Di Karl Marx
Marcello Musto
Comunismo come libera associazione.
Nel Libro primo del Capitale, Marx argomentò che il
capitalismo è un modo di produzione sociale
«storicamente determinato»1, nel quale il prodotto
del lavoro è trasformato in merce. In conseguenza di
questa peculiarità, gli individui hanno valore solo in
quanto produttori e «l’esistenza dell’essere umano» è
asservita all’atto della «produ[zione] di merci»2.
Pertanto, è «il processo di produzione [a]
padroneggi[are] gli esseri umani»3, non viceversa. Il
capitale «non si preoccupa della durata della vita
della forza-lavoro» e non ritiene rilevante il
miglioramento delle condizioni del proletariato.
Quello che gli «interessa è unicamente [...] il
massimo [sfruttamento] di forza lavoro [...], così come
un agricoltore avido ottiene aumentati proventi dal
suolo rapinandone la fertilità»4.
Nei Grundrisse, Marx ricordò che, poiché nel
capitalismo, «lo scopo del lavoro non è un prodotto
particolare che sta in [...] rapporto con i bisogni [...]
dell’individuo, ma [è, invece,] il denaro [...], la
laboriosità dell’individuo non ha alcun limite»5. In
siffatta società «tutto il tempo di un individuo è
posto come tempo di lavoro e [l’uomo] viene
degradato a mero operaio, sussunto sotto il lavoro»6.
K. Marx, Il capitale. Libro primo cit., p. 108.
Ibid., p. 111.
3
Ibid., p. 113.
4
Ibid., p. 301.
5
K. Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia
politica cit., I, p. 185.
6
Ibid., II, p. 406.
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Ciò nonostante, l’ideologia borghese presenta questa
condizione come se l’individuo godesse di una
maggiore libertà e fosse protetto da norme giuridiche
imparziali, in grado di garantire giustizia ed equità.
Paradossalmente, malgrado l’economia sia giunta a un
livello di sviluppo in grado di consentire a tutta la
società di vivere in condizioni migliori rispetto al
passato, «le macchine più progredite costringono
l’operaio a lavorare più a lungo di quanto era toccato
al selvaggio o di quanto lui stesso aveva fatto, [prima
di allora,] con strumenti più semplici e rozzi»7.
Al contrario, il comunismo fu definito da Marx come
«un’associazione di liberi esseri umani [einen Verein
freier Menschen] che lavor[a]no con mezzi di
produzione comuni e spend[o]no coscientemente le
loro molteplici forze-lavoro individuali come una sola
forza-lavoro sociale»8. Definizioni simili sono presenti
in numerosi manoscritti di Marx. Nei Grundrisse, egli
scrisse che la società postcapitalista si sarebbe fondata
sulla «produzione sociale» [gemeinschaftlichen
Produktion]9. Nei Manoscritti economici del 1863-1867,
parlò del «passaggio del modo di produzione
capitalistico al modo di produzione del lavoro
associato [Produktionsweise der assoziierten Arbeit]10.
Nella Critica al programma di Gotha (1875), Marx definì
l’organizzazione sociale «fondata sulla proprietà
comune dei mezzi di produzione» come «società
cooperativa» [genossenschaftliche Gesellschaft]11.
Nel Libro primo del Capitale, Marx chiarì che il
«principio fondamentale» di questa «forma superiore
di società» sarebbe stato il «pieno e libero sviluppo di
ogni individuo»12. Ne La guerra civile in Francia,
Ibid., p. 405.
K. Marx, Il capitale. Libro primo cit., p. 110.
9
K. Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia
politica cit., I, p. 117.
10
K. Marx, Ökonomische Manuskripte 1863-1867, MEGA2, II/4.2,
Dietz Verlag, Berlin 2012, p. 662. Cfr. P. Chattopadhyay, Marx’s
Associated Mode of Production, Palgrave, New York 2016, in
particolare pp. 59-65 e 157-61.
11
K. Marx, Critica al programma di Gotha, Editori Riuniti, Roma
1990, p. 14. Palmiro Togliatti ha erroneamente tradotto questa
espressione con il termine «società collettivista».
12
K. Marx, Il capitale. Libro primo cit., p. 648.
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espresse la sua approvazione per le misure adottate
dai comunardi che lasciavano «presagire la tendenza
di un governo del popolo per il popolo»13. Più
precisamente, nelle sue valutazioni circa le riforme
politiche della Comune di Parigi, egli ritenne che «il
vecchio governo centralizzato avrebbe dovuto cedere
il passo, anche nelle province, all’autogoverno dei
produttori»14. L’espressione venne ripresa negli Estratti
e commenti critici a «Stato e anarchia» di Bakunin, dove
specificò che un radicale cambiamento sociale
avrebbe avuto «inizio con l’autogoverno della
comunità»15. L’idea di società di Marx è, dunque,
l’antitesi dei totalitarismi sorti in suo nome nel XX
secolo. I suoi testi sono utili non solo per
comprendere il modo di funzionamento del
capitalismo, ma anche per individuare le ragioni dei
fallimenti delle esperienze socialiste fin qui compiute.
In riferimento al tema della cosiddetta libera
concorrenza, ovvero l’apparente eguaglianza con la
quale operai e capitalisti si trovano posti sul mercato
nella società borghese, Marx dichiarò che essa era
tutt’altro dalla libertà umana tanto esaltata dagli
esegeti del capitalismo. Egli riteneva che questo
sistema costituisse un grande impedimento per la
democrazia e mostrò, meglio di chiunque altro, che i
lavoratori non ricevono il corrispettivo di quello che
producono16. Nei Grundrisse, spiegò che quanto
veniva rappresentato come uno «scambio di
equivalenti» era, invece, «appropriazione di lavoro
altrui senza scambio, ma sotto la parvenza dello
scambio»17. Le relazioni tra le persone erano
«determinate soltanto dai loro interessi egoistici».
Questa «collisione di individui» era stata spacciata
K. Marx, La guerra civile in Francia. Indirizzo del Consiglio
generale dell’Associazione internazionale dei lavoratori, in Marx
Engels Opere, XXII, La Città del Sole-Editori Riuniti, NapoliRoma 2008, p. 304.
14
Ibid., p. 297.
15
Marx, Estratti e commenti critici a «Stato e anarchia» di Bakunin
cit., p. 356.
16
Su questi temi cfr. E. Meiksins Wood, Democracy against
Capitalism, Cambridge University Press, London 1995.
17
Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia
politica cit., II, p. 141.
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come la «forma assoluta di esistenza della libera
individualità nella sfera della produzione e dello
scambio». Per Marx non vi era, in realtà, «niente di
più falso», poiché, «nella libera concorrenza, non gli
individui, ma il capitale è posto in condizioni di
libertà»18. Nei Manoscritti economici del 1861-63 egli
denunciò che era «il capitalista a incassare questo
pluslavoro – [che era] [...] tempo libero [e] [...] la base
materiale dello sviluppo e della cultura in generale
[...] – in nome della società»19. Nel Libro primo del
Capitale, egli denunciò che la ricchezza della
borghesia è possibile solo mediante la
«trasformazione in tempo di lavoro di tutto il tempo
di vita delle masse»20.
Nei Grundrisse, Marx osservò che nel capitalismo «gli
individui sono sussunti dalla produzione sociale»21, la
quale esiste come qualcosa che è a «loro estraneo»22.
Essa viene realizzata solamente in funzione
dell’attribuzione del valore di scambio conferito ai
prodotti, la cui compravendita avviene soltanto «post
festum»23. Inoltre, «tutti i fattori sociali della
produzione»24, comprese le scoperte scientifiche che
si palesano come «una scienza altrui, esterna
all’operaio»25, sono poste dal capitale. Lo stesso
associarsi degli operai nei luoghi e nell’atto della
produzione è «operato dal capitale» ed è, pertanto,
«soltanto formale». L’uso dei beni creati da parte dei
lavoratori «non è mediat[o] dallo scambio di lavori o
di prodotti di lavoro reciprocamente indipendenti [,
bensì] [...] dalle condizioni sociali della produzione
entro le quali agisce l’individuo»26. Marx fece
comprendere come l’attività produttiva nella fabbrica
«riguarda[sse] solo il prodotto del lavoro, non il
Ibid., p. 333.
K. Marx, Manoscritti economici del 1861-1863, Editori Riuniti,
Roma 1980, p. 200.
20
Marx, Il capitale. Libro primo cit., p. 578.
21
Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia
politica cit., I, p. 100.
22
Ibid.
23
Ibid., p. 117.
24
Ibid., II, p. 241.
25
Ibid., p. 393.
26
Ibid., I, p. 118.
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lavoro stesso»27, dal momento che avveniva «in un
ambiente comune, sotto vigilanza, irreggimentazione,
maggiore disciplina, immobilità e dipendenza»28.
Nel comunismo, invece, la produzione sarebbe stata
«immediatamente sociale [...], il risultato
dell’associazione [the offspring of association] che
ripartisce il lavoro al proprio interno». Essa sarebbe
stata controllata dagli individui come «loro
patrimonio comune»29. Il «carattere sociale della
produzione» [gesellschaftliche Charakter der
Produktion] avrebbe fatto sì che l’oggetto del lavoro
fosse stato, «fin dal principio, un prodotto sociale e
generale»30. Il carattere associativo «è presupposto» e
«il lavoro del singolo si pone, sin dalla sua origine,
come lavoro sociale»31. Come volle sottolineare nella
Critica al programma di Gotha, nella società
postcapitalistica «i lavori individuali non [sarebbero]
più diventa[ti] parti costitutive del lavoro
complessivo attraverso un processo indiretto, ma in
modo diretto»32. In aggiunta, gli operai avrebbero
potuto creare le condizioni per una «scomparsa
[del]la subordinazione servile degli individui alla
divisione del lavoro»33.
Nel Libro primo del Capitale, Marx evidenziò che
nella società borghese «l’operaio esiste in funzione
del processo di produzione e non il processo di
produzione per l’operaio»34. Inoltre, parallelamente
allo sfruttamento dei lavoratori, si manifestava anche
quello verso l’ambiente. All’opposto delle
interpretazioni che hanno assimilato la concezione
marxiana della società comunista al mero sviluppo
delle forze produttive, il suo interesse per la
questione ecologica fu rilevante35. Marx denunciò,
ripetutamente, che lo sviluppo del modo di
Ibid., II, 243
Ibid., p. 244.
29
Ibid., I, p. 100.
30
Ibid., p. 117.
31
Ibid.
32
Marx, Critica al programma di Gotha cit., pp. 14-5.
33
Ibid., p. 17.
34
Marx, Il capitale. Libro primo cit., p. 537.
35
Su questo tema si è sviluppata, negli ultimi venti anni,
27
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produzione capitalistico determinava un aumento
«non solo nell’arte di rapinare l’operaio, ma anche
nell’arte di rapinare il suolo»36. Per suo tramite,
venivano minate entrambe le «fonti da cui sgorga
ogni ricchezza: la terra e l’operaio»37.
Nel comunismo, viceversa, si sarebbero create le
condizioni per una forma di «cooperazione
pianificata», in virtù della quale «l’operaio si [sarebbe]
spoglia[to] dei suoi limiti individuali e [avrebbe]
sviluppa[to] la facoltà della sua specie»38. Nel Libro
secondo Marx scrisse che nel comunismo la società
sarebbe stata in grado di «calcolare in precedenza
quanto lavoro, mezzi di produzione e di sussistenza
[avrebbe potuto] adoperare». Essa si sarebbe così
differenziata, anche da questo punto di vista, dal
capitalismo, sotto il quale «l’intelletto sociale si fa
valere sempre soltanto post festum, [facendo] così
intervenire, costantemente, grandi perturbamenti»39.
Anche in alcuni brani del Libro terzo, Marx offrì
chiarimenti sulle differenze tra il modo di produzione
socialista e quello basato sul mercato, auspicando la
nascita di una società «organizzata come una
associazione cosciente e sistematica»40. Egli affermò
che «è solo quando la società controlla efficacemente
la produzione, regolandola in anticipo, che essa crea il
legame fra la misura del tempo di lavoro sociale
dedicato alla produzione di un articolo determinato e
l’estensione del bisogno sociale che tale articolo deve
soddisfare»41.
Nelle Glosse marginali al «Trattato di economia politica»
un’ampia e innovativa letteratura. Per uno degli ultimi
contributi in proposito si rimanda a K. Saito, Karl Marx’s
Ecosocialism. Capital, Nature, and the Unfinished Critique of
Political Economy, Monthly Review Press, New York 2017, in
particolare pp. 217-55.
36
Ibid., p. 552.
37
Ibid., p. 553.
38
Ibid., p. 371.
39
K. Marx, Il capitale. Libro secondo. Il processo di circolazione del
capitale, Editori Riuniti, Roma 1989, p. 331.
40
K. Marx, Il capitale. Libro terzo. Il processo complessivo della
produzione capitalistica, Editori Riuniti, Roma 1989, p. 763.
41
Ibid., p. 231. In proposito cfr. B. Ollman (a cura di), Market
Socialism. The Debate among Socialists, Routledge, New York 1998.
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di Adolf Wagner, infine, compare un’altra indicazione
in proposito: «il volume della produzione» avrebbe
dovuto essere «regolato razionalmente»42.
L’applicazione di questo criterio avrebbe consentito
di abbattere anche gli sprechi dell’«anarchico
sistema della concorrenza», il quale, nel ricorrere
delle sue crisi strutturali, oltre a «determina[re] lo
sperpero smisurato dei mezzi di produzione e delle
forze-lavoro sociali»43, non era in grado di risolvere le
contraddizioni derivanti dall’introduzione dei
macchinari, dovute essenzialmente «al loro uso
capitalistico»44.
[...]
Ruolo dello Stato, diritti individuali e libertà
Nella società comunista, accanto alle trasformazioni
dell’economia, avrebbero dovuto essere ridefiniti
anche il ruolo dello Stato e le funzioni della politica.
Ne La guerra civile in Francia, Marx tenne a chiarire
che, in seguito alla presa del potere, la classe
lavoratrice avrebbe dovuto lottare per «estirpare le
basi economiche sulle quali riposa l’esistenza delle
classi e, quindi, il dominio di classe». Una volta che
sarà «emancipato il lavoro, ogni essere umano
div[errà] un lavoratore e il lavoro produttivo cess[erà]
di essere l’attributo di una classe»45. La nota
affermazione «la classe operaia non può
semplicemente impadronirsi della macchina statale
così com’è» stava a significare, come Marx ed Engels
spiegarono nell’opuscolo Le cosiddette scissioni
nell’Internazionale, che il movimento operaio avrebbe
dovuto tendere a trasformare «le funzioni governative
[...] in semplici funzioni amministrative»46. Anche se
con una formulazione alquanto concisa, negli Estratti
Marx, Glosse marginali al «Trattato di economia politica» di
Adolf Wagner cit., p. 1409.
43
Marx, Il capitale. Libro primo cit., p. 578.
44
Ibid., p. 486.
45
Marx, La guerra civile in Francia cit., p. 300.
46
K. Marx-F. Engels, Le cosiddette scissioni nell’Internazionale, in
Idd., Critica dell’anarchismo cit., p. 76.
42
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e commenti critici a «Stato e anarchia» di Bakunin, Marx
spiegò che «la distribuzione delle funzioni
[governative avrebbe dovuto] diven[tare] un fatto
amministrativo che non attribuisce alcun potere»47. In
questo modo, si sarebbe potuto evitare, quanto più
possibile, che l’esercizio degli incarichi politici
generasse nuove dinamiche di dominio e soggezione.
Marx valutò che, con lo sviluppo della società
moderna, «il potere dello Stato [aveva] assu[nto]
sempre più il carattere di potere nazionale del
capitale sul lavoro, di una forza pubblica organizzata
di asservimento sociale, di uno strumento del
dispotismo di classe»48. Nel comunismo, al contrario,
i lavoratori avrebbero dovuto impedire che lo Stato
divenisse un ostacolo alla piena emancipazione degli
individui. A essi Marx indicò la necessità che «gli
organi meramente repressivi del vecchio potere
governativo [fossero] amputati», mentre le sue
«funzioni legittime» avrebbe[ro] dovuto essere
«strappate da un’autorità che usurpava il primato
della società [...] e restituite agli agenti responsabili
della società»49. Nella Critica al programma di Gotha
Marx chiarì che «la libertà consiste nel mutare lo
Stato da organo sovrapposto alla società in organo
assolutamente subordinato ad essa», chiosando con
sagacia che «le forme dello Stato sono più o meno
libere nella misura in cui limitano la “libertà dello
Stato”»50.
In questo stesso testo, Marx sottolineò anche
l’esigenza che, nella società comunista, le politiche
pubbliche privilegiassero la «soddisfazione collettiva
dei bisogni». Le spese per le scuole, le istituzioni
sanitarie e gli altri beni comuni sarebbero
«notevolmente aumentat[e] fin dall’inizio, rispetto
alla società attuale, e [sarebbero] aument[ate] nella
misura in cui la nuova società si verrà sviluppando»51.
L’istruzione avrebbe assunto una funzione di primario
Marx, Estratti e commenti critici a «Stato e anarchia» di Bakunin
cit., p. 357.
48
Marx, La guerra civile in Francia cit., p. 294.
49
Ibid., p. 298.
50
Marx, Critica al programma di Gotha cit., p. 28.
51
Ibid., p. 14.
47
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rilievo e, così come aveva ricordato ne La guerra civile
in Francia, riferendosi al modello adottato dai
comunardi parigini nel 1871, «tutti gli istituti di
istruzione [sarebbero] stati aperti gratuitamente al
popolo e liberati da ogni ingerenza sia della Chiesa
che dello Stato». Solo così la cultura sarebbe «stata
resa accessibile a tutti» e la scienza affrancata sia «dai
pregiudizi di classe [che] dalla forza del governo»52.
Differentemente dalla società liberale, nella quale
«l’eguale diritto» lascia inalterate le disuguaglianze
esistenti, per Marx nella società comunista «il diritto
[avrebbe] dov[uto] essere disuguale, invece di essere
uguale». Una sua trasformazione in tal senso avrebbe
riconosciuto, e tutelato, gli individui in base ai loro
specifici bisogni e al minore o maggiore disagio delle
loro condizioni, poiché «non sarebbero individui
diversi, se non fossero disuguali». Sarebbe stato
possibile, inoltre, determinare la giusta partecipazione
di ciascuna persona ai servizi e alla ricchezza
disponibile. La società che ambiva a seguire il
principio «ognuno secondo le sue capacità, a ognuno
secondo i suoi bisogni»53 aveva, davanti a sé, questo
cammino complesso e irto di difficoltà. Tuttavia, l’esito
finale non era garantito da «magnifiche sorti e
progressive» e, allo stesso tempo, non era irreversibile.
Marx assegnò un valore fondamentale alla libertà
individuale e il suo comunismo fu radicalmente
diverso tanto dal livellamento delle classi, auspicato
da diversi suoi predecessori, quanto dalla grigia
uniformità politica ed economica, realizzata da molti
suoi seguaci. Nell’Urtext, però, pose l’accento anche
sull’«errore di quei socialisti, specialmente francesi»,
che, considerando «il socialismo [quale] realizzazione
delle idee borghesi», avevano cercato di «dimostrare
che il valore di scambio [fosse], originariamente [...],
un sistema di libertà ed eguaglianza per tutti, [...]
falsificato [... poi] dal capitale»54. Nei Grundrisse, Marx
etichettò come «insulsaggine [quella] di considerare
la libera concorrenza quale ultimo sviluppo della
Marx, La guerra civile in Francia cit., p. 297.
Marx, Critica al programma di Gotha cit., p. 18.
54
K. Marx, Frammento del testo primitivo, in Id., Scritti inediti di
Economia politica, Editori Riuniti, Roma 1963, p. 91.
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libertà umana». Difatti, questa tesi «non significa[va]
altro se non che il dominio della borghesia [era] il
termine ultimo della libertà umana», idea che,
ironicamente, Marx definì «allettante per i parvenus».
Allo stesso modo, egli contestò l’ideologia liberale
secondo la quale «la negazione della libera
concorrenza equivale alla negazione della libertà
individuale e della produzione sociale basata sulla
libertà individuale». Nella società borghese si
rendeva possibile soltanto un «libero sviluppo su
base limitata, sulla base del dominio del capitale». A
suo avviso, «questo genere di libertà individuale [era],
al tempo stesso, la più completa soppressione di ogni
libertà individuale e il più completo soggiogamento
dell’individualità alle condizioni sociali, le quali
assumono la forma di poteri oggettivi [...] [e] oggetti
indipendenti [...] dagli stessi individui e dalle loro
relazioni»55.
L’alternativa all’alienazione capitalistica era
realizzabile solo se le classi subalterne avessero preso
coscienza della loro condizione di nuovi schiavi e
avessero dato inizio alla lotta per una trasformazione
radicale del mondo nel quale venivano sfruttati. La
loro mobilitazione e la loro partecipazione attiva a
questo processo non poteva arrestarsi, però,
all’indomani della presa del potere. Avrebbe dovuto
proseguire al fine di scongiurare la deriva verso un
socialismo di Stato nei cui confronti Marx manifestò
sempre la più tenace e convinta opposizione.
In una significativa lettera indirizzata, nel 1868, al
presidente dell’Associazione generale degli operai
tedeschi, Marx spiegò che «l’operaio non andava
trattato con provvedimenti burocratici», affinché
potesse obbedire «all’autorità e ai superiori; la cosa
più importante era insegnargli a camminare da
solo»56. Egli non mutò mai questa convinzione nel
corso della sua esistenza. Non a caso, come primo
punto degli Statuti dell’Associazione Internazionale dei
Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia
politica cit., II, p. 335.
56
Karl Marx a Johann Baptist von Schweitzer, 13 ottobre 1868,
in K. Marx, Lettere: gennaio 1868-luglio 1870, Marx Engels Opere,
XLIII, Editori Riuniti, Roma 1975, p. 620.
55
Il contemporaneo
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60 !
Lavoratori, da lui redatto, aveva posto:
«l’emancipazione della classe lavoratrice deve essere
opera dei lavoratori stessi». Aggiungendo, in quello
immediatamente successivo, che la loro lotta non
doveva «tendere a costituire nuovi privilegi e
monopoli di classe, ma a stabilire diritti e doveri
eguali per tutti»57.
Molti dei partiti e dei regimi politici sorti nel nome
di Marx, utilizzando in modo strumentale e citando
impropriamente il concetto di «dittatura del
proletariato»58, non hanno seguito la direzione da lui
indicata. Tuttavia, ciò non vuol dire che non sia
possibile provarci ancora.
Marcello Musto
Professore associato di
Sociologia teorica presso
la York University di Toronto.
Tra i suoi libri, tradotti in oltre
venti lingue, ricordiamo:
Ripensare Marx e i marxismi
(Carocci, 2011), L’ultimo Marx,
1881-1883 (Donzelli, 2016) e Karl
Marx. Biografia intellettuale
e politica (Einaudi, 2018).
È curatore di numerose antologie
e volumi collettanei, tra i quali:
Marx for Today (Routledge,
2012), Prima Internazionale.
Lavoratori di tutto il mondo,
unitevi! (Donzelli, 2014),
I Grundrisse di Karl Marx
(Ets, 2015), Karl Marx.
Scritti sull’alienazione
(Donzelli, 2018), Marx’s Capital
after 150 Years (Routledge, 2019)
e Karl Marx’s Life, Ideas, and
Influences (Palgrave, 2019).
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57
K. Marx, Indirizzo inaugurale e statuti provvisori
dell’Associazione Internazionale degli Operai, in Marx Engels
Opere, XX, Editori Riuniti, Roma 1987, p. 14.
58
Cfr. Hal Draper che in Karl Marx’s Theory of Revolution, III,
The Dictatorship of the Proletariat, Monthly Review Press, New
York 1986, pp. 385-6, ha dimostrato che Marx aveva utilizzato
questa espressione soltanto sette volte, per di più con un
significato radicalmente diverso da quello che, erroneamente,
gli hanno attribuito molti dei suoi interpreti o i sedicenti
continuatori del suo pensiero.