EIKASMOS
Quaderni Bolognesi di Filologia Classica
Rivista fondata da Enzo Degani
XXXI/2020
Pàtron Editore
Alma Mater Studiorum
«EIKASMOS» XXXI (2020)
Iati in Saffo*
1. Il fr. 9 di Saffo, trasmesso da P. Oxy. 2289 (fr. 4) e da P. GC. inv. 105 (fr.
1), all’interno di una sezione alfabetica del primo libro dell’edizione alessandrina
della poetessa, si apriva con il riferimento a una ‘chiamata’, a una ‘madre’ e a
una ‘festa’1:
[⊗ π- (?)
π]κάλειοιταϲ ἐ[
]παν οὐκ ἐχη[
[μ]ατερ ἐόρταν[
|| stropha Sapphica. Hiatus: fort. v. 2 π]κάλει οιταϲ
|| (2–9) P. Oxy. 2289 (fr. 4) (I); (4–22) PGC (fr. 1) (II). Cum fr. 15 coniungere voluit Dale
2015 (cf. Ben. 2017, 54, 59). Primi edd. Lob. 1951 (I), BFO 2014 (II), primi recc. L.-P.
1955 (I), Obb. 2016 (I+II)
|| 1 ad init. π- (cf. West 2014) vd. frr. 16 (ο]ἰ Hunt 1914), 16A (? ὄλβιον] Milne 1932,
1933), 17 (πλάϲιον), 18 (<π>άν), 18A (?), 5 (πότνιαι) continuo praecedentia necnon frr.
10 (? [πάτροϲ tempt. Obb. 2015a) et 26 (πῶϲ) mox insequentia in pap. (II + PSO): cf.
West 2014, Obb. 2015b, B.-L. 2016 || 2 []καλειοιταϲε[ I : παρκάλει (Gall. 1953,
1956) οἰ τᾶϲ (vel τὰϲ) ἐ[ (cf. Alc. fr. 114,9) fort. non excludendum (contra, D’A. 2019) :
πρκάλειϲι ταϲ ε[ post West 2014 (π]κάλειϲι) Obb. 2015b, cl. Alc. fr. 71,1s. (contra
Lob. 1951, L.-P. 1955) : π]αρκάλει ϝοι olim Gall. 1953 || 3 πάμ]παν (post L.-P. 1955,
Gall. 1956) οὐκ ἔχη[ϲθα πόθεν δυναίμαν West 2014 : π- οὐκ ἔχη[ιϲ Di B. 1987 | οὐκ
Mantisse e apparati sono (in forma abbreviata e focalizzata sui versi discussi) quelli della
mia edizione, da (troppo) tempo in preparazione. Per le traduzioni, brevitatis gratia, rinvio a
Saffo. Poesie, frammenti e testimonianze, Santarcangelo di Romagna (RN) 2017.
1
Per un tentativo di contestualizzazione, sia lecito rinviare a La mamma e la festa (Sapph.
fr. 9 V. + P. GC. inv. 105 fr. 1), «Commentaria classica» II (2015) 9-20. Il contesto festoso
sembra confermato dai vv. 3 ἐόρταν, 4 τελε[, 15 ελέϲθη, con le possibili implicazioni rituali
di τέλημι: cf. LSJ9 1772 s.v. III.3, mentre un accenno all’incolumità (al v. 10), che ricorda
quello del fr. 5,1, potrebbe inquadrare anche questi versi nella vicenda di Carasso: così ora
Lardinois (2014, 195 e 2016, 172s.), la Kurke (2016, 246-248) e inoltre Dale (2015, 19-23),
che – in modo non convincente – ne fa un unico, lunghissimo carme con il fr. 15. Ma si tratta
evidentemente di troppo poco.
*
16
NERI
vel οὔ κ’ || 4 [μ]ᾶτερ post BFO 2014 (μ]ᾶτερ vel μ]άτερ’) West 2014 (recc. Ferr. 2014,
Obb. 2015b) : ὤϲπ]ερ e I suppleverat Gall. 1956 | ante lac. fort. ἄνω ϲτιγμή vel atramenti
labes (an littera male posita?), sed in l. 3 (= v. 4) in II ‘adonium’ qui dicitur contineri
spatio in fine manifeste indicatur
Una chiamata a raccolta per un’occasione importante compariva probabilmente
al v. 22, dove π]αρκάλει pare indubbiamente possibilità assai concreta3, mentre
subito di séguito οἰ τὰϲ (o τᾶϲ) ἐ.[ sembra divisio verborum forse più attendibile
di οἰ (o οἴ o ϝοι) τ’ ἀϲε[ o di Οἴταϲ ἐ[ (o Οἴτα ϲε[)4. L’azione andrà collocata
in un “tempo opportuno” (v. 5 ὤραι), o sotto la giurisdizione delle Ore (Ὦραι),
peraltro non attestate in Saffo e Alceo, né in lirica greca prima di Pindaro (7x)5.
L’ambientazione festiva pare garantita da ἐόρταν (v. 4), preceduto da μ]ᾶτερ o
da μ]άτερ’ (una “madre” o la “Madre”?), anche se dopo ρ non vi sono tracce
visibili di un apostrofo6.
La presenza di uno iato senza correptio – le letture π]κάλειϲι di West 2014
e Obbink (2015b) sono in effetti correzioni della chiara lettera del papiro (ο, non
ϲ), e nella stessa direzione andava il -ει ϝοι di Gallavotti (1953) – ha ‘sorpreso’
Giovan Battista D’Alessio (2019, 18 n. 1), in un recente (ed eccellente) contributo
(anche) su questo frammento. Un’ottima occasione per verificare se questo tuttora virente idolum scholae meriti ancora la nostra venerazione7. Non certo con lo
]καλειοιταϲε]: probabilmente il secondo verso del componimento, che doveva comunque cominciare con una parola a iniziale π- (cf. West 2014, 7).
3
La restituzione è di Gallavotti (1953, 163 n. 1 e 1956, 98), registrato in apparato dalla sola Voigt (1971, 40): π]κάλειϲι invece West (2014, 7), e così ora Obbink (2016, 23:
[π]ρκάλειϲι ταϲ ε[).
4
Per la prima possibilità, cf. Alc. fr. 114,9 V.; nella seconda, non sarebbe molto chiara
la funzione del τε, difficilmente epicum, in Saffo, in contesto non dattilico (cf. Ruijgh 1971,
979 § 797); nella terza, il tessalico monte Eta potrebbe fornire una cornice rituale pan-eolica
convincente, o un semplice riferimento geografico per un rito connesso all’astro della sera (cf.
e.g. Parthen. fr. 53 Lightfoot, Catull. 62,7, Verg. Ecl. 8,30), cui anche Saffo fa riferimento (frr.
104a,1, 104b, 117B,a; vd. Lenk 1937, 2297).
5
La lezione di P. GC. ha messo fuori gioco il precedente supplemento [Ἤ]ραι della Voigt
(1971, 40). Possibile anche un pl. ὦραι/Ὦραι (sulla presenza delle Ore come agenti insiste
D’Alessio 2019, 19-24).
6
West (2014, 7) propone πάμ]παν οὐκ ἔχη[ϲθα πόθεν δυναίμαν, / μ]ᾶτερ, ἐόρταν /
φαιδί]μαν ὤραι τέλε[ϲαι;. La presenza di un apostrofo è ora negata da D’Alessio (2019, 18s.),
che solleva dubbi anche sulla possibilità di elidere un dativo in ι (μάτερ(α) o meno probabilmente μάτερ(ι) sono infatti le alternative almeno teoriche al voc.), come avviene talora (cf.
West 1982, 10, con esempi omerici, teognidei e licofronei): ma in un caso come Alc. fr. 309
V. τὸ γὰρ θέων ἰότατι ὔμμε λαχόντων, o si ammette lo iato (senza correptio: vd. infra), o si
accetta l’elisione del dat. sing.
7
Indizi del contrario in Hamm 1957, 38 e Ford-Kopff 1976. Si prescinde qui da iati in
elisione, come e.g. ἤρε’ ὄττι (fr. 1,15), βρόχε’ ὤϲ (fr. 31,7), βράκε’ ἔλκην (fr. 57,3), θέρη’
ὐομ[ (fr. 86,3), ἔχευ’ ἀπύ (fr. 96,27), ἄνθε’ ἀμέργοιϲαν (fr. 122), Κυθέρη’, ἄβροϲ (fr. 140,1),
2
17
Iati in Saffo
scopo di dimostrare – ciò che sarebbe imprudente e velleitario – che tutti gli iati
senza correptio siano in Saffo ammissibili o addirittura probabili, ma con quello di chiedersi se – in presenza di almeno qualche caso in cui questo fenomeno
può rispondere ad accertabili esigenze espressive – la generalizzata tendenza a
correggerli tutti sulla base del presupposto che non lo siano (anche dove di tali
esigenze non si possa accertare né la presenza, né l’assenza, come nel fr. 9) sia
davvero raccomandabile.
2. Il primo e più celebre iato senza correptio della poesia di Saffo – peraltro
nello stesso metro della strofe saffica e nel quadro del notoriamente insuperato autoinventario dei sintomi fisici del turbamento amoroso – è quello del tormentato fr. 31,9
ἀλλὰ κὰμ μὲν γλῶϲϲα ἔαγε, κτλ.
|| stropha Sapphica (cr phipp: lklulkklklu U). Hiatus: fort. v. 9 γλῶϲϲα ἔαγε (vd. app.)
|| Longin. Subl. 10 (I); (9s.) Plut. Prof. in virt. 10, 81d (≅ An. Par. I 399,26-28 Cr.) (III).
Cf. Catull. 51; (6–15) Plut. Amat. 18, 763a, Demetr. 38,4. Primus rec. Steph. 1556
|| 9 κὰμ e I(apogrr. recc.) et post F. Portum ap. Mur. 1554 (κάμ-) Spengel 1828 : κἂν I(P) :
κατὰ III : (ἀλλ’) ἄκαν post J. Boivin (ἀκὰν) L.-P. 1955 | γλῶϲϲα ἔαγε I : γλῶϲϲά(ν) γε
III (γλῶϲϲ… An. Par.) : γλῶϲϲ’ ἔαγ’ ἂν δὲ Mur. 1554 : γλῶϲϲα πέπαγε post J. Barnes
ap. Blomf. 1813/1814 (πέπηγε) Cobet 1873 : γλῶϲϲά μ’ ἔαγε Sitzler 1927, Friedländer
1929 : γλῶϲϲα ϲέϲαγε Gall. 1942 : γλῶϲϲα γέγακε (cum ἄκαν) Page 1955 : γλῶϲϲ’
ἀπέαγε Beattie 1956 : γλῶϲϲά γ’ ἔαγε Priv. 1969a-b : γλῶϲϲαν ἔαγα West 1970 | κὰμ
et ἔαγε crucc. concl. Voigt 1971, ἔ- Lob. 1925 et L.-P. 1955
dove ἔαγε – trasmesso dal Sublime (10), crocifisso da Lobel (1925, 16), LobelPage (1968 [1955], 32) e Voigt (1971, 58) dopo svariati tentativi di correzione8, e
per cui non sono immaginabili lenimenti semivocalici9 – è stato successivamente e
καρχάϲι’ ἦχον (fr. 141,5), o tra versi ο cola, come e.g. τοι / ἰϲδάνει (fr. 31,2s.) e τι / ἶρον
(fr. 94,24s.), o ‘formulari’, come πότνια Αὔωϲ (fr. 157, cf. H. Hom. Ven. 223, 230, la trentina
di attestazioni epiche di πότνια Ἥρη, e il πότνια Ἥβη di Il. IV 2), o particolarmente incerti
e controversi, come θέαι ἰκέλαν (fr. 96,4), αλε υ[ (fr. 97,24), εὐο[]δα[ (fr. 98c,21),
φυλάϲϲετε ἐννε[]οι (fr. 161), []ϲε ἔμα (fr. 213,2), su cui mi riprometto di tornare, nonché
naturalmente dai casi di iato con correptio (cf. frr. 44,5, 105a,1 (bis), 108, 142, 143 χρύϲειοι
ἐρέβινθοι ἐπ’, °°307,1, °°308,3, forse anche frr. 58b,9, 107, 111,5, e inoltre Alc. fr. 366 V.,
inc. auct. fr. 5c V.), per cui si rimanda a La mamma cit. 13 n. 13 e a Hamm 1957, 41.
8
Si veda l’apparato, e inoltre Voigt 1971, 59.
9
«Nihil invenio, sed vix credendum est hoc uno loco permansisse digamma» (Lobel 1925,
17). Susseguenti tentativi di giustificare un waw iniziale nei poeti di Lesbo (regestati e discussi
in Ford-Kopff 1976, cui si rimanda), tranne nei casi contemplati da Lobel, non sono approdati
a risultati apprezzabili.
18
NERI
brillantemente difeso su basi stilistiche da Ford-Kopff (1976, 55), per i quali Saffo,
memore di passi epici come νῶτα ἔαγε (Hes. Op. 534) ο κατά θ’ ἅρματα ἄξω
(Il. VIII 403), «was inspired by the onomatopoeia of the break. She then transferred
this effect elegantly and brilliantly to a place where the broken gasp is even more
effective. Read the line out loud and you will yourself reproduce the effect sought
so long ago by the Lesbian poetess». Come spesso in Saffo, lingua e stile si fanno
icona e melodia delle situazioni rappresentate, e lo iato – reso palpabile dall’assenza del ϝ – rappresenterebbe qui efficacemente l’incepparsi della lingua in quella
bocca silenziosamente aperta, (in)eloquente effetto fisico di un avvenuto iato nel
normale funzionamento della psiche. Un’interessante rielaborazione metrico-sonora
di materiale epico, insomma, che Saffo potrebbe aver sperimentato anche altrove.
3. Il secondo, anche per rinomanza, è il crocifisso, duplice οὐκέτι ἤξω del
fr. 114, nella definitiva risposta della παρθενία fuggitiva alla struggente domanda
della giovane νύμφα:
(νύμφη)
παρθενία, παρθενία, ποῖ με λίποιϲ’ ἀ<π>οίχηι;
(παρθενία) †οὐκέτι ἤξω πρὸϲ ϲέ, οὐκέτι ἤξω†
|| 3cho ba || (lkkllkkllkklklu U)? Hiatus: fort. vv. 1 λίποιϲα οἴχηι (vd. app.), 2
οὐκέτι ἤξω (bis?) (vd. app.). Cf. Wil. 1921, 326
|| Demetr. Eloc. 140 αἱ δὲ ἀπὸ τῶν ϲχημάτων χάριτεϲ δῆλαί εἰϲιν καὶ πλεῖϲται παρὰ
Cαπφοῖ, οἷον ἐκ τῆϲ ἀναδιπλώϲεώϲ που νύμφη πρὸϲ τὴν παρθενίαν φηϲί· [1]; ἡ δὲ
ἀποκρίνεται πρὸϲ αὐτὴν τῶι αὐτῶι ϲχήματι· [2]. πλείων γὰρ χάριϲ ἐμφαίνεται, ἢ
εἴπερ ἅπαξ ἐλέχθη καὶ ἄνευ τοῦ ϲχήματοϲ. καίτοι ἡ ἀναδίπλωϲιϲ πρὸϲ δεινότηταϲ
μᾶλλον δοκεῖ εὑρῆϲθαι, ἡ δὲ καὶ τοῖϲ δεινοτάτοιϲ καταχρῆται ἐπιχαρίτωϲ. Primus
rec. Steph. 1560
|| 1 παρθενία παρθενία P2 : παρθενία Μ | λίποιϲ’ ἀ<π>οίχηι Blomf. 1813/1814 : λιποῦϲα
οἴχηι codd. (λίποιϲα οἴχηι fort. possis) : λιποῖϲ’ ἀποίχεαι Herm. 1831 : λιποῖϲ’ οἴχεαι
Schnw. 1839 || 2 οὐκέτι ἥξω πρὸϲ ϲέ, οὐκέτι ἥξω test., crucc. concl. Lob. 1925 (qui et
ἤξω scripsit, ἤξω πρόϲ ϲε tantum crucc. concl. Page 1955) : οὐκέτι πρόϲ ϲ’ οὐδέποτ’
ἴξω, οὐκέτι πρόϲ ϲ’ ἴξω Neue 1827 : οὐκέτι <�� (nom. pr., e.g. Cαπφοῖ)> ποτί ϲ’ ἴξω,
ποτί ϲ’ οὐκέτ’ ἴξω Seidler 1829 : <χαῖρε φίλα·> οὐ γὰρ ἔτ’ ἴξω προτί ϲ’, οὐκέτ’ ἴξω
Herm. 1831 : οὐκέτι ϝίξω ϲε <φυγοῖϲ’>, οὐκέτι ϝίξω ϲε Giese 1832 : οὐκέτι ϲ’ ἥξω,
οὐκέτι ϲ’ ἥξω ����� Ahr. 1839 (εἴξω Ahr. 1843) : οὐκέτι ϝίξω, οὐκέτι ϝίξω προτί ϲ’
<οὐ ϝίξω> Schnw. 1839 : οὐκέτι ϲ’ ἥξω. ὦ πάρθενέ ϲ’ οὐκέθ’ ἥξω Bgk. 1843 : οὐκέτ’
ἀπίξω ποτί ϲ’, ὦ νύμφα, ποτ’ οὐκέτ’ ἴξω Hartung 1857 : οὐκέτι πρόϲ ϲ’ οὐκέτι πρόϲ
ϲ’ ἥξω ἅπαξ λίποιϲα Köchly 1859 : οὐκέτι, <νύμφα,> προτί ϲ’ ἴξω, <προτί ϲ’> οὐκέτ’
ἴξω Bgk. 1882 : οὐκέτι εἵξω, <οὐκέτι εἵξω> πρόϲ ϲ’, οὐκέτι εἵξω Usener 1887 : οὐκέτι
εἴξω πρὸϲ ϲέ, <πρόϲ ϲ’> οὐκέτι εἴξω Cr. 1897 : οὐκέτ’ ἤξω πρὸϲ ϲέ <......., voc. et
πάλιν> οὐκέτ’ ἤξω Lob. 1925 : οὐκέτ’ ἤξω πρὸϲ ϲὲ πάλιν, νῦν πάλιν οὐκέτ’ ἤξω Bowra
1935 (iure obl. Voigt 1971) : οὐκέτ’ ἤξω πρὸϲ ϲέ, <νύμφα>, οὐκέτ’ ἤξω <πρὸϲ ϲέ>
Iati in Saffo
19
Gentili 1950 : alii alia (ceterum fieri potest ut metrum a v. 1 differat, cf. Gall. 1950, 107s.)
Uno iato, qui, è concordemente trasmesso dai codici del De elocutione già al v. 1
e brillantemente emendato da Blomfield (1813/1814), con l’introduzione di un
verbo (ἀ<π>οίχηι), che usato assolutamente ha però per lo più – specie in età
post-omerica – il valore di ‘andarsene’ = ‘morire’10. Poiché οἴχομαι si trova in
iato (con correptio) nella lingua omerica11, non si può escludere – mi pare – che
Saffo, con un espediente simile a quello analizzato sopra (e quindi con la trasformazione di uno iato ‘attenuato’ in uno iato ‘puro’), adottasse una ridislocazione
dello iato (senza correptio) in clausola, al fine di produrre un patetico effetto di
rallentamento, “mi lasci, … te ne vai”12.
Per il difficile v. 2, come si vede, non tutti gli innumerevoli tentativi di
restaurare il verso si sbarazzano anche dello iato, e – dato anche che con τῶι
αὐτῶι ϲχήματι il testimone pare fare riferimento all’ἀναδίπλωϲιϲ più che al
design metrico, come giustamente osservato da Gallavotti (1950, 107s.), e non vi
è dunque alcun obbligo di riprodurre al v. 2 lo stesso ‘schema’ del v. 113 – non
sono anzi pochi gli studiosi che l’hanno mantenuto nel testo. Naturalmente, in un
dittico amebeo, è più verosimile che anche la struttura metrica replicasse quella
del v. 114, e allora la soluzione meno cervellotica è forse ancora l’οὐκέτι <νύμφα>
προτί ϲ’ ἴξω, <προτί ϲ’> οὐκέτ’ ἴξω di Bergk (1882), con ἴξω o con l’ἤξω tràdito
(semplicemente psilotizzato)15. Ma dato che, anche in questo caso, οὐκέτι in iato
Cf. ThGL I (II) 1453, LSJ9 200, DGE 419, GI3 277. Inutile dire che tale accezione, qui,
apparirebbe troppo ‘caricata’. Varrà invece la pena di rilevare che l’autore del De elocutione non
pare particolarmente incline ad adottare la scriptio plena delle parole elise, né nelle citazioni
saffiche, né in quelle poetiche in genere (fa eccezione l’ἄνδρα εἶδον di ‘Cleobulin.’ fr. 1 W.2
[= Herinn. fr. °°10 N.]).
11
Con abbreviamento della vocale lunga o del dittongo precedente in Od. IV 634, XIII 216,
XIV 144, XV 355 (c'è invece sinecfonesi in Soph. Tr. 85). Un caso naturalmente differente, ma
ugualmente interessante (come possibile effetto di ‘contagio’ di uno iato frequentemente interlineare), è la frequenza del verbo a inizio del verso dopo vocale alla fine del verso precedente,
e.g. in Il. XIII 219s., XIV 310s., XV 498s., XIX 345s., XXII 222s., Od. I 241s., IV 392s., VIII
293s., XX 63s., XXIV 332s. (cf. anche Ar. Ach. 220s.).
12
Nel caso, occorrerà ovviamente adeguare dialettalmente il participio: λίποιϲα οἴχηι.
13
Così, per es., Gentili (1950, 118s.), che propone παρθενία, παρθενία, ποῖ με λίποιϲ’
οἴχηι; / οὐκέτ’ ἤξω πρὸϲ ϲέ, <νύμφα>, οὐκέτ’ ἤξω <πρὸϲ ϲέ> (ossia un dimetro coriambico
+ docmio con fine impura, seguito da un dimetro trocaico acataletto + itifallico, «una strofa di
quattro versi fra loro equivalenti, poiché dimetro coriambico, dimetro trocaico acat., docmio e
itifallico sono tutte forme diverse del dimetro», p. 119), accolto nel testo da Tedeschi (2015,
72). In linea teorica, non è neppure sicuro che i due versi fossero contigui.
14
Lo stesso metro, peraltro, degli epitalamici frr. 103,5 e 128.
15
Per ἴξω, cf. frr. 1,13, 5,2, 17,20, 62,10, 96,36, 105a,3, e inoltre Alc. frr. 207,8, 287b,6 V.,
mentre ἥκω non è mai attestato nei poeti di Lesbo (ma il futuro di ἵκω/ἱκνέομαι è generalmente
medio: cf. LSJ9 826s.); il verbo ἥκω è già epico, cf. LSJ9 767 (per il futuro la prima attestazione
è forse Theogn. 477); per οὐκέτι, cf. Alc. fr. 358,7 V.; per προτί, cf. Alc. fr. 58,17 V.
10
20
NERI
(ancorché davanti a (ϝ-)) è ben attestato in lingua poetica16, un’alternativa – che
non andrà ad appesantire troppo il già gravoso dossier di adinventiones, e forse
più rispettosa del voc. νύμφᾰ – potrebbe essere οὐκέτι ἤξω προτί ϲ’ <ὦ νύμφα
φίλα> οὐκέτ’ ἤξω17, con la reduplicatio (comunque preservata, sia pure in variatione, anche prosodica) che da anaforica si fa ‘a cornice’, e con la sequenza
iato-sinecfonesi-elisione a marcare l’accelerazione, sul piano metrico-ritmico, della
fuga di παρθενία (le cui ultime parole si fondono come in un’irreversibile eco
che si allontana), là dove lo iato al verso precedente, pure in clausola, marcava
il rallentamento del ritmo, nelle ultime sillabe della νύμφα, che non vorrebbe
essere lasciata. Ovvero, e forse meglio, come mi suggerisce M. Ercoles, con una
sistemazione per dimetri (2cho || cho ba = 2chop), παρθενία, παρθενία, / ποῖ με
λίποιϲα οἴχηι; / οὐκέτι ἤξω προτί ϲε / οὐκέτι ἤξω̆ <ll> (e.g. αὖτε, o meglio,
in Saffo, αὖθιϲ), con cui entrambi gli οὐκέτι ἤξω sarebbero mantenuti.
4. Il terzo iato, questa volta incertissimo, in un testo dove neppure i confini
del verso sono definibili con certezza, compare nel fr. 100:
ἀμφὶ δ’ ἄβροιϲ <
> λαϲίοιϲ εὖ ἐπύκαϲϲεν
|| inc. (lkkl <…> kkllkklu). Hiatus: fort. εὖ ἐπύκαϲϲεν (vd. app.)
|| Poll. VII 73 ἐν δὲ τῶι πέμπτωι τῶν Cαπφοῦϲ μελῶν ἔϲτιν εὑρεῖν· [1] ἀμφὶ λάβροιϲ
λαϲίοιϲ εὖ ἐπύκαϲϲεν· καὶ φαϲὶν εἶναι ταῦτα ϲινδόνια ἐπεϲτραμμένα. Θεόπομποϲ δ’
ἐν Ὀδυϲϲεῦϲιν ἐπὶ διακόνου ἔφη “λάϲιον ἐπιβεβλημένοϲ” (fr. 37 K.-A.). Primus rec.
Steph. 1560
|| δ’ ἄβροιϲ Seidler 1829 (quod rec. Dl. 1925) : λάβροιϲ test. : δ’ ἄβροιϲ’ Lob. 1925, qui
mox lac. stat. : δ’ <ἄρ’> ἄβρωϲ Sitzler 1927 | λαϲίοιϲ test. (quod rec. Dl. 1925) : λαϲίοιϲ’
Hi. 1890 : -οιϲ<ι> Fick 1891 : -οιϲ<ιν> Hoffm. 1893 | εὖ <ϝ’> ἐπύκαϲϲεν (vel εὖ
< … > ἐπ-) post Bgk. 1853 (εὖ <ϝ>ε πύκαϲϲε) dub. Lob. 1925, fort. recte
Una scena di vestizione è l’unico elemento desumibile da questo frammento,
testimoniato da Polluce (VII 73s.), intento a elencare vestimenta lintea. Il carattere
16
Cf. e.g. Il. IV 539, XVII 603, Od. V 153, Hes. Op. 572, Pind. P. 4,243, Sophr. fr. 83
K.-A., e forse Soph. Ai. 416 (dove οὐκέτι μ’, οὐκέτ’ ἀμπνοάς, con il pronome personale non
necessario per il senso e corretto in γ’ da Hermann [1817], potrebbe essere stato inserito proprio
per evitare lo iato).
17
Ben collaudato stilema omerico è νύμφᾰ φίλη (per cui cf. Il. III 130, pure con vocale
subito dopo, e Od. IV 743), a conferma dell’allure epicheggiante del frammento (epitalamico?).
Per l’usuale associazione sost. in -ᾰ + agg. in -ᾱ al voc., oltre al tanto famoso, quanto frainteso
(a partire dalla grafia) ἀθανάτἈφρόδιτα (per cui vd. in part. Burzacchini 1977 [2005], 126), vd.
Hamm 1957, 147. Quanto alla sinecfonesi, non ha evidentemente bisogno di giustificazioni in
Saffo: nel solo fr. 1, si veda l’ὠράνω αἴθε-/ροϲ dei vv. 11s.
21
Iati in Saffo
metricamente ‘misto’ del quinto libro dell’edizione alessandrina di Saffo non permette
speculazioni sul metro: la sequenza ha un esordio dattilico (se si assegna valenza
monoconsonantica al gruppo βρ) ovvero trocaico (se βρ ‘fa posizione’), mentre il
finale si lascia ricondurre al ritmo dell’adonio, ma non è possibile riportarlο a un
esametro se non a prezzo di pesanti integrazioni, là dove il senso pare già completo,
tanto più se λαϲίοιϲ (o piuttosto λαϲίοιϲ’) è qui sostantivo, come pare presupporre il testimone18, e come pare confermare il passo degli Odissei di Teopompo
Comico citato a ulteriore documentazione (e a tutt’oggi unica attestazione di τὸ
λάϲιον sost.): tra ἀμφὶ δ’ ἄβροιϲ19, o ἀμφὶ δ’, e λαϲίοιϲ (ovvero ἀ- δ’ ἄβροιϲ’
e λαϲίοιϲ’) 20, dunque, sarà caduto tutt’al più un elemento del tutto accessorio
della frase21. Nella parte finale della citazione (chissà se anche del verso), né εὖ
< > ἐπ-, né εὖ <ϝ’> ἐπύκαϲϲεν (vd. app.) paiono motivati da esigenze diverse
dall’eliminazione di uno iato anch’esso di robusta e duratura tradizione poetica,
sia come iato apparente davanti a (ϝ-), sia come iato proprio davanti a vocale22.
5. Il quarto iato, immancabilmente emendato, compare nell’enigmatico fr. 134:
⊗
ζὰ ἐλεξάμαν ὄναρ Κυπρογενήαι
|| 3io anacl || (kklklkllkklu U). Hiatus: fort. ζὰ ἐλεξάμαν (vd. app.)
|| Heph. 12,4 (περὶ τοῦ ἀπ’ ἐλάϲϲονοϲ ἰωνικοῦ) τῶν δὲ τριμέτρων τὸ μὲν ἀκατάληκτον
[1] παρὰ τῆι Cαπφοῖ (Ι); (προϲελεξάμαν) schol. A ad 12 (p. 148,25s. Consbr.) (ΙΙ).
Primus rec. Steph. 1560
18
Che, intento a censire tessuti, avrebbe verosimilmente citato il nome della stoffa che
occorrerebbe supporre se anche λάϲιοϲ fosse agg., come sin da Il. I 189.
19
Con la congettura di Seidler (1829, 192), che sostituisce l’ἀ- λάβροιϲ del testimone
con un epiteto squisitamente saffico: cf. frr. 2,14, 25,4, 44,7, 58d,3, 128, 140a,1 e forse 84,5,
103Β,2, nonché Ferrari 2007, 74 e 2011.
20
Come preferiva scrivere già Lobel (1925), riportando l’intera iunctura al dat., mentre
Diehl (1925) preferiva conservare l’acc., sulla base di costrutti come ἀμφιέννυμί τινά τι.
21
Per l’avv., cf. frr. 16A,11, 27,8, 60,9, e forse 19,7, 48,1; per il pronome, cf. frr. 5,3,
165; per il verbo, ben attestato già nell’epos (cf. e.g. Il. XVII 551 ὣϲ ἣ πορφυρέηι νεφέληι
πυκάϲαϲα ἓ αὐτήν, Od. XI 320 ἀνθῆϲαι πυκάϲαι τε γένυϲ εὐανθέϊ λάχνηι, Od. XXII 488
μηδ᾽ οὕτω ῥάκεϲιν πεπυκαϲμένοϲ εὐρέαϲ ὤμουϲ, Hes. Op. 541s. ἀμφὶ δὲ ποϲϲὶ πέδιλα βοὸϲ
ἶφι κταμένοιο / ἄρμενα δήϲαϲθαι, πίλοιϲ ἔντοϲθε πυκάϲϲαϲ), cf. fr. 166,2.
22
Per εὖ + (ϝ)V, cf. Il. I 385, II 720, 823, V 11, 549, 650, VII 237, IX 345, XI 788, XII
100, XIII 665, XV 412, 527, Od. IV 818, V 250, IX 215, XIII 314, XV 331, XIX 93, ΧΧΙΙΙ
175, H. Hom. Ap. 467, H. Hom. Ven. 116, Hes. Op. 295, Sem. fr. 7,80 W.2, Theogn. 375, Ibyc.
PMGF S151,24, Pind. N. 4,43, I. 3/4,59. Per εὖ + V, cf. Il. II 253, VII 339, 438, X 72, 438,
XIV 162, XVI 191, XXIII 743, XXIV 269, Od. V 236, ΧΙΧ 460, ΧΧΙΙ 128, ΧΧΙΙΙ 42, Sol. fr.
13,67 W.2, Theogn. 105, 368, 955, 1184b, 1263, 1317. Qui, come altrove, cito anche gli esempi
epici di iato davanti a (ϝ-) alla luce di quanto osservato per il fr. 31,9.
22
NERI
|| 1 ζὰ <δ’> ἐλεξάμαν Ahr. 1842 (dub. Voigt 1971, 133: «at carm. init. vid. esse»; at de δέ
inceptivo quod dicitur, cf. Degani 1977, 23s.), fort. recte : ζαελεξάμαν I(A) (quod rec. Bentl.
ap. Gaisf. 1810, recte interpr. est Neue 1827) : προϲελεξάμαν I(IH), II : ζά <τ’> ἐλ Bgk.
1882 (τ’ = τε), Maas 1929 (τ’ = τοι) | Κυπρογενήαι Bentl. ap. Gaisf. 1810 : κυπρογενεία
I(IH) : -γέννα I(A) : Κυπρογενηα (sine accentu) Lob. 1925 : Κυπρογένηα Dl. 1935
Un verso di sapore narrativo, “dialogai in sogno con Cipride”, documentato da
Efestione (12,4, cf. schol. A ad l.) come esempio di trimetro ionico anaclastico
(kklklkllkklu), costituiva con ogni probabilità l’incipit di un componimento
in cui si cantava la manifestazione del divino (in Saffo affidata, di prammatica, a
epifanie e/o sogni)23, qui (come pure nel fr. 1) un vero e proprio dialogo con la dea,
a conferma del rapporto confidenziale realizzato, nel culto, tra la divinità e la sua
adepta24. L’alta probabilità che si tratti di un incipit non ha impedito agli studiosi, a
partire da Ahrens (1842, 393), di inserire δ’ dopo ζά, il che è certo possibile e forse
persino probabile25: ma qualunque cosa si pensi del disputatissimo δέ ‘incettivo’26,
bisognerà riconoscere che qui l’unica ragione per un tale inserimento è proprio la
negazione della possibilità di uno iato, anche in questo caso non sconosciuto – sia
pure in condizioni diverse (ma si ricordi sempre il caso del fr. 31,9) – alla lingua
epica27. Il caso, l’unico caso incipitario e in contesto ionico, resta comunque quanto
mai incerto.
6. Anche una volta che si sia deciso di intervenire congetturalmente in tutti
questi casi, tuttavia, restano ancora almeno i χρύϲειοι ἐρέβινθοι del fr. 143
23
Cf. frr. 1, 2,13-16, 65, 96,26-29, 159, ma anche Alcm. PMGF 47 ἦρα τὸν Φοῖβον
ὄνειρον εἶδον.
24
Per ζάλεξαι, cf. fr. 27,6; per ζά, cf. 63,4 (un’apostrofe al sogno) e 66a,1 e forse 58c,7
(cf. Burzacchini 2007, 98 e 100 e Lundon 2007); per ζα-, cf. frr. 29(20),6, 74c,3, 96,15, 181.
Per la tematica del sogno, cf. fr. 63. Per la Κυπρογένηα, cf. fr. 22,16.
25
Nel fr. 27,6 c’è ζάλεξαι, in Alc. fr, 129,21 διελέξατο, senza stacco tra preverbio e
verbo. Decisamente meno probabili le alternative suggerite da Bergk (1882) e da Maas (1929),
registrate in apparato. Attraente, ma tutt’altro che sicuro, anche il ritocco (dat. per voc.) di
R. Bentley (ap. Gaisford 1810, 69). Entrambi gli interventi sono accolti da Tedeschi (2015, 76),
mentre più prudenti (ma non meno pregiudiziali) sono le scelte di Lobel (1925, 54) e LobelPage (1968 [1955], 93), ζὰ … ἐλεξάμαν ὄναρ Κυπρογενηα, e della Voigt (1971, 133), ζὰ
<.> ἐλεξάμαν ὄναρ Κυπρογενηα: ma il poco che resta depone a favore di un’interpretazione
di Cipride come oggetto indiretto del διαλέγεϲθαι, di cui ὄναρ (come nel passo di Alcmane)
indicherà il contesto e non l’oggetto diretto. Quanto alla variante προϲελεξάμαν, può essere
nata da una glossa esplicativa (erronea) di ζὰ ἐλεξάμαν.
26
L’esempio più evidente (ma discusso, per la probabile collocazione simposiale e potenzialmente ‘catenaria’ del componimento) è Archil. fr. 1 W.2: per l’essenziale, vd. Degani 1977, 23s.
27
Per διά in iato davanti a (ϝ-), cf. Il. XIV 495, XXIV 320, Od. X 118. Iati espressivi di
questo tipo spesseggiano nell’‘afroditico’ Il. XIV. Non escluderei che ζὰ ἐλεξάμαν mirasse a
riprodurre lo iato di δια- naturalmente presente in tutte le forme del verbo: si vedano l’iliadico
διελέξατο (nel formulare ἀλλὰ τί ἤ μοι ταῦτα φίλοϲ διελέξατο θυμόϲ, 5x), Archil. fr. 171,2
W.2, Alc. fr. 129,21 V., e soprattutto, a valle, Theocr. 30,11 ἔμ’ αὔτωι διελεξάμαν.
23
Iati in Saffo
χρύϲειοι ἐρέβινθοι ἐπ’ ἀϊόνων ἐφύοντο
|| hexameter dactylicus (Aeolicus) (6dap ^ = pher 3d) (vd. fr. 105a,1). Hiatus: χρύϲειοι
ἐρέβινθοι ἐπ’ (vd. app.); ‘correptio epica’ quae dicitur: ἐρέβινθοῐ ἐπ’
|| Ath. (Epit.) ΙΙ 54f (ἐρέβινθοι …) Cαπφώ· [1] (I), unde Eust. Il. 948,44-46 ἔτι ἐρεβίνθων
μνεία καὶ παρὰ τῆι Cαπφοῖ ἐν τῶι [1]. λέγει δέ, φαϲί, χρυϲέουϲ ἐκείνη ἐρεβίνθουϲ
τοὺϲ κατὰ πύξον ὠχρούϲ (II). Primus rec. Urs. 1568
|| χρύϲειοι test : χρ <δ’> dub. Herm. 1831 (rec. sed obl. in app. Voigt 1971, 138)
– dove, in un verso peraltro gravido di incontri vocalici, se il secondo iato (-θοι
ἐπ’) è giustificato dalla correptio, lo stesso non si può dire per il primo (-οι ἐρ-),
al solito ‘normalizzato’ da un insolitamente dubbioso Hermann (1831, 114), flebilmente rivalutato dalla Voigt (1971, 138: «fort. praeter necessit.»), e in realtà
sostenuto da un precedente iliadico di iato senza correptio (ma con possibile ἤ(ϝ’))
davanti all’unica occorrenza epica di ἐρέβινθοι (XIII 589 θρῴσκωσιν κύαμοι
μελανόχροες ἢ ἐρέβινθοι), già richiamato da Diehl (1925) – e l’ἄνευ ἀρέταϲ
del fr. 148,1
ὀ πλοῦτοϲ ἄνευ ἀρέταϲ οὐκ ἀϲίνηϲ πάροικοϲ
(ἀ δ’ ἀμφοτέρων κρᾶϲιϲ †εὐδαιμονίαϲ ἔχει τὸ ἄκρον†)
|| inc. (v. 1 xlkklkkllkklklu, v. 2 llkkllkllkklklklu). Hiatus: v. 1 ἄνευ ἀρέταϲ
|| schol. Pind. O. 2,96b,f ἀρετὴν μὲν γάρ τιϲ ἔχων, ἀχόρηγοϲ δὲ ὢν διὰ τὸ πένηϲ εἶναι,
πολλῶν ϲτέρεται τῶν εὐφραινόντων· πλούϲιοϲ δὲ ὢν ἀρετὴν μὴ ἔχων οὐ χρῆται τοῖϲ
εὐφραίνουϲι. καὶ <ἡ Cαπφώ·> (suppl. Dr. 1903) “πλοῦτοϲ ἄνευ ἀρετῆϲ <οὐκ ἀϲινὴϲ
πάροικοϲ”. ὁ πλοῦτόϲ γε μὴν ταῖϲ ἀρεταῖϲ> (suppl. Dr. 1903) κεκοϲμημένοϲ καὶ
τῶν ἐξ αὐτοῦ εὐφραινόντων καὶ τῶν ἐκ τῆϲ ἀρετῆϲ κοϲμούντων δίδωϲι καιρὸν καὶ
ἡδονήν … ὁ δὲ πλοῦτοϲ οὐ μόνοϲ ὢν καθ’ ἑαυτόν, ἀλλὰ καὶ ἀρετῆι κεκοϲμημένοϲ,
καιρίωϲ τῶν τε ἑαυτοῦ ἀγαθῶν καὶ τῆϲ ἀρετῆϲ ἀπολαύει … ὡϲ καὶ Καλλίμαχοϲ· (Iov.
95s.) καὶ ἡ Cαπφώ· [1s.]. τοῦτο προϲεῖναι τῶι Θήρωνι μαρτυρεῖ (scil. ὁ Πίνδαροϲ)
(I), P. 5,1a-b τὸν μετὰ ἀρετῆϲ πλοῦτόν φηϲιν εὐρυϲθενῆ εἶναι· τὸ γὰρ ἕτερον ἄνευ
τοῦ ἑτέρου οὐκ ἀϲφαλέϲ, ὡϲ καὶ Καλλίμαχοϲ· (Iov. 95s.) καὶ ἡ Cαπφώ· [1] (II), schol.
et gloss. O. 2,96-99 καὶ Cαπφώ· [1s.]. τοῦτο–μαρτυρεῖ (III), schol. ψ Call. Iov. 95 καὶ
Cαπφώ· [1s.] (IV), [Plut.] Nob. 5 (VII 212 Bernardakis) ἀρέϲκει δὲ καὶ τὸ Cαπφοῦϲ
τούτοιϲ προϲάπτειν [1s.] (V), Lat. transl. Plut. (VII 213 Bernardakis) (VI). V. 2, qui deest
in II, Sapph. abiudicavit Ahr. 1842, 400 (cf. Nauck 1849, Pf. 1926, 317), fort. recte; de
temeraria conexione cum fr. 58d, vd. Nicosia 1976, 118s. Primi recc. Steph. 1560 (v. 1),
Urs. 1568 (vv. 1s.)
|| 1 ὀ Bgk. 1867 : ὁ testt. pll. : om. I | ἄνευ testt., crucc. concl. Lob. 1925 : ἄ- <τᾶϲ>
dub. Blomf. 1813/1814, quod rec. Neue 1827 (obl. Herm. 1831) : ἄνευ<θ’> Ahr. 1842 :
24
NERI
ἄνευθ’ <ἔων> Bgk. 1867 : ἄνευ ϲεῦ γ’ Bgk. 1882 : <δ’> ἄνευ Edm. | ἀρέταϲ Ahr. 1839 :
ἀρετᾶϲ II, V : τῆϲ I, III, IV : ἀρέτα ’ϲτ’ Bgk. 1882 | οὐκ–πάροικοϲ om. I(b) : opes …
domum male incolunt VI | οὐκ testt. : οὐκ <ἐϲτ’> Ahr. 1839 | ἀϲίνηϲ Ahr. 1839 : ἀϲινὴϲ
testt. pll. : ἀγαθὸϲ I(f cod. C), IV | πάροικοϲ testt. pll. : ϲύνοικοϲ I(f cod. C), III, IV :
παράοικοϲ Ahr. 1839 || 2 omm. I(b), II, dell. Ahr. 1842, Bgk. 1853, 1867, 1882, Hartung
1857, Hi. 1890, Hoffm. 1893, H.-C. 1897, Dl. 1925, Pf. 1926, Treu 1954 | ἀ Lob. 1925 :
ἁ V : ἡ I, ΙΙΙ, IV : del. Ahr. 1839 | δ’ ἀμφοτέρων e III Volger 1810 : δὲ ἐξ ἀ- I(f) : δ’ ἐξ
ἀ- IV, V : δὲ (ceteris omissis) Blomf. 1813/1814 : ἀ- (δ’ post κρᾶϲιϲ translato) Ahr. 1839 :
δ’ ἀμφοτέρων <ἀγάθων> Kal. ap. Dl. 1935 | κρᾶϲιϲ testt. : κράϲιϲ Edm. | εὐδαιμονίαϲ
ἔχει τὸ ἄκρον I(f), crucc. concl. Lob. 1925 : om. IV : εὐ- ἔ- ἄ- V : sin has commisceas, felicitas hinc summa belle nascitur VI : εὐ- ἔ- τἄκρον Urs. 1568, Schneider 1802 :
ἐϋδαιμονίαϲ τὸ ἄκρον (ἔχει deleto) Welcker 1828 : ἔχη εὐ- τὸ ἄκρον Giese 1832 : ἔχει
εὐ- τό γ’ ἄκρον Bgk. 1843 : ἔ- εὐ- ἄωτον Bowra 1933/1934 : δαιμονίαν ἄκραν ἔχει
Edm. | Vv. 1s. funditus redigere varie complures temptaverunt: <ὁ> πλοῦτοϲ ἄνευ <τᾶϲ>
ἀρέταϲ οὐκ ἀϲινὴϲ πάροικοϲ / εὐδαιμονίαϲ δ’ ἀμφοτέρων κρᾶϲιϲ ἔχηϲι τὤκρον (vel
τἄκρον) Neue 1827 : ἄνευ δ’ ἀρετᾶϲ οὐκ ἀϲινὴϲ πάροικοϲ· / ἁ δ’ ἀμφοτέρων κρᾶϲιϲ
ἔχηϲι τἄκρον / εὐδαιμονίαϲ Herm. 1831 : ὁ μὲν πλοῦτοϲ ἄνευ τᾶϲ ἀρέταϲ οὐκ ἀϲινὴϲ
πάροικοϲ. / ἁ δ’ ἐξ ἀμφοτέρων κρᾶϲιϲ ἔχη εὐδαιμονίαϲ τὸ ἄκρον Giese 1832 (quod
rec. Schnw. 1839) : ὁ μὲν πλοῦτοϲ ἄνευ τᾶϲ ἀρέταϲ οὐκ ἀϲινὴϲ πάροικοϲ. / ἁ δ’ ἐξ
ἀμφοτέρων ϲύγκριϲιϲ εὐδαιμονίαϲ ἔχει ἄκρον Bgk. 1834
pur esso già attestato nella lingua epica28, e che finora ha resistito a svariati tentativi
di correzione (vd. app.). Per non parlare degli esempi alcaici (cf. Hamm 1957, 38
e Bettarini 1997 20-22).
7. «That hiatus could be an effective rhetorical device was known and appreciated in Antiquity», osservavano, con opportuna esemplificazione, Ford-Kopff
(1976, 55), invitando nel contempo gli «scholars to disturb on occasion the quiet
of their study with the sound of an ancient poem read out loud, as the ancients
did» (p. 56). Il fatto che in diversi contesti frammentari – come quello del fr. 9 e
degli altri frammenti saffici qui passati in rassegna – l’esatta funzione di questo
device sfugga non autorizza, credo, a liberarsene sistematicamente29. Meno che
mai in nome di un idolum scholae.
Dip. di Filologia Classica e Italianistica
Via Zamboni 32, I – 40126 Bologna
Camillo Neri
[email protected]
Per ἄνευ + V, cf. Il. XV 213. Per ἄνευ + (ϝ)V, cf. Il. XVII 407, Hes. fr. 204,80 M.-W.
(= 155,80 Most), Pind. P. 2,42.
29
Osservazioni analoghe, per iato e brevis in longo nei docmi dei cori tragici, in Medda
2000 (per quanto il docmio, per pathos e impiego peculiarmente drammatico, abbia notoriamente
uno ‘statuto speciale’ nella versificazione greca).
28
Iati in Saffo
25
Abbreviazioni bibliografiche30
Ahrens (Ahr.) 1839, 1843 = H.L. A., Alcaei Sapphusque fragmenta, in De Graecae linguae
dialectis, I-II, Gottingae 1839 (I), 1843 (II).
Ahrens (Ahr.) 1842 = H.L. A., Coniecturen zu Alcäus und Sappho, «RhM» s. 3 I (1842)
382-401.
Bastianini-Casanova 2007 = G. B.-A. C. (edd.), I papiri di Saffo e Alceo. «Atti del convegno
internazionale di studi. Firenze, 8-9 giugno 2006», Firenze 2007.
Beattie 1956 = A.J. B., Sappho Fr. 31, «Mnemosyne» s. 4 IX (1956) 103-111.
Benelli (Ben.) 2017 = L. B., Sapphostudien zu ausgewählten Fragmenten, I-II, Paderborn
2017.
Bergk (Bgk.) 1834 = T. B., Anacreontis carminum reliquias ed., Lipsiae 1834.
Bergk (Bgk.) 1843, 1853, 1866, 1867, 1882 = T. B., Poetae lyrici Graeci, Lipsiae 18431,
18532, (1866-)18673, 18824 (rist. con l’aggiunta di un indice compilato da I. Rubenbauer nel 1914).
Bettarini 1997 = L. B., Alceo fr. 393 Voigt: il ‘maiale’ nei proverbi greci, «RCCM» XXXIX
(1997) 19-38.
Bierl-Lardinois (B.-L.) 2016 = A. B.-A.H. L. (edd.), The Newest Sappho (P. Obbink and
P. GC inv. 105, Frs. 1-4), Leiden 2016.
Blomfield (Blomf.) 1813/1814 = J. B., Sapphonis Alcaei fragmenta, «Museum Criticum» I
(1813/1814) 1-31, 421-444 (= T. Gaisford, Poetae minores Graeci, III, Lipsiae 1823,
289-335).
Bowra 1933/1934 = C.M. B., Varia lyrica, «Mnemosyne» s. 3 I (1933/1934) 175-180.
Bowra 1935 = C.M. B., Zu Alkaios und Sappho, «Hermes» LXX (1935) 238-241.
Burris-Fish-Obbink (BFO) 2014 = S. B.-J. F.-D. O., New fragments of book 1 of Sappho,
«ZPE» CLXXXIX (2014) 1-28.
Burzacchini 1977 = G. B., in Degani-Burzacchini 1977 [q.v.].
Burzacchini 2007 = G. B., Saffo Frr. 1, 2, 58 V. Tra documentazione papiracea e tradizione
indiretta, in Bastianini-Casanova 2007 [q.v.], 83-114.
Cobet 1873 = C.G. C., Miscellanea philologica et critica VI, «Mnemosyne» s. 2 I (1873)
354-386 (= Id., Collectanea critica, Lugduni Batavorum 1878, 482-496).
Crusius (Cr.) 1897 = O. C., in Hiller-Crusius 1897 [q.v.].
Dale 2015 = A. D., The Green Papyrus of Sappho (P.GC inv. 105) and the order of poems
in the Alexandrian edition, «ZPE» CXCVI (2015) 17-30.
D’Alessio (D’Al.) 2019 = G. D’A., Textual notes on the ‘newest’ Sappho (On Sappho,
fragments 5, 9, 17 V., and the Kypris Poem), «ZPE» CCXI (2019) 18-31.
Degani 1977 = E. D., in Degani-Burzacchini 1977 [q.v.].
Degani-Burzacchini 1977 = E. D.-G. B., Lirici greci, Firenze 19771 (Bologna 20052).
Di Benedetto (Di B.) 1987 = vd. Ferrari 1987.
Diehl (Dl.) 1925, 1935, 1942 = E. D., Anthologia lyrica, I/4, Lipsiae 19352 (19251) + Supplementum, Lipsiae 1942.
Edmonds = J.M. E., Lyra Graeca, I-III, London-Cambridge, Mass. 19221 (19282) (I), 19241
(19312) (II), 19271 (19402) (III).
30
Le sigle bibliografiche sono a un dipresso quelle impiegate nella succitata edizione. Tra
parentesi, le abbreviazioni usate negli apparati.
26
NERI
Ferrari (Ferr.) 1987 = V. Di Benedetto-F. F., Saffo. Poesie, Milano 1987 (200412).
Ferrari (Ferr.) 2007 = F. F., Una mitra per Kleis. Saffo e il suo pubblico, Pisa 2007 (trad.
ingl. Sappho’s Gift. The Poet and Her Community, Ann Arbor 2010).
Ferrari (Ferr.) 2011 = F. F., Da Kato Simi a Mitilene. Ancora sull’ode dell’ostrakon fiorentino (Sapph. fr. 2 V.), «PP» LXVI (2011) 442-463.
Ferrari (Ferr.) 2014 = F. F., Saffo e i suoi fratelli e altri brani del primo libro, «ZPE»
CXCII (2014) 1-19.
Fick 1891 = A. F., Die Sprachform der lesbischen Lyrik, «Bezzenbergers Beiträge» XVII
(1891) 177-213.
Ford-Kopff 1976 = B.B. F.-E.C. K., Sappho fr. 31.9: a defense of the hiatus, «Glotta»
LIV (1976) 52-56.
Friedländer 1929 = P. F., Retractationes, «Hermes» LXIV (1929) 376-384.
Gaisford (Gaisf.) 1810 = T. G., Ἑφαιστίωνος Ἐγχειρίδιον Περὶ μέτρων καὶ ποιημάτων.
Hephaestionis Alexandrini Enchiridion, Oxonii 18101 (18552).
Gallavotti (Gall.) 1942 = C. G., Studi sulla lirica eolica. 2. Le citazioni saffiche di Apollonio Discolo, «RFIC» n.s. XX (1942) 103-113.
Gallavotti (Gall.) 1947, 1948, 1956, 1957, 1962 = C. G., Saffo e Alceo, I-II, Napoli 19623
(19562, 19471) (I), 19572 (19481) (II).
Gallavotti (Gall.) 1950 = C. G., Studi sulla lirica greca, «RFIC» n.s. XXVIII (1950) 97-116.
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Abstract
An initial survey of occurrences of hiatus in Sappho suggests that editors should hesitate to
remove them all by conjecture.