Siculorum Gymnasium
LXXI, IV, 2018
La verità secondo Ponzio Pilato
di Lucia Masetti
1. Introduzione
Che cos’è la verità? Dopo duemila anni continuiamo a interrogarci su questa domanda, su colui che la pose e colui al quale
venne posta. Ne fa fede il gran numero di “apocrifi moderni”,
ossia riscritture dei Vangeli da parte di autori contemporanei: un
genere sorprendentemente diffuso, nel quale la figura di Pilato
gode di un particolare successo.1 Di lui si sono occupati autori
del calibro di Michail Bulgakov, Anatole France, Roger Caillois,
Friedrich Dürrenmatt e Karel Čapek; in Italia poi la produzione è
meno altisonante ma cospicua, e coinvolge sia scrittori cattolici,
come Elena Bono o Luigi Santucci, sia laici come Giorgio Linguaglossa e Lino Cascioli. Ma perché Pilato affascina tanto? Certo è
un personaggio sfuggente: di lui non si sa quasi nulla e i Vangeli
ne restituiscono un ritratto ambivalente; proprio per questo ogni
epoca ha potuto reinterpretarlo nel modo ad essa più congeniale.
Per di più alcune caratteristiche lo rendono particolarmente affine alla sensibilità moderna.
Dal punto di vista socio-politico, anzitutto, Pilato vive in un’epoca di crisi e disorientamento: l’Impero romano comincia ad
avvertire i sintomi del declino, mentre una nuova era si profila all’orizzonte.2 Anche i valori tradizionali perdono mordente:
1
2
Cfr. G. Langella (a cura di), Apocrifi moderni: riscritture dei Vangeli nel Novecento e oltre. Atti del
Convegno Nazionale Università cattolica del Sacro Cuore Brescia-Milano, 8-9 maggio 2012, Borgomanero, Ladolfi, 2013.
Pilato è il «médiateur sceptique d’une période de transition», e ciò va inteso «en synchronie (dans
l’espase réferentiel polythéiste romain) mais plus ancore en diachronie». S. Traire, Ponce Pilate ou
l’oubli, in J. Vercruysse (a cura di), Ponce Pilate, «Graphè», XXII, Artois, Artois Presses Université,
Issn: 2499-667X
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Lucia Masetti, La verità secondo Ponzio Pilato
«Non abbiamo più un regno di certezze, un terreno solido su cui
poggiare i piedi».3 Conseguentemente distinguere il bene dal
male diventa complesso. A questo proposito Cascioli traccia un
parallelo tra la Roma antica e l’America moderna: entrambe si
propongono come civilizzatrici dell’Oriente ma nascondono un
volto violento e prevaricatore.4 Altri invece accostano Roma agli
stati totalitari: quello nazista, come nel Quinto evangelio di Pomilio, o quello stalinista, come nel Maestro e Margherita di Bulgakov. Pilato tende così a collocarsi in una zona grigia in cui
la viltà sfuma nella necessità e il male è «banale». Dal punto
di vista religioso, inoltre, egli può facilmente rappresentare l’uomo secolarizzato. La sua epoca infatti è abituata a considerare la
molteplicità degli dèi con una tolleranza indifferente e, sebbene
sia percorsa da inquietudini religiose, ha sempre più difficoltà a
credere in qualcosa. Di conseguenza l’atteggiamento di Pilato nei
confronti di Gesù è ambivalente, oscillando tra ammirazione e
scetticismo. In breve Pilato è un personaggio inquieto, nel quale
si intrecciano ambiguamente bene e male, dubbio e fede. È naturale perciò che i moderni tendano a immedesimarsi in lui e si
interroghino ancora sulla verità a partire dalla sua prospettiva.5
2. Quale verità?
La prima questione da considerare è quale concetto di verità
avesse in mente Pilato nel momento in cui pose la sua domanda.
Ora, benché ciascun autore immagini il personaggio in modo diverso, il quadro complessivo è significativamente coerente, proprio perché tende a riflettere l’attualità.
3
4
5
2013, pp. 102-103.
G. Linguaglossa, Ponzio Pilato, Milano-Udine, Mimesis, 2010, p. 19. Cfr. C. Vallone, Ego, Pilatus,
Milano, Italia letteraria, 1989, pp. 9-10.
L. Cascioli, La versione di Pilato, Roma, Cooper, 2011, p. 119.
Alcuni autori infatti indicano proprio nella verità l’obiettivo del loro scrivere, o ne fanno la parola
chiave della loro opera. Cfr. C. Vallone, Ego Pilatus, cit, p. 7.; E. Schmitt, Il vangelo secondo Pilato,
trad. di L. Del Corno Guagnellini, Cinisello Balsamo, San Paolo Edizioni, 2013, p. 32; E. Bono, La
moglie del procuratore, Genova, Marietti, 2015, pp. 51 e 187; M. Soldati, Pilato, Torino, Aragno,
2010, p. 105.
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2.1. Razionale
Anzitutto la verità di Pilato ha una chiara impostazione razionale. Egli infatti dimostra «una notevole lucidezza intellettuale»,6
e vede in Roma «l'unica garanzia di ragione nel mondo»,7 mentre
in Giudea il sonno della ragione «genera mostri».8 Il razionalismo si accompagna poi a un atteggiamento scettico verso la religione, vista come un «cedimento intellettuale».9 Tuttavia questo
atteggiamento può declinarsi in due forme diverse. Talvolta Pilato simboleggia la laicità come valore positivo: poiché la «verità
sugli dèi» non si può conoscere,10 le religioni sono mere illusioni;
ciascuno è libero di cercare conforto in esse,11 ma tale scelta deve
restare limitata alla sfera privata,12 mentre a livello pubblico la
libertà di pensiero è il valore primario da difendere. In questi casi
dunque Pilato si interessa alla religione non in quanto portatrice
di verità, ma semmai in quanto strumento di ascesi interiore o di
controllo sociale: si ha così uno slittamento dal criterio di verità
a quello di validità. In altri romanzi, invece, Pilato rappresenta
l’intellettuale dubbioso, aggrappato alla ragione ma inquieto nei
confronti del divino: «crede e non crede»,13 cerca di comprendere
ma non può,14 vuole allontanare il pensiero di Gesù ma non ci
riesce.15 Ha paura della «cosa enorme e assurda»16 che intuisce
«senza capirla».17
E. Bono, La moglie del procuratore, cit., p. 104.
G. Linguaglossa, Ponzio Pilato, cit., p. 46. Cfr. F. Ulivi, Come il tragitto di una stella, Cinisello Balsamo, San Paolo, 1997, p. 197.
8
L. Cascioli, La versione di Pilato, cit., p. 64.
9
G. Linguaglossa, Ponzio Pilato, cit., p. 74.
10
M. Gusso, Il mago. Il Gesù di Pilato. Una storia diversa, Vittorio Veneto, Kellermann editore, 2009,
p. 162.
11
M. Carbone-Colli, G. Rizzo, Codex Pilati, Scandicci, L’Autore Libri Firenze, 2008, p. 124.
12
L. Cascioli, La versione di Pilato, cit., p. 77 e p. 90.
13
E. Caldirola, Verbale del processo di Gesù Nazareno, Parma, Guanda, 1972, p. 161; J. Dobraczynski,
Ho visto il maestro!. Il romanzo di Maria Maddalena, trad. di P. Statuti, Milano, Gribaudi, 2005, p.
194.
14
C. Vallone, Ego Pilatus, cit., p. 32.
15
E. Bono, La moglie del procuratore, cit., p. 158 e G. Albertazzi, Pilato sempre, Milano, Ghisoni, 1973,
p. 65.
16
C. Alianello, Maria e i fratelli, Firenze, Vallecchi, 1955, p. 336.
17
F. Dürrenmatt, Pilato, in Romanzi e racconti, trad. di U. Gandini, Torino-Parigi, Einaudi-Galli6
7
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Nella letteratura straniera troviamo esempi estremi di entrambe le tendenze. France e Caillois ritraggono un Pilato razionalista che agisce strettamente in base alla logica, fino a esiti
paradossali. Nel primo caso Pilato considera la passione di Cristo
come una faccenda di nessun conto e se ne dimentica; mentre nel
secondo libera il prigioniero, agendo coerentemente con le proprie convinzioni. Bulgakov invece è il capostipite di una genia di
Pilati tormentati, divisi tra razionalità e inquietudini esistenziali. Uno dei suoi ultimi discendenti è il Pilato di Schmitt che, detective ante litteram, indaga sulla resurrezione di Gesù attraverso
continue ipotesi e verifiche. Proprio questo rigore scientifico però
lo conduce a quello che per Pascal è l’ultimo passo della ragione:
capire che ci sono infinite cose che la superano.
2.2. Processuale
Proprio perché elaborata attraverso la ragione, la verità di Pilato non si colloca più nell’ambito della certezza bensì in quello del dubbio e della ricerca. Non si tratta cioè di un possesso
pacifico ma di un processo in continuo divenire. Ciò può avere
una connotazione negativa, come nel Pilato di Soldati: l’assenza
di punti di riferimento implica un’eterna indecisione, in cui si
riflette la «difficoltà di sceverare e affidarsi a una fede» propria
della «generazione che visse l’instaurarsi del fascismo».18 Anche
il Pilato di Linguaglossa, benché molto più energico, rivela una
mente irrequieta e spesso inconcludente, che «ama retrocedere,
ama soffermarsi […] per poi avanzare con mossa fulminea… senza una ragione plausibile, senza una utilità immediata».19 Il dubbio raggiunge poi un livello patologico nella Moglie del procuratore: Pilato comincia a parlare da solo, come se stesse sostenendo
18
19
mard, 1993, p. 744.
G. Jori, Il teatro della coscienza di Mario Soldati, in Id. (a cura di), Ponzio Pilato, cit., p. 129.
G. Linguaglossa, Ponzio Pilato, cit., pp. 71-72. Un altro Pilato tormentato dal dubbio è in G. Marinelli, Non vi amerò per sempre, Milano, Bompiani, 2008, p. 11.
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un perenne «contraddittorio interno».20 La sua stessa sorte rimane sospesa, tanto che Claudia commenta desolatamente: «Tutto
è incerto…».21
Tuttavia l’incertezza può avere anche un risvolto positivo. La
conoscenza della verità diventa un’avventura personale e trasformante, che richiede la partecipazione attiva dell’individuo.
Gusso è particolarmente deciso in tal senso: il suo Pilato è devoto
alla dea Curiositas, che «protegge gli ingegni ansiosi di sapere
e li preserva dall’accettare passivamente le spiegazioni offerte
sulle ragioni degli accadimenti».22 Gli s’attaglia bene, dunque,
un’osservazione di Ossola: «Pilato diviene il primo eroe dell’annientamento di ogni rivelazione che pretenda [di ergersi] a verità. L’uomo, fattosi destino di sé stesso, non deve più aderire a, ma
costruire verità».23
D’altra parte la costruzione attiva e graduale della verità è
promossa anche da autori cristiani. Per Schmitt, addirittura, Pilato è «il primo cristiano» nel senso moderno del termine, proprio
perché la sua fede non si basa su eventi visti in prima persona
ma su indizi, testimonianze e riflessioni. 24 Lo stesso si può dire
per Vallone, autore di un’altra storia di conversione: Dio lascia
che la verità entri nella vita di Pilato «come un tenue raggio di
sole»,25 perché sarebbe stato troppo duro per lui apprenderla d’un
colpo. Elena Bono mostra un processo simile in Claudia, la quale
approda alla fede dopo lunga e complessa ricerca; e forse la salvezza è raggiunta anche da Pilato, poiché in fondo «il continuare
a cercare è il segnale di una conversione già iniziata».26 Infatti,
proprio perché la ricerca della verità avviene nel profondo dell’anima, il percorso dell’individuo non si può pienamente prevedere
né valutare dall’esterno: perciò la speranza resta sempre aperta.
E. Bono, La moglie del procuratore, cit., p. 150.
Ivi, p. 162.
22
M. Gusso. Il mago, cit., p. 62.
23
C. Ossola, Pontius, te souvient-il…?, in G. Jori (a cura di), Ponzio Pilato, cit., p. 96.
24
E. Schmitt, Il vangelo secondo Pilato, cit., p. 298.
25
C. Vallone, Ego Pilatus, cit., p. 180.
26
E. Bono, La moglie del procuratore, cit., p. 205. «Dubitare e credere sono la stessa cosa» afferma
invece Claudia in E. Schmitt, Il vangelo secondo Pilato, cit., p. 293.
20
21
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Lucia Masetti, La verità secondo Ponzio Pilato
2.3. Molteplice
Il Pilato di Caldirola pone un confine netto tra la propria concezione e quella di Gesù: «Per te c’è una verità assoluta, immutabile, eterna […] ma per me […] l’unica verità è che non esiste la
Verità».27 Cascioli amplia ulteriormente questa contrapposizione,
facendone un fatto culturale prima che personale: «Noi sappiamo
che la verità è relativa agli uomini, alle situazioni e alla storia. Ci
sono invece civiltà che fermamente credono che esista una sola
verità, assoluta, incontestabile».28 In effetti, per i Pilati letterari,
una verità unica è generalmente inaccettabile: dal punto di vista teorico è un’arbitraria semplificazione, nata dall’incapacità di
«sopportare la complessità»;29 dal punto di vista pratico implica
una prepotente e spesso violenta affermazione del proprio punto
di vista. Ironizza ad esempio il Pilato di Čapek: «Chiunque fabbrichi una verità, proibisce tutte le altre verità. Come se un falegname che facesse una nuova sedia, vietasse di sedersi sulle altre
sedie che qualcuno ha fatto prima di lui».30 Tale problematica è
spesso richiamata dagli autori per spiegare la mancata risposta
di Gesù alla domanda di Pilato: il prefetto non aspetta la risposta
«perché, a suo modo di vedere, risposta non ci poteva essere».31
Lui non crede nella verità, e in fondo «nemmeno vorrebbe sapere cosa sia».32 Cascioli intende addirittura la domanda come
un quesito retorico, che esprime un «accorato rimprovero» per
le affermazioni inappropriate dell’imputato.33 Del resto «soltanto
un ebreo, e pazzo per giunta, può parlare di verità a un passo
dalla croce».34
E. Caldirola, Verbale del processo di Gesù Nazareno, cit., p. 158.
L. Cascioli, La versione di Pilato, cit., p. 109.
M. Gusso, Il mago, cit., p. 62.
30
K. Čapek, Il libro degli apocrifi, trad. di L. De Nardis, Roma, Editori riuniti, 1989, p. 77.
31
G. Berto, La gloria, Milano, Mondadori, 1978, p. 180.
32
L. Santucci, Volete andarvene anche voi?. Una vita di Cristo, Milano, Mondadori, 1970, p. 246.
33
L. Cascioli, La versione di Pilato, cit., p. 111.
34
C. Vassalli, La notte del lupo, Milano, Baldini & Castoldi, 1998, p. 114.
27
28
29
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Il contrasto poi si inasprisce ancor più se si considerano i rapporti tra Pilato e i cristiani. Tanto che in alcuni romanzi si verifica un rovesciamento paradossale: il prefetto appare come il
difensore della verità, che invece i cristiani tradiscono. Nel Mago
di Gusso in particolare i cristiani appaiono malvagi e bugiardi,
mentre Pilato è l’unico a combattere per la verità e dunque, in
ultima analisi, l’unico discepolo autentico di Gesù.35 Anche per
Pazzi Gesù vorrebbe trasmettere una verità profonda e dinamica36
che però i suoi discepoli stravolgono, cristallizzandola in dogmi.
Perciò Tiberio, venuto a conoscenza dei fatti, ordina a Pilato di
diffondere un falso racconto della Passione: in questo modo crede
di minare il potere dei cristiani e quindi – paradossalmente – di
preservare la verità di Gesù.37
2.4. Pragmatica
Solitamente gli interessi di Pilato sono concentrati sulla sfera terrena, dove «tutto è reale»,38 e il reale è «l’unica cosa che
conta».39 Ciò che si può e si deve conoscere sono i fatti nudi e crudi della vita: «che si è nati per morire, che si invecchia, ma che la
vita ci appartiene».40 E, piuttosto che discettare sulla natura degli
dèi, l’importante è agire come se gli dèi ci fossero.41 Perciò per
Pilato la verità in senso assoluto è una pura «astrazione»,42 «un
castello in aria»;43 è una mera parola e «gli uomini non hanno
bisogno di parole, ma di pane, di coperte, di una casa…».44 Del
M. Gusso, Il mago, cit., p. 618. Peraltro Gusso sviluppa un accenno già presente in Bulgakov: entrambi infatti ritraggono l’evangelista Matteo come un uomo disturbato, che annota le parole di
Gesù distorcendole profondamente. Cfr. ivi, p. 52 e M. Bulgakov, Il maestro e Margherita, trad. di
M. Olsoufieva, Milano, Garzanti, 1973, p. 22.
36
«Amare il dio che è in ognuno, senza più negarsi adorandone uno esterno»: R. Pazzi, Il vangelo di
Giuda, Milano, Garzanti, 1989, p. 114.
37
Ivi, p. 214.
38
F. Grisi, Il diario di Ponzio Pilato, Chieti, Solfanelli, 1993, p. 28.
39
L. Cascioli, La versione di Pilato, cit., p. 131.
40
G. Albertazzi, Pilato sempre, cit., p. 38.
41
M. Gusso, Il mago, cit., p. 162.
42
L. Cascioli, La versione di Pilato, cit., p. 109.
43
E. Caldirola, Verbale del processo di Gesù Nazareno, cit., p. 157.
44
G. Linguaglossa, Ponzio Pilato, cit., p. 75.
35
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resto, se anche la verità fosse attingibile, probabilmente non sarebbe comunicabile45 e se fosse comunicabile non sarebbe accettata.46 Dunque la contrapposizione tra Pilato e Cristo è duplice:
Gesù è portatore di una Verità unica e metafisica, mentre Pilato
rappresenta una verità molteplice e pragmatica. La prima riguarda i fondamenti dell’esistenza, la seconda è relativa a eventi particolari e propedeutica all’azione.
La concentrazione di Pilato sulla sfera pratica può avere a sua
volta una sfumatura negativa o positiva. La Bono fornisce un
esempio emblematico del primo caso: Pilato cerca rifugio dalle
inquietudini del pensiero stordendosi con battaglie, intrighi politici, sesso; ma quest’immersione frenetica nella materialità non
ha altro effetto se non precipitarlo in una degradazione totale.47
E anche qui Bulgakov è un antecedente importante: il suo Pilato
cerca infatti di evadere dai propri tormenti scendendo sul piano
della violenza, come se la morte di Giuda da lui ordinata bastasse
a vendicare l’uccisione di Gesù.48
All’estremo opposto, il realismo è una virtù fondamentale del
Pilato di Gusso. Sua preoccupazione infatti è acquisire e diffondere una conoscenza esatta degli avvenimenti; ma, poiché tutti
intorno a lui danno più seguito alle ideologie che ai fatti, la sua
scelta acquista un’aura di eroismo.49 Già per Caillois, del resto,
il prefetto è eroico in quanto resta fedele ai fatti, senza farsi distrarre da profezie e considerazioni politiche. Il Pilato di Čapek
poi affronta esplicitamente il tema, rifiutando di considerare la
verità come una direttiva astratta: «Ho sempre seguito gli ordini, ma non perché fossero la verità. Verità era che ero stanco o
assetato».50 Il che ricorda un episodio del Maestro e Margherita:
45
Ivi, p. 125.
E. Caldirola, Verbale del processo di Gesù Nazareno, cit., p. 158 e G. Albertazzi, Pilato sempre,
cit., p. 39.
47
E. Bono, La moglie del procuratore, cit., pp. 130-135.
48
M. Bulgakov, Il maestro e Margherita, cit., p. 342.
49
Anche per Caldirola i Giudei tendono a manipolare le parole di Gesù, mentre Pilato vuole ricostruirle con accuratezza. Cfr. E. Caldirola, Verbale del processo di Gesù Nazareno, cit., p. 153.
50
K. Čapek, Il libro degli apocrifi, cit., p. 77.
46
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quando Pilato chiede: «Che cos’è la verità?», Gesù gli risponde:
«La verità è che ti fa male la testa».51 In entrambi i casi dunque si
sposta bruscamente l’attenzione dal piano astratto e impersonale
a quello concreto.
Peraltro il pragmatismo può avere una sfumatura positiva
anche in ambito cristiano. Schmitt in particolare rappresenta il
percorso di Pilato come una ricerca di indizi molto materiale,
incentrata sulla sparizione del corpo di Gesù. E anche in questo
caso l’accanimento del personaggio ha qualcosa di eroico: invece
di insabbiare i fatti egli lotta per scoprire la verità, seguendola poi
fino alle estreme conseguenze.
2.5. Analitica
Un’immagine usata da Cascioli sintetizza bene quanto detto
sinora: «Noi romani sappiamo da secoli che la realtà si frantuma
in una serie di frammenti imperfetti, difficilmente riconducibili a
un solo profilo. Ma in Oriente esistono uomini che in una tessera
sbrecciata pretendono di vedere tutto il mosaico».52 Qui dunque
Pilato stesso ci dà una chiara definizione del suo concetto di verità: relativo, parziale, frammentario. E in effetti, a ben guardare,
la verità di Pilato tende sempre a ricadere sotto il segno dell’analisi, della distinzione e della separazione, laddove la prospettiva
giudeo-cristiana tende a una visione sintetica. Anzitutto Pilato
contrappone verità molteplici ad una Verità unica: sia nel senso
che possono esserci molteplici opinioni, sia nel senso che il divino può avere volti diversi. Inoltre sottolinea il ruolo del singolo
nella ricerca della verità, mettendo in secondo piano la comunità
e la tradizione. Infine tende a separare la ragione dall’emotività,
la pratica dalle teorie astratte, e il piano umano dal piano divino.
51
52
M. Bulgakov, Il maestro e Margherita, cit., p. 24.
L. Cascioli, La versione di Pilato, cit., p. 21.
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3. Una Verità da incontrare
Insomma Pilato è portavoce di una verità – o meglio di più
verità – decisamente con la ‘v’ minuscola; in alcuni casi però egli
si misura con una Verità assoluta, non a livello filosofico bensì
esperienziale. Elena Bono illustra questa distinzione con particolare efficacia. Nella prima parte del suo romanzo diversi personaggi, tra cui la moglie di Pilato, sono riuniti a casa di Seneca.
Uno di loro, Pisone, è un chiaro alter ego di Pilato, ed è proprio lui
a riproporre la domanda chiave: «Che cos’è la verità?» La discussione si avvia così su un tono filosofico, ma sorprendentemente
arriva a descrivere la ricerca della verità come l’incontro con una
persona fisica. Certo Pisone usa un tono sarcastico, ma quella che
per lui è una personificazione ironica per Claudia è una realtà:
«Che tu sappia, Claudia» chiese Pisone «tuo marito si
imbatté mai in qualche verità di per sé […]? Ti disse mai,
venendo a tavola con un certo ritardo: “Devi perdonarmi,
mia cara, ma oggi ho avuto a che fare con la verità di per
sé. Spero non mi succeda più.”» […] La signora teneva lo
sguardo sulle proprie mani strette in grembo, pallidissime.53
Un simile rovesciamento prospettico è presente anche in
Čapek, che pure ha una concezione molto diversa dalla Bono. Il
suo Pilato «crede fermamente che la verità esista» e che «ognuno ne sia partecipe», ma sempre in modo parziale. Perciò l’unico
modo per raggiungere la verità è l’incontro: non tra idee opposte,
che non sempre sono conciliabili, ma tra persone. «‘Sì’ e ‘no’ non
si possono certo unire, ma la gente si può sempre unire; c’è più
verità negli uomini che nelle parole».54 Le idee infatti possono
anche essere errate, ma un barlume di verità si può sempre rintracciare nell’«anima» di una persona se ci si pone in dialogo con
lei; ed è questo che interessa Pilato.55
53
54
55
E. Bono, La moglie del procuratore, cit., p. 152.
K. Čapek, Il libro degli apocrifi, cit., p. 79.
Ivi, p. 77.
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3.1. I luoghi della Verità
Come dunque può avvenire l’incontro tra Pilato e la Verità
in senso assoluto? La risposta varia naturalmente a seconda degli autori. Talvolta la verità appartiene ad una sfera prettamente
fisica, carnale: «la sola verità raggiungibile»56 è la bellezza, che
Pilato ritrova tanto nella natura quanto nelle donne.57 Una seconda possibilità è più spiritualista: la verità si trova in sé stessi, ossia coincide con la realizzazione interiore dell’individuo. Si
tratta dunque, come spiega la Claudia di Albertazzi, di una verità
«concreta, privata»,58 che non risolve l’incertezza ma la apre a
nuovi sviluppi.
Non è vero che abbiamo bisogno di certezze, dal momento che […] ogni certezza […] è un inganno. Ho solo bisogno di credere fino in fondo nella mia incertezza, di
credere che sia veramente il frutto della mia esperienza
personale. Credo che sia la sola verità possibile.59
In questa prospettiva Cristo è il mediatore della verità, ma
non la incarna: il suo scopo è rendere ogni uomo «il tempio della
verità».60 A questo proposito è significativa la risposta che Gesù
dà alla famosa domanda di Pilato, nel romanzo di Gusso: non
una frase, ma un piccolo miracolo di autoguarigione. Lascia intendere quindi che la verità non sia un concetto astratto, bensì
un’esperienza di autoconoscenza e di dominio del proprio corpo,
maturata attraverso la meditazione.61 Una terza via poi è trovare
la verità all’interno di un culto, ma si tratta pur sempre di una
via esperienziale e profondamente personale. Ad esempio il Pilato di Carbone Colli dice di aver sperimentato molti culti diversi,
e riferisce addirittura «un incontro privilegiato» con il divino.62
L. Cascioli, La versione di Pilato, cit., p. 135.
Ivi, p. 75 e M. Gusso, Il mago, p. 408 e p. 548.
G. Albertazzi, Pilato sempre, cit., p. 104.
59
Ibidem.
60
Ivi, p. 38.
61
M. Gusso, Il mago, cit., pp. 40-41.
62
M. Carbone-Colli, Codex Pilati, cit., p. 135.
56
57
58
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Anche il Pilato di Gusso può vantare un’esperienza mistica, benché la dea cui è votato sia al di fuori del pantheon tradizionale, a
metà strada tra divinità e allegoria.63 Nessuno dei due però aderisce a un dogma o entra in una comunità religiosa: semplicemente
Pilato sceglie gli dèi «che sente più vicini al suo cuore».64
L’ultima possibilità, infine, è che la verità sia incarnata in
Gesù. In quest’ottica alcuni scrittori modificano il testo evangelico in modo che Gesù risponda chiaramente a Pilato: «La verità sono io».65 In altri casi la domanda «Che cos’è la verità?» si
trasforma esplicitamente per Pilato in «Chi è Gesù?».66 La verità
assume così un volto preciso e il processo di conoscenza prende
corpo nel rapporto personale tra l’uomo e Dio. Tale incontro, peraltro, permette all’uomo di conoscere meglio anche sé stesso,67 e
si attua attraverso il dialogo e il legame affettivo con i testimoni.
In questa accezione quindi la verità è un incontro a tutto tondo:
con gli altri, con sé stessi e con Dio.
3.2. Le ragioni del cuore
Resta da chiedersi con quale metodo Pilato si avvicini alla Verità. Chiaramente il suo abituale metodo di indagine razionale
non è sufficiente, come spiega la Claudia di Elena Bono: «Non è
per via di domande che si può arrivare ad aver pace col Galileo.
Fino alla fine il procuratore ha seguitato a chiedere, e s’è spezzato
come una povera barca a quel silenzio di pietra. C’è un’altra via…
M. Gusso, Il mago, cit., p. 65.
M. Carbone Colli, Codex Pilati, cit., p. 124.
G. Linguaglossa, Ponzio Pilato, cit., p. 97 e F. Grisi, Diario di Ponzio Pilato, cit., p. 22. Tradizionale
del resto è l’anagramma di Quid est veritas in Est vir qui adest.
66
E. Caldirola, Verbale del processo di Gesù Nazareno, cit., p. 261; M. Soldati, Pilato, cit., p. 97; E.
Bono, La moglie del procuratore, cit., p. 164. Schmitt invece riformula la domanda in senso esistenziale: «Cos’è che vale? […] Che cosa merita che ci si batta? Che si muoia? Che si viva?» (E. Schmitt,
Il vangelo secondo Pilato, cit., p. 292).
67
Per il Gesù di Caldirola i due aspetti sono strettamente collegati: «C’è in fondo all’uomo un regno
dove non arrivano i re della terra. Là regno io. È il regno della verità.» (E. Caldirola, Verbale del
processo di Gesù Nazareno, cit., p. 157). La stessa conclusione si trova anche in E. Bono, La moglie del
procuratore, cit., pp. 159-160 e L. Guarnieri, Ponzio Pilato. La divina tragedia, Como-Milano-Roma,
Edizioni storico letterarie, 1939, p. 315.
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la sola mi pare. […] Farsi un cuore diverso».68 Occorre dare spazio
cioè, come osserva Guarnieri, alle «ragioni dell’anima».69 Il fulcro della conoscenza passa così dalla dimensione intellettuale a
quella affettivo-spirituale.
Certo, non sempre questo processo si realizza appieno. Talvolta, come in Cascioli, lo spazio concesso all’emotività è ridotto:
abbastanza per fantasticare ma non per incrinare il modus vivendi di Pilato. Ancor più razionalista è il Pilato di France: e proprio
questo gli impedisce paradossalmente di cogliere l’importanza
storica di Gesù. Il suo amico Lamia, al contrario, riesce a intuire qualcosa grazie alla passione per la Maddalena; come a dire
che la verità ha bisogno anche della «médiation […] du desir».70
In altri romanzi poi Pilato reprime intuizioni ed emozioni con
uno sforzo di volontà, perché altrimenti dovrebbe «rivoltare la
propria vita come un guanto».71 Finisce così in una condizione di
stallo, preda di un’inquietudine che non riesce a incanalarsi in
nessuna direzione e perciò può diventare autodistruttiva.72 Peraltro è interessante che, nel brano sopraccitato, la Bono paragoni
Pilato a una «povera barca» spezzata. Si tratta probabilmente di
un rimando al poemetto di Pascoli L’ultimo viaggio, in cui Ulisse
finisce per naufragare contro gli scogli delle sirene nella vana
speranza di apprendere da loro la verità. Infine, in rari casi, l’esperienza spirituale è tanto pervasiva da cambiare completamente la vita di Pilato. In particolare il protagonista di Schmitt rinuncia a comprendere tutto e si mette in cammino (letteralmente e
figurativamente) sulle orme di Claudia. Dunque «des deux fils
conducteurs dans sa vie, la raison et l’amour, c’est le dernier qui
petit à petit prend le relève».73 Similmente il protagonista di Vallone si converte al cristianesimo sulla scia della moglie (e forse,
E. Bono, La moglie del procuratore, cit., p. 152.
L. Guarnieri, Ponzio Pilato, cit., p. 314.
S. Triaire, Ponce Pilate ou l’oubli, cit., p. 114.
71
C. Terron, Prefazione a G. Albertazzi, Pilato sempre, cit., p. 13.
72
È il caso, ad esempio, del Pilato di Santucci, Beck, Soldati, Caldirola, Albertazzi e Bono.
73
M. Van Tooren, Le Ponce Pilate d’Éric-Emmanuel Schmitt, in J. Vercruysse (a cura di), Ponce Pilate,
cit., p. 184.
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in extremis, ciò avviene anche al Pilato della Bono). Mentre i Pilati di Marinelli e di Gusso si impegnano, ciascuno a suo modo, in
una missione laica diretta al bene della collettività.
A questo proposito è interessante notare l’importanza delle
figure femminili nel percorso esistenziale di Pilato. In particolare
Claudia mostra spesso una superiorità spirituale e una più acuta
comprensione rispetto al marito.74 In altri casi lo stesso ruolo è
rivestito da figure alternative come la figlia,75 le amanti di Pilato76
o la Maddalena.77 Perfino nel romanzo di Bulgakov la salvezza di
Pilato dipende dall’intercessione di una donna, Margherita. In
effetti molti autori tendono ad attribuire alle donne un metodo
conoscitivo peculiare, per certi versi più efficace di quello maschile. Anzitutto le donne si basano più sulla sfera esperienziale
che su quella razionale, dando importanza alle relazioni umane e all’intuizione. La verità tende così a presentarsi sotto forma
di narrazione e non soltanto di enunciazioni teoriche. Inoltre le
donne tendono ad assumere un atteggiamento più ricettivo che
direttivo: la verità appare quindi non solo come un obiettivo da
ricercare, ma anzitutto come un dono da «chiedere».78
3.3. Il linguaggio del silenzio
Non solo il metodo di ricerca, ma anche il linguaggio della
Verità chiede un rovesciamento di prospettiva: poiché non si tratta di un mero concetto, le parole possono rivelarsi inadeguate a
trasmetterla. Perciò il silenzio può diventare paradossalmente un
importante strumento di comunicazione. Esso fa emergere la verità dall’intimo senza banalizzarla, e crea uno spazio di dialogo
al di là dei preconcetti. In Albertazzi, ad esempio, quando Pilato
si lamenta del mutismo di Gesù, Claudia obbietta: «Se ti avesse
Ciò si nota in particolare nei romanzi di Schmitt, Santucci, Ulivi, Pazzi, Linguaglossa, Grisi, Guarnieri e Bono.
Immaginata in M. Beck, Il sogno di Cloe, in Sulla bocca e nel cuore, s.l., Edizioni Confronto, 1996.
76
In particolare Ruth e Prisca nel Mago di Gusso.
77
Citata da France e protagonista del romanzo di Dobraczynski.
78
E. Bono, La moglie del procuratore, cit., p. 186.
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risposto: la verità sono io, io che ti parlo, cosa avresti fatto?» e
Pilato ammette: «Non gli avrei creduto».79 Al contrario il silenzio
di Gesù «invita a penetrare nel mistero della [sua] persona».80
Esemplificativo anche l’interrogatorio descritto dal Pilato di Marinelli: «Ho usato quel silenzio per entrare dentro il suo dolore;
ho mirato […] gli scarabocchi del sangue sul suo petto, come si
guarda il segno di una lingua misteriosa che si tenta di decifrare».81 Al tempo stesso il silenzio di Gesù è «una provocazione»,82
mette l’interlocutore a nudo e si sottrae al suo controllo. Dunque
ha una carica rivoluzionaria, è un «silenzio parlante»,83 come ben
comprende Pilato: «Il silenzio chiacchierava tra noi. […] Cosa fai
lì? Mi chiedeva […]. Chi ti dà il diritto di disporre delle esistenze?».84 Ancora una volta questo rovesciamento dei meccanismi
comunicativi è particolarmente evidente nella Bono. Pilato infatti è inizialmente l’uomo della parola, dalla retorica sottile e
arguta; ma nell’impatto con la verità la parola va in pezzi.85 Viceversa Claudia è la donna del silenzio, in cui resta «murata» per
anni.86 Ma proprio da qui nasce infine il dialogo chiarificatore
con Seneca: come a dire che solo la parola «fondata sul silenzio»
è realmente feconda.87
4. Conclusione: Pilato e noi
4.1. Pilato come modello negativo
Pilato è «l’uomo degli interrogativi – di quelli posti e di quelli
rimasti in sospeso».88 La sua funzione narrativa primaria è porre
domande; eppure sembra condannato quasi sempre a brancolare
G. Albertazzi, Pilato sempre, cit., p. 53.
C. Vallone, Ego Pilatus, cit., p. 150.
G. Marinelli, Non vi amerò per sempre, cit., p. 214.
82
G. Albertazzi, Pilato sempre, cit., p. 46.
83
Ivi, p. 88.
84
E. Schmitt, Il vangelo secondo Pilato, cit., p. 291.
85
E. Bono, La moglie del procuratore, cit., p. 150.
86
Ivi, p. 93.
87
S. Segatori, Quel giorno a Gerusalemme, postfazione a E. Bono, La moglie del procuratore, p. 202.
88
M. B. Guardi, Prefazione a F. Grisi, Il diario di Ponzio Pilato, cit., p. 8.
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nel buio. Così conclude ad esempio il Pilato di Linguaglossa: «C'è
qualcosa che mi sfugge […] Ho un retropensiero, un pensiero che
sta dietro ad altri pensieri, e li preme, li preme…».89 E il Pilato di
Grisi dice, tra la malinconia e la stizza: «Io non so niente. Claudia mia moglie mi ha detto che è risorto. Ma io non ho visto».90
Al conflitto gnoseologico si unisce poi un conflitto etico: Pilato è diviso tra il rimorso e l’autogiustificazione, tra il desiderio
e la paura di cambiare. «Capisce, ma non osa cessare di essere
Ponzio Pilato»91 e perciò resta «con l’animo stretto, forse, da una
morsa angosciosa, ma fermo sulla soglia».92 Insomma Pilato appare spesso come un vinto, o almeno come un uomo incerto e
solo.93 Rappresenta così l’ambiguità e la viltà che tutti possiamo
sperimentare; simile ad uno qualsiasi di noi, non è estremo né nel
male né nel bene. Ma proprio questa, come mostra il dramma di
Albertazzi, è forse la condizione più grave: «È la solita storia: o
tutto o niente. E chi è sfiorato dalla verità e non sa, non può e non
vuole regolarsi di conseguenza, colui è il peggiore, […] forse il più
infelice, tutti noi: Pilato sempre!».94
4.2. Pilato come modello positivo
Il dubbio, d’altra parte, può avere una connotazione positiva.
In alcuni casi permette a Pilato di essere più obiettivo nei propri
giudizi, o più tollerante nei confronti di concezioni diverse; ma
soprattutto tende a caratterizzare il rapporto con la verità come
una ricerca attiva e mai pienamente soddisfatta. La verità conserva così un carattere performativo e personale: va vissuta più che
trovata. La positività di questo approccio è particolarmente sottolineata dagli scrittori laici, tanto che il loro Pilato sembra quasi
G. Linguaglossa, Ponzio Pilato, cit., p. 118.
F. Grisi, Il diario di Ponzio Pilato, cit., p. 57.
C. Terron, Prefazione a G. Albertazzi, Pilato sempre, cit., p. 13.
92
M. B. Guardi, Prefazione a F. Grisi, Il diario di Ponzio Pilato, cit., p. 7.
93
Emblematico il Pilato di Soldati, afflitto da una «malattia segreta», che gli impedisce «di decidere»
(M. Soldati, Pilato, cit., p. 132).
94
C. Terron, Prefazione a G. Albertazzi, Pilato sempre, cit., p. 13.
89
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un’incarnazione del famoso detto di Lessing: «Se Dio mi avesse
offerto nella mano destra la conoscenza di tutta la verità, e in
quella sinistra la perenne ricerca della verità, con tutti i pericoli
e le delusioni che ciò comporta, io avrei scelto la mano sinistra».
Ma la rivalutazione del dubbio avviene anche in ambito cristiano.
Santucci, ad esempio, ammette che Gesù ha sempre promosso la
ricerca di Dio, lasciando ampio spazio alla libertà umana.95 Pomilio è ancora più esplicito: «Il Cristo non è venuto a fondare delle certezze. È venuto a proporci un modo d’essere nella fede nel
quale è incluso tutto, anche la possibilità del dubbio».96 In effetti
cessare di farsi domande su Cristo significherebbe racchiuderlo
in una «formula», e così «avremmo chiuso con Gesù».97 Il dubbio,
inoltre, è al cuore della struttura narrativa costruita da Schmitt
e dalla Bono: inizialmente Pilato e la moglie vivono una serenità distaccata, in cui tutto è sotto controllo (“Serena” è infatti il
soprannome scelto dalla Bono per Claudia). L’incontro con Gesù
li porta invece a una conoscenza meno certa, ma più autentica e
profonda.98
Pilato dunque si può considerare anche un’immagine del
credente moderno99 o almeno «un compagno di viaggio, nella
ricerca di una misteriosa via di salvezza».100 Più in generale il personaggio può essere visto come un’esortazione a cercare la verità
senza accontentarsi di risposte preconfezionate, e ad accettare
l’incertezza con rassegnazione o con speranza. Il suo percorso è
pieno di insuccessi e debolezze, ma anche di inquietudine feconda e partecipe; dunque può essere (anche) un modello positivo
per l’uomo moderno che si trova, nel bene e nel male, ad abitare
l’incertezza. Ciò a prescindere dalla presenza o meno della fede
perché, come nota Schmitt, «siamo tutti riuniti sotto la domanda,
L. Santucci, Volete andarvene anche voi?, cit., p. IX.
M. Pomilio, Il quinto evangelio, Milano, Rusconi, 1975, p. 356.
Ivi, p. 329.
98
«Prima ero un romano che sapeva, adesso sono un romano che dubita». E. Schmitt, Il vangelo
secondo Pilato, cit., p. 293.
99
M. Van Tooren, Le Ponce Pilate, cit., p. 175.
100
C. Vallone, Ego Pilatus, cit., p. 7.
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divisi nelle nostre risposte».101 E proprio la domanda costituisce
il merito principale di Pilato. Già il fatto di averla formulata può
essere considerato un merito, come scrive Berto: «Fu proprio quel
romano idolatra […] che pose nella forma più alta e nella maniera
più giusta quella domanda senza risposta che altri […] facevano
in modo tanto terrestre».102 Inoltre Pilato è in un certo senso il difensore della domanda: la tiene aperta e la ripropone ai lettori di
tutti i tempi. In effetti il paradossale eroismo del personaggio sta
proprio nel portare su di sé la sofferenza del dubbio e del rimorso,
come denuncia il Pilato di Albertazzi: «Per quanto tempo ancora
dovrò tenerlo così, come un cancro, una piaga? Non è troppo per
me? Cosa si pretende da me?».103 La domanda dunque è al tempo
stesso il tormento e la ricchezza di Pilato; è la vera eredità che lui
stesso – nel romanzo della Bono – affida per testamento a Claudia (e a tutti noi): «All’amantissima moglie Claudia Procla Serena
ogni mio avere e questa, se è lecita, domanda: cos’è la verità?».104
E. Schmitt, Il vangelo secondo Pilato, cit., p. 340.
G. Berto, La gloria, cit., p. 181.
G. Albertazzi, Pilato sempre, cit., p. 106.
104
E. Bono, La moglie del procuratore, cit., p. 158.
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