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LE VISIONI DI GIOACCHINO DA FIORE

Gioacchino "di spirito profetico dotato" che Dante colloca in Paradiso, tra i sapienti del cielo del sole (canto XII), vissuto tra il 1135 e il 1202 circa, è stato considerato il più grande scrittore apocalittico dopo l'evangelista Giovanni, mistico e pensatore fra i più originali e fecondi del nostro Medio Evo, tenuto in grande considerazione dai papi, che lo considerarono prima un eretico e poi un santo, e dai monarchi (fu consigliere di Riccardo Cuor di Leone e dell'imperatrice Costanza). Abate cistercense, ma in contrasto con l'ordine, lo abbandonò verso il 1190 fondando un suo ordine monastico, quello dei florenses, che accentuava il rigore della regola benedettina. A lui furono attribuite numerose profezie apocrife che concorsero a creare la leggenda del "veggente" calabrese. Tutta la riflessione di Gioacchino sulla storia è innervata dal tema trinitario 1 . La sua teologia trinitaria è fondata nell'esperienza orante e mistica, ancorata alla vita liturgica e tutta orientata a valorizzare il registro del simbolico del vissuto cristiano, a combinare l'esercizio argomentante della ratio con la creatività (non arbitraria, ma anche logica) della immaginazione figurale: potenti intuizioni visivi orientano lo sviluppo del suo pensiero teologico. Il contributo principale di Gioacchino fu la sua peculiare visione della storia che 1 La sua peculiare esegesi e interpretazione del processo storico non si darebbe per nulla senza il puntuale riferimento ermeneutico alla dottrina sulla Trinità. Questa investe l'intera sua produzione letteraria, dall'inizio alla fine. Le tre opere principali ne sono un'icastica testimonianza. In sé costituiscono come una trilogia dedicata alle tre persone divine: la Concordia Novi ac Veteris Testamenti, in cinque libri, formula la teoria esegetica e si pone sotto l'emblema del Padre; l'Expositio in Apocalypsim, in otto libri (più il Liber introductorius che riprende, variandolo in alcuni punti lo scritto giovanile Enchiridion super Apocalypsim), svolge il grande disegno scatologico e può essere rapportata al Figlio; lo Psalterium decem chordarum, in tre libri, organizza la visione trinitaria dell'Abate ed è espressamente dedicata allo Spirito.

LE VISIONI DI GIOACCHINO DA FIORE HANNO TRAVERSATO I TEMPI, CONTINUANDO A INFLUENZARE LARGA PARTE DEL CATTOLICESIMO D´OGGI. di Salvatore Barresi Gioacchino “di spirito profetico dotato” che Dante colloca in Paradiso, tra i sapienti del cielo del sole (canto XII), vissuto tra il 1135 e il 1202 circa, è stato considerato il più grande scrittore apocalittico dopo l’evangelista Giovanni, mistico e pensatore fra i più originali e fecondi del nostro Medio Evo, tenuto in grande considerazione dai papi, che lo considerarono prima un eretico e poi un santo, e dai monarchi (fu consigliere di Riccardo Cuor di Leone e dell’imperatrice Costanza). Abate cistercense, ma in contrasto con l’ordine, lo abbandonò verso il 1190 fondando un suo ordine monastico, quello dei florenses, che accentuava il rigore della regola benedettina. A lui furono attribuite numerose profezie apocrife che concorsero a creare la leggenda del “veggente” calabrese. Tutta la riflessione di Gioacchino sulla storia è innervata dal tema trinitario La sua peculiare esegesi e interpretazione del processo storico non si darebbe per nulla senza il puntuale riferimento ermeneutico alla dottrina sulla Trinità. Questa investe l’intera sua produzione letteraria, dall’inizio alla fine. Le tre opere principali ne sono un’icastica testimonianza. In sé costituiscono come una trilogia dedicata alle tre persone divine: la Concordia Novi ac Veteris Testamenti, in cinque libri, formula la teoria esegetica e si pone sotto l’emblema del Padre; l’Expositio in Apocalypsim, in otto libri (più il Liber introductorius che riprende, variandolo in alcuni punti lo scritto giovanile Enchiridion super Apocalypsim), svolge il grande disegno scatologico e può essere rapportata al Figlio; lo Psalterium decem chordarum, in tre libri, organizza la visione trinitaria dell’Abate ed è espressamente dedicata allo Spirito.. La sua teologia trinitaria è fondata nell’esperienza orante e mistica, ancorata alla vita liturgica e tutta orientata a valorizzare il registro del simbolico del vissuto cristiano, a combinare l’esercizio argomentante della ratio con la creatività (non arbitraria, ma anche logica) della immaginazione figurale: potenti intuizioni visivi orientano lo sviluppo del suo pensiero teologico. Il contributo principale di Gioacchino fu la sua peculiare visione della storia che si divide in tre grandi periodi: il primo, chiamato del Padre, corrisponderebbe all’era precristiana, il secondo, detto del Figlio e dominato dagli insegnamenti del Nuovo Testamento, giungerebbe fino al 1260, il terzo, quello dello Spirito Santo, ha inizio con il 1260, ed è il periodo in cui si realizzerà la completa purificazione e trasformazione della Chiesa. Così la sua ricerca è, in atto, una presa di posizione chiara rispetto al dibattito che in quell’epoca di “rinascimento razionale” opponeva i teologi ai dialettici: mentre la razionalità speculativa traballa di fronte al mistero inaccessibile della vita immanente di Dio e della sua autocomunicazione storica, la sua “conoscenza vera” si dischiude, con docilità, alle possibilità evocanti del simbolismo figurale del salterio. Tutta la sua teologia è simbolico-figurale, subordina e funzionalizza il logos discorsivo alla contemplatio adorante, pensa correttamente anzitutto perché sa guardare; perlomeno mantiene in un circolo virtuoso speculazione e sguardo estetico: ragiona mentre raffigura e descrive figure mentre elabora concettualmente. Veniamo ad oggi. La cultura moderna è, secondo de Lubac, profondamente influenzata, al di là della sua stessa consapevolezza dalla matrice spirituale cristiana. L'idea di una "nuova età", in cui finalmente si sarebbe attuata una perfezione di conoscenza, di giustizia e di felicità esemplifica questo debito non confessato del moderno verso il Cristianesimo. Ma qual è l’attualità del suo messaggio? In Gioacchino da Fiore si riflette la drammatica crisi della società tardomedioevale del secolo XII° con le lotte tra Papato e Impero , tra Impero e Comuni, il diffondersi dell'eresia, il pericolo della mondanizzazione della Chiesa, lo spirito armato delle crociate, la corruzione a tutti i livelli. Confluiscono in lui anche le aspettative della fine dei tempi, mai venute meno attraverso il medioevo, legate all'essenza stessa della tradizione religiosa cristiana, condizionata nella vita e nel costume, da profezie ed annunci sulla progressiva decadenza dell'umanità. Quindi l'attesa di una nuova età con un profondo rinnovamento della società ad opera dello Spirito Santo, nasce in Gioacchino da Fiore da un profondo dramma spirituale, originato dal contrasto tra il suo altissimo ideale di perfezione individuale e collettiva e l'opposta realtà degli eventi. Gioacchino distolse lo sguardo dallo spettacolo desolante del tempo e si ritrasse nella solitudine della Sila, sia per un rifiuto del mondo, sia anche per l'esigenza di temprare la sua vocazione mistica di interprete delle occulte e misteriose leggi che regolano il corso della storia, per poter formulare e rivolgere al mondo il suo messaggio di rinnovamento, di amore, di pace, ergendosi a mentore più che a profeta. Per lui la Trinità di Dio si manifesta come potenza che si espande per vie misteriose nel mondo, e ne determina le sorti stesse in maniera provvidenziale. In questa prospettiva egli divide la storia della società in tre momenti: il momento in cui si manifesta l'azione del Padre, prima della venuta di Cristo; il secondo momento in cui si manifesta il Regno di Cristo sulla terra; Terzo momento, l'opera dello Spirito Santo con il raggiungimento dei fini supremi della società cristiana. Con il suo originale metodo esegetico ed interpretativo, capace di cogliere tra l'Antico ed il Nuovo Testamento, il mirabile concordismo numerico e parallelo, rivalutava l'anamnesi del passato, chiave di volta per penetrare i misteri del futuro e sconfiggere il male. Il cambiamento auspicato non indica un rigetto delle forme istituzionali (come alcuni erroneamente hanno affermato), ma avverte tutta la concretezza della quotidianità e mostra di conoscere la dinamica della vita sociale, delle sue leggi, che regolano necessariamente il lavoro e la preghiera. Nell'opera "De vita sancti Benedicti" , dimostra grande ammirazione per la vita e la Regola di San Benedetto da Norcia, fondatore dell''Ordine Benedettino e iniziatore della vita monastica in occidente (480-547 d.C.). Ora et Labora era il motto della Regola benedettina che regolava la giornata di chi si ritirava dal mondo. In una società rinnovata, dovrà cessare il triste spettacolo delle guerre; e le armi dovranno mutarsi in falci e aratri, strumenti di lavoro e benessere. Pure la crociata armata è fuori dal senso cristiano della storia. I Cristiani adotteranno nei confronti dei popoli islamici lo spirito del dialogo e della predicazione pacifica. Occorre andare verso una nuova Terra Promessa per edificare la casa comune degli uomini. Gioacchino è un profeta, non nel senso di uomo dotato del dono di conoscere il futuro, bensì proprio in quello biblico, cioè nel senso morale di "mentore", di uomo ispirato da Dio per ammaestrare il popolo e per riportarlo alla obbedienza della volontà divina, per mezzo dell’interpretazione dei segni della volontà e dell'ira di Dio manifestati nelle vicende della storia umana. Le profezie di Gioacchino furono in realtà deduzione dai principi e dagli studi minuziosi di raffronto, tra i due Testamenti. Non voleva prevedere il futuro, ma far capire il presente ed il suo urgere in una direzione della storia. Non annuncia infatti l'imminenza della fine dei tempi, quanto una svolta, una nuova era: e perciò si distacca nella maniera più netta e decisa, dalle forme dell'escatologismo contemporaneo. Anche in riferimento al dibattito contemporaneo sulle radici e destini d’Europa, possiamo accennare alcune note sull’eredità di Gioacchino da Fiore. Il dibattito sorto, a suo tempo, attorno alla stesura della Costituzione dell’Europa comunitaria, nel cui Preambolo sono stati citati in modo piuttosto vago le eredità culturali, i valori ed i diritti inalienabili su cui si fonda la società europea, la dicono lunga ed è preoccupante. Gioacchino da Fiore, nella sua esegesi dei testi sacri, dedica un’attenzione particolare all’ultimo libro della Bibbia, e lo intende per la prima volta nel senso moderno, ossia come un messaggio di speranza anziché di distruzione. Ma, più che la sua lettura dell’Apocalisse, avrà un’influenza enorme sul suo tempo, e sui secoli successivi, la sua periodizzazione della storia universale. Egli infatti era convinto che il mondo non sia sull’orlo della fine, ma che piuttosto l’umanità cristiana si trovi nel kairos fatale del passaggio ad una nuova età più felice e più illuminata delle precedenti. La portata rivoluzionaria del pensiero di Gioacchino, di cui egli stesso non fu probabilmente consapevole, non venne colta dalla totalità dei suoi contemporanei, ma possiamo sostenere che è proprio l’intuizione di questo frate che ha indirettamente condizionato la religione del progresso dell’epoca moderna. Löwith K., Significato e fine della storia, Edizioni Comunità, Milano 1963, p. 197. Benché Gioacchino non avesse intenzione di porsi in contrasto con il dogma cattolico allora dominante, è evidente come la sua teologia della storia non poteva che rompere con la tradizione e denunciare un’incompletezza, una necessità di perfezionamento, un’attesa verso uno stato ultimo che non era ancora stato raggiunto. Per la prima volta, dopo secoli di escatologia chiliastica che avevano proiettato il destino ultimo dell’uomo nel mondo ultraterreno, Gioacchino prospetta, per la Chiesa, per i suoi ordinamenti e per la sua dottrina, ma altresì per gli uomini del suo tempo, un futuro ancora possibile su questa terra. Egli in realtà non poté prevedere che la sua intenzione religiosa di desecolarizzare la Chiesa, una volta in mano ad altri, si sarebbe mutata nel suo opposto, e cioè nella secolarizzazione del mondo. Tuttavia il fatto che il sogno di questo pensatore profondamente religioso sia rimasto vivo per secoli, trasformandosi progressivamente nell’utopia terrena e laica del nostro continente, è solo uno dei tanti esempi possibili che possono essere portati come testimonianza inconfutabile della matrice cristiana del pensiero europeo. L’utopia gioachimita non aveva, comunque, alcuna pretesa rivoluzionaria, né voleva contestare le istituzioni politiche ed ecclesiastiche medievali, ma aspirava solo a rinnovarle spiritualmente, mediante la creazione di nuovi ordini monastici, votati alla povertà, alla preghiera e alle opere di carità. Il senso di tale predicazione era chiaramente etico e si limitava ad auspicare una spontanea palingenesi dell’umanità, indotta dalla discesa dello Spirito Santo, come giustamente ha fatto rilevare anche Bruno Forte nella Presentazione al libro «Agli Ebrei», sostenendo che per Gioacchino «solo la rivelazione rimanda alla gloria ed offre l’orizzonte di senso della storia: solo da Dio viene la salvezza e la speranza del mondo!». Lo spirito pacifista del monaco calabrese fu così esplicito da indurlo a criticare l’esperienza delle Crociate ed a contestare i tentativi di conversione forzata degli eretici, asserendo esplicitamente in un passo del «Commento all’apocalisse» che «i Cristiani riusciranno a prevalere più con la predicazione che con le armi». Due spunti. Primo spunto. Recentemente, Paolo Vian, Direttore del Dipartimento dei Manoscritti della Biblioteca Apostolica Vaticana, in occasione della presentazione del libro di Joseph Ratzinger, "San Bonaventura. La teologia della storia" (Edizioni Porziuncola, Assisi 2008), svoltasi il 26 febbraio 2008 alla Pontificia Università Antonianum., ha evidenziato, con una particolare frase: “Senza tradizione la teologia è un albero sradicato dal suolo”, che "Per la piena e oggettiva comprensione della storia spirituale d'Italia nel secolo decimoterzo, mai e poi mai avremmo dovuto dissociare le due grandi figure che Dante, e con lui la migliore tradizione religiosa del suo tempo, hanno visto indissolubilmente avvinte l'una all'altra: la figura di Gioacchino e quella di Francesco. La catena appenninica non è soltanto fisicamente la spina dorsale della penisola: dalla Sila al Subasio è corsa, nella maturità del medioevo italiano, una stupenda continuità spirituale. Avervi inciso una frattura è stato gesto di improvvida iconoclastia". Può sembrare sorprendente, ma Joseph Ratzinger non avrebbe probabilmente difficoltà a sottoscrivere quest'affermazione che nel 1931 Ernesto Buonaiuti poneva all'inizio della sua ricostruzione della vita e del pensiero di Gioacchino da Fiore. Proprio nell'introduzione al volume "San Bonaventura. La teologia della storia, l'allora giovane teologo bavarese ricordava come una teologia e una filosofia della storia nascano soprattutto nei periodi di crisi della storia dell'uomo, a partire dal De civitate Dei agostiniano, risposta al collasso dell'impero romano e del mondo antico. "Da allora il tentativo di dominare la storia teologicamente non fu mai più estraneo alla teologia occidentale (...)" (p. 15). Agli inizi del secolo tredicesimo questo sempre ricorrente tentativo di dominare teologicamente la storia raggiunse un nuovo punto culminante nella profezia della storia di Gioacchino da Fiore, ma essa - ecco il punto in cui le visioni del modernista italiano e del teologo tedesco coincidono - "raggiunse (...) la sua massima forza solo con la splendida conferma venutale dalla persona e dall'opera di san Francesco d'Assisi" (p. 16). I due fattori combinati - l'appello di Gioacchino e la risposta del francescanesimo - misero in discussione l'immagine medievale della storia generando un "nuovo, secondo momento culminante nel modo cristiano di pensare la storia. Aggiungo che, non è casuale, il professor Ratzinger, che dedicherà tutto il secondo capitolo al contenuto della speranza intramondana nella nuova concezione gioachimitico-bonaventuriana, sarà lo stesso che negli anni Ottanta e Novanta si confronterà come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede con le premesse e con gli esiti della teologia della liberazione e che, da Papa, dedicherà la sua seconda enciclica proprio al tema della speranza. Secondo spunto. Il fatto che l’attuale presidente degli Stati Uniti, durante la sua campagna elettorale, si sia riferito per tre volte a Gioacchino da Fiore, ha riacceso l'interesse per la dottrina di questo monaco del medio evo, ha sottolineato il religioso cappuccino ricordando però che il pensiero di Gioacchino non e' da condannare in blocco e ci si può chiedere se l'idea di un'Era dello Spirito sia davvero sua. A Gioacchino da Fiore il presidente Obama si era riferito nel discorso di accettazione della candidatura democratica chiamandolo "maestro della civiltà contemporanea" e "ispiratore di un mondo più giusto", anche se Padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia, ha affermato, alla presenza del Papa in una meditazione alla Curia Romana, che “L'idea di "una terza Era dello Spirito che succederebbe a quella del Padre nell'Antico Testamento e di Cristo nel Nuovo e' falsa ed eretica perché intacca il cuore stesso del dogma trinitario", per il quale il tempo dello Spirito non e' successivo, ma "co-estensivo al tempo di Cristo". Oggi, alla luce delle evoluzioni storiche, tenendo la barra dritta del pensiero di Gioacchino da Fiore, e' necessaria una sana armonia tra l'ascolto di ciò che lo Spirito dice a me, singolarmente, con ciò che dice alla Chiesa nel suo insieme e attraverso la Chiesa ai singoli. Con il suo decreto sulla libertà di coscienza il Concilio Vaticano II ha voluto operare appunto questa sintesi. Vorrei poter discernere, in una logica puntuale, molte fasi ancora oscure del pensatore Gioacchino; chiudo, questa mia riflessione con un monito, influenzato senza dubbio dallo studio sul grande monaco non ancora Santo. In questo tempo potrebbe essere una rinnovata decisione affidarci in tutto e per tutto alla guida interiore dello Spirito Santo senza cadere nel soggettivismo di un ascolto solo interiore, che apre la strada a un processo inarrestabile di divisioni e suddivisioni, perchè ognuno crede di essere nel giusto, o nel "giuridismo" che "assolutizza la testimonianza esterna e pubblica dello Spirito" e "riduce la guida del Paraclito al solo magistero ufficiale della Chiesa. Facilmente prevale, in questo caso, l'elemento umano, organizzativo e istituzionale e si apre la porta alla emarginazione del laicato e alla eccessiva clericalizzazione della Chiesa. Allora, oggi, domandiamoci: Perché le visioni di Gioacchino da Fiore hanno traversato i tempi, anche se per il grande pubblico egli resta uno sconosciuto. E continuano a influenzare larga parte del cattolicesimo d´oggi? Su Gioacchino da Fiore non tramonta mai il sole. PAGE \* MERGEFORMAT 1