dizionario
biografico
degli italiani
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roma
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ISTITUTO DELLA ENCICLOPEDIA ITALIANA
FONDATA DA GIOVANNI TRECCANI S.p.A.
2019
ISBN 978-88-12-00032-6
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Stamperia Artistica Nazionale S.p.A. - Trofarello (Torino)
2019
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dizionario
biografico
degli italiani
XCV
TARANTO - TOGNI
Il volume è stato chiuso in redazione nel mese di giugno 2019.
TITO
Morì a Firenze il 10 agosto 1627, apparentemente di pleurite, e fu seppellito nella
basilica della Ss. Annunziata (Moücke,
1754, p. 123; Lecchini Giovannoni, 1986,
p. 176).
Secondo Filippo Baldinucci (16811728, 1846), il quale lo menziona brevemente tra gli allievi di Santi, Tiberio «molto s’impegnò in far ritratti de’ serenissimi
principi e d’altri, ed ebbe per suo proprio
genio il far piccolissimi ritrattini in rame
di dame e cavalieri» (p. 553), molto apprezzati e collezionati tra gli altri dal cardinale Leopoldo de’ Medici; non sono state tuttavia identificate opere di piccolo formato su rame che possano essere attribuite
a lui con sicurezza. Non sono state sinora
rintracciate neppure le «operette di propria invenzione, cavate dale storie sacre»,
nelle quali egli era apparentemente molto
versato, ma cui non sarebbe riuscito a dedicarsi con costanza a causa delle pressanti
richieste del padre (Moücke, 1754, p.
121). Proprio la stretta collaborazione tra
padre e figlio rende arduo ricostruire la
carriera di Tiberio e riconoscerne la mano
nelle opere prodotte dalla bottega paterna.
Non stupisce, quindi, che il suo catalogo
sia oggetto di discussioni e frequenti ripensamenti; in particolare, numerose attribuzioni avanzate in passato (si vedano
soprattutto Paulussen, 1980, e Lecchini
Giovannoni, 1986) sono state recentemente riconsiderate su basi stilistiche e documentarie, e numerose opere in precedenza
assegnate a Tiberio, soprattutto ritratti,
sono ora attribuite a Santi di Tito, Cristofano Allori, Jacopo Ligozzi, Francesco
Bianchi Buonavita, Domenico e Valore
Casini, Filippo Furini (Goldenberg Stoppato, 2004, pp. 170 e 174; Ead., 2016, p.
192, nota 12; Bastogi, 2017, p. 402; Goldenberg Stoppato, 2017).
Fonti e Bibl.: Bia-The Medici Archive Project
(www.medici.org), nn. ID 19250, 19252 e 18215.
F. Baldinucci, Notizie de’ professori del disegno
da Cimabue in qua (1681-1728), a cura di F. Ranalli, II, Firenze 1846, pp. 553 s.; F. Moücke, Serie di ritratti degli eccellenti pittori dipinti di propria
mano che esistono nell’Imperial Galleria di Firenze,
II, Firenze 1754, pp. 121-123; A. Petrioli Tofani,
Esequie di Filippo II di Spagna - 1598, in Feste e
apparati medicei da Cosimo I a Cosimo II, a cura
di G. Gaeta Bertelà - A. Petrioli Tofani, Firenze
1969, pp. 89-95; A.W. Vliegenthart, De Galleria
Buonarroti: Michelangelo en Michelangelo il Giovane, Rotterdam 1969, pp. 166-168; G. Corti, Notizie inedite sui pittori fiorentini Carlo Portelli, Maso
da San Friano, T. T., Francesco Furini, Fabrizio
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e Francesco Boschi, Giovanni Rosi, in Paragone.
Arte, XXVIII (1977), 331, p. 55; I.M.J. Paulussen, T. T., ritrattista dei Medici, in Mededelingen
van het Nederlands Instituut te Rome, XLII (1980),
pp. 101-128; S. Lecchini Giovannoni, T. T., in
Il Seicento fiorentino. Arte a Firenze da Ferdinando
I a Cosimo III. Biografie, a cura di G. Guidi, Firenze 1986, pp. 176 s.; R. Piccinelli, Le collezioni
Gonzaga. Il carteggio tra Firenze e Mantova (15541626), Cinisello Balsamo 2000, s.v.; J. Brooks,
Santi di Tito’s studio: the contents of his house and
workshop in 1603, in The Burlington Magazine,
CXLIV (2002), pp. 279-288; L. Goldenberg Stoppato, Per Domenico e Valore Casini, ritrattisti fiorentini, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, XLVIII (2004), pp. 165-210
(in partic. pp. 170, 174); R. Mattatelli, La casa di
Santi di Tito in via delle Ruote. Dimensione abitativa, arte e vita quotidiana di un artista a Firenze
tra XVI e XVII secolo, in Bollettino della Società
di studi fiorentini, XXII (2013), pp. 344-355; L.
Goldenberg Stoppato, A grand duchess and her
painters as matchmakers: Maria Magdalena of Austria, T. T., Giusto Suttermans and the betrothal of
empress Eleonora Gonzaga, in The Grand Ducal
Medici and their archive, a cura di A. Assonitis - B.
Sandberg, Londra-Turnhout 2016, pp. 175-184,
192; N. Bastogi, Santi di Tito, in Dizionario biografico degli Italiani, XC, Roma 2017, pp. 396402; L. Goldenberg Stoppato, Appunti ‘fiorentini’
per il corpus della ritrattistica degli Orsini, in Gli
Orsini e i Savelli nella Roma dei papi. Arte e mecenatismo di antichi casati dal feudo alle corti barocche
europee, a cura di C. Mazzetti di Pietralata - A.
Amendola, Roma 2017, pp. 324 s.
BARBARA FURLOTTI
TITO, Ettore. ‒ Nacque il 17 dicembre
1859 a Castellammare di Stabia (Napoli),
figlio primogenito di Ubaldo Pietro, pugliese, comandante della Marina mercantile, e di Luigina Novello, veneziana.
Dopo un breve soggiorno a Milano la famiglia si trasferì definitivamente a Venezia. A soli dodici anni venne ammesso
all’Accademia di belle arti della città lagunare grazie alle notevoli abilità espresse nel
disegno. Nel 1876 terminò brillantemente
i cinque anni di alunnato, nel corso dei
quali vinse molti premi. Il cartone con la
composizione storica La presa del castello
d’Arezzo da parte del duca Valentino fu
esposto nelle vetrine dello studio fotografico di Carlo Naya in piazza S. Marco e citato da Pompeo Gherardo Molmenti nel
periodico L’illustrazione italiana (Mazzanti, in Ettore Tito, 1998, p. 96).
Dal 1886 cominciò a partecipare a diverse mostre all’estero, girando per tutta Europa e in particolare in Germania, Austria,
Francia e Gran Bretagna. A Londra risiedette per lungo tempo, e lì, oltre che nella vendita di dipinti, fu impegnato come
TITO
illustratore di riviste e volumi quali la lussuosa guida di Venezia scritta da Henry
Perl e pubblicata nel 1894 (Mazzanti,
2004, p. 422).
Nel 1887 si presentò al grande pubblico
italiano partecipando all’Esposizione nazionale artistica di Venezia con l’opera Pescheria vecchia, e vincendo. Il dipinto, oggi
disperso, ma noto attraverso alcune riproduzioni fotografiche, era un classico esempio di pittura ‘del vero’, allora praticata anche da altri pittori veneziani come Alessandro Milesi, Luigi Nono, Vittorio Emanuele Bressanin e Pietro Fragiacomo (Ettore Tito, 1998, pp. 200 s.).
Nel 1895 diventò professore di figura
all’Accademia di belle arti di Venezia, incarico che mantenne ininterrottamente per
più di trent’anni (Poletto, 2016). Nello
stesso 1895 s’inaugurò l’Esposizione internazionale d’arte della città di Venezia (la
prima Biennale) e Tito, oltre che appartenere al comitato ordinatore, presentò due
opere, La fortuna e Processione. Tale evento
lo mise in contatto con i più importanti artisti europei: Anders Zorn, Albert Besnard,
Joaquín Sorolla, John Singer Sargent,
Franz von Stuck e Giovanni Boldini. Spesso furono ospitati a palazzetto Tito a S.
Barnaba o nelle fastose residenze di ricchi
collezionisti, come palazzo Barbaro sul Canal Grande, abitazione della famiglia Curtis e, per un periodo, casa della collezionista
americana Isabella Stewart Gardner.
Alla seconda Biennale di Venezia del
1897 Tito vinse il primo premio (ex aequo
con Milesi) con l’opera Sulla laguna, acquistata per la nascente Galleria internazionale d’arte moderna di Venezia (Museo
di Ca’ Pesaro, Venezia).
Nel 1900 venne invitato tra gli artisti italiani all’Esposizione universale di Parigi. In
quest’occasione vinse la medaglia d’oro, fu
insignito di molte onorificenze tra cui la Legione d’onore, e l’opera Chioggia fu acquistata per i musei statali francesi (oggi nelle
collezioni del Musée d’Orsay a Parigi).
Nel medesimo anno sposò Lucia Velluti, una ragazza di diciotto anni più giovane
di lui, figlia di proprietari terrieri della Riviera del Brenta, che conobbe durante un
soggiorno in Cadore.
Nel 1901, oltre a esporre alla Biennale
un dipinto titolato Sorgente, un’altra versione di Pescheria e una statua, fu membro
della giuria di accettazione.
La sua arte cominciò a essere influenzata
dal simbolismo, soprattutto di ambito tedesco, di Max Klinger e di von Stuck, e poi
dagli esempi dei maestri veneziani del passato, in particolare Giambattista Tiepolo.
Nei suoi quadri iniziarono a emergere riferimenti all’antico come Veneri e amorini,
centauri, sirene, ninfe e composizioni allegoriche. Eccone alcuni esempi: La nascita
di Venere, del 1903 (Museo di Ca’ Pesaro,
Venezia), Baccanale, del 1906 (Galleria
d’arte moderna, Milano), Amore e le Parche (Galleria nazionale d’arte moderna,
Roma), Il bagno, del 1909 (Musée d’Orsay,
Parigi) e Le ninfe, del 1911 (Galleria d’arte
moderna Ricci Oddi, Piacenza).
Dal punto di vista formale la sua tavolozza si fece sempre più ricca e la pennellata più libera, probabilmente per influenza dell’impressionismo francese. Grande
successo ebbero anche i suoi eleganti ritratti, molto vicini allo stile internazionale
di Boldini e di Sargent: L’Amazzone, del
1906 (Raccolte Frugone, Musei di Genova), La contessa Malacrida (Museo di Ca’
Pesaro, Venezia).
Dal 1903 fu membro della commissione
per la salvaguardia dei monumenti di Venezia (incarico che mantenne per trent’anni) e
nel 1905 venne altresì nominato membro
dell’Accademia di S. Luca di Roma.
In questo periodo, realizzando i ritratti
a tutta la famiglia di Giuseppe Volpi, divenne amico di quest’ultimo; il rapporto
umano e lavorativo con il ricco imprenditore veneziano durò per tutta la loro vita.
Nel 1911 Roma fu sede di grandi festeggiamenti per il cinquantesimo dell’Unità
d’Italia e l’evento principale fu l’Esposizione internazionale, tenutasi in una serie
di padiglioni nazionali e regionali. L’edificio dedicato al Veneto fu uno dei più imponenti, poiché ripropose, a grandezza naturale, diversi palazzi rinascimentali veneziani. Tito venne invitato con sette quadri,
tra cui il grande dipinto di forma circolare
(400 cm di diametro) collocato al centro
del soffitto della sala della Gloria di Venezia, con il tema L’Italia erede e custode dei
tesori marittimi di Venezia, in seguito donato dall’artista al Museo di Ca’ Pesaro
(Ettore Tito, 1998, pp. 209 s.).
Nel 1915, data l’imminenza del conflitto
mondiale e ritenendo Venezia un luogo
poco sicuro, Tito si trasferì con la moglie
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TITO
e i figli a Roma, dove ottenne molte commissioni; la più importante fu il ciclo d’affreschi di villa Berlinghieri (oggi ambasciata dell’Arabia Saudita).
Nel 1919 Ugo Ojetti presentò nella galleria Pesaro di Milano la più grande mostra personale di Tito (63 opere) al di fuori degli spazi della Biennale di Venezia.
L’esposizione ottenne un successo tale che
nello stesso anno l’Autoritratto entrò a far
parte della collezione del corridoio vasariano degli Uffizi.
Nel 1929 l’artista fu nominato accademico d’Italia e gli venne offerto di realizzare la decorazione del soffitto della chiesa
di S. Maria di Nazareth (chiesa degli Scalzi) a Venezia, anticamente decorato dall’affresco di Tiepolo, ma distrutto da una
bomba della prima guerra mondiale. Tito
cercò di sottrarsi all’inevitabile confronto
con il grande maestro del Settecento veneziano cambiando il soggetto dell’opera:
non ripropose il Trasporto della Santa Casa di Loreto, ma optò per la Gloria di Maria
trionfante sull’eresia di Nestorio dopo il
trionfo del Concilio di Efeso. L’opera fu realizzata su un’imponente tela di 100 metri
quadrati, per lo spazio principale, mentre
i sei pennacchi laterali ad affresco vennero
dipinti dal figlio di Ettore, Luigi (v. la voce
in questo Dizionario), anche lui pittore, e
da Giovanni Majoli (Pajusco, 2014).
Nel 1936 alla XX Biennale venne dedicata a Tito l’ultima mostra personale, impreziosita da un allestimento di stoffe di
Mariano Fortuny. Nel 1940 ci fu la sua
estrema partecipazione all’esposizione lagunare, con un quadro simbolico per la sua
carriera: I maestri veneziani.
Oltre all’illustrazione, alla pittura e alla
scultura Tito si dedicò alla composizione
musicale. Per esempio, nel gennaio del 1937
scrisse le musiche per la serata inaugurale
del circolo artistico di Venezia, svoltasi nelle
sale del liceo musicale Benedetto Marcello.
Il perdurare di un certo gusto collezionistico tardo-ottocentesco segnò il successo di pubblico e di vendite a favore di Tito:
sue opere furono acquistate, negli anni,
per le più importanti raccolte d’arte pubbliche e private, in Italia e all’estero.
Morì il 26 giugno 1941 nella casa di S.
Barnaba a Venezia. Le sue spoglie riposano in una cappella privata della chiesa degli Scalzi, sotto il più monumentale dei
suoi lavori.
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Nel 1945 Domenico Varagnolo, poeta,
commediografo e amico del pittore, redasse l’ultima storica monografia sull’artista.
Al testo della commemorazione pubblica,
tenuta da Luigi Marangoni nell’ottobre
del 1941 nella Scuola grande di San Giovanni Evangelista, Varagnolo unì un ricco
apparato documentario e illustrativo che
trasse dall’Archivio della Biennale, di cui
era conservatore (Marangoni, 1945, p. 28).
Nel 1998 la Fondazione Giorgio Cini dedicò a Tito una grande mostra retrospettiva, il cui catalogo presenta un ricco apparato critico curato da Anna Mazzanti.
L’archivio della famiglia Tito è ancora
oggi conservato nelle residenze storiche
dell’artista tra Venezia e Dolo.
Fonti e Bibl.: H. Perl, Venezia, London 1894;
V. Pica, E. T., Bergamo 1912; I. Neri, E. T., Bergamo 1916; U. Ojetti, Mostra individuale di E. T.,
Milano 1919; F. Sapori, E. T. pittore, Torino
1919; A.M. Comanducci, I pittori italiani dell’Ottocento. Dizionario critico e documentario, Milano
1934, pp. 731 s.; L. Marangoni, E. T., Venezia
1945; G. Perocco, E. T., 1859-1941, Milano 1960;
S. Scarpa, Il soffitto della chiesa degli Scalzi a Venezia, in Arte documento, 1991, n. 5, pp. 238-243;
A. Tiddia, E. T., in La pittura in Italia. L’Ottocento, a cura di E. Castelnuovo, II, Milano 1991,
p. 1040; P. Pistellato, E. T., in La pittura in Italia.
Il Novecento, 1900-1945, a cura di C. Pirovano,
II, Milano 1992, p. 1091; A. Mazzanti, La dimora
di E. T. Studi in Toscana, in Artista, 1993, pp.
96-127; Ead., La maturità di E. T. (1920-1941),
in Venezia Arti, IX (1995), pp. 97-104; E. T.,
1859-1941. Archivi della pittura veneziana (catal.,
Venezia), a cura di A. Bettagno, Milano 1998 (in
partic. A. Mazzanti, Biografia, pp. 96-101); A.
Mazzanti, E. T., in La pittura nel Veneto. L’Ottocento, II, a cura di G. Pavanello, Milano 2003,
pp. 830 s.; Omaggio ai Tito, I, Opere scelte di E.
T. (catal., Stra), a cura di F. Luser - M. Mazzato,
Dolo-Trieste 2003; A. Mazzanti, E. T., in Ottocento veneto. Il trionfo del colore (catal.), a cura di
G. Pavanello - N. Stringa, Treviso 2004, pp. 422424; M. Piccolo, E. T., in La pittura nel Veneto.
Il Novecento. Dizionario degli artisti, a cura di N.
Stringa, Milano 2009, pp. 448 s.; V. Pajusco, E.
T. e il nuovo soffitto degli Scalzi, in La chiesa di
Santa Maria di Nazareth e la spiritualità dei carmelitani scalzi a Venezia, a cura di G. Bettini M. Frank, Venezia 2014, pp. 209-218; L. Poletto,
Le scuole di pittura e decorazione del primo Novecento, in L’Accademia di belle arti di Venezia, a
cura di S. Salvagnini, I, Crocetta del Montello
2016, pp. 51-72.
VITTORIO PAJUSCO
TITO, Luigi (Gigetto). ‒ Nacque a Dolo, Venezia, il 6 dicembre 1907, secondogenito di Ettore (v. la voce in questo Dizionario), celebre pittore veneziano, e di Lucia
Velluti, figlia di possidenti terrieri nella zona della Riviera del Brenta.
TITTA
A quindici anni entrò all’Accademia di
belle arti di Venezia sotto la guida del padre, maestro di pittura. Nel 1926 esordì artisticamente partecipando alla Mostra della
Società degli amatori e cultori di belle arti
di Roma con un grande ritratto a figura intera dell’amico scultore Toni Lucarda (collezione Lucarda-Grimani, Venezia). Nel
1927 realizzò una pala d’altare per la chiesa
veneziana di S. Maria dei Carmini. Dopo
aver assolto gli obblighi di leva cominciò ad
aiutare il padre Ettore nella progettazione
e poi nella realizzazione della decorazione
della volta della chiesa degli Scalzi. Il lavoro al soffitto si protrasse per alcuni anni,
durante i quali Luigi ebbe modo di perfezionarsi anche nella tecnica dell’affresco
grazie all’aiuto del pittore Giovanni Majoli
(Pajusco, 2014, pp. 213-215).
Partì per un viaggio di formazione in Europa alla scoperta dei grandi artisti del passato ricercandoli nei musei francesi, olandesi e belgi. All’inizio del 1935, a Sanremo,
partecipò a una mostra di bozzetti, e a maggio fu ammesso alla mostra celebrativa dei
quarant’anni della Biennale con cinque dipinti e sette acqueforti. Tra le cinque opere
di pittura il Ritratto del pittore Cagnaccio di
San Pietro (Galleria internazionale d’arte
moderna di Ca’ Pesaro, Venezia) dimostrò
pubblicamente la raggiunta maturità artistica e il definitivo distacco di Luigi dai
modi pittorici del padre. Nel 1936 partecipò per la prima volta a una delle mostre
collettive della Fondazione Bevilacqua La
Masa e, nello stesso anno, espose alla Biennale di Venezia, dove tornò nelle due edizioni successive, del 1938 e del 1940.
L’amicizia e la stima dello scultore Arturo Martini lo portarono a seguire le lezioni che il vecchio maestro tenne durante
la seconda guerra mondiale all’Accademia
di Venezia, fino a cimentarsi lui stesso con
le tecniche plastiche.
Dal 1943 entrò nelle brigate partigiane,
redasse documenti falsi utili alla Resistenza, e per questo venne ricercato dalla polizia nazifascista, ma riuscì a salvarsi nascondendosi per un lungo periodo nella casa dell’amico Cagnaccio di San Pietro. Al
termine della guerra continuò il suo attivismo politico all’interno del partito della
Democrazia cristiana.
Nel 1947 sposò Anna Maria Velluti, che
lo convinse lentamente al ritorno alla pittura. I drammi della guerra furono tra i
soggetti ricorrenti della pittura di Tito nel
secondo Novecento, realizzati con uno stile espressivo affine alle Pitture nere di
Francisco Goya. In questi anni Tito si cimentò anche nel mosaico parietale, realizzando un Figliol prodigo per la chiesa di
Col de Draga presso Possagno e partecipando alla progettazione di un’analoga
opera per la chiesa di Gesù Lavoratore a
Marghera (Piccolo, 2009, p. 450).
Viste le sue indubbie capacità nella pittura di figura, e in particolare nel genere
del ritratto, nel 1962 l’Accademia di belle
arti di Venezia lo nominò insegnante della
scuola libera del nudo, incarico che mantenne fino al suo congedo nel 1978.
Nel 1977 una grande mostra antologica al
Centro d’arte S. Vidal di Venezia lo fece riscoprire al grande pubblico. Negli anni Ottanta molti furono gli eventi espositivi che
gli furono dedicati in varie città d’Italia.
Morì a Venezia il 23 aprile 1991.
Nel 2007 il Museo d’arte di Rovereto
(MART) gli ha dedicato un’importante
mostra retrospettiva.
Fonti e Bibl.: R. Tassi, L. T. (catal., Venezia),
Bologna 1987; E. Castellan, L. T., in La pittura
in Italia. Il Novecento, 1900-1945, a cura di C. Pirovano, II, Milano 1992, pp. 1091 s.; E. Castellan,
L. T., in La pittura in Italia. Il Novecento, 19451990, a cura di C. Pirovano, II, Milano 1993, pp.
886 s.; Gli anni della Resistenza. L. T. (catal.), a
cura di M. De Micheli, Padova 1997; Omaggio ai
Tito, II, Opere scelte di L. T. (catal., Stra), a cura
di F. Luser - M. Mazzato, Dolo-Trieste 2003; C.
Sant, L. T., in Venezia ’900, da Boccioni a Vedova,
a cura di N. Stringa (catal., Treviso), Venezia
2006, pp. 381 s.; L. T. (1907-1991), a cura di F.
Luser - M. de Pilati (catal., Rovereto), Trento
2007; M. Piccolo, L. T., in La pittura nel Veneto.
Il Novecento. Dizionario degli artisti, a cura di N.
Stringa, Milano 2009, pp. 449 s.; V. Pajusco, Ettore Tito e il nuovo soffitto degli Scalzi, in La chiesa
di Santa Maria di Nazareth e la spiritualità dei
carmelitani scalzi a Venezia, a cura di G. Bettini
- M. Frank, Venezia 2014, pp. 209-218.
VITTORIO PAJUSCO
TITTA, Ruffo Cafiero, detto Titta
Ruffo. – Nacque a Pisa il 9 giugno 1877, da
Oreste Titta e da Amabile Sequenza, che
vivevano al n. 19 di via Carraia.
La famiglia, proveniente da Gombitelli,
frazione di Camaiore nelle Alpi Apuane,
era di fede socialista: il che spiega la scelta
del secondo appellativo imposto al figlio.
Quanto al primo, il padre, capo-officina
presso la fonderia Bederlunger, nonostante la contrarietà della madre, scelse il nome
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