 «Allora mangiarono e bevvero insieme e chiamarono le serve e fecero gran festa. Il giorno appresso ordinarono tutto per lo sposalizio e sposarono con gran magnificenza e allegria. La sera poi fecero una festa di ballo e una bella cena, che bisognava vedere!»: COMPARETTI 1875: 182-183. 52 Il Liombruno di Calvino tra fonti orali e scritte que, dal pescatore al demonio/serpente tentatore, dalla simbologia del numero 7 all’apparizione della donna in forma di aquila/angelo, dal riferimento ai saraceni al perdono della donna. D’altro canto, non si può negare che le costanti del nucleo essenziale del racconto facciano riferimento ad archetipi fondanti della nostra tradizione, oltre che della nostra psicologia, che affiancano la fiaba alle saghe eroiche della mitologia classica, rendendole fruibili al pubblico di un mondo cambiato nei suoi paesaggi interiori ed esteriori. Le fiabe sono: per loro natura soffitte e ripostigli […]. I loro contenuti sono disordinati, e spesso alterati, un guazzabuglio di dati, intenzioni e gusti diversi; ma tra di essi casualmente si può trovare qualcosa di valore permanente: un’antica opera d’arte, non troppo rovinata, che solo la stupidità può aver ficcato in un angolo (TOLKIEN 1983: 196). Resta a questo punto la considerazione, riguardo non solo al modo, ma anche al perché un autore rielabori il modello di riferimento, mito o motivo letterario che sia, impresso quasi come un palinsesto nella memoria collettiva e riaffiorante qui e là in filigrana a riconnettere il mondo medievale alle sue radici più profonde e antiche. In Liombruno l’invariante più significativa mi sembra riconducibile al nostos, il ritorno: la nostalgia di casa e dei genitori prima, che lo induce a lasciare la Fata e il mondo incantato, quasi un novello Ulisse che lascia Calipso e l’immortalità che la donna vorrebbe donargli; la nostalgia della Fata-moglie, ora diventata un doppio di Penelope, la quale, ormai umanizzata anche lei in virtù dell’amore, lo attende consumandosi nel dolore. Una nostalgia che costringe l’eroe ad affrontare la punizione, le sette paia di scarpe di ferro, significativamente aggiunte nella redazione favolistica e che visivamente traducono la fatica e la pena dell’eroe alle prese con un’impresa impossibile. Non a caso, il narratore orale metteva in bocca al suo eroe il lamento per i beni della fortuna perduti per un capriccio, frase anch’essa cassata, ma spia eloquente della morale popolare: Povero me, diceva, avevo trovato la mia fortuna, e l’ho gettata via per un capriccio! Non dovevo andar dritto dalla mia sposa che mi aveva fatato, e mi voleva tanto bene? Ed ora come farò per ritrovarla? (Roma, Fondo Comparetti, ms. 158) L’archetipo di Liombruno è forse più antico dei cantari, che via via affiorano come sue fonti tra gli studiosi: tramontato il Lanval di Maria di Francia (cfr. BONAFIN 2014) mentre si fa avanti l’Yvain di Chrétien de Troyes (cfr. BARILLARI 2007), il romanzo di formazione di questo eroe ferino ribadisce il concetto della libertà e della fortuna dell’uomo, nonostante la predestinazione/maledizione iniziale (edipica?), determinata dalla scelta del padre. 53 Maria Teresa Imbriani Bibliografia AARNE/THOMPSON/UTHER 2004 = ANTTI AARNE / STITH THOMPSON / HANS-JÖRG UTHER, The Types of International Folktales. A Classification and Bibliography Based on the System of Antti Aarne and Stith Thompson, Helsinki, Suomalainen Tiedeakademia. 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Lionbruno Liombruno glio) consegna del consegna del consegna del c o n s e g n a consegna a consegna a 13 anni figlio minore figlio minore figlio minore dei figli dal 13 anni (7 anni) (7 anni) (7 anni) maggiore al minore isola isola isola c o n s e g n a spiaggia diretta il fanciullo il fanciullo grida fino viene rifiusi fa il segno si fa il segno a quando tato dal serdella Croce della Croce il Corsaro/ pente Turco non scappa 56 gioca con dei pezzi di legno a forma di croce spiaggia gioca con dei pezzi di legno a forma di croce Il Liombruno di Calvino tra fonti orali e scritte intervento dell’aquila (uccello in forma di donzella) intervento dell’aquila (donna che pare un’aquila) intervento intervento intervento intervento dell’aquila dell’aquila della Fata dell’aquila (sotto forColina, regime “grifana delle fate gne” una donzella che pareva un’aquila) viaggio fino al castello (tutta la notte) viaggio fino al castello (tutta la notte) viaggio fino al castello (tutta la notte) viene lasciato su un’isola sul tetto del palazzo di Madonna Chilina agnizione di Madonna Aquilina (che ha dieci anni) agnizione di Madonna Aquilina (che ha dieci anni) agnizione di Madonna Aquilina (che ha dieci anni) agnizione di Madonna Chilina con dodici damigelle allevato e istruito, sposa Aquilina: qui viene nominato Liombruno allevato e istruito, sposa Aquilina: qui viene nominato Liombruno allevato e istruito, sposa Aquilina dopo 8 anni: qui viene nominato Liombruno Liombruno “malinconico” vuole rivedere i fratelli e i genitori Liombruno “nequitoso” vuole rivedere i fratelli e i genitori Liombruno “pensieroso” vuole rivedere i fratelli e i genitori viene portato nel palazzo della Fata Colina e allevato dalle fate viene trasportato su un’alta montagna l’aquila si trasforma in Fata Aquilina e gli dice che sarà suo sposo le fate lo allevano e istruiscono Chilina legge il pensiero di Leombruno e prepara i regali per i genitori e gli 11 fratelli 57 Liombruno chiede alla Fata il permesso di andare a trovare il padre e la madre (e la Fata gli si promette in sposa) Liombruno ha nostalgia della casa terrena Maria Teresa Imbriani consegna dell’anello e condizioni di Aquilina: tornare entro un anno e non parlare di nulla consegna dell’anello e condizioni di Aquilina: tornare entro un anno e non parlare di lei consegna dell’anello e condizioni di Aquilina: tornare entro un anno e non parlare di nulla consegna dell’anello e condizioni di Chilina: non parlare di lei consegna del rubino e condizioni di Colina: tornare entro venti giorni consegna di un rubino e condizioni di Aquilina: tornare entro un anno e non parlare di lei viaggio (400 giorni, ma lo fa in una notte per la magia della donna) viaggio (400 giorni, ma lo fa in una notte per la magia della donna) viaggio (400 giorni, ma lo fa in una notte per la magia della donna) carica i doni e viene trasportato in un battibaleno viaggia come un principe e arriva nella piazza arriva in paese e bussa alla porta del pescatore: voci della gente chiede al rubino vesti e corteo da cavaliere chiede al rubino vesti e corteo da cavaliere chiede al rubino vesti e corteo da cavaliere viene rico- viene rico- viene rico- non viene non viene non viene nosciuto nosciuto nosciuto riconosciuto riconosciuto riconosciuto si fa raccontare la storia dai suoi genitori e viene riconosciuto da una cicatrice a forma di 7 che ha sulla testa 58 t r a s f o r m a trasforma la la casa e si casa e si papalesa dopo lesa un lungo dialogo tra la madre e il padre al risveglio Il Liombruno di Calvino tra fonti orali e scritte dopo 9 mesi vuole andarsene ma i parenti lo invitano a partecipare al torneo bandito dal re di Granata dopo 9 mesi vuole andarsene ma i parenti lo invitano a partecipare al torneo bandito dal re di Granata spiega che i mercanti l’hanno fatto cavaliere di Bufaloro e vuole andarsene ma i parenti lo invitano a partecipare al torneo bandito dal re di Granata vuole provare la sua ventura e si fa armare dall’anello vuole provare la sua ventura e si fa armare dall’anello combatte contro un forte saracino e vince; il re gli promette sua figlia in moglie ma prima prende consiglio dai baroni combatte contro un forte saracino e vince; il re gli promette sua figlia in moglie ma prima prende consiglio dai baroni il padre lo porta al casino dei Nobili e qui si vanta di avere una bellissima sposa dopo pochi giorni parte e arriva in una grande città (“come sarebbe a dire Napoli”) e sente il bando partenza dopo un tempo non specificato e arrivo in una città non specificata dove sente il bando vuole provare la sua ventura e si fa armare dall’anello per spacconata chiede al rubino aiuto vuole fare il gradasso grazie all’anello combatte contro un forte saracino e vince; il re gli promette sua figlia in moglie ma prima prende consiglio dai baroni infilza una stella ma scappa per tre volte finché il re non lo fa catturare partecipa alla giostra per tre giorni di seguito e vince ma scappa finché il re non lo costringe a palesarsi 59 Maria Teresa Imbriani il vanto nella sala del trono con i baroni: ha la donna più bella del mondo e il re gli concede 30 giorni per mostrarla, a pena di morte il vanto nella sala del trono con i baroni: ha la donna più bella del mondo e il re gli concede 30 giorni per mostrarla, a pena di morte il vanto nella sala del trono con i baroni: ha la donna più bella del mondo e il re gli concede 30 giorni per mostrarla, a pena di morte i Nobili gli concedono 3 giorni per portare la sposa al Casino il re fa preparare le nozze, ma in quel momento Liombruno dichiara di non poter sposare la figlia del re perché ha già un’altra sposa dichiara di non poter sposare la figlia del re perché ha già un’altra sposa Aquilina, chiamata attraverso l’anello, manda prima due serve e poi compare e lo porta in un prato dove lo abbandona senza nulla il 31° giorno la donna arriva, ma manda prima di lei due serve, poi compare e lo porta in un prato dove lo abbandona senza nulla il 30° giorno la donna arriva, ma manda prima di lei due serve, poi compare e lo porta in un prato dove lo abbandona senza nulla appaiono in sequenza due serve e il terzo giorno Chilina che gli strappa l’anello e sparisce Colina, evocata attraverso il rubino, manda prima le due serve, poi si manifesta, gli toglie l’anello e gli dice che la potrà ritrovare solo dopo aver consumato 7 paia di scarpe di ferro Aqulina, evocata attraverso il rubino, manda prima le due serve, poi si manifesta, gli toglie l’anello e gli dice che la potrà ritrovare solo dopo aver consumato 7 paia di scarpe di ferro 60 Il Liombruno di Calvino tra fonti orali e scritte entra in un bosco e s’imbatte in tre malandrini entra in un bosco e s’imbatte in tre malandrini entra in un bosco e s’imbatte in tre malandrini si congeda dai genitori e si mette in cerca della sposa pieno di denari il re lo fa bastonare e, rimasto senza nulla, prima di uscire dalla città, si fa fare da un fabbro le 7 paia di scarpe di ferro e ne indossa un paio rimasto senza nulla, prima di uscire dalla città, si fa fare da un fabbro le 7 paia di scarpe di ferro e ne indossa un paio i malandrini litigano per un mantello, dei calzari (“usatti”) e una montagna di denaro. Liombruno li deruba e lascia che si ammazzino tra di loro i malandrini litigano per un mantello, dei calzari (“usatti”) e una montagna di denaro. Liombruno li deruba e lascia che si ammazzino tra di loro i malandrini litigano per un mantello, dei calzari (usatti) e una montagna di denaro. Liombruno li deruba e lascia che si ammazzino tra di loro entra in un’Osteria dove incontra due assassini che litigano per gli stivali e il mantello; i due assassini si uccidono tra di loro in un bosco dorme con tre ladri, che la mattina lo chiamano per fare da giudice della spartizione: lui li deruba di stivali, mantello e borsa in un bosco incontra tre ladri, che lo chiamano per fare da giudice della spartizione: lui li deruba di stivali, mantello e borsa 61 Maria Teresa Imbriani va in due osterie per interrogare i mercanti, che gli indicano la casa dei venti, dove trova un vecchio; i venti sono 71 e l’ultimo (Valeriano) gli promette di condurlo da Aquilina va in un’osteria per interrogare i mercanti, che gli indicano la casa dei venti, dove trova un vecchio; interroga i venti (Ponente, Garbino, Levante, Greco, Marino, Maestro, Ostro, Borea, Tramontana) fino a che l’ultimo, Scirocco, promette di condurlo da Aquilina va in un’osteria per interrogare i mercanti, che gli indicano la casa dei venti, dove trova un vecchio; interroga i venti (Ponente, Garbino, Levante, Greco, Marino, Maestro, Ostro, Borea, Tramontana) fino a che l’ultimo, Scirocco, promette di condurlo da Aquilina va in una locanda e il padrone gli indica le sette montagne, dove trova un’Eremita che ospita i 7 venti (Marino, Scirocco, Ponente, Levante, Pisano, Tramontano) in mezzo a un bosco s’imbatte nella casa dei venti e la madre Voria lo ospita nascondendolo dai Venti che, tornando a casa, sentono odore di carne umana: la madre serve loro la polenta in mezzo a un bosco, su una rupe scoscesa, s’imbatte nella casa dei venti e la madre Voria lo ospita nascondendolo; i venti ( Tr a m o n tana, Maestrale, Gea, Libeccio, Scirocco) tornando a casa sentono odore di carne umana: la madre serve loro la polenta Valeriano lo Scirocco lo Scirocco lo Tramontano Scirocco lo Scirocco lo a c c o m p a - conduce al conduce al lo conduce conduce al conduce al palazzo palazzo al palazzo palazzo gna fino al palazzo sorvegliato palazzo sorda leoni vegliato dai dragoni 62 Il Liombruno di Calvino tra fonti orali e scritte Aquilina è a tavola e Liombruno non visto mangia al suo posto; lei lo rimpiange. Poi va a letto, lui le si corica a fianco e viene scoperto Aquilina è a tavola e Liombruno non visto mangia al suo posto; lei lo rimpiange. Poi va a letto, lui le si corica a fianco e viene scoperto Aquilina è a tavola e Liombruno non visto mangia al suo posto; lei lo rimpiange. Poi va a letto, lui le si corica a fianco e viene scoperto e n t r a nell’appartamento della donna e mangia la sua minestra trova la donna che soffre d’inedia e le sottrae il cibo nascondendosi con il mantello trova la donna che soffre d’inedia e le sottrae il cibo nascondendosi con il mantello Liombruno racconta la sua storia e fanno pace Liombruno racconta la sua storia e fanno pace Liombruno racconta la sua storia e fanno pace Madonna Chilina lo perdona e chiama tutti i familiari al palazzo per la celebrazione delle nozze si rende visibile e si fa riconoscere; Colina lo perdona e si festeggiano le nozze si rende visibile e si fa riconoscere; Aquilina lo perdona e si organizza un banchetto 63