EUROPA E
MEDIO ORIENTE
(1973-1993)
a cura di
Gianvito Galasso, Federico Imperato,
Rosario Milano, Luciano Monzali
editore
cacucci
bari
Opera realizzata con il contribuito della Fondazione Cassa di Risparmio
di Puglia e del Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università degli
Studi di Bari “Aldo Moro”
proprietà letteraria riservata
© 2017 Cacucci Editore - Bari
Via Nicolai, 39 - 70122 Bari – Tel. 080/5214220
http://www.cacucci.it e-mail:
[email protected]
Ai sensi della legge sui diritti d’Autore e del codice civile
è vietata la riproduzione di questo libro o di parte di esso
con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di
fotocopie, microfilms, registrazioni o altro, senza il consenso dell’autore e dell’editore.
INDICE
Elenco dei fondi archivistici, delle raccolte documentarie, delle sigle e
delle abbreviazioni
IX
Prefazione, di Ennio Triggiani
1
Introduzione
3
Parte prima:
I paesi dell’Europa occidentale e la Comunità economica europea
1. Da Colombo ad Andreotti e Craxi: spunti di ricerca sulla politica
mediorientale dell’Italia negli anni Ottanta,
di Luca Riccardi
9
2. Tentativi di civilian power europeo: la Cooperazione politica
europea alla prova del dialogo euro-arabo (1973-1980),
di Azzurra Bassi
57
3. Europa e Stati Uniti di fronte alla crisi libica del 1986,
di Paolo Soave
75
4. Il Parlamento europeo e la guerra civile libanese (1975-1990),
di Gianvito Galasso
99
5. Il Dialogo della discordia: tra speranze europee, pretese arabe e
vincoli transatlantici (1973-1975),
di Silvio Labbate
123
VI
Indice
6. Tra sicurezza regionale e crisi della distensione: l’Europa e la
dottrina Carter sul Golfo Persico (1980),
di Paolo Wulzer
151
7. The European Reaction to the Camp David Accords and the
Israeli-Egyptian Peace Treaty (1979-1982),
di Joseph A. Bongiorno
171
8. Valéry Giscard d’Estaing e il Medio Oriente (1974-1981): “le
changement dans la continuité”,
di Bruna Bagnato
181
9. La politica britannica in Medio Oriente (1973-1983),
di Antonio Peciccia
201
10. Il silenzio dell’Europa sul Medio Oriente: il vertice di Atene del
dicembre 1983,
di Simone Rollo
223
11. L’Italia e l’ascesa dell’Iran khomeinista (1979-1981),
di Rosario Milano
231
12. Il PSI di Bettino Craxi e la questione mediorientale,
di Volodia Clemente
249
13. Il Parlamento italiano e la crisi del Golfo,
di Valerio Cartocci
265
14. La politica estera italiana e l’occupazione sovietica
dell’Afghanistan (1979-1989). Note e documenti,
di Luciano Monzali
285
Parte seconda:
L’altra Europa. Gli Stati comunisti e neutrali
15. Ceausescu e la questione arabo-israeliana: una riflessione sulla
politica estera romena,
di Sielke Beata Kelner
339
VII
Indice
16. The Israel-Arab War of 1967. The Watershed in Tito’s Foreign
Policy,
di Vojislav Pavlović
363
17. La Jugoslavia e la guerra dello Yom Kippur. Appunti della
diplomazia britannica,
di Gorazd Bajc
377
18. Addressing Root Causes: the Example of Bruno Kreisky and
Austria’s Confrontation with Middle Eastern Terrorism,
di Thomas Riegler
397
19. La Santa Sede e il Medio Oriente: la svolta dei primi anni
Novanta,
di Paolo Zanini
407
Parte terza:
Gli Stati del Medio Oriente
20. Le relazioni italo-iraniane negli anni Settanta: aspetti politici ed
economici,
di Soroor Coliaei
425
21. L’Europa nelle relazioni internazionali della Siria (1973-1993),
di Massimiliano Trentin
447
22. Le relazioni tra Italia e Arabia Saudita durante gli anni Settanta:
tra questioni strategiche ed energetiche,
di Ilaria Tremolada
471
23. L’equidistanza italiana vista da Gerusalemme (1967-1977),
di Arturo Marzano
487
24. Stato, Islam e democrazia nel pensiero di Ali Shariati,
di Ali Reza Jalali
505
25. Italia e Turchia tra Europa e Medio Oriente (1969-1993),
di Federico Imperato
519
VIII
Indice
Europa e Medio Oriente. Un rapporto difficile ma intenso,
di Lorenzo Medici
539
Note biografiche degli autori
545
Indice dei nomi
549
FEDERICO IMPERATO
ITALIA E TURCHIA TRA EUROPA E
MEDIO ORIENTE (1969-1993)
Italia e Turchia tra convergenze e crisi mediterranee (1969-1980)
Gli anni Settanta furono caratterizzati, in Italia e in Turchia, da una parallela
situazione di difficoltà interne, che aveva i suoi estremi nell’emersione di un
fenomeno terroristico molto ideologizzato, da un lato, e da una crisi economica,
che era il riflesso di un cambiamento di paradigma nell’affrontare il problema
energetico e delle materie prime. Anziché di abbondanza, si cominciò a parlare
di scarsità delle risorse energetiche: un problema che, pur essendo strettamente
economico, si combinava con il conflitto, politico e militare, che, a partire dai
primissimi anni del secondo dopoguerra, infiammò il settore geopolitico del Medio Oriente.
Le elezioni politiche del giugno 1968 segnarono un brusco stop per l’esperienza del centro-sinistra in Italia, provocando il ritorno ad una fase di instabilità
governativa, ma anche ad un rimescolamento delle carte all’interno del partito di
maggioranza relativa, la Democrazia Cristiana. Aldo Moro, uno dei leader della
DC, fu messo in minoranza all’interno del suo partito, provocandone il distacco
dalla corrente dorotea di maggioranza per attestarsi su posizioni di sinistra. Da
quel momento, lo statista pugliese fu impegnato in una profonda riflessione politica, che mise in discussione gli orientamenti allora prevalenti nella Democrazia
Cristiana. Il punto di partenza della riflessione di Moro fu l’individuazione del
1968 come anno di cesura. La contestazione giovanile ed operaia, e i fenomeni
sociali degli anni seguenti, come la «strategia della tensione» e il terrorismo,
traevano origine, sul piano interno, dal mancato completamento della «stagione
delle riforme», inaugurata dal centro-sinistra moroteo ed abortita subito dopo,
in seguito alla crisi dell’estate 1964. Dal punto di vista internazionale, invece,
le manifestazioni di protesta contro il conflitto in Vietnam, che avevano accomunato l’opinione pubblica giovanile della stragrande maggioranza dei Paesi
occidentali, e il nuovo strappo all’interno del blocco comunista costituito dalla
«primavera di Praga», che seguiva la rivolta ungherese del decennio precedente,
erano la dimostrazione di come il bipolarismo USA-URSS, basato sull’equilibrio
nucleare, non fosse più in grado di star dietro alla complessità e al policentrismo
del sistema internazionale. Da ciò, Moro ricavava una doppia via d’uscita, interna
520
Federico Imperato
ed internazionale, destinata a scalfire il rapporto di lealtà, di fedeltà quasi, che
legava Roma all’alleato statunitense. La mancata stabilizzazione del sistema politico italiano, anche dopo l’ingresso nel governo del PSI, indusse Moro a sviluppare una «strategia dell’attenzione» nei confronti del Partito Comunista Italiano
del segretario Enrico Berlinguer, che mostrava di gradire sempre meno la politica
del «protettorato» sovietica, sancita sul piano ufficiale dalla elaborazione della
«dottrina Brežnev», e propenso a farsi puntello del sistema democratico italiano
di fronte alla diffusione di fenomeni di contestazione fuori sistema, quali il terrorismo politico di estrema destra e di estrema sinistra. Questa «strategia dell’attenzione» nei confronti del PCI si accompagnava, sul piano internazionale, ad
un rilancio delle iniziative diplomatiche verso i paesi dell’Europa dell’Est e del
bacino del Mediterraneo. Era una conferma del fatto che non esistevano più universi separati come lo erano stati i blocchi nella prima fase della guerra fredda, e
che, quindi, la cooperazione internazionale doveva porsi come un’attuale alternativa della politica di potenza praticata ancora dalle due superpotenze1.
In Turchia, invece, l’esperienza governativa di Süleyman Demirel, leader del
Partito della Giustizia e primo ministro a partire dal 1965, fu segnata da un primo
1 Sull’evoluzione della strategia politica di Moro in politica interna ed estera in questo periodo:
G. BaGet Bozzo, G. tassani, Aldo Moro. Il politico nella crisi 1962/1973, Sansoni, Firenze
1983, p. 311 e sg.; AA. VV., Il messaggio di Aldo Moro, Studium, Roma 1987; G. caMpanini,
Aldo Moro. Cultura e impegno politico, Studium, Roma 1992; A. aMBroGetti (a cura di), Aldo
Moro e la crisi della forma partito, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1993; G. ForMiGoni,
Aldo Moro. L’intelligenza applicata alla mediazione politica, Centro Ambrosiano, Milano 1997;
F. vander, Aldo Moro. La cultura politica e la crisi della democrazia italiana, Marietti, Genova
1999; F. la rocca, L’eredità perduta. Aldo Moro e la crisi italiana, Rubbettino, Soveria Mannelli
2001; A. d’anGelo, Moro, i vescovi e l’apertura a sinistra, Studium, Roma 2005; A. di Mario,
L’attualità di Aldo Moro negli scritti giornalistici (1943-1978), Tullio Pironti, Napoli 2007; F.
saita, Aldo Moro politico. Dalla Costituente a via Caetani sviluppo e crisi del pensiero di uno
statista, Reality Book, Roma 2008; P. panzarino, Aldo Moro e le convergenze democratiche. Il
dialogo nel carteggio DC-PCI durante il governo delle astensioni (1976-1978), Piazza Editore,
Treviso 2008; C. Guerzoni, Aldo Moro, Sellerio, Palermo 2008; G. Galloni, Trent’anni con
Moro, Editori Riuniti, Roma 2008; L. conte, Aldo Moro. L’eredità di un laico cattolico, Falco
Editore, Cosenza 2008; a. Filipponio, a. reGina (a cura di), In ricordo di Aldo Moro. Atti del
Convegno (Bari, 20 giugno 2008), Giuffré, Milano 2010; Mondo conteMporaneo (a cura di),
Aldo Moro nella storia dell’Italia repubblicana, Franco Angeli, Milano 2011; F. perFetti, a.
unGari, d. caviGlia, d. de luca (a cura di), Aldo Moro nell’Italia contemporanea, Le Lettere,
Firenze 2011; P. panzarino, L’eredità politica di Aldo Moro. Pensiero e azione di un uomo
libero (1976-1978), Marsilio, Venezia 2011; F. iMperato, Aldo Moro e la pace nella sicurezza.
La politica estera del centro-sinistra 1963-1968, Progedit, Bari 2011; i. Garzia, l. Monzali, M.
Bucarelli (a cura di), Aldo Moro, l’Italia repubblicana e i Balcani, Besa, Nardò 2011; i. Garzia,
l. Monzali, F. iMperato (a cura di), Aldo Moro, l’Italia repubblicana e i popoli del Mediterraneo,
Besa, Nardò 2013; a. alFonsi (a cura di), Aldo Moro nella dimensione internazionale. Dalla
memoria alla storia, Franco Angeli, Milano 2013; F. iMperato, Aldo Moro, l’Italia e la diplomazia
multilaterale. Momenti e problemi, Besa, Nardò 2013; G. M. ceci, Moro e il PCI. La strategia
dell’attenzione e il dibattito politico italiano (1967-1969), Carocci, Roma 2013; p. panzarino, Il
centro-sinistra di Aldo Moro (1958-1968), Marsilio, Venezia 2014; r. Moro, d. Mezzana (a cura
di), Una vita, un paese. Aldo Moro e l’Italia del Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli 2014;
p. doria, Il contributo di Aldo Moro alla costruzione della democrazia italiana, Aracne, Roma
2015; G. ForMiGoni, Aldo Moro. Lo statista e il suo dramma, Il Mulino, Bologna 2016.
Italia e Turchia tra Europa e Medio Oriente (1969-1993)
521
periodo di congiuntura positiva, cui fece seguito un’inversione di tendenza. Fino
al 1969 la crescita economica fu alta e i redditi reali salirono in maniera quasi
continua. Proprio il 1969 fu l’anno della svolta. L’incremento annuo del reddito
nazionale, che, secondo le stime del piano quinquennale inaugurato nel 1967,
avrebbe dovuto essere del 7 percento, non raggiunse che il 6,4 percento, caduto
nel 1970 al 4,8 percento2. A questo si aggiungeva la violenza politica dei gruppi
politici di estrema destra e di estrema sinistra, che protestarono, tra l’altro, anche
in occasione della visita della Sesta Flotta americana, tra il luglio del 1968 ed
il febbraio del 1969, a conferma del clima di acceso antiamericanismo seguito
al mancato appoggio delle tesi turche su Cipro da parte di Washington.3 Questi fattori innescarono una crisi all’interno del governo di Ankara. Nel febbraio
1970, l’ala destra del Partito della Giustizia votò con l’opposizione, costringendo
Demirel alle dimissioni. Gli osservatori internazionali considerarono tale crisi
un atto potenzialmente grave per la stabilità politica di una democrazia, qual era
considerata quella turca, dalle basi tutt’altro che solide4. La situazione si aggravò
verso la fine dell’anno, quando 41 tra deputati e senatori lasciarono il partito di
Demirel per fondare una nuova formazione politica, il Partito Democratico, il
cui nome rievocava il vecchio partito di Adnan Menderes, messo fuorilegge dal
colpo di Stato militare del 19605. La paralisi dell’azione di governo di Demirel,
indebolito da numerose defezioni all’interno dello stesso Partito della Giustizia,
indusse i militari ad intervenire. Il 12 marzo del 1971, un ultimatum del capo di
Stato maggiore delle forze armate indusse alle dimissioni il governo Demirel,
sostituito da un esponente dell’ala destra del Partito Repubblicano del Popolo,
2 Sulla storia della Turchia esiste una buona bibliografia in italiano: l. pietroMarchi, Turchia
vecchia e nuova, Bompiani, Milano 1965, in particolare le pp. 187-434; A. BiaGini, Storia della
Turchia contemporanea, Bompiani, Milano 2002; E.J. zürcher, Storia della Turchia. Dalla fine
dell’impero ottomano ai giorni nostri, Donzelli, Roma 2007, pp. 251-407; L. nocera, La Turchia
contemporanea. Dalla repubblica kemalista al governo dell’AKP, Carocci, Roma 2011. Ancora
più esaustiva la bibliografia in lingua inglese. In questa sede voglio ricordare soltanto: s. j. shaW,
e. K. shaW, History of the Ottoman Empire and Modern Turkey. Volume 2: Reform, Revolution
and Republic. The Rise of Modern Turkey, 1808-1975, Cambridge University Press, Cambridge
1977; r. KasaBa (a cura di), The Cambridge History of Modern Turkey. Volume 4. Turkey in the
Modern World, Cambridge University Press, Cambridge 2008. Nello specifico si veda: D. viti,
Difficile momento per la Turchia, in «Relazioni Internazionali», 23 gennaio 1971, p. 83.
3 Manifestazioni antiamericane in Turchia, in «Relazioni Internazionali», 3 agosto 1968, p.
766; Manifestazioni antiamericane in Turchia, in «Relazioni Internazionali», 15 febbraio 1969,
p. 120. Un’altra eclatante manifestazione di ostilità nei confronti degli Stati Uniti è quella che è
rimasta celebre con il nome di “Komer Incident”, dal nome dell’ambasciatore USA in Turchia
Robert W. Komer, che, durante una visita al Middle East Technical University (METU) di Ankara,
il 6 gennaio 1969, subì la contestazione di un gruppo di studenti appartenenti a gruppi politici di
estrema sinistra, che arrivarono ad incendiare la sua automobile: N. uslu, The Turkish-American
Relationship between 1947 and 2003. The History of a Distinctive Alliance, Nova Science
Publishers, New York 2003, pp. 33-34.
4 Crisi di governo in Turchia, in «Relazioni Internazionali», 21 febbraio 1970, p. 171.
5 Nuova formazione politica in Turchia, in «Relazioni Internazionali», 10 ottobre 1970, p.
943.
522
Federico Imperato
Nihat Erim, subito sostenuto dal vecchio leader kemalista İsmet İnönü6. L’influenza degli ambienti militari sul governo di Ankara destò immediate perplessità in Italia7. Luca Pietromarchi, che era stato ambasciatore italiano ad Ankara
dal 1950 al 1958, rilevava che la ferma determinazione, da parte dei vertici militari turchi, di garantire la conservazione e il consolidamento dell’ordinamento
democratico rendeva difficile la definizione di quando questa garanzia sarebbe
dovuta diventare operante e tradursi in un intervento diretto. L’ingerenza politica
degli ambienti militari non aveva portato, infatti, ad una soluzione delle crisi che
rendevano precario il sistema politico turco. Ciò si era visto, secondo Pietromarchi, già ai tempi del colpo di Stato del 27 maggio 1960, quando la cacciata
di Menderes non aveva contribuito a raddrizzare la situazione, ma, al contrario,
aveva approfondito le divisioni interne, come avevano dimostrato i successivi
episodi di crisi politica e istituzionale8.
L’arrivo di Erim al potere non contribuì alla stabilizzazione della vita politica
turca, che mostrava, al contrario, segni sempre più profondi di crisi. Nell’aprile
del 1972, anch’egli fu costretto a rassegnare le dimissioni,9 sostituito alla guida
del governo da Ferit Melen, uno dei leader del Partito della Fiducia, una formazione nata da una costola del Partito Repubblicano del Popolo. Proprio il partito
kemalista si trovò a fare i conti in modo drammatico con la difficile situazione
del paese anatolico. Il Partito Repubblicano del Popolo fu l’unica formazione
politica, all’interno del parlamento turco, a non sottoscrivere la politica dei governi Erim e Melen, schiacciato tra gli indirizzi politici divergenti dei due leader,
il vecchio İsmet İnönü, uno dei fondatori del partito e stretto collaboratore di
Mustafa Kemal Atatürk, e il più giovane Bülent Ecevit, che, tra il maggio e il
novembre del 1972, ebbe la meglio, costringendo İnönü a lasciare prima la presidenza e ad abbandonare poi qualsiasi carica dal partito che aveva contribuito a
fondare cinquant’anni prima10.
La prolungata crisi turca era sicuramente il riflesso di una situazione interna
che non riusciva a garantire uno stabile e prolungato progresso delle strutture
economiche e sociali. Essa, però, non poteva non risentire anche delle turbolenze
che contrassegnarono il settore geopolitico del Mediterraneo orientale negli anni
Sessanta e Settanta. La questione di Cipro non lasciava intravedere alcuna soluzione positiva, al punto che anche le trattative intercomunitarie, inaugurate da
Atene ed Ankara nel 1968, e volte a favorire un’evoluzione positiva dei rapporti
tra la maggioranza greca e la minoranza turca, registrarono un insuccesso. Intorno al problema di Cipro si fronteggiavano ormai tre tesi differenti e portatrici,
ognuna, di un certo carico di ambiguità. La Grecia affermava di riconoscere e
6 D. viti, I militari turchi scendono in campo, in «Relazioni Internazionali», 20 marzo 1971,
pp. 276-277.
7 L. V. Ferraris (a cura di), Manuale della politica estera italiana 1947-1993, Laterza,
Roma-Bari 1998, p. 289.
8 L. pietroMarchi, La radice delle crisi politiche in Turchia, in «Relazioni Internazionali»,
n. 51, 18 dicembre 1971, p. 1240.
9 D. viti, Le dimissioni di Erim, in «Relazioni Internazionali», n. 17, 22 aprile 1972, p. 415.
10 Si dimette l’erede di Ataturk, in «Relazioni Internazionali», n. 20, 13 maggio 1972, p. 496.
Italia e Turchia tra Europa e Medio Oriente (1969-1993)
523
rispettare l’indipendenza del governo di Nicosia, pur sperando, un giorno, di arrivare alla tanto sospirata enosis [unione]; il governo cipriota, al contrario, manteneva formalmente la propria fedeltà nei confronti dell’obiettivo dell’unione
alla Grecia, pur difendendo gelosamente la propria sovranità; la Turchia, infine,
riconosceva l’indipendenza di Cipro, ma desiderava trasformarlo in uno Stato
federale, all’interno del quale la minoranza turca avrebbe visto riconosciute le
proprie pretese autonomistiche11.
L’intervento militare turco a Cipro dell’estate del 1974, in seguito al colpo
di Stato operato il 15 luglio di quell’anno da ufficiali di nazionalità greca della
Guardia Nazionale cipriota non scalfì più di tanto le relazioni bilaterali italoturche, salde soprattutto sul piano dei rapporti commerciali, nonostante l’Italia
non avesse assunto posizioni favorevoli ad Ankara12. Il governo italiano, infatti,
rispose con una pronta azione diplomatica, che si tradusse in iniziative, dirette o
concordate in sede multilaterale, per arrivare ad una soluzione della crisi in sede
ONU o in un altro foro internazionale appropriato. L’Italia approvò la risoluzione
ONU del 1° novembre 1974, con cui si chiedeva il ritiro di tutte le forze armate
straniere presenti a Cipro e l’instaurazione di un regime costituzionale deciso
di comune accordo tra le due comunità. La proclamazione dello Stato federato
turco di Cipro, avvenuta nel febbraio 1975, provocò la condanna da parte di
Roma, schierata, insieme alla CEE, a favore del rispetto dell’indipendenza, della
sovranità e dell’integrità territoriale dell’isola. Tutto ciò portò all’approvazione,
alle Nazioni Unite, della risoluzione n. 367 del 12 marzo 1975, in cui si invitavano le comunità greca e turca di Cipro e i governi di Ankara ed Atene a riprendere i negoziati per arrivare ad una soluzione concertata13.
11 Archivio Centrale dello Stato (d’ora in poi ACS), Fondo Aldo Moro (d’ora in poi FAM), s.
5, ss. 1, b. 137, f. 122, Appunto. Oggetto: Turchia, Roma, 8 febbraio 1972, p. 2; Cipro e petrolio
tra Ankara e Atene, in «Relazioni Internazionali», n. 16, 20 aprile 1974, p. 417.
12 l.v. Ferraris (a cura di), Manuale della politica estera italiana, cit., pp. 289-290. Per le
iniziative italiane all’indomani della crisi di Cipro del 1974, si vedano le dichiarazioni del ministro
degli Esteri Aldo Moro alla Commissione Esteri della Camera il 1° agosto 1974: Distensione fra
i popoli, in A. Moro, L’Italia nell’evoluzione dei rapporti internazionali, EBE-Moretto, RomaBrescia 1986, pp. 498-499. Il problema di Cipro non ha trovato una trattazione esaustiva nella
storiografia italiana. Queste alcune delle poche eccezioni: G. P. C. N. [Gian Paolo Calchi Novati],
La grave tensione di Cipro. Il futuro costituzionale e il contrasto greco-turco, in «Relazioni
Internazionali», n. 1, 4 gennaio 1964, pp. 5-7; B. Grandi, Profili internazionali della questione di
Cipro, Giuffré, Milano 1983. Più corposa la bibliografia in lingua straniera: C. hitchens, Hostage
to History: Cyprus from the Ottomans to Kissinger, Verso, London-New York 1997; M. Firat, La
politique étrangère de la République de Chipre d’après les archives turques d’Ankara, in «Etudes
Balkaniques. Cahiers Pierre Belon», a. 1998, n. 5, pp. 185-204; ead., Les politiques Chipriotes de
la Turquie de 1945 à 2001, in «GREMMO Monde Arab Contemporain. Cahiers de Recherche», a.
2001, n. 9, pp. 53-62; A. PlüMer, Cyprus 1963-64: The Fateful Years, Cyrep, Lefkoşa 2003; D.
hannay, Cyprus: The Search for a Solution, I.B. Tauris, London 2005; W. Mallinson, Cyprus: A
Modern History, I.B. Tauris, London 2005; J. Ker-lindsay, The Cyprus Problem: What Everyone
Needs To Know, Oxford University Press, Oxford 2011.
13 e. costa Bona, l. tosi, l’Italia e la sicurezza collettiva. Dalla Società delle Nazioni alle
Nazioni Unite, Morlacchi, Perugia 2007, pp. 241-242.
524
Federico Imperato
La propensione della politica estera italiana verso l’area del Mediterraneo,
fattasi ancora più forte tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio del decennio
successivo, garantì, d’altro canto, una rinnovata attenzione del governo italiano
nei confronti della Turchia, vista come un importante punto di contatto tra il
continente europeo e quello asiatico. Questo indirizzo dell’azione internazionale
dell’Italia rispondeva ad esigenze tradizionali della nostra politica estera nell’era
repubblicana, quali potevano essere lo sviluppo di una politica di dialogo a dispetto di una di potenza, il perseguimento di interessi nazionali specifici nella
cornice del processo di integrazione europea e la fedeltà alle alleanze su cui si
erano basate le scelte internazionali dei governi di Roma all’indomani della fine
della seconda guerra mondiale. Ma a questi aspetti tradizionali vanno individuati
e aggiunti nella nostra analisi alcuni elementi innovativi, consistenti in una determinazione nel perseguire interessi nazionali contrastanti, in qualche modo, con
la linea portata avanti dalle due superpotenze USA ed URSS, sempre più disposte
a scendere a patti pur di preservare un’articolazione bipolare al sistema delle
relazioni internazionali, messa in discussione da più parti a favore di una multipolare14. In questo quadro, la visita del presidente del Consiglio italiano Mariano
Rumor, accompagnato dal ministro per il Commercio Estero Vittorino Colombo
e dal sottosegretario agli Esteri Mario Zagari, ad Ankara, dal 5 all’8 giugno 1969,
doveva risultare un’ottima occasione per confermare una convergenza di obiettivi tra Italia e Turchia sullo sviluppo di una coerente politica mediterranea. Nel
comunicato ufficiale diramato alla fine della visita ci si dichiarava, infatti, concordi sull’interesse «alla stabilità ed allo sviluppo della regione mediterranea», la
cui prosperità e pace sarebbe stata resa più facile da una cooperazione più stretta
fra i due paesi15.
La visita di Rumor in Turchia può essere letta come un’appendice del viaggio
che il ministro degli Esteri Pietro Nenni effettuò in Jugoslavia nel maggio del
1969, dove incontrò i maggiori responsabili del governo di Belgrado. L’invasione
di Praga da parte delle truppe del Patto di Varsavia dell’anno precedente suscitò
timori e sospetti all’interno degli ambienti politici e governativi belgradesi, che
vollero premunirsi da un eventuale attacco sovietico, ottenendo rassicurazioni da
parte del ministro degli Esteri italiano che l’Italia non avrebbe tratto vantaggio
da possibili spostamenti delle truppe jugoslave dalla frontiera comune verso i
confini orientali della Jugoslavia. Parallelamente, Nenni sottolineò, in quell’occasione, l’importanza di avere alla frontiera orientale dell’Italia una Jugoslavia
integra e indipendente, perché garantiva la sicurezza dell’Italia dalla minacciosa
presenza del blocco sovietico e l’impegno a favorire una progressiva associazione della Jugoslavia alla CEE16. In quella fase storica, la stabilità del settore
14 G. lovisetti, Convergenze di obiettivi tra Italia e Turchia, in «Relazioni Internazionali»,
n. 24, 14 giugno 1969, p. 495.
15 Il viaggio del presidente Rumor in Turchia. Volontà di cooperazione ispira I rapporti italoturchi, in «Relazioni Internazionali», n. 24, 14 giugno 1969, p. 508.
16 Sul viaggio di Nenni a Belgrado: P. nenni, I conti con la storia. Diari 1967-1971, SugarCo,
Milano 1983, pp. 318-319; 331-334.
Italia e Turchia tra Europa e Medio Oriente (1969-1993)
525
dell’Europa sudorientale era particolarmente importante per la politica estera di
Roma. Allo sviluppo di positive relazioni bilaterali con la Jugoslavia, che ponevano le basi per una definitiva soluzione della questione confinaria, avvenuta poi
nel 1975 con i Trattati di Osimo, si aggiungeva l’attenzione verso gli altri paesi
dell’area, in particolare verso la Grecia e la Turchia, che continuavano ad essere
divise dalla questione di Cipro, possibile elemento di disgregazione dell’Alleanza atlantica17. In una fase che lo stesso Nenni a Belgrado aveva definito come
transitoria di un passaggio dal bipolarismo al multipolarismo, la diplomazia italiana accentuò il proprio interesse nei confronti dei problemi e delle situazioni
che toccavano più da vicino l’Italia: il Mediterraneo, con i connessi problemi
della sicurezza e della cooperazione tra i paesi che vi si affacciano, e il ripensamento del processo di integrazione, affinché potesse essere allargato al maggior
numero di paesi ed essere, allo stesso tempo, strumento efficace di distensione tra
i popoli e di superamento dei blocchi18.
L’arrivo di Aldo Moro alla guida del Ministero degli Esteri nel II governo
Rumor, nell’agosto del 1969, portò a un’accentuazione delle direttrici verso Est
e verso Sud della politica estera italiana19. In questo quadro, la Turchia, paese
ponte tra Europa ed Asia, che, in più, condivideva con l’Italia il vincolo atlantico,
costituiva un elemento centrale. Moro si recò in Turchia il 29 aprile 1970, dopo
una tappa in Bulgaria. Un elemento centrale dei colloqui che il ministro degli
Esteri italiano ebbe con il suo omologo turco, Çağlayangil, era costituito dalla
situazione in Medio Oriente, i cui equilibri regionali erano tenuti in uno stato di
permanente precarietà dalle continue tensioni, sfociate più di una volta in aperto
conflitto, tra Arabi e Israeliani. In quell’occasione, il ministro degli Esteri turco
espresse una certa preoccupazione, accompagnata a pessimismo, su una possibile
soluzione della questione. Un atteggiamento che, secondo Moro, confermava la
«cautela […] sempre dimostrata [da Ankara] di fronte a qualsiasi iniziativa che
po[tesse] dare motivo di un maggior impegno della Turchia nel conflitto medioorientale»20. Gli esperti del ministero degli Esteri avevano d’altronde definito il
conflitto arabo-israeliano come un’autentica spina nel fianco per la Turchia, poiché, attirando ulteriormente la presenza sovietica nella regione, avrebbe stretto il
territorio turco tra due fuochi, contribuendo a rendere ancora più delicata la questione degli Stretti21. Moro invitava Çağlayangil a «seguire con la massima atten-
17 Sul significato della visita di Nenni in Jugoslavia appare molto interessante l’interpretazione
data da Massimo Bucarelli: M. Bucarelli, Aldo Moro e l’Italia nella Westpolitik jugoslava
degli anni Sessanta, in I. Garzia, l. Monzali, M. Bucarelli (a cura di), Aldo Moro, l’Italia
repubblicana e i Balcani, cit., pp. 136-137.
18 G. lovisetti, Convergenze di obiettivi tra Italia e Turchia, in «Relazioni Internazionali»,
cit., p. 495.
19 BaGet Bozzo, tassani, Aldo Moro, cit., p. 424.
20 ACS, FAM, s. 5, ss. 1, b. 128, f. 19, Telegramma in arrivo n. 17443 dall’Ambasciata
d’Italia ad Istanbul (Mondello) al Ministero degli Affari Esteri. Oggetto: Messaggio On.le
Ministro su colloqui avuti con Autorità turche, Istanbul 1/5/1970, p. 3.
21 ACS, FAM, s. 5, ss. 1, b. 128, f. 19, Appunto. Oggetto: Politica estera turca, s.d. (ma aprile
1970), pp. 11-12. L’Unione Sovietica aveva tentato a più riprese di ottenere una revisione, ad essa
526
Federico Imperato
zione lo sviluppo degli eventi e contribuire con ogni mezzo di cui [si disponeva],
nell’ambito delle Nazioni Unite, al raggiungimento di una pace giusta e duratura,
in base alla Risoluzione del Consiglio di Sicurezza del novembre 1967»22. Al
termine dei colloqui con Çağlayangil, Moro espresse soddisfazione per l’andamento delle relazioni italo-turche. Egli affermò che «per l’Italia in materia di
politica mediterranea la Turchia è un costante punto di riferimento»23. L’unico
elemento di insoddisfazione nelle relazioni bilaterali tra Roma e Ankara fu l’impossibilità, da parte italiana, di prolungare l’assistenza militare alla Turchia avviata con una risoluzione approvata dal Consiglio atlantico il 15 dicembre 1965.
Con quell’atto veniva stabilito che il governo italiano avrebbe dovuto concedere
alla Turchia, a decorrere dal 1965, un contributo annuo pari a 750 milioni di lire,
da destinare all’acquisto di materiale bellico in Italia per le esigenze di difesa turche. Il governo italiano aveva contribuito, se pur con ritardo, all’erogazione dei
contributi fino al 1968, ma le sopraggiunte difficoltà finanziarie e la mancanza di
un’apposita legislazione, che avrebbe potuto garantire anche giuridicamente la
prosecuzione di quella forma di assistenza, indusse Moro a fare soltanto un breve
riferimento alla favorevole disposizione, da parte di Roma, ad incrementare ulteriormente i già consistenti aiuti che la Turchia riceveva in ambito OCSE e CEE24.
L’andamento complessivamente positivo dei rapporti bilaterali italo-turchi
trovò la sua conferma nel fatto che Moro decise di tenere proprio ad Istanbul, a
latere della sua visita ufficiale in Turchia, una riunione dei capi-missione nei paesi del Medio Oriente, cui parteciparono i rappresentanti diplomatici italiani accreditati nella zona. Secondo le parole dello stesso ministro degli Esteri italiano,
nel corso delle riunioni, svoltesi tra il 30 aprile ed il 1° maggio, i rappresentanti
diplomatici in Medio Oriente espressero apprezzamento per la linea di condotta
tenuta dal governo italiano nell’area, volta ad evitare escalation e a disciplinare
l’afflusso di armamenti. Veniva, invece, espressa preoccupazione per il continuo
regresso delle posizioni occidentali a favore della penetrazione sovietica25 e per
la situazione critica del problema arabo-israeliano, considerata «pregiudizievole
agli interessi occidentali». Appare interessante la constatazione di una diffusa
aspettativa, all’interno del mondo arabo, per un più diretto interessamento italiano alla questione, che, tuttavia, non indusse ad un mutamento di linea, consifavorevole, delle clausole della Convenzione di Montreux del 1936, che prevedeva, tra l’altro, una
diversa entità dei limiti di tonnellaggio per il naviglio militare transitante attraverso gli Stretti, a
seconda che si trattasse di paesi rivieraschi o non rivieraschi: Ivi, p. 11.
22 ACS, FAM, s. 5, ss. 1, b. 128, f. 19, Brindisi del Ministro degli Affari Esteri Onorevole
Moro al pranzo offertogli ad Ankara dal Ministro degli Affari Esteri Caglayangil, p. 2.
23 F. ricciu, L’On. Moro in Turchia, in «Relazioni Internazionali», n. 19, 9 maggio 1970.
24 ACS, FAM, s. 5, ss. 1, b. 128, f. 19, Appunto: Turchia – Situazione economica e rapporti
economici con l’Italia, pp. 16-17; ACS, FAM, s. 5, ss. 1, b. 128, f. 19, Telegramma in arrivo n.
17211 dall’Ambasciata d’Italia ad Ankara al Ministero degli Affari Esteri. Oggetto: Telegramma
a firma On.le Ministro per il Presidente della Repubblica e per l’On.le Presidente del Consiglio,
Ankara, 30/4/1970, pp. 1-2.
25 ACS, FAM, s. 5, ss. 1, b. 128, f. 21, Telegramma in arrivo n. 17474 dall’Ambasciata
d’Italia ad Istanbul (Mondello) al Ministero degli Affari Esteri. Oggetto: Disciplina afflusso
armamenti in Medio Oriente, Istanbul, 1/5/1970, p. 1.
Italia e Turchia tra Europa e Medio Oriente (1969-1993)
527
stente nel perseguire un’azione collaterale, volta a favorire la diminuzione della
tensione e ad approfondire i contatti con tutti i paesi direttamente o indirettamente coinvolti, in attesa che la maturazione della situazione permettesse qualche possibilità di manovra26.
Il ritorno di Moro alla guida del Ministero degli Esteri nel III governo Rumor
era stato inaugurato con un’attività diplomatica apparentemente di basso profilo,
sancita dalle visite in due paesi un po’ ai margini del grande palcoscenico internazionale, la Bulgaria e la Turchia. Ma, ad un’analisi più approfondita, non sfuggono i tratti comuni a questi due paesi, che vanno al di là della diversa, opposta
anzi, collocazione internazionale. La comune appartenenza ai settori geografici
dell’Europa sudorientale e del Mediterraneo confermava gli indirizzi della politica estera italiana, volta a fare del Mare Nostrum la «culla» della distensione
internazionale, un modello di convivenza tra sistemi politici diversi, che potesse
risultare esportabile e alternativo rispetto al bipolarismo imperniato sulle due
superpotenze.
Contestualmente, da parte turca, la principale preoccupazione, nel portare
avanti una politica di dialogo con l’Italia, consisteva nel trovare un supporto
alle proprie richieste di piena associazione al meccanismo del Mercato Comune
Europeo. L’avvicinarsi della scadenza dei dodici anni preparatori alla fase transitoria, indusse il ministro degli Esteri turco, Ümit Hayuk Bayülken a recarsi in
visita nelle principali capitali dell’Europa occidentale, tra cui anche Roma, dove
giunse il 17 febbraio 1972. La Turchia mirava ad ottenere, in quell’occasione, sia
l’inclusione all’interno degli Stati beneficiari del regime delle «preferenze generalizzate», che la CEE applicava, a partire dal 1° luglio 1971, ai paesi in via di
sviluppo, sia un riequilibrio del proprio accordo di associazione dopo l’ingresso,
all’interno del MEC, di Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca. In quell’occasione,
il ministro degli Esteri italiano, Aldo Moro, confermò che il governo di Roma
avrebbe fatto il possibile per arrivare ad una decisione comunitaria favorevole
all’inclusione di Ankara nel regime delle «preferenze generalizzate» e al riequilibrio dell’accordo di associazione, su cui, peraltro, il Consiglio dei ministri
della CEE aveva già autorizzato la Commissione a negoziare con la Turchia un
protocollo addizionale per la definizione degli adattamenti necessari27. Il 1° gennaio 1973, infatti, entrò in vigore il Protocollo addizionale firmato tra la CEE e
26 ACS, FAM, s. 5, ss. 1, b. 128, f. 21, Telegramma in arrivo n. 17475 dall’Ambasciata
d’Italia ad Istanbul (Mondello) al Ministero degli Affari Esteri. Oggetto: Riunione nostri
Ambasciatori accreditati in Paesi Medio Oriente, RAU e Turchia, presiedute da On.le Ministro,
Istanbul, 1/5/1970, p. 1.
27 ACS, FAM, s. 5, ss. 1, b. 137, f. 122, Colazione offerta dall’On. Ministro in onore del
Ministro degli Esteri turco (17 febbraio 1972), p. 2; e. serra, L’Europa nei colloqui italo-turchi,
in «Relazioni Internazionali», n. 9, 26 febbraio 1972, p. 211. Il protocollo addizionale, oltre
all’ampliamento dell’area geografica dell’accordo di associazione e le misure transitorie relative
ai rapporti tra la Turchia e i nuovi Stati membri della CEE, aumentava i contingenti previsti dal
protocollo complementare: da 200.000 a 350.000 tonnellate per i prodotti petroliferi, da 300 a
500 tonnellate per i fili di cotone, da 1.000 a 1.400 tonnellate per gli altri tessuti di cotone: ACS,
FAM, s. 5, ss. 1, b. 137, f. 122, Appunto. Relazioni CEE-Turchia, s.d. (ma febbraio 1972), pp. 1-2.
Federico Imperato
528
la Turchia a Bruxelles, che avrebbe segnato l’avvio della fase transitoria, che,
dopo dodici anni, nel 1985, avrebbe dovuto istituire l’unione doganale. Si procedette all’abolizione delle imposte e delle barriere doganali su molti prodotti
turchi (con l’eccezione rilevante del settore tessile), mentre la CEE continuò nel
suo impegno finanziario nei confronti di Ankara28. L’insistenza da parte turca
sull’associazione alla Comunità Economica Europea era giustificata dal difficile
momento economico che la Turchia stava vivendo, aggravato da una situazione
sociale conflittuale e da un elevato incremento demografico che, pur tipico di un
paese in via di sviluppo, rendeva più complessa la ricerca di una soluzione. Erano
tutti elementi che il governo tecnico guidato da Ferit Melen, succeduto ad Erim
nell’aprile del 1972, avrebbe dovuto fronteggiare, cercando una sponda proprio
nell’Europa, che, nella difficile situazione congiunturale globale degli inizi degli
anni Settanta, non mancava di esercitare una notevole forza di attrazione sulle
realtà periferiche come quella turca29.
Alla metà degli anni Settanta, tuttavia, le convergenze tra Roma e Ankara
sui temi mediterranei dovette attraversare una fase di grandi difficoltà, a causa
della crisi cipriota, foriera di importanti ripercussioni sugli assetti geo-strategici
in quell’area. Presentando il 2 dicembre 1974 al Senato il IV governo da lui presieduto, un bicolore DC-PRI, Moro si soffermò anche sulla situazione del Mediterraneo e del Medio Oriente e, toccando la questione di Cipro, affermava che
una possibile soluzione sarebbe stata realistica soltanto se i governi di Grecia e
Turchia avessero preso consapevolezza del fatto che «ciò che li [avrebbe spinto]
ad accordarsi era molto più di ciò che li divide[va]»30. Le parole dello statista pugliese si attagliavano bene anche all’analisi delle relazioni bilaterali italo-turche
nel periodo preso in considerazione.
La questione di Cipro giocò un ruolo importante nell’indurre il governo di
Ankara a svolgere una politica estera di maggiore indipendenza rispetto agli altri
alleati atlantici e agli Stati Uniti in particolare, che non appoggiarono pienamente
le istanze turche sulla controversia scoppiata intorno all’isola del Mediterraneo
orientale. La questione ebbe una improvvisa recrudescenza nell’estate del 1974,
quando il golpe contro Makarios condotto dalle forze filoelleniche di Sampson,
indusse il governo di Ankara a occupare la parte nordorientale dell’isola, provocando la messa in atto, da parte di Washington, di un embargo alla Turchia
28
F. taiana, Turchia ed Europa, in V. Fiorani piacentini (a cura di), Turchia e Mediterraneo
allargato. Democrazia e democrazie, Franco Angeli, Milano 2005, pp. 275-280; C. ceraMi, La
svolta degli anni ‘70 nei rapporti fra Turchia e Comunità europea: come superare il modello
interpretativo dell’”avvicinamento-allontanamento”, in A. varsori (a cura di), Alle origini del
presente. L’Europa occidentale nella crisi degli anni Settanta, Franco Angeli, Milano 2007, pp.
99-101.
29 Sul difficile momento che stava vivendo la Turchia agli inizi degli anni Settanta: D. viti,
Difficile momento per la Turchia, in «Relazioni Internazionali», 23 gennaio 1971, pp. 83-84; ead.,
La Turchia nella morsa delle contraddizioni, in «Relazioni Internazionali», n. 47, 20 novembre
1971, p. 1134; ead., Le dimissioni di Erim, in «Relazioni Internazionali», n. 17, 22 aprile 1972,
p. 415.
30 Senato della Repubblica, seduta del 2 dicembre 1974, in A. Moro, Discorsi parlamentari.
Volume II (1963-1977), Camera dei Deputati, Roma 1996, p. 1514.
Italia e Turchia tra Europa e Medio Oriente (1969-1993)
529
sulle forniture militari. In realtà, la controversia che divideva Ankara e Atene, un
complesso gioco diplomatico in cui entrò anche Washington, era di gran lunga
più complessa e comprendeva sia la questione di Cipro sia quella relativa alla
definizione dei limiti delle acque territoriali delle isole elleniche dell’Egeo prospicienti alle coste turche e allo sfruttamento della piattaforma continentale, il
cui sottosuolo era ritenuto ricco di idrocarburi. L’invasione di Cipro da parte
dell’esercito turco avvenne grazie agli armamenti forniti dagli Stati Uniti. Il problema risiedeva, però, nel fatto che l’accordo turco-americano per la vendita di
materiale bellico ad Ankara conteneva una clausola precisa: le armi dovevano
servire solo per scopi di difesa e non anche di aggressione. Iniziò così una complessa controversia a tre, tra Stati Uniti, Grecia e Turchia, che si concluse con il
voto, da parte del Congresso, nonostante il parere contrario del presidente Gerald
R. Ford, a favore dell’impugnazione dell’accordo e del decreto di embargo31.
Le critiche che il governo turco riservò all’operato di Washington nell’ambito
della gestione della crisi cipriota si manifestarono con l’annuncio della possibile
interruzione, da parte di Ankara, dei negoziati sull’applicazione degli accordi
bilaterali di difesa, lasciando presagire anche la chiusura di alcune basi militari
concesse agli Stati Uniti. Altrettanto dura fu la reazione turca nei confronti della
NATO, minacciata da una possibile revisione del contributo turco ai comandi
militari integrati, nel caso di un prolungamento dell’embargo32. Questa maggiore
indipendenza della politica estera turca si manifestò con la minaccia di smantellare le basi statunitensi sul proprio territorio, che, insieme alla decisione già presa
dal primo ministro greco Konstantinos Karamanlis di far uscire la Grecia dai
comandi integrati della NATO, rischiava di indebolire il fianco del Mediterraneo
sudorientale dell’alleanza atlantica a tutto vantaggio dell’URSS.
L’avvicinamento della Turchia a Mosca, inaugurato già da İnönü alla metà
degli anni Sessanta, aveva come ragioni di fondo, oltre alla vertenza su Cipro,
l’avvio della distensione internazionale e la decisione statunitense di smantellare
i missili Polaris dal territorio turco (oltre che da quello italiano) dopo la crisi dei
missili di Cuba dell’ottobre 1962, che aveva reso più vulnerabile il fianco Sud
della NATO rispetto ad una ipotetica politica aggressiva da parte di Mosca. In
questo quadro di disgregazione, le preoccupazioni italiane erano aggravate dai
timori che toccasse proprio all’Italia supplire al ritiro ellenico e alle minacce turche con l’apertura di nuove basi militari NATO sul territorio nazionale. In questo senso, le forze di sinistra, allarmate, probabilmente, da alcuni articoli usciti
sulla «Pravda» con espliciti intenti strumentali, sbandieravano ai quattro venti
le probabili ricadute che la proliferazione di basi militari sul territorio italiano
avrebbe avuto, soprattutto in termini di aumento dei fardelli e delle responsabilità in ambito atlantico e, da un punto di vista politico, di un complessivo rafforzamento della subordinazione di Roma agli Stati Uniti. Moro, alla guida del
31 V. pellizzari, Il nodo di Cipro fra Turchia e Grecia, in «Relazioni Internazionali», n. 18,
10 luglio 1976, pp. 676-677.
32 D. viti, Iniziativa autonomistica dei turco-ciprioti, in «Relazioni Internazionali», n. 8, 22
febbraio 1975, pp. 172-173.
530
Federico Imperato
Ministero degli Affari Esteri italiano, dimostrò come al solito equilibrio e prudenza nel procedere verso una soluzione diplomatica della lunga e difficile crisi
cipriota. Sulla questione delle basi decise di non rispondere pubblicamente, affidando a una missione del direttore degli Affari Politici della Farnesina Roberto
Ducci ad Atene e ad Ankara il compito di favorire una soluzione concertata della
questione33. La missione Ducci non portò ad alcun risultato concreto, dovendosi
scontrare con la debolezza della Grecia, da una parte, alle prese con una difficile transizione dalla dittatura alla democrazia, e con la baldanza turca dall’altra,
forte dei vantaggi conseguiti sul campo e del tutto non disposta a rinunciare al
riconoscimento della demarcazione territoriale34.
La decisione, presa dal Congresso statunitense nel febbraio 1975, di sospendere gli invii di armi alla Turchia portò lo Stato Maggiore di Ankara a prendere
delle immediate contromosse. Queste si concretizzarono nell’immediata apertura
di trattative con altri possibili fornitori di armamenti, tra cui vanno menzionati
Francia, Germania federale e Italia, i cui governi dichiararono la loro disponibilità a sostituirsi agli Stati Uniti nell’equipaggiamento delle forze armate turche35.
La questione di Cipro non riuscì, in ogni caso, a compromettere le relazioni
bilaterali tra Italia e Turchia. Il mal comune che univa Roma ad Ankara, consistente, innanzitutto, nei complessi rapporti con l’alleato statunitense, indusse
i due governi ad individuare dei terreni comuni intorno a cui sviluppare delle
convergenze in grado di «bypassare» il terreno spinoso costituito dal problema
cipriota (su cui, peraltro, l’Italia non andò mai oltre una posizione di basso profilo, volta a trovare una soluzione negoziata che mettesse d’accordo le varie
parti). Il sostegno finanziario italiano al governo turco nell’ambito della NATO36
e l’appoggio dato all’associazione della Turchia nella CEE costituiscono due validi esempi dell’attenzione che l’Italia rivolgeva al bacino del Mediterraneo e al
Medio Oriente, e di come fosse chiaro il ruolo della Turchia come paese-ponte
tra il continente europeo e quello asiatico. A fare da traino furono soprattutto gli
scambi commerciali, incentivati dopo la visita a Roma da parte del vice premier
turco Necmettin Erbakan, durata dal 16 al 20 dicembre 1976, che portò alla firma
di un accordo di cooperazione a cui si cercò di imprimere un significato politico
nel quadro mediterraneo37.
Se da un piano bilaterale si passava, invece, a uno comunitario, emergevano
difficoltà maggiori, legate alla complicata situazione finanziaria di Ankara, figlia
della crisi petrolifera del biennio 1973-1974 e dei tre anni di embargo, dal 1974
33 P. soave, L’Italia e la crisi cipriota, in i. Garzia, l. Monzali, F. iMperato (a cura di),
Aldo Moro, l’Italia repubblicana e i popoli del Mediterraneo, cit., pp. 182-184.
34 Ivi, pp. 188-189.
35 D. viti, Grande destra in Turchia, in «Relazioni Internazionali», n. 14, 5 aprile 1975, p.
322.
36 Su questo si veda la corrispondenza contenuta all’interno dell’archivio personale di Moro
conservato all’Archivio Centrale dello Stato, in particolare: ACS, FAM, s. 3, ss. 2, sss. 2, b. 71, f.
202, Lettera del Ministro degli Affari Esteri Amintore Fanfani al Ministro del Commercio Estero
Giusto Tolloy, Roma, 7 dicembre 1967, p. 1.
37 l.v. Ferraris (a cura di), Manuale della politica estera italiana, cit., p. 289.
Italia e Turchia tra Europa e Medio Oriente (1969-1993)
531
al 1977, voluti dal governo degli Stati Uniti dopo l’invasione della parte settentrionale di Cipro. Nell’ottobre del 1978, il governo guidato da Bülent Ecevit sospese il processo di graduale associazione previsto dall’Accordo di Ankara, per
dare priorità alle questioni interne. L’obiettivo di Ecevit era di rivedere i termini
dell’accordo di associazione, chiedendo una dilazione di cinque anni per procedere alla riduzione delle tariffe, proteggendo, in questo modo, l’economia turca
dai potenziali effetti destabilizzanti derivanti dall’unione doganale38. Tra la CEE
e la Turchia erano sorte difficoltà acute, sia da un punto di vista politico e diplomatico, sia da quello economico. Il governo di Ankara chiedeva una disciplina
diversa della sua associazione, soprattutto per ciò che riguardava i prodotti agricoli e la libera circolazione della manodopera. I prodotti agricoli di provenienza
turca erano direttamente concorrenziali con quelli di altri paesi mediterranei della
Comunità, come l’Italia e, in previsione del suo ingresso, la Grecia. Era molto
difficile, quindi, che Bruxelles potesse impegnarsi con Ankara oltre certi limiti.
Un discorso analogo valeva per il problema della libera circolazione dei lavoratori turchi nello spazio continentale, specialmente in una fase di preoccupante
disoccupazione qual era quella che affliggeva l’Europa nella seconda metà degli
anni Settanta39. D’altro canto i disoccupati turchi ammontavano a circa 3 milioni
e mezzo di unità, dando un quadro dell’economia turca piuttosto desolante. La
crisi economica internazionale aveva avuto effetti devastanti sulle esportazioni di
prodotti turchi verso i paesi più industrializzati; le rimesse degli emigranti erano
diminuite notevolmente; il deficit della bilancia dei pagamenti aveva raggiunto,
nel 1977, la cifra di tre miliardi di dollari, mentre il debito estero ammontava a
undici miliardi di dollari. I prezzi del petrolio, cresciuti notevolmente dopo il
1973, costrinsero la Turchia a pagare sempre di più per le proprie importazioni
di greggio, dalle quali l’economia nazionale dipendeva in gran parte. Nonostante
ciò, la CEE rimaneva sempre il principale partner commerciale della Turchia.
Ancora nel 1979, le importazioni dai paesi comunitari rappresentavano circa il
38 percento del totale, mentre Ankara esportava nei paesi dell’Europa occidentale il 50 percento del totale delle esportazioni40.
I rapporti tra Italia e Turchia negli anni Ottanta
Gli anni Ottanta si aprirono in Italia e in Turchia all’insegna di importanti
cambiamenti interni, che ebbero un influsso notevole sulle relazioni internazionali dei due paesi.
In Italia il fenomeno della instabilità politica e sociale era stato esaltato
dall’emergere di un terrorismo, di estrema destra e di estrema sinistra, che, attraverso l’ombra di deviazioni operate da settori delle forze armate e dei servizi
di intelligence, arrivò a mettere in dubbio la sopravvivenza di un intero sistema
politico e istituzionale. L’attacco al cuore di questo sistema si ebbe con il se-
38
39
40
F. taiana, Turchia ed Europa, cit., pp. 278-279.
Ankara e i Nove, in «Relazioni Internazionali», n. 44, 30 ottobre 1976, p. 1049.
F. taiana, Turchia ed Europa, cit., pp. 279-280.
Federico Imperato
532
questro e il successivo assassinio di Aldo Moro, vera figura di riferimento del
sistema politico italiano. Quei 55 giorni, dal 16 marzo al 9 maggio 1978, ebbero
un effetto, sugli ambienti politici e sull’opinione pubblica nazionali, simile a
quello che si era avuto in Italia dopo l’8 settembre 1943, andando a costituire la
prima, forte, spallata a un sistema la cui fine definitiva sarebbe stata posticipata
di circa un decennio. La cosiddetta “linea della fermezza” sostenuta all’unanimità sia dalla Democrazia Cristiana sia dal Partito Comunista era quanto mai un
sintomo di debolezza. Con essa si mirava, almeno in casa democristiana, alla
pura e semplice unità del partito, vista come l’unica, residua, ancora di salvezza:
una elementare condizione di sopravvivenza e, quindi, di conservazione del potere. La “fermezza” serviva, quindi, esclusivamente a tenere insieme l’unità delle
forze politiche italiane, un’unità che racchiudeva un effettivo vuoto di potere statale. In quelle concitate e drammatiche circostanze operava, infatti, in Italia, una
congerie di interferenze e strategie parallele, provenienti dall’inquinato tessuto
connettivo degli apparati politici e burocratici italiani e dalle centrali estere, che
non aveva altro obiettivo che quello di arricchire e consolidare il proprio potere
personale. La tragedia di Moro si presentava, con tutta evidenza, come segnale
decisivo dell’irrompere di una crisi ineludibile e devastatrice del sistema politico
italiano. Nell’immediato, però, il sistema resse, inaugurando, anzi, un decennio di nuova spinta economica all’Italia, che fu una delle ragioni di un maggior
attivismo di Roma in politica estera e di un maggior peso del governo italiano
nell’arena internazionale 41.
Le ragioni di questa maggiore presenza internazionale dell’Italia sono diverse. Il sequestro Moro e la sua tragica fine segnarono anche il punto più alto
dell’offensiva terrorista, incapace di farsi forza popolare e passare, quindi, dall’eversione sociale alla rivoluzione di massa. In maniera del tutto casuale, la fine
di questo fenomeno coincise grosso modo con l’adesione del governo italiano
agli “euromissili”, che, se su un piano interno sancì la fine dei governi di “solidarietà nazionale” tra DC e PCI e il ritorno a coalizioni di centro-sinistra con i
socialisti di Craxi, sempre più lontani dall’unità d’azione con i comunisti, in politica estera significò per l’Italia un rafforzamento della sua posizione all’interno
della NATO. La marginalizzazione del ruolo istituzionale del Partito Comunista
Italiano di Enrico Berlinguer fu sancito anche dalla recrudescenza della contesa
bipolare tra Stati Uniti e Unione Sovietica, di cui furono sintomi importanti,
oltre al dibattito internazionale sul dispiegamento dei già citati “euromissili”,
l’invasione sovietica dell’Afghanistan e il colpo di Stato militare in Polonia. La
reazione statunitense a questa ripresa della “politica di potenza” da parte di Mosca, dopo circa un decennio di distensione, si manifestò con i nuovi orientamenti
41
P. craveri, La Repubblica dal 1958 al 1992, UTET, Torino 1995, pp. 733-746. Sul “caso
Moro” esiste una bibliografia sterminata. Si ricordano, tra gli altri: L. sciascia, L’affaire Moro,
Sellerio, Palermo 1978; S. FlaMiGni, La tela del ragno. Il delitto Moro, Kaos, Milano 1993; A.
GiovaGnoli, Il caso Moro. Una tragedia repubblicana, Il Mulino, Bologna 2005; V. satta, Il
caso Moro e i suoi falsi misteri, Rubbettino, Soveria Mannelli 2006; M. Gotor, Il memoriale
della Repubblica. Gli scritti di Aldo Moro dalla prigionia e l’anatomia del potere italiano,
Einaudi, Torino 2011.
Italia e Turchia tra Europa e Medio Oriente (1969-1993)
533
strategici della Strategic Defense Initiative (SDI), che ebbe ulteriori, importanti,
effetti sulla tendenza alla crisi dell’unanimismo in politica estera e all’approfondimento della distanza tra la sinistra italiana e l’azione governativa.
La politica estera italiana recuperava, quindi, fiducia e attivismo, pur mantenendosi nel solco della continuità con gli orientamenti emersi a partire dalla fondazione della forma repubblicana, nei primissimi anni del secondo dopoguerra.
L’avvento di Ronald Reagan alla presidenza statunitense, che inaugurò una fase
di attivismo e risolutezza nella politica estera di Washington, costrinse il governo
italiano a intraprendere una linea di difficile mediazione tra la necessità di non
mettere in forse la solidarietà con gli Stati Uniti e la perdurante convinzione di
ridare vigore alla distensione internazionale, declinata secondo la definizione di
“pace nella sicurezza”, coniata già nei decenni precedenti. Allo stesso tempo, la
condotta internazionale dell’Italia negli anni Ottanta si caratterizzò per un rinnovato slancio verso l’Europa e a un attivismo notevole in Medio Oriente e nel
Mediterraneo, tutti ambiti in cui si imponeva una politica di confronto e consultazione con la Turchia42.
La situazione nel paese anatolico era, se possibile, ancora più grave che in
Italia e rese necessarie, quindi, soluzioni ancora più drastiche. I problemi che attanagliavano da circa un decennio la Turchia erano comuni a quelli di altri paesi
dell’Europa meridionale. Esisteva, innanzitutto, una notevole instabilità politica.
I governi di coalizione che governarono in Turchia tra il 1973 e il 1980 furono
tutti deboli. La dialettica aspra tra i due maggiori partiti politici turchi, il Partito
della Giustizia (AP) di Suleyman Demirel, e il Partito Popolare Repubblicano
(CHP) di Ecevit, impedì una convergenza nell’unica coalizione che avrebbe portato a una stabile e ampia maggioranza, esaltando, al contrario, l’influenza dei
piccoli gruppi estremisti e una polarizzazione dell’intero quadro politico turco43.
In questo stato di paralisi, fu impossibile la soluzione degli altri due problemi
che doveva fronteggiare la Turchia: la violenza politica e la crisi economica. In
Turchia il fenomeno del terrorismo, di estrema destra e di estrema sinistra, scosse
l’intera società del paese anatolico. Il numero delle vittime della violenza politica
aumentò velocemente: da circa 230 nel 1977 – di cui 39 soltanto durante una
manifestazione del 1° maggio in piazza Taksim a Istanbul – fino a un numero di
morti che va dai 1.200 ai 1.500 due anni dopo. Nell’anno precedente il colpo di
Stato dei militari le vittime furono più di duemila, 35 nella sola antivigilia del
pronunciamento, avvenuto il 12 settembre 1980. Anche l’economia era in una
situazione catastrofica. L’inflazione aveva toccato, in alcune regioni, punte del
104 percento, la disoccupazione era endemica, riguardando circa un quinto della
manodopera. I beni, anche quelli di prima necessità, erano introvabili e il debito
42 Sulla politica estera italiana negli anni Ottanta: E. di nolFo (a cura di), La politica estera
italiana negli anni ottanta, Marsilio, Venezia 2007; L. nuti, La sfida nucleare. La politica estera
italiana e le armi atomiche 1945-1991, Il Mulino, Bologna 2007, pp. 347-393; A. varsori, La
Cenerentola d’Europa? L’Italia e l’integrazione europea dal 1947 a oggi, Rubbettino, Soveria
Mannelli 2010, pp. 331-374.
43 e.j. zürcher, Storia della Turchia, cit., pp. 318-319.
Federico Imperato
534
estero era ormai alle stelle44. In questo stato di cose, il 12 settembre 1980 le forze
armate assunsero il potere, sciogliendo il parlamento, deponendo il governo e
sospendendo tutti i partiti politici e le due confederazioni sindacali radicali, la
socialista DİSK e l’ultra nazionalista MİSK. Il potere delle forze armate portò
ordine nel paese. Il terrorismo fu sconfitto e il dissenso placato. Nel 1982 fu emanata una nuova costituzione, che regolamentava la vita pubblica turca in termini
molto restrittivi, andando a limitare la libertà di stampa, la libertà sindacale, i
diritti e le libertà individuali45.
In economia, il nuovo corso inaugurato dai militari fu improntato a una crescita delle esportazioni e a una graduale liberalizzazione del mercato interno, ottenuta attraverso i tagli ai salari e ai sussidi. Questo, se da un lato, segnò un certo
declino nei rapporti fra Ankara e la Comunità europea, dall’altro instillò nuova
fiducia da parte degli investitori internazionali, che, tramite il Fondo Monetario
Internazionale e l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico,
concessero alla Turchia nuovi fondi e sussidi. In realtà, una prima tranche di aiuti
era stata già concessa al governo di Ankara nel 1979, prima del colpo di Stato,
dando fiducia a Turgut Özal, che, nel gabinetto guidato ancora da Demirel, era
stato l’architetto di un pacchetto di riforme economiche ispirate dal FMI. Questi
fondi provenivano dallo stesso FMI per un ammontare di 300 milioni di dollari.
Altri sussidi provennero dall’OCSE, che concesse ad Ankara un “aiuto di emergenza” ammontante a 906 milioni di dollari, mentre altri crediti vennero concessi
da un consorzio di banchieri internazionali per 400 milioni di dollari e dalla
Banca mondiale per altri 160 milioni46. L’Italia contribuì in maniera importante
all’elargizione di fondi OCSE ad Ankara, collocandosi al terzo posto per consistenza dei contributi, ammontanti a 115 milioni di dollari, dopo gli Stati Uniti e
la Germania occidentale, con 295 milioni di dollari ciascuno, e seguita da Francia, Giappone e Comunità Economica Europea, con 100 milioni di dollari, dalla
Svizzera (37 milioni), dalla Gran Bretagna (33 milioni) e da altri paesi minori47.
Nell’ambito dei rapporti con la Comunità europea, invece, la situazione a cui
si era giunti in Turchia portò alla sospensione del paese anatolico dal Consiglio
d’Europa. I paesi europei erano, forse più degli Stati Uniti di Reagan, particolarmente sensibili agli sviluppi interni in Turchia. Il colpo di Stato, infatti, provocò
nei governi e nell’opinione pubblica europee, se non un’esplicita condanna, un
clima di malumore e di diffidenza che avvelenò parzialmente i rapporti. Conseguenza di ciò fu l’imposizione, da parte dei maggiori paesi europei – con l’eccezione di Italia e Gran Bretagna – dell’obbligo dei visti per i viaggiatori turchi. L’opinione pubblica europea era preoccupata, inoltre, per la mancanza di progressi
nella instaurazione di un governo civile e per gli eccessi compiuti nella lotta al
44
D. viti, La Turchia sotto i militari, in «Relazioni Internazionali», n. 38, 20 settembre 1980,
p. 815.
45
46
47
e.j. zürcher, Storia della Turchia, cit., pp. 340-341.
Il «salvataggio» della Turchia, in “Relazioni Internazionali”, n. 28, 14 luglio 1979, p. 621.
Gli aiuti alla Turchia, in “Relazioni Internazionali”, n. 20, 16 maggio 1981, p. 439.
Italia e Turchia tra Europa e Medio Oriente (1969-1993)
535
terrorismo. Si susseguivano voci e notizie su casi di tortura nelle carceri turche48.
La sospensione della Turchia dal Consiglio d’Europa arrivò nel maggio del 1981,
quando scadde il mandato dei deputati turchi, che, in mancanza di un parlamento
eletto, non poteva essere rinnovato49. In realtà, questo provvedimento non fu formalizzato e lo stesso Consiglio d’Europa, il 28 gennaio 1982, fece parzialmente
marcia indietro. Il testo approvato nella seduta di quella giornata, approvato a
strettissima maggioranza, ammetteva che in Turchia erano stati violati i diritti
umani fondamentali dopo l’avvento della dittatura, riconoscendo, in particolare,
che alcuni prigionieri politici erano stati sottoposti a tortura. Veniva deplorata la
sospensione delle attività parlamentari e lo scioglimento dei partiti politici. Si
deplorava anche che gli stessi partiti fossero stati esclusi dai lavori della Costituente che stava elaborando la nuova legge fondamentale. Veniva riconosciuto,
però, d’altra parte, che la situazione su cui i militari del generale Kenan Evren
erano intervenuti era insostenibile, a causa del terrorismo che dilaniava il paese.
Ciò rendeva un’azione in tal senso quasi obbligata50. Nello stesso periodo, anche
il Parlamento europeo inviò al governo turco, su iniziativa dei gruppi socialista
e comunista, la richiesta di «ristabilire le istituzioni e pratiche democratiche» nel
giro dei due mesi, minacciando, in caso contrario, di sospendere il rapporto di associazione alla CEE,51 che arrivò il 21 gennaio 1982, quando venne ribadita sia la
sospensione del mandato ai deputati di Ankara (esponenti della disciolta Assemblea nazionale turca), sia del rapporto di associazione CEE-Turchia. La stessa
intransigenza si registrò sul problema degli aiuti economici, ai quali i deputati
di Strasburgo rimanevano profondamente ostili52. Anche il governo italiano, che
si pronunciò per bocca del ministro degli Esteri Emilio Colombo, alla Camera
dei Deputati il 3 marzo 1982, mantenne un atteggiamento di fermezza di fronte
alla possibile deriva autoritaria della Turchia. Il governo di Roma non intendeva,
infatti, «fare alcuna concessione sul piano dei principi di fondo della tutela dei
diritti dell’uomo e delle libertà politiche, nonché dell’aspettativa a veder ristabilito al più presto un assetto pienamente democratico e pluralista». Colombo
volle sottolineare, comunque, l’apprezzamento per il senso di ancoraggio alla
Comunità europea che era ancora forte ad Ankara e che poteva essere decisivo
per evitare «laceranti involuzioni sia verso un esasperato nazionalismo, sia verso
una vagheggiata, ma rischiosa, solidarietà islamica»53.
Un altro tema di contrasto tra Turchia e CEE continuava a essere la questione
di Cipro. Dopo l’invasione turca dell’isola, nel 1974, e i conseguenti scontri mi48 P. sorMani, La Turchia dei generali e l’Europa, in “Relazioni Internazionali”, n. 14, 4
aprile 1981, p. 289.
49 id., Sospesa la Turchia dal Consiglio d’Europa, in “Relazioni Internazionali”, n. 21, 23
maggio 1981, p. 465.
50 Europa e Turchia, in “Relazioni Internazionali”, n. 3-4, 6 febbraio 1982, pp. 55-56.
51 Ultimatum di Strasburgo alla Turchia, in “Relazioni Internazionali”, n. 16, 18 aprile 1981,
p. 348.
52 Europa e Turchia, in “Relazioni Internazionali”, cit., p. 56.
53 El Salvador e Turchia nel discorso di Colombo alla Camera dei deputati, in “Relazioni
Internazionali”, n. 10, 13 marzo 1982, p. 189.
Federico Imperato
536
litari, la situazione che regnava de facto vedeva uno stallo fra le due comunità,
quella greco-cipriota, concentrata nella parte meridionale, e quella turco-cipriota,
che abitava la parte settentrionale. Il 15 novembre 1983, l’amministrazione della
zona nord controllata dai turchi dichiarò la propria indipendenza, costituendosi in
Repubblica Turca del Nord Cipro. La condanna dei dieci paesi della Comunità europea fu unanime. Essi si richiamarono alla Risoluzione n. 541/1983 del Consiglio
di Sicurezza, che aveva definito il tentativo di creare una Repubblica Turca del
Nord Cipro come «non valido e peggiorativo della situazione cipriota». La Risoluzione avrebbe dovuto servire, inoltre, da base per la restaurazione dell’integrità
territoriale e dell’unità della repubblica di Cipro. I Dieci lanciarono un appello al
governo turco perché intervenisse sulla questione ed esercitasse la sua influenza
sulla comunità turco-cipriota per farle revocare quella decisione54.
La Comunità europea non fu, quindi, in grado di portare avanti una politica
esclusivamente punitiva nei confronti del nuovo corso inaugurato dal colpo di
Stato militare in Turchia. Un atteggiamento per molti versi ancora più morbido lo
ebbero gli Stati Uniti. Ciò per diverse ragioni. Innanzitutto, la Turchia aveva duemila chilometri di confine comune con l’Unione Sovietica e, in più, il controllo
dello stretto dei Dardanelli, che le dava la possibilità di contrastare l’accesso russo
al Mediterraneo orientale. Già solo questi dati basterebbero a delineare l’importanza strategica che il paese anatolico rivestiva per l’intera Alleanza atlantica55.
Gli Stati Uniti, quindi, non potevano deplorare un colpo di Stato che poteva garantire la pacificazione di un paese e un certo grado di efficienza ritenuti necessari
nella situazione di effervescenza in cui versava il Mediterraneo meridionale e il
Medio Oriente tra la fine degli anni Settanta e i primi anni del decennio successivo56. Il quadro geopolitico internazionale sembrava essere, con l’ingresso del
nuovo decennio, in rapida evoluzione. La politica di distensione internazionale
sembrava essere arrivata alla sua crisi definitiva, dopo aver caratterizzato le relazioni tra USA e URSS per quasi tutti gli anni Settanta, contribuendo a schiarire il
quadro mondiale e ad allentare le relazioni tra i due blocchi contrapposti. Infatti
all’alba degli anni Ottanta, la crisi della distensione, che, tra l’altro, in quei mesi,
giocava le sue ultime carte in Polonia, la guerra tra Iran e Iraq e l’avvento di Reagan alla Casa Bianca erano tutti elementi innovativi, che coinvolgevano direttamente la Turchia. L’aumento della tensione internazionale esaltava, quindi, la sua
importanza strategica. In questo senso, i generali che avevano preso il potere con
il colpo di Stato del 12 settembre 1980 avevano buon gioco nel sottolineare questo aspetto, nello sforzo di assicurarsi aiuti politici ed economici dall’Occidente.
La Turchia, nelle parole dei generali, voleva continuare ad essere un baluardo
contro l’espansionismo sovietico verso il Mediterraneo orientale e il Golfo Persico, rafforzando la sua posizione di anello fondamentale della catena atlantica.
54
Istituto Luigi Sturzo (d’ora in poi ILS), Fondo Giulio Andreotti (d’ora in poi FGA), s.
Europa, b. 363, f. “Lussemburgo 9 aprile 1984”, Declarations des Dix – 27 mars 1984, p. 8.
55 D. viti, La Turchia e gli interessi dell’Occidente, in “Relazioni Internazionali”, n. 9, 3
marzo 1979, p. 182.
56 id., La Turchia sotto i militari, in “Relazioni Internazionali”, cit.
Italia e Turchia tra Europa e Medio Oriente (1969-1993)
537
Questa immagine si intonava perfettamente con la visione di Ronald Reagan, che
non tardò a manifestare il suo appoggio ai generali turchi. All’interno della nuova
amministrazione statunitense, poi, l’amicizia con la Turchia era garantita dalla
presenza del segretario di Stato Alexander Haig, che, al tempo del suo incarico
come comandante supremo della NATO, dal 1974 al 1979, si era battuto, con successo, per favorire la fine dell’embargo delle forniture militari contro la Turchia57.
Negli anni Ottanta, infatti, le principali preoccupazioni per gli Stati Uniti in Medio Oriente furono prima la rivoluzione iraniana e poi la guerra tra lo stesso Iran e
l’Iraq. La Turchia poteva essere, da questo punto di vista, un alleato formidabile
per Washington in quel settore geopolitico. Dal canto suo, anche il governo militare di Ankara guardava con estremo sospetto all’avvento al potere di Khomeini
a Teheran e alla Repubblica islamica instaurata in quel paese, temendo la sua
influenza sui gruppi islamici all’interno della Turchia58.
Tutto questo doveva portare a una intensificazione del commercio di armamenti tra le potenze occidentali e la Turchia, di cui fu protagonista anche l’Italia.
Nell’aprile del 1984, a latere del Consiglio Atlantico di Istanbul, il ministro della
Difesa italiano Giovanni Spadolini ebbe uno scambio di vedute sulle prospettive
della cooperazione bilaterale nel settore della difesa con il suo omologo turco,
Zeki Yavuztürk, che portò, alcuni giorni dopo, il 9 maggio, ad un negoziato per la
fornitura alla Turchia di 52 aerei da trasporto militare Alenia G222 a condizioni
che prevedevano un certo numero di agevolazioni creditizie59.
L’arrivo di Giulio Andreotti60 alla guida del Ministero degli Affari Esteri, a
partire dal 1983, rinsaldò le tradizionali convergenze tra Italia e Turchia sui temi
delle relazioni bilaterali, della politica mediterranea e in ambito comunitario. In
particolare, alla metà degli anni Ottanta, il Mediterraneo era tornato ad essere
un’area di grande instabilità internazionale, a causa, soprattutto, dell’azione della
Libia di Gheddafi, che costituiva, insieme all’OLP e, in misura minore, alla Siria, uno dei punti di snodo della spirale terroristica61. Il problema del terrorismo
57
P. sorMani, La Turchia dei generali e l’Europa, in “Relazioni Internazionali”, cit.
e.j. zürcher, Storia della Turchia, cit., p. 394.
59
l.v. Ferraris (a cura di), Manuale della politica estera italiana, cit., pp. 452-453.
60 Su Giulio Andreotti si veda: G.
roMeo, La politica estera italiana nell’era Andreotti
(1972-1992), Rubbettino, Soveria Mannelli 2000; N. tranFaGlia, La sentenza Andreotti. Politica,
mafia e giustizia nell’Italia contemporanea, Garzanti, Milano 2001; G. Galli, Il prezzo della
democrazia. La carriera politica di Giulio Andreotti, Kaos, Milano 2003; M. Franco, Andreotti.
La vita di un uomo politico, la storia di un’epoca, Mondadori, Milano 2008; M. Barone, e. di
nolFo (a cura di), Giulio Andreotti. L’uomo, il cattolico, lo statista, Rubbettino, Soveria Mannelli
2010; A. varsori, L’Italia e la fine della guerra fredda. La politica estera dei governi Andreotti
(1989-1992), Il Mulino, Bologna 2013; L. riccardi, L’ultima politica estera. L’Italia e il Medio
Oriente alla fine della Prima Repubblica, Rubbettino, Soveria Mannelli 2014; p. Gheda, F.
roBBe, Andreotti e l’Italia di confine. Lotta politica e nazionalizzazione delle masse (1947-1954),
Guerini e Associati, Milano 2015; L. Monzali, Giulio Andreotti e le relazioni italo-austriache
1972-1992, Alpha & Beta, Merano 2016.
61
Sulla Libia di Gheddafi: M. cricco, Il petrolio dei Senussi. Stati Uniti e Gran Bretagna
in Libia dall’indipendenza a Gheddafi (1949-1973), Polistampa, Firenze 2002; A. del Boca,
Gheddafi. Una sfida dal deserto, Laterza, Bari-Roma 2010; M. cricco, F. cresti, Gheddafi. I
58
538
Federico Imperato
internazionale venne affrontato di petto dall’amministrazione Reagan, con pressioni e rappresaglie nei confronti della Libia, cui l’Italia partecipò, nonostante
la tradizionale linea filoaraba. La risolutezza nella lotta al terrorismo praticata
dall’amministrazione Reagan portò ad un coinvolgimento diretto dell’Italia, che
forniva alla NATO e alla Sesta Flotta USA le basi aeree e navali per compiere
le incursioni contro il territorio libico. Il governo di Roma si impegnò, in realtà,
con un approccio in parte diverso: subendo e mediando, in modo da evitare, per
quanto fosse possibile, il peggio. In questo senso, il governo Craxi trovò il pieno
sostegno della Turchia. Durante i colloqui tenuti da Andreotti ad Ankara, nel
corso di una visita svoltasi alla fine di gennaio 1986, venne ribadita una convergenza di vedute nel non sostenere le sanzioni contro la Libia, ritenute di dubbio
effetto. Sul tema dell’ingresso della Turchia nella CEE, Andreotti rinnovò al governo turco il sostegno italiano in tal senso, mentre, sul piano bilaterale, venne
firmato, il 2 ottobre 1986, un accordo per la cooperazione nel campo della criminalità organizzata del traffico di droga e del terrorismo, che prevedeva riunioni
semestrali e la costituzione di sottocommissioni di esperti62.
Nell’aprile 1987, la Turchia chiese in maniera ufficiale di entrare a far parte
a pieno titolo della CEE. La risposta europea fu di rifiuto, senza voler, tuttavia,
chiudere del tutto la porta. A questo proposito, la CEE offriva, al posto dell’adesione a tutti gli effetti, la sola unione doganale. I negoziati, in tal senso, procedettero in modo lento e con difficoltà, in quanto l’Unione europea chiedeva l’osservanza totale delle norme europee sulla proprietà intellettuale, i cartelli e il libero
commercio, mentre, dal canto suo, la Turchia chiedeva un’indennità finanziaria.
Il governo italiano ribadì, in occasione della visita del primo ministro turco Turgut Özal a Roma del 5 e 6 ottobre 1988, il pieno sostegno all’ingresso della
Turchia nella CEE, nei cui confronti non esisteva alcuna pregiudiziale di carattere politico ed economico e la sua disponibilità per la messa in atto di politiche
che facilitassero la coesione della Turchia con la Comunità. In questo senso, gli
stravolgimenti del sistema internazionale scoppiati tra la fine degli anni Ottanta
e l’inizio del decennio successivo lasciarono sperare in una possibilità di speciale collaborazione tra Italia e Turchia all’interno della Comunità, sia in vista
della creazione di un asse mediterraneo che bilanciasse l’asse settentrionale dopo
l’unificazione della Germania, sia in funzione della protezione dalla pressione
demografica proveniente dalla sponda meridionale del Mediterraneo, percepita
come una minaccia. Tuttavia, la difficile situazione del rispetto dei diritti umani
in Turchia, soprattutto nei confronti della minoranza curda, e una nuova fase
di recessione dell’economia turca posticiparono la partecipazione della Turchia
all’unione doganale fino al 199563.
volti del potere, Carocci, Roma 2011; F. cresti, M. cricco, Storia della Libia contemporanea.
Dal dominio ottomano alla morte di Gheddafi, Carocci, Roma 2012.
62 l.v. Ferraris (a cura di), Manuale della politica estera italiana, cit., p. 453.
63 Ibidem.