Giorgio Amico
Karl Marx
Cedoc
INDICE
Parte prima
Il giovane Marx
La rivoluzione industriale - La rivoluzione francese - Il socialismo utopistico La Germania nei primi decenni del XIX secolo - Il giovane Marx: gli anni
dell'adolescenza - Gli studi universitari: Marx e la Sinistra hegeliana - La
"Rheinische Zeitung"
Parte seconda
Karl Marx, dal liberalismo al comunismo (1843-1847)
Marx a Parigi - Gli "Annali franco-tedeschi" - I "Manoscritti economicofilosofici del 1844" - L'incontro con Engels e la genesi del materialismo storico
- "L'ideologia tedesca" - "La polemica con Proudhon e "La miseria della
filosofia"
Parte terza
Marx e la rivoluzione in Europa (1845-1851)
Marx e l'Associazione degli operai tedeschi a Londra - La rottura con Weitling Marx organizzatore comunista a Bruxelles - Il Manifesto del partito comunista Marx ed Engels nella rivoluzione tedesca - La questione dei tempi della
rivoluzione
Parte quarta
Karl Marx scienziato del capitale (1851-1883)
Il processo dei comunisti di Colonia e il "18 Brumaio" - L'esilio londinese "Per la critica dell'economia politica" - La crisi del 1857 e la ripresa del
movimento operaio - La fondazione della Prima Internazionale - Marx dirigente
internazionale del proletariato - "Il Capitale" - Gli ultimi anni di Marx
Parte prima
Il giovane Marx
La rivoluzione industriale - La rivoluzione francese - Il socialismo
utopistico - La Germania nei primi decenni del XIX secolo - Il giovane
Marx: gli anni dell'adolescenza - Gli studi universitari: Marx e la Sinistra
hegeliana - La "Rheinische Zeitung"
Marx e Engels nascono entrambi in Renania, il primo a Treviri nel 1818, il
secondo a Barmen nel 1820. I due grandi rivoluzionari crescono quindi nel
clima soffocante della Restaurazione e del trionfo della Santa Alleanza, ma
diventano adulti negli anni Trenta, nel pieno rifiorire dei movimenti
rivoluzionari in tutta Europa sull'onda lunga della vittoriosa insurrezione di
Parigi del luglio 1830, in una Germania dall'impetuoso sviluppo economico
favorito dalla creazione nel 1834 dell'Unione doganale fra la miriade di regni e
principati tedeschi.
Non si può comprendere a pieno l'ambiente in cui Marx e Engels maturano la
loro personalità e di fatto pongono le premesse delle loro scelte future, se non si
individuano le tendenze culturali dominanti dell'epoca e le grandi forze che
animano la società europea dei primi decenni del XIX secolo.
Si tratta di processi giganteschi che trasformano radicalmente gli assetti
economico-sociali di intere regioni d'Europa, colpendo duramente soprattutto
nelle campagne il livello di vita di larga parte della popolazione. Processi che
comportano la messa in discussione delle tradizionali concezioni relative al
potere politico, alle forme della rappresentanza, al rapporto stato-società civile
non solo nelle più progredite Inghilterra e Francia, ma anche nell'ancora arretrata
Germania.
La rivoluzione industriale
Processi che vedono l'Inghilterra avanti di circa mezzo secolo rispetto alle zone
più sviluppate dell'Europa continentale. È in Inghilterra, infatti, che attorno al
1760 vede la luce la moderna società industriale per un complesso di concause
su cui non è possibile qui soffermarci, ma che risultano comunque determinanti,
quali la favorevole collocazione geopolitica, il controllo delle principali rotte
atlantiche, la disponibilità di ingenti risorse (capitali, manodopera, materie
prime), l'effettivo compimento di un'accumulazione primitiva iniziata almeno a
partire dal regno della grande Elisabetta che pone le fondamenta dell'impero e
della potenza navale britannici.
Una produzione manifatturiera, già molto sviluppata e articolata, viene
rivoluzionata dall'introduzione delle macchine a vapore. L'applicazione su larga
scala di questa nuova fonte di energia ai processi produttivi che si compie in un
arco di tempo di oltre mezzo secolo (1760-1825) determina la nascita della
fabbrica moderna, la crisi irreversibile delle tradizionali attività economiche sia
manifatturiere che agricole e la rapida decomposizione degli assetti sociali e
politici che su di esse si fondavano. La società tradizionale, ancora in massima
parte rurale, si disgrega rapidamente. Nascono e si moltiplicano le grandi città
nel cuore dei nuovi distretti industriali e minerari. Le condizioni di vita e di
lavoro peggiorano sensibilmente per larghi strati della popolazione. La miseria
dilaga. Problemi nuovi, quali l'eccessivo tasso di natalità, la mancanza di
abitazioni, l'inquinamento, si impongono con drammaticità all'attenzione degli
intellettuali e dei governanti dell'epoca.
Friedrich Engels, che vive e lavora a Manchester, cuore dell'industria tessile
britannica, descrive superbamente questi processi nel suo capolavoro giovanile
"La condizione della classe operaia in Inghilterra", composto fra il settembre del
1844 e il marzo 1845. È di Engels il termine stesso "rivoluzione industriale" che
da allora contraddistingue l'epoca. Ma Engels non si limita, come una miriade di
filantropi e riformatori sociali a lui contemporanei, a denunciare i mali
dell'industrialismo, contro i quali pure si scaglia con un ardore tutto giovanile.
Egli vuole soprattutto capire, decifrare quello strano enigma sociale e politico
che è il proletariato nascente. Per il giovane Engels l'Inghilterra rappresenta il
"terreno classico", l'osservatorio privilegiato di processi destinati a travolgere in
un futuro ormai prossimo anche la lontana Germania. L'Inghilterra è prima di
tutto l'unico paese dove il proletariato, che della rivoluzione industriale
rappresenta il principale frutto, può "venir studiato in tutti i suoi rapporti e da
tutti i lati".
La progressiva disgregazione della società tradizionale, il rapido e inarrestabile
peggioramento delle condizioni di vita delle grandi masse inurbate sono
analizzate da Engels in pagine ancora oggi attualissime. Le condizioni di lavoro
sono inumane, i ritmi estenuanti, neppure donne e bambini vengono risparmiati.
Anzi, l'ipocrita morale puritana delle classi possidenti vede nel lavoro minorile e
femminile un argine alla depravazione dei costumi dovuta all'ozio forzato e alla
promiscuità.
Ogni protesta, ogni accenno di rivolta viene brutalmente repressa sul nascere. Ai
proletari divisi, privi di organizzazione e di coscienza di classe non resta che la
via del sabotaggio, strumento primordiale e disperato di lotta, che nel nome
stesso riecheggia i ricordi di una non ancora superata condizione rurale. Gli
operai si accaniscono contro le macchine, individuate come il principale nemico,
il mostro da abbattere. È la macchina che distrugge i posti di lavoro, che
risucchia le energie mentali e fisiche dei lavoratori, che mutila i loro corpi, che
simboleggia lo spietato e impersonale dominio del capitale. La reazione della
"civile" Inghilterra è feroce: il sabotaggio, il tentativo di distruggere le macchine
è punito con la morte. Nelle piazze dei nascenti centri industriali inglesi si
moltiplicano le forche, monito quotidiano per i proletari.
Nonostante tutto la classe operaia si organizza. Come un secolo più tardi
scriverà Lenin, è la fabbrica stessa a creare le condizioni per l'organizzazione dei
proletari. Nel 1791 nasce a Londra la prima associazione operaia, la "Società di
corrispondenza", allo scopo di collegare le disperse realtà operaie. Gli obiettivi
non sono solo economici. Nel 1792 al momento dell'instaurazione a Parigi della
repubblica, nonostante lo stato di guerra in corso fra i due paesi, la Società invia
un fraterno messaggio di solidarietà ai rivoluzionari francesi.
La paura spinge l'oligarchia inglese ad adottare sempre nuove misure contro il
nascente movimento operaio. Ogni forma di associazione fra i proletari è vietata,
lo sciopero è punito con la deportazione nelle colonie e nei casi più gravi con la
morte. Ma la repressione, per quanto cieca e brutale, non ferma il progredire
della coscienza di classe. Inevitabilmente la protesta si trasforma in rivolta, lo
sciopero in insurrezione. Nel 1819 il proletariato di Manchester insorge. La
polizia non basta più, deve intervenire l'esercito. Il movimento è stroncato nel
sangue, ma l'oligarchia comprende che è giunto il momento di fare concessioni.
Nel 1824 la "Legge sulle coalizioni" legalizza l'esistenza delle prime rudimentali
associazioni sindacali. A partire dal 1830, sotto l'influenza della parigina
rivoluzione di luglio, l'Inghilterra è teatro di una nuova ondata rivoluzionaria. In
tutto il paese si sviluppa un forte movimento per il riconoscimento al popolo del
diritto di voto. Il proletariato si riscopre portatore di valori universali. Allora
come oggi la classe operaia con le sue lotte per il salario e il lavoro fa da traino
alla lotta per l'estensione e la generalizzazione dei diritti politici. Allora come
oggi la lotta in fabbrica apre la strada alla lotta per la democratizzazione della
società.
La rivoluzione francese
"Eguaglianza, fraternità, libertà", le parole d'ordine della rivoluzione francese,
lasciate cadere dalla borghesia trionfante, vengono riprese dal proletariato che le
iscrive sulle proprie bandiere. E alla rivoluzione francese ed in particolare
all'esperienza giacobina guardano i primi dirigenti e teorici operai. È nella
Francia rivoluzionaria che per la prima volta il "popolo" è diventato protagonista
della storia e in suo nome si è combattuto. È nella Francia rivoluzionaria che per
la prima volta l'ordine sociale è stato colpito nei suoi pilastri: la sacralità della
monarchia, fonte di ogni legittimità e di ogni potere e l'intangibilità della
proprietà privata, messa in discussione dall'esproprio rivoluzionario dei beni del
clero e dell'aristocrazia. Il bonapartismo prima, la Restaurazione poi frenano il
processo rivoluzionario, ma non possono certo deviarne il corso. La rivoluzione
del 1830 porta alla nascita della monarchia costituzionale di Luigi Filippo, il "re
borghese" che apre al capitale finanziario la via per il dominio anche politico
sulla società.
Diventata la borghesia nel suo complesso classe dominante, anche in Francia
come già in Inghilterra, la classe operaia si ritrova sola a difendere quei principi
di libertà e di giustizia per i quali si era fino ad allora mobilitata l'intera società
civile. Ma se nella evoluta Inghilterra il proletariato può iniziare a percorrere la
via dell'associazionismo sindacale e dell'azione politica di massa, nella Francia,
che solo allora inizia ad uscire dall'arretratezza, dove il proletariato è ancora
imbrigliato nelle pastoie della tradizionale organizzazione corporativa e dove
fortissimo permane il ricordo del rigore rivoluzionario di Robespierre e
dell'eroico primitivo comunismo di Babeuf, il difficile e travagliato formarsi di
una moderna coscienza di classe tra gli oppressi si manifesta ancora sotto le
vecchie vesti della cospirazione massonica e dell'organizzazione settaria.
Il socialismo utopistico
E d'altronde, come si è visto, la Francia resta il paese dove, per la prima volta la
"Cospirazione degli Eguali" di Gracco Babeuf aveva additato ai proletari contro
il rapido degenerare della rivoluzione la via del comunismo. E nel nome di
Babeuf prima Filippo Buonarroti, il "grande vecchio" dei movimenti
rivoluzionari nell'Europa della Restaurazione, poi il suo discepolo Auguste
Blanqui percorrono la via della cospirazione e dell'insurrezione sulla base di
un'incrollabile fiducia nella realizzabilità storica di un comunismo filosofico,
carico di suggestioni illuministiche, ma privo di una scientifica analisi delle
contraddizioni di classe.
Una società, quella sognata da Buonarroti e da Blanqui, di "liberi ed eguali",
regno della giustizia e della libertà. Una società da instaurarsi mediante la presa
del potere da parte di un gruppo di congiurati, apostoli della "causa dell'umanità
sofferente" e l'esercizio di una spietata dittatura contro tutti i sostenitori del
vecchio mondo. Un sogno eroico e generoso, ma che vedendo nel proletariato
solo una massa di diseredati e di oppressi, non è in grado di cogliere la reale
portata dei processi in atto e quindi additare ai proletari una via di liberazione in
grado di andare oltre il rifiuto dell'esistente. Ed il tragico fallimento del tentativo
insurrezionale della "Società delle stagioni" nel maggio 1839 con l'arresto e la
condanna al carcere a vita per Blanqui, segnerà con ogni evidenza l'illusorietà di
queste generose speranze.
Speranze che si diffondono con il lievitare stesso del modo di produzione
capitalistico oltre i confini della Britannia. Teorie socialiste a sfondo religioso o
filosofico si moltiplicano, unite nel denunciare i guasti di un'industrializzazione
di cui non si colgono le forze motrici né l'autentica natura, divise nei rimedi
prospettati per giungere finalmente al regno dell'armonia e della ragione.
Colpito dal dilagare della disoccupazione e della miseria nonostante il rapido
accrescersi della ricchezza sociale, Robert Owen (1771-1858), un industriale
tessile inglese, intorno al 1820 inizia a elaborare un complesso schema di società
ideale fondata sull'adozione di misure cooperative e comunitarie mirate a
garantire la piena occupazione e l'equa distribuzione della ricchezza prodotta. Di
natura più filosofica è invece il socialismo di Charles Fourier (1772-1837),
teorico della "Grande Armonia" che si raggiungerà in una società rigidamente
pianificata e organizzata in grandi unità produttive, le "Falangi", e abitative, i
"Falansteri". Accenti di acceso misticismo assume poi il pensiero di Claude
Henri de Saint-Simon, profeta di un nuovo cristianesimo con venature
tecnocratiche a misura di una società industriale purificata dagli egoismi di
classe e affratellata nel culto del progresso tecnologico e scientifico.
La Germania nei primi decenni del XIX secolo
In questo contesto europeo, caratterizzato dal prepotente esplodere della
rivoluzione industriale e dal diffondersi di teorie e movimenti a sfondo
ingenuamente socialista, la Germania ha un ruolo marginale. Come l'Italia, la
Germania post Congresso di Vienna non è nulla più di una "espressione
geografica": 39 fra Stati e Staterelli che poco hanno in comune, se si eccettua la
lingua e una storia gloriosa alle spalle. Una realtà arretrata. I tre quarti della
popolazione vivono ancora nelle campagne, non esistono grandi città, a livello
manifatturiero predomina largamente il piccolo artigianato ancora organizzato
secondo il modello delle corporazioni medievali. Eppure la Germania cova
potenzialità gigantesche che si manifesteranno a pieno a partire dagli anni Trenta
ed in particolare dall'Unione doganale del 1834 che crea un unico mercato
tedesco.
Tra il 1830 e il 1842 la produzione mineraria raddoppia, quella metallurgica
triplica, mentre l'industria dei beni di consumo cresce di ben otto volte rispetto ai
livelli del 1810. Tra il 1837 e il 1848 il numero delle macchine a vapore
installate nelle fabbriche tedesche triplica, riducendo il ritardo nei confronti
dell'Inghilterra ancora nel 1830 calcolabile in cinquanta anni. Questo impetuoso
sviluppo economico comporta, come d'altronde già avvenuto in Inghilterra e in
Francia, una vera e propria esplosione demografica. In soli quarant'anni, tra il
1815 e il 1855, la popolazione tedesca aumenta di oltre il cinquanta per cento.
Le città, pure in rapida crescita, e l'apparato produttivo non sono in grado di
stare dietro a questi ritmi. La disgregazione dei tradizionali assetti economici
delle campagne aggrava la situazione. La soluzione sarà l'emigrazione verso le
già congestionate aree industriali inglesi e francesi o la partenza verso il sogno
rappresentato dagli Stati Uniti, paese senza passato e senza frontiere in grado di
assicurare a tutti un futuro fatto di lavoro e di libertà. Tra il 1818 e il 1848 oltre
un milione di tedeschi prenderà la strada dell'emigrazione, andando a costituire a
Parigi, Londra, Bruxelles, New York vere e proprie colonie, autentiche fucine di
comunismo, nell'ambito delle quali Marx e Engels svolgeranno gran parte della
loro attività politica.
Vero e proprio crocevia d'Europa, la regione della Renania Westfalia, terra di
frontiera fra mondo tedesco e francofono, traversata dal Reno, da sempre asse di
collegamento tra il mare del Nord e il cuore delle Alpi, rappresenta il luogo di
incubazione di tutti i fermenti che agitano il continente.
Il giovane Marx: gli anni dell'adolescenza
Karl Marx nasce il 5 maggio 1818 a Treviri, una cittadina di circa dodicimila
abitanti, centro amministrativo di una qualche importanza, da pochi anni
ritornata alla Prussia dopo che dal 1795 al 1814 era stata annessa alla Francia.
La famiglia Marx è un'antica famiglia ebraica, ma il padre di Karl, Heinrich, nel
1817 si converte al cristianesimo, costretto a ciò dalle leggi antisemite del regno
di Prussia che vietano ad un ebreo di assumere cariche pubbliche. Nonostante
Heinrich manifesti in campo religiose un blando deismo di stampo illuministico,
la famiglia mantiene un certo attaccamento alla fede degli avi. I figli, tra cui il
piccolo Karl, vengono battezzati solo nel 1824, mentre la madre, Henriette, una
donna semplice di cui si sa molto poco, si convertì l'anno seguente. Nella
famiglia Marx c'erano nove figli, ma cinque erano morti ancora piccoli. Dei
sopravissuti Karl era il maggiore e l'unico maschio.
Di lui bambino non si conosce quasi nulla se non brevi accenni ad un carattere
già dai primi anni piuttosto deciso. Di certo la famiglia conduceva una vita
agiata e serena, grazie alla posizione sociale di Heinrich Marx, funzionario di
una certa importanza dell'amministrazione prussiana, membro influente della
buona società cittadina, esponente di primo piano degli ambienti liberali. Con il
padre, "un vero francese del Settecento che sapeva a memoria il suo Voltaire e il
suo Rousseau", il giovane Karl andava molto d'accordo. Secondo Eleanor Marx,
Karl, ormai adulto, portava sempre con sé il ritratto del padre che aveva perso
presto, nel 1838. Molto più difficili furono i rapporti con la madre. Per tutta la
vità, la donna morì nel 1863 quando Karl era ormai un uomo maturo, essa
rimproverò al figlio di aver sprecato la sua vita, di non aver raggiunto una
posizione sociale corrispondente alle sue doti intellettuali e al rango della
famiglia.
Nel quinquennio 1830-1835 Karl frequentò il liceo di Treviri, caratterizzato da
un corpo docente moderatamente liberale. Degli anni liceali il poco che resta,
qualche componimento dell'esame di licenza, riflette l'immagine di un
adolescente pieno di idealismo e di entusiasmo, che sogna di sacrificarsi per il
bene dell'umanità. Nella prova di tedesco, intitolata "Considerazioni di un
giovane sulla scelta del proprio avvenire", il giovane Karl respinge decisamente
l'ambizione come base per la scelta di una carriera e con un entusiasmo tutto
giovanile scrive:
"La storia chiama grandi uomini quelli che, mentre operavano per la
comunità, nobilitarono se stessi; l'esperienza esalta come il più felice
quegli che rese felice il maggior numero di uomini; (...) Quando
abbiamo scelto la condizione nella quale possiamo più efficacemente
operare per l'umanità, allora gli oneri non possono più schiacciarci,
perché essi sono soltanto un sacrificio pel bene di tutti, allora non
gustiamo più una gioia povera, angusta ed egoistica, ché anzi la
nostra felicità appartiene a milioni, le nostre imprese vivono
pacifiche, ma eternamente operanti, e le nostre ceneri saranno bagnate
dalle lacrime ardenti di uomini nobili".
Questa ingenua professione di fede, che i suoi insegnanti considerarono
eccessivamente retorica, era in realtà la prima manifestazione di un ideale, al
quale egli rimarrà per sempre fedele e per il quale sacrificherà la sua vita.
Gli studi universitari: Marx e la Sinistra hegeliana
Terminato il liceo, Karl Marx si iscrive all'Università di Bonn alla facoltà di
giurisprudenza. Anche su questo periodo si hanno notizie scarse e indirette.
Sicuramente il giovane non si dedicò allo studio con quell'assiduità che il padre
avrebbe desiderato. In quel periodo Kal si fidanza con una amica d'infanzia,
Jenny von Westphalen, "la più bella ragazza di Treviri", come decenni più tardi
egli stesso ebbe a definirla. Fu un amore travagliato, ma travolgente.
Proveniente da una delle più illustri famiglie dell'aristocrazia prussiana, Jenny,
di qualche anno più vecchia di Karl, dovette superare gli ostacoli posti a questa
relazione da una parte della sua famiglia.
Nell'Università di Bonn il romanticismo dominava e lo stesso Karl ne fu
influenzato. Invece di dedicarsi ai severi studi giuridici, egli si mise a studiare
letteratura e a comporre poesie, non disdegnando di condurre una vita allegra,
tanto da essere condannato a un giorno di carcere per ubriachezza e schiamazzi
notturni nel giugno 1836 e nell'agosto successivo restare leggermente ferito nel
corso di un duello alla sciabola con uno studente membro di un'associazione
goliardica rivale.
In complesso l'anno trascorso a Bonn si risolse in un fallimento, per cui il padre,
allarmato dagli eccessi del giovane e dai debiti non indifferenti che questi aveva
accumulato, decise di iscriverlo alla molto più severa Università di Berlino. Una
"casa di correzione" secondo la definizione di Ludwig Feuerbach, per il quale le
altre università altro non erano che "taverne".
Se Berlino era in forte ritardo sulle dinamiche città industriali della Renania,
restava di certo, con i suoi 300.000 abitanti, la più grande città tedesca, seconda
soltanto a Vienna per importanza. L'ambiente ideale per un giovane pieno di
vitalità e voglia di fare.
Giunto a Berlino, Marx si dedicò agli studi con passione, dedicandosi in
particolare, oltre che al diritto, alla storia antica e moderna, all'arte, alla
letteratura e naturalmente alla filosofia. Tra i filosofi lesse con avidità gli scritti
di Kant, Fichte, Schelling, Spinoza, Hume, Leibniz, Aristotele e Bacone, mentre
ostentatamente trascurò Hegel, il cui pensiero dichiarava di trovare "roccioso".
Costretto a un periodo di riposo a causa di una malattia, Marx si dedicò allo
studio approfondito della filosofia hegeliana. L'impressione che ne ricavò fu
profondissima. Alla fine del 1837 Marx è ormai un hegeliano convinto, tanto da
aderire al Doktorclub, un'associazione di studenti, giovani insegnanti e
pubblicisti accomunati da un'identico interesse per le questioni letterarie e
filosofiche e per la comune militanza nella sinistra hegeliana. In realtà le dispute
accademiche celavano più profondi problemi politici. Nel clima repressivo del
Regno di Prussia, dove un'occhiuta censura vigilava a impedire ogni
manifestazione di libero pensiero, le aspirazioni politiche erano obbligate a
camuffarsi in vesti di tendenze filosofiche astratte. I sostenitori del potere regio e
dell'autorità della Chiesa, si atteggiavano a difensori ad oltranza del sistema
hegeliano preso nel suo complesso, insistendo su di una interpretazione
conservatrice e integralista del pensiero di Hegel, assunto alla lettera in tutte le
sue articolazioni. I fautori del rinnovamento politico e culturale, che si
definivano "giovani hegeliani" o "sinistra hegeliana", insistevano invece sempre
di più sugli aspetti rivoluzionari del metodo hegeliano, sulla dialettica hegeliana,
per la quale nulla ha stabilità, tutto è concepito in un divenire che è eterno
superamento. I giovani hegeliani denunciavano soprattutto gli aspetti
contradditori del pensiero hegeliano, la sua trasformazione da filosofia
rivoluzionaria a teologia, a giustificazione dell'esistente ed in particolare del
trono e dell'altare. In particolare essi tentavano di interpretare la dialettica come
principio della trasformazione della realtà, in senso non solo spirituale, ma
anche sociale e politico.
Non potendo per ovvi motivi di prudenza attaccare apertamente la monarchia, la
critica dei giovani hegeliani si era rivolta contro la religione che del potere regio
rappresentava il principale puntello ideologico. Nel 1835 David Friedrich
Strauss aveva pubblicato la sua "Vita di Gesù", il primo attacco di un hegeliano
ai fondamenti della religione ufficiale. La lotta diretta prima contro le
deformazioni del cristianesimo da parte delle Chiese, per una conciliazione del
messaggio cristiano con il moderno spirito critico, si trasformò ben presto in
lotta aperta contro la stessa religione. Bruno Bauer, libero docente di teologia,
radicalizzò la critica di Strauss attaccando esplicitamente i vangeli, considerati
niente di più che una raccolta di miti. Fin dal principio Marx si trovò schierato
con l'ala estrema. A questo proposito scrisse pochi anni dopo:
"La critica della religione è la condizione necessaria di ogni critica. Il
fondamento della critica antireligiosa è il seguente: è l'uomo che fa la
religione non è la religione che fa l'uomo. Ma l'uomo non è un essere
astratto, estraneo al mondo reale. L'uomo è il mondo dell'uomo, è lo
stato, la società. Questo stato, questa società, che sono un mondo
assurdo, producono la religione, assurda concezione del mondo. La
religione è la realizzazione fantastica dell'essere umano, giacchè
l'essere umano non possiede una vera realtà. La lotta contro la
religione è dunque indirettamente una lotta contro un mondo di cui
essa rappresenta l'aroma spirituale".
L'atteggiamento apertamente repressivo nei confronti dei giovani hegeliani da
parte delle autorità accademiche spinse il Doktorclub sempre più
all'opposizione. Da una posizione di sostegno all'ipotesi di una monarchia
liberal-costituzionale, il club passò all'estrema sinistra del repubblicanesimo
rivoluzionario, intitolandosi "Gli amici del popolo". Il giovane Karl si mise ben
presto in luce non solo per le doti intellettuali, ma anche per lo straordinario
impegno che metteva in tutto quello che faceva. Così lo descrive una poesiola
ironica dell'epoca:
"Chi balza con impeto selvaggio?
È un nero caposcarico, torel di buona razza.
Va, corre, salta, balza a suo talento,
Animato da eroico furore! Come un gigante
Che voglia abbracciare l'immensa volta dei cieli
E tirarla giù.
Tende le braccia, le spinge in alto verso il cielo
Chiude furibondo il pugno! Sembra agitato
Come se mille demoni l'afferrassero per i capelli".
Nonostante la giovane età, Marx ha appena ventitre anni, le sue doti filosofiche
sono ormai universalmente riconosciute nell'ambiente dei giovani critici
berlinesi. Quale impressione il giovanissimo Marx esercitasse sui contemporanei
si può riconoscere da una lettera di Moses Hess, allora principale esponente in
Germania di un comunismo filosofeggiante, scritta ad un amico nel settembre
1841:
"Puoi prepararti a conoscere il più grande, forse l'unico autentico
filosofo oggi vivente, il quale, dove apparirà in pubblico (tramite i
suoi scritti o anche dalla cattedra), attirerà su di sé gli occhi di tutta la
Germania. Sia per la sua tendenza sia per la sua cultura filosofica egli
non solo supera Strauss, ma va anche al di là di Feuerbach (...). Il
dottor Marx, così si chiama il mio idolo, è un uomo ancora molto
giovane (ha circa 24 anni) che darà il colpo di grazia alla religione e
alla politica medievale; egli unisce alla più profonda serietà filosofica
uno spirito tra i più pungenti; immaginati Rousseau, Holbach,
Lessing, Heine e Hegel riuniti assieme in una sola persona; dico
riuniti, non gettati insieme alla rinfusa, e avrai il dottor Marx".
Entrato nel Doktorclub, Marx, tutto preso dal dibattito filosofico, non si curò
quasi più dei suoi studi universitari. Anzi, essendosi messo in mostra come uno
dei più accesi giovani hegeliani, si accorse di aver irrimediabilmente
compromesso le sue possibilità di laurearsi a Berlino. Nell'aprile 1841 decise,
pertanto, di laurearsi nella più provinciale università di Jena, conosciuta come
una università facile e il giorno 15 si laureò con una tesi sulla "Differenza fra la
filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro".
La scelta dell'argomento è significativa, così come altrettanto significativo è il
taglio dell'argomentazione. Confrontando i due massimi filosofi materialisti
dell'antichità, Marx contrappone al determinismo meccanicistico di Democrito
l'etica della libertà di Epicuro, "il vero radicale illuminista dell'antichità". Marx
corregge l'assunto di Hegel secondo cui la dottrina atomistica di Democrito
sarebbe stata identica a quella di Epicuro. Egli dimostra invece che mentre
Democrito concepiva solo una necessità strettamente meccanica, la filosofia
epicurea conteneva in nuce elementi dialettici profondamente innovativi. In
estrema sintesi, Marx tenta qui una conciliazione fra necessità e libertà,
intravvedendone la soluzione in un primo abbozzo del concetto di prassi.
La "Rheinische Zeitung"
Finalmente fuori dall'Università, Marx pensa in un primo momento, stimolato
dall'amico Bauer, libero docente di teologia a Bonn, di dedicarsi
all'insegnamento accademico. Ma il brusco licenziamento dello stesso Bauer,
accusato di "ateismo", costringe il giovane a modificare radicalmente i propri
progetti. Egli rinsalda i rapporti con i giovani hegeliani ed in particolare con
Arnold Ruge, già editore della rivista radicale "Annali di Halle" che aveva
passato sei anni in carcere per cospirazione. Perseguitato dalla censura, Ruge si
era trasferito a Dresda dove dal luglio 1841 pubblicava la sua rivista col nuovo
titolo di "Annali tedeschi". Con Ruge, di sedici anni più anziano, Marx pensa di
pubblicare una nuova rivista, gli "Aneddoti sulla nuova filosofia tedesca e sul
giornalismo", approfittando del più tollerante clima politico della Svizzera dove
nel frattempo Ruge si è trasferito.
Il progetto però va alle lunghe per mancanza di finanziatori e Marx, che nel
frattempo ha inviato a Ruge un duro articolo di critica alla legge sulla censura,
decide di dedicarsi a tempo pieno al giornalismo politico entrando nella
redazione di una rivista liberale da poco apparsa a Colonia, la "Rheinische
Zeitung". Gli esponenti della borghesia industriale e commerciale più radicale
della Renania avevano deciso di fondare un proprio organo politico per
difendere i propri interessi economici contro la feudalità e strappare concessioni
al governo nel senso di un deciso svecchiamento dell'ordinamento giuridico del
vecchio regno di Prussia, vera e propria palla al piede per il dinamismo della
nascente industria. La proprietà decise di affidare questo giornale a esponenti
della sinistra hegeliana, fra cui Moses Hess, il "rabbino rosso", come
familiarmente veniva chiamato per le sue origini ebraiche e per le idee
comuniste.
Marx in quel momento viveva a Bonn. Per alcuni mesi fu solo un collaboratore
esterno che inviava regolarmente i suoi articoli al giornale, poi, nel settembre
1842 si trasferì a Colonia per dedicarsi a tempo pieno al suo nuovo lavoro di
redattore. In questa attività il non ancora venticinquenne Marx mise in luce una
straordinaria maturità politica. Sotto la guida di Marx la Gazzetta renana cerca
di realizzare l'unificazione di tutte le forze progressiste tedesche contro il regime
reazionario di Federico Guglielmo IV, superando le sterili contrapposizioni e
soprattutto abbandonando il terreno della mera critica filosofica per la lotta
politica aperta. La Gazzetta, scrive Marx in un editoriale, deve "riportare sulla
Germania gli sguardi che così numerosi sono fissi sulla Francia e far nascere un
liberalismo tedesco anzichè francese".
Questo tentativo di unificare tutte le forze progressiste tedesche porta ben presto
Marx a scontrarsi con i suoi vecchi amici berlinesi, Bruno Bauer compreso.
Marx critica duramente il loro massimalismo verbale, il gusto della frase ad
effetto destinata a far scandalo, il loro "romanticismo politico, la loro ricerca
dello stravagante e la loro millanteria" che rischia di compromettere seriamente
il "partito della libertà". Pur se in un'ottica ancora largamente liberale, Marx
ragiona ormai in termini di strategia politica di lungo periodo. Non c'è più posto
nel suo pensiero per sfoghi intellettuali, la battaglia politica viene prima di tutto.
E lotta politica per Marx vuol dire partito, cioè strategia, cioè critica radicale
dell'esistente, cioè analisi. Nei suoi articoli Marx, dando prova di un'assoluta
concretezza storico-sociale, sottopone ad una critica implacabile tutte le
istituzioni corporative e assolutistiche della Germania del suo tempo così come
demolisce con un rigore totale non privo di ironia tutti i tentativi di
accomodamento con esse degli esitanti liberali tedeschi.
Marx, che nel frattempo è stato nominato redattore capo, rifiuta un
atteggiamento d'opposizione su basi esclusivamente dottrinarie, come sostenuto
dai "Liberi". "La vera teoria - scrive - deve essere sviluppata e resa evidente
all'interno di situazioni concrete". Come abbiamo visto, Marx si muove ancora
in un'ottica totalmente liberale, respinge quindi seccamente le accuse di
comunismo rivolte alla rivista dalla reazionaria "Gazzetta generale di Augusta",
a causa di un paio di articoli di Moses Hess in cui si recensivano le teorie di
Fourier. Tuttavia dal tono della risposta traspare un interesse nuovo verso le
teorie comuniste ed in particolare l'opera di Proudhon:
"La Rheinische Zeitung, che non può concedere alle idee comuniste,
nella loro forma odierna, neppure attualità teoretica, e quindi ancor
meno può desiderare o anche solo ritener possibile la loro pratica
realizzazione, sottoporrà queste idee a una critica approfondita. Se
però l'Augsburger pretendesse e desiderasse qualcosa di più che frasi
brillanti, comprenderebbe che scritti come quelli di Leroux,
Considérant e soprattutto la penetrante opera di Proudhon, non
possono essere criticati con trovate superficiali del momento, ma solo
dopo uno studio lungo, assiduo e molto approfondito".
Per il governo prussiano le critiche della "Gazzetta renana" erano eccessive e la
tendenza del giornale sovversiva e antimonarchica. Tanto bastava a decretare la
morte della rivista, decisa dal consiglio dei ministri del 21 gennaio 1843 alla
presenza dello stesso sovrano. Marx non drammatizzò l'accaduto. "Il governo disse - mi ha ridato la libertà. In Germania non posso combinare più nulla. Qui
si falsifica se stessi".
Marx abbandona il giornale profondamente cambiato rispetto a come vi era
entrato un anno prima. Nel gennaio 1842 egli non era altro che un democratico
radicale, ma la quotidiana battaglia politica lo ha costretto a scendere sul terreno
della società concreta e a interessarsi della situazione socio-economica dei
contadini della Mosella, in via di progressiva proletarizzazione poprio a causa
dell'incalzante sviluppo capitalistico. Di conseguenza, egli che fino ad allora si
era occupato quasi esclusivamente di filosofia e di diritto, ha dovuto occuparsi
sempre di più di economia e di questioni sociali. Quando abbandona la
"Gazzetta renana" Marx non è ancora comunista, ma ha già iniziato a
considerare il comunismo come una teoria degna di "uno studio lungo, assiduo e
molto approfondito". Le idee comuniste - scrive senza sapere di star predicendo
la propria vita futura - non possono essere prese alla leggera. Una volta penetrate
nell'animo e nell'intelletto "sono vincoli dai quali non ci si strappa senza
lacerarsi il cuore, sono demoni che l'uomo può vincere soltanto sottomettendosi
ad essi".
Parte seconda
Karl Marx, dal liberalismo al
comunismo (1843-1847)
Marx a Parigi - Gli "Annali franco-tedeschi" - I "Manoscritti economicofilosofici del 1844" - L'incontro con Engels e la genesi del materialismo
storico - "L'ideologia tedesca" - "La polemica con Proudhon e "La miseria
della filosofia"
Il fallimento della "Gazzetta Renana" convince Marx dell'impossibilità di
svolgere un'azione politica di un qualche significato in Germania, così come del
fatto che la sinistra hegeliana abbia ormai del tutto esaurita la sua funzione di
coscienza critica della società tedesca. Riflettendo sulla situazione tedesca e
sulla rapida parabola dei giovani hegeliani, Marx concluderà che il pensiero
critico è stato sconfitto perché si è isolato dalle forze vive della società. Incapace
di divenire teoria della rivoluzione, la filosofia critica non è stata in grado di
passare dal mondo astratto delle idee al terreno concreto delle lotte sociali. Per
realizzarsi la filosofia deve incarnarsi nel proletariato, l'arma della critica
trasformarsi nella critica delle armi.
"L'arma della critica - scrive Marx - non può rimpiazzare la critica
delle armi, la forza materiale deve essere abbattuta per mezzo della
forza materiale, ma la teoria diventa, essa pure, una forza materiale,
quand'essa si impadronisce delle masse".
Occorre, dunque, entrare in contatto con il proletariato, confrontarsi con le teorie
che il movimento operaio sta faticosamente elaborando. E questo significa in
primo luogo abbandonare la Germania per la Francia dove le teorie socialiste
avevano largamente preso campo nel proletariato.
Marx a Parigi
Marx accolse pertanto con favore la proposta di Ruge di partecipare alla
redazione di una nuova serie di quaderni mensili, gli "Annali franco-tedeschi",
rivolti agli intellettuali rivoluzionari dei due paesi. Scopo della rivista era
realizzare una "alleanza intellettuale" tra il meglio del movimento democratico
di Francia e Germania, riunificando la teoria critica degli intellettuali tedeschi
con la pratica politica avanzata degli operai francesi.
Una lettera a Ruge del settembre 1843, successivamente pubblicata proprio negli
"Annali" chiarisce l'importanza che il giovane Marx ormai attribuisce alla lotta
politica di contro alle fumose speculazioni ideologiche:
"Come la religione è l'indice delle battaglie teoretiche degli uomini, lo
stato politico lo è delle loro battaglie pratiche. Lo stato politico
esprime quindi all'interno della sua forma, sub specie rei publicae,
tutte le lotte, le esigenze, le verità sociali. (...). Il critico dunque non
solo può, ma deve interessarsi dei problemi politici (...). Il nostro
motto sarà quindi: riforma della coscienza, non mediante dogmi,
bensì mediante l'analisi della coscienza mistica oscura a se stessa, sia
che si presenti in modo religioso, sia in modo politico. Si vedrà allora
come da tempi il mondo possiede il sogno di una cosa, di cui non ha
che da possedere la coscienza, per possederla realmente. Sarà chiaro
come non si tratti di tirare una linea retta tra passato e futuro, ma di
realizzare le idee del passato. Si vedrà infine come l'umanità non
incominci un lavoro nuovo, ma venga consapevolmente a capo del
suo antico lavoro. Possiamo dunque sintetizzare in una parola la
tendenza della nostra rivista: autochiarificazione (filosofia critica) del
nostro tempo in relazione alle sue lotte e ai suoi desideri. Questo è un
lavoro per il mondo e per noi. Esso può derivare solo da un unione di
forze".
L'unione di "coloro che pensano" e di "coloro che soffrono", cioè degli
intellettuali rivoluzionari e dei lavoratori, come significativamente aveva scritto
sempre a Ruge nel mese di maggio:
"Da parte nostra, dobbiamo portare completamente alla luce del
giorno il vecchio mondo e creare positivamente il mondo nuovo.
Quanto più a lungo gli eventi lasceranno all'umanità che pensa tempo
per riflettere e all'umanità che soffre tempo per unirsi, tanto più
perfetto verrà al mondo il frutto che il presente porta in grembo".
A convincere Marx fu anche la promessa di Ruge di garantirgli uno stipendio
fisso come redattore della rivista su cui avrebbero scritto i nomi più illustri del
socialismo francese. E per il giovane Karl questo significava soprattutto la
possibilità di sposarsi con la sua Jenny.
"Firmato il contratto - scrive a Ruge - mi recherò a Kreuznach, dove
mi sposerò. Posso assicurarvi, senza alcuna romanticheria, che sono
perdutamente eppure molto seriamente innamorato. Sono fidanzato da
più di sette anni, e la mia fidanzata si è quasi rovinata la salute
sostenendo per me le più dure lotte sia contro la sua famiglia, bigotta e
aristocratica, (...) sia contro la mia famiglia, nella quale si sono
insinuati dei pretonzoli. (...). La mia fidanzata ed io abbiamo così, per
anni, sostenuto parecchie lotte inutili ed estenuanti, più di tanti altri
che hanno tre volte la nostra età e che parlano continuamente della
loro "esperienza della vita", espressione favorita nella nostra buona
società".
Come si legge nei registri dell'epoca, il 13 giugno 1843 ebbe luogo il
matrimonio del "signor Karl Marx, dottore in filosofia, domiciliato a Colonia,
con la signorina Johanna Bertha Julia Jenny von Westphalen, senza professione,
domiciliata a Kreuznach". Quattro mesi più tardi la coppia si trasferisce a Parigi
dove era stata fissata la redazione degli "Annali" e dove già si trovava Ruge.
Gli "Annali franco-tedeschi"
Nonostante le grandi speranze di Marx e Ruge, il progetto stentò a partire. Non
un solo intellettuale francese accettò di scrivere sulla rivista, così come sul
versante tedesco Feuerbach e altri noti intellettuali rifiutarono con varie
motivazioni di collaborare all'iniziativa. Il primo numero dei "Deutschfranzösische Jahrbücher" poté uscire solo alla fine di febbraio del 1844. Era
destinato a restare l'unico.
Il numero conteneva due articoli di Marx. Uno, "La questione ebraica",
rappresenta la risposta a due opere di Bruno Bauer, mentre l'altro, intitolato "Per
la critica della filosofia del diritto di Hegel", vuole essere l'inizio del definitivo
superamento della filosofia hegeliana.
Anni più tardi nella prefazione a "Per la critica dell'economia politica" sarà
Marx stesso a chiarire il senso profondo del suo distacco da Hegel:
"Il primo lavoro intrapreso per sciogliere i dubbi che mi assillavano fu una
revisione critica della filosofia del diritto di Hegel (...). La mia ricerca
arrivò alla conclusione che tanto i rapporti giuridici quanto le forme dello
stato non possono essere compresi né per se stessi, né per la cosiddetta
evoluzione in generale dello spirito umano, ma hanno le loro radici,
piuttosto, nei rapporti materiali dell'esistenza il cui complesso viene
abbracciato da Hegel, seguendo l'esempio degli inglesi e dei francesi del
secolo XVIII, sotto il termine di "società civile"; e che l'anatomia della
società civile è da cercare nell'economia politica".
Marx è pienamente consapevole che tutto ciò comporta il passaggio a un ordine
di idee totalmente diverso, a un radicale rovesciamento del modo stesso di
pensare. Nella "Introduzione alla critica della filosofia del diritto di Hegel" egli
con grande efficacia chiarisce come: "La critica del cielo si trasforma in tal
modo nella critica della terra, la critica della religione nella critica del diritto, la
critica della teologia nella critica della politica".
Lo sviluppo di questa radicale critica al pensiero di Hegel non avviene nel
vuoto. Marx ha appena letto le "Tesi provvisorie per la riforma della filosofia" di
Ludwig Feuerbach ed è rimasto profondamente colpito dalla chiarezza con cui
l'autore aveva espresso il suo punto di vista materialistico soprattutto riguardo
all'idealismo hegeliano, considerato l'ultimo mascheramento della teologia.
Feuerbach era stato categorico: il fondamento della filosofia era da ricercarsi
nella natura. La filosofia doveva congiungersi con le scienze naturali e queste
con la filosofia. Tutto il resto era teologia, ossia vuota apparenza.
Marx è affascinato da queste tesi, la sua conversione al materialismo è totale.
Tuttavia critica Feuerbach per l'eccessiva insistenza sul tema della natura.
Occorre nella critica a Hegel andare oltre, applicare la concezione materialistica
alla politica e alla storia.
"Gli aforismi di Feuerbach - scrive - non mi convincono solo nel
punto in cui fa troppo riferimento alla natura e troppo poco alla
politica. Ma questa è la sola alleanza con la quale l'odierna filosofia
può diventare una verità".
Il saggio sulla "Questione ebraica" contiene una dura critica a Bruno Bauer che
aveva sostenuto in modo idealistico l'impossibilità dell'emancipazione politica
degli ebrei nella società tedesca. Marx, rifacendosi a "L'essenza del
cristianesimo" di Feuerbach, ribadisce che la religione è il rispecchiamento della
condizione umana alienata. Anche in questo campo, tuttavia, egli va oltre per
affrontare il più complessivo tema dei rapporti sociali. Emancipazione politica
ed emancipazione umana non coincidono e cita il caso degli Stati Uniti dove le
libertà politiche sono garantite a tutti, ma vengono negate nella realtà concreta di
ogni giorno.
"Il limite dell'emancipazione politica - conclude - appare
immediatamente nel fatto che lo Stato può liberarsi da un limite senza
che l'uomo ne sia realmente libero, che lo Stato può definirsi un
libero Stato senza che l'uomo sia un uomo libero".
Attraverso la critica materialistica della religione, superato l'imbelle naturalismo
feuerbachiano, Marx approda al socialismo. L'emancipazione politica, e cioè il
liberalismo borghese, rappresenta il trionfo della proprietà privata, del denaro,
della merce. L'uomo, politicamente liberato, appare ancora più alienato, ridotto a
cosa, mero oggetto di scambio. Il principio fondante la società borghese è
l'egoismo, la lotta di tutti contro tutti. La vera emancipazione dell'uomo è
l'emancipazione sociale.
Non estranea a questa maturazione era stata la lettura del saggio di Friedrich
Engels, che Marx allora conosceva appena, pubblicato negli "Annali" con il
titolo di "Lineamenti di una critica dell'economia politica", in cui si dimostrava
con grande ricchezza di argomentazioni che la società borghese non poteva
evitare un avvenire scandito da una serie costante di crisi commerciali e
caratterizzato dal progressivo impoverimento delle masse. Unica soluzione era
"un totale ribaltamento dei rapporti sociali" attraverso il superamento della
proprietà privata. Il giovane intellettuale rivoluzionario, già conquistato al
comunismo dalle teorie di Moses Hess, sviluppava una tesi decisiva per la
maturazione politica di Marx: la tendenza storica verso l'emancipazione, la
"cosa" sognata di cui Marx scriveva a Ruge, non poteva fondarsi su una
necessità solo filosofica, tantomeno in una fumosa idea di "natura", ma doveva
affondare le sue radici in potenti leggi economiche che andavano attentamente
studiate nel loro dinamico interagire con la società.
Nella critica della filosofia del diritto Marx vede ormai la possibilità della
rivoluzione in Germania:
"Nella formazione di una classe con catene radicali, di una classe
della società civile che non è una classe della società civile, di un
ceto che è la dissoluzione di tutti i ceti, di una sfera che possiede un
carattere universale grazie alle sue sofferenze universali e che non
rivendica nessun diritto particolare perché non si commette su di essa
nessuna ingiustizia particolare, ma l'ingiustizia per eccellenza, che
non può più rivendicare un titolo storico ma ormai soltanto il titolo
umano, che non sta in una contraddizione unilaterale con le
conseguenze, ma in una contraddizione universale con le premesse
dello Stato tedesco, una sfera infine che non può emanciparsi senza
emanciparsi da tutte le altre sfere della società e senza emancipare
con ciò tutte le altre sfere; che, in una parola, è la perdita totale
dell'uomo, e che insomma può riconquistare se stessa soltanto con la
piena riconquista dell'uomo. Questa dissoluzione della società è il
proletariato".
Come si vede, Marx pensa ancora in termini filosofici, ma la prospettiva è del
tutto nuova e apre la via del comunismo.
I "Manoscritti economico-filosofici del 1844"
La pubblicazione degli "Annali franco-tedeschi" suscitò le proteste del governo
prussiano che intervenne ufficialmente su quello francese perché impedisse la
diffusione della rivista. Spaventato, l'editore Frobel si ritirò dal progetto e lo
stesso Ruge iniziò a mostrarsi scettico sulle reali possibilità dell'iniziativa e
molto restio ad arrischiare del denaro per garantire la vita della rivista. Anzi, di
fronte alla scarsa diffusione degli "Annali", poco venduti a Parigi e sequestrati
dalla polizia in Germania, egli, nonostante le grandi promesse fatte, non esitò a
pagare lo stipendio che spettava a Marx come caporedattore con copie della
rivista. Nonostante le difficoltà anche materiali in cui si venne a trovare per il
precipitare della situazione, Marx si dedicò a uno studio sistematico della
rivoluzione francese e degli scritti dei socialisti francesi ed in particolare di
Proudhon. Sfruttando le conoscenze di Moses Hess, egli entrò in stretto contatto
con i capi delle più importanti società operaie segrete, senza però aderire a
nessuna di queste.
Il frutto di queste frequentazioni e di questa gigantesca mole di studi verrà da
Marx sintetizzato in un'opera, più quaderno di appunti che compiuta
elaborazione teorica, destinata a restare sconosciuta fino al 1932, quando nella
forma frammentaria rimasta verrà pubblicata sotto il titolo di "Manoscritti
economico-filosofici del 1844".
Opera di difficile lettura per il suo carattere frammentario, ma anche per
l'oscurità del linguaggio usato - va tenuto presente che Marx scrive per sé e non
per la pubblicazione - i "Manoscritti" comprendono estratti di opere di economia
politica, lunghe annotazioni personali a margine di quanto letto, riassunti delle
principali dottrine economiche, conclusioni tratte da questi studi e una definitiva
presa di posizione nei confronti di Hegel da parte di un Marx ormai
compiutamente comunista.
Anche nella sua attuale frammentarietà l'opera colpisce per la quantità enorme
dei riferimenti e per la capacità dell'autore di padroneggiare una materia tanto
vasta. In poco più di un anno Marx divora decine di opere, di cui espone spesso
con grande acutezza le linee essenziali, di cui sa con occhio attento cogliere le
contraddizioni. Ma ciò che colpisce maggiormente è l'immagine di Marx che
balza fuori da queste pagine. Egli si accosta allo studio, ed in particolare
all'economia politica, con l'atteggiamento proprio del militante che cerca nelle
teoria solidi strumenti per l'azione politica e agisce con la visione prospettica
dello scienziato.
La lettura delle principali opere degli economisti borghesi, per i quali l'operaio è
considerato "solo come animale da lavoro, come una bestia ridotta ai più
elementari bisogni di vita", porta Marx ad applicare la teoria hegeliana e
feuerbachiana dell'alienazione ai fatti economici, fino a scoprire nello
sfruttamento capitalistico la causa prima della disumanizzazione dell'uomo che
ancora idealisticamente Feuerbach aveva considerato solo in rapporto alla genesi
delle idee religiose.
Il capitalismo è il mondo delle merci e del denaro che diventa il metro di
paragone di tutte le cose. Tale è la perdita di realtà del lavoro come principale
fattore di realizzazione dell'uomo che attraverso l'attività lavorativa riproduce di
continuo le condizioni stesse della sua vita che "la realizzazione del lavoro
appare a tal punto una perdita di realtà, che il lavoratore perde la sua realtà fino
a morire di fame". Quanto più la classe operaia produce tanto meno essa
partecipa del consumo della ricchezza prodotta, quanto più crea valore, tanto più
essa diventa priva di valore, quanto più i prodotti diventano il centro della
società tanto più l'operaio è spinto ai margini della vita sociale. "Con la
valutazione del mondo delle cose, cresce in misura direttamente proporzionale la
svalutazione del mondo dell'uomo".
La soluzione per Marx sta nella "positiva abolizione della proprietà privata",
nella "reale appropriazione dell'essenza umana" da parte dell'uomo: nel
comunismo. Il comunismo rappresenta il definitivo scioglimento di tutte le
contraddizioni: esso è "l'enigma della storia risolto". La società comunista è "la
compiuta, essenziale unità dell'uomo con la natura", in cui "l'individuo è l 'essere
sociale".
La conversione di Marx al comunismo porta a una brusca rottura con Ruge.
L'occasione viene offerta dalla pubblicazione sul "Vorwärts", il giornale degli
emigrati tedeschi a Parigi, di un articolo, "Il re di Prussia e la riforma sociale", in
cui Ruge, che si firmava "un prussiano", valutava politicamente insignificante
l'insurrezione dei tessitori della Slesia avvenuta nel giugno 1844 perché del tutto
priva di prospettiva. In un articolo di risposta, "Le osservazioni critiche a
margine", pubblicato nello stesso numero della rivista, Marx rovescia
radicalmente il giudizio negativo di Ruge. L'insurrezione del proletariato
slesiano rappresenta il sintomo del fatto che anche nell'arretrata Germania
stanno venendo a maturazione le condizioni della rivoluzione comunista. Il
proletariato tedesco ha dimostrato di aver acquisito una prima, embrionale
coscienza di classe, che lo rende a pieno titolo soggetto rivoluzionario. Ruge,
che si attarda dietro ai suoi sogni di rivoluzione delle idee, è solo un intellettuale
liberale incapace di vedere l'inarrestabile crescere nella società del movimento
reale in grado di mutare l'ordine di cose esistente. La collaborazione con lui non
ha più senso. Si tratta di conquistare i proletari al comunismo, di portare a piena
maturazione la coscienza del proletariato di essere l'unica classe veramente
rivoluzionaria. Il tempo dei dibattiti, delle polemiche intellettuali è finito. Inizia
il tempo delle lotte di partito.
Un partito rappresentato in embrione da quei circoli operai tedeschi di Parigi in
cui, come scrive Ruge non senza una nota di sarcasmo, "Marx si è buttato a capo
fitto". Per Ruge, chiuso nelle sue sicurezze intellettuali, "questo meschino
affaccendarsi" è incomprensibile. Per Marx si tratta, invece, della scoperta di un
mondo nuovo, fatto di solidarietà e di fatica. Una scoperta che lo allontana
definitivamente da una visione astratta ed estetizzante dell'uomo, portandolo a
scoprire nel contatto quotidiano l'essenza autentica e profonda del proletariato.
Una scoperta sconvolgente che lo porta ad annotare nei "Manoscritti" come il
comunismo non sia affatto una vaga utopia di filosofi sognatori, ma un bisogno
concreto reso ogni giorno di più manifesto dalla pratica politica degli operai
d'avanguardia:
"Quando gli operai comunisti si riuniscono, essi hanno primamente
come scopo la dottrina, la propaganda, ecc. Ma con ciò si appropriano
insieme di un nuovo bisogno, del bisogno della società, e ciò che
sembra un mezzo, è diventato scopo. Questo movimento pratico può
essere osservato nei suoi risultati più luminosi, se si guarda ad una
riunione di "ouvriers" socialisti francesi. Fumare, bere, mangiare, ecc.
non sono più puri mezzi per stare uniti, mezzi di unione. A loro basta
la società, l'unione, la conversazione che questa società ha a sua volta
per iscopo; la fratellanza degli uomini non è presso di loro una frase,
ma una verità, e la nobiltà dell'uomo si irradia verso di noi da quei
volti induriti dal lavoro".
L'incontro con Engels e la genesi del materialismo storico
A luglio giunge dall'Inghilterra Friedrich Engels che, sulla via del ritorno a casa,
vuole fermarsi qualche giorno a Parigi per confrontarsi di persona con Marx con
cui ha collaborato alla redazione degli "Annali". I due si erano già fugacemente
incontrati a Colonia ai tempi della "Rheinische Zeitung", ma l'impressione
reciproca era stata negativa. Allora Engels proveniva da Berlino, dove
partecipava alle iniziative del circolo dei "Liberi" e per Marx, in piena rotta con
Bauer, ciò rappresentava un pessimo biglietto da visita. La situazione è ora
radicalmente cambiata: anche Engels ha rotto i ponti con Bauer e l'hegelismo di
sinistra per approdare ad una visione scientifica del comunismo fondata sullo
studio puntiglioso degli economisti classici e sull'osservazione sistematica della
borghese Inghilterra, dove più acute sono le contraddizioni proprie del modo di
produzione capitalistico. I due rivoluzionari passano insieme dieci giorni a
discutere di tutto, scoprendo di avere un "accordo perfetto in tutti i campi della
teoria".
Questo incontro rappresenta per Marx e Engels la svolta decisiva del loro
cammino intellettuale e politico, destinata a segnare l'inizio di un'amicizia e di
una comunanza di lavoro, fatta di studio e di lotte, che durerà per tutta la loro
vita, in un rapporto così intenso da rendere impossibile oggi definire con
chiarezza dove termini l'impronta dell'uno e dove inizi il contributo dell'altro alla
fondazione della comune teoria materialistica della storia. Quasi mezzo secolo
dopo, nel 1885, Engels ricostruirà così la genesi del materialismo storico:
"A Manchester mi ero brutalmente accorto che i fatti economici, ai
quali la storia aveva fino ad allora attribuito una importanza nulla o
minima, costituiscono, almeno nel mondo moderno, una forza storica
decisiva, da essi traevano origine gli attuali antagonismi di classe.
Compresi che questi antagonismi, nel paese in cui la grande industria
li ha portati al loro pieno sviluppo, sono le basi sulle quali si fondano i
partiti, sono l'origine delle lotte politiche, sono le ragioni di tutta la
storia politica. Marx non soltanto era arrivato alla stessa opinione, ma
aveva perfino, nei "Deutsch-französische Jahrbücher", generalizzato
questa concezione e sviluppata la tesi che in generale non lo stato
condiziona e regola la società civile, ma la società civile condiziona e
regola lo stato; e che bisogna quindi spiegare la politica e la storia per
mezzo dei rapporti economici e non viceversa".
Al momento di ripartire per la Germania, Engels si accorda con Marx per
regolare definitivamente i conti con Bruno Bauer e i giovani hegeliani. I due
amici decidono di redigere un opuscolo di critica aperta e sistematica delle
posizioni filosofiche e politiche di Bauer. Engels scrive di getto il suo contributo
di poco più di quindici pagine. Marx, molto più sistematico, si dedica a fondo
all'analisi del "pensiero critico" fino a far raggiungere all'opera le dimensioni di
un grosso volume di circa trecento pagine che viene pubblicato nel febbraio
1845 col titolo "La sacra famiglia, ossia critica della critica critica".
L'opera passò quasi inosservata, anche perché le teorie di Bauer non erano più
da tempo al centro dell'attenzione degli intellettuali tedeschi. Tanto che lo stesso
Engels si mostrò stupito del tempo dedicato da Marx alla confutazione di tesi
che non meritavano che un "sovrano disprezzo". In realtà, come si è visto, a
causa dell'insurrezione dei tessitori slesiani Marx guardava con rinnovato
ottimismo alla Germania. Diventava pertanto importante stabilire quali correnti
politiche avrebbero potuto nell'ipotesi, che gli appariva sempre più realistica, di
una rivoluzione in Germania influenzare l'opinione pubblica tedesca. Occorreva
sgombrare il campo da tutte quelle forze che potevano essere di ostacolo al
maturare del processo rivoluzionario a partire dai fratelli Bauer, per giungere poi
a Stirner, allo stesso Feuerbach ed infine a Proudhon. "La sacra famiglia" va
dunque inquadrata in una ben definita prospettiva politica, in totale sintonia con
le opere successive, da "L'ideologia tedesca" a "La miseria della filosofia".
"L'ideologia tedesca"
In tanto proseguiva l'azione della Prussia sul governo francese. L'11 gennaio
1845 il ministero dell'Interno ordinò l'espulsione dalla Francia di Marx, Ruge e
altri esponenti dell'opposizione tedesca. Mentre Ruge e gli altri capitolarono,
rinunziando a svolgere attività politica, Marx abbandonò la Francia per
Bruxelles dove si stabilì con la moglie e la figlia di un anno. Lì due mesi dopo fu
raggiunto da Engels e i due amici iniziarono a dar corso ai progetti stesi
nell'estate precedente a Parigi.
Marx aveva intenzione di scrivere un'opera in due volumi, "Critica
dell'economia politica", per la quale aveva già firmato un contratto con un
editore tedesco e che sarebbe dovuta uscire nell'estate., ma che non vedrà la luce
che nel 1859. Secondo il suo stile iniziò lo studio di una infinità di libri di cui
redasse accurati riassunti, ricchi di annotazioni e di spunti di riflessione. Poi
nell'estate del 1845 si recò con Engels, che aveva appena pubblicato "Le
condizioni della classe operaia in Inghilterra", a Manchester per studiare gli
economisti inglesi di cui non era riuscito a procurarsi le opere a Bruxelles.
Di ritorno dall'Inghilterra, dal settembre 1845 all'agosto 1846, Marx e Engels
decisero di "mettere in chiaro, con un lavoro comune", il contrasto tra il loro
nuovo modo di vedere e la "concezione ideologica della filosofia tedesca", di
fare i conti con la loro anteriore coscienza filosofica. Frutto di questo impegno
fu "L'ideologia tedesca": due grossi volumi, più della metà dei quali era dedicata
alla confutazione dell'individualismo anarchico di Max Stirner e delle teorie del
cosiddetto "vero socialismo", un ibrido di hegelismo mal compreso e di utopie
socialiste allora in gran voga tra gli intellettuali tedeschi. Per Marx si tratta di un
compito tanto urgente da fargli interrompere il suo lavoro sulla critica
dell'economia politica. Egli pensa che la Germania sia alla vigilia di uno scoppio
rivoluzionario: nell'estate del 1844 un'ondata di scioperi aveva percorso i
principali centri industriali tedeschi, ovunque si erano costituite associazioni per
il benessere delle classi lavoratrici, mentre avevano fatto la loro apparizione i
primi giornali socialisti. Marx ritiene che questo movimento vada orientato, che
si debba combattere a fondo tanto il diffondersi nella classe operaia di teorie
filantropiche spacciate per socialiste quanto l'equivoco rappresentato dal
presunto carattere rivoluzionario dell'individualismo stirneriano.
Ne "L'ideologia tedesca" la concezione materialistica, di cui come si è visto i
primi accenni erano già presenti nei "Manoscritti economico-filosofici", viene
sviluppata finalmente in modo organico ed esaustivo. Marx e Engels intendono
definire i lineamenti di una "scienza reale e positiva" della società e della storia,
iniziando dalle condizioni materiali di vita degli individui reali. Il punto di
partenza non può che essere la produzione, cioè il modo concreto in cui gli
uomini entrano in rapporto per soddisfare i loro bisogni essenziali. Per cui "ciò
che gli individui sono, coincide con la loro produzione, sia per ciò che
producono, sia per come producono". Marx definisce qui in forma compiuta i
concetti fondamentali di "forze produttive" e di "rapporti di produzione", che
stanno alla base dell'intera storia dell'uomo. E poiché i rapporti di produzione
sono la forma storica, concreta, via assunta dalla divisione sociale del lavoro,
essi determinano anche il nascere e il mutuo interagire delle classi sociali. Per
cui in una gigantesca sintesi Marx può definire l'intera storia dell'umanità come
storia delle lotte di classe.
Ciò a maggior ragione vale anche per la genesi e lo sviluppo del pensiero
umano. "Le idee della classe dominante - scrivono Marx e Engels - sono in ogni
epoca le idee dominanti, ossia la classe che è la potenza materiale dominante è
al tempo stesso la sua potenza spirituale dominante". Chi non esce dal mondo
delle idee si preclude la possibilità di formarsi una reale idea del mondo: "la
filosofia sta allo studio del mondo reale come l'onanismo sta all'atto sessuale".
Marx ed Engels portano qui alle estreme conseguenze la critica di Feuerbach a
Hegel: come per Feuerbach la religione era un riflesso delle aspirazioni
dell'uomo, così ora l'ideologia è un riflesso della vita sociale dell'uomo che si
compie indipendentemente dalla volontà dei singoli e in modo inconsapevole.
L'ideologia è dunque la "falsa coscienza" di un'umanità alienata, così come la
religione ne era stata la rappresentazione deformata.
L'opera non riuscì a trovare un editore e verrà pubblicata in forma integrale solo
nel 1932 a cura dell'Istituto Marx-Engels di Mosca, ma i due autori avevano lo
stesso raggiunto il loro scopo: l'organica definizione delle linee portanti della
concezione materialistica della storia. Con "L'ideologia tedesca" il marxismo ha
ormai forma compiuta e il manoscritto può essere volentieri abbandonato alla
"critica roditrice dei topi".
Alla fine del 1846 Marx e Engels sono dunque ormai definitivamente approdati
ad una matura visione del comunismo come scienza dei rapporti sociali e della
rivoluzione, lasciandosi alle spalle ogni residua tentazione filosofica. Nelle sue
"Tesi su Feuerbach", composte nella primavera del 1845, Marx scrive: "Il difetto
principale di ogni materialismo fino ad oggi, compreso quello di Feuerbach, è
che l'oggetto, il reale, il sensibile è concepito solo sotto forma di oggetto o di
intuizione; ma non come attività sensibile umana, come attività pratica... I
filosofi non hanno fatto finora che interpretare il mondo in modi diversi; ciò che
importa è trasformarlo".
Il comunismo non è più una dottrina, una visione più illuminata del mondo, né
tantomeno si fonda su principi filosofici, siano essi l'hegelismo di sinistra o
l'umanismo di Feuerbach. Il comunismo è la scienza della trasformazione
rivoluzionaria della società e si fonda sulla lotta delle classi. Con "L'ideologia
tedesca" il comunismo diventa scienza. La battaglia vinta sul piano teorico deve
ora essere ingaggiata sul piano politico.
"Appena raggiunto l'accordo con noi stessi - ricorda Engels - ci mettemmo al
lavoro". Il primo compito e il più urgente era di sconfiggere nell'azione politica
di ogni giorno il comunismo primitivo che ancora affascinava l'avanguardia
politica del proletariato. Ciò significava soprattutto confrontarsi con le teorie di
Proudhon. Ed è appunto quello che Marx fece tra il dicembre 1846 e il giugno
1847.
"La polemica con Proudhon e "La miseria della filosofia"
Nel luglio 1847 appare "La miseria della filosofia", che già nel titolo
ironicamente rovescia quel "Sistema delle contraddizioni economiche o
Filosofia della miseria" da poco apparso in cui Proudhon tentava di dare
fondamento scientifico alla sua visione del socialismo.
La critica di Marx è feroce e non salva nulla, sia sul piano economico che su
quello filosofico, delle confuse teorie proudhoniane. La premessa è fulminante:
"Il signor Proudhon ha la sventura di essere misconosciuto in Europa in un
modo singolare. In Francia egli ha il diritto di essere un cattivo economista
perché passa per un buon filosofo tedesco. In Germania ha il diritto di essere un
cattivo filosofo, perché passa per uno dei migliori economisti francesi. Noi, nella
nostra duplice qualità di tedeschi e di economisti, abbiamo voluto protestare
contro questo duplice errore".
Lo scritto tratta in apparenza quasi esclusivamente concetti economici: valore
d'uso e valore di scambio, denaro, profitto, rendita, divisione del lavoro,
concorrenza e monopolio, ecc. In realtà gli intenti sono ben più ambiziosi. In
una lettera all'amico russo Paul Annenkov, Marx chiarisce come al fondo della
sua critica a Proudhon stia la volontà di smascherare una visione idealistica della
storia spacciata per materialismo:
"Che cos'è la società, in qualunque forma esista? Il prodotto delle
attività reciproche degli uomini. L'uomo è forse libero di scegliere
questa o quella forma sociale? In nessun modo. Dato un punto
determinato nell'evoluzione delle forze produttive degli uomini, si
avrà una forma corrispondente del commercio e del consumo. Dato un
punto determinato nell'evoluzione della produzione, del commercio e
del consumo, si avrà una forma corrispondente di costituzione sociale,
una certa organizzazione della famiglia, dei mestieri o delle classi, in
una parola, una società civile corrispondente. Data una tale società
civile, si avrà una situazione politica corrispondente, che non sarà che
l'espressione ufficiale di questa società civile.
Occorre anche aggiungere che gli uomini non dirigono a loro
piacimento le forze produttive - fondamento di tutta la loro storia giacché ogni forza produttiva è una forza acquisita, prodotto di
un'attività anteriore. Così le forze produttive sono il risultato
dell'energia pratica degli uomini, ma questa energia pratica è essa
stessa determinata dalle circostanze in cui si trovano gli uomini, a
causa delle forze produttive già acquisite, a causa della forma sociale
esistente prima di loro, forma sociale che essi non creano, ma che è il
prodotto della generazione precedente. (…)
Conseguenza necessaria: la storia sociale degli uomini non è altro che
la storia del loro sviluppo individuale, ne abbiano essi o no coscienza.
Le loro relazioni materiali formano la base di tutte le loro relazioni.
Queste relazioni materiali non sono che le forme in cui si attua
necessariamente la loro attività materiale e individuale... Le forme
economiche secondo cui gli uomini producono, consumano, fanno
scambi, sono transitorie e storiche. Grazie alle forze produttive di
recente acquisite, gli uomini trasformano il loro modo di produzione, e
con il loro modo di produzione trasformano tutte le loro relazioni
economiche, che non erano che le relazioni necessariamente
corrispondenti a un modo di produzione determinato... Il signor
Proudhon ha capito benissimo che gli uomini fabbricano i tessuti, la
tela, le stoffe di seta. Ciò che il signor Proudhon non ha capito, è che
gli uomini producono pure. a seconda delle loro capacità, le loro
relazioni sociali, allo stesso modo che producono la tela e il lino.
Proudhon ha capito ancor meno che gli uomini che producono le loro
relazioni sociali corrispondenti alla loro produzione materiale,
producono pure le idee, le categorie, vale a dire le espressioni ideali e
astratte di queste stesse relazioni sociali. Quindi, le categorie sono
altrettanto poco eterne quanto le relazioni di cui sono l'espressione.
Esse sono prodotti storici e transitori. Per il signor Proudhon,
viceversa, le astrazioni, le categorie, sono le cause primordiali. A suo
avviso, sono esse, e non gli uomini, che fanno la storia... Poiché,
secondo lui, le categorie sono le forze determinanti, non c'è alcun
bisogno di trasformare la vita pratica per trasformare le categorie. Al
contrario: bisogna modificare le categorie, il che modificherà di
conseguenza la vita reale".
Detto in altri termini: per cambiare il mondo non bastano le idee, occorre la
rivoluzione. La filosofia ha ormai esaurito il suo compito. Il proletariato, unica
classe rivoluzionaria, armato della concezione materialistica della storia, ne è
l'erede.
Parte terza
Marx e la rivoluzione in Europa
(1845-1851)
Marx e l'Associazione degli operai tedeschi a Londra - La rottura con
Weitling - Marx organizzatore comunista a Bruxelles - Il Manifesto del
partito comunista - Marx ed Engels nella rivoluzione tedesca - La questione
dei tempi della rivoluzione
Con "L'ideologia tedesca" Marx e Engels avevano dato un fondamento
scientifico alla lotta del proletariato. Occorreva ora conquistare a questa
concezione strategica la classe operaia europea, a partire dal proletariato
tedesco. Il primo compito politico diveniva battere il comunismo primitivo e la
sua visione cospirativa dell'organizzazione operaia.
Marx, che pure apprezzava nei comunisti settari la critica intransigente dello
stato di cose esistente e la volontà di mutarlo con l'azione diretta, era
consapevole della debolezza politica di una visione del comunismo tutta rivolta
all'indietro, al ritorno ad una improbabile età dell'oro. Marx guardava avanti: il
comunismo non poteva essere il ritorno ad un passato mitico, ma la società
dell'avvenire, frutto dell'azione rivoluzionaria di una nuova classe, il
proletariato. La prospettiva dell'azione rivoluzionaria ne usciva radicalmente
trasformata: occorreva passare da un'azione di proselitismo rivolta a piccole
minoranze all'azione aperta e risoluta fra le masse. Occorreva soprattutto elevare
il livello della propaganda, legando la teoria all'intervento quotidiano nella
concreta realtà operaia. Occorreva, in altri termini, far fare al movimento
operaio il salto dalle sette al partito.
Marx e l'Associazione degli operai tedeschi a Londra
Nel corso del viaggio in Inghilterra dell'estate del 1845 Marx e Engels erano
entrati in rapporto con esponenti del movimento cartista e con i dirigenti
dell'Associazione dei lavoratori tedeschi di Londra. Era questa la forma legale
assunta in Inghilterra dalla Lega dei Giusti, un'associazione operaia segreta
internazionale nata alla fine degli anni Trenta da una scissione della Lega degli
esiliati, una società segreta di stampo carbonaro radicata tra gli emigrati politici
tedeschi.
Forte di oltre cinquecento membri, reclutati prevalentemente fra gli emigrati
tedeschi, ma con significative presenze di lavoratori olandesi, scandinavi,
ungherese, boemi, slavi e russi, la sezione inglese della Lega rappresentava nei
fatti l'embrione del partito operaio internazionale a cui Marx e Engels stavano da
tempo pensando. Nel 1843 Engels era entrato in stretti rapporti con i capi
dell'Associazione: Karl Schapper, il calzolaio Heinrich Bauer e il lavorante
orologiaio Heinrich Moll. Due anni più tardi li aveva presentati a Marx che era
rimasto molto colpito dal modo di operare della Associazione ed in particolare
dall'attenzione attribuita alla formazione teorico-politica dei membri. Ed in
effetti, la serietà organizzativa e il rigore politico rappresentavano le principali
caratteristiche dell'Associazione, come risulta anche dalla testimonianza che
segue, contenuta in una lettera del 1846 di un intellettuale democratico entrato in
contatto con i gruppi comunisti londinesi:
"...Verso le otto e mezzo, pieni di impazienza, ci recammo alla sede
dell'Associazione. Il pianterreno sembrava un semplice magazzino.
Vi si vendeva birra ma non vi notai nessuna sedia destinata ai
consumatori. Traversammo questo negozio e, saliti al piano di sopra,
giungemmo in una sala con tavole e panche, che poteva accogliere
circa duecento persone. Una ventina di uomini erano seduti a piccoli
gruppi, mangiavano una cena molto semplice o fumavano la pipa
davanti a un bicchiere di birra. Altri ancora erano in piedi e ogni
tanto la porta si apriva per lasciar passare nuovi venuti; era chiaro
che la riunione sarebbe cominciata più tardi. Gli abiti erano molto
corretti, il contegno disinvolto, ma non privo di dignità, tuttavia i
volti, per la maggior parte, rivelavano l'operaio. La lingua dominante
era il tedesco, ma si parlavano anche il francese e l'inglese....
Vedemmo presto entrare un uomo alto e forte, esuberante di salute. I
baffi neri, lo sguardo chiaro e penetrante, l'andatura imponente,
dimostrava all'incirca trentasei anni... (che) mi fu presentato come
Schapper, democratico che aveva fatto le sue prime prove a
Francoforte, e che aveva preso parte in seguito a campagne, o meglio
rivoluzioni in Svizzera e in Spagna.... Schapper ci invitò a sedere in
sua compagnia all'estremità della sala. Passando mi indicò un
manifesto che portava questo titolo: Statuti dell'Associazione per
l'istruzione degli operai tedeschi. Secondo questi statuti, ogni uomo
che guadagni onestamente il pane e non abbia a rimproverarsi
nessuna azione contraria all'onore, può far parte dell'Associazione. In
ogni modo, ogni ammissione deve esser proposta da un membro e
approvata da un altro.... I membri sono divisi in due categorie: 1)
quelli che costituiscono l'Associazione comunista propriamente
detta.... 2) i membri liberi, che partecipano unicamente alle sedute
istruttive. Soltanto i primi sono ammessi alle assemblee statutarie,
eleggono il comitato direttivo e votano l'ammissione dei nuovi
membri.... Il principio fondamentale dell'Associazione è che l'uomo
può raggiungere la libertà e la coscienza di sé soltanto attraverso la
cultura del proprio spirito, di conseguenza tutte le serate sono
dedicate all'insegnamento.... Noi ci sedemmo ai posti che ci erano
stati assegnati; frattanto la sala si era del tutto riempita. Il
presidente.... aprì la seduta.... poi si passò all'attualità politica e il
cittadino Schapper fece un rapporto sugli avvenimenti della
settimana. Il suo discorso fu eloquente, molto complesso, e pieno di
insegnamenti. Si vedeva ch'egli aveva, come l'Associazione,
numerose fonti d'informazione. Tra l'altro commentò il contenuto
d'una lettera proveniente da Madrid, che faceva un elenco di fatti
numerosi e molto dettagliati sulla caduta del dispotismo militare...
fatti che nessun giornale aveva riferiti nel loro insieme.
Naturalmente, una forte tendenza comunista era sempre palese e il
tema del proletariato costituiva il filo rosso che legava il
discorso....Dopo la seduta, ebbi una discussione molto seria con
Schapper sulla sua ostilità nei riguardi del liberalismo, poi parlai con
alcuni membri dell'Associazione, tra i quali un operaio ebanista della
Slesia. Visitai la biblioteca e comprai parecchie opere comuniste.... I
presenti si separarono con molta cordialità, e il fatto che si davano
del tu, che era una delle leggi dell'Associazione, mi parve avere
radici nel cuore di tutti i membri".
La rottura con Weitling
Principale punto di riferimento teorico della Lega era stato fino a quel momento
Wilhelm Weitling, un sarto, autore di pubblicazioni di largo successo in cui si
avanzava una rozza e primitiva idea del comunismo che aveva nel richiamo al
Vangelo e alle primitive comunità cristiane il principale motivo ispiratore.
Weitling, che si concepiva come un nuovo Messia venuto a liberare l'umanità
sofferente, teorizzava la comunanza delle donne e auspicava l'avvio di una
spietata lotta di annientamento contro la borghesia condotta dagli strati più
disperati del sottoproletariato. Il popolo era già maturo per la nuova società
comunista. Occorreva solo l'azione audace di un piccolo gruppo di rivoluzionari
pronti a tutto e organizzati segretamente.
Le teorie di Weitling avevano suscitato perplessità nella sezione inglese della
Lega dei Giusti. Questa, tramite il lavoro legale di propaganda e di mutuo
soccorso svolto dall'Associazione dei lavoratori tedeschi di Londra, aveva, come
abbiamo visto, raggiunto ormai dimensioni considerevoli che la collocavano su
di un piano totalmente estraneo all'azione cospirativa e settaria. Marx seguì
dunque con grande attenzione il dibattito in corso fra Weitling e gli "inglesi" che
dimostrava come fosse ormai in atto una divaricazione nel movimento fra il
socialismo scientifico e l'utopismo. Occorreva garantire un indirizzo preciso a
questo processo, accelerarne l'evoluzione fino alla nascita anche formale del
partito comunista. E questo fu il compito che Marx si assunse fin dall'autunno
del 1845, proponendo la costituzione di "comitati di corrispondenza" che
assicurassero un regolare scambio di informazioni fra le varie realtà del
movimento comunista internazionale.
Nella primavera del 1846, Marx creò un comitato di corrispondenza a Bruxelles
allo scopo di influenzare il dibattito in corso nella lega dei Giusti. In una lettera
del 5 maggio di quell'anno si legge:
"Insieme con i due miei amici Friedrich Engels e Philippe Gigot (tutti
e due di Bruxelles) ho organizzato con i comunisti tedeschi una
corrispondenza regolare che dovrà occuparsi della discussione di
questioni scientifiche e della sorveglianza da esercitare sugli scritti
popolari e la propaganda socialista, che si può fare in Germania con
questo mezzo. Lo scopo principale della nostra corrispondenza sarà
pertanto quello di mettere i socialisti tedeschi a contatto con i
socialisti francesi e inglesi, di tenere gli stranieri al corrente dei
movimenti socialisti che saranno attuati in Germania e d'informare i
tedeschi in Germania dei progressi del socialismo in Francia e in
Inghilterra. In questo modo le diversità d'opinione potranno rivelarsi;
si arriverà a uno scambio d'idee e ad una critica imparziale. Questo è
un passo che il movimento sociale avrà fatto nell'espressione letteraria
per sbarazzarsi dei limiti della nazionalità. E al momento dell'azione è
certamente molto interessante per ognuno conoscere lo stato degli
affari all'estero altrettanto bene che i propri".
Wilhelm Weitling
La corrispondenza con Schapper e gli "inglesi" si avviò in modo regolare e
proficuo, altrettanto positive furono le relazioni avviate con la Lega dei Giusti di
Parigi ed in particolare con Hermann Ewerbeck. Scarsi restarono invece i
rapporti con la Germania, con l'eccezione di alcuni gruppi della Lega operanti a
Colonia, a Kiel, in Slesia e nel Wupperthal. Come Marx aveva previsto, decisa
fu l'opposizione di Weitling, contrario per principio ad ogni attività che si
allontanasse dall'azione diretta e violenta delle masse. Il 30 marzo 1846 si tenne
a Bruxelles una riunione per definire una volta per tutte quale tattica seguire.
Oltre a Marx e a Weitling, erano presenti Engels, il belga Philippe Gigot, Edgard
von Westphalen, cognato di Marx che poco dopo andrà a costruire una
collettività comunista in Texas, i comunisti tedeschi Joseph Weidemeyer e
Sebastian Seiler e il russo Pavel Annenkov che lascerà una vivace descrizione
dell'incontro.
Scrive Annenkov che Weitling parlò per primo, ripetendo "tutti i luoghi comuni
della retorica liberale" e che "avrebbe senza dubbio parlato più a lungo se Marx
non l'avesse interrotto, la fronte aggrottata per la collera. Nella parte essenziale
della sua risposta sarcastica, Marx dichiarò che sollevando il popolo senza
fondarne in pari tempo l'attività su basi solide, lo si ingannava. Far nascere
speranze fantastiche non portava alla salvezza ma piuttosto alla perdita di quelli
che soffrivano; rivolgersi agli operai, e soprattutto agli operai tedeschi, senza
avere idee strettamente scientifiche e una dottrina concreta, significava
trasformare la propaganda in un gioco privo di senso, peggio, senza scrupoli..".
Weitling replicò che con la critica astratta non si sarebbe potuto ottenere nulla di
buono e accusò Marx di non essere altro che un intellettuale borghese lontano
dalle miserie del mondo. " A queste ultime parole - conclude Annenkov - Marx
assolutamente furioso, diede un pugno sulla tavola così forte che il lume ne
tremò, e, alzatosi di scatto, gridò: "Fino ad ora l'ignoranza non ha mai servito a
nessuno!" Seguendo il suo esempio ci alzammo anche noi. La conferenza era
finita, e mentre Marx, eccitato da una collera insolita, andava su e giù per la
stanza, io mi accomiatai da lui e dagli altri e ritornai a casa, molto stupito per ciò
che avevo visto e udito".
Forte del successo riportato su Weitling, Marx procedette senza esitazioni nella
sua lotta di tendenza all'interno del movimento comunista. Nel mese di maggio
egli redasse assieme a Engels una circolare contro Hermann Kriege che da New
York, dove esisteva una fiorente comunità di operai tedeschi, appoggiava
Weitling con il suo settimanale "Volkstribun". In questo documento Marx e
Engels sostenevano che il partito non doveva divenire una cricca, che la causa
rivoluzionaria era più importante dei singoli individui, qualunque fosse stato il
loro contributo passato, e che il partito doveva avere il coraggio di separarsi
decisamente da posizioni ormai superate e pericolose come quelle sostenute da
Weitling e da Kriege. Una lotta di frazione dura e senza esclusione di colpi, che
fece gridare qualcuno al Marx "dittatore", ma che nel giro di due anni permise di
conquistare al socialismo scientifico l'avanguardia del proletariato mondiale.
Marx organizzatore comunista a Bruxelles
Marx non si limitò a questa decisa azione di orientamento del movimento
comunista. Egli non interruppe i rapporti con le correnti democratiche,
considerandole un alleato indispensabile nell'ottica della rivoluzione imminente.
Quello che a Marx e Engels soprattutto importava era non annacquare le
differenze, non nascondere dietro vuote proclamazioni liberali i veri intenti del
partito comunista. I comunisti dovevano cercare alleanze, ma senza rinunciare
alla loro identità. La coerenza teorica e programmatica, l'unità organizzativa e
politica del partito rappresentavano proprio la condizione indispensabile per
potersi muovere sul terreno delle alleanze senza correre il rischio di scadere in
una pratica opportunistica o peggio ancora in un tatticismo senza principi. Come
si vede niente di sostanzialmente diverso dai compiti che si pongono ai
comunisti oggi.
Marx restò, dunque, in stretti rapporti con il movimento cartista in Inghilterra,
così come con la corrente socialista riformista francese di Louis Blanc. Quanto
alla situazione belga, egli aderì alla "Association Démocratique" di Bruxelles, di
cui fu presto eletto vicepresidente. In questa veste egli partecipò nel novembre
1847 ad un grande meeting di associazioni democratiche organizzato a Londra
per celebrare l'anniversario della rivoluzione polacca. In quell'occasione Marx
sostenne con grande vigore che solo il proletariato poteva liberare la società
dall'oppressione e che le lotte di liberazione nazionale non potevano
rappresentare una alternativa valida alla rivoluzione proletaria. Come ha scritto
Franz Mehring:
"Nella vittoria del proletariato sulla borghesia Marx vedeva il segnale
della liberazione per tutte le nazionalità oppresse, e nella vittoria dei
proletari inglesi sulla borghesia inglese egli vedeva il colpo decisivo
per la vittoria di tutti gli oppressi sui loro oppressori. La Polonia non
doveva essere liberata in Polonia, ma in Inghilterra. Se i cartisti
battevano i loro nemici interni, avrebbero battuto l'intera società".
Con l'aiuto di altri compagni, fra cui si distinguevano intellettuali come Wilhelm
Wolff (a cui dedicherà in seguito il primo libro del Capitale) e alcuni operai
comunisti, Marx ed Engels iniziarono un sistematico lavoro di organizzazione
fra i proletari di Bruxelles. Ad imitazione dell'Associazione di Londra fu
organizzato un "Circolo di studi dei lavoratori tedeschi di Bruxelles" che ne
riprendeva anche nei particolari lo statuto e il modello di organizzazione. Il
circolo si riuniva regolarmente due volte la settimana. Il mercoledì si tenevano
conferenze su argomenti di attualità e sull'economia. Marx curò particolarmente
lo svolgimento di queste conferenze, una serie delle quali vennero poi raccolte
in volume con il titolo di "Lavoro salariato e capitale". Il circolo ottenne fin da
subito largo successo e in pochi mesi oltre un centinaio di operai aderirono
all'iniziativa, tanto da suscitare i timori della polizia belga e delle spie prussiane
operanti a Bruxelles che denunciavano come agli operai delle fabbriche venisse
presentata "la seducente teoria della ripartizione dei beni come fondata su un
diritto innato (e s'inculcasse) loro inoltre un odio profondo per gli altri cittadini e
per il governo".
Il Manifesto del partito comunista
Il primo risultato di questa intensa attività di Marx fu il cambiamento radicale
della strategia della Lega dei Giusti. Nell'autunno del 1846 gli "inglesi"
Schapper e Moll, ormai conquistati al socialismo scientifico, assunsero di fatto il
controllo del comitato centrale della lega e fin da subito impressero alla linea
politica dell'organizzazione una decisa sterzata nel senso auspicato da Marx di
dotare il proletariato di un saldo programma comunista e di una coerente
strategia di classe. Nel mese di novembre il comitato direttivo emanò una
circolare che convocava il congresso dell'organizzazione per il mese di marzo
dell'anno successivo. In vista del congresso fu chiesto a Marx di aderire alla
Lega. Joseph Moll si recò a Bruxelles per fare un dettagliato rapporto a Marx
sulla situazione interna alla Lega e per concertare con lui la tattica congressuale.
Nel mese di febbraio Marx e Engels, che in quel momento si trovava a Parigi,
aderirono formalmente all'organizzazione e il Comitato di corrispondenza di
Bruxelles divenne una "comunità" della Lega.
Il 1° giugno 1847 si aprì a Londra il congresso. Engels rappresentava la
comunità di Parigi, Wolff quella di Bruxelles. Pur non partecipando direttamente
ai lavori, Marx ebbe un ruolo determinante. Il congresso decise una radicale
riorganizzazione della Lega che assunse il nome di "Lega dei comunisti". Gli
statuti furono interamente rinnovati: da organizzazione cospirativa di stampo
massonico, la Lega diventava sotto la guida di Marx il primo partito operaio,
prototipo di tutti i futuri partiti comunisti. A questo proposito il primo articolo
dello statuto diceva:
"Scopo della Lega è il rovesciamento della borghesia, il regno del
proletariato, la soppressione dell'antica società borghese fondata sugli
antagonismi di classe e l'instaurazione di una nuova società senza
classi e senza proprietà privata".
Alla base dell'organizzazione era il principio del centralismo democratico. Il
partito univa al massimo rigore teorico, la massima articolazione democratica.
Tutte le cariche erano elettive, con mandati revocabili in ogni momento.
L'azione in ciascun paese era diretta da un comitato regionale, responsabile a sua
volta verso il comitato centrale, rappresentato dal comitato direttivo della città
prescelta come sede centrale della Lega. Il congresso decise poi, oltre al progetto
di una rivista teorica, la "Kommunistische Zeitschrift" (Rivista comunista) di cui
uscirà un solo numero, di abbandonare il vecchio motto, "Tutti gli uomini sono
fratelli", per una nuova parola d'ordine, proposta da Engels su richiesta di Marx
che da Bruxelles aveva fatto sapere che esisteva una quantità di uomini dei quali
non teneva minimamente ad essere fratello. "Proletari di tutto il mondo unitevi"
diventò così la nuova bandiera del movimento comunista. Il congresso si
concluse con la scelta di Londra come sede del comitato centrale e l'indizione di
un nuovo congresso chiamato ad approvare il programma della Lega.
Il secondo congresso della Lega si riunì a Londra nel mese di novembre del
1847. Engels rappresentava ancora la sezione di Parigi, mentre Marx era il
delegato di Bruxelles. Egli attraversava in quel momento un periodo difficile: gli
erano nati altri due figli, Laura e Edgard, e i magri guadagni del lavoro
giornalistico bastavano appena a mantenere stentatamente la famiglia.
Ciononostante, l'impressione che destava in chi entrava in contatto con lui era
sempre forte e non solo sul piano politico. Ecco come Stephan Born, giovane
esponente del proletariato tedesco, ne scrisse nelle sue memorie, quando da anni
era ormai diventato uno stimato professore dell'università di Basilea e
propugnava un cauto riformismo sociale:
"Lo trovai in un'abitazione modesta, quasi poveramente ammobiliata,
in un sobborgo di Bruxelles. Mi ricevette amabilmente e mi fece delle
domande sul successo del mio viaggio di propaganda. Sua moglie mi
accolse cordialmente e tutti e due mi lodarono per il mio opuscolo
contro Heinzen. La moglie, che durante tutta la vita partecipò
vivamente a tutto quello che interessava e occupava Marx, doveva
interessarsi particolarmente a me che ero considerato come uno dei
più ferventi discepoli di suo marito... Marx amava la moglie, ed ella
condivideva il suo amore. Ho conosciuto raramente unioni altrettanto
felici, in cui la gioia, la sofferenza (che non fu loro risparmiata) e il
dolore fossero condivisi con una tale certezza di reciproco possesso.
Ed ho raramente incontrato una donna che fosse più armoniosa della
signora Marx sia nel fisico sia per le qualità della mente e del cuore, e
che, sin da un primo incontro, facesse una così favorevole
impressione. Era bionda; i suoi figli, allora ancora piccoli, avevano i
capelli e gli occhi neri come il padre".
Il congresso durò dieci giorni, passati fra accanite discussioni. Tutte le bozze di
programma sottoposte ai delegati vennero via via bocciate. Alla fine si decise di
affidare a Marx e ad Engels la redazione del testo definitivo. A gennaio del 1848
il testo non era ancora pronto e il comitato centrale della Lega indirizzò a Marx
una lettera in cui si minacciavano addirittura sanzioni disciplinari se il
programma non fosse stato redatto entro i termini fissati:
"Il Comitato centrale con la presente incarica il Comitato regionale di
Bruxelles di comunicare al cittadino Marx che se il manifesto del
partito comunista, della cui stesura si è assunto l'incarico all'ultimo
congresso, non sarà pervenuto a Londra il 1° febbraio dell'anno in
corso saranno prese contro di lui misure conseguenti. Nel caso in cui
il cittadino Marx non portasse a termine il suo lavoro, il Comitato
centrale esigerà la restituzione immediata dei documenti messi a sua
disposizione".
Marx rispettò i tempi previsti e il "Manifesto del partito comunista" iniziò così la
sua vita gloriosa di vera e propria "Bibbia" di ogni militante comunista.
Nonostante portasse la firma di Marx ed Engels, il testo era da ascriversi
interamente a Marx, come d'altronde lo stesso Engels sottolineò sempre:
"L'idea fondamentale del Manifesto, cioè che la produzione
economica e la struttura sociale fatalmente determinata da
quest'ultima costituiscono il fondamento della storia politica ed
intellettuale di una data epoca storica; che di conseguenza tutta la
storia, dalla disgregazione della comunità rurale primitiva è stata
storia della lotta di classe, cioè della lotta tra sfruttati e sfruttatori, tra
classi sottomesse e classi dominanti ai vari livelli dell'evoluzione
sociale; che questa lotta ha raggiunto ora un grado in cui la classe
sfruttata ed oppressa (il proletariato) non può liberarsi dal giogo della
classe che la sfrutta e la opprime (la borghesia) senza liberare
contemporaneamente e per sempre tutta la società dallo sfruttamento,
dall'oppressione e dalla lotta di classe, quest'idea fondamentale,
dicevo, appartiene in proprio solo a Marx".
Marx ed Engels nella rivoluzione tedesca
Il 23 febbraio 1848 Parigi insorse. In due giorni di feroci combattimenti di strada
la monarchia fu spazzata via e venne proclamata la repubblica. La rivoluzione si
estese a macchia d'olio in Europa, travolgendo assetti politici che datavano dal
Congresso di Vienna. Svizzera, Italia, Polonia, Ungheria, Austria, Germania
furono via via coinvolte nel fuoco rivoluzionario. Ovunque il proletariato
partecipava in prima persona alla lotta; sulle barricate di Milano, di Budapest, di
Parigi erano soprattutto gli operai a combattere e morire. Ovunque sventolava la
rossa bandiera dei comunisti. Il fantasma che agitava l'Europa, per citare le
folgoranti parole con cui Marx aveva aperto il Manifesto, agiva ormai allo
scoperto.
Anche in Belgio, dove una grave recessione economica faceva sentire i suoi
effetti, la situazione si fece presto esplosiva. Le autorità intervennero con grande
decisione: Marx e la moglie vennero espulsi dal paese. Negli stessi giorni il
comitato centrale di Londra aveva trasmesso i suoi poteri a Marx, a cui venne
affidato il mandato di costituire un nuovo comitato centrale a Parigi nel cuore
stesso della rivoluzione. Il 4 marzo, Marx giunse a Parigi dove fu accolto da un
messaggio di saluto del governo provvisorio: "La tirannia vi ha bandito, la libera
Francia apre le sue porte a voi e a tutti quelli che lottano per la santa causa della
fraternità dei popoli".
In Francia la situazione era confusa e già si notava una progressiva divaricazione
fra governo provvisorio e movimento operaio, nonostante questo fosse stata la
forza decisiva al momento dell'insurrezione. I blanquisti, usciti allo scoperto,
riprendevano le parole d'ordine giacobine e sostenevano l'idea della guerra
rivoluzionaria contro i monarchi d'Europa. Posizione largamente condivisa negli
ambienti dell'emigrazione tedesca. Marx era fermamente contrario a ogni forma
di romanticismo rivoluzionario. Assolutamente convinto del fatto che presto le
contraddizioni presenti nel campo repubblicano avrebbero portato allo scontro
aperto tra borghesia e proletariato e che l'esito di tale lotta avrebbe determinato
la sorte della rivoluzione in Europa, egli sosteneva con ferrea determinazione la
necessità che la classe operaia mantenesse la propria autonomia e si preparasse
all'insurrezione. Era la teoria della "rivoluzione in permanenza": la borghesia si
dimostrava storicamente incapace di portare avanti con coerenza la battaglia
rivoluzionaria anche sullo stesso terreno della democrazia, la direzione del
movimento passava al proletariato che si dimostrava nei fatti l'unica classe
realmente rivoluzionaria. Iniziato sul terreno della democrazia, il moto
rivoluzionario era destinato inevitabilmente a trasformarsi in rivoluzione sociale.
Pur scontando qualche defezione, Marx riuscì a mantenere la Lega
sostanzialmente compatta su queste posizioni di classe. Il nuovo comitato
centrale, composto da Engels, Schapper ,Moll, Bauer, Wolff e Wellan, elesse
Marx come segretario e gli confermò i pieni poteri. Alla fine di marzo anche la
Germania fu travolta dal moto rivoluzionario. Marx lanciò allora la parola
d'ordine del ritorno in Germania per costituire ovunque sezioni della Lega ed
egli stesso si stabilì a Colonia, la principale città industriale tedesca. Qui poté
rendersi conto della profonda differenza esistente tra la situazione francese e
quella tedesca. Se a Parigi grazie alla presenza di un proletariato organizzato e
combattivo la rivoluzione proletaria era all'ordine del giorno, in Germania la
situazione non andava oltre la fase democratico-borghese. Il proletariato tedesco
mancava di organizzazione e soprattutto doveva ancora essere conquistato alle
idee socialiste. Il ritardo era enorme. In un tale contesto la Lega poteva limitarsi
ad un lavoro di mera propaganda, isolandosi nei fatti dal movimento
rivoluzionario, o gettarsi a capofitto nella lotta politica sul terreno della
democrazia per conquistare l'egemonia e spingere in avanti il movimento.
Di fronte a un tale dilemma, Marx non ebbe esitazioni. La Lega andava sciolta
formalmente per permettere ai comunisti di giocare il massimo ruolo di
direzione all'interno del movimento. Tutti gli sforzi andavano indirizzati verso la
creazione di un giornale nazionale che fosse la voce del "grande partito
d'azione" risultante dell'alleanza fra proletariato e democrazia rivoluzionaria.
Marx non si faceva illusioni sui limiti del movimento democratico, ma riteneva
che questo fosse il prezzo da pagare se si voleva giocare un ruolo attivo nella
situazione tedesca, nell'attesa che il proletariato francese riaprisse la partita. Nel
1884, ricostruendo il ruolo dei comunisti nella rivoluzione del 1848, Friedrich
Engels spiegherà i motivi di una svolta tanto clamorosa:
"Quando riuscimmo a fondare un grande giornale in Germania, non
potevamo dargli che una bandiera, quella della democrazia, ma di una
democrazia che ad ogni occasione mettesse in evidenza il carattere
specificatamente proletario che essa non poteva ancora dichiarare una
volta per sempre; e se non avessimo accettato questo compromesso...
non ci restava che da professare il comunismo in una qualunque
foglia di cavolo e fondare una setta in luogo di un grande partito
d'azione. Ma non c'era alcun gusto a predicare nel deserto: avevamo
studiato troppo bene gli utopisti da questo punto di vista. Non è per
questo che avevamo fissato il nostro programma".
Con grandi sacrifici fu raccolto il denaro necessario all'impresa e il 1° giugno
1848 vide la luce la "Nuova Gazzetta Renana" con Marx come direttore e una
redazione composta quasi esclusivamente da membri della Lega. Marx si mise
all'opera con la consueta decisione e, come osservò Engels, "per la chiarezza
delle concezioni e la fermezza dei principi seppe fare di questo quotidiano il
giornale tedesco più celebre del periodo rivoluzionario".
Le speranze di Marx nel rilancio della rivoluzione in Francia furono di breve
durata. In quello stesso mese di giugno la borghesia francese decise di farla
finita con il proletariato e in nome della repubblica democratica represse con la
violenza le aspirazioni della classe operaia a una vera democrazia sociale. Le
truppe del generale Cavaignac massacrarono alcune migliaia di operai parigini
insorti. Marx denunciò il massacro sulla Nuova Gazzetta Renana:
"Gli operai parigini sono stati schiacciati da un nemico superiore, ma
non sono annientati. Essi sono battuti, ma i loro nemici sono vinti.
L'effimero trionfo della forza bruta ha dissipato tutte le illusioni della
rivoluzione di febbraio, ha dimostrato la disgregazione di tutto il
vecchio partito repubblicano e la divisione della nazione francese in
due parti: quella dei proprietari e quella degli operai".
La sconfitta degli operai parigini rappresentò il primo colpo inferto alla
rivoluzione in Europa. Forti di quanto accaduto in Francia le forze reazionarie
additarono alla borghesia il proletariato come vero nemico da combattere. La
rivoluzione democratica, se portata all'estremo, avrebbe minato i pilastri
dell'ordine sociale e messo in serio pericolo i ceti possidenti. In tutta Europa i
liberali abbassarono il tono delle loro rivendicazioni e iniziarono a cercare un
più prudente modus vivendi con l'oligarchia. Nel caso della Germania questo
cedimento fu totale, coinvolgendo anche la parte più radicale della borghesia.
Marx dovette riconoscere che l'ipotesi formulata nel "Manifesto" sul ruolo
progressista della borghesia non si era concretizzata. Marx aveva sperato in
tempi lunghi della fase democratico-borghese in modo da poter attrezzare il
proletariato a reggere allo scontro decisivo con la borghesia. Per questo si era
risolutamente opposto ad ogni accelerazione volontaristica dei tempi.
Di fronte alla brusca accelerazione della lotta di classe e al precipitare della
situazione, in pieno accordo con Engels decise una radicale modifica della
tattica. A partire dall'autunno la Nuova Gazzetta Renana diventò apertamente il
giornale della classe operaia. Questa svolta determinò la perdita di ogni
appoggio da parte della borghesia radicale e la rottura con le organizzazioni
democratiche. All'inizio del 1849 Marx e Schapper pubblicarono un appello per
la organizzazione di un congresso operaio pantedesco da tenersi a Lipsia. Ma era
troppo tardi. La reazione stava trionfando ovunque e nel mese di maggio le
truppe prussiane ripresero ovunque il controllo della situazione. La Nuova
Gazzetta Renana venne soppressa, i comunisti rientrarono nell'illegalità. Marx
lasciò definitivamente la Germania per l'esilio, mentre Engels raggiunse i gruppi
armati che ancora per alcuni mesi tentarono una disperata resistenza nella parte
meridionale del paese.
La questione dei tempi della rivoluzione
All'inizio del 1850 l'intero gruppo dirigente della Lega si ritrova a Londra: Marx
ed Engels non sono ancora convinti che la partita sia persa: essi sperano ancora
in una sollevazione del proletariato francese. La Lega viene riorganizzata e si
riallacciano i rapporti con la Germania. In due circolari Marx ed Engels
stabiliscono i nuovi compiti del partito comunista: critica radicale del
liberalismo borghese e della democrazia, costruzione dell'organizzazione
autonoma operaia e suo radicamento fra i lavoratori su scala internazionale,
rivoluzione in permanenza. La realtà tuttavia si muove in un'altra direzione. In
Francia il suffragio universale viene abolito senza che la classe operaia si rivolti;
in Germania la borghesia scende a patti con la reazione. Marx è costretto ad
abbandonare ogni ottimismo per una più attenta considerazione della fase e dei
tempi. Analizzando la situazione dell'economia capitalistica su scala mondiale,
egli giunge alla conclusione che la situazione non è più favorevole ad una nuova
esplosione rivoluzionaria generalizzata. Il capitalismo ha saputo superare la sua
prima grande crisi e ha ripreso con slancio il suo processo di accumulazione
anche grazie a fattori nuovi quali la scoperta dell'oro in California. A questo
proposito Marx dimostra una straordinaria capacità di analisi, individuando con
assoluta precisione tendenze destinate a giungere a piena maturazione solo ai
nostri giorni:
"L'oro californiano si riversa a torrenti sull'America e sulla costa
asiatica dell'Oceano Pacifico e trascina i riluttanti barbari nel traffico
mondiale, nella civiltà. Per la seconda volta il traffico mondiale
prende una nuova direzione.... Grazie all'oro californiano e
all'instancabile energia degli yankees, tutte e due le coste dell'Oceano
Pacifico saranno presto altrettanto popolate, altrettanto aperte al
commercio, altrettanto industrializzate come lo è ora la costa da
Boston a New Orleans. Allora l'Oceano Pacifico avrà la stessa
funzione che ha ora l'Atlantico e che il Mediterraneo ha avuto
nell'antichità, quella della grande via marittima del commercio
mondiale, e l'Oceano Atlantico decadrà alla funzione di un mare
interno, quale è oggi il Mediterraneo...".
I tempi della rivoluzione si allontanano, il volontarismo non può supplire alla
mancanza delle condizioni oggettive. La sconfitta del movimento rivoluzionario
non può essere spiegata solo con gli errori dei rivoluzionari. Occorre aggiornare
l'analisi e la strategia. Marx rompe decisamente con chi nella Lega sogna ancora
la ripresa a breve termine del movimento rivoluzionario e in particolare con
Schapper e Willich che si erano gettati a capofitto nell'attività cospirativa. La
Lega si spacca, sei membri del comitato centrale sono schierati con Marx,
quattro con Schapper. Nella seduta decisiva Marx con la consueta chiarezza
definì i termini del contrasto:
"Al posto della considerazione critica, la minoranza ne mette una
dogmatica, al posto di una materialistica, ne mette una idealistica. Per
essa invece delle condizioni effettive diventa ruota motrice della
rivoluzione la nuda volontà. Mentre noi diciamo agli operai: Voi
dovete attraversare 15, 20, 50 anni di guerre civili e di lotte popolari
non soltanto per cambiare la situazione ma anche per cambiare voi
stessi e per rendervi capaci del dominio politico, voi dite invece: Noi
dobbiamo giungere subito al potere, oppure possiamo andare a
dormire! Mentre noi richiamiamo in particolare gli operai tedeschi
sul fatto che il proletariato tedesco non è ancora sviluppato, voi
adulate nel modo più goffo il sentimento nazionale e i pregiudizi di
casta dell'artigiano tedesco, cosa che comunque dà più popolarità.
Come i democratici hanno fatto della parola popolo un qualcosa di
sacro, così voi avete fatto della parola proletariato".
In un articolo apparso sul numero di settembre della "Nuova Rivista Renana", il
nuovo organo della Lega, Marx ed Engels chiarivano con grande precisione la
questione delle condizioni e dei tempi di una nuova ripresa rivoluzionaria:
"Data questa prosperità universale, in cui le forze produttive della
società borghese si sviluppano con quella sovrabbondanza che è, in
generale, possibile nelle condizioni borghesi, non si può parlare di
una vera rivoluzione. Una rivoluzione siffatta è possibile solamente
in periodi in cui entrambi questi fattori, le forze moderne di
produzione e le forme borghesi di produzione entrano in conflitto tra
di loro. Le diverse beghe, a cui attualmente si abbandonano i
rappresentanti delle diverse frazioni del partito continentale
dell'ordine, e in cui si compromettono a vicenda, ben lungi dal
fornire l'occasione di nuove rivoluzioni, sono al contrario possibili
soltanto perché la base dei rapporti è momentaneamente così sicura
e, ciò che la reazione ignora, così borghese. Contro di essa si
spezzeranno tutti i tentativi reazionari di arrestare l'evoluzione
borghese, come tutta l'indignazione morale e tutti i proclami ispirati
dai democratici. Una nuova rivoluzione non è possibile se non in
seguito a una nuova crisi. L'una però è altrettanto sicura quanto
l'altra".
Parte quarta
Karl Marx scienziato del capitale
(1851-1883)
Il processo dei comunisti di Colonia e il "18 Brumaio" - L'esilio londinese "Per la critica dell'economia politica" - La crisi del 1857 e la ripresa del
movimento operaio - La fondazione della Prima Internazionale - Marx
dirigente internazionale del proletariato - "Il Capitale" - Gli ultimi anni di
Marx
Alla fine del 1851 Karl Marx e Friedrich Engels erano ormai pienamente
convinti che solo sul lungo periodo si sarebbe potuto parlare di ripresa
rivoluzionaria e che i tempi di tale processo erano determinati dall'andamento
del mercato mondiale. In quest'ottica perdeva interesse l'azione politica
immediata, giudicata del tutto priva di prospettive reali. Le esigue forze del
partito andavano utilizzate in un più utile lavoro di studio e di orientamento
teorico del movimento rivoluzionario internazionale. Occorreva soprattutto
prendere con estrema chiarezza le distanze dagli esponenti di punta della
democrazia rivoluzionaria, quali Mazzini e Kossuth, respingendo con decisione
ogni ipotesi di attività cospirativa. I tempi non potevano essere accelerati
volontaristicamente, non si poteva tornare indietro alla fase delle sette. La teoria
diventava il primo campo d'azione del partito: occorreva studiare i meccanismi
di riproduzione del capitale per portarne alla luce le contraddizioni, ma più di
tutto occorreva cimentarsi con l'arduo problema dei tempi, nella certezza
incrollabile che tutto lavorava per la rivoluzione, che la vecchia talpa non aveva
smesso di scavare.
Il processo dei comunisti di Colonia e il "18 Brumaio"
La via della cospirazione, come previsto da Marx, si rivelò ben presto
impraticabile e ciò non senza gravi colpi per il partito. In Germania la polizia
aveva facilmente smantellato la fragile rete clandestina che la Lega aveva
tentato di costruire dopo il riflusso del movimento rivoluzionario. Nel mese di
ottobre si aprì a Colonia il processo ai comunisti arrestati. Da Londra Marx
prese coraggiosamente le difese degli imputati, denunciando le macchinazioni
della polizia, smascherando numerosi agenti provocatori infiltratisi nel
movimento, smontando sistematicamente le innumerevoli calunnie diffuse dalla
stampa. Fu un lavoro enorme che occupò interamente Marx ed Engels, come
testimonia una lettera scritta in quel periodo dalla moglie di Marx:
"I documenti prodotti dalla polizia non sono che bugie. Essa ruba,
falsifica, scassina uffici, aggiunge falsi giuramenti a false
testimonianze e la cosa più enorme è che si crede in diritto di agire
così di fronte ai comunisti che si sono messi fuori della società. E'
veramente inconcepibile il modo con cui la polizia ignobilmente si
attribuisce tutte le funzioni del pubblico ministero e presenta come
fatti giuridicamente stabiliti, come prove, falsi certificati, semplici
voci, rapporti, "si dice". Poiché tutte queste manovre non possono
essere smascherate che a Londra, mio marito ha dovuto lavorare
dalla mattina fino a notte inoltrata. Tutte le prove dei falsi della
polizia sono state ricopiate da sei a otto volte e spedite in Germania
con i mezzi più vari, via Parigi, via Francoforte, ecc., poiché tutte le
lettere di mio marito e tutte le lettere inviate da qui a Colonia sono
intercettate e aperte. Ora la lotta è tra la polizia e mio marito, al
quale si attribuisce la responsabilità di tutto, dalla rivoluzione fino
allo svolgimento del processo".
Nonostante l'impegno instancabile di Marx, il 12 novembre il tribunale emise un
verdetto di colpevolezza per gli imputati. Cinque giorni più tardi, su proposta di
Marx, il Comitato Centrale della Lega decise lo scioglimento
dell'organizzazione, divenuta ormai un piccolo gruppo privo di prospettive. A
dimostrazione che Marx aveva visto giusto, poco tempo dopo anche il gruppo
dissidente di Willich-Schapper si sciolse. Willich emigrò in America, dove si
distinse come generale dell'esercito nordista durante la guerra di secessione,
mentre Schapper si ricollegò con Marx ed Engels ammettendo il suo errore di
valutazione.
Nello stesso tempo Marx ruppe decisamente con l'ambiente degli esiliati, stufo
delle sterili dispute, dei progetti inconcludenti, dell'incapacità di ripensare
criticamente l'intera esperienza rivoluzionaria del '48. Il partito della democrazia
rivoluzionaria si era dimostrato incapace di risolvere una sola delle questioni
nazionali aperte in Europa. Italia, Germania, Polonia, Ungheria restavano
questioni irrisolte. Terrorizzata dallo spettro del comunismo, apertamente la
borghesia abbandonava il terreno democratico, come con ogni evidenza
testimoniava il caso della Francia dove, invece della tanto attesa ripresa
rivoluzionaria, il colpo di stato di Luigi Bonaparte regolava i conti con la stessa
democrazia parlamentare. A questo avvenimento Marx dedicò uno studio
accurato, pubblicato con il titolo di "Il diciotto brumaio di Luigi Bonaparte".
Con uno stile brillante egli spiegava gli avvenimenti francesi sulla base della
concezione materialistica della storia, spiegando come le circostanze avessero
reso possibile a un personaggio mediocre e grottesco come Bonaparte di recitare
la parte dell'eroe. Nelle prime pagine di quest'opera Marx delinea in poche righe
una grandiosa descrizione della dialettica del processo rivoluzionario e del
comunismo di grande interesse soprattutto oggi, dopo il crollo del falso
socialismo dell'Est e le chiacchiere interessate sulla "fine del comunismo" e
della storia:
"Le rivoluzioni borghesi, come quelle del secolo decimottavo,
passano tempestivamente di successo in successo; i loro effetti
drammatici si sorpassano l'un l'altro; gli uomini e le cose sembrano
illuminate da fuochi di Bengala; l'estasi è lo stato d'animo di ogni
giorno. Ma hanno una vita effimera, presto raggiungono il punto
culminante; e allora una lunga nausea s'impadronisce della società,
prima che essa possa rendersi freddamente ragione dei risultati del
suo periodo di febbre e di tempesta. Le rivoluzioni proletarie invece,
quelle del secolo decimonono, criticano continuamente se stesse;
interrompono a ogni istante il loro proprio corso; ritornano su ciò
che già sembrava cosa compiuta, per ricominciare daccapo; si fanno
beffe in modo spietato e senza riguardi delle mezze misure, delle
debolezze e delle miserie dei loro primi tentativi; sembra che
abbattano il loro avversario solo perché questo attinga dalla terra
nuove forze e si levi di nuovo più formidabile di fronte ad esso; si
ritraggono continuamente, spaventate dall'infinita immensità dei loro
propri scopi, sino a che si crea la situazione in cui è reso impossibile
ogni ritorno indietro e le circostanze stesse gridano: Hic Rhodus, hic
salta! Qui è Rodi, qui salta!...":
L'esilio londinese
I primi anni di esilio a Londra rappresentano forse il periodo più difficile della
vita di Marx. Egli passa le sue giornate nella grande sala di lettura della
biblioteca del British Museum, intento a consultare migliaia di giornali, riviste e
volumi finalizzati sia agli studi di economia, finalmente ripresi, che alla stesura
di articoli di politica internazionale per il giornale americano "New York
Tribune". La collaborazione con questo giornale, schierato su posizioni
democratiche, rappresenta per Marx l'unica fonte di reddito. La redazione paga
due sterline per ogni articolo pubblicato e Marx, che conosce poco l'inglese, si
vede costretto a farsi aiutare da Engels. Dall'agosto 1851 al settembre 1852 la
"New York Tribune" pubblica diciotto articoli sugli avvenimenti tedeschi,
firmati da Marx, ma in realtà scritti da Engels che verranno in seguito riuniti in
volume con il titolo di "Rivoluzione e controrivoluzione in Germania". A partire
dall'estate del 1852 Marx è ormai in grado di scrivere in inglese e collabora
stabilmente con il giornale newyorkese, inviando decine di articoli di commento
dei più importanti avvenimenti internazionali. Friedrich Engels, che nel
frattempo per poter aiutare l'amico in difficoltà ha ripreso il suo lavoro di
dirigente della fabbrica tessile del padre, collabora con assiduità, raccogliendo e
traducendo materiali, ma anche stendendo materialmente molti articoli che poi
Marx firma.
Le condizioni di vita di Marx e dei suoi familiari sono veramente terribili: ad
uno ad uno egli e la moglie vedono morire di malattia e di stenti tre dei loro
figli. Disperatamente alla ricerca di denaro, vessato dai creditori, Marx si
aggrappa disperatamente all'aiuto che gli viene da Engels e da pochi altri
compagni per poter continuare nell'opera intrapresa.
La moglie gli è vicina e lo sostiene fino in fondo, senza timore di chiedere l'aiuto
dei vecchi amici. Come nella lettera che segue, scritta a Joseph Weydemeyer,
vecchio membro della Lega emigrato in America. Dopo aver descritto le
traversie patite, la malattia del bimbo più piccolo, lo sfratto, la vendita per pochi
soldi dei mobili e il rifugio in un albergo per poveri, Jenny conclude
orgogliosamente:
"Non crediate che queste miserie meschine mi abbiano abbattuta; so
troppo bene che la nostra lotta non è isolata, e sono ancora felice e
favorita dal destino perché il mio caro marito, il mio sostegno nella
vita, sta ancora al mio fianco. Ma quello che mi mortifica veramente,
che mi fa sanguinare il cuore, è il triste fatto che mio marito deve
subire tutte queste meschinità, quando basterebbe poco per liberarci
dalle strettezze; vederlo così privo di qualsiasi soccorso, proprio lui
che ha aiutato così generosamente tanta gente... Ma mio marito la
pensa diversamente. Mai, neppure nei momenti più terribili, egli ha
perduto la fede nell'avvenire...".
E i momenti attraversati furono veramente tali da abbattere anche l'uomo più
forte. Il figlio Guido fu il primo a morire "vittima della miseria borghese" come
il padre disse a Engels. Poi toccò alla figlia Franziska, perduta nel primo anno di
vita. Disperato, Marx aveva scritto a Engels: "Il dottore non potevo e non posso
chiamarlo, perché non ho denaro per le medicine. Da otto o dieci giorni ho
nutrito la famiglia con pane e patate, ed è anche dubbio che io riesca a scovarne
oggi". Infine, nel 1855 il colpo più duro, la perdita dell'ultimogenito Edgard. In
quell'occasione egli scrive a Engels:
"La casa è naturalmente del tutto desolata e vuota dopo la morte del
caro bambino che ne era l'anima. Non si può dire come il bambino ci
manchi a ogni istante... Mi sento spezzato... Tra tutte le pene terribili
che ho passato in questi giorni, il pensiero di te e della tua amicizia,
e la speranza che noi abbiamo ancora da fare insieme al mondo
qualche cosa di intelligente, mi hanno tenuto su".
"Per la critica dell'economia politica"
Nel 1857 la crisi tanto attesa da Marx ed Engels venne ad interrompere la fase di
ininterrotto sviluppo iniziata con il declino della rivoluzione del 1848. Partita
dagli Stati Uniti, la crisi investì dapprima l'Inghilterra e poi il continente.
Nonostante la sua precaria situazione economica aggravata dal fatto che a causa
della crisi la "New York Tribune" aveva drasticamente ridotto le corrispondenze
dall'estero, Marx saluta con rinnovata speranza i primi segnali di una riapertura
della contesa politica. "Per quanto mi trovi in ristrettezze finanziarie - scrive a
Engels nel novembre 1857- dal 1849 non mi sono mai sentito tanto a mio agio
come con questo crollo". Sua unica preoccupazione, la non corrispondenza tra il
precipitare della situazione e i tempi lenti di maturazione del proletariato:
"Sarebbe desiderabile - scrive- che, prima che arrivasse un secondo
colpo decisivo, si verificasse quel "miglioramento" che rendesse la
crisi, da acuta, cronica. La pressione cronica è necessaria per un certo
tempo per riscaldare il popolo. Il proletariato in questo caso colpisce
meglio, con una migliore conoscenza di causa e con maggiore
accordo... Non vorrei che scoppiasse qualcosa troppo presto, prima
che tutta l'Europa ne fosse contagiata... Per la lunga prosperità le
masse debbono essere cadute in profondo letargo...".
Rivitalizzato dall'apparente precipitare dell'economia, che confermava le sue
previsioni sul carattere ciclico delle crisi, Marx si getta a capofitto negli studi
economici con il duplice obiettivo di elaborare le linee fondamentali di una
critica dell'economia classica e di seguire con estrema attenzione il decorso della
congiuntura economica. Egli riprende ora con decisione il progetto di una
grande opera di economia politica iniziato con la critica a Proudhon e poi
abbandonato nel fuoco rivoluzionario del '48, ripreso ancora a Londra nel 1851,
ma portato avanti con estrema lentezza a causa delle gravi traversie economiche
e familiari.
Nel 1857 egli inizia la stesura dell'opera che appare nel 1859 con il titolo di "Per
la critica dell'economia politica". Rispetto al piano originale di trattare "il
capitale in generale", il volume affronta solo la questione della merce e del
denaro e di fatto rappresenta un lavoro preparatorio per la gigantesca
costruzione de "Il capitale". Come sottolinea Ernest Mandel, in quest'opera
"Marx perfezionerà la sua teoria del valore, e al tempo stesso la teoria del
valore-lavoro in generale, formulando la sua teoria del valore astratto, creatore
di valore di scambio".
Oltre che sul piano della teoria economica, l'opera riveste una straordinaria
importanza per la conoscenza dell'evoluzione del pensiero di Marx. La
prefazione a "Per la critica dell'economia politica" rappresenta il più efficace
compendio del metodo scientifico marxiano, un'opera indispensabile per la
comprensione del materialismo storico. Dalla prefazione risalta con assoluta
evidenza la straordinaria organicità della costruzione teorica marxista, con
buona pace di chi, a partire da Althusser, ha voluto evidenziare una presunta
insanabile frattura fra un Marx dialettico ed umanista dei "Manoscritti" e un
Marx determinista ed economicista de "Il capitale". Scrive Marx nella
prefazione:
"Nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano
in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in
rapporti di produzione, che corrispondono a un determinato grado di
sviluppo delle loro forze produttive materiali. L'insieme di questi
rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società,
ossia la base reale sulla quale si eleva una soprastruttura giuridica e
politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza
sociale. Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in
generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita.
Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma
è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza. A
un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della
società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti,
cioè con i rapporti di proprietà (il che è l'equivalente giuridico di tale
espressione) dentro dei quali esse forze per l'innanzi s'erano mosse.
Questi rapporti da forme di sviluppo delle forze produttive, si
convertono nelle loro catene. E allora subentra un'epoca di rivoluzione
sociale. Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o
meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura. Quando si
studiano simili sconvolgimenti, è indispensabile distinguere sempre fra
lo sconvolgimento materiale delle condizioni economiche della
produzione, che può essere constatato con la precisione delle scienze
naturali, e le forme giuridiche, politiche, religiose, artistiche o
filosofiche, ossia le forme ideologiche, che permettono agli uomini di
concepire questo conflitto e di combatterlo.
Come non si può giudicare un uomo dall'idea che egli ha di se
stesso, così non si può giudicare una simile epoca di sconvolgimento
dalla coscienza che ha di se stessa; occorre invece spiegare questa
coscienza con le contraddizioni della vita materiale, con il conflitto
esistente tra le forze produttive della società e i rapporti di produzione.
Una formazione sociale non perisce finché non si siano sviluppate tutte
le forze produttive a cui può dare corso; i nuovi superiori rapporti di
produzione non subentrano mai, prima che siano maturate in seno alla
vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza.
Ecco perché l'umanità non si propone se non quei problemi che
può risolvere, perché, a considerare le cose da vicino, si trova sempre
che il problema sorge solo quando le condizioni materiali della sua
soluzione esistono già o almeno sono in formazione. A grandi linee, i
modi di produzione asiatico, antico, feudale e borghese moderno,
possono essere designati come epoche che marcano il progresso della
formazione economica della società. I rapporti di produzione borghesi
sono l'ultima forma antagonistica del processo di produzione sociale;
antagonistica non nel senso di un antagonismo individuale, ma di un
antagonismo che sorga dalle condizioni di vita sociali degli individui.
Ma le forze produttive che si sviluppano nel seno della società
borghese creano in pari tempo le condizioni materiali per la soluzione
di questo antagonismo. Con questa formazione sociale si chiude
dunque la preistoria della società umana".
La crisi del 1857 e la ripresa del movimento operaio
Nonostante la crisi non si fosse trasformata nella rivoluzione proletaria come
speravano Marx ed Engels, essa dette l'avvio ad una nuova fase di effervescenza
sociale e politica in molti paesi. In America riprese slancio il movimento per
l'abolizione della schiavitù, in Russia si posero le condizioni per la soppressione
della servitù delle masse contadine, in India l'Inghilterra dovette fronteggiare
una grande insurrezione popolare, in Europa acquistarono nuovo vigore le
questioni nazionali irrisolte, a partire dal problema italiano e da quello tedesco.
Su tutte queste questioni Marx si espresse vigorosamente, tenendo sempre come
centrale l'interesse della rivoluzione proletaria, senza cedimenti alle infatuazioni
nazionalistiche della democrazia rivoluzionaria.
Quanto al movimento operaio, dopo quasi dieci anni di riflusso conseguente alla
sconfitta del 1848 la crisi economica determinò una ripresa delle lotte di
fabbrica a partire dall'Inghilterra. Negli anni Cinquanta il forte sviluppo
dell'industria inglese, unito all'intenso flusso migratorio verso gli Stati Uniti e
l'Australia, aveva ridotto ad una percentuale irrisoria il numero dei disoccupati
con il conseguente deciso aumento dei salari. Il movimento cartista aveva
assunto posizioni estremamente moderate, decomponendosi in una miriade di
gruppi locali e di giornali che, abbandonata ogni prospettiva di classe, di fatto,
con l'eccezione del piccolo giornale "The People's Paper" a cui Marx ed Engels
collaboravano regolarmente, si erano posti a rimorchio dei più influenti gruppi
riformisti piccolo-borghesi. La crisi del 1857 riapriva la questione, determinando
un brusco peggioramento delle condizioni economiche del proletariato e il
riapparire minaccioso di una vasta disoccupazione. Il movimento operaio, nelle
sue correnti più avanzate, faceva una nuova, importante esperienza: nella società
capitalistica non esistono per i proletari conquiste definitive, tutto, anche ciò che
è considerato ormai stabilmente acquisito, può essere messo in discussione al
variare della congiuntura economica. Le conquiste dei lavoratori si fondano sui
reali rapporti di forza tra le classi e non sulla norma giuridica. Invariante nella
società capitalistica resta la lotta di classe e la conseguente necessità per il
proletariato dell'organizzazione politica e dell'analisi scientifica, cioè del partito
rivoluzionario di classe.
Nonostante la crisi del 1857 fosse stata rapidamente riassorbita e il mercato
avesse ricominciato ad espandersi, il padronato tentò di sfruttare la situazione di
precarietà che si era comunque determinata per fasce consistenti di lavoratori,
generalizzando la riduzione dei salari. La risposta operaia non si fece attendere.
Nel 1859 Londra viene paralizzata da un grande sciopero generale. Ovunque si
formano organizzazioni di categoria dei lavoratori allo scopo di lottare contro il
tentativo padronale di riduzione generalizzata dei salari. A Londra e poi via via
nel resto del paese nascono i "Consigli delle Unioni Professionali", la prima
forma di confederazione sindacale moderna. Nel 1862 le Trade Unions sono
ormai una realtà consolidata nel quadro politico inglese.
Quanto alla Francia, dopo il 1860 si assiste al rapido diffondersi delle
organizzazioni cooperative di mutuo soccorso controllate dai proudhoniani
fautori di un programma, sostanzialmente moderato, incentrato sulla concessioni
di crediti agevolati e la legalizzazione delle società operaie. In Germania, infine,
dove l'impetuoso sviluppo industriale degli anni Cinquanta aveva determinato la
formazione di un consistente proletariato di fabbrica, un nuovo movimento
operaio si stava organizzando attorno alla figura contraddittoria di Ferdinand
Lassalle, un intellettuale di origine ebraica, convertitosi al comunismo nel 1848.
Lassalle sosteneva la necessità di costruire un partito operaio, fondato su una
rete di cooperative operaie finanziate dallo Stato. Per raggiungere questo scopo
Lassalle non esitò a stringere ambigui rapporti con Bismarck, presidente del
consiglio dei ministri di Prussia, interessato a dividere l'opposizione
progressista.
Per celebrare la ripresa del capitalismo nel 1862 fu organizzata a Londra una
grandiosa esposizione universale. L'occasione fornì l'occasione alle
organizzazioni operaie francesi, inglesi e tedesche per riannodare i legami
interrotti dal 1849. Delegazioni di operai francesi e tedeschi, inviate dai
rispettivi governi, parteciparono infatti all'esposizione, entrando in contatto con
le associazioni operaie inglesi. Il 5 agosto 1862 si tenne un solenne ricevimento
in onore dei settanta delegati degli operai francesi. Nei discorsi pronunciati in
questa occasione si sostenne la necessità di stabilire regolari rapporti di
collaborazione fra le organizzazioni operaie in quanto portatrici degli stessi
interessi e delle stesse aspirazioni. Nonostante il carattere estremamente
moderato e legalitario dell'iniziativa, tenuta con il patrocinio dello stesso mondo
imprenditoriale britannico e del governo imperiale francese, si iniziavano a
porre le basi per un nuova associazione internazionale del proletariato.
La fondazione della Prima Internazionale
Nel 1863 la Polonia insorse contro il dominio russo. In Inghilterra e Francia le
organizzazioni operaie si schierarono senza esitazioni a fianco degli insorti. Il 22
luglio 1863 a Londra si svolse una grande manifestazione anglo-francese di
solidarietà con la Polonia. In questa occasione dirigenti operai inglesi e francesi
convennero sulla necessità di costituire un'associazione operaia internazionale,
allo scopo principale di combattere la tattica padronale di importare manodopera
dall'estero per spezzare gli scioperi, ed elessero un comitato incaricato dei lavori
preliminari. I lavori si protrassero per oltre un anno, finalmente il 28 settembre
1864 nella St. Martin's Hall di Londra si svolse la seduta inaugurale del
congresso costitutivo dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori.
Marx fu invitato come rappresentante degli operai tedeschi. Egli accettò
volentieri l'invito consapevole dell'importanza dell'iniziativa che non riuniva più,
come per il passato, i rappresentanti di piccoli gruppi senza radicamento sociale,
ma, come ebbe a scrivere a Engels, "vere potenze" rappresentative del
proletariato tanto in Francia quanto in Inghilterra. Preferì, tuttavia, assistere
"come un personaggio muto", proponendo come oratore tedesco l'operaio Jorg
Eccarius, già dirigente della Lega dei Comunisti.
La riunione ebbe pieno successo. Presero la parola delegati francesi, inglesi,
tedeschi, italiani, irlandesi. All'unanimità il congresso decise di fondare
un'associazione operaia internazionale, con sede centrale a Londra. Marx fu
nominato membro del comitato incaricato di stendere programma e statuti. Il
comitato si rivelò presto pletorico e eterogeneo dal punto di vista politico. Tra i
55 membri vi erano cartisti, owenisti, blanquisti, proudhoniani, mazziniani,
semplici democratici e, naturalmente, una piccola componente comunista. Di
fronte al procedere inconcludente dei lavori venne costituito un sottocomitato
che diede carta bianca a Marx per la stesura dei testi. Egli si trovò nella necessità
di svolgere una vera e propria battaglia politica soprattutto nei confronti di
Mazzini, contrario all'idea stessa di lotta di classe in nome della superiore causa
nazionale. La cosa non era semplice, considerata la necessità di non incrinare
l'unità del movimento. Come scrisse a Engels , era "difficilissimo condurre la
cosa in modo che il nostro punto di vista apparisse in una forma la quale lo
rendesse accettabile all'attuale punto di vista del movimento operaio...". Marx vi
riuscì egregiamente. L'assoluta, integrale autonomia del proletariato nella lotta
politica fu il concetto fondamentale attorno a cui ruotarono Programma e Statuti
e venne lapidariamente riassunto nella frase: "L'emancipazione della classe
operaia deve essere opera della classe operaia stessa".
L'Internazionale doveva essere un'associazione di partiti rivoluzionari a base di
massa, con ampia autonomia d'azione per le sezioni nazionali. Come recitava
l'articolo primo degli Statuti: "L'Associazione è istituita per creare un mezzo
centrale di collegamento e di collaborazione fra le associazioni operaie esistenti
nei diversi paesi e che hanno il medesimo scopo, e cioè la difesa, il progresso e
la completa emancipazione della classe operaia". Di contro alle tesi
proudhoniane o oweniste sulla collaborazione di classe con la borghesia e la
limitazione dell'azione al mero terreno della cooperazione economica e delle
riforme sociali, l'Indirizzo inaugurale proclama con estrema chiarezza che "la
conquista del potere politico è divenuto il compito principale della classe
operaia". Per questo era necessario organizzare ovunque partiti operai.
La classe operaia però non doveva rinchiudersi in una politica angustamente
nazionale, ma seguire attentamente l'evoluzione della politica internazionale,
respingendo ogni pregiudizio nazionalistico, in una visione strategica
internazionalista. I partiti operai dovevano costruire la loro linea politica a
partire dalle condizioni nazionali in cui operavano, ma considerandosi sempre
reparti di un unico esercito proletario internazionale. Il vecchio motto della Lega
dei comunisti, "Proletari di tutto il mondo unitevi!", acquistava ora autentico
respiro internazionale.
Marx dirigente internazionale del proletariato
L'Internazionale conobbe fin da subito un rapidissimo sviluppo. Il 23 febbraio
1865 Marx scriveva all'amico Kugelman che i successi dell'Associazione in
Inghilterra, Francia, Svizzera, Italia e Belgio superavano di gran lunga ogni più
ottimistica aspettativa. Il Comitato eletto al congresso costitutivo, che aveva nel
frattempo assunto il nome di Consiglio Generale, era costretto ad un lavoro
estenuante che in gran parte ricadeva sulle spalle di Marx, ormai da tutti
considerato come il principale esponente dell'Internazionale. Parallelamente con
il crescere dell'influenza dell'associazione fra i lavoratori, si approfondivano le
divergenze interne fra le varie componenti. I primi ad andarsene furono i
mazziniani, riuniti nell'Associazione degli operai italiani di Londra, contrari
all'aperta caratterizzazione di classe dell'Internazionale. Il conflitto si allargò poi
ai proudhoniani, largamente maggioritari nel movimento francese, contrari ad
ogni ipotesi di tipo collettivistico in quanto sostenitori di una politica
cooperativistica sostanzialmente piccolo-borghese. Gli esponenti proudhoniani
avversavano decisamente gli scioperi, considerati economicamente dannosi per i
proletari, così come ogni forma di azione politica e sindacale. Instancabilmente
Marx si opponeva, con l'aiuto di Engels e di pochi altri, a queste deviazioni.
"I signori parigini - scriveva a Kugelmann nell'ottobre del 1866 avevano la testa piena delle più vane frasi proudhoniane. Essi
cianciano di scienza e non sanno nulla. Disdegnano ogni azione
rivoluzionaria, cioè ogni azione che scaturisca dalla lotta di classe
stessa, ogni movimento sociale concentrato, tale cioè che si possa
attuare, anche con mezzi politici (come, per esempio, riduzione della
giornata di lavoro per legge). Col pretesto della libertà e
dell'antigovernativismo o dell'individualismo antiautoritario questi
signori, che da 16 anni hanno sopportato e sopportano tanto
tranquillamente il più miserabile dispotismo, predicano in realtà la
volgare
economia
borghese,
soltanto
proudhonianamente
idealizzata".
Proprio al fine di combattere le tesi di chi riteneva inutile l'azione sindacale per
gli aumenti di salario, Marx presentò il 26 giugno 1865 al Consiglio Generale un
saggio su "Salario, prezzo e profitto" in cui si dimostrava in modo semplice ed
esauriente la falsità della tesi, ancora oggi tanto in voga da essere alla base della
politica di concertazione delle organizzazioni sindacali, di uno stretto rapporto
tra aumenti salariali e inflazione.
Lo sviluppo dell'Internazionale pareva inarrestabile. Se al primo congresso del
1866 erano rappresentate solo quattro nazioni: Inghilterra, Francia, Germania e
Svizzera; al congresso di Basilea del 1869 esse erano diventate nove, essendosi
aggiunte l'Austria, il Belgio, l'Italia, gli Stati Uniti e la Spagna, mentre sezioni
più piccole erano state create in Ungheria, Olanda, Algeria e America Latina.
Fortissima era anche l'adesione delle organizzazioni sindacali: dal 1867 al 1869
le associazioni operaie di Inghilterra, Svizzera, Germania, Austria, Stati Uniti
avevano via via richiesta l'affiliazione all'Internazionale. Marx considerava
fondamentale la crescita delle organizzazioni sindacali, che andavano seguite nel
loro sviluppo e orientate politicamente. Come sottolinea David Rjazanov:
"Uno dei compiti principali che Marx consigliava era lo studio
metodico, scientifico, della situazione della classe operaia di tutto il
mondo, studio che doveva essere intrapreso per iniziativa degli
operai stessi. Tutto il materiale raccolto doveva essere inviato al
Consiglio Generale che lo avrebbe elaborato. Marx indicava a grandi
linee le principali questioni su cui doveva vertere questa indagine
operaia".
Sulla base di questo materiale Marx redasse una risoluzione sui sindacati che
venne poi sottoposta al vaglio dell'Internazionale. Per Marx i sindacati sono il
risultato immediato della lotta fra capitale e lavoro e rispondono soprattutto
all'esigenza di eliminare la concorrenza fra i proletari sul mercato della forza
lavoro. I sindacati sono però anche centri di organizzazione per la classe operaia,
nuclei fondamentali dell'organizzazione di classe del proletariato e come tali
vanno conquistati ad una corretta strategia politica. In polemica con i trade
unionisti inglesi che volevano limitare il ruolo del sindacato alle questioni del
salario e dell'orario di lavoro, Marx ribadisce con forza il concetto, poi ripreso
da Lenin, del sindacato come scuola di guerra del proletariato, luogo dove i
proletari fanno concreta esperienze di lotta e dove apprendono l'esigenza
dell'organizzazione politica e la necessità di impostare i problemi avendo sempre
chiara la prospettiva strategica del movimento operaio e le sue finalità storiche.
Per questo Marx si batte con grande decisione perché le organizzazioni sindacali
entrino nell'Internazionale e ne seguano la linea politica.
"Il Capitale"
Nonostante le difficili condizioni economiche e l'impegno intensissimo
nell'azione quotidiana di direzione politica dell'Internazionale, Marx non aveva
smesso di lavorare alla redazione del grandioso lavoro intrapreso sul capitale.
Alla fine del 1865 il lavoro poteva considerarsi concluso, ma solo nella forma di
un gigantesco manoscritto che andava, per usare una colorita espressione dello
stesso Marx, "leccato e lisciato come un figliolino dopo tanti dolori di parto".
Dal canto suo, Engels salutò come una liberazione per l'amico il termine di un
lavoro a cui questi aveva dedicato gran parte della sua vita:
"Ho sempre pensato che questo maledetto libro, a cui hai dedicato
così lunga fatica, fosse il nocciolo di tutte le tue disgrazie, da cui non
saresti uscito né mai avresti potuto uscire fino a quando non te lo
fossi scrollato di dosso. Questa eterna cosa incompiuta ti schiacciava
fisicamente, spiritualmente e finanziariamente, e posso benissimo
concepire che dopo la liberazione da questo incubo a te sembri adesso
di essere completamente un altro uomo, specialmente perché il
mondo, non appena vi farai di nuovo il tuo ingresso, non t'apparirà
così nero come prima".
Ed in effetti come è stato scritto "il Capitale nacque negli anni della miseria,
nella fame, nella malattia. Mentre lo scriveva, Marx era assalito
dall'inquietudine, torturato dai disagi dei bambini, angosciato dal pensiero del
domani. Ma nulla potè abbatterlo". Il 16 agosto 1867, alle due di notte, Marx
terminò la correzione delle bozze di stampa del primo volume e
immediatamente scrisse a Engels per ringraziarlo di un aiuto prezioso, senza il
quale quest'opera titanica non avrebbe mai visto la luce:
"Dunque questo volume è pronto. Debbo soltanto a te, se questo fu
possibile! Senza il tuo sacrificio non avrei potuto compiere il
mostruoso lavoro dei tre volumi. Ti abbraccio, pieno di gratitudine!
Salute, mio caro, caro amico!".
Il primo volume de "Il Capitale" uscì ad Amburgo all'inizio del mese di
settembre in mille esemplari. L'impatto fu enorme. Il congresso di Bruxelles
dell'Internazionale nel 1868 adottò una risoluzione che invitava gli operai di
tutto il mondo a studiare l'opera. La risoluzione sottolineava l'incalcolabile
contributo teorico offerto da Marx alla lotta di liberazione del proletariato: egli
era "il primo economista che avesse sottoposto il capitale ad un'analisi
dettagliata e lo avesse ricondotto ai suoi elementi fondamentali". Come ha
scritto Lenin:
"Egli dimostrò che il valore di ogni merce è determinato dalla
quantità di lavoro socialmente necessario alla sua produzione, ovvero
dal tempo di lavoro socialmente necessario alla sua produzione. Là
dove gli economisti borghesi vedevano dei rapporti tra oggetti
(scambio di una merce con un'altra), Marx scoprì dei rapporti tra
uomini. Lo scambio delle merci esprime il legame tra singoli
produttori per il tramite del mercato. Il denaro indica che questo
legame diventa sempre più stretto, fino a unire in un tutto
indissolubile la vita economica dei produttori isolati. Il capitale
indica lo sviluppo ulteriore di questo legame: la forza lavoro
dell'uomo diventa una merce. L'operaio salariato vende la sua forza
lavoro al proprietario della terra, delle fabbriche, degli strumenti di
produzione. L'operaio impiega una parte della giornata di lavoro a
coprire le spese di mantenimento suo e della famiglia (il salario), e
l'altra parte a lavorare gratuitamente, creando per il capitalista il
plusvalore, fonte del profitto, fonte della ricchezza della classe dei
capitalisti. La dottrina del plusvalore è la pietra angolare della teoria
economica di Marx".
La Comune di Parigi
Negli anni Cinquanta e Sessanta l'economia tedesca aveva conosciuto un tale
sviluppo da farle superare la stessa Francia. Sconfitta nella guerra del 1866
l'Austria, la Prussia del cancelliere Bismarck aveva riunificato intorno a se
l'intera Germania e si poneva ormai in diretta competizione con la Francia di
Napoleone III per l'egemonia sull'Europa continentale. Nell'estate del 1870 allo
scoppio della guerra fra i due paesi, il Consiglio Generale dell'Internazionale
pubblicò un manifesto sulla guerra, scritto da Marx. In esso si sosteneva che "da
parte tedesca la guerra era una guerra difensiva" e che la classe operaia tedesca
doveva vigilare perché la difesa della Germania non degenerasse in una guerra
contro il popolo francese. Il manifesta lodava poi gli operai francesi per essersi
dichiarati contro la guerra e contro Napoleone. Di fronte alla vittoria lampo
dell'esercito prussiano, al crollo dell'impero e all'instaurazione della repubblica a
Parigi, la posizione dell'Internazionale muta. La Prussia non ha più nulla da
temere dalla Francia, la guerra, voluta da Napoleone, ormai sconfitto e
prigioniero, deve cessare immediatamente senza l'annessione al Reich
dell'Alsazia e della Lorena. Il 9 settembre il Consiglio Generale pubblicò un
secondo manifesto, sempre redatto da Marx, in cui si denunciavano le mire
espansionistiche di Bismarck. Marx ed Engels avevano ben chiare le prospettive
che si aprivano in un'Europa dominata dalla Germania. In una lettera a Friedrich
Sorge, uno dei membri del Consiglio Generale, Marx evidenzia con mezzo
secolo di anticipo come l'affermarsi su scala continentale della potenza tedesca
renda inevitabile lo scontro con la Russia e come tutto ciò aprirà la via alla
rivoluzione nell'anello più debole della catena, la Russia zarista:
"Quegli asini dei prussiani non si accorgono che l'attuale guerra
conduce a una guerra tra la Germania e la Russia, con la stessa
necessità che la guerra del 1866 conduceva alla guerra tra la Prussia
e la Francia. Per la Germania è il miglior risultato che io attendo da
questa guerra....questa guerra numero due sarà la levatrice della
rivoluzione sociale inevitabile in Russia".
Di nuovo riemerge la questione dei tempi: la preoccupazione di Marx e Engels è
che il proletariato francese si getti in un'avventura senza prospettive. "Dopo la
pace tutte le prospettive saranno più favorevoli per gli operai di quel che fossero
mai prima", dichiarava Engels in una lettera a Marx del 12 settembre. "Se a
Parigi si potesse fare una qualche cosa, si dovrebbe impedire che gli operai si
muovessero prima della pace...Se vincono ora...saranno inutilmente sconfitti
dalle armate tedesche e rigettati indietro di vent'anni...". Già nel secondo
manifesto del Consiglio Generale Marx aveva messo in guardia i proletari
parigini dal pericolo rappresentato dall'impazienza:
"La classe operaia francese si muove dunque in circostanze
estremamente difficili. Ogni tentativo di rovesciare il nuovo governo,
nella crisi presente, mentre il nemico batte quasi alle porte di Parigi,
sarebbe una disperata follia....Migliorino con calma e risolutamente
tutte le possibilità offerte dalla libertà repubblicana, per lavorare alla
loro organizzazione di classe. Ciò darà loro nuove forze erculee, per
la rinascita della Francia e per il nostro compito comune,
l'emancipazione del lavoro. Dalla loro forza e dalla loro saggezza
dipendono le sorti della repubblica".
Alla fine del mese di gennaio 1871 il governo repubblicano firma un armistizio
con i tedeschi che assediavano Parigi, alla metà di marzo viene firmata la pace.
Il governo prussiano, temendo il precipitare della situazione in senso
rivoluzionario , si impegna a liberare nel più breve tempo possibile i prigionieri
di guerra francesi per permettere la ricostituzione dell'esercito nazionale.
Parallelamente il governo provvisorio si assume l'onere di disarmare gli operai
parigini che, organizzati in una Guardia Nazionale, avevano assicurato la difesa
della capitale dopo la disfatta di Sedan. Nonostante la messa in guardia di Marx,
il proletariato parigino, diretto politicamente da esponenti blanquisti e
bakuninisti, insorge contro questo patto scellerato. Il 18 marzo Parigi è nelle
mani dei rivoltosi che proclamano la Comune rivoluzionaria. Marx non crede
nelle possibilità di una vittoria, tuttavia decide di schierarsi decisamente a fianco
dei rivoluzionari parigini, di cui pure non condivide in nulla la linea politica. Se
il proletariato tenta "l'assalto al cielo", i rivoluzionari devono mettere da parte
ogni differenziazione e schierarsi senza esitazioni al suo fianco. Di più, Marx
criticherà duramente l'indecisione dei dirigenti della Comune, che esitano ad
allargare la guerra civile all'intero territorio francese, che non colgono
l'occasione di marciare su Versailles dando così tempo al governo provvisorio di
riorganizzarsi.
Nei due mesi di vita della Comune, Marx instancabilmente inviò centinaia di
lettere dovunque avesse relazioni per difendere i comunardi dalle calunnie della
borghesia e per sollecitare la solidarietà del movimento operaio e democratico. A
maggio l'esercito nazionale, riorganizzato e armato dalla Germania, soffoca nel
sangue l'insurrezione. In una settimana di lotta furibonda per le vie di Parigi,
ventimila comunardi vengono massacrati sulle barricate , mentre altre decine di
migliaia verranno in seguito sommariamente fucilati o condannati ai lavori
forzati alla Cayenna. Il 30 maggio 1871 Marx legge al Consiglio Generale il suo
indirizzo su "La guerra civile in Francia". La Comune, afferma è stata
essenzialmente "un governo della classe operaia, risultato della lotta delle classi
produttrici contro le classi possidenti, la forma politica finalmente scoperta con
la quale si sarebbe potuto lavorare all'emancipazione economica del lavoro". E
conclude con l'orgoglio del vecchio combattente di cento battaglie
rivoluzionarie:
"Parigi operaia, con la sua Comune, sarà celebrata in eterno, come
l'araldo glorioso di una nuova società. I suoi martiri hanno per urna il
grande cuore della classe operaia. I suoi sterminatori, la storia li ha
già inchiodati a quella gogna eterna dalla quale non riusciranno a
riscattarli tutte le preghiere dei loro preti!"
La rottura con Bakunin e lo scioglimento dell'Internazionale
La drammatica fine della Comune aggravò i contrasti all'interno
dell'Internazionale fra la direzione marxista e la componente bakuniniana, che
tanta responsabilità portava per gli avvenimenti parigini. Michail Bakunin, di
nobile famiglia, era nato nel 1814 in Russia. Trasferitosi in Germania, aveva
aderito alla sinistra hegeliana berlinese e aveva collaborato con Marx e Ruge
agli "Annali franco-tedeschi". Combattente nella rivoluzione tedesca, arrestato e
deportato nelle prigioni dello zar., era stato confinato in Siberia da dove era
fuggito con una rocambolesca evasione attraverso mezzo mondo. Rientrato in
Europa si era buttato a capofitto nell'attività cospirativa e nel 1864 aveva aderito
all'Internazionale al cui interno aveva costituito una frazione segreta, la
"Fraternità internazionale", di stampo massonico e carbonaro. Uomo della
preistoria del movimento operaio, Bakunin si collocava a pieno nella fase
cospirativa e carbonara dell'organizzazione operaia. Avversario dell'azione
politica e sindacale, Bakunin puntava sull'azione diretta degli strati marginali
della società ed in particolare del sottoproletariato urbano e delle masse
contadine. Totalmente in contrasto con l'ipotesi strategica marxiana, che tacciava
di autoritarismo e di statalismo, Bakunin aveva concentrato l'attività della sua
frazione in Italia, in Spagna e nella Svizzera francese, dove esistevano per
l'arretratezza stessa del tessuto sociale le condizioni adatte alla sua propaganda.
Nei mesi che seguirono alla disfatta della Comune, Marx ed Engels lavorarono
con grande impegno alla riorganizzazione dell'Internazionale. Nella conferenza
di Londra del settembre 1871 Marx presentò una risoluzione relativa alla lotta
politica nella quale si chiariva come :
"Considerando che la reazione più sfrenata reprime con la violenza il
movimento degli operai verso l'emancipazione e cerca di mantenere
con la forza brutale la divisione in classi e il conseguente dominio
delle classi dominanti; che questa organizzazione del proletariato in
un partito politico è necessaria per assicurare il trionfo della
rivoluzione sociale e del suo obiettivo ultimo, l'abolizione delle
classi; che l'unione delle forze operaie è ottenuta già attraverso la
lotta economica e deve comunque essere una leva tra le mani della
classe operaia nella lotta contro il potere politico degli sfruttatori; la
conferenza ricorda a tutti i membri dell'Internazionale che, nel piano
di lotta della classe operaia, il suo movimento economico e la sua
attività politica sono indissolubilmente legati".
Nei mesi successivi alla conferenza di Londra le polemiche all'interno
dell'Associazione internazionale dei Lavoratori aumentarono di intensità. I
seguaci di Bakunin accusarono il Consiglio Generale di autoritarismo e di aver
imposto all'Internazionale la risoluzione sull'azione politica di partito. Essi
pretesero la convocazione di un nuovo congresso per definire una volta per tutte
la questione.
La frazione bakuninista accusava la conferenza di Londra di aver adottato delle
deliberazioni che "costituiscono un grave attentato agli statuti generali e tendono
a fare dell'Internazionale, libera federazione di sezioni autonome,
un'organizzazione gerarchica e autoritaria di sezioni disciplinate, poste
interamente nelle mani di un Consiglio Generale, il quale a suo piacimento può
rifiutarne l'ammissione ovvero sospenderne l'attività".
Il Consiglio Generale rispose con un'altra circolare in cui si denunciava l'attività
frazionistica di Bakunin e si convocava il congresso per il mese di settembre
all'Aja. Al congresso presero parte 65 delegati, 40 facevano parte della
componente marxista, 25 erano invece sulle posizioni di Bakunin. Quanto alle
sezioni nazionali, belgi, olandesi, svizzeri e spagnoli erano con la minoranza,
tedeschi, danesi, ungheresi, boemi, americani e francesi erano schierati con
Marx. Le sedute si svolgevano di sera perché gli operai potessero assistervi, in
un clima incandescente. A larga maggioranza passò la tesi marxista sull'azione
politica già approvata dal congresso di Londra. Poi il congresso decise di
aumentare i poteri del Consiglio Generale che sarebbe stato trasferito a New
York. Infine, dopo un infuocato dibattito, venne decisa l'espulsione di Bakunin e
Guillaume, essendo stata dimostrata l'azione scissionistica compiuta dalla loro
frazione. La decisione di rompere definitivamente con Bakunin fu così
giustificata da Marx in una lettera a Bebel:
"Se noi avessimo voluto all'Aja mostrarci concilianti, se noi
avessimo tentato di dissimulare la scissione...quale sarebbe stato il
risultato? I settari, cioè i bakuninisti, avrebbero potuto per un anno
ancora commettere bestialità e infamie ancor peggiori in nome
dell'Internazionale".
Marx pensava che occorresse preservare l'Internazionale dalle manovre di
Bakunin in attesa di tempi migliori. Egli, animato come al solito da un forte
ottimismo della volontà, riteneva prossima l'apertura di una nuova fase
rivoluzionaria. In realtà, ancora una volta i tempi si rivelarono più lunghi del
previsto e la scelta di New York segnò di fatto la fine dell'esperienza
dell'Internazionale. Nel 1876 il Consiglio Generale da New York annunciò lo
scioglimento dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori.
Gli ultimi anni di Marx
Dopo il 1873 Marx abbandonò l'attività politica aperta, dedicandosi totalmente
alla revisione della seconda edizione del primo libro del Capitale e alle
traduzioni francese e russa dell'opera. Stroncato da una vita di stenti, Marx si
ammalò tanto gravemente da non poter più lavorare. Il progetto di dare forma
definitiva agli altri libri del Capitale restò incompiuto. "Esser incapace di
lavorare - scrisse- è la sentenza di morte per ogni uomo che non voglia essere un
bruto". Se non poteva più studiare ai ritmi impossibili tenuti fino ad allora, egli
non rinunciò alla lettura e alla corrispondenza. Da tutto il mondo esponenti dei
giovani partiti socialdemocratici si indirizzavano a lui per avere consigli,
indicazioni, proposte. E Marx rispondeva a tutti, così come seguiva le
pubblicazioni e i congressi delle organizzazioni operaie, anche le più
insignificanti. Anche se la rivoluzione tanto attesa non c'era stata, egli vedeva
giorno dopo giorno il proletariato crescere in forze organizzate sulla linea che
egli e Friedrich Engels fin dal 1844 avevano tracciato e ostinatamente difeso. E
questo valse a rendergli gli ultimi anni meno dolorosi, nonostante la perdita della
moglie e della figlia maggiore.
Marx morì il 14 marzo 1883, a sessantacinque anni. Fu Friedrich Engels a dargli
a nome del proletariato mondiale l'estremo saluto:
"Il 14 marzo, alle due e quarantacinque pomeridiane, ha cessato di
pensare la più grande mente dell'epoca nostra... Non è possibile
misurare la gravità della perdita che questa morte rappresenta per il
proletariato militante d'Europa e d'America, nonché per la scienza
storica... Così come Darwin ha scoperto la legge dello sviluppo della
natura organica, Marx ha scoperto la legge dello sviluppo della storia
umana... Ma non è tutto. Marx ha anche scoperto la legge peculiare
dello sviluppo del moderno modo di produzione capitalistico e della
società borghese da esso generata. La scoperta del plusvalore ha
subitamente gettato un fascio di luce nell'oscurità in cui brancolavano
prima, in tutte le loro ricerche, tanto gli economisti borghesi che i
critici socialisti... Per lui la scienza era una forza motrice della storia,
una forza rivoluzionaria.. Perché Marx era prima di tutto un
rivoluzionario... la lotta era il suo elemento. Ed ha combattuto con
una passione, con una tenacia e con un successo come pochi hanno
combattuto... Marx era perciò l'uomo più odiato e calunniato del suo
tempo. I governi assoluti e repubblicani lo espulsero, i borghesi,
conservatori e democratici radicali, lo coprirono a gara di calunnie.
Egli sdegnò tutte queste miserie, non prestò loro nessuna attenzione,
e non rispose se non in caso di estrema necessità. E' morto venerato,
amato, rimpianto da milioni di compagni in Europa e in America,
dalle miniere siberiane sino alla California. E posso aggiungere senza
timore: poteva avere molti avversari, ma nessun nemico personale. Il
suo nome vivrà nei secoli e così la sua opera!".
Savona 1996