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Atti della Rassegna PACE E DIRITTI UMANI NEL MEDITERRANEO

2019, PACE E DIRITTI UMANI NEL MEDITERRANEO. Migranti, rifugiati e richiedenti asilo. Migranti, rifugiati e richiedenti asilo

https://doi.org/10.1285/i97888830511586

Il 15 novembre 2018, presso l'ex convento degli Olivetani dell'Università del Salento, si è tenuto un seminario intitolato Pace e diritti umani nel mediterraneo con la partecipazione del Direttore dell'Ufficio del Sud Europa dell'UNHCR, Avv. Pedro Felipe Camargo e di diversi docenti dell'Università del Salento (Fabio Pollice, Vitantonio Gioia, Attilio Pisanò, Gigi Perrone, Giuseppe Gioffredi). Il seminario, organizzato dal Centro Culturale San Martino, dai Corsi di Laurea di Scienze Politiche e dell'International Center of Interdisciplinary Studies on Migration (ICISMI), è stato l'evento conclusivo della seconda edizione di incontri d'autunno che hanno avuto come tema l'Umanesimo della solidarietà che si sono svolti, tra Taviano e Lecce, durante il 2018. In particolare, il seminario del 15 novembre ha rappresentato una tappa importante del Progetto Pace e diritti umani nel Mediterraneo. Migranti, rifugiati e richiedenti asilo, promosso dal Centro San Martino con il partenariato della Regione Puglia, del Comune di Taviano, dell'Istituto comprensivo di Taviano, dell'Istituto comprensivo di Racale, del Centro di accoglienza "Agapolis" di Gallipoli e dell'Università del Salento, ma anche con la testimonianza di operatori e richiedenti asilo ospiti della Comunità Emmanuel. Da settembre a dicembre 2018, difatti, sono stati organizzati alcuni incontri a Taviano, Racale, Lecce su temi legati alle migrazioni per riflettere su accoglienza, inclusione, sviluppo umano sostenibile in un'ottica di convivialità delle differenze. La partecipazione, al seminario del 15 novembre, del Direttore dell'Ufficio di Rappresentanza Regionale per i Paesi del Sud Europa, Felipe Camargo, su invito del Centro Culturale San Martino, è stata la dimostrazione della rilevanza del progetto che ha portato il Direttore Camargo ad incontrare, in due occasioni diverse, ma collegate (Taviano, 14 Novembre 2018 e Lecce 15 Novembre 2018), gli amministratori locali, gli alunni delle scuole e i cittadini di Taviano e Racale, ma anche gli studenti e alcuni docenti dell'Università del Salento. Da questa esperienza collettiva che intreccia università, scuola, associazionismo, istituzioni nasce il volume che oggi si pubblica e che prende il nome proprio dall'evento conclusivo di questa serie di seminari.

Atti della Rassegna PACE E DIRITTI UMANI NEL MEDITERRANEO. Migranti, rifugiati e richiedenti asilo a cura di GIOIA V. , PISANÒ A. , SPIRI S. 2019 Comitato scientifico VITANTONIO GIOIA ATTILIO PISANÒ SILVIO SPIRI I contributi presenti nel presente volume sono stati sottoposti al processo di peer-review © 2019 Università del Salento eISBN 978-88-8305-158-6 (electronic version) DOI Code: 10.1285/i97888830511586 http://siba-ese.unisalento.it INDICE INTRODUZIONE ...................................................................................................................... p. 1 SILVIO SPIRI Per un umanesimo della solidarietà. La sfida delle migrazioni e lo sviluppo umano sostenibile. ............................................................................................. p. 7 ATTILIO PISANÒ Il Leviatano è ancora vivo. Migrazioni e Human Rights Gap, movendo da Hannah Arendt ............................................................................................. p. 41 ROBERTO TANISI Il diritto di migrare: ragioni umanitarie e illeciti penali ................................................... p. 61 GIUSEPPE GIOFFREDI Immigrazione, diritto d’asilo e ruolo dell’UNHCR. Scritto in ricordo del seminario leccese di Pedro Felipe Camargo ................................................................ p. 95 LUIGI PERRONE Migrazioni tra reale e immaginario collettivo. ................................................................... p. 113 NUNZIO MASTROROCCO, ELISA CALÒ Il movimento migratorio in Puglia: policy e flussi .............................................................. p. 127 MAURO SPEDICATI La gestione del fenomeno migratorio in Puglia: strumenti normativi e strategie politiche .............................................................................................................. p. 161 STEFANIA ATTOLINI Le fake news e gli hate speeches in rete nell’ordinamento europeo e internazionale in relazione all’inclusione sociale dei migranti ........................................ p. 173 CLAUDIA MORINI Il Forum europeo della migrazione: brevi osservazioni ..................................................... p. 193 SIMONE DE MICHELE La tutela dell’interesse legittimo al visto ed il diritto di migrare ........................................ p. 201 LUCA DE SANTIS Crisi immigratoria: limite confine e tolleranza. ................................................................... p. 221 STEFANIA MANZO Per altre vie, per altri porti! Noi e gli altri. Da noi; tra paure ed empatia, l’ancora della cultura. ...................................................................................... p. 227 INTRODUZIONE Il 15 novembre 2018, presso l’ex convento degli Olivetani dell’Università del Salento, si è tenuto un seminario intitolato Pace e diritti umani nel mediterraneo con la partecipazione del Direttore dell’Ufficio del Sud Europa dell’UNHCR, Avv. Pedro Felipe Camargo e di diversi docenti dell’Università del Salento (Fabio Pollice, Vitantonio Gioia, Attilio Pisanò, Gigi Perrone, Giuseppe Gioffredi). Il seminario, organizzato dal Centro Culturale San Martino, dai Corsi di Laurea di Scienze Politiche e dell’International Center of Interdisciplinary Studies on Migration (ICISMI), è stato l’evento conclusivo della seconda edizione di incontri d’autunno che hanno avuto come tema l’Umanesimo della solidarietà che si sono svolti, tra Taviano e Lecce, durante il 2018. In particolare, il seminario del 15 novembre ha rappresentato una tappa importante del Progetto Pace e diritti umani nel Mediterraneo. Migranti, rifugiati e richiedenti asilo, promosso dal Centro San Martino con il partenariato della Regione Puglia, del Comune di Taviano, dell’Istituto comprensivo di Taviano, dell’Istituto comprensivo di Racale, del Centro di accoglienza “Agapolis” di Gallipoli e dell’Università del Salento, ma anche con la testimonianza di operatori e richiedenti asilo ospiti della Comunità Emmanuel. Da settembre a dicembre 2018, difatti, sono stati organizzati alcuni incontri a Taviano, Racale, Lecce su temi legati alle migrazioni per riflettere su accoglienza, inclusione, sviluppo umano sostenibile in un’ottica di convivialità delle differenze. La partecipazione, al seminario del 15 novembre, del Direttore dell’Ufficio di Rappresentanza Regionale per i Paesi del Sud Europa, Felipe Camargo, su invito del Centro Culturale San Martino, è stata la dimostrazione della rilevanza del progetto che ha portato il Direttore Camargo ad incontrare, in due occasioni diverse, ma collegate (Taviano, 14 Novembre 2018 e Lecce 15 Novembre 2018), gli amministratori locali, gli alunni delle scuole e i cittadini di Taviano e Racale, ma anche gli studenti e alcuni docenti dell’Università del Salento. 1 Pace e diritti umani nel Mediterraneo Da questa esperienza collettiva che intreccia università, scuola, associazionismo, istituzioni nasce il volume che oggi si pubblica e che prende il nome proprio dall’evento conclusivo di questa serie di seminari. Il volume vuole lasciare traccia della riuscita collaborazione tra Università del Salento e Centro Culturale San Martino, anche testimoniando la capacità dell’Università di aprirsi al territorio e di sviluppare politiche relative alla c.d. “terza missione” su temi di pressante attualità anche e soprattutto per la realtà sociale nella quale l’Università del Salento si radica. In aggiunta, gli incontri itineranti legati al progetto hanno fatto emergere tutta una serie di questioni che il presente volume vuole riprendere ed approfondire, con approccio scientifico, in una prospettiva più ampia di quella propriamente accademica, al fine di dare un contributo all’attuale dibattito politico e giuridico sul fenomeno migratorio e sulle politiche finalizzate ad una sua governance. Da qui la necessità di aprirsi alla realtà, anche attraverso una serie di contributi che non sono solo direttamente riconducibili all’attività di ricerca universitaria, ma che rimandano a esperienze e prospettive differenti. In quest’ottica il volume ospita contributi di Roberto Tanisi (magistrato, già Presidente della Corte di Appello di Lecce), Mauro Spedicati (ricercatore e avvocato), Nunzio Mastrorocco ed Elisa Calò (ricercatori dell’Istituto Pugliese di Ricerche Economiche e Sociali, IPRES), con due note conclusive di riflessione di Stefania Manzo (dirigente dell’Istituto Statale Comprensivo di Racale), e Luca De Santis (docente presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Don Tonino Bello” di Lecce). Una pluralità di prospettive necessaria per comprendere i tanti aspetti (etici, politici, giuridici, economici, sociologici) che l’analisi del fenomeno immigratorio richiede. I diversi contributi che oggi si presentano vengono aperti da Silvio Spiri (Per un umanesimo della solidarietà. La sfida delle migrazioni e lo sviluppo umano sostenibile), promotore delle attività seminariali da cui nasce questo volume. Spiri, in particolare, partendo dall’analisi sociologica del fenomeno migratorio nell’area euro-mediterranea affronta la questione delle migrazioni nella prospettiva filosofica dell’umanesimo della 2 Pace e diritti umani nel Mediterraneo solidarietà, mettendo in evidenza la relazione tra gli obiettivi dello sviluppo umano sostenibile, contenuti nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, e la questione delle migrazioni. Attilio Pisanò (Il Leviatano è ancora vivo. Migrazioni e Human Rights Gap, movendo da Hannah Arendt) parte da un passaggio di sinistra attualità de Le origini del totalitarismo di Hannah Arendt per introdurre il concetto di human rights gap come fattore di spinta dei fenomeni migratori, in un percorso argomentativo centrato particolarmente sul ruolo e la responsabilità degli Stati in tema di riconoscimento dei diritti negli anni Duemila. Tale tema di grande attualità oggi, lo era anche negli anni Quaranta del Novecento, quando Hannah Arendt scriveva. Roberto Tanisi (Il diritto di migrare: ragioni umanitarie e illeciti penali), assumendo la complessità del fenomeno migratorio, sia dalla prospettiva storica che da quella giuridica, si sofferma sul diritto di migrare, alla luce del diritto costituzionale e del diritto internazionale. Emerge con chiarezza che alle diverse tipologie di “migranti” corrispondono differenti regolamentazioni giuridiche di cui occorre tener conto quando si parla delle migrazioni. Il contributo si sofferma anche agli spetti penali legati al fenomeno migratorio, con particolare riferimento alle violazioni dei diritti del migrante, emerse da recenti pronunce giurisprudenziali. L’attenta considerazione delle diverse forme di sfruttamento del lavoro dei migranti economici in Italia, in particolare nel Salento, la piaga dal caporalato, l’illecito penale di recente introdotto nel nostro ordinamento penale, ma anche la schiavitù sono analizzate dall’autore sulla base di testimonianze processuali e alla luce di principi costituzionali e giuridici, su cui si basa l’azione di contrasto dei fenomeni criminali. Giuseppe Gioffredi (Immigrazione, diritto d’asilo e ruolo dell’UNHCR. Scritto in ricordo del seminario leccese di Pedro Felipe Camargo), rilevando la configurazione permanente del fenomeno migratorio, si sofferma particolarmente sui fattori “espulsivi” dei Paesi di esodo e su quelli “attrattivi” dei Paesi di arrivo, evidenziando gli elementi strutturali pur in un contesto di costante evoluzione. Attenzione particolare, nel contributo, è dedicata al ruolo fondamentale dell’UNHCR. 3 Pace e diritti umani nel Mediterraneo L’apertura alla prospettiva sociologica è enfatizzata da Luigi Perrone (Migrazioni tra reale e immaginario collettivo) in un contributo che sottolinea la specificità delle “migrazioni mediterranee”, attraverso l’analisi dell’evoluzione del contesto economico e sociale degli ultimi decenni. Perrone, inoltre, evidenza il motivo per cui la figura del migrante, da paradigma della modernità si trasforma in capro espiatorio di tutti i mali sociali, alimentando paure e nuove forme di esclusione e di razzismo. Nunzio Mastrorocco ed Elisa Calò (Il movimento migratorio in Puglia: policy e flussi) descrivono invece il sistema integrato di interventi, i progetti nazionali ed europei di inclusione, i servizi ed il quadro normativo della Regione Puglia, la quale promuove la piena integrazione degli immigrati. Particolare attenzione viene riservata all’integrazione nel mercato del lavoro, che viene attuata attraverso la diffusione e lo scambio di buone pratiche e iniziative con lo scopo di combattere ogni forma di discriminazione, promuovere la consapevolezza dell’importanza dell’integrazione culturale, garantire agli immigrati pari opportunità e canali di uscita da spirali criminali e di sfruttamento lavorativo. In continuità con Mastrorocco e Calò, il contributo di Mauro Spedicati (La gestione del fenomeno migratorio in Puglia: strumenti normativi e strategie politiche) analizza gli strumenti normativi attuati dalla Regione Puglia per la gestione dei fenomeni migratori, descrivendo il sistema di ospitalità, accoglienza e integrazione dei migranti e degli stranieri presenti sul territorio regionale. In particolare, è sottolineata l’importanza dello Statuto per il riconoscimento dei diritti dello straniero, della legge n. 32 del 2009, recante «Norme per l’accoglienza, la convivenza civile e l’integrazione degli immigrati in Puglia» e delle modifiche intervenute con la legge regionale n. 51 dell’Ottobre 2018. Infine, si sottolinea la rilevanza del Piano regionale triennale delle politiche per le migrazioni Il contributo di Stefania Attolini (Le fake news e gli hate speeches in rete nell’ordinamento europeo e internazionale in relazione all’inclusione sociale dei migranti) si concentra sul comportamento degli utenti in Internet che determina e influenza l'inclusione dei migranti nelle nostre società. Sui social network si sono diffusi 4 Pace e diritti umani nel Mediterraneo messaggi di incitamento all’odio, sentimenti di diffidenza, paura e razzismo che si sono accompagnati alla fake news in una cornice in cui i migranti sono percepiti come una minacci. Per questi motivi, il contributo propone un’analisi delle misure e gli strumenti giuridici e legislativi, nazionali ed europei, che vietano l’incitamento alla violenza, alla all’odio, alla xenofobia, all’antisemitismo e alle discriminazioni contro i guerra, migranti. Claudia Morini (Il Forum europeo della migrazione: brevi osservazioni) illustra, invece, l’importanza e la funzione del Forum europeo della migrazione, una piattaforma promossa dal Comitato economico sociale europeo e dalla Commissione europea, che vuole rafforzare il dialogo e la cooperazione tra la società civile e le Istituzioni europee sui temi delle migrazioni, del diritto di asilo e dell’integrazione dei cittadini di Paesi terzi nell’Unione europea. Simone De Michele (La tutela dell’interesse legittimo al visto ed il diritto di migrare), invece, riconduce il diritto alla libertà di movimento, ovvero il diritto di migrare, nella sfera dei diritti fondamentali dell’uomo che in quanto tali preesistono allo Stato e sono innati nell’individuo. Di fronte alla resistenza di alcuni stati che non sono disposti a riconoscere la priorità di questo diritto soggettivo, secondo l’autore, si potrebbe adottare nel breve periodo una normativa (soft law) a livello internazionale che tuteli in maniera effettiva e uniforme il diritto di migrare. Chiudono il lavoro due riflessioni di Stefania Manzo (Per altre vie, per altri porti! Noi e gli altri. Da noi; tra paure ed empatia, l’ancora della cultura), sull’impegno della comunità scolastica nell’ambito dell’educazione alla cittadinanza e al dialogo interculturale e Luca De Santis (Crisi immigratoria: limite confine e tolleranza) che propone una riflessione sul significato dei termini limes (barriera), limen (soglia), locum (luogo chiuso in cui arriva la luce) e del topos, inteso come luogo, eskaton dell’uomo, fine ultimo che la persona raggiunge nel suo movimento. Un lavoro collettaneo, pertanto, che muove da una serie di esperienze seminariali, utile per promuovere una discussione civilmente impegnata sul fenomeno migratorio, ma anche per corroborare forme di collaborazione tra l’Università del 5 Pace e diritti umani nel Mediterraneo Salento e le diverse realtà culturali e associative che arricchiscono, con il loro lavoro, tanto carsico quanto prezioso, il territorio salentino. Silvio Spiri, Attilio Pisanò, Vitantonio Gioia 6 SILVIO SPIRI Per un umanesimo della solidarietà. La sfida delle migrazioni e lo sviluppo umano sostenibile. Abstract: l’articolo intende proporre la prospettiva dell’umanesimo della solidarietà. Questa prospettiva filosofica implica la necessità di approfondire la relazione tra il fenomeno complesso delle migrazioni e gli obiettivi dello sviluppo umano sostenibile, espressi nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. A partire dall’analisi sociologica del fenomeno migratorio nell’area del Mediterraneo, la riflessione etico-filosofica cerca di rintracciare le connessioni con il piano giuridico e politico da cui derivano azioni ispirate dall’umanesimo della solidarietà che è il presupposto della convivialità delle differenze. Con questo approccio interdisciplinare si vuole affermare la complessità del fenomeno, la necessità di tutelare i diritti umani delle persone e, al tempo stesso, si riconosce che l’accoglienza non è possibile senza l’inclusione. Keywords: sviluppo umano sostenibile, migrazioni, diritto d’asilo, rifugiati, apolide, umanesimo della solidarietà. Introduzione. La storia dell'umanità è una storia di migrazioni, dalla comparsa degli uomini sulla terra fino ai giorni nostri. Quando si parla di migranti occorre prima di tutto considerare che gli “stranieri” sono persone uguali a noi per dignità e diritti, anche se, in base ad alcuni punti di vista o caratteristiche accidentali, sono diversi da noi perché provengono da un Paese lontano e sconosciuto, non appartengono allo Stato e alla nazione di cui invece noi siamo parte. L’estraneità dell’Altro, che è segno della nostra inquietudine interiore, ci spinge a riflettere sul significato della nostra appartenenza ad una comunità di riferimento e ci sollecita a ripensare all’identità personale che emerge solo nella costituzione relazionale del nostro essere e del nostro agire. Il volto dell’altro, che è anche la cifra della realtà personale, secondo la riflessione filosofica di Levinas, è anche la traccia dell’Infinito. La riflessione sulla dignità ontologica della persona deve essere accompagnata da un’attenta analisi delle condizioni storiche concrete, delle condizioni economiche, sociali, culturali e religiose in cui ogni persona è inserita. Le sofferenze e le violenze subite dai migranti che sbarcano sulle coste dell’Europa, sono l’epilogo di un dramma senza fine che segna il volto di persone emarginate, 7 Pace e diritti umani nel Mediterraneo escluse o sfruttate dalle società opulenti. Si pensi alla piaga del caporalato, alla logica perversa del lavoro nero, alla prostituzione. L’immigrazione nel Mediterraneo è un fenomeno complesso che ci spinge a riflettere sull’entità reale (e non solo sulla percezione diffusa e spesso distorta) dei fenomeni migratori, sulle cause profonde dei flussi, sulla situazione dei Paesi di provenienza, di transito e di approdo, ma anche sulla responsabilità politica ed etica che i Paesi industrializzati hanno nei confronti di altri esseri umani, disperati e poveri che provengono dal Sud del mondo, sfruttato e depredato da coloro che spesso si rifiutano di accoglierli. La questione dei diritti umani è il problema più urgente da affrontare per praticare l’equità e la giustizia sociale a livello nazionale, europeo e globale. Vale la pena sottolineare che esiste un diritto di restare nella terra in cui si è nati e cresciuti così come dovrebbe essere riconosciuto a tutti la libertà di movimento e di migrazione, Nella realtà così non è poiché il diritto di restare viene negato a causa di violenze, guerre persecuzioni, sfruttamento indiscriminato di terre e beni, mentre la libertà di emigrare dipende dal passaporto che si possiede In prima luogo, bisogna assistere e accogliere il migrante che arriva, poi occorre gestire i flussi migratori e attuare politiche efficaci e solidali anche attraverso un sostegno più significativo alla cooperazione internazionale per lo sviluppo. Dal punto di vista etico, si pone il dovere di considerare le condizioni delle persone nei campi di detenzione in Libia e in altri Paesi di transito o di prima accoglienza. Seguendo diverse rotte, i migranti inseguono il sogno di uscire dalla miseria, dalla fame, di sfuggire dalla guerra e da persecuzione o di sfuggire dalle conseguenze innescate dai cambiamenti climatici e dall’inquinamento. Questo sogno di liberazione spesso si trasforma in schiavitù, prigionia, miseria o morte. Coloro che riescono a imbarcarsi e che tentano di attraversare il Mare Mediterraneo sono protagonisti di un traffico aberrante di esseri umani che si conclude spesso con tragedie, naufragi, stenti causati dal blocco e dalla chiusura di alcuni porti dell’Europa. Il traffico di esseri umani, gestito da organizzazioni criminali, esige un intervento immediato da parte della comunità europea e 8 Pace e diritti umani nel Mediterraneo internazionale contro gli scafisti e le mafie, ma anche interventi politici a favore di soluzioni umane, come ad esempio i corridoi umanitari. Le persone che intraprendono un viaggio dall’Africa verso l’Europa, attraversando itinerari impervi e poi il Mare Mediterraneo con piccole imbarcazioni, insicure e precarie, sono le vittime disperate di tutte le ingiustizie globali di cui sono responsabili anche i Paesi della sponda settentrionale del Mediterraneo. 1. Le Migrazioni e gli obiettivi dello sviluppo sostenibile. L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità che è stato adottato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 25 settembre 2015. Nel documento Transforming our world: the 2030 Agenda for sustainable development1 sono contenuti 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile. Gli SDG (sustainable development goals) 4, 5, 8, 10, 16 e 17 si trovano riferimenti espliciti alle migrazioni. L’obiettivo 4 riconosce che solo un’istruzione di qualità può migliorare la vita delle persone. Da qui deriva la necessità di fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti. Nel target 4.b si fa menzione delle migrazioni, dove si afferma che bisogna “espandere considerevolmente entro il 2020 a livello globale il numero di borse di studio disponibili per i paesi in via di sviluppo, specialmente nei paesi meno sviluppati, nei piccoli stati insulari e negli stati africani, per garantire l’accesso all’istruzione superiore – compresa la formazione professionale, le tecnologie dell’informazione e della comunicazione e i programmi tecnici, ingegneristici e scientifici – sia nei paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo”. Nell’obiettivo 5 dell’Agenda 2030, le Nazioni Unite riconoscono che è importante raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze. In relazione alle migrazioni e alle situazioni di vulnerabilità e di violenza di cui sono vittime le donne migranti, il target 5.2 riconosce l’urgenza di “eliminare ogni forma di 1 A/RES/70/1 Transforming our world: the 2030 Agenda for https://www.un.org/ga/search/view_doc.asp?symbol=A/RES/70/1&Lang=E 9 sustainable development Pace e diritti umani nel Mediterraneo violenza nei confronti di donne e bambine, sia nella sfera privata che in quella pubblica, compreso il traffico di donne e lo sfruttamento sessuale e di ogni altro tipo”. L’obiettivo 8 esprime la necessità di adottare (target 8.7) provvedimenti immediati ed effettivi per sradicare il lavoro forzato, porre fine alla schiavitù moderna e alla tratta di esseri umani e garantire la proibizione ed eliminazione delle peggiori forme di lavoro minorile, compreso il reclutamento e l’impiego dei bambini-soldato, nonché porre fine entro il 2025 al lavoro minorile in ogni sua forma. Sempre in relazione al diritto al lavoro dignitoso che ad ogni persona si deve riconoscere, il target 8.8 pone l’obiettivo di “proteggere il diritto al lavoro e promuovere un ambiente lavorativo sano e sicuro per tutti i lavoratori, inclusi gli immigrati, in particolare le donne, e i precari”. Il problema della disoccupazione, infatti, riguarda tutti e, di conseguenza, le politiche sociali dovrebbero essere orientate ad affrontare in maniera strutturale e integrale questa piaga sociale che genera povertà esclusione. Talvolta le contrapposizioni sono generate da approcci parziale e riduttivi al problema. In particolare, nel decimo obiettivo delle Nazioni Unite (Ridurre l’ineguaglianza all’interno e fra le Nazioni) il settimo punto riguarda le migrazioni. Pertanto, il target 10.7 si può considerare la pietra angolare della migrazione nell’Agenda 2030 poiché si riconosce la necessità di facilitare la migrazione ordinata, sicura, regolare e responsabile, anche con l’attuazione di politiche pianificate e ben gestite. Questa è sicuramente una strada per ridurre le ineguaglianze globali. Anche se non si parla esplicitamente della lotta alle migrazioni forzate, questo punto è importante perché riguarda tutti i migranti, sia coloro che fuggono dai conflitti sia coloro che fuggono a causa di cambiamenti climatici o disastri ambientali. L’agenda 2030 riconosce anche nel target 10.c, che entro il 2030, si deve ridurre a meno del 3% i costi di transazione delle rimesse dei migranti ed eliminare i corridoi di rimesse con costi oltre il 5%. La dignità umana dei minori non accompagnati, soggetti vulnerabili negli spostamenti migratori, viene ribadita nel target 16.2 con cui le Nazioni Unite dichiarano di impegnarsi per “porre fine all’abuso, allo sfruttamento, al traffico di bambini e a tutte le forme di violenza e tortura nei loro confronti”. 10 Pace e diritti umani nel Mediterraneo Infine, per la costruzione della pace e della giustizia sociale, il target 17.18 afferma che entro il 2020 occorre rafforzare il sostegno allo sviluppo dei paesi emergenti, dei paesi meno avanzati e dei piccoli stati insulari in via di Sviluppo (SIDS)”. L’accesso a informazioni certe è un diritto violato che conduce le persone a intraprendere viaggi senza meta che spesso si concludono con la schiavitù, o con la morte per terra o per mare. Da ciò deriva l’impegno a “incrementare la disponibilità di dati di alta qualità, immediati e affidabili andando oltre il profitto, il genere, l’età, la razza, l’etnia, lo stato migratorio, la disabilità, la posizione geografica e altre caratteristiche rilevanti nel contesto nazionale”. 2. Le cause delle migrazioni. Dall’Africa all’Europa. In Africa si combattono molte “guerre e guerriglie dimenticate”, sostenute e alimentate anche dall’esportazione di armi costruite da aziende e dai Paesi occidentali. La grande disponibilità di ricchezze minerarie è causa di conflitti. La Repubblica democratica del Congo è ricca di oro, stagno, rame, tungsteno e tantalio. In Sud Africa ci sono immensi giacimenti di oro e di diamanti. Questi ultimi si trovano anche nel Congo, in Angola, Liberia e Sierra Leone. Nel Sud Sudan ci sono poi ricchi giacimenti petroliferi. Altre materie prime, come il coltan in Congo, sono estratte tramite lavori forzati a cui sono obbligati anche i bambini per poi produrre gli strumenti informatici che si usano nel mondo tecnologico. L’Africa è sistematicamente depredata delle sue risorse naturali. In Africa è diffuso il fenomeno delle terre rubate agli africani (land grabbing), provocato dagli interessi economici e industriali dell’Europa, di Russia, Stati Uniti e soprattutto della Cina che ha assunto il monopolio nella costruzione delle infrastrutture realizzate con investimenti statali. Ciò ha determinato anche un certo sviluppo, ma numerosi sono anche i problemi del continente africano che è gravato dai debiti, da ingerenze politiche e da nuove forme di colonialismo. In Africa, i cambiamenti climatici, le malattie come l’ebola o l’AIDS e gli incendi devastanti non cessano di provocare effetti dirompenti sull’ecosistema e sulla biodiversità e sugli esseri umani. A ciò bisogna aggiungere l’esistenza di nuovi “profughi climatici” che non hanno ancora un riconoscimento giuridico, di cui parla 11 Pace e diritti umani nel Mediterraneo l’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco2. Basti pensare alla desertificazione nel Sahel, una striscia di terra, lunga circa 8.500 chilometri che si trova tra il deserto del Sahara e l’Africa Subsahariana e che si estende dal Senegal, sulla costa ovest del continente, fino al Gibuti, sulla costa est. Questa area è caratterizzata da diversi fenomeni come il disboscamento, che si aggiungono agli effetti negativi del riscaldamento globale. Tutto ciò ha determinato un calo consistente della produttività nel settore dell’agricoltura e della pastorizia e anche la scomparsa di specie animali e vegetali. Gli effetti devastanti del sottosviluppo si possono constatare nella povertà estrema, nelle carestie e nella mancanza di acqua potabile, nella malnutrizione di milioni di persone, tra cui molti bambini, che ogni giorno muoiono o rischiano di morire. 3. Cittadini stranieri e tendenze demografiche in Italia ed in Europa. Secondo i dati ISTAT3, al 31 dicembre 2018 la popolazione residente in Italia ammonta a 60.359.546 persone, oltre 124 mila in meno rispetto al 2017 (-0,2%) e oltre 400 mila in meno rispetto a quattro anni prima. Considerando il bilancio demografico nazionale, l’Italia sta attraversando una situazione di declino demografico che è rallentato solo dalla crescita dei cittadini stranieri. Infatti, dal 2015 la popolazione residente è in diminuzione. La popolazione italiana scende al 31 dicembre 2018 a 55 milioni 104 mila unità, 235 mila in meno rispetto all’anno precedente (-0,4%). Rispetto alla stessa data del 2014 la perdita di cittadini italiani (residenti in Italia) è pari alla scomparsa di una città grande come Palermo (-677 mila). Il saldo naturale della popolazione è negativo ovunque in quanto ci sono più decessi che nascite 2 «È tragico l’aumento dei migranti che fuggono la miseria aggravata dal degrado ambientale, i quali non sono riconosciuti come rifugiati nelle convenzioni internazionali e portano il peso della propria vita abbandonata senza alcuna tutela normativa» Laudato si’. Sulla cura della casa comune (24 Maggio 2015), par. 25. Gli insegnamenti di Papa Francesco sulla questione dei migranti e dei rifugiati si collocano nella prospettiva di un’ecologia umana integrale. I discorsi e gli insegnamenti pronunciati dal Papa tra il 2013 e il 2017 sono stati raccolti in un volume, dal titolo Luci sulle strade della speranza. Insegnamenti di Papa Francesco su migranti, rifugiati e tratta, a cura della Migrants and Refugees Section – Integral Human Development, LEV, Città del Vaticano 2018. 3 ISTAT, Bilancio demografico nazionale anno 2018. Report del 3 Luglio 2019. 12 Pace e diritti umani nel Mediterraneo Inoltre, negli ultimi quattro anni i nuovi cittadini per acquisizione della cittadinanza sono stati oltre 638 mila. Senza questo apporto, il calo degli italiani sarebbe stato intorno a 1 milione e 300 mila unità. Nel quadriennio, il contemporaneo aumento di oltre 241 mila unità di cittadini stranieri ha permesso di contenere la perdita complessiva di residenti. Al 31 dicembre 2018, i cittadini stranieri iscritti in anagrafe sono 5.255.503 (dati ISTAT). Rispetto al 2018 sono aumentati di 111 mila (+2,2%), passando dall’8,5% all’8,7% del totale della popolazione residente. In Germania gli stranieri sono circa l’11,7% della popolazione, in Spagna il 9,5%, in Francia gli stranieri sono il 7% della popolazione, nel Regno Unito il 9,5%, a Cipro gli stranieri sono il 17,3%, mentre in Lussemburgo sono il 47,8%. La media europea è del 7,2%. L’Europa è dunque una realtà multiculturale che riflette la complessità delle dinamiche sociali ed economiche della globalizzazione, tra diritti negati e meccanismi economici di ingiustizia sociale. Al contrario, i sondaggi rivelano che nella percezione diffusa, la percentuale degli stranieri in Europa si aggirerebbe attorno al 25-30% della popolazione. Un’indagine dell’IPSOS rivela che una errata convinzione degli Italiani secondo i quali e gli immigrati sarebbero il 26% della popolazione residente in Italia. In verità, le cifre reali ci dicono che gli immigrati non sono più del 10%, contando anche gli irregolari. Una ricerca comparata, condotta dal National Bureau of Economic Research di Harvard 4, pubblicata nel giugno del 2018, riferisce che la percezione degli Italiani è alterata al punto da far ritenere erroneamente che gli immigrati siano il 30% della popolazione. Questo dato è sproporzionato rispetto alla realtà dei fatti ed è funzionale alla propaganda politica che cerca di riprodurre sempre il consenso, agitando lo spettro della sicurezza, sempre minacciata dalla presenza di stranieri, e la paura dell’altro estraneo che incute timore e tremore. 4 A. ALESINA, A. MIANO, S. STANTCHEVA, Immigration and redistribution, «National Bureau of economic research. Working Paper» N. 24733, June 2018, p. 4. 13 Pace e diritti umani nel Mediterraneo La profonda distanza che separa la percezione dalla realtà del fenomeno dell’immigrazione impedisce di comprenderne a fondo le sfide e le opportunità 4. Le migrazioni e la situazione a livello internazionale. Grazie ai dati forniti dall’UNHCR sui flussi migratori degli ultimi anni 5, sappiamo che nel 2017 68.5 milioni di persone sono state costrette ad abbandonare la loro casa - per fame, miseria, guerre, cambiamenti climatici (desertificazione), urbanizzazione. Nel 2018 sono state costrette a migrare 70,8 milioni di persone nel mondo. Tra queste, circa 41,3 milioni sono sfollati interni, 25,9 milioni sono rifugiati e 3,5 milioni sono richiedenti asilo. La maggior parte dei rifugiati, circa il 57%, proviene dalla Siria (6.7 milioni), dall’Afghanistan (2,7 milioni), dal Sud Sudan (2,3 milioni), dal Myanmar (1,1 milione), dalla Somalia (0,9 milioni) I principali Paesi che ospitano i rifugiati sono: la Turchia (3,7 milioni), il Pakistan (1,4 milioni), l’Uganda (1,2 milioni), il Sudan (1,1 milioni) e la Germania (1,1 milioni). Inoltre, l’80 % dei rifugiati risiede nei Paesi vicini a quello di origine, secondo le stime dell’ONU. Questa tendenza dimostra che le persone coltivano il desiderio di ritornare nei loro Paesi di origine. La Libia è sconvolta da continui scontri e ostilità tra fazioni militari rivali, è attraversata da una frammentazione politica e militare che aggrava sempre più l’instabilità sociale e politica del Paese. I migranti sopravvissuti ad una nuova tratta di essere umani che giungono in Libia da diverse parti del continente africano hanno già attraversato un lunghissimo ed estenuante viaggio di disperazione, hanno già sperimentato il pericolo della morte, hanno visto numerosi compagni “morti” nel deserto e sul cammino impervio e crudele verso la speranza negata. Questo cammino che non concede tregua né ristoro alcuno, per alcuni può durare pochi mesi per altri può durare più di un anno. In un clima di persistente illegalità, i migranti sono raccolti e ammassati nei campi della Libia, dove sono costretti a subire nuove violenze, torture, stupri, privazioni e 5 UNHCR, Global trends forced displacement in 2018, produced and printed by UNHCR, Geneva 20 June 2019. 14 Pace e diritti umani nel Mediterraneo prostrazioni, prima di potersi imbarcare nel mare Mediterraneo verso l’Europa, non senza aver pagato prima il riscatto della loro libertà e della loro dignità. In queste condizioni sono calpestati sistematicamente i diritti umani fondamentali, come attestano numerose testimonianze e numerosi Rapporti ufficiali delle Nazioni Unite6. Nella relazione ufficiale che denuncia gli abusi in Libia, il Segretario della Nazioni Unite Guterres delinea i capi di accusa: «Perdita della libertà e detenzione arbitraria in luoghi di detenzione ufficiali e non ufficiali; tortura, compresa la violenza sessuale; rapimento per riscatto; estorsione; lavoro forzato; uccisioni illegali. I migranti hanno continuato a essere detenuti in sovraffollamento, in condizioni disumane e degradanti, con cibo, acqua e cure mediche insufficienti e servizi igienico-sanitari molto scarsi»7. Responsabili di queste violazioni sono anche «funzionari statali, membri di gruppi armati, contrabbandieri, trafficanti e membri di bande criminali» con la complicità della Guardia costiera. Per porre fine alle gravi violazioni dei diritti umani, mentre ancora infuria la guerra libica, i rifugiati e i migranti trattenuti nei centri di detenzione devono essere evacuati. Un buon esempio è l’accordo raggiunto dall’Unione Africana e dal Ruanda che ha permesso di creare un meccanismo di transito per l’evacuazione dei rifugiati vulnerabili (bambini e adolescenti) dai centri di detenzione della Libia. Il governo di Kigali si è impegnato ad accogliere e proteggere alcuni richiedenti asilo. L’evacuazione in Paesi di transito è la precondizione essenziale che permette di trovare soluzioni come il reinsediamento in Paesi terzi, nel Paese di origine, ove le condizioni di sicurezza lo rendano possibile, oppure la permanenza per alcuni in Ruanda. Per questi motivi, i porti libici non sono affatto sicuri e non è possibile riportare lì i naufraghi nel punto di partenza. L’unica alternativa possibile è quella dei corridoi 6 United Nations Support Mission in Libya, Report of the Secretary-General, 26 August 2019 https://unsmil.unmissions.org/sites/default/files/sg_report_on_unsmil_s_2019_628e.pdf 7 « Migrants and refugees continued to be vulnerable to: loss of liberty and arbitrary detention in official and unofficial places of detention; torture, including sexual violence; abduction for ransom; extortion; forced labour; and unlawful killings. Migrants continued to be detained in overcrowded, inhuman and degrading conditions, with insufficient food, water and medical care and very poor sanitation. Perpetrators of violations included State officials, members of armed groups, smugglers, traffickers and members of criminal gangs». United Nations Support Mission in Libya. Report of the Secretary-General, 26 August 2019, p. 9. 15 Pace e diritti umani nel Mediterraneo umanitari che ponga fine al traffico di esseri umani e alla situazione di emergenza umanitaria. 5. Flussi migratori verso l’Europa e nel Mediterraneo. Secondo i dati forniti dall’UNHCR8, fino al 9 Dicembre 2019 nell’area del Mediterraneo si contano 117.820 arrivi, di cui 95.870 sono i rifugiati e i migranti via mare: 11.083 in Italia, 69.214 in Grecia, 30.517 in Spagna, 1664 a Cipro e 3.308 a Malta. Inoltre, 21.950 sono i migranti giunti via terra in Grecia e Spagna. Sulla base dei dati forniti dall’UNHCR, i Paesi di provenienza dei rifugiati nel corso del 2019 sono: Afghanistan, Siria, Marocco, Algeria, Iraq, Tunisia, Guinea, Repubblica democratica del Congo, Costa d’avorio. Sulla base dei dati disponibili grazie alle stime dell’UNHCR, possiamo analizzare il numero degli arrivi in Italia, Cipro, Malta, gli arrivi per terra e per mare in Grecia e in Spagna, nel periodo che va dal 2014 al 2019. Nel 2014 gli arrivi sono stati 225.455 e i morti 3.538; nel 2015 sono stati registrati 1.032.408 arrivi e 3771 morti; nel 2016 ci sono stati 373.652 arrivi e 5.096 morti; nel 2017 rispetto a 185.139 si contano 2.277 morti. Nel 2018 gli arrivi sono stati 141.472 i morti 2.277. Si stima che fino al 9 Dicembre 2019 siano morte 1.234 persone. A partire da questi dati e da queste cifre, che nascondono e, al tempo steso, rivelano la tragedia vissuta dai migranti, possiamo consratare una consistente e graduale riduzione, ma il numero dei morti è sempre molto alto.La rotta del Mediterraneo è la più pericolosa al mondo. Soltanto nel 2018, sono morti nel mare Mediterraneo circa 2.000 persone, sbarcate dai porti della Libia e dell'Africa del Nord e dirette verso l'Italia o l'Europa. Non bisogna dimenticare che le politiche restrittive a livello europeo hanno limitato e chiuso, nel corso degli anni, le vie di accesso regolare al continente europeo. Ciò ha determinato una situazione di irregolarità e ha favorito indirettamente la proliferazione degli affari illeciti delle organizzazioni mafiose che gestiscono il traffico di esseri 8 https://data2.unhcr.org/en/situations/mediterranean Questi dati coincidono sostanzialmente con quelli forniti dall’Organizzazione Internazionale per le migrazioni https://migration.iom.int/europe?type=arrivals 16 Pace e diritti umani nel Mediterraneo umani, dalla fase di reclutamento nei villaggi africani alla fase di reclusione nei campi della Libia in cui sono violati sistematicamente i diritti umani, fino all’abbandono delle persone in mare. La morte di queste persone è spesso l'epilogo drammatico di un vero e proprio traffico di esseri umani, segnato da torture, violenze e soprusi. A questa situazione drammatica hanno cercato di porre rimedio le Organizzazioni non governative che sono impegnate ad effettuare salvataggi in mare, in assenza di un intervento efficace delle autorità politiche. 6. La situazione in Italia. Dopo la crisi migratoria iniziata nel 2014, i flussi migratori in Italia sono progressivamente diminuiti, anche se tale diminuzione non deriva da una soluzione al problema complesso delle migrazioni nel Mediterraneo che richiederebbe una strategia europea. La stessa tendenza, che si è accentuata per effetto delle politiche migratorie e dei divieti imposti, si riscontra dal 2017 al 2019. La diminuzione degli arrivi sul territorio italiano è la conseguenza delle restrizioni imposte dalla legislazione nazionale che ha determinato un riorientamento dei flussi migratori verso altri Paesi europei di primo approdo. Da questi dati comprendiamo che i flussi, anche per le cause che ne sono alla base, non si possono arrestare. Al tempo stesso, devono essere governati ma con un approccio solidale e umanitario. In base ai dati del Ministero dell’Interno, in Italia nel 2017 sono sbarcati 119.369 migranti; nel 2018 sono stati registrati 23.370 sbarchi. Dal 1 Gennaio 2019 al 12 Dicembre 2019 gli sbarchi registrati in Italia sono scesi a 11.097.9 Il Ministero dell’interno riferisce anche la nazionalità dichiarata dai migranti al momento dello sbarco in riferimento al 2019: Tunisia (2.654 persone), Pakistan (1.180), Costa d’Avorio (1.135), Algeria (1.005), Iraq (871), Bangladesh (581), Sudan (444), Iran (434), Guinea 9 Cruscotto statistico del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero Italiano dell’internohttp://www.libertaciviliimmigrazione.dlci.interno.gov.it/it/documentazione/statistica/cruscotto -statistico-giornaliero 17 Pace e diritti umani nel Mediterraneo (281), Marocco (253), altre (2259 persone: “il dato potrebbe comprendere immigrati per i quali sono ancora in corso le attività di identificazione”). Di fronte alle tragedie e ai naufragi nel Mare Mediterraneo c’è il rischio di un’assuefazione tragica alla morte in una sorta di globalizzazione dell’indifferenza mediatica che anestetizza le coscienze, provocando non solo l’inerzia morale di fronte a ingiustizie globali che si consumano sotto i nostri occhi, ma addirittura il rifiuto degli stranieri e il disprezzo di tutto ciò che destabilizza la nostra quiete in nome di una solidarietà. Basti pensare all’opera meritoria che, in assenza di un intervento statale, compiono numerose organizzazioni non governative che salvano i migranti, i rifugiati e gli sfollati dalla morte. Dal punto di vista statistico, è importante considerare anche il dato, fornito dal Ministero dell’Interno, relativo ai minori non accompagnati sbarcati nel 2017 (circa 15.779 minori), nel 2018 (3.536 minori) e nel 2019, fino al 2 dicembre 2019 (1.519 minori). La Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1989, è una fonte giuridica importante, anche per la protezione dei minori migranti, in cui si afferma la priorità ed il superiore interesse del minore, il principio di non discriminazione, il diritto alla vita e all’educazione. Nei confronti dei minori stranieri non accompagnati, che vivono in condizione di forti privazioni, bisogna evitare ogni forma di detenzione, in riferimento allo status migratorio, mentre occorre grande impegno da parte delle istituzioni per garantire l’accesso regolare all’istruzione primaria e secondaria, un diritto sistematicamente violato. Poiché non è dato conoscere il destino di molte persone al compimento della maggiore età, risulta necessario garantire la permanenza regolare al compimento dei 18 anni. A fronte di una bassa scolarizzazione, spesso funzionale al progetto migratorio delle famiglie che restano in contatto con i figli per interposte persone, è quantomai necessario garantire loro la possibilità di proseguire negli studi. Per i minori non accompagnati oppure separati dalla loro famiglia di origine bisogna prevedere 18 Pace e diritti umani nel Mediterraneo programmi di custodia temporanea o di affidamento10. Tra le persone scomparse nel 2017 risulta molto alta la percentuale dei minori non accompagnati. Pertanto, in assenza di adeguata protezione e assistenza, i minori sono soggetti molto vulnerabili che spesso finiscono nel giro della criminalità, nella tratta o in situazioni di irregolarità. Inoltre, il diritto universale ad una nazionalità deve essere riconosciuto, con la necessaria certificazione, a tutti i bambini e a tutte le bambine fin dalla nascita. Spesso migranti e rifugiati si trovano nella condizione di apolidia, e subiscono emarginazione, discriminazioni, vessazioni. In particolare, ai minori apolidi è negato il diritto ad un’infanzia felice. 7. Economia delle migrazioni. Secondo i dati MEF elaborati dalla Fondazione Leone Moressa, nel 2019 è aumentato il gettito Irpef proveniente dagli immigrati che ammonta a 7,9 miliardi di euro (+3,6%). A fronte di questo dato, gli immigrati ricevono circa 3 miliardi di euro. Con quasi 5 miliardi di differenza è stato calcolato che si possono pagare le pensioni di 600.000 italiani. Pertanto, gli immigrati svolgono un ruolo fondamentale per il mantenimento del sistema previdenziale che senza di loro rischierebbe il collasso11. Secondo le ultime stime, il reddito pro-capite degli immigrati in Italia è di 13.671 euro, mentre rimane alta la differenza e il divario con gli italiani (oltre 7 mila euro). Inoltre, per la metà dei lavoratori stranieri, il reddito si ferma a 3.760 euro. È evidente che pesa il lavoro sommerso, soprattutto in alcuni settori: costruzioni, agricoltura, ristorazione, lavori domestici con colf e badanti, spesso senza contratti. Tuttavia, il PIL prodotto dagli immigrati italiani si aggira intorno al 8,9%. Peraltro, non esiste alcuna evidenza in base alla quale si può affermare che gli stranieri tolgono il lavoro agli italiani. Solo nei lavori a basso rendimento, che gli Italiani non vogliono più fare, c’è una netta prevalenza e una sostituzione di italiani con stranieri. 10 Cfr Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e Rifugiato (2010); Osservatore Permanente della Santa Sede, Intervento alla XXVI Sessione Ordinaria del Consiglio per i Diritti dell’Uomo sui diritti umani dei migranti, 13 giugno 2014. 11 T. BOERI, Costi e benefici dell’immigrazione tra percezioni e realtà, Radar - Roma 28 Novembre 2018. 19 Pace e diritti umani nel Mediterraneo 8. Il diritto internazionale. Il primo dovere morale della comunità internazionale e dei singoli Stati, sia quelli di prima sia quelli di seconda accoglienza, è quello di proteggere, difendere e garantire i diritti umani fondamentali di milioni di rifugiati12, sfollati13 e apolidi14, richiedenti asilo, ma anche migranti economici e migranti climatici, consentendo loro di costruire un 12 Il termine “rifugiato”, in base alla Convenzione di Ginevra del 1951, firmata da 144 Sati contraenti, indica una persona che non può fare rientro in patria perché ciò risulterebbe troppo pericoloso. Tale definizione si applica a «chiunque, nel giustificato timore d'essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; oppure a chiunque essendo apolide e trovandosi fuori dal suo Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi»12. Convenzione di Ginevra sullo statuto dei rifugiati (1951), Art. 1. Definizione del termine "rifugiato", https://www.unhcr.it/wp-content/uploads/2016/01/Convenzione_Ginevra_1951.pdf. Questo importante documento contiene, nell’art. 33, un principio fondamentale del diritto internazionale, ovvero il principio del non-refoulement in base al quale nessun rifugiato può essere respinto in un Paese in cui la sua vita e la sua libertà potrebbero essere seriamente minacciate. Ai diritti dei migranti forzati si accompagna il dovere e gli obblighi degli Stati che si impegnano a proteggere i rifugiati. Questo documento, concepito nel periodo postbellico, ha alcuni limiti: ad esempio, non parla degli sfollati interni (internally displaced person), non prevede l’obbligo di ammettere richiedenti asilo e rifugiati, rinviando la questione ai singoli stati, limita la definizione di rifugiato a coloro che hanno subito una persecuzione "per causa di avvenimenti anteriori al 1° gennaio 1951”, prevede che "possano essere considerati solo gli avvenimenti anteriori al 1° gennaio 1951 accaduti in Europa, con una chiara limitazione geografica. Per superare questi limiti, ul 31 gennaio 1967 l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York, ha adottato il Protocollo relativo allo status dei Rifugiati, entrato in vigore il 4 ottobre 1967 che prevede l'eliminazione della limitazione temporale e geografica. 13 Gli sfollati interni (Internally Displaced Persons o IDPs) sono civili costretti a fuggire da guerre o persecuzioni. Gli sfollati interni hanno abbandonato la propria casa per ragioni simili a quelle dei rifugiati, ma restano sotto la protezione del loro governo, anche quando quel governo costituisce la causa stessa del loro sfollamento. Per questo, gli sfollati interni sono persone che si trovano in una condizione estrema di vulnerabilità. Inoltre, Con il consenso degli Stati interessati o almeno con l’impegno a non ostacolare le operazioni di assistenza, l’UNHCR cerca di prestare assistenza anche alle popolazioni sfollate di alcuni Paesi. Secondo i dati del Global Trends 2017 dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, nel 2017 erano circa 40 milioni le persone sfollate per conflitti o persecuzioni, mentre nel 2018, secondo i dati forniti dal Global Trend 2018 dell’UNHCR e dall’Internal Displacement Monitoring Centre of the Norwegian Refugee Council, ci sono stati 41.3 milioni gli sfollati interni (internally displaced people)a causa di persecuzioni, conflitti, violenze o violazioni dei diritti umani. 14 Secondo la Convenzione di New York relativa allo status di apolidi del 28 settembre 1954, con il termine “apolide” (dal gr. a = senza; pólis = stato) si indica: “(…) una persona che nessuno Stato considera come suo cittadino per applicazione della sua legislazione”. L’UNHCR stima che nel mondo siano apolidi circa 10 milioni di persone, anche se mancano dati statistici affidabili per rilevare la reale entità e di un grave problema, molto diffuso nel mondo. Questa condizione è una grave violazione dei diritti umani ed implica che le persone non passano andare a scuola o essere visitati da un medico, non possono avere un lavoro, né aprire un conto in banca o comprare una casa p sposarsi. Nella condizione di apolidia, l’individuo non viene considerato cittadino di nessuno Stato. Di conseguenza, non viene riconosciuto il diritto fondamentale alla nazionalità né vengono assicurati i diritti correlati. Questi individui e anche intere comunità, che pure esistono e dovrebbero godere degli stessi diritti delle altre persone, sono invece considerati invisibili e perciò emarginati. 20 Pace e diritti umani nel Mediterraneo futuro migliore. L’UNHCR è l’agenzia, istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 14 dicembre 1950, che ha soccorso oltre 60 milioni di persone, aiutandole a ricostruire la propria vita. Ai “rifugiati” si riconosce il diritto d’asilo in quanto fuggono dalle guerre, dalle persecuzioni e dalla povertà. Tuttavia, l’accezione di rifugiato, come si è configurata storicamente e come è stata codificata nel diritto internazionale non comprende tutte le situazioni possibili, molte delle quali sono nuove ed inedite. Basti pensare ai “migranti climatici” che fuggono dal loro Paese a causa dei disastri naturali (come ad esempio la desertificazione, le calamità naturali, ecc.). Al termine della 25a Conferenza ONU sul clima, che si è svolta a Madrid (Cop25) dal 2 dicembre al 13 dicembre 2019, non si è raggiunto un accordo risolutivo sul clima. Infatti, le principali decisioni, come quella sulla riduzione dei gas serra, sono state rinviate per l’atteggiamento di alcuni Paesi ricchi e inquinanti che hanno preferito tutelare i propri interessi. Eppure, in quel contesto internazionale sono stati presentati diversi studi e rapporti sulle catastrofi naturali determinate da cambiamenti climatici. Proprio il riscaldamento globale è la prima causa delle migrazioni forzate. Per comprendere il fenomeno complesso delle migrazioni occorre guardare la realtà dei fatti e della storia umana, quella globale ma anche la vicenda storica soggettiva e familiare, tornando alla realtà delle cose stesse, alla realtà della “persona”, intesa nella sua integralità delle sue dimensioni costitutive e delle sue relazioni. Chi sono i migranti e da dove vengono le persone che intraprendono viaggi disperati verso l’Europa o verso altri Paesi, affrontando ogni genere di pericolo e di rischio (il deserto, il Mar Mediterraneo che è diventato un cimitero, percorsi impervi via terra e via mare) pur di trovare un’ancora di salvezza? Queste persone, che definiamo in modo generico e riduzionistico “migranti”, hanno una storia personale e familiare, hanno subito violenze di ogni tipo e sono prima di tutto persone, che hanno la dignità e i diritti propri di ogni essere umano. La riflessione filosofica di Pascal ci aiuta a comprendere quanto sia importante considerare la dignità dell’essere umano, senza esclusioni o emarginazioni determinate dalla circostanza fortuita di essere nati in un’area del mondo più evoluta e ricca rispetto ad altre. In 21 Pace e diritti umani nel Mediterraneo quanto ogni persona è un fine e mai un mezzo, un miracolo e un mistero indecifrabile, nessuno può sentirsi esonerato da una responsabilità collettiva e globale verso le persone e verso la casa comune. Da ciò deriva il significato antropologico dell’ospitalità, dell’accoglienza e dell’inclusione delle persone che abitano il mondo. Prendersi cura dell’altro significa riscoprire nella relazione la sorgente della solidarietà. Poiché apparteniamo alla stessa comunità umana in quanto siamo tutti fratelli: «Non so chi mi ha messo al mondo, né che cosa è il mondo, né chi sono io. Mi trovo in una terribile ignoranza di tutte le cose. Non so che cosa sia il mio corpo, i miei sensi, la mia anima e questa parte di me che pensa quel che dico, riflette su tutto e sopra se stessa, e ignora se stessa tanto quanto tutto il resto. Vedo quegli spaventosi spazi dell’universo, che mi tengono prigioniero, e mi trovo confinato in un angolo di questa vasta distesa, senza sapere perché sono collocato in questo luogo piuttosto che altrove, né perché questo po’ di tempo che mi è dato di vivere mi sia assegnato in questo momento piuttosto che in un altro di tutta l’eternità che mi ha preceduto e che mi seguirà»15. Due sono le condizioni dell’esistenza precaria, vulnerabile, ma aperta e pervasa dall’infinito, di cui non abbiamo una comprensione sufficiente: essere-nel-mondo, in una piccola porzione dell’universo, e vivere il tempo che ci è donato. Al di là dello spazio che abitiamo, tutti dovremmo godere degli stessi diritti oltre che degli stessi doveri di solidarietà reciproca perché ogni esistenza umana è un mistero inesauribile e un dono. Tutto è dono e ci ho donato, ma il dono per continuare ad essere quello che è e non trasformarsi in esercizio di potere o privilegio di pochi, chiede di essere condiviso, cioè custodito, ereditato e trasmesso. Alcuni affermano che la politica deve occuparsi prima degli abitanti residenti e solo in seconda istanza degli stranieri. Questo atteggiamento nasconde surrettiziamente le responsabilità politiche che devono essere assunte da coloro che, piuttosto che affrontare e risolvere i problemi sociali ed economici di tutti i cittadini (autoctoni e stranieri), in particolare coloro che sono in condizione di vulnerabilità, indicano come unici responsabili di ogni male sociale proprio gli stranieri, i migranti e i rifugiati. 15 B. PASCAL, Pensieri e altri scritti, a cura di G. Auletta con un saggio di T.S. Eliot, Mondadori, 2010, Milano, n. 194. 22 Pace e diritti umani nel Mediterraneo L’accezione e il giudizio negativo nei confronti di queste persone è il segno di un declino morale che è il prodotto dalla cultura dello scarto. In questa degenerazione sociale, che investe la società dell’opulenza e dell’ingiustizia, «ogni soggetto che non rientra nei canoni del benessere fisico, psichico e sociale diventa a rischio di emarginazione e di esclusione»16. La questione dei migranti ci invita a recuperare alcune dimensioni essenziali dell’umanità e dell’identità personale, ragion per cui non si tratta solo di migranti. L’altro e lo straniero destano e suscitano dubbi, paure, incertezze poiché non siamo sempre pronti ad accogliere l’atro, il diverso. La paura dell’ignoto è generata da ciò che è imprevedibile, da ciò che non si può comprendere pienamente perché appartiene ad un’altra cultura, ad un altro orizzonte socio-economico e religioso. Ciò che appare distante e diverso rispetto a quello a cui ognuno di noi sente di appartenere, ci crea inquietudine, ci disorienta perché mette in crisi i punti di riferimento, le certezze acquisite. È vero però anche il contrario. Infatti, nell’incontro autentico con l’altro, che è oltre noi stessi, può accadere che ci sentiamo più vicini a persone di altre culture e di altre religioni di quanto non ci sentiamo prossimi a familiari e amici che, per nascita o per comunanza di vita, hanno le nostre stesse radici, abitudini e usanze. Non è dunque la paura e il dubbio, l’incertezza che costituiscono un problema, ma piuttosto l’intolleranza, la chiusura, l’indifferenza e il rifiuto dell’altro ci espongono vertiginosamente sul baratro del male che segna la fine dell’umanità. Al contrario, solo l’intersezione degli orizzonti culturali o meglio la convivialità delle differenze, che accetta e rispetta la dignità di ogni persona e dunque, anche la diversità (culturale, religiosa, ecc.) ovvero la distanza e la profondità dell’altro, consentirà di superare le sterili contrapposizioni ideologiche, la violenza, la discriminazione e l’ingiustizia. L’incontro e la comunione tra le persone ci rende migliori di quello che siamo e genera giustizia e pace sociale. Nell’epoca in cui la retorica dei diritti talvolta prevale sul rispetto della persona, occorre ricordare che ogni essere umano, al di là del colore della pelle, della religione, della cultura o del Paese di provenienza, al di là del passaporto, ha sempre diritto alla 16 Messaggio del Santo Padre Francesco per la 105ma giornata del migrante e del rifugiato 2019. 23 Pace e diritti umani nel Mediterraneo vita, ha diritto di essere salvata e accolta con mezzi ordinari e straordinari, ha diritto di emigrare, perché ogni persona è soggetto di diritto ed è degna di essere amata in quanto persona. Da ciò derivano i doveri morali dell’uomo verso l’altro uomo che è un fine e non si può mai ridurre ad un mezzo o ad uno strumento. Se la politica non riconosce che la vita di ogni persona è il valore morale fondamentale, difficilmente sarà in grado di riconoscere e affrontare i problemi sociali che scaturiscono proprio dal valore della vita. I migranti non sono solo e prima di tutto una questione politica, ma sono persone da accogliere e aiutare. Ciò implica che i flussi migratori devono essere regolati secondo criteri autenticamente umani, ispirati al principio di solidarietà, prevedendo ad esempio anche la protezione umanitaria. Da ciò deriva l'esigenza di riconoscere, rispettare e promuovere i diritti umani fondamentali (la vita, la salute, l'istruzione, il lavoro) che per definizione sono universali e che anche nella realtà dovrebbero essere riconosciuti e rispettati. Del resto, se neghiamo i diritti fondamentali a qualcuno, apriamo inevitabilmente la strada alla negazione dei diritti di tutti. Qual è il contrario del diritto? Non è semplicemente il dovere, ma il privilegio di alcuni. La priorità di intervento da parte di istituzioni pubbliche (Stati, Europa, ONU, ecc.) deve sempre rivolgersi alle persone che hanno bisogno di aiuto e che rischiano di perdere la vita, che si trovano in situazioni di emergenza o di pericolo. Ciò è previsto anche dal diritto internazionale che ogni Stato è tenuto a rispettare, ma vale anche per il progetto politico di un’Europa unita e solidale che non può disinteressarsi, demandando il controllo dei flussi migratori solo ai Paesi di primo approdo. L’egoismo politico che si sta manifestando da parte dei singoli Stati, che limitano drasticamente gli accessi, ma anche da parte delle Istituzioni europee, mette seriamente a rischio il progetto politico dell’Unione europea. Inoltre, se prevale la logica delle divaricazioni e della separazione tra le persone (italiani/stranieri) o del restringimento dei diritti umani fondamentali, si producono conflitti sociali, odio e disprezzo per l’altro, violenze e ingiustizie. Occorre un approccio integrale al problema delle migrazioni. Per offrire soluzioni adeguate alle sfide delle migrazioni e per aiutare le persone migranti anche “a casa loro” 24 Pace e diritti umani nel Mediterraneo occorre promuovere lo sviluppo umano integrale, la cooperazione internazionale e decentrata, ma anche il dialogo interculturale e interreligioso. La Dichiarazione universale dei diritti umani, firmata a Parigi il 10 dicembre 1948 dall'Assemblea Generale della Nazioni Unite è un documento ancora attuale. Il primo articolo afferma che «tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza». Questi diritti valgono anche per i migranti che provengono dai Paesi più poveri del Sud del mondo, depauperati e privati di risorse umane e materiali. Migranti, rifugiati, sfollati sono esseri umani uguali, in dignità e diritti, a tutti gli altri individui del pianeta. 9. Per una filosofia delle migrazioni. Immanuel Kant ha esposto tesi ancora attuali nel pieno della crisi migratoria che coinvolge l’Europa ed il Mediterraneo. Nel progetto filosofico Per la pace perpetua (1795) Kant non considera l’ospitalità come il frutto di una concessione filantropica, ma come diritto di visita. Si tratta dell’inalienabile «diritto di uno straniero di non essere trattato ostilmente quando arriva sul suolo di un altro. Quest’ultimo può allontanarne il primo quando ciò accada senza che ne consegua la rovina; ma sinché quello straniero sta pacificamente al suo posto, non lo può accogliere ostilmente. Non è un diritto di essere ospitato ciò che dà luogo a questa pretesa (a tal fine sarebbe richiesto un particolare contratto di benevolenza, per far diventare quello straniero coabitante per un certo tempo), ma un diritto di visita, che spetta a tutti gli uomini, di proporsi come membri della società per via del diritto al possesso comune della superficie della Terra, su cui , giacché è una superficie sferica, essi non possono disperdersi all’infinito e devono infine sopportarsi a vicenda, e originariamente nessuno ha più diritto che un altro a stare in un luogo di essa»17. Si tratta di un principio universale. Del resto, senza postulare la fine della sovranità nazionale, Kant afferma il diritto di proporsi come membri della società in un rapporto di amicizia e di reciproca 17 I. KANT, Per la pace perpetua. Un progetto filosofico di Immanuel Kant, in Scritti di storia, politica e diritto, a cura di F. Gonnelli, Laterza, Bari-Roma 1995, p. 177 e p. 188. 25 Pace e diritti umani nel Mediterraneo collaborazione per un progresso materiale e spirituale. In altri termini, Kant chiede che si passi dall’ostilità all’ospitalità reciproca, base e fondamento della pace universale. L’importanza di questa tesi viene riconosciuta anche dal sociologo Zygmunt Bauman18. Quando lo straniero non è riconosciuto come persona, gli sono negati i diritti che l’appartenenza alla comune umanità dovrebbe invece garantire e assicurare. La cancellazione o meglio l’oscuramento dell’umanità è un processo che Bauman chiama adiaforizzazione (dal greco ἀδιαφέρω, rendo indifferente), frutto di una politica di securitizzazione sempre associata negli ultimi anni al contratto dell’immigrazione. Tale approccio intransigente identifica sempre i migranti con potenziali terroristi e li conduce su un terreno esente da valutazioni morali, al di fuori cioè dello spazio della compassione e della cura, come osserva Bauman. Esonerati dalla responsabilità morale nei confronti di questi sventurati, il mondo occidentale resta in preda alla paura e rischia di scivolare nella spirale della violenza. Come acutamente osserva Bauman, «Ciò che si verifica oggi – in netta controtendenza rispetto alla costante espansione dello spazio dell’interdipendenza umana - è il restringersi di quelle obbligazioni morali che siamo disposti a riconoscere e accettare come nostra responsabilità»19. Tracciato il solco tra “noi” e “loro” si negano le responsabilità morali che noi dovremmo avere nei loro confronti. Tale sospensione dell’etica si compie nell’identificazione dei profughi con i nemici fastidiosi, indesiderati e inaccettabili da respingere. In questo processo di identificazione dell’altro con il nemico, le vittime si confondono con i carnefici e diventa preferibile per questi uomini politici, che mostrano il pugno forte con i deboli, costruire muri anziché ponti. Ai disperati che fuggono da una morte certa si nega così la dignità elementare dell’essere umano. Esclusi dall’orizzonte umano e relegati nell’alveo dell’indifferenza, migranti, rifugiati e richiedenti asilo lasciano indifferenti coloro che non si ritengono responsabili delle sventure altrui. L’inerzia di fronte al rischio reale di morte dell’altro uomo è un 18 Cfr. Z. BAUMAN, Stranieri alle porte (Strangers at our door, 2016), tr. Di Marco Cupellaro, Laterza, Bari-Roma 2016. 19 Ibid., p. 67. 26 Pace e diritti umani nel Mediterraneo atteggiamento devastante perché toglie alla politica e alle relazioni interpersonali ogni parvenza di umanità e di compassione. Per porre rimedio all’intolleranza e all’odio nei confronti dello straniero, secondo Bauman, bisogna recuperare il significato globale della complessità, intesa come capacità di costruire orizzonti comunitari concreti e come disponibilità a intraprendere l’arte del dialogo. 10. Il Global Compact sulle migrazioni ed il global compact sui rifugiati. Il 19 Settembre 2016 si è svolto a New York un vertice delle Nazioni Unite che ha prodotto la Dichiarazione di New York sui rifugiati e sui migranti. In quella circostanza, i leaders mondiali si sono impegnati a elaborare un patto globale per i rifugiati e hanno espresso la volontà di adottare questo patto globale per una migrazione sicura, ordinata e regolare in due processi separati. Del resto, i due patti globali definiscono due aspetti complementari e costitutivi della cooperazione internazionale in quanto migranti e rifugiati possono affrontare molte sfide comuni in condizione di vulnerabilità. Da ciò deriva la necessità di salvare la vita dei migranti e dei rifugiati e di proteggere i loro diritti, condividendo tale responsabilità a livello globale (Risoluzione 71/1 del 19 settembre 2016). Come prevedeva l’appendice di quella dichiarazione, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha poi deciso di convocare una conferenza intergovernativa per adottare un patto globale finalizzato a costruire un ordine internazionale sicuro e ordinato e una migrazione regolare. Come previsto dalle risoluzioni 71/280 del 6 aprile 2017, 72/244 del 24 dicembre 2017 e 72/308 del 6 agosto 2018, una conferenza intergovernativa ha approvato a Marrakech, in Marocco, tra il 10 e l’11 Dicembre 2018, il Global compact sulle migrazioni disciplinate, sicure e regolari e la protezione internazionale dei rifugiatie ed il Global Compact sui rifugiati. 27 Pace e diritti umani nel Mediterraneo Il 19 dicembre 2018 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (Resolution adopted by the General Assembly on 19 December 2018) ha adottato il Global compact sulle migrazioni. Questo accordo internazionale contiene alcune linee guida generali sulle politiche migratorie e si propone di offrire una risposta coordinata al fenomeno. Il Patto globale per una migrazione sicura, ordinata e regolare ha ricevuto il voto favorevole di 152 Paesi, il voto contrario di 5, mentre 12 Paesi, tra i quali l’Italia, si sono astenuti. Nel documento si afferma che i diritti umani universali dei rifugiati e dei migranti devono essere rispettati, protetti e realizzati in ogni momento, anche se si tratta di due gruppi distinti che sono regolati da norme giuridiche separate. Solo i rifugiati hanno diritto alla specifica protezione internazionale come definita dal diritto internazionale dei rifugiati. Il Patto globale assume un approccio integrale in quanto affronta la migrazione in tutte le sue dimensioni. In esso si afferma l’importanza della cooperazione internazionale e il rispetto della sovranità nazionale nelle decisioni che riguardano le politiche migratorie. I principi guida trasversali e interdipendenti a cui ci si richiama esplicitamente sono: - la centralità della persona. Da ciò deriva la necessità di promuovere il benessere dei migranti e delle comunità nei paesi di origine, di transito e di destinazione; - la cooperazione internazionale. Pur non essendo giuridicamente vincolante, il Patto globale sulle migrazioni riconosce il carattere transnazionale del fenomeno e l’esigenza di individuare risposte globali; - la sovranità nazionale; - il rispetto dello stato di diritto, il giusto processo e l’accesso alla giustizia; - lo sviluppo sostenibile nella convinzione che la migrazione è una realtà pluridimensionale che può contribuire al raggiungimento degli obiettivi contenuti nell’agenda 2030, quando e se è gestita correttamente; - il rispetto dei diritti umani dei migranti contro ogni forma di discriminazione, xenofobia o intolleranza; il rispetto dei diritti delle donne; l’attenzione ai minori; l’approccio trasversale che deve coinvolgere le dimensioni e gli apparati della pubblica 28 Pace e diritti umani nel Mediterraneo amministrazione; il partenariato sociale per una governance delle migrazioni che sia rispettosa delle persone e dei diritti umani. Nel documento sono indicati 23 obiettivi da cui deriva una serie di impegni e di azioni: «1. In primo luogo, occorre raccogliere e utilizzare dati precisi e disaggregati come base per elaborare politiche basate sull’evidenza dei fatti. 2. Ridurre al minimo i fattori negativi e strutturali che costringono le persone a lasciare il loro Paese d’origine. 3. Fornire informazioni accurate, aggiornate in tutte le fasi della migrazione. 4. Assicurare a tutti i migranti il diritto di possedere documenti d’identità validi. 5. Migliorare la disponibilità e la flessibilità dei percorsi per una migrazione regolare. 6. Garantire assunzioni etiche e giuste e condizioni dignitose di lavoro. 7. Affrontare e ridurre le condizioni di vulnerabilità durante la migrazione. 8. Salvare vite umane e compiere sforzi internazionali per interventi coordinati. 9. Rafforzare la risposta transnazionale per contrastare il traffico di essere umani. 10. Prevenire, combattere e sradicare la tratta di esseri umani nel contesto delle migrazioni internazionale. 11. Gestire le frontiere in modo integrato, sicuro e coordinato. 12. Rafforzare la certezza e la prevedibilità delle procedure per la migrazione al fine di operare le opportune selezioni, valutazioni e attività di orientamento. 13. Ricercare soluzioni alternative alla detenzione dei migranti. 14. Migliorare la protezione consolare, l’assistenza e la cooperazione durante tutto il ciclo della migrazione. 15. Fornire l’accesso ai servizi di base per migranti. 16. Promuovere politiche di inclusione e di coesione sociale. 17. Eliminare tutte le forme di discriminazione e promuovere un dibattito pubblico basato sulla conoscenza realistica del fenomeno migratorio per modificare la percezione (negativa) nei confronti dei migranti. 18. Investire nello sviluppo delle competenze e favorire il riconoscimento di abilità, qualifiche e competenze. 29 Pace e diritti umani nel Mediterraneo 19. Creare le condizioni affinché i migranti e le diaspore possano contribuire allo sviluppo sostenibile in tutti i Paesi. 20. Promuovere trasferimenti di rimesse più rapidi, sicuri ed economici e favorire l’inclusione economico-finanziaria dei migranti. 21. Cooperare per facilitare il ritorno sicuro e dignitoso e la riammissione, nonché il reinserimento sostenibile. 22. Stabilire meccanismi per la portabilità dei diritti previdenziali e delle prestazioni maturate. 23. Rafforzare la cooperazione internazionale e una partnership globale per una migrazione sicura, ordinata, e regolare».20 Il Global Compact riconosce che la migrazione è una realtà multidimensionale di grande rilevanza per lo sviluppo sostenibile dei Paesi d’origine, di transito e di destinazione. Per realizzare gli obiettivi dello sviluppo sostenibile, le migrazioni devono essere gestite correttamente e i flussi migratori devono essere regolati, controllati e sicuri. A tal proposito, è opportuno approfondire tre aspetti: i cambiamenti climatici, l’emergenza umanitaria legata ai flussi migratori, la questione dei diritti umani. In relazione ai cambiamenti climatici e disastri naturali che causano migrazioni forzate, il GCM afferma che è necessario garantire protezione e assistenza umanitaria alle persone colpite da disastri naturali a insorgenza improvvisa e a insorgenza lenta. Spesso il peggioramento delle situazioni ambientali costringe le persone ad una migrazione irregolare, a esodi di massa e a condizioni precarie di vita. Il Global Compact sulle migrazioni si fonda sui principi espressi dalla Carta delle Nazioni Unite, sulla Dichiarazione Universale dei diritti umani, ma richiama esplicitamente anche gli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, il Piano 20 UNITED NATIONS, Global Compact for safe, orderly and regular migration, 13 July 2018 https://refugeesmigrants.un.org/sites/default/files/180713_agreed_outcome_global_compact_for_migratio n.pdf 30 Pace e diritti umani nel Mediterraneo d’azione di Addis Abeba21, nonché l’Accordo di Parigi22 e l’Accordo di Sendai per la riduzione dei rischi di disastri 2015-2030. Inoltre, bisogna considerare anche alcune raccomandazioni che sono frutto di processi consultivi tra gli Stati, come l’Agenda per la protezione di sfollati transnazionali nel contesto di catastrofi e cambiamenti climatici e la Piattaforma sugli esodi per catastrofi. L’emergenza umanitaria dei migranti, che seguono rotte impervie e molto rischiose, via mare e via terra, esige politiche condivise a livello internazionale per salvare vite umane e garantire un’assistenza efficace. Inoltre, occorre adottare strategie efficaci a lungo termine per contrastare l’immigrazione irregolare e per offrire alternative dignitose a tutti coloro che non possono tornare nel proprio Paese di origine. Gli Stati si sono impegnati a collaborare a livello internazionale per salvare vite umane e prevenire morti e feriti tra i migranti attraverso operazioni di ricerca e soccorso con procedure e accordi condivisi, con la raccolta e lo scambio di informazioni pertinenti. La responsabilità morale collettiva, espressa anche nel diritto internazionale, deriva dal dovere morale di tutelare il diritto alla vita dei migranti. Purtroppo, non sempre dalle dichiarazioni di principio sono derivati interventi concreti, efficaci e tempestivi da parte 21 UNITED NATIONS, Addis Ababa Action Agenda of the Third International conference on Financing for development (Addis Ababa Action Agenda), New York 2015 https://www.un.org/esa/ffd/wpcontent/uploads/2015/08/AAAA_Outcome.pdf I Par. 40 e Par. 111 indicano il contributo positivo dei migranti alla crescita e allo sviluppo sostenibile nei Paesi di origine, di transito e di destinazione. Inoltre, si ribadisce la necessità di diminuire i costi di transazione delle rimesse, la necessità di incentivare la cooperazione per il riconoscimento dei titoli esteri e delle competenze, l’esigenza di combattere lo sfruttamento, la xenofobia nei Paesi di destinazione al fine di promuovere i diritti fondamentali e le libertà, con particolare riferimento alle donne e ai bambini. 22 UNITED NATIONS - CLIMATE CHANGE, The Paris Agreement. La conferenza sul clima si è tenuta a Parigi (COP21) nel dicembre 2015. L’accordo di Parigi – convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici è stato firmato nell’Aprile 2016 (FCCC/CP/2015/10/Add.1, decisione 1/CP.21), mentre il 5 Ottobre 2016 è stato ratificato dall’Unione Europea. In base all’Articolo 2, i governi si impegnano a «rafforzare la risposta mondiale alla minaccia posta dai cambiamenti climatici, nel contesto dello sviluppo sostenibile e degli sforzi volti a eliminare la povertà, in particolare: a) mantenendo l’aumento della temperatura media mondiale ben al di sotto di 2 °C rispetto ai livelli preindustriali e proseguendo l'azione volta a limitare tale aumento a 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali, riconoscendo che ciò potrebbe ridurre in modo significativo i rischi e gli effetti dei cambiamenti climatici; b) aumentando la capacità di adattamento agli effetti negativi dei cambiamenti climatici e promuovendo la resilienza climatica e lo sviluppo a basse emissioni di gas a effetto serra, con modalità che non minaccino la produzione alimentare; c) rendendo i flussi finanziari coerenti con un percorso che conduca a uno sviluppo a basse emissioni di gas a effetto serra e resiliente al clima». 31 Pace e diritti umani nel Mediterraneo di tutti gli Stati. Altrettanto importante è identificare coloro che sono morti o scomparsi e facilitare la comunicazione con le famiglie coinvolte. Infine, centrale è il rapporto tra diritti umani e migrazione. Il Global Compact riafferma che i diritti umani riguardano tutti, indipendentemente dallo status di migrante e in tutte le fasi del ciclo migratorio. Molte situazioni di vulnerabilità sono qui contemplate: in particolare i minori e le donne, ragazzi e ragazze, uomini che rischiano di diventare vittime del traffico di esseri umani o di altre forme di sfruttamento e di abusi. Inoltre, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) ha elaborato il testo di un patto globale per i rifugiati, che è stato approvato dall’Assemblea Generale dell’ONU il 17 dicembre 2018 mediante lo strumento della risoluzione. Il Global compact sui rifugiati23 si fonda sui principi di umanità e solidarietà internazionale. La base normativa si può rintracciare nella Convenzione di Ginevra del 1951, nel Protocollo di New York del 1967 e nella Dichiarazione di New York del 2016. Come il Global compact sui migranti, anche il Global compact sui rifugiati non è una convenzione o un trattato, ma si propone di migliorare la cooperazione internazionale, riconoscendo che esiste una responsabilità globale sulla questione dei rifugiati. Il Global compact indica quattro obiettivi fondamentali: alleggerire la pressione sui Paesi che accolgono un gran numero di rifugiati; favorire la fiducia e l’autonomia da parte dei rifugiati; allargare l’accesso al “resettlement” (reinsediamento); promuovere il diritto all’istruzione e all’assistenza sanitaria dei rifugiati; favorire un ritorno sicuro e dignitoso dei rifugiati nei loro Paesi d’origine. Il Patto Globale sui rifugiati che intende affrontare la questione delle migrazioni forzate di massa, sollecita l’impegno della comunità internazionale a favore della pace e dello sviluppo sostenibile. Inoltre, compare un riferimento importante ai disastri naturali e ai cambiamenti climatici, che concorrono a determinare la scelta di lasciare un Paese, agli 23 UNITED NATIONS, Report of United Nations High Commissioner for Refugees. Part II: Global compact on refugees Supplement No. 12 (A/73/12 (Part II), New York 2018 https://www.unhcr.org/gcr/GCR_English.pdf 32 Pace e diritti umani nel Mediterraneo internally displaced persons (IDP) di cui bisogna sempre tener conto quando si affronta il problema delle migrazioni. Solo gli Stati Uniti e l’Ungheria hanno votato contro, mentre l’Italia ha votato a favore. Inoltre, solo tre Paesi si sono astenuti: Repubblica Dominicana, Eritrea e Libia. 11. L’accordo UE-Turchia del 2016. La guerra in Siria, scoppiata nel 2011, ha generato imponenti flussi migratori che l’Europa ha tentato di arginare attraverso accordi internazionali. Infatti, il 18 marzo 2016, gli Sati membri dell'Unione europea e la Turchia hanno deciso di fermare la migrazione irregolare dalla Turchia verso l'UE. Questa decisione prosegue il piano d’azione comune UE-Turchia, avviato il 29 novembre 2015 e la dichiarazione UETurchia del 7 marzo. L'accordo mirava a colpire il business dei trafficanti di esseri umani, contrastare l’immigrazione irregolare in Europa e ristabilire il rispetto della legislazione internazionale ed europea. Con questo accordo, raggiunto dopo lunghi negoziati, la Turchia si è impegnata a riammettere tutti i nuovi migranti irregolari in viaggio dalla Turchia verso le isole greche a decorrere dal 20 marzo 2016, nel rispetto del diritto dell'UE e del diritto internazionale. In questo contesto, si dichiara che è esclusa qualsiasi forma di espulsione collettiva. Gli Stati membri dell'UE hanno anche deciso di fornire alla Grecia i mezzi necessari, tra cui guardie di frontiera, esperti in materia di asilo e interpreti. In cambio, l’Unione europea si è impegnata a ricollocare dalla Turchia all’UE un rifugiato siriano per ogni cittadino siriano rimpatriato in Turchia dalle isole greche. Inoltre, l’UE si è impegnata a pagare sei miliardi di euro entro la fine del 2018 per supportare l’assistenza della Turchia ai tre milioni di rifugiati siriani. La Turchia si è impegnata ad adottare le misure necessarie per impedire l'apertura di nuove rotte terrestri o marittime per la migrazione illegale. Nel documento si apprende che terminati gli attraversamenti irregolari, verrà attivato un programma volontario di ammissione umanitaria. 33 Pace e diritti umani nel Mediterraneo L’UE e la Turchia hanno dichiarato di voler migliorare la situazione umanitaria in Siria. L’accordo è stato criticato da molte organizzazioni per i diritti umani in quanto la Turchia non è un Paese sicuro dove mandare indietro i rifugiati, provenienti da Siria e Afghanistan. Di fatto, poche persone sono state rimandate in Turchia anche a causa della lentezza e della burocrazia greca. Di conseguenza, questo accordo ha provocato un sovraffollamento dei centri di accoglienza nelle isole greche, dove donne, uomini e bambini vivono in condizioni drammatiche. Inoltre, questo accordo dimostra che l’Europa non è disposta ad assumersi le proprie responsabilità nei confronti dei rifugiati. Inoltre, il 9 Ottobre 2019 è iniziata l’operazione militare della Turchia nel Nord Est della Siria contro i Curdi, anche a seguito del disimpegno degli USA che hanno abbandonato la regione abitata dai Curdi dopo che questi ultimi avevano dato un contributo decisivo alla lotta contro l’Isis. I bombardamenti e le ferite in quella zona del Medio Oriente hanno provocato nuove ondate migrazioni forzate di sfollati, in fuga verso l’Iraq a causa della guerra di Erdogan che coltiva il progetto di spostare i rifugiati siriani in quella parte della Siria. Per impedire qualsiasi intromissione da parte degli Stati europei nell’offensiva turca nel Nord Est della Siria, contro i Curdi, il leader turco Erdogan ha minacciato di aprire le porte dell’Europa a milioni di migranti e rifugiati, ospitati dalla Turchia. Del resto, la nuova crisi migratoria che si annuncia proprio a seguito della guerra di Siria, pone in crisi la politica europea che fatica a trovare un strategia geopolitica e una posizione unica. Proprio la guerra scatenata da Erdogan nel Nord Est della Siria contro i Curdi è un’aperta violazione delle dichiarazioni contenute nell’accordo del 2016 in quanto l’emergenza umanitaria che si sta profilando aggrava ulteriormente la situazione già molto compromessa di bambini, donne e altri soggetti vulnerabili. 12. Il protocollo d’intesa tra Libia ed Italia. Il 2 febbraio 2017 il Presidente del Consiglio dei Ministri italiano Paolo Gentiloni e il Capo del Governo di Riconciliazione nazionale dello Stato dei Libia, riconosciuto dall’ONU, dall’Unione europea e dall’Italia, Fayez Mustapa Serraj, hanno sottoscritto un Memorandum d’intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto 34 Pace e diritti umani nel Mediterraneo all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e la Repubblica Italiana. Questo non è stato certamente il primo accordo concluso tra Italia e Libia. Al Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria araba libica popolare socialista del 2008 è seguita la Dichiarazione di Tripoli del 2012. L’accordo tra le due parti si propone di limitare gli sbarchi sulle coste italiane di cittadini provenienti dalla Libia e, conseguentemente, di contrastare i flussi di migranti illegali ovvero il traffico di esseri umani attraverso la lotta contro gli scafisti. Inoltre, si dichiara l’intenzione di rafforzare la cooperazione contro il terrorismo, anche se non compare un riferimento esplicito alla tutela dei diritti umani dei migranti. In questo modo l’Italia cercava di affermarsi come interlocutore privilegiato del governo libico. Inoltre, non bisogna dimenticare che il Governo di riconciliazione nazionale non possiede il controllo del territorio, ma solo di una parte della Libia, dove la situazione resta molto fluida dal punto di vista militare e politico. Anche se il governo islamista insediatosi a Tripoli nel 2014 è stato allontanato, esistono due autorità distinte e contrapposte: da una parte il governo di Tripoli guidato da Serraj, dall’altra il Parlamento di Tobruk, sostenuto dal generale Haftar. La situazione confusa è ulteriormente complicata dalla presenza di milizie e tribù che si dividono i proventi dei traffici di esseri umani e armi. In terzo luogo, occorre sottolineare che la Libia non ha mai firmato la Convenzione di Ginevra sui rifugiati. Questo fatto ha limitato l’intervento delle Agenzie delle Nazioni Unite. Il Memorandum è stato siglato a Roma presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri italiana con un lavoro diplomatico condotto dal Ministro Minniti. L’accordo, ha durata triennale, è tacitamente rinnovabile, anche se il governo italiano è intenzionato a chiedere alcune modifiche. In particolare, l’articolo 1 lett. A prevede che la Parte italiana fornisca finanziamenti e supporto tecnico e tecnologico alla Guardia costiera e agli organi competenti. 35 Pace e diritti umani nel Mediterraneo Inoltre, le Parti si sono impegnate all’adeguamento e al finanziamento dei centri di accoglienza con finanziamenti italiani ed europei. La parte italiana contribuisce, poi, attraverso la fornitura di medicinali e attrezzature mediche, a soddisfare le esigenze di assistenza sanitaria dei migranti irregolari. Inoltre, l’Italia si è impegnata a sostenere la formazione del personale libico nei centri di accoglienza per individuare metodi efficaci contro il fenomeno dell'immigrazione irregolare e la tratta degli esseri umani. L’accordo contiene anche una prospettiva di cooperazione euro-africana finalizzata ad eliminare le cause dell'immigrazione irregolare e a sostenere i Paesi d’origine dell’immigrazione al fine di attuare progetti strategici di sviluppo. Molti sono i punti critici dell’accordo, nonostante le dichiarazioni di intenti delle parti contraenti. Innanzitutto, il memorandum è stato approvato senza passaggio parlamentare. Questo metodo è sicuramente un altro aspetto problematico dell’intesa raggiunta. Oltre a ciò, sono stati messi sotto accusa i fondi pubblici usati per finanziarlo, ma soprattutto le violazioni dei diritti umani sia da parte della guardia costiera libica sia all’interno dei centri di detenzione governativi. Contestualmente al rinnovo dell’accordo potrebbero essere introdotte alcune modifiche, previste dall’articolo 7 del Memorandum al fine di consentire la presenza di organizzazioni umanitarie nei centri di detenzione, di riattivare programmi di evacuazione e rimpatrio, di migliorare le condizioni disumane nei 19 centri governativi ma che sono gestiti dalle milizie. Nei centri governativi sono detenute dalle tremila alle seimila persone che vivono in condizioni disumane. Come ampiamente documentato dalle Nazioni Unite, da diverse associazioni e organizzazioni internazionali, le autorità libiche non sono state in grado di impedire la violazione dei diritti umani e di contrastare le violenze contro i migranti nei centri. 13. Accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Alla luce dei risultati negativi prodotti da accordi internazionali, come ad esempio l’Accordo UE-Turchia o il protocollo d’intesa tra Libia ed Italia, gli Stati membri 36 Pace e diritti umani nel Mediterraneo dell’Unione Europea non dovrebbero trasferire al di fuori dell’Unione europea la responsabilità politica della protezione umanitaria di migranti forzati. In questi accordi si dichiara di voler offrire un’alternativa ai migranti, ma in realtà questo obiettivo non è stato raggiunto. Anche se sono diminuiti gli arrivi in Italia ed in Europa di migranti forzati nel 2017 e nel 2019, non è affatto diminuito il numero delle vittime, come del resto non è diminuito il numero di coloro che hanno lasciato il loro Paese e hanno intrapreso viaggi pericolosi per fuggire dalle guerre, dalle persecuzioni, dai disastri naturali e dalla povertà. Inoltre, molti migranti sono rimasti intrappolati o sono stati rimandati in contesti e in Paesi pericolosi. Secondo Papa Francesco, la risposta al problema delle migrazioni si potrebbe articolare attorno a quattro verbi fondamentali: «accogliere, proteggere, promuovere e integrare»24. Alla luce di ciò, è possibile individuare alcune indicazioni concrete. Accogliere significa garantire a migranti e rifugiati percorsi sicuri e legali di ingresso in Europa. Per questo, è urgente aprire i corridoi umanitari per i rifugiati, favorire il ricongiungimento familiare, prevedere visti temporanei speciali per le persone che scappano dalle guerre. Le espulsioni collettive e arbitrarie di migranti e rifugiati non sono soluzioni adeguate perché violano i diritti umani fondamentali dei migranti. Per affrontare la questione delle migrazioni, bisogna essere consapevoli che la vera accoglienza deve prevedere percorsi d’inclusione e di integrazione, di educazione alla cittadinanza al fine di promuovere l’incontro tra culture diverse ed il dialogo interculturale. Anche nei confronti di coloro che entrano nel territorio nazionale senza essere autorizzati il Papa invita ad assumere atteggiamenti umani di solidarietà, preferendo soluzioni alternative alla detenzione. Del resto, la dignità delle persone e dei nuclei familiari che si trovano in condizione di bisogno e di necessità, a causa della migrazione, non deve mai essere calpestata o ignorata. 24 PAPA FRANCESCO, Discorso ai partecipanti al Forum Internazionale “Migrazioni e pace”, 21 febbraio 2017; Messaggio del Santo Padre Francesco per la 105ma giornata del migrante e del rifugiato 2018; Messaggio del Santo Padre Francesco per la 105ma giornata del migrante e del rifugiato 2019. 37 Pace e diritti umani nel Mediterraneo Il verbo proteggere si può declinare in una serie di azioni concrete in difesa dei diritti e della dignità dei migranti e dei rifugiati. Papa Francesco osserva giustamente che la protezione delle persone deve cominciare nel Paese di origine dei migranti. Un’efficace azione preventiva dovrebbe consentire l’accesso ad informazioni accurate, tempestive certe prima di partire ma anche durante tutto il processo migratorio. Infatti, un’azione deterrente, che renda consapevole dei rischi di un’immigrazione irregolare, è necessaria per evitare viaggi insicuri e molto rischiosi. I trafficanti di esseri umani iniziano la loro opera criminale di persuasione proprio nei villaggi dei Paesi in via di sviluppo, diffondendo. I corsi di formazione prima della partenza nei Paesi di origine, in cooperazione con le autorità locali, con le missioni consolari e diplomatiche, con le organizzazioni non governative possono certamente promuovere una migrazione sicura, ordinata e regolare e consapevole. Le false promesse diffuse in cambio di denaro tradiscono sempre le attese dei poveri e dei disperati del Sud del mondo che hanno bisogno di essere aiutati con programmi di sviluppo e di lavoro. Inoltre, nei Paesi di arrivo è necessario garantire ai migranti l’assistenza consolare, l’accesso a informazioni complete mirate e accessibili con le necessarie indicazioni sui loro diritti e doveri, sul rispetto delle leggi nazionali e locali, sui permessi di lavoro e di soggiorno, sull’assistenza sanitaria. Promuovere la dignità delle persone significa fare in modo che i migranti e i rifugiati e i richiedenti asilo, insieme alle comunità di accoglienza, possano realizzarsi come persone. Il rispetto della religione di ciascuno e il dialogo tra culture diverse, ma anche la valorizzazione delle competenze delle persone, il sostegno a programmi di formazione linguistica e di educazione alla cittadinanza, di inserimento lavorativo rivolti a tutti i soggetti vulnerabili, disoccupati autoctoni, ma anche migranti, rifugiati o richiedenti asilo, sono alcuni elementi essenziali dell’umanesimo della solidarietà. Da ciò deriva la necessità di superare le divisioni o le contrapposizioni tra poveri e di promuovere una reale integrazione e inclusione delle persone vulnerabili e a rischio di esclusione. Inoltre, è necessaria attenzione e cura nei confronti dei minori non accompagnati che devono essere tutelati per evitare e contrastare ogni forma di abuso, minaccia o sfruttamento. 38 Pace e diritti umani nel Mediterraneo La cooperazione internazionale allo sviluppo e la cooperazione decentrata sono gli strumenti che la comunità europea e internazionale deve sostenere con grande impegno al fine di investire risorse per lo sviluppo umano integrale in una logica di condivisione e di reciprocità tra le comunità dei Paesi del Mediterraneo e del mondo. Accanto alla gestione di emergenze umanitarie di vaste proporzioni, è necessario promuovere anche la sostenibilità degli interventi nei Paesi più poveri e impoveriti, combattendo in primo luogo la piaga della corruzione che si insinua ad ogni livello. La presenza di migranti e rifugiati costituisce una grande opportunità per i Paesi di accoglienza che possono così promuovere il dialogo interculturale, la civiltà dell’amore, la convivialità delle differenze e la fratellanza umana. Le comunità che accolgono e includono hanno la possibilità di costruire ponti tra popoli e culture sui pilastri della giustizia e del rispetto, uniche alternative ai muri dell’indifferenza o dell’odio. Il rapporto con l’altro non produce mai assimilazione, indistinzione amorfa e non sopprime l’identità culturale dei soggetti che sono in relazione, ma permette di aprire lo scrigno dei segreti racchiusi in ogni identità (storia, cultura, tradizione) che si protende verso la differenza di cui ciascuno è portatore. Aprirsi all’alterità significa anche conoscere la verità di se stessi nel circolo ermeneutico della conoscenza reciproca in cui il volto dell’altro diventa il centro metafisico del co-esistere. Una cultura dell’incontro e del dialogo, basata sulla reciprocità, aumenta le opportunità di sviluppo, moltiplica i processi di inclusione e permette di considerare tutte le persone degne di amore e di rispetto per il fatto che esistono come esseri umani e nella forma della loro esistenza particolare. Come ribadisce il Global compact per le migrazioni delle Nazioni Unite, per favorire il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile, bisogna eliminare i fattori negativi e i fattori strutturali che costringono le persone a lasciare il loro Paese di origine, anche attraverso l'eliminazione della povertà, la sicurezza alimentare, la salute e l’igiene, l’istruzione, la crescita economica inclusiva, le infrastrutture, lo sviluppo urbano e rurale, la creazione di posti di lavoro, il lavoro dignitoso, l’uguaglianza di genere e l’emancipazione delle donne e delle ragazze, la resilienza e la riduzione dei rischi di catastrofi, l’attenuazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici, la gestione 39 Pace e diritti umani nel Mediterraneo degli effetti socioeconomici di tutte le forme di violenza, la non discriminazione, lo stato di diritto e il buon governo, l’accesso alla giustizia e la protezione dei diritti umani, nonché la creazione e il mantenimento di società pacifiche e inclusive con istituzioni efficaci, responsabili e trasparenti. Secondo l’aberrante concezione dello scarto, frutto di una mentalità consumistica e materialistica, il soggetto che vive in una situazione di povertà e di emarginazione sociale non merita rispetto, cura e attenzione. L’unico antidoto contro questa visione distorta dell'uomo e della società, la quale riflette una concezione elitaria della società e della politica, è la convivialità delle differenze. L’umanesimo della solidarietà è capace di ispirare azioni concrete: salvare, accogliere, proteggere, promuovere e integrare le persone, tutti gli abitanti delle periferie esistenziali è un dovere morale che implica livelli di responsabilità personali, politiche e sociali. I migranti, i rifugiati, gli sfollati e i richiedenti asilo sono nostri fratelli di cui dobbiamo prenderci cura. Tuttavia, come più volte abbiamo avuto modo di sottolineare, non si tratta solo di migranti: si tratta della nostra umanità, ma anche delle nostre paure e soprattutto del futuro dell’umanità. Non si tratta solo di migranti: si tratta di tutta la persona, che in quanto tale si può definire come «il diritto umano sussistente»; si tratta di tutte le persone che hanno il diritto di abitare la casa comune. In ultima analisi, non è possibile uno sviluppo umano sostenibile senza la giustizia sociale, da attuare a livello locale e globale, e senza il rispetto dei diritti umani fondamentali. I migranti sono nostri fratelli e ciò che unisce il genere umano è molto più importante di quello che ci divide, cioè delle differenze religiose, culturali o economiche. Per questo, nessuno può vivere nell’indifferenza di fronte ai gemiti e ai lamenti dell’umanità, fingendo di non vedere o di non ascoltare il dramma delle persone costrette alla migrazione forzata. Nessun uomo in quanto uomo può evitare, sopprimere o ignorare nell’interiorità della sua coscienza la domanda perenne che sempre si ripropone: Dov’è tuo fratello? A questa domanda non esiste altra risposta se non l’unico imperativo etico che ci conduce nel centro metafisico della co-esistenza e dell’essere nel mondo con gli altri: Ama il prossimo tuo come te stesso! 40 ATTILIO PISANÒ Il Leviatano è ancora vivo. Migrazioni e Human Rights Gap, movendo da Hannah Arendt Abstract: Il contributo muove da una riflessione arendtiana per svolgere un ragionamento sullo human rights gap come fattore di spinta dei fenomeni migratori. La riflessione, inoltre, si articolerà intorno al ruolo dello Stato nei processi di implementazione dei diritti avendo come metro il mutamento di prospettiva che, a partire dal fine del secondo conflitto mondiale, ha spostato il piano normativo dei diritti dall’ambito domestico a quello internazionale. Verrà così ribadita l’importanza del principio di uguaglianza nell’effettivo riconoscimento dei diritti, anche nella prospettiva cosmopolitica, facendo ricorso ad elementi utili a fotografare la profondità dello human rights gap. Keywords: Human Rights Gap; Migrazioni; Cittadinanza; Eguaglianza. 1. Il paradosso dei diritti In Le origini del totalitarismo (1948), Hannah Arendt scriveva che «nessun paradosso della politica contemporanea è più pervaso di amara ironia del divario fra gli sforzi di sinceri idealisti, che insistono tenacemente a considerare “inalienabili” i diritti umani, in realtà goduti soltanto dai cittadini dei Paesi più prosperi e civili, e la situazione degli individui privi di diritti, che è costantemente peggiorata, sino a fare del campo di internamento (prima della seconda guerra mondiale l’eccezione piuttosto che la regola per gli apolidi) la soluzione corrente del problema della residenza delle displaced persons».1 A distanza di settant’anni, le parole della filosofa di Eichmann in Jerusalem. A Report on the banality of Evil, risultano ancora di pressante attualità. Non solo perché la sua storia personale, racchiude in sé un archetipo universale, quello di chi fugge dalle persecuzioni, privato dei propri diritti, migrante in cerca di rifugio in un Paese che spera possa dargli accoglienza. Ma anche perché oggi, probabilmente più di ieri, una delle questioni più rilevanti che caratterizza la fenomenologia dei diritti è proprio quella del divario, sempre più evidente, tra l’universalità del consenso normativo generato dai 1 H. ARENDT, Le origini del totalitarismo (1948), Torino, Einaudi, 2004, p. 388. 41 Pace e diritti umani nel Mediterraneo diritti (il «consensus omnium gentium o consensus humani generis»2) e la particolarità dell’effettivo godimento, delimitato, in maniera sempre più evidente, da spazi e confini.3 Questione attuale, quella sollevata dalla Arendt, se, come suggeriva Pietro Barcellona, all’inizio del nuovo Millennio, guardando ai processi di globalizzazione (economica e giuridica) che si sono sviluppati negli ultimi decenni, ci si accorge che «mentre questi diritti sono stati proclamati in tutte le latitudini del mondo, la parte di popolazione mondiale che partecipa alla festa del benessere si è ridotta sempre di più».4 Niente di più, o di meno, rispetto a quanto denunciato dalla Arendt una cinquantina di anni prima. Se, però, non ci si limita all’astrazione di una citazione dal suo contesto argomentativo generale, quanto osservato dalla filosofa di origini tedesche, nasconde ulteriori e, forse, più sinistri elementi di attualità. Il tema generale, difatti, affrontato nel capitolo nono della versione italiana del 2004 di Le origini del totalitarismo, è quello del “tramonto dello stato nazionale e la fine dei diritti umani”. In questo capitolo, la Arendt non si limitava a denunciare le aporie dei diritti umani (per come lei li vedeva nel 1948, infra), ma, partendo dalla descrizione della situazione che aveva vissuto l’Europa a cavallo delle due guerre mondiali (quando «le guerre civili […] furono più sanguinose e crudeli che in passato e diedero luogo a migrazioni di gruppi che […] privati dei diritti umani garantiti dalla cittadinanza, si trovarono ad essere senza alcun diritto, la schiuma della terra»5), denunciava i pericoli insiti nell’idea che lo Stato potesse disporre, a suo piacimento, dello statuto di cittadinanza e del portato di diritti ad esso connesso. Lo strumento che sostanziava questa disponibilità era proprio il diritto, le legislazioni «formulate in modo da consentire l’espulsione dei cittadini al momento opportuno».6 2 N. BOBBIO, L’età dei diritti, Torino, Einaudi, 1990, p. 19. Si veda A. PISANÒ, Sul momento applicativo del diritto dei diritti umani, in «Rivista di Filosofia del Diritto», 1, 2017, pp. 119-140. 4 P. BARCELLONA, Le passioni negate. Globalismo e diritti umani, Troina, Città Aperta Edizioni, 2001, p. 139. 5 H. ARENDT, Le origini del totalitarismo, cit., p. 372. 6 Ibidem, p. 387. 3 42 Pace e diritti umani nel Mediterraneo La condizione di apatride, perno della riflessione arendtiana, non era naturale, bensì, artificiale, sopravvenuta per mezzo di un tratto di legge, il quale aveva il potere di trasformare l’essere umano in «uomo generico –senza professione, senza cittadinanza, senza una opinione, senza un’attività con cui identificarsi e specificarsi– e in individuo generico, rappresentante nient’altro che la propria diversità assolutamente unica, spogliata di ogni significato perché privata dell’espressione e dell’azione in un mondo comune».7 Occorre ricordare in proposito che l’ordito filosofico arendtiano poggia su una concezione comunitaristica, si potrebbe dire aristotelico-tomistica dell’antropologia umana, la quale definisce l’humanum nella sua piena ed attiva appartenenza ad una comunità politica.8 Ci troviamo dinnanzi alla denuncia della responsabilità dello Stato nella determinazione di quei (graduali) processi di esclusione e deumanizzazione che avevano come effetto ultimo la privazione del diritto più importante, quello di avere diritti. In questo scenario, la disponibilità della cittadinanza nelle mani dello StatoLeviatano (ed il suo uso per motivi politici) era la condizione che aveva favorito proprio quel processo di esclusione dalla comunità di cittadini (molto spesso) perfettamente integrati nel tessuto sociale, il quale minava alle fondamenta uno dei princìpi cardine dello Stato legislativo: il principio di uguaglianza di fronte alla legge. «Quando questo [lo Stato nazionale, n.d.r.] non è in grado di trattare gli apolidi come soggetti giuridici e lascia ampio campo d’azione all’arbitrio delle misure poliziesche, difficilmente resiste alla tentazione di privare tutti i cittadini del loro status e di governarli con una polizia onnipotente».9 2. Quali diritti? 7 Ibid., p. 418. Sul punto si veda della Arendt anche The Human Condition, 1958, trad. it Vita Activa. La condizione umana, Milano, Bombiani, 1964, 1989, un’opera, ricorda Alessandro Dal Lago nella sua introduzione, di antropologia filosofica segnata da una concezione dell’agire come essere-nel-mondo. Sul punto rimando anche a P. HELZEL, Hannah Arendt e il ‘diritto di cittadinanza’ come base dei diritti umani, in «Cittadinanza Europea», 2, 2015, pp. 103-115. 9 H. ARENDT, Le origini del totalitarismo, cit., p. 402. 8 43 Pace e diritti umani nel Mediterraneo C’è da sottolineare, però, che tralasciando gli aspetti generali di carattere semantico e linguistico convocati dal concetto di “diritti umani” (human rights) utilizzato dalla Arendt, è ormai in via di consolidamento l’utilizzo specifico dell’espressione de qua (diritti umani, human rights) che descrive una particolare fattispecie di diritti soggettivi (non l’unica evidentemente) che, in realtà, ancora sul finire degli anni Quaranta del Novecento, ancora non aveva manifestato chiaramente la loro dimensione istituzionale.10 Per diritti umani, come già anticipato, devono dunque intendersi quei diritti progressivamente riconosciuti, promossi e protetti a seguito dell’approvazione della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948, sia dal diritto (propriamente) internazionale (facente capo quindi all’azione delle Nazioni Unite ed al sistema che ruota intorno ai Core Human Rights Treaties ed alle attività di controllo e promozione delle Nazioni Unite, tramite lo United Nations Human Rights Council o allo High Commissioner on Human Rights) sia da quello regionale (i diritti riconosciuti e protetti da convenzione specifiche promosse dalle organizzazioni regionali come il Consiglio d’Europa o l’Organizzazione degli Stati Americani che, di norma, prevedono anche meccanismi di garanzia giudiziaria tramite l’istituzione di corti ad hoc). I “diritti umani” di cui parla Hannah Arendt non sono dunque i “diritti umani” che si sono affermati a partire dalla conclusione del secondo conflitto mondiale. Ma quella particolare tipologia che va ad indentificarsi con i diritti ancorati, spiegava Luigi Ferrajoli, «alla cittadinanza in quanto ‘appartenenza’ (a una determinata comunità statale) e quindi alla statualità».11 La perdita della cittadinanza, anche per opera di una legge dello Stato, dunque, significava la negazione dell’appartenenza ad una comunità. Tale perdita si poteva realizzare perché i diritti di cittadinanza erano “diritti pubblici soggettivi”, la «versione positivista dei “diritti naturali”»12, i quali «rispetto allo Stato 10 Per una panoramica sugli aspetti terminologici e concettuali, ex plurimis, si veda E. PARIOTTI, I diritti umani: concetto, teoria, evoluzioni, Padova, CEDAM, 2013; A. FACCHI, Breve storia dei diritti umani. Dai diritti dell’uomo ai diritti delle donne, Bologna, il Mulino, 20132; F. VIOLA, G. ZACCARIA, Le ragioni del diritto, Bologna, il Mulino, 2003; G. PECES-BARBA, Teoria dei diritti fondamentali (1991), Milano, Giuffrè, 1999. 11 L. FERRAJOLI, Dai diritti del cittadino ai diritti della persona, in D. ZOLO, a cura di, La cittadinanza. Appartenenza, identità, diritti, Roma-Bari, Laterza, 1994, p. 289. 12 G. PECES-BARBA, cit, p. 15. 44 Pace e diritti umani nel Mediterraneo come legislatore, non potevano essere concepiti come una limitazione ma solo come un’autolimitazione e come una concessione. I diritti esistevano in quanto il legislatore li avesse non riconosciuti ma creati».13 I diritti, dunque, avevano come fonte e fondamento ultimo la volontà dello Stato onnipotente che, secondo la dottrina tedesca del diritto pubblico, si autolimitava attraverso la legge, realizzando quel modello di Stato legislativo che poi è stato completamente superato, proprio a conclusione del secondo conflitto mondiale, dall’avvento dello stato costituzionale di diritto (e dai diritti fondamentali che esso riconosceva). La differenza fondamentale tra diritti umani e diritti pubblici soggettivi (i “diritti umani” di cui parla la Arendt) riposava nel fatto che questi, a differenza di quelli, essendo intesi come posti da uno Stato che si autolimitava (li concedeva, senza riconoscerli), erano conseguentemente alla mercé dello Stato. Diritti, quelli cui fa riferimento la Arendt, che le carte borghesi sei-settecentesche (ma anche la coeva filosofia politica e giuridica) avevano definito «naturels, inaliénables et sacrés de l'homme» (Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789) o «unalienable» (Dichiarazione di indipendenza americana del 1776), ma che, una volta positivizzati, si allontanarono dalle premesse giusnaturalistiche per essere «inglobati nel sistema del diritto positivo»14, trasformandosi da diritti naturali in diritti positivi, creazione artificiale di uno Stato-demiurgo («L’uomo –ricordava la Arendt– appariva l’unico sovrano in materia di diritto» mentre «la sovranità popolare […] non era proclamata per grazia di Dio, bensì in nome dell’uomo»15), quindi positivi e non naturali, alienabili a seconda delle valutazioni di opportunità compiute dagli Stati, laici perché radicati solo nel volubile consenso che il corpo politico esprimeva tramite la legge. 13 G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite, 1992, p. 58. A. FACCHI, Breve storia dei diritti umani, Bologna, il Mulino, 2007, p. 80. 15 H. ARENDT, Le origini del totalitarismo, cit., p. 403. 14 45 Pace e diritti umani nel Mediterraneo 3. Dall’utopia alla realtà. Il cammino dei diritti umani. I diritti umani, dunque, vengono “inventati” nella seconda metà degli anni Quaranta, proprio come antidoto alla velenosità della situazione descritta dalla Arendt. Alla fine del secondo conflitto mondiale, ma soprattutto, dopo la presa di coscienza della tragedia umana racchiusa nel sistema concentrazionario tedesco, era difatti chiaro che lo Stato avesse convogliato nelle proprie mani (anche per il tramite del diritto) un potere illimitato, non solo di vita e di morte, ma anche di definizione dell’humanum. Un potere che andava limitato, attraverso l’introduzione delle costituzioni rigide, dei meccanismi di controllo giudiziario di legalità costituzionale, ma anche attraverso il riconoscimento di una forma di soggettività giuridica al singolo individuo nell’ambito dell’ordinamento giuridico internazionale. Al centro della riflessione arendtiana vi è proprio il rapporto tra Stato e diritti che, come si diceva in precedenza, sino al 1948 era declinato esclusivamente in chiave domestica e statalistica. In seguito all’approvazione della Dichiarazione universale, invece, iniziava ad essere declinato in maniera diversa, con una «svolta epocale», come la definiva Carlo Cardia, che rifiutava ogni riduzione statalistica dei diritti e si apriva, politicamente e giuridicamente, non solo filosoficamente, allo scenario cosmopolitico e universale. «Le democrazie occidentali –continuava Cardia– per la prima volta nell’epoca contemporanea, elaborano un progetto politico di respiro planetario, che immagina e cerca di costruire un governo mondiale degli uomini, fondato sul rispetto dei diritti in tutti gli Stati e in ogni angolo della Terra». 16 Un progetto di ampio respiro che si è definito lentamente ma progressivamente, erodendo man mano spazi di sovranità agli Stati (anche se non con gli stessi effetti nello scenario globale). Sebbene le Nazioni Unite fossero state costituite già nel 1946, negli anni Quaranta del Novecento, nessuno avrebbe mai potuto immaginare i risultati, almeno sul piano normativo, che la prospettiva internazionale avrebbe prodotto. Sino alla Dichiarazione del 1948, dunque, l’universalità dei diritti era un presupposto filosofico, più che un dato 16 C. CARDIA, Genesi dei diritti umani, Torino, Giappichelli, 2005, p. 154. 46 Pace e diritti umani nel Mediterraneo politico o giuridico e lo Stato continuava ad avere la disponibilità assoluta dei diritti.17 La Arendt, dunque, si muoveva in una prospettiva che vedeva l’universalità dei diritti, disancorati dalla cittadinanza statale, una chimera, un esercizio filosofico, il quale proprio per la sua lontananza dalla realtà, diveniva «sinonimo d’idealismo ipocrita o ingenuo».18 Se, però, la Arendt si muoveva in una dimensione politicamente e giuridicamente domestica che aveva nella cittadinanza la garanzia più evidente contro ogni forma di sopruso statale e se la dimensione cosmopolitica era, ancora nel 1948, una chimera alla quale guardavano solo i «sinceri idealisti», oggi, occorre tenere in considerazione che la dimensione cosmopolitica non è più solo filosofica, ma anche politica e giuridica. Se per la Arendt, ancora, la garanzia della cittadinanza politica era l’unica garanzia perché i diritti fossero riconosciuti in uno scenario che era esclusivamente domestico, in cui il divario poteva sorgere tra i cittadini e coloro che erano stati privati della cittadinanza, oggi, nello scenario cosmopolitico, segnato dall’universalismo dei diritti, la cittadinanza politica rappresenta «l’ultimo privilegio di status, l’ultimo fattore di esclusione e discriminazione, l’ultimo relitto premoderno delle disuguaglianze personali».19 A partire dal 1948, i diritti hanno costituito una «galassia ideologico-normativa in continua espansione», diceva Antonio Cassese20, il cui big-bang è stata certamente la Dichiarazione universale, momento natale di una serie di percorsi, in primis quello di internazionalizzazione, ma poi anche quelli di regionalizzazione e specificazione o settorializzazione21 che hanno trasformato la natura dei diritti universali, da filosofica utopia, propria dei più «sinceri idealisti», ad elementi di un sistema politico e giuridico 17 E lo era sicuramente per la Arendt che criticava, nel 1948, la «confusione creata dai recenti tentativi di redigere una nuova carta [evidentemente la Dichiarazione universale i cui lavori preparatori si avviarono nel 1946, n.d.r.]» perché «nessuno sembra in grado di definire con sicurezza che cosa sono realmente questi diritti umani generali, cioè distinti dai diritti dei cittadini». «Sebbene –concludeva– tutti siano d’accordo nel ritenere che il dramma degli apolidi consista appunto nella perdita dei diritti umani, nessuno sa quali diritti essi abbiano perduto». H. ARENDT, Le origini del totalitarismo, cit., p. 406. 18 Ibid., p. 375. 19 Cfr. L. FERRAJOLI, Dai diritti del cittadino ai diritti della persona, cit., p. 288. 20 A. CASSESE, I diritti umani oggi, Bari-Roma, Laterza, 2005, p. 6. 21 Sul punto rimando a A. PISANÒ, I diritti umani come fenomeno cosmopolita. Internazionalizzazione, Regionalizzazione, Specificazione, Milano, Giuffrè, 2011. 47 Pace e diritti umani nel Mediterraneo finalizzato alla tutela della dignità umana. Un «normatively robust global human rights regime», come lo definiva Jack Donnelly, che si è sviluppato a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, attraverso la definizione nella issue-area dei diritti, di «a set of principles, norms, rules and decion-making procedures that states and other international actors accept as authoritative».22 Un sistema, inimmaginabile sino agli Cinquanta, forse anche sino agli Settanta del Novecento, che va ad integrare l’azione delle Nazioni Unite, dello Human Rights Council, dell’High Commissioner for Human Rights, dei Human Rights Treaty Bodies, con i meccanismi regionali di riconoscimento, promozione e protezione giudiziale (previsti dal Consiglio d’Europa, dall’Unione Europea, dall’Organizzazione degli Stati Americani, dall’Unione Africana, dalla Lega Araba, e dall’Associazione degli Stati del Sud-Est Asiatico) dei diritti, senza dimenticare il fondamentale ruolo di “watchdog” delle Organizzazioni non Governative (come Amnesty International e Human Rights Watch) e l’azione delle reti transnazionali di advocacy.23 Un sistema che, normativamente, è andato coagulando intorno a sé sempre maggiori consensi, partendo dalla Dichiarazione universale, passando per i due Patti sui diritti economici, sociali, culturali, civili e politici del 1966, per la Conferenza Internazionale sui Diritti umani di Teheran del 1968, per l’Atto finale della Conferenza sulla sicurezza e cooperazione in Europa di Helsinki del 1975, e, infine, per la fondamentale Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sui diritti umani di Vienna del 1993 che produsse una Dichiarazione e un programma di azione che vennero discussi e approvati unanimemente dalle delegazioni di 173 Stati e di 800 organizzazioni non governative. Un consensus omnium gentium che ha avuto come fulcro i Core Human Rights Treaties24, capaci di raccogliere il consenso dell’intera comunità internazionale, 22 J. DONNELLY, International Human Rights, Boulder, Westview Press, 20134, p. 14. Sul punto rimando a A. MURDIEA, M. POLIZZI, Human Rights and Transnational Advocacy Network, in J. NICOLL VICTOR, A.H. MONTGOMERY, M. LUBELL, a cura di, The Oxford Handbook of Political Networks, Oxford, Oxford University Press, 2018, pp. 715-732. 24 L’International Convention on the Elimination of All Forms of Racial Discrimination, l’International Covenant on Civil and Political Rights, l’International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights, la Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination against Women, la Convention against Torture and Other Cruel, Inhuman or Degrading Treatment or Punishment, la Convention on the Rights of the Child, l’International Convention on the Protection of the Rights of All Migrant Workers 23 48 Pace e diritti umani nel Mediterraneo con tassi di ratifica da parte degli Stati, che arrivano a raggiungere anche il 95% (come per la Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989). Nel breve volgere di qualche anno, dunque, a partire dagli anni Quaranta del Novecento, le fondamenta dell’Europa e della comunità internazionale sono state profondamente scosse dall’accordo di Londra (1945), istitutivo del Tribunale di Norimberga, momento natale della giustizia penale internazionale, dalla Carta di San Francisco (1945), istitutiva dell’Organizzazioni delle Nazioni Unite, dall’approvazione della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio (1948) e della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948), preceduta di qualche mese dall’approvazione della Dichiarazione americana dei diritti e dei doveri dell’uomo (Organizzazione degli Stati Americani, 1948), dal Trattato di Roma istitutivo del Consiglio d’Europa (1950), dalla Convenzione per la Salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (1950), dall’istituzione della CECA (1951), della CEE, dell’EURATOM (1957). In conseguenza termini, concetti, come «giustizia internazionale», «dignità» (intesa in chiave giuridico-politica), «valore della persona umana», «diritti umani», «cooperazione internazionale», «pace», «valori universali», tutti leitmotiv dell’azione delle Nazioni Unite, marginali o dal sapore filosofico-utopistico sino agli anni Quaranta del Novecento, sono dunque divenuti comuni nella lingua franca dei diritti umani, su scala globale, e obiettivi concreti da raggiungere, su scala locale, per la politica ed il diritto. Senza dimenticare che, nel 1951, viene approvata la Convenzione delle Nazioni Unite sullo statuto dei rifugiati che ha rappresentato una «risposta fondamentale alla vastità dei processi di spostamento di popolazioni avvenute anteriormente al 1951 nello spazio giuridico europeo»25, dovuti a ragioni di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per opinioni politiche, dai quali and Members of Their Families, l’International Convention for the Protection of All Persons from Enforced Disappearance, la Convention on the Rights of Persons with Disabilities. 25 G. GOZZI, I rifugiati e i richiedenti asilo: un mondo sospeso tra integrazione e criminalizzazione, in G. GOZZI, B. SORGONI, a cura di, I confini dei diritti. Antropologia, politiche locali e rifugiati, Bologna, il Mulino, 2010, p. 61. 49 Pace e diritti umani nel Mediterraneo proprio la Arendt moveva nella prima parte del nono capitolo de Le origini del totalitarismo. 4. Lo Human Rights Gap oggi. Eppure, nonostante questa moltitudine di attori e norme che popolano lo scenario giuridico internazionale e che partecipano, ognuno con il suo ruolo, al rafforzamento dei diritti, oggi, come ieri, rimane insoluto il problema del divario esistente tra «i cittadini dei Paesi più prosperi e civili» e «gli individui privi di diritti», in un contesto in cui è radicalmente cambiato il rapporto tra Stato e diritti. Pur nel sovvertimento dei termini del rapporto Stato-diritti, con quello non più demiurgo di questi, ciò che non può relativizzarsi è l’importanza del principio di uguaglianza come fondamento dei diritti, tanto di quelli di cittadinanza (al centro della riflessione arendtiana), quanto di quelli umani, la cui garanzia è la sfida più importante per il nuovo costituzionalismo mondiale. Anche in questo caso, la lezione della Arendt vale anche per l’oggi. Il tramonto dello Stato nazionale, la crisi dei diritti umani, temi che campeggiano nella titolazione del capitolo IX de Le origini del totalitarismo, sono causati, ci insegna la Arendt, dal progressivo accantonamento del principio di uguaglianza, in nome di interessi politici partigiani ed in ossequio alle dominanti, tra Otto e Novecento, teorie razziali. «Lo Stato nazionale –sentenziava la Arendt– non può esistere una volta infranto il principio dell’eguaglianza di tutti di fronte alla legge». «Senza questa uguaglianza –si continuava– che in origine era destinata a sostituire i vecchi ordinamenti della società feudale, esso [lo Stato nazionale, n.d.r.] si dissolve in una massa anarchica di privilegiati e diseredati».26 La conclusione apodittica della Arendt era che «le leggi che non sono eguali per tutti danno luogo a privilegi».27 Il ragionamento della Arendt è però universale, lega inscindibilmente il principio di uguaglianza ai diritti, utilizzando questo legame per distinguere i veri diritti dai veri 26 27 H. ARENDT, Le origini del totalitarismo, cit. p. 402. Ibidem. 50 Pace e diritti umani nel Mediterraneo privilegi. È un ragionamento che vale nell’ambito domestico, nel quale si muove la Arendt, ma vale anche e soprattutto nell’ambito cosmopolitico. La negazione del principio di uguaglianza nel godimento dei diritti è la morte dei diritti umani. Essi assumono come fondamento ontologico la comune appartenenza alla famiglia umana e l’uguaglianza di statuto giuridico di ogni singolo individuo, per come definito dall’articolato della Dichiarazione universale, il primo decalogo valido per l’intera umanità. Del ferale rischio per i diritti insito in uno sviluppo dello costituzionalismo mondiale scevro da ogni legame con il principio di uguaglianza è consapevole anche Luigi Ferrajoli che ha nella riflessione sulle varie dimensioni dell’uguaglianza e della disuguaglianza e diritti un tòpos della sua produzione scientifica. Non a caso, nel recente Manifesto per l’uguaglianza (2018), difatti, Ferrajoli, muove proprio dal capitolo IX de Le origini del totalitarismo per evidenziare «la discriminazione di cui soffrono i migranti, soprattutto se clandestini, per difetto di quel diritto di avere diritti, secondo una classica espressione di Hannah Arendt, che è lo status di cittadino». «La cittadinanza –continua Ferrajoli– che alle origini dello Stato moderno ha svolto un ruolo di inclusione, svolge oggi un ruolo di esclusione». «Il diritto di cittadinanza è così diventato quel meta-diritto ad avere diritti che è il diritto di accesso e residenza nel territorio nazionale e che […] è attribuito soltanto ai cittadini». Sul versante domestico, dunque, argomenta Ferrajoli, «la cittadinanza si è trasformata nell’ultimo privilegio di status legato a un accident de naissance; nell’ultimo fattore di esclusione e discriminazione per nascita anziché, come fu alle origini della modernità giuridica, di inclusione e parificazione; nell’ultimo relitto premoderno delle differenziazioni giuridiche delle identità personali; nell’ultima contraddizione irrisolta con l’affermata universalità ed uguaglianza dei diritti fondamentali».28 Sul versante cosmopolitico, invece, Ferrajoli osserva che «le nuove frontiere dell’uguaglianza sono quelle planetarie, aperte dalla globalizzazione, che includono 28 L. FERRAJOLI, Manifesto per l’uguaglianza, Roma-Bari, Laterza, 2018, pp. 23-25. 51 Pace e diritti umani nel Mediterraneo l’intera umanità» laddove occorre considerare che «come la parità nei diritti genera il senso dell’uguaglianza, e con esso il rispetto dell’altro come uguale, così la disuguaglianza nei diritti genera l’immagine dell’altro come disuguale, ossia inferiore antropologicamente in quanto inferiore giuridicamente». 29 L’approccio al principio di uguaglianza di Ferrajoli è difatti olistico, non limitandosi al divario determinato, nella cosmopolis, dall’iniqua distribuzione delle risorse economiche, ma anche (e soprattutto) dall’iniqua distribuzione dei diritti. La disuguaglianza economica (con Paesi sempre più ricchi e Paesi sempre più poveri) e quella nell’effettivo godimento dei diritti (con Paesi dove ci sono sempre più diritti e Paesi dove ce ne sono sempre di meno) sono parimenti motore dei processi migratori e potenziale elemento minante «le basi delle nostre stesse democrazie».30 Agire sulla disuguaglianza determinata dagli squilibri legati all’economia e ai diritti è, dunque, necessario in un’ottica di giustizia cosmopolitica, ma anche necessario per mettere al sicuro le nostre democrazie costituzionali da ogni deriva illiberale. 5. Lo Human Rights Gap. Alcuni dati. Proprio nel recente Manifesto per l’uguaglianza, Ferrajoli, con rifermento alla disuguaglianza economica, ricordava difatti che secondo il rapporto Oxfam del gennaio 2017, l’1% della popolazione mondiale possiede la metà dell’intera ricchezza globale e le otto persone più ricche del pianeta hanno la stessa ricchezza della metà più povera dell’intera popolazione mondiale, cioè di circa 3 miliardi 600 milioni di persone. Aggiungeva poi Ferrajoli: «Grazie ala crisi economica della quale hanno ampiamente beneficiato, la ricchezza di questi superricchi è aumentata negli ultimi sette anni del 44%, mentre quella della metà più povera del mondo è diminuita del 41%». E poi: «Oggi più di 800 milioni di persone soffrono la fame e la sete e circa 2 miliardi si ammalano senza la possibilità di curarsi […]. Quasi 10 milioni di persone muoiono ogni anno per mancanza di farmaci salva-vita: vittime del mercato più delle malattie, essendo 29 30 Ibid., p. 32. Ibidem. 52 Pace e diritti umani nel Mediterraneo i farmaci in grado di curarli brevettati, e quindi inaccessibili». 31 Recentemente, infine, Oxfam ha prodotto un interessante rapporto dedicato all’Africa intitolato A tale of two continents, dal quale risulta che, in un mondo segnato dalle disuguaglianze, l’Africa è tra le aree del mondo dove queste risultano ancora più ampie. Attualmente, secondo i dati Oxfam, tre miliardari africani detengono una ricchezza pari al reddito di 650 milioni di cittadini africani.32 Anche con riferimento allo human rights gap, però, è possibile avanzare un’analisi che ci consenta di evidenziare le diseguaglianze diffuse, nonostante l’ombrello normativo universale rappresentato dal diritto internazionale dei diritti umani. Il rapporto 2018 della ONG statunitense Freedom House (fondata nel 1941 con il supporto di Eleanor Roosvelt, moglie del Presidente Franklin D. Roosvelt e grande sostenitrice dell’adozione della Dichiarazione universale) sulla libertà nel mondo, ad esempio, significativamente intitolato Democracy in Crisis, ci restituisce una rappresentazione del mondo diviso a metà. Freedom House, in particolare, utilizza una metodologica che prevede il coinvolgimento di analisti di esperti tenuti ad esprimere un giudizio sulla condizione di rispetto dei diritti civili e delle libertà politiche, tenendo in considerazione le violazioni compiute sia da attori statali che non-statali (gruppi terroristici o criminali). La scala utilizzata per valutare le condizioni di sicurezza in 195 Paesi e 14 territori (Crimea, Striscia di Gaza, Hong Kong, ecc.) va da 1 (miglior giudizio) a 7 (peggior giudizio), sia per i diritti civili che per le libertà politiche. Poi i dati vengono aggregati per definire tre insiemi di Paesi: quello dei Paesi liberi, quello dei Paesi parzialmente liberi e quello dei Paesi non liberi.33 31 L. FERRAJOLI, Manifesto per l’uguaglianza, Roma-Bari, Laterza, 2018, pp. 70-73. OXFAM, A tale of two continents, Oxford, September 2019. 33 Per un’analisi dettaglia della metodologia si veda https://freedomhouse.org/report/methodologyfreedom-world-2019 32 53 Pace e diritti umani nel Mediterraneo Ebbene, secondo il rapporto Democracy in Crisis34, i Paesi liberi nel mondo sono il 45%. Quelli parzialmente liberi, invece, il 30%, quelli non liberi, infine, il 25%. Dato che potrebbe essere inteso positivamente, ma va rapportato al peso in termini di popolazione dei singoli Stati, pesando, a titolo esemplificativo, nell’aggregazione su base statale, San Marino e la Repubblica Popolare Cinese allo stesso modo, pur avendo due popolazioni enormemente diverse. Se i dati, invece, vengono rapportati alla popolazione mondiale, emerge una evidente frattura tra i ricchi in diritti rappresentati dal 39% della popolazione mondiale che vive nei Paesi liberi (ai quali va affiancato quel 24% della popolazione mondiale che vive in Paesi parzialmente liberi), i poveri in diritti rappresentati dal 37% della popolazione mondiale che vive, pertanto in Paesi giudicati non liberi. La rappresentazione attraverso una mappa planisferica, inoltre, fa emergere come la maggior parte dei Paesi liberi è rappresentata dai Paesi occidentali e, in parte, da quelli latinoamericani. I Paesi, invece, non liberi sono concentrati soprattutto nell’area c.d. MENA (Middle East and North Africa) e nel Sahel e nell’Africa sub-sahariana. Dove, inoltre, si concentrano anche la maggior parte dei Paesi che appartengono alla poco edificante lista dei Paesi Worst of the Worst (in ordine di insicurezza –dal peggiore al migliore dei peggiori– Syria, Sud-Sudan, Eritrea, Corea del Nord, Turkmenistan, Guinea Equatoriale, Arabia Saudita, Somalia, Uzbekistan, Sudan. Repubblica Centro Africana, Lybia). Continente africano (soprattutto nella parte subsahariana) dove, tra le altre cose, vi sono 33 Paesi che fanno parte della lista dei Paesi meno sviluppati al mondo (Least Developed Countries, in totale sono 47), prodotta dalle Nazioni Unite. Di questi 47 Paesi, 21 sono presenti in questa lista dal 1971, da quasi mezzo secolo. Tra questi 21, ricordo solo il Burkina Faso, il Burundi, il Chad, l’Etiopia, la Guinea, il Malawi, il Mali, il Niger, il Rwanda, la Somalia, il Sudan.35 34 Il rapporto, con tutti i dati allegati, è disponibile al sito https://freedomhouse.org/report/freedomworld/freedom-world-2018 35 Per un’analisi dettagliata rimando a https://www.un.org/development/desa/dpad/least-developedcountry-category.html 54 Pace e diritti umani nel Mediterraneo Dati, quelli di Freedom House che sembrano anche confermati dal progetto Political Terror Scale, sviluppato dalla North Carolina University, che, annualmente, esprime un giudizio, utilizzando una scala che va da 1 (miglior giudizio) a 5 (peggior giudizio), sulle violazioni dei physical integrity rights (scomparese forzate, omicidi illegali, tortura, atti inumani o degradanti, ecc.) compiute dagli attori statali.36 Pur non consegnandoci dati comparabili o assimilabili a quelli di Freedom House, (diversissime essendo le metodologie e le violazioni dei diritti da valutare), il Political Terror Scale ci presenta un quadro forse anche più preoccupante di quello di Freedom House. Con riferimento ai risultati pubblicati nel 2019, facenti riferimento alle violazioni dei diritti compiute nell’anno solare 2018 e denunciate nei Country Reports on Human Rights Practices del Dipartimento di Stato Americano (altre fonti sono i rapporti annuali di Amnesty International e di Human Rights Watch), i Paesi ai quali viene dato un giudizio pari a 137 sono 62, quelli ai quali viene dato un giudizio pari a 238 sono 48, mentre 29 sono i Paesi che hanno un giudizio pari a 339, 27 quelli che hanno un giudizio pari a 440, solo 11 quelli che hanno il giudizio peggiore, pari a 541. Pertanto, aggregando i dati tenendo in considerazione che i giudizi pari a 1 e 2 sono positivi e testimoniano uno stato di diritto (più o meno) ben strutturato, il giudizio di 3 è già negativo, mentre molo negativi sono i giudizi 4 e 5, possiamo concludere che 36 Per un approfondimento sulle metodologie utilizzate dal Political Terror Scale e da Freedom House, rimando a A. PISANÒ, Misurare i diritti umani. Le standards-Based Measures con approccio de facto, in «Politica del Diritto», 2, 2014, pp. 297-318. Per un’analisi specifica della metodologia del Political Terror Scale si veda M. GIBNEY, L. CORNETT, R. WOOD, P. HASCHKE, D. ARNON, A. PISANÒ, AND G. BARRETT, 2019. The Political Terror Scale 1976-2018. Date Retrieved, from the Political Terror Scale website: http://www.politicalterrorscale.org/. 37 «Countries under a secure rule of law, people are not imprisoned for their views, and torture is rare or exceptional. Political murders are extremely rare». 38 «There is a limited amount of imprisonment for nonviolent political activity. However, few persons are affected, torture and beatings are exceptional. Political murder is rare». 39 «There is extensive political imprisonment, or a recent history of such imprisonment. Execution or other political murders and brutality may be common. Unlimited detention, with or without a trial, for political views is accepted». 40 «Civil and political rights violations have expanded to large numbers of the population. Murders, disappearances, and torture are a common part of life. In spite of its generality, on this level terror affects those who interest themselves in politics or ideas». 41 «Terror has expanded to the whole population. The leaders of these societies place no limits on the means or thoroughness with which they pursue personal or ideological goals». 55 Pace e diritti umani nel Mediterraneo 110 Paesi garantiscono condizioni di sicurezza (solo, si ribadisce, riferite alle violazioni dei physical integrity rights), 49 sono prevalentemente insicuri, 38 sono molto o totalmente insicuri. Dati, ancora una volta, che vanno visti pesando i Paesi in base alla loro popolazione. Emerge così che il 15,64% della popolazione mondiale vive in Paesi che garantiscono condizioni (più o meno buone) di sicurezza (giudizio 1, 2); il 14,54% vive in condizioni di prevalente insicurezza (giudizio 3); il 69,82% della Popolazione vive in Paesi molto insicuri (giudizio 4 per il 64,41%; giudizio 5 per il 5,41%).42 Degli undici Paesi (Afghanistan, Repubblica Democratica del Congo, Corea del Nord, Eritrea, Libya, Myanmar, Sudan, Sud-Sudan, Syria, Turchia, Yemen), inoltre, che hanno il peggior rating sulla Political Terror Scale, sette si trovano nell’area MENA, nel Sahel e nell’Africa Sub-Sahariana. Situazioni, quelle appena descritte, che vanno ad incidere naturalmente sui flussi migratori, soprattutto quelli relativi ai migranti forzati, costretti a lasciare le proprie case a causa di conflitti o persecuzioni. Secondo il recente Dossier statistico immigrazione, infatti, pubblicato ad ottobre 201943, i migranti forzati nel mondo hanno raggiunto i 70,8 milioni, toccando un nuovo livello record con un trend che, secondo il rapporto UNHCR Global Trends. Forced displacement in 2018 è andato sempre crescendo dal 2009 ad oggi, passando dai circa 45 milioni di forced displacement del 2009 agli oltre 70 milioni di oggi.44 Conseguentemente è andata aumentando anche la percentuale di migranti forzati sulla popolazione mondiale, aumentata, nello stesso periodo 2009-2019, di circa 3 punti percentuale (dal 6% circa al 9%). In particolare, i nuovi migranti forzati, nell’anno 2018, sempre secondo il citato rapporto UNHCR, sono stati 13,6 milioni, di questi 10,8 milioni sono rimasti entro i confini del proprio Stato45; 2,8 milioni, invece, sono nuovi rifugiati e richiedenti asilo all’estero. Il 67% di tutti i rifugiati, invece, provengono da soli 5 Paesi: Syria (6,7 42 Sul punto si veda http://www.politicalterrorscale.org/archive/Release2019/ CENTRO STUDI E RICERCHE IDOS, Dossier Statistico Immigrazione, 2019. 44 Disponibile on line all’indirizzo https://www.unhcr.org/globaltrends2018/ 45 I Paesi con la maggior popolazione sfollata interna sono Colombia, Siria, Repubblica Democratica del Congo, Somalia, Etiopia. Fonte Dossier Statistico Immigrazione 2019, p. 48. 43 56 Pace e diritti umani nel Mediterraneo milioni), Afghanistan (2,7 milioni), Sud-Sudan (2,3 milioni), Myanmar (1,1 milioni), Somalia (0,9 milioni). Mentre i Paesi che ospitano il maggior numero di rifugiati nel mondo sono: Turchia (3,7 milioni), Pakistan (1,4 milioni), Uganda (1,2 milioni), Sudan (1,1 milioni), infine la Germania (1,1 milioni). Non per caso, ovviamente, molti dei Paesi di origine dei 20,4 milioni di rifugiati all’estero (Syria, Afghanistan, Sud-Sudan, Myanmar, Somalia, Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Repubblica Centro-Africana, Eritrea, Burundi), per i quali sono stati attivati i procedimenti di protezione giuridica previsti nella Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato a livello globale, sono tra i Paesi che rientrano nella lista dei Worst of the Worst di Freedom House o in quella dei Paesi con il peggior rating secondo il Political Terror Scale. Molti di questi Paesi (quasi tutti), infine, rientrano anche nel cluster di quei Paesi (dal peggiore al “migliore”, Yemen, Somalia, Sud-Sudan, Syria, Repubblica Democratica del Congo) qualificati dal Fragile State Index Annual Report del 2019, elaborato dal Fund For Peace, in una situazione di very high alert per ciò che attiene alla loro capacità di far fronte alla pressione sociale, garantendo così sicurezza e prevenendo possibili conflitti interni. A questi, inoltre, vanno aggiunti i Paesi in una situazione di High Alert (sempre dal peggiore al “migliore”, Repubblica Centro Africana, Chad, Sudan, Afghanistan). Dei 178 Paesi analizzati, ben 119 (il 66%) si trova in una situazione qualificata almeno di attenzione (Warning).46 Senza dimenticare, infine, che accanto a chi scappa da guerre e persecuzioni (rifugiati e richiedenti asilo) nella categoria dei migranti forzati vanno considerati anche i c.d. migranti ambientali che, secondo quanto stimato da un rapporto della Banca Mondiale, saranno 143 milioni entro il 2050, la maggior parte dei quali (86 milioni) si stima che si muoveranno proprio nell’Africa sub-sahariana.47 46 Disponibile on line al link https://fundforpeace.org/2019/04/10/fragile-states-index-2019/ K.K, RIGAUD, A. DE SHERBININ, B. JONES, J. BERGMANN, V. CLEMENT, K. OBER, J. SCHEWE, S. ADAMO, B. MCCUSKER, S. HEUSER, A. MIDGLEY, 2018. Groundswell : Preparing for Internal Climate Migration. World Bank, Washington, DC. World Bank. https://openknowledge.worldbank.org/handle/10986/29461 47 57 Pace e diritti umani nel Mediterraneo Insomma appare evidente che esistono alcuni Stati che sono dei veri e propri buchi neri, capaci di spegnere, per tornare ad una metafora di Antonio Cassese, la galassia ideologico-normativa rappresentata dai diritti umani. Il tutto in un contesto di insieme di altissima condivisione consensuale del diritto internazionale dei diritti umani. Il risultato è il radicamento di quei processi migratori che investono perseguitati, apolidi (non in senso tecnico) senza diritti, persone che vivono in una condizione di endemica insicurezza, i quali, non trovando alcun calore nel guscio protettivo dei diritti proclamati urbi et orbi, rimangono con la speranza di fuggire da condizioni di insicurezza che trasformano le loro città, i loro villaggi in campi di internamento. 6. Il Leviatano è vivo e vegeto. Occorre dunque ripartire dallo Stato e, forse, da una domanda specifica che, come visto, è carsica nel ragionamento della Arendt. Ed è quella stessa domanda che, chiaramente, viene posta ad Antonio Cassese nell’ultimo capitolo di un libro-intervista, curato dal giornalista Giorgio Acquaviva, L’esperienza del male. Guerra, tortura, genocidio, terrorismo alla sbarra, pubblicato nel 2011, poco prima della morte del grande internazionalista di origine campana.48 Come sta il Leviatano? Una domanda chiave, che chiude il libro, ma apre vari scenari, perché la storia dei diritti umani è proprio la storia del loro rapporto con lo Stato.49 L’effettività dei diritti umani, intesi come diritti riconosciuti, promossi e protetti dal diritto internazionale, dipende prevalentemente dalla loro capacità di incunearsi entro i confini degli ordinamenti giuridici domestici e di essere fatti valere anche (e soprattutto) contro lo Stato, quando uno Stato esiste. 48 A. CASSESE, L’esperienza del male. Guerra, tortura, genocidio, terrorismo alla sbarra. Conversazione con Giorgio Acquaviva, Bologna, il Mulino, 2011. 49 Lo dice bene Salvatore Zappalà nell’introduzione al suo La tutela internazionale dei diritti umani: «I diritti umani sono un prodotto che storicamente si è creato all’interno delle dinamiche nazionali di confronto tra il potere ed i sudditi. La grande novità del XX scolo è la loro dimensione internazionale». S. ZAPPALÀ, La tutela internazionale dei diritti umani, Bologna, il Mulino, 2011, p. 8. 58 Pace e diritti umani nel Mediterraneo È, questo, il tema centrale del ragionamento della Arendt da cui abbiamo preso le mosse. Nella sua concezione, difatti, i diritti sono un prodotto esclusivo dello Stato, non essendoci altra prospettiva che quella domestica. A partire dal secondo dopoguerra, come visto, la prospettiva è completamente cambiata. La riflessione sui non luoghi del diritto, non si deve più limitare ai campi di internamento nello spazio domestico (seppur esistenti, come persistono le logiche e le strategie di deumanizzazione e depoliticizzazione dell’humanum, si pensi ai centri di detenzione in Libia o per fare un esempio che esula dal fenomeno migratorio si pensi a Guantanamo ed al trattamento riservato ai “nemici combattenti”), ma deve andare oltre, mirando allo scenario cosmopolitico, definendo una nuova dimensione delle no-rights zones, le quali vanno a coincidere ormai con i confini statali. Questo cambio di prospettiva è l’unico che consente di evidenziare la responsabilità degli Stati nei processi di riconoscimento (o misconocimento) dei diritti umani e, nello specifico, delle obbligazioni giuridiche internazionali che gli Stati stessi hanno assunto ratificando i Core Human Rights Treaties. Ed è per questo motivo che la domanda su come stia il Leviatano rappresenta la chiusura del cerchio. Dalla risposta a questa domanda dipende anche la risposta alla domanda dalla quale siamo partiti. Come è possibile prendere sul serio la questione dello human rights gap? Cassese a proposito è molto chiaro: «purtroppo gli Stati sovrani, anche se hanno perduto molto del loro potere a favore di “centri gestionali” a carattere internazionale”, ancora dettano legge». 50 E, in realtà, per quanto riguarda i diritti umani non potrebbe essere diversamente, atteso che il global human rights regime è un regime promozionale che ha sviluppato un sistema reticolato di monitoraggio del rispetto delle obbligazioni giuridiche internazionali in tema di diritti umani, ma che necessita dello Stato, del suo sistema giuridico, del suo apparato burocratico, della sua capacità di esprimere una vis coactiva, per trasformare le paper rules dei diritti in real rules. 50 A. CASSESE, L’esperienza del male. Guerra, tortura, genocidio, terrorismo alla sbarra, cit., pp. 242243. 59 Pace e diritti umani nel Mediterraneo È lo Stato, con la sua accountability, dunque, a dover implementare i diritti umani riconosciuti a livello internazionale. È lo Stato, ancora, a doversi fare carico della riduzione dello human rights gap. Alla comunità internazionale, alla global civil society il compito di supportare e guidare questo percorso di empowerment. Il problema dei diritti, oggi, è, dunque, lo stesso che avvertiva la Arendt negli anni Quaranta del Novecento: lo Stato. Quando il controllo sociale che esso esprime è troppo forte, è forte il rischio della riduzione degli spazi di libertà. Quando è troppo debole non sussiste quell’humus che garantiscono ai diritti di fiorire. Lo human rights gap rischia pertanto di consolidarsi, nel disinteresse collettivo e degli Stati più prosperi e civili guidati, nelle loro scelte di politica internazionali, dal perseguimento di miopi obiettivi elettoralistici a breve periodo e insensibili al grido di dolore che proviene dalle persone che vivono in condizioni di privazioni totale di risorse economiche e di diritti umani. Un orizzonte limitato che rischia di corroborare le disuguaglianze, minando alle fondamenta anche quel sistema valoriale, normativamente segnato dal principio di uguaglianza di status, che dà sostanza alle nostre democrazie. La conclusione del grande internazionalista Cassese è, forse, non molto diversa da quella che avrebbe dato Hannah Arendt, alla stessa domanda, alla fine degli anni Quaranta. Come sta il Leviatano?: «il Leviatano è ancora vivo e vegeto». 51 51 Ibidem. 60 Pace e diritti umani nel Mediterraneo ROBERTO TANISI Il diritto di migrare: ragioni umanitarie e illeciti penali Abstract Premessi brevi cenni sui fenomeni migratori, anche sotto il profilo storico, l’articolo affronta alcune tematiche relative ai fenomeni migratori odierni, soffermandosi, in particolare, sul diritto di migrare, alla luce dei presidi costituzionali e di diritto internazionale. Analizzate le diverse tipologie di “migranti”, cui corrispondono differenti regolamentazioni giuridiche, l’articolo si sofferma, poi, sulla rilevanza penale del fenomeno migratorio, riguardata sia con riferimento agli illeciti penali strettamente correlati al fatto stesso del migrare, sia con riferimento alle violazioni dei diritti del migrante integranti reato (quali emerse da recenti pronunce giurisprudenziali), sia, infine, con riferimento allo sfruttamento del lavoro dei migranti economici nel nostro Paese (e nel nostro Salento), dal caporalato (illecito penale di recente introdotto nel nostro Ordinamento penale) alla vera e propria schiavitù. Keywords: diritti umani, sofferenza, diffidenza, migranti, profughi, Costituzione, diritto d’asilo, immigrazione clandestina, protezione internazionale, Smuggling, Trafficking caporalato, schiavitù 1. I fenomeni migratori. «Compagni (davvero da tempo non siamo nuovi a sventure), / o voi, che di peggio soffriste, pure a queste un dio/ porrà una fine. Voi la rabbia di Scilla, sugli scogli / conosceste dal cupo rimbombo, voi delle rupi del Ciclope / aveste esperienza: prendete coraggio e lasciate il timone / inerte; forse anche un giorno gioverà ricordare. / Fra disparate vicende, fra innumeri rischi di imprese, / tendiamo al Lazio, dove una sede tranquilla i fati / ci additano: colà è scritto che il regno di Troia rinasca: / saldi restate e serbate voi stessi a eventi migliori…»1. Sono versi dell’Eneide, scritti più di duemila anni fa, e descrivono una fuga di migranti, quella dei Teucri da Troia, più o meno 1000 anni prima di Cristo. A significare come quello delle migrazioni sia un fenomeno che esiste dacché esiste l’uomo. Non diversamente da quanto accade oggi per coloro che fuggono dalla Siria, squassata dalla guerra civile, o dai Paesi del corno d’Africa o a sud del Maghreb. Nel loro peregrinare i troiani giungono di fronte alle coste libiche, dove i fenici (a loro volta popolazione non autoctona, ma proveniente dall’odierno Libano) hanno 1 VIRGILIO, Eneide, libro I. 61 Pace e diritti umani nel Mediterraneo costruito la città di Cartagine. Hanno bisogno di approdare, ma come saranno accettati? Si pone il problema di sempre: quello della sofferenza di chi è costretto a fuggire dalla propria patria e riparare in terra straniera e della diffidenza di chi accoglie. Chi sono questi stranieri? Che intenzioni avranno? E come si comporteranno? E perché vengono proprio qui da noi? Nel poema di Virgilio è Giove che, leggendo nei pensieri dei cartaginesi, manda il messaggero Mercurio a rassicurare la regina Didone: «Questo dice, e il figlio di Maia manda dal cielo, / perché la terra di Cartagine e le nuove mura / s’aprano ospitali ai Teucri e Didone, all’oscuro dei fati, / dal suolo non li respinga. … Presto il comando è dato; mutano i Punici la fierezza / del cuore al volere del dio; fra tutti la regina con senso / di pace e cuore benigno si pone di fronte ai Teucri»2. Dunque, su ogni confine, di terra o di mare, il fenomeno migratorio denota “sofferenza” per chi emigra e “diffidenza” per chi “riceve”. Considerare la sofferenza e superare la diffidenza – come fecero i cartaginesi – è simbolo di civiltà. Problema estremamente complesso, allora, quello dei fenomeni migratori, rispetto al quale è estremamente difficile fornire soluzione appaganti; anche perché, forse, non ne esistono. Problema esistente da sempre, come ci ricordano i classici (non solo l’Eneide, ma anche i poemi omerici), che, però, negli ultimi anni è divenuto di stringente e drammatica attualità soprattutto nel bacino del Mediterraneo. Scrive Alessandro Leogrande:3 «Esiste una faglia sotterranea che taglia in due il Mediterraneo da est a ovest. Dal vicino Oriente fino a Gibilterra. Una linea di infiniti punti, infiniti nodi, infiniti attraversamenti. Ogni punto una storia, ogni nodo un pugno di esistenza, Ogni attraversamento una crepa che si apre. È la Frontiera. Non è un luogo preciso, piuttosto la moltiplicazione di una serie di luoghi in perenne mutamento, che coincidono con la possibilità di finire da una parte o rimanere nell’altra. Dopo la caduta del muro di Berlino, il confine principale tra il mondo di qua e il mondo di là cade proprio tra le onde di quello che, fin dall’antichità, è stato chiamato Mare di mezzo. Se l’Angelo della Storia di Walter Benjamin venisse risucchiato ora, proprio in questo momento, in un vortice che lo sospinge verso il futuro, con la faccia rivolta verso 2 3 Ibidem. A. LEOGRANDE, La frontiera, Milano, Feltrinelli, 2015. 62 Pace e diritti umani nel Mediterraneo il passato e il cumulo di violenza che si erige incessantemente, vedrebbe innanzitutto il continuo accatastarsi dei corpi dei naufraghi, il vagare dei dispersi nella lotta dei flutti». Parole bellissime, quelle dello scrittore tarantino prematuramente scomparso, che testimoniano come sul margine di questa frontiera si giochi, oggi, «il grande gioco del mondo contemporaneo»4. Va detto, peraltro, che protezione del perseguitato e accoglienza dello straniero sono parte integrante della tradizione di civiltà mediterranea ed europea, tradizione che, sotto il profilo squisitamente normativo, si fa risalire a Francisco de Vitoria, un padre domenicano, teorico della scuola di Salamanca, che già nel ‘500 teorizzò il diritto di migrare, tanto che a lui si fa risalire la nascita del diritto internazionale. Tuttavia è solo dal secondo dopoguerra – quando la piena consapevolezza delle dimensioni dell’olocausto ha portato ad una nuova concezione del diritto, con il preminente rilievo accordato ai diritti umani5 - che si cerca, da un lato, di rifondare il diritto internazionale ancorandolo alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (firmata a Parigi il 10 dicembre 1948) e, dall’altro, di superare quello che viene definito “il primato della legge” sulla base di un costituzionalismo non eminentemente statuale, ma di livello tendenzialmente sovranazionale. 4 Ibidem. Particolarmente pregnanti, sul punto, le considerazioni del giurista americano A. Dershowitz, nel suo libello Rights from wrongs. Dershowitz muove una attenta critica al diritto naturale, affermando, fra l’altro, che i diritti non derivano da Dio (perché “Dio non parla agli esseri umani con un’unica voce”: si pensi al Dio dei cristiani e al Dio dell’Islam), né dalla natura (che è moralmente neutra), ma derivano “dall’esperienza umana, e in particolare dall’esperienza dell’ingiustizia”. Piuttosto che ricorrere ad astratte generalizzazioni, secondo Dershowitz, occorre partire dall’esperienza umana, che ci fa vedere gli errori (e gli orrori) della storia, perché da essa è possibile apprendere che esiste un sistema basato sulla difesa di alcuni diritti fondamentali – per esempio: il diritto alla vita e alla salute, la libertà di espressione, la libertà di e dalla religione, l’uguaglianza davanti alla legge, il diritto ad un giusto processo, il diritto alla partecipazione democratica – che ci consente di affrancarci dagli errori del passato; un sistema fondato su principi che hanno trovato riconoscimento nelle Costituzioni moderne e nelle varie Convenzioni sui diritti dell’Uomo, quella dell’Onu e quella europea. Dunque, più che individuare un diritto naturale partendo, per così dire, dall’alto, Dershowitz reputa opportuno partire “dal basso”, ossia da quelle che si sono palesate come evidenti ingiustizie, come torti evidenti (si pensi, come esempio, come esempio eclatante, ai lager o ai gulag) per individuare “i diritti che non possono essere violati”. 5 63 Pace e diritti umani nel Mediterraneo Di primaria importanza, sotto tale profilo, l’art 13, comma 2°, della Dichiarazione universale ONU, secondo cui «ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi Paese, compreso il proprio, e di ritornare nel proprio Paese», che si lega all’art. 14, comma 1, della medesima Dichiarazione, secondo cui «ogni individuo ha diritto di cercare e di godere in altri Paesi asilo dalle persecuzioni». Si tratta di due disposizioni che teorizzano, la prima, il diritto di emigrare (non anche quello di immigrare), la seconda il diritto di asilo (non anche quello di ottenerlo). Con specifico riferimento al diritto d’asilo sono state date diverse soluzioni, a cominciare dalla Convenzione di Ginevra sullo statuto dei rifugiati, del 1951, la quale costituisce diretta emanazione del citato art. 14 e, oltre a definire lo status di rifugiato, ne definisce i diritti e le correlate responsabilità degli Stati che hanno accordato l’asilo. Per quanto riguarda l’Italia, va ricordato l’art. 10, comma 3° della Costituzione, secondo cui «lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge». La quale legge ben difficilmente potrebbe essere in contrasto con il valore che tale disposizione racchiude (quello della previsione e tutela del “diritto d’asilo”), onde è agevole ritenere che mal si concilino con essa molte delle normative interne in materia di immigrazione e, soprattutto, i c.d. “Decreti-sicurezza” recentemente varati6. Del resto, quanto al secondo di tali Decreti, il Presidente della Repubblica, pur firmandolo, non ha mancato di rilevare alcune notevoli incongruenze (dalla eccessività delle sanzioni amministrative agli ostacoli frapposti all’attività di soccorso in mare di chi si trovi in pericolo, assolutamente doverosa secondo la Convenzione di Montego Bay), mentre, con riferimento al primo, non possono non essere evidenziate le grosse falle esistenti sul piano dell’efficacia: cancellando, infatti, la protezione umanitaria, questo testo di legge ha finito col buttar fuori dai centri di accoglienza un elevato numero di migranti, con la conseguenza che gli irregolari sono lievitati dai 600.000 6 D.L. 4. 10.18, n. 113 e D.L. 14.6.19 n. 53 64 Pace e diritti umani nel Mediterraneo accertati alla data della sua entrata in vigore ai quasi settecentomila di oggi, dei quali – lo si è visto in concreto – è pressoché impossibile il rimpatrio. Va detto, peraltro, che a livello internazionale non esiste una normativa generale sull’immigrazione, ma solo una congerie di fonti che riguardano, fondamentalmente il divieto di discriminazione e la salvaguardia dei diritti umani, oltre ad alcune convenzioni sui diritti dei lavoratori migranti7. Altre disposizioni normative si occupano, poi, del doloroso fenomeno del “traffico” o “tratta” di migranti (su ciò vedi infra). 2. I migranti. Quando si parla di migranti, soprattutto con riferimento alla immigrazione degli ultimi anni, quella delle rotte per mare verso l’Italia o la Grecia o quella delle rotte di terra attraverso i Balcani, si rischia, anzitutto, di fare di ogni erba un fascio; mescolando i migranti economici ai profughi in fuga da guerre e persecuzioni politiche. Questo perché, spesso, sui barconi queste due grandi categorie di “persone in fuga” sono entrambe presenti: sulle spiagge libiche giungono, infatti, soggetti che cercano di giungere in Italia o in Europa perché sperano in un futuro migliore (esempio: tunisini, senegalesi, centroafricani come etiopi, somali, maliani, abitanti del Burkina-Fasu) e soggetti che provengono da zone di guerra (nigeriani, Sudanesi, eritrei) che cercano semplicemente di salvare le propria vita o di viverne una migliore. Ed anche perché, talvolta, sono gli stessi migranti che, per assicurarsi la permanenza sul territorio ed evitare il possibile rimpatrio, si qualificano per quello che non sono: rifugiati, richiedenti asilo, invece di migranti “economici”. La distinzione fra queste due categorie, che pure è importante per i risvolti giuridici che essa comporta, tuttavia non sempre è così netta, dal momento che sovente le due situazioni tendono a confondersi: così è per l’Eritrea, l’Etiopia, la Somalia, il Mali. Intanto una prima domanda si impone: perché queste persone fuggono? 7 Ci si riferisce alla Convenzione Onu sui diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie, del 1990, entrata in vigore nel 2003, ma non ratificata dall’Italia né dalla maggior parte dei Paesi occidentali, e alle due Convenzioni dell’OIL (Organizzazione internazionale del lavoro) la n. 97 del 1949 con le successive Disposizioni integrative e la n. 143 del 1975, ratificate dall’Italia nel 1981. 65 Pace e diritti umani nel Mediterraneo La risposta è semplice: perché nel loro paese stanno male, ma talmente male da sobbarcarsi a tremendi viaggi per terra addirittura della durata di anni, a correre il rischio di marcire nei centri di raccolta libici (ove vengono sottoposti ad ogni tipo di violenza), fino ad avventurarsi, poi, nel mar Mediterraneo, stivati uno sull’altro, dentro vere e proprie carrette del mare, sulle quali non di rado trovano la morte. Se queste persone si sottopongono a tali, indicibili sofferenze, si capisce perché il problema dell’emigrazione di massa sia di difficilissima soluzione: perché nulla spaventa i migranti e, dunque, esso, al più, potrà essere (e dovrà essere), in qualche modo, governato nei prossimi anni, senza tuttavia che si possa pervenire ad una soluzione definitiva, almeno nel breve-medio periodo, ossia fino a quando qualcosa non cambierà nelle terre d’origine. Di certo quella dell’emigrazione non può essere considerata un’emergenza, ma questione ordinaria e non occasionale. Quando nei Paesi poveri sono intense le spinte di insicurezza, violenza e miseria, e nei Paesi sviluppati – come il nostro – esistono fattori di attrazione come la possibilità di lavorare (anche in nero: si pensi, per esempio, al lavoro dei “neri” in agricoltura, a Nardò come a Foggia: vedi infra), le barriere non potranno mai fermare i flussi di persone, decise a raggiungere gli stati più ricchi. La situazione dell’Africa, per esempio, è paragonabile ad un vulcano pronto ad eruttare. Dopo gli anni del colonialismo, che hanno depredato il continente, sono giunti gli anni dell’indipendenza (almeno per molti Stati), ma anche delle satrapie e delle guerre civili, fra etnie e tribù. Un problema endemico, aggravato, negli ultimi tempi, dal fanatismo di matrice islamica (si pensi a Boko Haram). Al quale anche gli occidentali hanno dato e continuano a dare un mano: non nel senso di risolverlo, ma di aggravarlo. La quasi totalità delle armi, dei congegni militari, degli esplosivi sono prodotti in occidente: sono i Paesi occidentali, direttamente o per il tramite di trafficanti senza scrupoli, ad armare le tribù africane (per gli enormi guadagni che se ne traggono), sicché non ci si dovrebbe meravigliare più di tanto se poi deflagrano i conflitti e scandalizzarsi se dai conflitti nascono i flussi migratori, o peggio, si sviluppa la mala pianta del terrorismo. 66 Pace e diritti umani nel Mediterraneo Il mondo occidentale, talvolta in complicità con governanti corrotti e sanguinari, per anni si è impossessato – e lo fa tuttora - delle ricchezze dell’Africa (oro, diamanti, petrolio), sottraendole a milioni di disperati e morti di fame, salvo poi indignarsi se gli africani ci sbattono in faccia la loro miseria o se cercano di sfuggire alla fame e alla morte venendo proprio in occidente. La risposta che i governanti occidentali danno, a fronte di un problema di immensa complessità, non è quella di governare il fenomeno migratorio, ma, nel migliore dei casi, la “carità pelosa” di non meglio precisati sussidi (“aiutiamoli a casa loro” è uno slogan che si sente spesso), nel peggiore una politica muscolare (per esempio la chiusura dei porti) che si scarica sui disperati in cerca di una sorte migliore e che fa strame dei valori costituzionali o convenzionali in precedenza evidenziati. La questione migratoria, di estrema complessità (come si sta cercando di evidenziare) non sta (o non sta solo) in mare, negli sbarchi, ma soprattutto sulla terraferma, «tra coloro che il nostro sistema d’accoglienza ha perso per strada, lasciato tracimare nell’illegalità e nell’oblio»8. Una questione che non si risolve a colpi di slogan o con una politica esclusivamente muscolare (totalmente inefficace), ma provando a governare il problema dei flussi migratori, mostrando umanità ed aprendo i porti a chi fugge, ma anche rendendo efficaci i CIE (Centri di identificazione ed espulsione) per contenervi chi non può o non sa stare nel nostro Paese; ma, soprattutto, aprendo i canali dell’immigrazione legale (oltre che di rimpatrio di quella illegale), attraverso accordi con i Paesi d’origine; ridando linfa e soldi agli SPRAR per favorire una autentica integrazione dei migranti destinati a restare, essenziali, oggi ed in futuro, per garantire il funzionamento delle nostre aziende; infine togliendo dai marciapiedi quella pletora di disadattati o disperati che finiscono con l’ingrassare le fila della manovalanza criminale. Va da sé che tutto ciò richiede anche una “rilettura” della politica europea sull’immigrazione, ferma agli accordi di Dublino, forse oggi più facile da raggiungere dopo il ricambio alla Commissione europea ed alla sua guida. 8 Così Goffredo Buccini sul Corriere della Sera del 3 settembre 2019 67 Pace e diritti umani nel Mediterraneo 3. Aspetti giuridici. La rilevanza penale del fenomeno migratorio. La materia della immigrazione clandestina pone, dunque, problemi (di ordine politico, sociale, economico e giuridico) di rilevante entità, di carattere anche internazionale. Il controllo delle frontiere, la salvaguardia della vita umana, la lotta alla criminalità organizzata sono aspetti dello stesso fenomeno con cui la riflessione giudiziaria deve confrontarsi. 3.1 I diritti del migrante. Si è visto come, a livello internazionale, non esista una normativa generale sull’immigrazione, ma molteplici fonti normative per lo più improntate alla tutela dei diritti umani. Ciò non significa, tuttavia, che il migrante sia privo di diritti. Sotto tale profilo, come sopra evidenziato, la prima norma cui occorre necessariamente fare riferimento è l’art. 10 della Costituzione, che, dopo aver statuito che «L’ordinamento italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute» (1° comma) e che «la condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali (2° comma) », stabilisce: «Lo straniero al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge». Dunque vi è un presidio costituzionale rispetto a quello che è un vero e proprio diritto del migrante di vedersi garantito «l’effettivo esercizio delle libertà democratiche». È da qui che si deve partire, se si vuole provare ad analizzare lo status del migrante, i cui diritti – come accennato - sono protetti dal un complesso corpus normativo. Per primi vanno analizzati, dunque gli strumenti giuridico-normativi posti a protezione del migrante e dei suoi diritti fondamentali. Essi rilevano, essenzialmente, come limiti alla sovranità statale italiana in materia penale: è il caso, per esempio, della Convenzione di Ginevra del 1951; del Protocollo del 1967 sul principio del non 68 Pace e diritti umani nel Mediterraneo refoulement9; della Direttiva 2004/83/CE (c.d. ‘’Direttiva qualifiche’’), della recente Direttiva 2011/36 sulle vittime di tratta. Questi strumenti, in linea generale, stabiliscono misure di tutela delle vittime di tratta, ovvero impongono agli Stati di riconoscere protezione internazionale ad alcune categorie di migranti (chi è sottoposto a persecuzione nel proprio paese di origine, o a chi colà corra il pericolo di un danno grave, ovvero di una condanna a morte, tortura, pene o trattamenti degradanti, ecc.). Gli articoli 698 c.p.p., sul divieto di estradizione, e l’art. 19 del T.U. sull’emigrazione (n. 286/98), sul divieto di espulsione, sono un esempio della attuazione, sul piano interno, di questo sistema di protezione. Eppure di tutto ciò si ha scarsa consapevolezza. Qualche anno fa, su un giornale, comparve questo titolo: «È un gay, non viene espulso». Un titolo chiaramente omofobo, dal momento che lo straniero in questione non veniva espulso solo perché omosessuale, ma per il fatto che nel suo paese d’origine (il Sudan) i gay erano – e sono - perseguitati e non di rado uccisi. Altri strumenti internazionali hanno ricoperto un ruolo, per così dire, di protezione indiretta dei migranti, attraverso la criminalizzazione delle condotte dei c.d. scafisti, o trafficanti. I principali tra di essi – anche perché adottati a livello globale - sono i due protocolli ONU alla Convenzione di Palermo: il Protocol to Prevent, Suppress and Punish Trafficking in Persons, expecially Women and children, che ha come presupposto il trasporto (favoreggiamento, facilitazione, ecc.) del migrante contro la sua volontà o con l’inganno, e mira a punire i colpevoli e a tutelare le vittime della tratta, e il Protocol against the Smuggling of Migrants by Land, Sea and Air che mira a prevenire l’introduzione clandestina e lo sfruttamento di migranti consenzienti . Occorre, qui, sottolineare la differenza tra Trafficking (che noi traduciamo con “Tratta”: si pensi alle “ragazze dell’est”, o della Nigeria, portate in Occidente come schiave e fatte prostituire) e Smuggling (che noi traduciamo con “traffico”): nel primo 9 Divieto di respingimento: “Nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche". 69 Pace e diritti umani nel Mediterraneo caso il migrante viene indotto a fare ingresso in uno Stato contro la sua volontà o con l'inganno; nel secondo il migrante è consenziente (anche se nella pratica non mancano le “zone grigie”). In questa seconda ipotesi, nonostante vi sia il consenso del migrante, l’obbligo di criminalizzazione è imposto agli Stati solo con riferimento alla posizione dello sfruttatore e trasportatore, mentre è lasciata allo Stato la decisione se punire anche il migrante che volontariamente fa ingresso nello stato. Come è noto l’Italia, purtroppo, ha scelto di punire la condizione di straniero irregolare in sé, attraverso la previsione dell’art. 10 bis T.U. immigrazione, che disciplina il reato di immigrazione clandestina, punendo con la pena della ammenda da 5.000 a 10.000 euro (non oblabile) la semplice presenza o ingresso illegale nel territorio dello Stato, senza che vi sia stato alcun provvedimento relativo all’espulsione o allontanamento. Si tratta una condotta attiva istantanea che si consuma con il varcare illegalmente i confini nazionali, come ricorda la Corte costituzionale (n. 250/2010). Nel 2014 la legge-delega in materia di depenalizzazione (n. 67/14) aveva previsto l’espunzione di tale reato dall’Ordinamento, attesa la sua patente inutilità, ma i Decreti Delegati (nn. 7 e 8 del 2016) non hanno dato esecuzione alla delega perché – come si ritenne allora, all’indomani dell’attentato di Parigi – “i tempi non sono ancora maturi” (sic). Quella dell’art. 10-bis è una disposizione normativa non solo inutile, ma altamente deleteria, che ha creato – continua a creare - problemi ai Giudici e alla Forze dell’ordine, senza risolverne alcuno, e sulla quale si sono scagliati, con coro unanime, il Primo Presidente della Cassazione e tutti i Presidenti e i P.G. delle Corti d’Appello nelle Cerimonie di inaugurazione dell’anno giudiziario. Non è questa la sede per affrontare funditus le varie problematiche determinate da tale fattispecie di reato. Qui basti solo rilevare l’assoluta irrazionalità del reato in parola: a) Sul piano della deterrenza. Si può mai pensare che un migrante, disposto a sopportare anche anni di sacrifici per spostarsi dal suo luogo d’origine ed a porre a rischio la propria vita e quella dei suoi cari su una carretta del mare, si possa mai “spaventare” per la pena prevista dall’art. 10-bis, un’ammenda da 5.000 a 10.000 euro? E quando mai 70 Pace e diritti umani nel Mediterraneo egli potrà pagare una tale ammenda? Ed essendo incensurato, non avrà forse diritto alla sospensione condizionale? Dunque: deterrenza nulla. b) Sul piano dei Costi: tantissimi ed elevati. Ad Agrigento (tribunale nel cui Circondario ricade Lampedusa), si iscrivono ogni anno più di venticinquemila procedimenti per il reato di immigrazione clandestina. Per fare i processi occorrono P.M., Giudici, personale amministrativo, difensori d’ufficio. Le sentenze emesse, di solito, vengono impugnate dai difensori (è un loro diritto) fino alla Cassazione. Il tutto a spese dello Stato. Per ottenere cosa? Ancora una volta il nulla. c) Sulle ricadute sull’Amministrazione della Giustizia: anche qui tante, e gravi, posto che la trattazione di tali procedimenti finisce col distogliere i magistrati dai ben più delicati compiti relativi, per esempio, alla criminalità comune e mafiosa (siamo pur sempre in Sicilia o in Calabria e, qualche volta, anche in Puglia. Terre di mafia). Quindi, riassumendo, il quadro che si ricava dalla legislazione interna ed internazionale su questo tema è, a grandi linee, il seguente: gli Stati hanno l’obbligo di punire coloro che sfruttano e favoriscono l’immigrazione clandestina, e con maggiore severità se ciò avviene con la violenza o a certi fini, come lo sfruttamento della prostituzione ecc.; non possono criminalizzare in nessun modo il migrante vittima di violenza o inganno ed anzi lo debbono tutelare; sono liberi di punire il migrante economico o comunque volontario, ma nel rispetto delle norme internazionali a tutela dei diritti umani. Sempre sotto il profilo normativo e di politica internazionale in materia di immigrazione, merita di essere segnalato il “patto fra Stati” (Compact on Safe, Orderly and Regular Migration) raggiunto nella Conferenza di Marrakech del 10 e 11 dicembre 2018 su input dell’Onu (Dichiarazione di New York del 2016). Ferma restando la sovranità nazionale di ciascuno Stato nella definizione delle proprie politiche migratorie, in esso vengono individuati “comuni obbiettivi” per un’equa condivisione delle responsabilità quanto a: tutela dei migranti (tutela della vita umana, riduzione della vulnerabilità, stigmatizzazione delle discriminazioni, etc.), trasmissione delle informazioni riguardanti la mobilità, prevenzione e contrasto della tratta e del traffico di esseri umani, contrasto all’immigrazione irregolare, gestione integrata delle 71 Pace e diritti umani nel Mediterraneo frontiere esterne e azioni tese a favorire lo sviluppo dei Paesi di origine. «Si tratta evidentemente di un documento di soft law, non giuridicamente vincolante, ma utile a sollecitare nuove normative o a indirizzare l’interpretazione delle norme vigenti»10. Alla sua elaborazione hanno contribuito l’Unione europea e gli Stati membri dell’Unione (salvo solo una posizione discordante dell’Ungheria), ma poi dopo il voto a favore del Patto, alcuni Stati europei, fra cui l’Italia, si sono inspiegabilmente rifiutati di partecipare alla Conferenza di Marrakech. Con specifico riferimento all’Europa, va segnalato, ancora, come la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, divenuta giuridicamente vincolante dal dicembre del 2009, oltre ad affermare l’obbligo del rispetto dei diritti fondamentali (compresi i diritti sociali) di ogni individuo come tale e il divieto di discriminazione sotto qualsiasi profilo, ribadisce, oltre al diritto all’asilo come garantito dalle convenzioni internazionali, il divieto di espulsioni collettive e il divieto di estradizione quando esista il rischio di pena di morte, di tortura o di trattamenti inumani e degradanti. Nell’ambito dell’Unione europea i Trattati vigenti prevedono che venga garantita:  l’assenza di qualsivoglia controllo sulle persone, a prescindere dalla nazionalità, all’atto dell’attraversamento delle frontiere interne» e, insieme, «il controllo delle persone e la sorveglianza efficace dell’attraversamento delle frontiere esterne» (art. 77 TFUE);  una politica comune dell’immigrazione per assicurare la gestione efficace dei flussi migratori, l’equo trattamento dei cittadini dei Paesi terzi, la prevenzione e il contrasto dell’immigrazione illegale e della tratta degli esseri umani (art. 79 TFUE);  una politica comune in materia di asilo, di protezione sussidiaria e di protezione temporanea (art. 78 TFUE);  un’equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri, governata dal principio di solidarietà (art. 80 TFUE). La triste realtà di tutti i giorni ci dimostra, tuttavia, quale enorme distanza vi sia fra tale «dover essere» normativo e la drammatica quotidianità di un “essere”, quale quello innanzi descritto: ad onta di tale rilevante corpus di leggi e disposizioni, nessuna seria 10 E. PACIOTTI, L’Europa dei diritti e le migrazioni. Le norme e la realtà, «Questione giustizia», 2019. 72 Pace e diritti umani nel Mediterraneo politica comune dell’immigrazione (e neppure dell’asilo) ispirata alla solidarietà risulta ad oggi essere stata adottata ed il mar Mediterraneo costituisce un enorme tomba d’acqua che i governanti europei, al di là di poche parole di circostanza in occasione di grandi tragedie, si ostinano a non voler guardare. Il problema della protezione umanitaria dei migranti nel nostro Paese rileva anche da altro, duplice punto di vista: a) quello della vulnerabilità individuale del migrante e del suo diritto a vedersi riconoscere protezione e diritto d’asilo; b) quello delle recenti – e più stringenti – politiche del nostro Governo, anche in accordo col Governo libico (e dell’Unione Europea col governo turco), tendenti ad impedire i viaggi della speranza verso le nostre coste e, in determinati casi, a restituire alla Libia i migranti in cerca di espatrio verso l’Italia e l’Europa. Rilevano, a riguardo, due importanti pronunce: la prima della Cassazione civile (n. 4155/18), la seconda della Corte d’Assise di Milano, dell’ottobre-dicembre 2017, nel processo contro tale Osman Matammud, condannato all’ergastolo per tortura e plurimi omicidi. Cos’hanno in comunque queste due importanti pronunce? Entrambe si preoccupano della condizione di vulnerabilità individuale del migrante, avuto riguardo alla situazione di estrema, oggettiva pericolosità in cui egli corre il rischio di trovarsi se restituito al Paese di provenienza. La Sentenza della Cassazione riguarda il caso di un cittadino gambiano che si era visto riconoscere dalla Corte d’Appello di Bari il diritto al rilascio di un permesso per motivi di integrazione sociale, stante la sua esposizione ad una situazione di particolare vulnerabilità che gli sarebbe derivata in caso di rimpatrio nel suo Paese d’origine, a causa della grave compromissione dei diritti umani ivi esistente. Contro tale pronuncia aveva presentato ricorso il Ministero dell’Interno sostenendo che il permesso di soggiorno per motivi umanitari non potrebbe essere rilasciato solo per ragioni di integrazione sociale e per il rischio derivante da una generale violazione dei diritti umani nello Stato d’origine. 73 Pace e diritti umani nel Mediterraneo La Cassazione, richiamando la Convenzione E.D.U. e le pronunce della Corte di Strasburgo (segnatamente sull’art. 8 della Convenzione), nel confermare la Sentenza impugnata, statuisce che la condizione di vulnerabilità dello straniero può essere accertata anche effettuando il bilanciamento tra l’integrazione sociale acquisita in Italia e la situazione oggettiva del Paese di origine del richiedente, correlata alla condizione personale che ne ha determinato la partenza, così da accertare la condizione personale di effettiva deprivazione dei diritti umani che abbia giustificato l’allontanamento. La Corte, inoltre, coglie l’occasione per applicare tale argomentazione anche ad altre ipotesi di vulnerabilità, già frequentemente emerse nella giurisprudenza di merito e che avevano dato corso ad orientamenti altalenanti. In particolare, il riferimento è alle condizioni di estrema povertà o a quelle ambientali. A questo riguardo la Corte chiaramente afferma che la condizione di vulnerabilità può dipendere anche «dalla mancanza di condizioni minime per condurre un’esistenza nella quale non sia radicalmente compromessa la possibilità di soddisfare i bisogni e le esigenze ineludibili della vita personale, quali quelli strettamente connessi al proprio sostentamento e al raggiungimento degli standards minimi per un’esistenza dignitosa». Quindi non solo una situazione di instabilità politico-sociale che esponga a situazioni di pericolo per l’incolumità personale ma anche «un’esposizione seria alla lesione del diritto alla salute» oppure «conseguente ad una situazione politico-economica molto grave con effetti di impoverimento radicale riguardante la carenza di beni di prima necessità, di natura anche non strettamente contingente, od anche discendere da una situazione geopolitica che non offre alcuna garanzia di vita all’intero del Paese d’origine (siccità, carestie, situazioni di povertà inemendabili)». Ancora più tranchant la sentenza della Corte d’Assise di Milano, con la quale è stato condannato all’ergastolo, con isolamento diurno per tre anni, tale Osman Matammud, per i reati di omicidio, sequestro di persona in concorso e continuato a scopo estorsivo e violenza sessuale aggravata. L’imputato e i suoi uomini, con frequenza quotidiana, fra il 2015 e il 2016, si erano recati all’interno del capannone ove erano reclusi i somali e li avevano picchiati con calci e pugni, con bastoni e spranghe di ferro, provocando la frattura degli arti, e, in 74 Pace e diritti umani nel Mediterraneo alcuni casi, la morte di alcuni di loro. Lo scopo era quello di ottenere il pagamento di € 7.000,00 di riscatto. Ilda Boccassini, capo della procura antimafia milanese, nella conferenza stampa che seguì agli arresti dichiarò: «In quarant’anni di carriera non ho mai ascoltato dei racconti così atroci». Questa sentenza è molto importante perché con essa è come se lo Stato italiano, attraverso un suo Giudice, per la prima volta abbia riconosciuto ufficialmente che i campi di prigionia libici sono dei veri e propri lager e, dunque, che i migranti vittime di torture in Libia meritano tutela e giustizia anche in Italia. Entrambe le sentenze si muovono sulla scia di una importante sentenza della C.E.D.U. del 23.2.12 nel caso Hirsi C/ Italia11. La Corte, facendo applicazione anche di svariate disposizioni internazionali (fra le altre: 1) la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare - c.d. Convenzione di Montego Bay del 1982 – secondo cui «Ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l'equipaggio o i passeggeri: a. presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo; 11 I ricorrenti - undici cittadini somali e tredici cittadini eritrei, facenti parte di un gruppo di circa duecento persone che aveva lasciato la Libia a bordo di tre imbarcazioni allo scopo di raggiungere le coste italiane - il 6 maggio 2009, quando le imbarcazioni si trovavano a trentacinque miglia marine a sud di Lampedusa, ossia all’interno della zona marittima di ricerca e salvataggio (c.d. zona di responsabilità SAR) rientrante nella giurisdizione di Malta, furono intercettati da tre navi della Guardia di finanza e della Guardia costiera italiane. Gli occupanti di queste imbarcazioni furono trasferiti sulle navi militari italiane, ricondotti a Tripoli e consegnati alle autorità libiche. Secondo la versione dei fatti presentata dai ricorrenti, costoro si opposero alla loro consegna alle autorità libiche, ma furono ugualmente obbligati con la forza a lasciare le navi italiane. Durante una conferenza stampa tenuta il 7 maggio 2009, il ministro dell’Interno italiano (On. Maroni) dichiarò che le operazioni di intercettazione delle imbarcazioni in alto mare e di rinvio dei migranti in Libia facevano seguito all’entrata in vigore, il 4 febbraio 2009, di accordi bilaterali conclusi con la Libia, e rappresentavano una svolta importante nella lotta contro l’immigrazione clandestina. In realtà i ricorrenti, due dei quali nel frattempo deceduti ed altri dispersi, siccome esposti al rischio di subire torture o trattamenti inumani e degradanti in Libia, nonché nei rispettivi paesi di origine, vale a dire l’Eritrea e la Somalia, invocarono l’articolo 3 della Convenzione, secondo cui “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”. 75 Pace e diritti umani nel Mediterraneo b. proceda quanto più velocemente è possibile al soccorso delle persone in pericolo, se viene a conoscenza del loro bisogno di aiuto, nella misura in cui ci si può ragionevolmente aspettare da lui tale iniziativa»; 2) La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (2000), secondo cui (art. 19) «Le espulsioni collettive sono vietate. Nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti»), ha ritenuto che lo Stato italiano abbia posto in essere «una grave violazione del divieto di espulsione collettiva di stranieri e, di conseguenza, del principio di non respingimento». La Sentenza, poi, così conclude: «Se vi è una causa nella quale la Corte dovrebbe fissare misure concrete di esecuzione è proprio questa. La Corte ritiene che il governo italiano debba adoperarsi per ottenere dal governo libico l'assicurazione che i ricorrenti non siano sottoposti a un trattamento incompatibile con la Convenzione, compreso un respingimento indiretto. Non è abbastanza. Il governo italiano ha anche un obbligo positivo di fornire ai ricorrenti un accesso pratico ed effettivo ad una procedura di asilo in Italia. … I rifugiati che tentano di scappare dall'Africa non richiedono un diritto di ammissione in Europa. Essi domandano soltanto all'Europa, culla dell’idealismo in materia di diritti dell’uomo e luogo di nascita dello Stato di diritto, di cessare di chiudere le sue porte a persone disperate che fuggono dall'arbitrio e dalla brutalità. È una preghiera modesta, peraltro sostenuta dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Non restiamo sordi a questa preghiera». In realtà, l’appello alla “non sordità” della CEDU è rimasto, in larga parte, inascoltato, se solo si pensa alla recente “politica” del nostro Paese nei confronti di alcune ONG straniere, deputate al salvataggio in mare dei migranti, ed al sequestro delle navi impiegate a questo fine. Anche in questo caso si tratta di questioni estremamente complesse, non solo dal punto di vista normativo, sulle quali non è facile esprimere valutazioni senza conoscere, in maniera approfondita, gli atti processuali e non potendosi escludere, in astratto, la sussistenza di interessi e condotte convergenti fra trafficati di esseri umani e talune ONG (pur se pare oggettivamente arduo ipotizzare il reato di associazione per 76 Pace e diritti umani nel Mediterraneo delinquere – ossia di un reato posto a tutela dell’ordine pubblico - a carico di chi si limita, al postutto, a soccorrere dei migranti in pericolo ed in cerca d’aiuto). Sono noti i casi che hanno riguardato le navi di alcune di queste ONG (Open arms, Diciotti, Mare Jonio, ecc.), dapprima sottoposte a sequestro preventivo, poi dissequestrate dai Giudici siciliani, che hanno escluso la sussistenza del fumus in ordine ai reati ipotizzati dalla Procura, ovvero ritenuto le condotte coperte dalla scriminante dello stato di necessità, siccome conseguenti ad uno stato di pericolo volontariamente provocato da altri ossia dai trafficanti di uomini (così Cass., sez. 1, sent. 18 maggio 2015 n. 20503, Rv. 263670). Merita di essere segnalato, fra l’altro, come in taluni provvedimenti (es. GIP Ragusa 16.4.18) si sia evidenziato che il semplice recupero fisico dei migranti dalle imbarcazioni alla deriva non esaurisce il salvataggio dei medesimi, dovendosi, invece, prendere in considerazione la destinazione finale del soccorso, da consolidarsi in un POS (Place of safety) effettivo ed affidabile, ossia in una destinazione dove la vita delle persone sia messa in effettiva sicurezza. Tale – secondo i Giudici – è non solo un posto sulla terra ferma dove sia possibile far fronte alle esigenze di cibo e di acqua, ma anche un posto che sia al riparo dalle minacce alla vita ed alla incolumità personale, nel rispetto dei diritti fondamentali. Tale, in particolare, non viene reputato il territorio libico a causa delle torture, persecuzioni o trattamenti inumani o degradanti cui solitamente sono sottoposti migranti. In altri termini, in tutti questi provvedimenti viene operato un bilanciamento fra l’interesse dello Stato a contrastare l’immigrazione illegale e il diritto dei migranti all’asilo, ovvero a non vedersi respinti verso terre in cui sono esposti a rischio i fondamentali diritti alla vita, alla libertà, alla incolumità personale. E nel bilanciamento di questi interessi è di tutta evidenza come il secondo, per Costituzione vigente e per la normativa europea ed internazionali, sia certamente prevalente. L’attuale stretta sulle migrazioni ricorda molto da vicino quella posta in essere, a fine anni novanta, dal nostro Governo in accordo col Governo albanese per ridurre i traffici in Adriatico e che fu causa non secondaria della tragedia che si consumò nel Canale d’Otranto il venerdì santo del 1997, quando un manovra di harassment spinto, posta in essere da una nave 77 Pace e diritti umani nel Mediterraneo della Marina Militare italiana per costringere una carretta del mare albanese a far rientro nel porto di Valona, costò la vita ad oltre 100 persone, fra morti e dispersi (come accertato dalla Corte d’Appello di Lecce nel processo Namik-Laudadio). Va detto infine – per concludere sul punto – che queste politiche hanno spinto il Tribunale Permanente dei Popoli (Associazione nata da una proposta di Lelio Basso – già Padre Costituente - quale spazio di garanzia e di denuncia delle violazioni dei diritti sanciti dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dei Popoli proclamata ad Algeri nel 1976), nella sessione dedicata ai diritti delle persone migranti e rifugiate tenutasi a Palermo dal 18 al 20 dicembre 2017, sotto la presidenza di Franco Ippolito (già Presidente di Sezione della Cassazione), ad emettere una ferma pronuncia di condanna del nostro e di altri Governi, per avere, di fatto, finito con l’avallare documentati metodi di violenza, tortura e schiavitù che sistematicamente si consumano nei Paesi di origine e di transito a danno dei migranti. In particolare, a venire in rilievo sono il Memorandum stipulato nel 2016 dall’Italia con il Sudan di Omar al-Bashir, accusato dalla Corte penale internazionale di crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio, e quello del 2 febbraio 2017 firmato dal presidente del Consiglio Gentiloni e Serraj, presidente di un ancora precario Governo di riconciliazione. Secondo il Tribunale Permanente dei Popoli queste politiche di cooperazione hanno avuto l’effetto perverso di peggiorare le condizioni dei migranti che tentano di aprirsi una rotta verso l’Europa, proprio a causa delle estorsioni e torture quotidianamente praticate nei centri di detenzione e del fatto che il recupero dei migranti in mare da parte delle autorità libiche avviene in assenza delle più elementari condizioni di sicurezza. «Nonostante lo ius migrandi non trovi ancora tutela nell’ordinamento internazionale – si legge nella pronuncia - l’esigenza di migrare è un atto esistenziale e politico che va riconosciuto e tutelato dinanzi alla persistenza di modelli economici di sfruttamento che non consentono uno sviluppo equo e sostenibile». 4. I migranti e il lavoro. Dal caporalato alla schiavitù. È noto che i poveri, gli indifesi, gli indigenti sono prede facili. La povertà, le discriminazioni per genere, razza o provenienza sono fattori che rendono le persone 78 Pace e diritti umani nel Mediterraneo vulnerabili al traffico di esseri umani e, in generale, al crimine organizzato. Per le organizzazioni criminali i migranti sono solo “beni” da trasportare e da usare. Così il nostro mare Mediterraneo è divenuto una enorme tomba d’acqua a causa delle morti su barconi alla deriva. Così troppo spesso si è appreso di bambini abusati, di donne violate, di persone uccise nei modi più brutali e, sempre e comunque, private della loro libertà e dignità. Nella mia Relazione tenuta in occasione della Cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario 2018, ponevo in risalto anche il problema, sempre più grave, dei “bambini che arrivano soli” e poi scompaiono. Al 30 giugno 2017, le persone scomparse nel nostro Paese erano 47.946 di cui il 70% minorenni. Spesso, troppo spesso, quei bambini finiscono nelle mani dei trafficanti di organi o sono vittime di abusi sessuali o vengono costretti alla prostituzione. Altrettanto grave è, poi, il fenomeno del lavoro nero nelle mani della criminalità organizzata, quello che chiamiamo “caporalato”. Si tratta di un fenomeno legato spesso (ma non esclusivamente) alla tratta o, comunque, al traffico di migranti, finalizzato al loro sfruttamento economico. Quelle che seguono sono le dichiarazioni di A. A., acquisite nel corso del Processo contro J. S. ed altri, celebratosi innanzi alla Corte d’Assise di Lecce12: «… In Tunisia ho 5 sorelle ed un fratello, oltre i genitori. … Era noto a Sfax che Bachir [o Bechir, trafficante di uomini: n.d.r.] organizzava gruppi che partivano per l’Italia. … Io e F. abbiamo chiesto a Bachir di aiutarci a raggiungere l’Italia … versando un acconto di 2000 euro. Bachir ci ha promesso che ci avrebbe fatto lavorare in Italia in un’azienda che produce fiori … e che ci sarebbe stata corrisposta la somma di € 1200. … Ci disse di portare la restante somma di 4500 dinari tunisini e poi ci chiese altro 1350 dinari per i documenti i Italia. Ci disse che in Italia avremmo dovuto incontrare tale Hassan, di cui ci fornì l’utenza cellulare. In Italia ci vedemmo costretti ad 12 La Corte d’Assise di Lecce, nel processo citato, con sentenza 13.7.17 ha ritenuto la sussistenza del delitto di riduzione in schiavitù e condannato la maggior parte degli imputati alla pena di undici anni di reclusione. Successivamente la Corte d’Assise d’Appello, con Sentenza 8.4.19, non ancora depositata, ha escluso la sussistenza del reato di schiavitù ritenendo ravvisabile il solo caporalato ex art. 603-bis c.p., peraltro assolvendo la più gran parte degli imputati perché il fatto non era, all’epoca dei fatti, previsto come reato. 79 Pace e diritti umani nel Mediterraneo accettare le condizioni poste da Hassan. Per pagare i soldi a Bachir ho dovuto vendere l’unica macchina di famiglia che avevano. … Volevo venire in Italia per migliorare le mie condizioni. Bachir ci fece il biglietto per la nave che sbarcò a Palermo. Qui, invece di prendere il treno per Siracusa, trovammo un passaggio per Vittoria e da lì raggiungemmo Pachino. Non trovammo Hassan al telefono e telefonammo a Bachir che ci disse di attendere nella piazza principale del paese che sarebbe venuto. Attendemmo invano. Provammo a richiamare Bachir ma non ci rispose più. … Per caso, dopo qualche giorno, conobbi un connazionale di nome Checida, che conosceva Hassan e lo chiamò. Hassan non venne, dicendo che era occupato, mandò due uomini (uno era suo fratello) che ci accompagnarono ad un ristorane algerino. Ci diedero un panino che non mangiai per quanto ero disperato… Ci portarono in una casa per dormire, dove volevano 5 euro a notte. … Il giorno dopo venne Hassan con M. R. e mi accompagnò in Prefettura … dove firmammo alcuni documenti in un ufficio e uscimmo. Hassan mi disse che avrei trovato lavoro a Nardò. Gli contestai che ci aveva ingannato. Restammo a Pachino 2 mesi … Eravamo disperati, saltavamo i pasti perché non avevamo soldi … Hassan è strafottente … mi aveva annullato con il suo atteggiamento … Da Siracusa sono andato a Napoli e da Napoli a Lecce e poi a Nardò in pullman… Arrivai a Nardò alle 16 e scesi presso il distributore Agip … un vero e proprio luogo di reclutamento di manodopera straniera. I connazionali che conobbi presso il distributore AGIP mi dissero che potevo dormire sotto gli alberi di ulivo. Ho dormito con F. e A. in terra, coperto di cartoni, in un uliveto vicino a un luogo diroccato dove un tunisino di nome Heidi aveva improvvisato un ristorante di fortuna. Saltavo i pasti, alcune volte mangiavo in questo posto perché Heidi mi faceva credito Un pasto costava 4 euro. Heidi mi ha fatto conoscere S., che faceva lavorare le persone. Incontrai S., che aveva una Ford familiare di colore scuro. Chiese a me e F. i documenti, A. rimase distante perché non li aveva, S. controllò i documenti e ci disse che avemmo lavorato ai pomodori a 4 euro per cassa. S. imponeva le condizioni: noi chiedemmo di avere 5 euro, ma lui rispose di no e che potevano andarcene a cercare un altro lavoro. Ci disse però che nessun altro ci avrebbe dato lavoro senza il suo tramite. S. trattenne i miei documenti asseritamente per un contratto che, in realtà non ho mai firmato … e dopo 80 Pace e diritti umani nel Mediterraneo due giorni me li restituì. Così fece per gli altri. Alle 4-5 del mattino vi erano 5-6 macchine ad attenderci che facevano la spola con i campi. S. gestiva un gruppo, mentre un sudanese ne gestiva un altro. Ho lavorato con S. per 5 giorni, ma sono stato pagato dopo 10 gg. e ho percepito 100 euro. I soldi me li ha dati il sudanese non S. C’erano altri padroni, tunisini e sudanesi … c’era un sudanese che controllava che il lavoro venisse fatto bene … che usava violenza verbale. Le condizioni erano così disumane che molti sono scappati mentre lavoravano. Nessuno li ha ripresi. Alcuni sono tornati da soli. Quella per mangiare era l’unica pausa. … Non vi erano servizi igienici, vivevamo come animali. … Ritengo che chi stava male non lo diceva per paura di essere allontanato. Ho raccolto meloni 3 gg. prima di conoscere S. ... Orario di lavoro dalle 5,30 alle 17,30. Compravo un panino all’AGIP e lo mangiavo durante la sosta. Anche Aymen, che era senza documenti, ha lavorato per un italiano che aveva una Clio per due gg. insieme a me. Venivamo pagati al termine della giornata lavorativa». Deposizioni come questa ne sono state raccolte a decine nel processo, tutte univoche nel denunciare il grave sfruttamento della manodopera straniera (ma anche, talvolta, italiana), conseguenza di quel grave fenomeno che va sotto il nome di caporalato e che, non di rado, sconfina in una vera e propria schiavitù. Quanto alle condizioni di vita, merita di essere segnalato quanto riportato da Yvan Sagnet, uno studente-lavoratore camerunense divenuto uno dei promotori della c.d. “rivolta di Nardò”13: «Il campo di Boncuri (una vecchia masseria parzialmente diruta, dove vivevano i lavoratori di colore impegnati nella raccolta delle angurie o dei pomodori: n.d.r.) era una versione più povera e triste di qualsiasi situazione africana avessi incontrato nella mia vita. Persino il caldo, secchissimo, sembrava più torrido di quello dell’Africa. Le tende e l’immondizia si stendevano a perdita d’occhio, ai lati dell’accampamento sorgevano baracche di lamiera e persino di cartone. Era lì, mi spiego l’amico di Pavia, che dormivano quelli che non avevano trovato posto nelle canadesi». 13 Y. SAGNET, Ama il tuo sogno, Roma, Fandango libri, 2012. 81 Pace e diritti umani nel Mediterraneo Per caporalato in senso tecnico-giuridico si intende l’intermediazione illecita nel lavoro (art. 603-bis c.p.). Si tratta, com’è noto, di un fenomeno sociale molto diffuso, soprattutto al sud ed in Puglia, in particolar modo nei settori dell’agricoltura e dell’edilizia. Esso, tuttavia, non esaurisce le nuove forme di sfruttamento lavorativo, ma ne rappresenta solo un aspetto specifico, in alcuni casi anche marginale, sempre particolarmente grave. Il caporalato è infatti parte di un modello sociale che può considerarsi vasto, complesso e trasversale, non circoscrivibile dentro categorie sociologiche rigide ma necessariamente aperte, in grado di aggiornarsi all’evolversi del fenomeno e al suo strutturarsi localmente e globalmente, che può prevedere la partecipazione di diversi soggetti, con funzioni correlate tra loro. A questo modello “liquido” e resistente di impresa non importa il colore della pelle del lavoratore, i suoi tratti estetici e etici o la sua condizione giuridica, quanto, invece, la sua fragilità sociale, la sua vulnerabilità e ricattabilità, tanto da sfociare talvolta in forme contemporanee - e a volte anche antiche - di riduzione in servitù e schiavitù. Tuttavia, costituisce dato socialmente acquisito che sono soprattutto i lavoratori stranieri provenienti dal sud del mondo, siccome più vulnerabili e ricattabili, ad alimentare e fortificare il fenomeno. Preliminare ad una sua compiuta comprensione è l’indicazione di alcune nozioni, derivanti dal suo concreto atteggiarsi e rinvenibili nelle varie vicende processuali che, sempre più frequentemente, sono portate all’attenzione dei giudici. In particolare: a) “caporale” o anche “caponero”: è colui che recluta i lavoratori, organizza le squadre e dispone il trasporto; b) “tassista”: è colui che gestisce la fase del trasporto dal luogo di reclutamento al campo di lavoro e viceversa; c) “venditore” o “ristoratore”: è colui che organizza la vendita di generi alimentari, di solito a prezzi superiori a quelli ordinari; d) “aguzzino”: è colui che adopera violenze nei confronti dei lavoratori riottosi o fastidiosi; 82 Pace e diritti umani nel Mediterraneo e) “Caporale amministratore delegato” : è l’uomo di fiducia del datore di lavoro, che coordina l’opera degli altri caporali e pianifica il lavoro (in taluni casi si tratta di vere e proprie agenzie di lavoro interinale ed allora si parla anche di “caporalato collettivo”). Tutte, o anche solo alcune, di tali connotazioni possono coesistere in un unico soggetto (nel senso che uno può essere caporale, fare il tassista, coordinare altri caporali, ecc.). Come detto, si tratta di un fenomeno piuttosto diffuso ed in espansione, soprattutto (ma non solo) al sud, in taluni casi gestito anche da associazioni mafiose e che produce effetti devastanti sull’economia (si pensi, rispetto all’agricoltura, alla alterazione degli equilibri economici dell’intera filiera alimentare) e, soprattutto, sui lavoratori, i quali percepiscono il ruolo del mediatore non in modo traumatico, ma, paradossalmente, in un’ottica di interazione amicale. Esso produce infatti:  Una distorta percezione della realtà quanto alla forza lavoro, la quale è portata a ravvisare nella mediazione illecita un ruolo di aiuto sociale, considerata la sola che consenta di lavorare;  Turni massacranti di lavoro, sempre superiori alle 10 ore, non di rado di 14-16 ore, in condizioni estremamente difficili (sotto il sole cocente o la pioggia battente, senza pause o con pause estremamente ridotte, senza mezzi o possibilità di ristoro);  Frequentemente, la sottrazione di documenti di identità, che pongono i lavoratori stranieri in condizione di estrema difficoltà ed ulteriore vulnerabilità, vero e proprio ostaggio dei caporali. Da qui la loro necessità di fornire, talvolta, false generalità, ovvero di fuggire in caso di controlli. Spesso i documenti vengono trattenuti dai caporali per periodi di tempi più o meno lunghi, per essere forniti a lavoratori clandestini, al fine di parare eventuali controlli (cambiando la foto, se c’è, ovvero approfittando del fatto che trattandosi di stranieri, non sempre è facile distinguerli);  In caso di ribellione dei lavoratori (anche solo per far valere i propri diritti), di regola è prevista l’esclusione (anche temporanea) del lavoratore dal lavoro;  Vengono corrisposti salari estremamente bassi, in gran parte erosi dai “servizi” erogati (obbligatoriamente) dagli stessi caporali; 83 Pace e diritti umani nel Mediterraneo  È frequente l’impiego di forme minatorie e violente per imporre paura ed ottenere sottomissione. Dal punto di vista normativo, il caporalato è stato oggetto, nel corso degli anni, di numerosi interventi legislativi, sino all’attuale formulazione dell’art. 603-bis c.p., a riprova dell’importanza che ad esso ha inteso riconnettervi il Legislatore. Va detto che l’intermediazione di manodopera è stata, di regola, guardata con sfavore. Difatti, inizialmente era previsto il monopolio pubblico della genesi del rapporto di lavoro (con gli uffici comunali di collocamento), mentre l’intermediazione di manodopera era considerata reato contravvenzionale (art. 27 L. 264/49; artt. 1 e 2 L. n. 1369/60). E tale è rimasta anche a seguito, nel 1997, dell’introduzione nel nostro Ordinamento del lavoro interinale (legge n. 196) e la susseguente apertura al mercato del lavoro (c.d. Legge Biagi: n. 276/03). L’art. 18 di tale legge prevedeva, infatti, come reato contravvenzionale la «mediazione e somministrazione di lavoro senza autorizzazione» (art. 18 L. 276/03), considerato dalla Corte Costituzionale come l’erede dei reati previsti negli anni 50-60. Ad onta di ciò, tuttavia, tali disposizioni si sono sempre connotate per la loro scarsa efficacia deterrente, soprattutto in tempi più recenti, attesa la loro assoluta inadeguatezza a fronteggiare lo sfruttamento lavorativo degli stranieri, quasi sempre correlato al triste fenomeno della “tratta” dei migranti. Proprio per questo, per la sua sostanziale inutilità, il reato in parola è stato recentemente depenalizzato (D. L.vo n. 8/16), anche a seguito dell’entrata in vigore di nuove norme incriminatrici. L’inadeguatezza di tale figura di reato contravvenzionale, soprattutto a fronte di gravi forme di sfruttamento del lavoro, manifestatesi sul nostro territorio anche grazie ai fenomeni di immigrazione massiva dai Paesi dell’Est Europa, dal Maghreb e dall’Africa sub-sahariana, ha correlativamente spinto il Legislatore ad intervenire su altri fronti, reputati evidentemente più idonei per fronteggiare il fenomeno: così, anche grazie alla spinta di nuove normative internazionali, con la legge n. 228/03 è stato è stato riformulato l’art. 600 c.p., con una nuova definizione del reato di riduzione in schiavitù, mentre con il D.L. n. 13.8.11, n. 138, in vigore da tale data e poi convertito nella legge n. 148/11, è stato introdotto il reato di cui all’art. 603-bis c.p. («Intermediazione illecita 84 Pace e diritti umani nel Mediterraneo e sfruttamento del lavoro»). Scopo di tale ultima disposizione è stato – ed è - quello di punire tutte quelle condotte gravemente distorsive del mercato del lavoro, caratterizzate da violenza, minaccia, intimidazione, profittamento dello stato di bisogno o di necessità del lavoratore, che, da un lato, non si risolvano nella mera violazione delle regole poste dalla Legge Biagi e, dall’altro, non integrino il più grave reato di riduzione in schiavitù («Salvo che il fatto costituisca più grave reato…»). Degno di nota è il fatto che tale nuova figura di reato sia stata introdotta con Decretolegge, ossia con uno strumento normativo che presuppone necessità ed urgenza, a riprova della gravità del fenomeno e della volontà del Legislatore di porre riparo ad una situazione reputata ormai insostenibile (peraltro proprio sulla spinta di alcuni episodi clamorosi, come la protesta dei lavoratori extra-comunitari di Nardò che ha costituito oggetto del processo penale innanzi alla Corte d’Assise di Lecce, da cui è stata tratta la testimonianza sopra riportata). La condotta tipica di tale nuova forma di reato è quella di chi svolge «un’attività organizzata di intermediazione», reclutando manodopera per il lavoro, caratterizzata da “sfruttamento”, mediante «violenza, minaccia o intimidazione, o approfittando dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori», secondo alcuni “indici” contenuti nella stessa norma: a) Sistematica retribuzione dei lavoratori in modo palesemente difforme dai contratti collettivi di lavoro; b) Sistematica violazione dell’orario di lavoro, riposo settimanale, ferie, ecc; c) Violazioni in materia di sicurezza e igiene del lavoro, tali da esporre a pericolo la salute del lavoratore; d) Sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, sorveglianza, situazioni alloggiative particolarmente degradanti. La fattispecie è aggravata se i lavoratori reclutati sono più di tre, se ci sono minori, ovvero se i lavoratori intermediati sono esposti a grave pericolo. Va detto subito, però, che tale novità legislativa non ha sortito l’effetto sperato – ossia quello di eliminare o, quanto meno, ridimensionare il fenomeno del caporalato - come è 85 Pace e diritti umani nel Mediterraneo attestato dal fatto che in giurisprudenza si rinviene una sola sentenza della Cassazione (Cass. 27.3.14, n. 14591). Il principale difetto di tale normativa, almeno a stare agli studiosi che si sono occupato del problema, stava nel fatto che: a) Essa non prevedeva alcuna responsabilità per il datore di lavoro che, pure, è il vero beneficiario del “caporalato”; b) Esisteva già nel nostro tessuto normativo, una disposizione - l’art. 22, comma 12-bis D. L.vo 286/98 - che prevedeva come aggravanti le condotte tipizzate dall’art. 603-bis, pur se riferibile solo agli stranieri (onde, secondo qualcuno, si poteva porre un problema di costituzionalità); c) Non risultavano, comunque, sufficientemente delineate le condotte incriminate, quanto a: il concetto di sfruttamento (se mera eventualità del reato o elemento essenziale); il contenuto della violenza, minaccia o intimidazione (se le stesse dovessero correlarsi alle caratteristiche dello sfruttamento del lavoratore o, invece, o all’attività di intermediazione del caporale). Da qui la necessità, da più parti reclamata, di una rivisitazione della norma, la quale è intervenuta con l’entrata in vigore (dal 4.11.16) della legge n. 199/16. Per effetto della modifica, oggi il reato:  Consiste nel fatto di chi «recluta manodopera allo scopo di destinarla presso terzi in condizioni di sfruttamento ed approfittando dello stato di bisogno» (dunque viene meno il requisito della violenza, minaccia o intimidazione, correlate allo sfruttamento);  è addebitabile, oltre che al caporale (che recluta), anche a chi «utilizza, assume o impiega» manodopera grazie all’opera di illecita intermediazione (ossia al datore di lavoro);  È aggravato da “violenza o minaccia” (che sono, dunque, trasformate in circostanze aggravanti), con pena da 5 a 8 anni e multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato. Per effetto di tale innovazione normativa la condotta tipica del reato ex art. 603-bis non richiede più, quale elemento costitutivo, che il fatto sia compiuto con la «violenza, 86 Pace e diritti umani nel Mediterraneo minaccia o intimidazione», le quali si atteggiano oggi come circostanze aggravanti e comportano un aumento di pena. Tali circostanze, tuttavia, oltre che aggravare il delitto di cui all’art. 603-bis c.p., possono essere la cartina di tornasole di una soggezione continuativa, correlata ad una condizione di vulnerabilità della vittima, che vale ad integrare il più grave reato di riduzione in schiavitù. In altri termini, oggi, per effetto della ricordata innovazione normativa, le nozioni – e le differenze - dei due reati paiono meglio definite, tanto più che anche gli indici di sfruttamento - che hanno comunque valore esplicativo e non tassativo – sono meglio esplicitati. Ulteriori caratteristiche della nuova forma di reato sono: 1) Il fatto che, quanto alla violazione della normativa in materia di sicurezza sul lavoro (art 603-bis, comma 3° n. 3) non sia più prevista l’esposizione a pericolo per la salute del lavoratore; 2) La eliminazione, dal n. 4 dello stesso comma, dell’avverbio particolarmente rispetto a «situazioni alloggiative … degradanti». Da ultimo è giuridicamente configurabile il tentativo e il dolo del reato è specifico (in quanto la condotta del soggetto agente è tesa al raggiungimento di uno scopo che va al di là del fatto materiale tipico). I reati di violenza privata e minaccia debbono considerarsi assorbiti nella fattispecie aggravata, mentre quelli di lesioni personali e violenza sessuale (spesso presenti) concorrono. Si è detto in precedenza che il reato di «intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro» è alternativo («salvo che il fatto non costituisce più grave reato») a quello di riduzione in schiavitù (art. 600 c.p.), per cui è necessario delineare l’esatta linea di demarcazione fra le due fattispecie, posto che entrambe le disposizioni in considerazione prevedono sostanzialmente gravi condotte costrittive legate al lavoro. L’art. 600 rimanda, già dalla rubrica, al concetto di “schiavitù” o “servitù”. Anch’esso, come già evidenziato, è stato oggetto di importanti modifiche normative. Difatti, il testo previgente alle modifiche apportate nel 2003 testualmente disponeva: «Chiunque riduce una persona in schiavitù o in una condizione analoga alla schiavitù, è punito ecc.». La norma, nell’originaria formulazione, in un certo senso tautologica, 87 Pace e diritti umani nel Mediterraneo rimandava ad un sistema di fonti internazionali relative al concetto di “schiavitù”. In particolare, l’art. 1 della Convenzione di Ginevra del 7.9.56 (ratificata con Legge 20.12.57, n. 1304), definiva le “condizioni analoghe alla schiavitù”, evidenziando non solo delle condizioni di diritto (di cui alla Convenzione di Ginevra 25.9.1926, sulla abolizione della schiavitù, approvata con R.D. 26.4.1928, n. 1723), ma “analoghe” situazioni di fatto. Quanto al concetto giuridico di “schiavitù”, era quello definito, appunto, dalla prima Convenzione di Ginevra 1926. Un coacervo normativo, quello sulla schiavitù, che si rivelava lacunoso per l’interprete, soprattutto quando si dovevano enucleare le condizioni “analoghe” alla schiavitù. Si oscillava, infatti, fra due indirizzi giurisprudenziali: - uno, piuttosto estensivo, che consentiva di abbracciare qualsiasi condizione di fatto in cui si ravvisasse una riduzione della vittima nella condizione materiale della schiavitù; - un altro molto più rigoroso, che restringeva l’operatività della fattispecie alle sole situazioni di diritto individuate dalla Convenzione del 1926. La questione fu portata all’esame delle Sezioni Unite della Cassazione (Sentenza 20.11.96, n. 261), la quale optò per la concezione più estensiva, specificando che per “condizione analoga alla schiavitù” doveva intendersi «qualunque situazione di fatto in cui la condotta dell’agente avesse per effetto la riduzione della persona offesa nella condizione materiale dello schiavo», e cioè nella condizione di «soggezione esclusiva ad un altrui potere di disposizione, analogo a quello che viene riconosciuto al padrone sullo schiavo negli ordinamenti in cui la schiavitù era ammessa». La Cassazione precisò anche che le condizioni analoghe alla schiavitù contenute nella Convenzione di Ginevra dovevano considerarsi meramente esemplificative. Le sentenze successive della Cassazione di adeguarono a tale indirizzo. Tuttavia la situazione era destinata a mutare rapidamente, soprattutto per impulso delle fonti sovranazionali. L’Unione Europea, infatti, approvò nel 1997 il Protocollo contro il traffico dei migranti e nel 2002 la decisione quadro 2002/629/GAI (19 luglio), con cui si prescriveva agli Stati membri di incriminare penalmente la tratta di migranti a fini di sfruttamento di 88 Pace e diritti umani nel Mediterraneo manodopera o di sfruttamento sessuale. Peraltro, nel 2000, su input delle Nazioni Unite, erano stati approvati i Protocolli aggiuntivi alla Convenzione di Ginevra, al fine di prevenire e punire la «tratta di persone, specialmente donne e bambini», nonché «il traffico di migranti per terra, aria, mare». Da tutto ciò è derivata la necessità di una ridefinizione delle fattispecie penali del nostro codice, che fosse coerente con le Fonti internazionali. Tale ridefinizione è intervenuta con la legge n. 228/03, che ha riformulato l’art. 600 c.p., ponendosi, tuttavia, e in regime di continuità normativa col precedente dettato normativo. Il testo della nuova disposizione è, sostanzialmente, quello oggi in vigore, e punisce il fatto di chi eserciti «su una persona poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà» ovvero riduca o mantenga «una persona in stato di soggezione continuativa, costringendola a prestazioni lavorative o sessuali ovvero all’accattonaggio o comunque a prestazioni che ne comportino lo sfruttamento»; nel secondo comma si precisa che «la riduzione o il mantenimento nello stato di soggezione ha luogo quando la condotta è attuata mediante violenza, minaccia, inganno, abuso di autorità o approfittamento di una situazione di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità, o mediante la promessa o la dazione di somme di denaro o altri vantaggi a chi ha l’autorità sulla persona». La disposizione è stata rimaneggiata nel 2014 (D. L.vo n. 24) con l’aggiunta della fattispecie relativa al prelievo di organi e ad altre attività illecite specificamente individuate dal nuovo testo di legge (1° comma), nonché, al 2° comma, dopo la frase “approfittamento di una situazione”, delle parole “di vulnerabilità”. Queste ultime modifiche, almeno formalmente, dovrebbero operare per i fatti successivi alla legge di modifica, ma di fatto, quanto meno con riferimento alla “situazione di vulnerabilità” un vero e proprio problema di applicazione della legge più favorevole non si pone, giacché secondo la giurisprudenza, anche prima della modifica della norma, la riduzione in schiavitù era da rinvenirsi nell’approfittamento di situazioni di vulnerabilità del lavoratore. Il delitto, così come oggi è configurato, individua una fattispecie multipla, a forma libera, che comporta: 89 Pace e diritti umani nel Mediterraneo  l’esercizio su di una persona di poteri di signoria corrispondenti al diritto di proprietà, in modo che la persona sia più o meno ridotta ad una res, oggetto di scambio commerciale (es. le ragazze dell’est portate in Italia per essere destinate alla prostituzione ed oggetto di ripetuti cambi di “padrone”);  la riduzione o il mantenimento di una persona in stato di soggezione continuativa, finalizzata al suo sfruttamento, con differenti modalità. Integrate tali situazioni, nessuna rilevanza ha il consenso della parte, i cui processi volitivi si intendono assolutamente alterati. Ovviamente – e parallelamente - anche la giurisprudenza della Cassazione si è evoluta, rispetto alle SS. UU. del ’96. Secondo la Suprema Corte, lo stato di “soggezione continuativa” di cui all’art. 600 c.p. va rapportato al vulnus arrecato all’altrui libertà di autodeterminazione, nel senso che «esso non può essere escluso qualora si verifichi una qualche limitata forma di autonomia della vittima» (Cass. 25408/13). La questione si pone – ed è particolarmente delicata – nei riguardi degli immigrati, essendosi affermato che «integra il delitto di riduzione in schiavitù, mediante approfittamento dello stato di necessità altrui, la condotta di chi approfitta della mancanza di alternative esistenziali di un immigrato da un Paese povero, imponendogli condizioni di vita abnormi e sfruttandone le prestazioni lavorative, al fine di conseguire il saldo del debito da questi contratto con chi ne ha agevolato l’immigrazione clandestina» (Cass. n. 46128/08). Con riferimento, poi, allo “stato di necessità”, Cass. 17.6.16, n. 1884 ha ritenuto che più correttamente di deve parlare di “situazione di necessità”, la quale va delineata non già con riferimento all’esimente di cui all’art 54 c.p., «quanto piuttosto alla nozione di bisogno enunciata dall’art. 644, comma 5° n.3 c.p. in tema di usura e nell’art. 1448 c.d. in tema di rescissione del contratto» (Art. 1448 c.c.: «Se vi è sproporzione tra la prestazione di una parte e quella dell’altra, e la sproporzione è dipesa dallo stato di bisogno di una parte, del quale l’altra ha approfittato per trarne vantaggio, la parte danneggiata può domandare la rescissione del contratto»: deve trattarsi di lesione ultra dimidium e non deve riguardare i contratti aleatori). 90 Pace e diritti umani nel Mediterraneo In altri termini, quello che si richiede per la sussistenza della riduzione in schiavitù, è una «situazione di debolezza o di mancanza materiale o morale del soggetto passivo, adatta a condizionarne la volontà personale, in accordo con quanto disposto nella decisione-quadro UE 2002/629/GAI sulla lotta alla tratta degli essere umani (di cui la legge n. 228/03 è attuazione), laddove intende tutelare le posizioni di vulnerabilità; nozione, quest’ultima, che deve essere tenuta ben presente al fine di interpretare l’art. 600 c.p. », costituendo essa una condizione capace di compromettere «radicalmente la libertà di scelta della vittima, che non ha altra scelta se non quella di sottostare all’abuso» (Cass. n. 31647/16 cit.). A proposito, poi, della continuatività della soggezione, la Cassazione ha osservato come tale requisito debba essere inteso o in senso cronologico di durata prolungata nel tempo, ovvero nel senso di una “certa permanenza”, con esclusione, quindi, di quelle condotte che si esauriscano in brevissimo tempo e non siano idonee a determinare “dipendenza”. Da ultimo, secondo Cass. n. 40045/10 (Murmylo ed altri) è ravvisabile la situazione di “soggezione” integrante il delitto di cui all’art. 600 c.p., allorquando le vittime (in via di esempio): a) siano private dei passaporti o dei documenti; b) siano collocate in luoghi isolati privi di relazioni esterne; c) abbiano retribuzioni nettamente inferiori alle promesse e, comunque, alla normativa contrattuale; d) subiscano contestualmente sacrifici di esigenze primarie; e) vivano in luoghi fatiscenti, in assenza di servizi igienici; f) subiscano privazioni alimentari e siano impossibilitate di spostarsi liberamente sul territorio, costrette a raggiungere i luoghi di lavoro solo su mezzi di trasporto nella disponibilità dell’autore del reato; g) siano incapaci comunque di sottrarsi allo sfruttamento e siano, anche, oggetto di violenze o minacce. Nello specifico, la Cassazione ha ritenuto sussistente il reato nel caso di un uomo «alloggiato in un ricovero per gli animali, non avendo la possibilità di scegliere altre sistemazioni abitative anche a causa delle sue condizioni di persona straniera, da pochi 91 Pace e diritti umani nel Mediterraneo mesi in Italia, senza denaro né conoscenze, con scarsa o nulla consapevolezza della propria situazione o dei propri diritti. Pur se egli aveva mantenuto in termini astratti la possibilità di allontanarsi dalla situazione sgradita – si legge nella sentenza - ciò non significa che egli avesse alternative realisticamente individuabili e compatibili con le circostanze contingenti esistenti in quel contesto territoriale e temporale». Ne viene – secondo la S.C. – che tale lavoratore «non si determinò liberamente a svolgere un’attività lavorativa gravosa, sottopagata e in condizioni disagiate, ma lo fece in quanto condizionato dall’assenza di alternative praticabili, in quel periodo, in quel contesto locale e temporale e in ragione delle proprie condizioni personali». Ancora più recentemente la Cassazione, sulla scia di un ormai consolidato indirizzo nomofilattico, ha ribadito che per la sussistenza del reato de quo «non è necessaria un’integrale privazione della libertà personale, ma è sufficiente una significativa compromissione della capacità di autodeterminazione della persona offesa, idonea a configurare lo stato di soggezione rilevante ai fini dell’integrazione della norma incriminatrice», stato di soggezione che «deve essere rapportato all’intensità del vulnus arrecato all’altrui libertà di autodeterminazione», dovendosi ritenere “irrilevante” che le vittime conservino la possibilità di compiere singoli atti in autonomia, quale quello di allontanarsi temporaneamente dall’organizzazione, posto che ciò che rileva sotto tale profilo è «la condizione di coartazione psicologica continuativa» in cui le vittime si vengano a trovare per effetto della condotta posta in essere dal soggetto agente (Cass. 16.5.17, n. 42751). Alla stregua di tali considerazioni, la differenza fra il reato di cui all’art. 603-bis e quello di riduzione in schiavitù (art. 600 c.p.) sta, fondamentalmente, nella maggior gravità di quest’ultimo, connotato da una più estesa privazione della libertà di autodeterminazione (nel senso sopra specificato) e nel fatto che la riduzione in schiavitù si attaglia alle condizioni di lavoro ma non si esaurisce con quelle (si pensi, per esempio, al fenomeno delle schiave-prostitute). In altri termini le due fattispecie si atteggiano, in un certo senso, come due cerchi concentrici: più grande quello dell’art. 603-bis, più piccolo quello di cui all’art. 600 c.p., 92 Pace e diritti umani nel Mediterraneo nel senso che tutto ciò che è caporalato non è necessariamente schiavitù, ma ciò che è schiavitù è, ancora prima, caporalato. Peraltro, proprio per effetto di tali differenze, è da escludere che l’entrata in vigore della più mite normativa di cui all’art 603-bis c.p. possa costituire un ostacolo all’applicazione della più severe fattispecie della riduzione in schiavitù (o servitù), pur se appare «pessimisticamente ipotizzabile un’interpretazione economicamente realistica, basata sul tacito riconoscimento dello stato di necessità, in cui opera l’agricoltura italiana nell’arretrata economia meridionale, sotto la pressione della concorrenza internazionale»14. Un tale orientamento, tuttavia, pare insostenibile alla luce della consolidata giurisprudenza della Suprema Corte, «secondo cui il delitto di riduzione in schiavitù è inequivocabilmente identificabile in virtù dello specializzante evento costituito dal permanente stato di soggezione continuativa, che è a monte del perenne sfruttamento della vittima. … Grazie anche alla Sentenza della Corte d’Assise di Lecce [si può] giungere ad una precisa consapevolezza: è ancora in vigore un ordinamento legislativo – fondato su un superiore ordinamento costituzionale e su un alternativo ordinamento economico. che riconosce a tutti il diritto di vivere e lavorare in maniera libera, dignitosa, sicura»15. Le ricordate innovazioni legislative ed una maggiore consapevolezza della Magistratura italiana circa la gravità e pervasività dei fenomeni ora descritti fanno, dunque, ragionevolmente ritenere che essi possano finalmente essere adeguatamente fronteggiati e ridimensionati, pur se molto può ancora essere fatto. E non solo dai magistrati, ma da tutti i cittadini. Perché questi fenomeni sono anche un fatto culturale e risentono anche delle speculazioni e delle storture tipiche indotte dal populismo (anche giuridico) e dal sovranismo. Si pensi, solo per un attimo, a quello che fu l’atteggiamento degli italiani, e, segnatamente, dei salentini quando in Italia, particolarmente nella Provincia dei Lecce, cominciarono i flussi degli albanesi e a qual è l’atteggiamento odierno rispetto ai migranti africani. Allora il Salento fu ospitale, tanto che qualcuno lo propose per il 14 A. BEVERE, Nota alla sentenza 13.7.17 della Corte d’Assise di Lecce, cit.. in «Critica del Diritto», E.S.I., Napoli 15 Ibidem. 93 Pace e diritti umani nel Mediterraneo Nobel per la pace. Oggi non è più così. Certo, c’è la crisi. Certo, manca il lavoro. Ma credo sia indubitabile se non una maggior cattiveria, una più avvertita ostilità. Allora, forse, occorre tornare a “vedere” l’altro non come una persona ostile ma come un ospite che ha “diritto di avere diritti” (per citare una frase di Stefano Rodotà mutuata da Hannah Arendt). Occorre guardare all’altro, anche straniero, non solo come individuo, ma come persona (il richiamo a Mounier e a Maritain è d’obbligo), perché solo così è possibile avere consapevolezza dei problemi che affliggono la società in cui viviamo e di come affrontarli. La politica italiana, come quella europea, in materia di immigrazione debbono mutare (la mancata approvazione della legge sullo jus soli è stata un’occasione persa), anche dal punto di vista securitario, perché una maggiore integrazione, con una più significativa presa di coscienza culturale da parte di chi viene a vivere in Italia, vale a ridurre e a contenere i fenomeni violenti molto di più dell’abnorme aumento delle sanzioni contenuto in recenti provvedimenti legislativi. Poi, forse, una pre-condizione per provare a governare il fenomeno migratorio è quella di por termine alle guerre e ai focolai di guerra che allignano in paesi come l’Iraq, la Siria, la Libia, ecc. Ovviamente non è pensabile una soluzione che contempli un intervento militare europeo o della NATO, che finirebbe, invece, con l’inasprire una situazione già difficile (Libia docet). Occorre, al contrario, dare luogo a forti investimenti in aiuti umanitari e programmi per il rafforzamento dello stato di diritto, magari sotto l’egida dell’ONU, anche se tutto ciò è più facile a dirsi che a farsi. Occorre – io credo – adottare, almeno a livello europeo, una politica comune per il diritto d’asilo, evitando di lasciare isolati Stati come l’Italia o la Grecia. La frontiera del Mar Mediterraneo non è dell’Italia o della Grecia ma è la frontiera dell’Europa! Il motto dell’Unione Europea recita: “Uniti nella diversità”. L’impressione, purtroppo, è che, almeno fino ad oggi, gli europei siano stati sempre più diversi e sempre meno uniti. E ancor meno solidali! L’auspicio è che qualcosa, finalmente, possa cambiare. 94 GIUSEPPE GIOFFREDI Immigrazione, diritto d’asilo e ruolo dell’UNHCR. Scritto in ricordo del seminario leccese di Pedro Felipe Camargo.* Abstracts Il fenomeno migratorio ha ormai assunto una configurazione permanente, trasformandosi in realtà strutturale della società contemporanea. Le analisi delle cause del fenomeno migratorio concordano nell’affermare che i fattori espulsivi dei Paesi di esodo e i fattori attrattivi dei Paesi di arrivo non cesseranno nel breve periodo, sicché si tratta di un fenomeno con il quale il mondo è destinato a confrontarsi ancor di più nei prossimi anni. Per tali motivi ci si propone di effettuare una disamina delle questioni più rilevanti concernenti la materia in esame, che comunque è molto ampia e in continua evoluzione. Attenzione particolare sarà poi dedicata al ruolo dell’UNHCR dato il suo ruolo peculiare per la protezione dei rifugiati. Keywords: immigrazione, asilo, rifugiati, Convenzione di Ginevra, UNHCR Introduzione. Uno dei fenomeni più complessi da governare nel mondo contemporaneo è senza dubbio quello dell’immigrazione. Per immigrazione si intende l’ingresso e la permanenza in un luogo, con carattere temporaneo (i. temporanea) o definitivo (i. definitiva), di persone provenienti dall’estero (i. esterna o interstatale) o da altre zone del territorio nazionale (i. interna). Rispetto all’emigrazione essa indica l’arrivo nel Paese straniero, anziché la partenza dal proprio. I termini correlativi di immigrazione ed emigrazione, dunque, rappresentano i due momenti, positivo (con riferimento al Paese di arrivo) e negativo (con riferimento al Paese di partenza), del fenomeno migratorio. 1 * A Pedro Felipe Camargo, Direttore dell’Ufficio del Sud Europa dell’UNHCR, con un sentito ringraziamento per le preziose sollecitazioni e per l’entusiasmo profuso in ogni sua iniziativa. Si ringrazia vivamente anche Silvio Spiri, Presidente del Centro culturale San Martino, per aver brillantemente ideato e realizzato tale raccolta di scritti. 1 Secondo la definizione generalmente accettata, il migrante è colui che risiede per più di un anno in un Paese diverso da quello in cui normalmente sta, generalmente alla ricerca di un lavoro o di una vita migliore. Migranti sono anche gli stranieri che per ragioni di sicurezza personale chiedono “asilo” ad uno Stato (cioè chiedono di entrare e soggiornare in un territorio straniero in cui trovano protezione), così come lo sono i “rifugiati”, cioè coloro che, «temendo a ragione di essere perseguitati per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le loro opinioni politiche, si trovano al di fuori del Paese di cui sono cittadini e non possono o, a causa di questo timore, non vogliono avvalersi della protezione di questo Paese» (art. 1 Convenzione relativa allo status dei rifugiati del 28 luglio 1951). Il “diritto d’asilo” è il diritto concesso a uno straniero di trovare rifugio nel territorio (a. territoriale) o presso una rappresentanza diplomatica (a. diplomatico) di uno Stato terzo, qualora sia perseguitato o subisca discriminazioni per motivi politici, religiosi, razziali. Secondo l’art. 10, comma 3°, della nostra Carta costituzionale, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica «[l]o straniero al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione 95 Pace e diritti umani nel Mediterraneo Questo è un fenomeno con il quale il mondo si è confrontato in passato ed è destinato a confrontarsi ancor di più nei prossimi anni a causa dei processi di globalizzazione in atto e degli effetti che questi processi – in presenza di persistenti squilibri demografici, economici e sociali tra le varie aree del pianeta – determinano sulla circolazione delle persone.2 Negli ultimi decenni, infatti, esso ha assunto sempre di più una configurazione permanente, trasformandosi in realtà strutturale della società contemporanea. I flussi migratori, dunque, rappresentano un fenomeno ormai irreversibile, destinato ad una maggiore rilevanza nei prossimi anni e non più pensabile e sostenibile soltanto in termini di emergenza. Le analisi delle cause del fenomeno migratorio concordano nell’affermare che, poiché i fattori espulsivi (push factors) dei Paesi di esodo (conflitti armati, dittature, violazione dei diritti umani, degrado dell’ambiente e disastri naturali, sottosviluppo economico, incremento demografico, disoccupazione, diffusione dei modelli di vita occidentali, ecc.) e i fattori attrattivi (pull factors) dei Paesi di arrivo (migliori possibilità economiche, richiesta di manodopera, ricongiungimento familiare, occasioni di studio o di formazione, ecc.) non cesseranno nel breve periodo, è molto probabile che l’immigrazione straniera sia destinata a crescere ulteriormente. Il riferimento, pur sintetico, alle cause delle spinte migratorie costituisce un indispensabile punto di partenza per la comprensione del fenomeno e dei problemi posti da un’immigrazione sempre più massiccia ed incontrollata. Come si è prima osservato, le odierne migrazioni internazionali sono determinate da diversi fattori che hanno favorito ingenti spostamenti di persone: la globalizzazione, l’esplosione demografica nei italiana». Il termine “rifugiato” non coincide con quello del richiedente asilo: un individuo può ricevere asilo territoriale senza perciò rivestire la condizione di rifugiato. L’asilo attiene semplicemente ai profili dell’ammissione sul territorio statale del perseguitato, generalmente politico; lo status di rifugiato, invece, determina una più ben precisa e definita condizione giuridica. 2 Sul fenomeno della globalizzazione v.: A. BALDASSARRE, Globalizzazione contro democrazia, Roma-Bari, Laterza, 2002; F. BONAGLIA, A. GOLDSTEIN, Globalizzazione e sviluppo: due concetti inconciliabili? quattro luoghi comuni da sfatare, Bologna, Il Mulino, 2003; M.R. FERRARESE, Il diritto al presente: globalizzazione e tempo delle istituzioni, Bologna, il Mulino, 2002; M.R. FERRARESE, Diritto sconfinato: inventiva giuridica e spazi nel mondo globale, Roma-Bari, Laterza, 2006; D. HELD, Governare la globalizzazione. Un'alternativa democratica al mondo unipolare, Bologna, Il Mulino, 2005; E. RESTA, Il diritto fraterno, Bari-Roma, Laterza, 2005. 96 Pace e diritti umani nel Mediterraneo Paesi in via di sviluppo, l’aumento delle disuguaglianze tra Nord e Sud del mondo. Ma esse affondano le proprie radici anche nel nazionalismo esasperato, nell’emarginazione sistematica e a volte violenta delle minoranze etniche o dei credenti di religioni non maggioritarie, nelle guerre civili che insanguinano molte aree del pianeta. Tutte queste realtà continueranno a costituire, anche negli anni a venire, altrettanti fattori di spinta e di espansione – secondo una combinazione ogni volta differente – dei flussi migratori, anche se l’irrompere sulla scena internazionale del terrorismo ha provocato ed ancora provocherà, per ragioni di sicurezza, reazioni al movimento dei migranti. 2. Il quadro normativo internazionale. Nell’àmbito del quadro giuridico internazionale, occorre preliminarmente osservare che la regolamentazione derivante dal diritto internazionale generale si rivela insufficiente a governare un fenomeno così complesso e articolato come quello migratorio. Il diritto internazionale generale, infatti, non prevede alcun limite in ordine all’ammissione e all’espulsione degli stranieri da parte degli Stati. Si tratta di un aspetto essenziale della norma consuetudinaria sulla sovranità territoriale, la quale attribuisce a ogni Stato il diritto di esercitare il potere di governo sulla sua comunità territoriale in modo libero ed esclusivo.3 Anche la regolamentazione relativa al soggiorno non è soggetta a norme di diritto internazionale generale: ogni Stato è libero di stabilire le condizioni per il soggiorno degli immigrati.4 Parimenti, nessun limite specifico derivante dal diritto internazionale consuetudinario è posto alla libertà dello Stato in materia di espulsione dello straniero (salvo il principio del non refoulement dei rifugiati di cui all’art. 32 Convenzione relativa allo status dei rifugiati del 1951). In tale caso, tuttavia, lo Stato ha una serie di obblighi di carattere sia sostanziale (obblighi relativi alla protezione e alla 3 Da tale norma, in subiecta materia, discende la piena libertà di ogni Stato di determinare la propria politica nel campo dell’immigrazione, stabilendo le condizioni per l’ammissione dello straniero nel proprio territorio. 4 Ad es. vietando di risiedere in determinati luoghi o sottoponendo a limitazioni la possibilità di svolgere determinate attività lavorative. 97 Pace e diritti umani nel Mediterraneo sicurezza della vita e della libertà personale dello straniero) sia giurisdizionale (obblighi relativi alle elementari garanzie di giustizia).5 Lo Stato, come evidenziato, nel decidere in merito all’ammissione dello straniero nel proprio territorio e al suo soggiorno, opera una scelta discrezionale che rientra nell’esercizio della sua sovranità. Tuttavia, una volta ammesso nel territorio, allo straniero devono essere riconosciuti una serie di diritti. In base al diritto internazionale consuetudinario, la sfera oggetto di specifica tutela è rappresentata, in generale, dal riconoscimento della capacità giuridica e di agire dello straniero, dalla non esclusione dello stesso dalle garanzie giurisdizionali, dalla tutela nei suoi confronti dei diritti fondamentali in materia penale, dalla protezione della sua persona e dei suoi beni contro atti lesivi.6 D’altro canto, lo straniero ammesso nel territorio si impegna a rispettare le leggi dello Stato e ad adempiere agli obblighi che questo impone.7 Se sulla base del diritto internazionale consuetudinario lo Stato è libero, nei termini sopra descritti, di stabilire la propria politica nel campo dell’immigrazione, l’esercizio di tale potere sovrano può essere soggetto a limitazioni per effetto di accordi. Quanto al diritto internazionale convenzionale, va rilevato che fino a non molto tempo fa le convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) costituivano gli unici strumenti internazionali rivolti a soddisfare l’esigenza di adottare una disciplina a vocazione universale in relazione ai molteplici aspetti del fenomeno migratorio. L’adesione a tali convenzioni ha comportato per gli Stati contraenti l’obbligo di 5 Lo Stato, dunque, nell’espellere uno straniero non può, ad esempio, adottare modalità oltraggiose, non può recare offese alla sua dignità e reputazione, non può trattarlo in maniera vessatoria, deve concedergli un lasso temporale ragionevole per regolare i propri interessi e lasciare il Paese, deve garantirgli la legittimità del provvedimento di espulsione. 6 Quest’ultima ipotesi riguarda il c.d. “obbligo di protezione” che lo Stato territoriale ha nei confronti dello straniero e che consiste nella predisposizione di misure idonee a prevenire e a reprimere le offese contro la persona dello straniero e i suoi beni. La violazione di tali obblighi dà luogo alla c.d. “protezione diplomatica”, meccanismo attraverso il quale lo Stato di appartenenza dello straniero maltrattato agisce sul piano internazionale in difesa del proprio cittadino, attraverso proteste, proposte di arbitrato, contromisure, ecc. 7 Lo Stato, però, non può imporre allo straniero prestazioni, né richiedere condotte, che non siano giustificate da un sufficiente collegamento del medesimo con la comunità territoriale (c.d. “attacco sociale”). 98 Pace e diritti umani nel Mediterraneo conformare i rispettivi ordinamenti nazionali allo standard minimo di protezione stabilito da questi strumenti.8 È necessario sottolineare che i due fenomeni contrapposti dell’emigrazione e dell’immigrazione non riflettono soltanto la situazione economica, sociale, politica degli Stati. Essi riguardano e coinvolgono soprattutto le persone che si spostano e i diritti di cui queste godono. Vengono dunque in rilievo la tutela internazionale della persona, le garanzie fondamentali di cui deve godere ogni essere umano (a prescindere dall’appartenenza a un determinato Stato), le esigenze di carattere umanitario. La considerazione delle esigenze di natura umanitaria nell’àmbito del fenomeno dell’immigrazione è riscontrabile chiaramente nella disciplina convenzionale.9 È soprattutto la Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie – adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite con risoluzione 45/158 del 18 dicembre 1990 (dopo oltre 10 anni di negoziati) – a tenere conto di tali esigenze umanitarie.10 Questa Convenzione, infatti, pur riguardando i lavoratori, non è una convenzione promossa dall’OIL, in quanto i suoi scopi concernono principalmente la protezione della persona umana in quanto tale. Ne è 8 Vedi la Convenzione concernente i lavoratori migranti n. 66 del 1939 e la Convenzione di revisione n. 97 del 1949, la Convenzione concernente le migrazioni nelle condizioni abusive e la promozione dell’eguaglianza di opportunità e di trattamento dei lavoratori migranti n. 143 del 1975, le Raccomandazioni concernenti i lavoratori migranti n. 86 del 1949 e n. 151 del 1975. A livello regionale europeo ricordiamo la Convenzione del Consiglio d’Europa relativa allo status giuridico del lavoratore migrante del 24 novembre 1977. 9 Già alcuni trattati riguardanti i diritti umani in generale (Patti internazionali sui diritti civili e politici e sui diritti economici, sociali e culturali del 16 dicembre 1966, Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale del 21 dicembre 1965, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 4 novembre 1950) hanno ampliato il novero dei diritti garantiti agli immigrati, nel senso che le norme sui diritti umani, essendo dirette a tutelare la persona in quanto tale, tutelano anche lo straniero (pur se non espressamente beneficiario di quelle norme). 10 United Nations, General Assembly, International Convention on the Protection of the Rights of All Migrant Workers and Members of their Families, UN doc. A/RES/45/58, New York, 18 dicembre 1990. La Convenzione è entrata in vigore sul piano internazionale il 1° luglio 2003, decorso il periodo di tempo di tre mesi (previsto dall’art. 87, par. 1) dal deposito del ventesimo strumento di ratifica. Su tale Convenzione v., per tutti, G. CELLAMARE, La Convenzione delle Nazioni Unite sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri della loro famiglia, in Rivista internazionale dei diritti dell’uomo, 2002, p. 861 ss.; sul sostanziale disinteresse per la ratifica della Convenzione da parte dei Paesi di ricezione dei flussi migratori v. R. BARATTA, La Convenzione delle Nazioni Unite sulla protezione dei lavoratori migranti: quali ostacoli all’adesione dei Paesi di ricezione dei flussi migratori?, in Rivista di diritto internazionale, 2003, p. 764 ss. 99 Pace e diritti umani nel Mediterraneo prova, sia il richiamo, contenuto nel Preambolo, a molti strumenti di diritto internazionale dei diritti umani (Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, Patti internazionali delle Nazioni Unite, Convenzione sui diritti del fanciullo), sia il contenuto di alcune sue norme (v., ad es., la parte III, artt. 8-35, dedicata ai «diritti dell’uomo dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie»).11 La considerazione dei profili umanitari nell’àmbito del fenomeno migratorio, con conseguente progressiva integrazione fra “diritti dello straniero” e “diritti dell’uomo” (Immigration Law e Human Rights Law),12 è ben sintetizzata nella risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite 40/144 del 13 dicembre 1985, con cui è stata adottata la Dichiarazione sui diritti umani degli individui che non sono cittadini del Paese in cui vivono. Sul piano internazionale si deve anche ricordare l’operato dell’OIM (Organizzazione internazionale per le migrazioni), i cui antecedenti storici sono l’OIR (Organizzazione internazionale per i rifugiati), il PICMME (Comitato intergovernativo provvisorio dei movimenti migratori d’Europa), il CIME (Comitato intergovernativo per le migrazioni europee) e il CIM (Comitato intergovernativo provvisorio per le migrazioni).13 11 La Convenzione è suddivisa in nove parti ed è composta da un Preambolo e da 93 articoli. Oltre a un esaustivo elenco di diritti spettanti ai lavoratori migranti (quelli della parte III spettano a tutti i lavoratori anche se illegalmente presenti nel territorio dello Stato, quelli della parte IV, invece, ai soli lavoratori regolari), la Convenzione prevede anche una serie di obblighi di condotta e di cooperazione per gli Stati membri (per promuovere migliori condizioni di vita per i lavoratori migranti), nonché un meccanismo di controllo dell’osservanza degli obblighi convenzionali (incentrato sul sistema dei rapporti periodici riguardanti lo stato di applicazione della Convenzione che ogni Stato contraente deve trasmettere ad un apposito comitato). La Convenzione coniuga due diversi aspetti della protezione del migrante: a) quello relativo alla sua condizione di lavoratore in un Paese diverso dal proprio; b) quello relativo alla sua condizione di persona, titolare in quanto tale dei diritti spettanti a ogni essere umano (indipendentemente dalla cittadinanza). 12 V., in tal senso, B. NASCIMBENE, Straniero nel diritto internazionale, in Digesto delle discipline pubblicistiche, XV, Torino, Utet, 1999, p. 187 ss. 13 L’articolo 1 dell’Atto costitutivo dell’OIM prevede che l’organizzazione adotti tutte le misure idonee ad assicurare lo spostamento ordinato dei migranti. Più in particolare, la lettera a) dell’art. 1 fa riferimento ai casi in cui la decisione di migrare è presa liberamente (per motivi di convenienza personale o altri); la lettera b) dello stesso articolo fa, invece, riferimento ai casi in cui la decisione di migrare è determinata da fattori coercitivi esterni (come avviene, ad esempio, per rifugiati, sfollati, richiedenti asilo). 100 Pace e diritti umani nel Mediterraneo 3. Unione Europea e immigrazione. Il fenomeno dell’immigrazione ha ormai acquisito in Europa caratteristiche strutturali e non coinvolge più soltanto i Paesi storicamente meta di flussi di immigrati. Alla tradizionale migrazione verso i Paesi industrializzati dell’Europa settentrionale (che, a partire dai primi anni Novanta, hanno inaugurato una politica più restrittiva nei confronti dei migranti) si è aggiunta quella verso i Paesi dell’Europa meridionale, i quali da terre di emigrazione o di transito si sono trasformati, nell’arco di un trentennio, in importanti aree di permanenza. Le politiche restrittive nel settore dell’immigrazione, introdotte in passato dagli Stati europei di tradizionale destinazione, andavano dal blocco degli ingressi ai tentativi di incentivare e/o obbligare il rientro dei lavoratori stranieri disoccupati. Tali politiche si accompagnarono a due situazioni relativamente nuove per la realtà europea: a) l’allargamento a sud delle aree di attrazione, giunte a comprendere Paesi come l’Italia, la Spagna e infine la Grecia e il Portogallo; b) lo sviluppo dell’immigrazione clandestina. A queste situazioni si deve aggiungere l’ulteriore novità costituita dall’apertura delle frontiere orientali (dopo la dissoluzione dell’impero sovietico) e dalla conseguente instabilità politica ed economica di quelle aree. Questi fenomeni hanno indubbiamente esteso sia l’area di pressione migratoria, sia il potenziale serbatoio della clandestinità. Le linee politiche poste in essere dagli Stati europei di destinazione nei confronti degli immigrati stranieri si sono ispirate a differenti modelli politico-giuridici che riflettono differenti visioni del rapporto tra autoctoni e immigrati, tra maggioranze e minoranze, tra Stato e comunità. Due differenti e paradigmatiche tendenze d’azione politica e giuridica sono quella francese e quella inglese: si tratta di due modelli i cui presupposti si ritrovano già nella storia dei due Paesi, in particolare nelle loro politiche coloniali.14 14 La linea politica adottata dal Governo francese nei confronti degli immigrati ha il suo fondamento nella neutralità e laicità dello Stato, che si assume non debba prendere posizione, né adottare misure che riguardano la sfera privata dell’individuo. Questo modello privilegia fortemente l’integrazione per “assimilazione” delle popolazioni immigrate. Molti hanno criticato (soprattutto a seguito dei disordini che hanno infiammato le periferie popolari di alcune città francesi) il carattere astratto del modello 101 Pace e diritti umani nel Mediterraneo Nell’ambito dell’Unione europea, gli Stati, dopo decenni di cooperazione sviluppatasi a livello esclusivamente intergovernativo, hanno intrapreso la strada di una politica comune in materia di immigrazione. L’ordinamento dell’Unione, invero, non aveva originariamente competenza in tale materia. Solo con il Trattato sull’Unione europea, firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992 ed entrato in vigore il 1° novembre 1993, la politica dell’immigrazione è divenuta oggetto della cooperazione intergovernativa nei settori della giustizia e degli affari interni (il c.d. “terzo pilastro” dell’Unione) e quindi parte integrante dello “spazio di libertà, sicurezza e giustizia”, che è un obiettivo di carattere generale dell’Unione europea. Una vera e propria politica comunitaria dell’immigrazione, però, si realizza successivamente soltanto con il Trattato di Amsterdam, firmato il 2 ottobre 1997 ed entrato in vigore il 1° maggio 199915. Da ultimo, ricordiamo che la materia dell’immigrazione, ugualmente a quelle appartenenti in generale allo “Spazio di libertà, sicurezza e giustizia”, è oggi compresa nel Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE)16. La parte III del Trattato (dedicata a “Politiche e azioni interne dell’Unione”) prevede, infatti, la realizzazione dello “Spazio di libertà, sicurezza e giustizia” (tit. V), in cui rientrano le “Politiche relative ai controlli alla frontiere, all’asilo e all’immigrazione” (capo 2, artt. 77-80). Gli artt. 78 e 79 del TFUE riprendono e modificano l’art. 63 del TCE (mentre l’art. 64, par. francese d’integrazione e ne hanno proclamato il fallimento. Secondo tali critiche, l’uguaglianza affermata da tale modello è costantemente smentita da disuguaglianze di fatto, che il modello francese sarebbe incapace di affrontare. Su un versante opposto viene a collocarsi invece il modello inglese, fondato sul rispetto e sulla valorizzazione delle “diversità”. Esso si dichiara ufficialmente diretto ad un trattamento paritetico delle minoranze. Anche il modello inglese, però, non è riuscito a eliminare le difficoltà insite nella convivenza di etnie e culture diverse, tant’è che anche in Inghilterra sono scoppiati conflitti urbani particolarmente violenti (v., fra gli altri, L. ZANFRINI, Sociologia della convivenza interetnica, Roma-Bari, Laterza, 2010). 15 Tale Trattato ha “comunitarizzato” in parte il terzo pilastro dell’Unione, ha cioè trasferito in capo alla Comunità la competenza su alcuni aspetti della disciplina degli affari interni (quali il rilascio dei visti, la concessione dell’asilo, l’immigrazione), che prima erano oggetto soltanto di cooperazione intergovernativa. Il Trattato di Amsterdam, infatti, ha inserito nel Trattato istitutivo della CE un nuovo titolo IV (artt. 61-69), rubricato “Visti, asilo, immigrazione ed altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone”. 16 Il Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007 ed entrato in vigore il 1° dicembre 2009, ha modificato il Trattato sull’Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea. Quest’ultimo ha ricevuto la nuova denominazione di Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), mentre la titolazione del Trattato sull’Unione europea è rimasta invariata (TUE). 102 Pace e diritti umani nel Mediterraneo 1, del TCE è diventato, senza modifiche, l’art. 72 del TFUE). L’art. 78 recita che: «1. L’Unione sviluppa una politica comune in materia di asilo, di protezione sussidiaria e di protezione temporanea, volta a offrire uno status appropriato a qualsiasi cittadino di un paese terzo che necessita di protezione internazionale e a garantire il rispetto del principio di non respingimento. Detta politica deve essere conforme alla convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e al protocollo del 31 gennaio 1967 relativi allo status dei rifugiati, e agli altri trattati pertinenti. 2. Ai fini del paragrafo 1, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, adottano le misure relative a un sistema europeo comune di asilo …». Tale sistema deve includere una serie di previsioni che sono indicate nelle lettere a-g del par. 2 del medesimo articolo. Il par. 3 (ex art. 64, par. 2, del TCE) recita che: «Qualora uno o più Stati membri debbano affrontare una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi, il Consiglio, su proposta della Commissione, può adottare misure temporanee a beneficio dello Stato membro o degli Stati membri interessati. Esso delibera previa consultazione del Parlamento europeo». L’art. 79 prevede che «l’Unione sviluppa una politica comune dell’immigrazione intesa ad assicurare, in ogni fase, la gestione efficace dei flussi migratori, l’equo trattamento dei cittadini dei paesi terzi regolarmente soggiornanti negli Stati membri e la prevenzione e il contrasto rafforzato dell’immigrazione illegale e della tratta degli esseri umani». Le conseguenti misure possono essere adottate nei seguenti settori: condizioni di ingresso e soggiorno e norme sul rilascio da parte degli Stati membri di visti e di titoli di soggiorno di lunga durata (compresi quelli rilasciati a scopo di ricongiungimento familiare); definizione dei diritti dei cittadini di paesi terzi regolarmente soggiornanti in uno Stato membro (comprese le condizioni che disciplinano la libertà di circolazione e di soggiorno negli altri Stati membri); immigrazione clandestina e soggiorno irregolare (compresi l’allontanamento e il rimpatrio delle persone in soggiorno irregolare); lotta contro la tratta degli esseri umani (in particolare donne e minori). L’ultimo par. del medesimo articolo specifica che esso «non incide sul diritto degli Stati membri di 103 Pace e diritti umani nel Mediterraneo determinare il volume di ingresso nel loro territorio dei cittadini di paesi terzi, provenienti da paesi terzi, allo scopo di cercarvi un lavoro dipendente o autonomo». Di notevole interesse è anche l’ultimo articolo del capo in esame, il n. 80, che recita: «Le politiche dell’Unione di cui al presente capo e la loro attuazione sono governate dal principio di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri, anche sul piano finanziario. Ogniqualvolta necessario, gli atti dell’Unione adottati in virtù del presente capo contengono misure appropriate ai fini dell’applicazione di tale principio». L’Unione europea si è dunque impegnata a sviluppare una politica comune in materia di asilo e di immigrazione al fine di assicurare una gestione più efficace dei flussi migratori. Tale politica è basata su alcuni principî: 1) un approccio globale e flessibile al fenomeno migratorio allo scopo di accrescere la cooperazione e i partenariati con i Paesi terzi (sia d’origine che di transito); 2) il sostegno all’immigrazione contemperando le esigenze dei mercati del lavoro degli Stati membri con l’integrazione e i diritti dei migranti; 3) la prevenzione, il controllo e il contrasto dell’immigrazione clandestina, privilegiando gli accordi di riammissione e le politiche di rimpatrio; 4) la protezione dei minori non accompagnati; 5) una politica comune in materia di asilo per stabilire uno spazio comune di solidarietà e di protezione dei richiedenti l’asilo all’interno dell’UE. 4. L’immigrazione in Italia. Cenni. Solo recentemente la realtà dell’immigrazione ha interessato l’Italia, Paese di forte emigrazione per oltre un secolo. L’immigrazione straniera in Italia, invero, è aumentata in modo progressivo a partire dagli anni Settanta, quando i flussi migratori, lungi dal cessare, cominciarono a dirigersi anche verso i Paesi dell’Europa meridionale. Si trattò, comunque, di ingressi non voluti, non programmati, e successivamente in gran parte regolarizzati dai pubblici poteri. A partire dagli anni Ottanta il flusso migratorio italiano si è nettamente invertito e l’Italia si è trasformata da terra di emigrazione in terra di immigrazione. Tuttavia all’inizio si è trattato soltanto di un modesto flusso di tunisini stabilitisi sulle coste siciliane. Ma dalla fine di quel decennio il fenomeno è divenuto 104 Pace e diritti umani nel Mediterraneo rilevante, interessando prevalentemente persone provenienti dall’Africa settentrionale e occidentale. Negli anni Novanta, inoltre, l’apertura dei confini dell’Est europeo ha favorito i movimenti migratori dai Paesi di quell’area. Di recente, l’aumentato livello del lucroso mercato del lavoro nero, che accoglie manodopera straniera disposta a svolgere le attività rifiutate dagli italiani (i cosiddetti lavori delle “tre d”: dirty, dangerous, demanding), associato all’andamento demografico negativo, ha reso ormai l’Italia una delle mete definite di insediamento stabile. È interessante rilevare una caratteristica peculiare del fenomeno migratorio in Italia, consistente in una notevole eterogeneità nelle provenienze degli immigrati, laddove nell’Europa centro-settentrionale, in conseguenza dei precedenti regimi coloniali, i Paesi di provenienza erano costituiti prevalentemente dalle ex colonie. Si tratta di un dato costante negli anni che sembra ormai caratterizzare in maniera strutturale l’immigrazione in Italia e che per questo induce a parlare di un modello migratorio sui generis soprattutto se rapportato ad un contesto mondiale nel quale sono pochi i Paesi in cui si assiste ad una tale diversificazione di nazionalità. Non v’è dubbio che, tra le sfide epocali che l’Italia è chiamata ad affrontare, quella migratoria assume una rilevanza del tutto peculiare a motivo della collocazione geografica del nostro Paese: crocevia, da un lato, tra il bacino del Mediterraneo e l’Europa settentrionale e, dall’altro, tra Est e Ovest del mondo, l’Italia costituisce uno dei poli preferenziali d’immigrazione ed è esposta a continui tentativi di aggiramento delle misure nazionali ed europee volte a contenere e a regolamentare l’ingresso degli immigrati. Per quanto riguarda la disciplina legislativa nazionale dell’immigrazione e gli interventi dei pubblici poteri in merito, in considerazione della complessità e della costante evoluzione del fenomeno in esame, si rimanda tale disamina a uno scritto specificamente dedicato solo a tale argomento. In tale sede, invece, si ritiene opportuno soffermarsi sul ruolo dell’UNHCR soprattutto in relazione alla protezione dei rifugiati ed al diritto d’asilo, che è tra i diritti fondamentali dell'uomo riconosciuto dall’articolo 10, III comma, della Costituzione italiana allo straniero al quale sia impedito nel suo 105 Pace e diritti umani nel Mediterraneo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione, secondo le condizioni stabilite dalla legge. 5. La protezione dei rifugiati e il ruolo dell’UNHCR Come già accennato in precedenza,17 anche se i due termini sono spesso usati come sinonimi, l'istituto del diritto di asilo non coincide con quello del riconoscimento dello status di rifugiato. Per quest'ultimo non è sufficiente, per ottenere accoglienza in altro Paese, che nel Paese di origine siano generalmente represse le libertà fondamentali, ma occorre che il singolo richiedente abbia subito specifici atti di persecuzione. Il riconoscimento dello status di rifugiato è entrato nel nostro ordinamento con l’adesione alla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 (ratificata con la legge 722/1954) ed è regolato essenzialmente da fonti di rango UE. Il rifugiato è dunque un cittadino straniero il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, si trova fuori dal territorio del Paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di tale Paese. Può trattarsi anche di un apolide che si trova fuori dal territorio nel quale aveva precedentemente la dimora abituale e, per le stesse ragioni, non può o non vuole farvi ritorno. La protezione di rifugiati, sfollati e apolidi rappresenta proprio il cuore del mandato dell’UNHCR. Tale organizzazione sorge all’indomani della II Guerra mondiale, quando movimenti forzati di popolazione senza precedenti nella storia del XX secolo ridisegnano il volto degli Stati. Si tratta di una situazione che rende sempre più necessaria la costituzione di una struttura sovranazionale mondiale preposta all’organizzazione dell’assistenza dei rifugiati che realizzi interventi di carattere umanitario e apolitico. Per tali motivi, il 14 dicembre 1950 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite istituisce l’Ufficio dell’Alto Commissariato per i Rifugiati (UNHCR), un’organizzazione sovranazionale le cui attività, come sancito dall’art. 2 del suo Statuto, 17 Vedi supra, nota 1. 106 Pace e diritti umani nel Mediterraneo non hanno alcun carattere politico ma fini umanitari e sociali.18 L’UNHCR iniziò a operare il 1° gennaio 1951 e pochi mesi dopo, una Conferenza di plenipotenziari delle Nazioni Unite approvò la Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati, pilastro normativo sul quale si fonda il “sistema di protezione internazionale dei rifugiati”. Tale Convenzione è il primo accordo internazionale che introduce la definizione generale del termine “rifugiato” e prescrive agli Stati contraenti alcuni standard minimi nel trattamento di coloro che sono stati riconosciuti come tali dalle autorità nazionali ai sensi della Convenzione. Una sorta di Costituzione dei rifugiati, quindi, che da una parte sancisce l’obbligo per costoro di rispettare le leggi e le regole del Paese di asilo e, dall’altra, impegna gli Stati a garantire loro un trattamento - come minimo - pari a quello degli stranieri legalmente residenti nel proprio territorio. L’articolo 1 della Convenzione definisce “rifugiato” colui che «temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, cittadinanza, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori dal paese di cui è cittadino e non può o non vuole, per tale timore, avvalersi della protezione di questo paese; oppure che, non avendo cittadinanza e trovandosi fuori del paese in cui aveva residenza abituale a seguito di siffatti avvenimenti, non può o non vuole ritornarvi, per il timore di cui sopra»19. Nel rispetto del disposto della Convezione, è compito degli Stati stabilire le procedure da seguire per la determinazione dello status di rifugiato. L’UNHCR, come previsto dal suo mandato, collabora con i governi affinché questa procedura sia il più possibile equa ed efficiente. L’UNHCR esercita una funzione di controllo sul rispetto degli obblighi sanciti nella Convenzione e, se necessario, interviene per garantire che i 18 Per approfondimenti vedi www.unhcr.it. Tale definizione, in origine, non era volta a gestire le questioni umanitarie internazionali in termini globali e in una prospettiva di lungo periodo, quanto piuttosto ad affrontare le specifiche difficoltà del periodo postbellico. In coerenza con tale impostazione, essa da una parte risultava applicabile esclusivamente alle persone in fuga per effetto di eventi verificatisi prima del 1° gennaio 1951 (limitazione temporale) e, dall’altra, rimetteva ai singoli Stati contraenti la scelta di applicarla solo alle persone in fuga per effetto di eventi avvenuti in Europa (limitazione geografica). Oggi, la limitazione temporale è stata universalmente abolita grazie all’adozione del Protocollo del 1967. La limitazione di carattere geografico, invece, è ancora applicata da pochissimi Paesi. 19 107 Pace e diritti umani nel Mediterraneo richiedenti asilo aventi diritto ottengano lo status di rifugiati e non siano rimpatriati forzatamente in Paesi dove le loro vite potrebbero essere a rischio. L’articolo 33 della Convenzione di Ginevra, infatti, impone agli Stati contraenti di «non espellere o respingere - in qualsiasi modo - un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua nazionalità, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche». Tale principio di non respingimento (non-refoulement) è stato incluso in maniera esplicita o implicita nelle norme delle Costituzioni nazionali e delle leggi sugli stranieri di vari Stati. Inoltre, rientrando nell’ambito del diritto internazionale consuetudinario, il principio di non respingimento ha carattere vincolante per tutti i paesi. In origine, le attività di protezione e assistenza dell’UNHCR avrebbero dovuto essere svolte per soli tre anni, tempo stimato sufficiente dagli Stati per trovare soluzioni all’elevato numero di rifugiati generato dalle devastazioni della II Guerra mondiale Tuttavia, gli esodi di massa non cessarono, anzi, sono diventati un fenomeno persistente su scala mondiale e il problema dei rifugiati è divenuto una situazione strutturale della comunità internazionale contemporanea. In ragione del mutato contesto in cui si è trovato a operare nel corso della sua storia, l’UNHCR ha garantito protezione, estendendo il proprio mandato originario, a nuove categorie di persone. È il caso degli apolidi e degli sfollati interni, i quali non avevano mai avuto prima un’organizzazione sovranazionale che si dedicasse in maniera sistematica alla loro tutela. Le persone di competenza dell’UNHCR, dunque, oggi sono circa 68,5 milioni. Si tratta di rifugiati che hanno chiesto protezione in paesi stranieri e di persone che rientrano nel proprio Paese d’origine dopo un periodo, a volte molto lungo, di esilio all’estero. In questo numero sono inclusi anche gli sfollati all’interno del proprio stesso Paese (che non rientravano - come accennato - nel mandato originario dell’UNHCR ma di cui l’Agenzia si occupa dal 1972) e le persone apolidi (che dal 1974 rientrano anch’esse sotto il mandato dell’UNHCR).20 20 Per approfondimenti vedi www.unhcr.it. 108 Pace e diritti umani nel Mediterraneo Con riferimento alla distinzione tra le diverse categorie di persone costrette a lasciare i propri paesi di origine, ricordiamo che oggi non è più così facile distinguere nettamente - ad esempio - i rifugiati dai migranti per motivi economici. I moderni flussi migratori, infatti, sono flussi “misti”, composti cioè sia da rifugiati (che fuggono da guerre e gravi violazioni dei diritti umani) sia da “migranti economici” in viaggio alla ricerca di migliori prospettive di vita. Spesso poi le due condizioni si sovrappongono oppure mutano durante il periodo della migrazione. Cioè, può senz’altro accadere che una persona che abbia iniziato il proprio cammino come “migrante economico” si trovi successivamente a diventare, per una serie di questioni complesse e contingenti, un “rifugiato”. Ciò premesso, il rifugiato è considerato, ai sensi dell’articolo 1.A della Convenzione di Ginevra del 1951, come colui che si trova fuori del paese di cui è cittadino o, nel caso degli apolidi, in cui ha residenza abituale, e non vuole o non può farvi ritorno a causa del fondato timore di essere perseguitato per ragioni di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche. L’apolide, invece, è - secondo quanto sancito dalla apposita Convenzione del 1954 - colui «che nessuno Stato considera come suo cittadino in base al proprio ordinamento». Di regola, può definirsi apolide qualsiasi persona priva di cittadinanza fin dalla nascita (e che non ne abbia acquisita una) oppure che, avendone una, ne è stata privata (ad esempio, in seguito ad eventi politici o bellici).21 Il concetto di sfollato, o IDP (Internally Displaced Person), è spesso confuso con quello di rifugiato. Gli sfollati sono persone costrette a lasciare le loro case per motivi simili ai rifugiati, come lo scoppio di conflitti armati o l’esistenza di gravi violazioni dei diritti umani. Tuttavia, a differenza di questi ultimi, gli sfollati non hanno attraversato un confine internazionale per cercare aiuto in un altro Stato, ma si sono spostati all’interno 21 Nel periodo tra le due guerre mondiali furono molti gli sforzi mirati a codificare tale fenomeno. È però soltanto nel 1949 che, di fronte a milioni di rifugiati e apolidi che ancora vagavano in un’Europa devastata dalla guerra, le Nazioni Unite nominarono un comitato con l’incarico di valutare la preparazione di una convenzione relativa allo status internazionale dei rifugiati e degli apolidi. Si giunse, così, alla stesura di due diverse Convenzioni: la già citata Convenzione del 1951 sullo status dei rifugiati e la Convenzione del 1954 relativa allo status degli apolidi. Nel 1961 ci fu poi la Convenzione sulla riduzione dei casi di apolidia. Nel 1974, l’Assemblea Generale dell’ONU ha richiesto all’UNHCR di fornire assistenza legale anche a questa categoria di persone e nel 1996 ha incaricato l’Agenzia di ampliare il suo ruolo anche alla prevenzione e alla riduzione del fenomeno dell’apolidia. 109 Pace e diritti umani nel Mediterraneo del loro stesso paese.22 Ecco dunque che l’UNHCR, in base al mandato conferito dalle Nazioni Unite, ha il compito di garantire protezione internazionale e assistenza materiale alle persone di propria competenza. Nel garantire tale protezione, compito primario dell’UNHCR è assicurare che gli Stati rispettino i propri obblighi internazionali in materia. L’assistenza materiale, invece, consiste nel garantire beni e servizi di prima necessità come acqua, cibo, assistenza sanitaria e alloggi. Inoltre, l’assistenza comprende: trasporti per le persone, materiali (coperte, indumenti, medicinali, infrastrutture, utensili vari) e interventi di carattere sociale (assistenza psicologica, sociale, istruzione, formazione professionale). Tra i vari obiettivi dell’UNHCR, uno dei più importanti è anche quello di cercare soluzioni durevoli che aiutino i rifugiati a ricostruire le loro vite in condizioni di pace e dignità. La prima e la più auspicabile tra queste soluzioni è il rimpatrio volontario nei paesi di origine dei rifugiati. Nel caso in cui le condizioni che avevano spinto i rifugiati alla fuga non siano cambiate, l’UNHCR persegue due alternative: l’integrazione nei paesi in cui i rifugiati hanno trovato asilo o il reinsediamento, cioè il trasferimento del rifugiato in uno Stato terzo. Con riferimento al ruolo di UNHCR in Italia, specifichiamo che l’Ufficio Regionale dell’UNHCR di Roma coordina le attività dell’Agenzia in Italia, Cipro, Malta, Portogallo, Spagna, San Marino e Santa Sede. In Italia, l’UNHCR lavora con le istituzioni competenti e con la società civile affinché sia garantita la protezione dei rifugiati e degli apolidi; fornisce supporto al governo e alle altre autorità competenti nel rafforzare la legislazione in materia di asilo, assicurandosi che le politiche, le leggi e le prassi attuative siano in linea con gli standard internazionali, anche attraverso attività di formazione, capacity building e supporto tecnico. Nello specifico, le attività di protezione di UNHCR Italia si focalizzano principalmente sulle seguenti aree: accesso 22 L’UNHCR si occupa anche di questa categoria di persone, pur se in origine non aveva un mandato specifico in tal senso. Oggi, in riconoscimento dell’esperienza e delle competenze maturate in tale ambito, l’Agenzia è diventata un attore chiave nel nuovo “cluster approach” volto a migliorare l’assistenza e la protezione degli sfollati, attraverso la collaborazione con decine di organizzazioni internazionali governative e non. Nel corso della sua storia, inoltre, l’UNHCR si è talvolta occupato di vittime di disastri naturali, generalmente considerate anch’esse parte degli sfollati: tale coinvolgimento è avvenuto in circostanze di eccezionale gravità. 110 Pace e diritti umani nel Mediterraneo al territorio e individuazione delle vulnerabilità; procedura per il riconoscimento della protezione internazionale; accoglienza; gruppi vulnerabili; protezione di bambini e adolescenti; soluzioni durevoli; riduzione dell’apolidia.23 Inoltre, l’UNHCR è impegnato in Italia a far conoscere i temi legati al diritto d’asilo e ai rifugiati attraverso iniziative di sensibilizzazione, organizzazione e partecipazione ad eventi e incontri, produzione di materiali e campagne. L’UNHCR svolge anche attività di orientamento ai servizi del territorio, informativa socio-legale e supporto per le persone sotto il proprio mandato; progetti di ricerca; raccolta ed elaborazione dati; attività specifiche intorno a emergenze strategiche e prioritarie. Il suo ruolo dunque è di assoluta rilevanza. Da febbraio 2018 il nuovo Rappresentante regionale per il Sud Europa dell’UNHCR è Pedro Felipe Camargo, che abbiamo avuto il piacere di ospitare a Lecce per un seminario in data 15 novembre 2018. 6. Considerazioni conclusive. Il fenomeno dell’immigrazione, come abbiamo avuto modo di vedere, ha ormai acquisito in Europa caratteristiche strutturali e non coinvolge più soltanto i Paesi storicamente meta di flussi di immigrati. Anche l’Italia, per oltre un secolo Paese di forte emigrazione, è ormai completamente interessata dalla realtà dell’immigrazione. Tra le sfide epocali che l’Italia è chiamata ad affrontare, quella migratoria assume una rilevanza del tutto peculiare a motivo della collocazione geografica del nostro Paese. Questa sfida, come già detto nell’incipit di questo scritto, è una delle più complesse e difficili da governare del mondo contemporaneo. Ne sia prova che in Italia, si continua a modificare - ma senza mai affrontare i veri nodi della questione - la disciplina in materia. L’auspicio è che le molteplici problematiche indubbiamente esistenti vengano affrontate in maniera esauriente, pervenendo a un quadro normativo organico che tenga conto della presenza, numerosa e rilevante, degli immigrati nel nostro Paese e della necessità che sia data loro una reale possibilità di integrazione. L’integrazione, infatti è la vera scommessa di ogni politica dell’immigrazione nel XXI secolo. Qualsiasi riforma 23 Per approfondimenti vedi www.unhcr.it. 111 Pace e diritti umani nel Mediterraneo che venga fatta, dunque, raggiungerà i suoi scopi soltanto se, attraverso una regolamentazione razionale del fenomeno in esame, favorirà un’equilibrata integrazione degli stranieri nella nostra comunità, nel rispetto dei diritti e dei doveri di ciascuno. 112 LUIGI PERRONE Migrazioni tra reale e immaginario collettivo. Abstract Il lavoro passa in rassegna alcuni elementi strutturali che definiscono le migrazioni moderne, evidenziando le differenze tra “migrazioni classiche” e “migrazioni mediterranee”. Fenomeno che passa attraverso la crisi petrolifera, con le sue ricadute sul piano economico, sul sistema mondo e sull’allocazione della forza-lavoro a livello globale e locale. Analizza così l’adeguamento della legislazione in materia di migrazioni, le cause di tale adeguamento e le conseguenze sul piano strutturale e sociale. Evidenziando perché la figura del migrante, da paradigma della modernità si trasforma in capro espiatorio dei mali sociali, diventando – nell’immaginario collettivo – “l’invasore” moderno. Perciò facile vittima del neo-razzismo del “povero uomo bianco”. Spiega perché non reggono più le vecchie teorie sulle migrazioni, a partire dalla distinzione tra migrazioni economiche e politiche e perché sarebbe opportuno, ormai, parlare di “migrazioni forzate”. Termina identificando alcune cause di questo degrado, identificando nella deriva liberista dei partiti di sinistra, a livello europeo, uno delle cause che ha aperto la strada della deriva democratica. Infine, ipotizza alcune “buone prassi” che possono tracciare una risalita antirazzista. Keywords: migrazione, crisi petrolifera, Pull Push effect, informazione, la retorica razzista, corridoi umanitari, convivenza Premessa. Rispondere alla mole di domande che ci vengono oggi dall’universo migratorio, è operazione piuttosto ardua. Difficile, perciò, in così poco tempo, una trattazione esauriente. Qui mi limiterò a toccare solo alcuni argomenti, come quelli attinenti gli aspetti strutturali che reggono le migrazioni e quelli imposti, in modo impellente, dall’attualità quotidiana. Quest’ultima, sempre più invasiva, purtroppo, ha delle ricadute sociali negative, complici non le migrazioni in sé, ma i processi ideologici, creati artatamente, intorno alle migrazioni. Abbiamo, ormai, una vera e propria “scuola di pensiero”, on fait pour dire, che ha il compito di presentare i fenomeni migratori per ciò che non sono. 1. Migrazioni: fenomeno totale e strutturale. Incominciamo con il dire che le migrazioni sono un fenomeno totale e strutturale. Totale perché coinvolgono ambiti diversi della società (economici, sociali, giuridici, culturali, ecc.); e strutturale perché tutte le civiltà esistenti sono frutto delle migrazioni, d’incrocio tra popoli, conseguenti a scambi economico-socio-culturali, colonizzazione, conquiste, ecc. 113 Pace e diritti umani nel Mediterraneo Siamo, perciò, di fronte a un fenomeno sociale che ha modificato e continua a modificare, costantemente, il quadro sociale e politico, a livello locale e globale. Come ogni mutamento sociale non è indolore e chiama in causa interessi plurimi della società, con classi, strati e ceti sociali che, chiamati in causa, traducono in profitti e opportunità le mutazioni, mentre altre si sentono minacciate o soccombono. Si stimano tra i settecento milioni e un miliardo, le persone che sono coinvolte in questo fenomeno. Una mobilità sociale (orizzontale e verticale) che non ha risparmiato alcun angolo della terra e che – ricordiamolo - si configura come inarrestabile. Date queste caratteristiche rivoluzionarie che il fenomeno si porta appresso, in tutti i tempi sono state considerate un fenomeno positivo e accompagnate da un immaginario collettivo elogiativo (progresso, benessere, incontri, ecc.). Qualcosa che, tuttavia, si modifica e degrada con le migrazioni moderne, quando i migranti da stranieri, portatori di progresso e civiltà, diventano clandestini, pericolo pubblico. 2. Migrazioni e crisi petrolifera. Tutto ciò si può far risalire a un periodo ben preciso, i primi degli anni settanta, quando, con la crisi petrolifera - che investì tutto il pianeta, in particolare i Paesi industriali poveri di risorse energetiche -, il mondo industrializzato fu costretto a profonde ristrutturazioni industriali. Si passò così dalla fase dello sviluppo capitalistico estensivo a quello intensivo. Sino agli anni Settanta, periodo dello sviluppo estensivo del sistema capitalistico, il capitale ha bisogno di grandi quantità di lavoratori per i suoi profitti. Con la ristrutturazione capitalistica, indotta dalla crisi petrolifera e dal conseguente rincaro del petrolio, il capitalismo non ha più bisogno di grandi quantità di forza lavoro, ma di quantità contingentate: nasce così la fase del capitalismo intensivo, ad alto contenuto tecnologico. Nella produzione centrale, ad alta intensità tecnologica, alloca forza-lavoro qualificata (autoctona), in quella periferica, standardizzata e a bassa composizione organica del capitale, generica, dequalificata (gli immigrati). Questo è il quadro economico-politico che si configura in seguito alla crisi petrolifera. 114 Pace e diritti umani nel Mediterraneo Per quanto riguarda le migrazioni, nella prima fase si praticano le politiche dalle “porte aperte” (e siamo di fronte alle migrazioni “classiche”); nella seconda le politiche delle “porte chiuse” (e siamo alle migrazioni “moderne”). Indicatore di quanto affermato sono le leggi che si promulgano, prima e dopo la crisi petrolifera, in tutti i Paesi industrializzati, dove si orienta(va)no le grandi migrazioni di massa. 3. Legislazione e marginalizzazione del migrante. Il nuovo processo produttivo ha bisogno di forza-lavoro dequalificata e priva di diritti e di capacità contrattuale, al fine di rispondere alla flessibilità richiesta dalla produzione industriale. Le leggi che si promulgano, in materia migratoria, hanno questi requisiti, perciò il permesso di soggiorno è legato strettamente all’occupazione, facendo dipendere le sorti del lavoratore, strettamente, dal datore di lavoro. Inoltre, mentre prima la forza-lavoro richiesta dai Paesi industrializzati, proveniva principalmente dalle vecchie colonie, ora, non potendo i lavoratori dirigersi in quei Paesi – per via delle nuove leggi restrittive -, si orientano verso nuove mete, dove non ci sono leggi che glielo impediscano. 4. Le migrazioni moderne e il modello Mediterraneo. I Paesi di destinazione sono quelli che si affacciano per la prima volta sul panorama internazionale come Paesi industrializzati bisognosi di forza-lavoro migrante. Gli stessi che, nelle migrazioni classiche, erano stati i fornitori di manodopera ai Paesi di vecchia migrazione. Siamo di fronte al fenomeno che è chiamato “modello Mediterraneo”. Difatti, i Paesi di nuova immigrazione sono quelli che si affacciano sul Mediterraneo (Italia, Grecia, Portogallo, Spagna) che sino a ieri erano Paesi di emigrazione. Anche per questo privi di leggi sulle immigrazioni, perciò, gli unici, dove potessero arrivare le popolazioni migranti. Ciò comporta anche una modifica importante nello scenario politico-culturale. Mentre prima le migrazioni erano monoculturali (stesse aree di provenienza, stesso sistema scolastico e lingua di partenza e d’arrivo), ora sono multiculturali (i migranti 115 Pace e diritti umani nel Mediterraneo dirigono, dove possono). I nuovi migranti arrivano in Paesi di cui non conoscono nulla, né lingua, né tradizioni, tutti aspetti che complicano l’adattamento dei migranti sul territorio e attivano difficili rapporti interculturali. Che, a loro volta, facilitano i processi di connotazioni del diverso, poco o niente conosciuto dalle comunità maggioritarie. È risaputo che si ha paura di ciò che non si conosce. 5. Pull Push effect e Teoria dei vasi comunicanti. Se sino agli anni Settanta, i fenomeni migratori si spiegavano con la teoria dei vasi comunicanti e con l’effetto Pull/Push (attrazione/spinta), in conseguenza della crisi petrolifera, e le successive ricadute economico-sociali, anche questa teoria entra in crisi, inadeguata com’è a spiegare partenze e arrivi della modernità. La teoria dei vasi comunicanti è il principio fisico che spiega come un liquido di due o più recipienti comunicanti tra loro - in presenza di gravità -, raggiunga lo stesso livello, dando origine a un'unica superficie “equipotenziale”. Per estensione al nostro caso, il travaso di forza-lavoro, da un’area economica (domanda) a un’altra (offerta), da un’area “sottosviluppata” a una “sviluppata”. Quindi, le migrazioni, con i loro moventi da una ad altra area geo-economica creavano un equilibrio tra domanda e offerta di lavoro, contribuendo a un’ottimizzazione delle risorse. Per lungo tempo questa teoria ha dato una spiegazione accettabile, specialmente con il periodo coloniale che ha accompagnato lo sviluppo capitalistico. Difatti, il sistema capitalistico, penetrando nel tessuto economico-sociale delle vecchie colonie, sconvolgeva il millenario sistema produttivo e metteva in sovrannumero grandi quantità di “popolazione eccedente” - “sovrappopolazione relativa”, la definì Karl Marx - che il sistema produttivo (nella fase espansiva) attraeva nelle industrie del “Primo mondo”, in costante crescita. Perciò, a un effetto di espulsione (push) nei Paesi d’origine, corrispondeva un effetto attrazione (pull) oltre confine; dov’erano ben accetti, grazie a politiche d’accoglienza volute dal sistema produttivo, bisognoso di quei lavoratori (politiche delle “porte aperte”). Con le migrazioni moderne questa teoria viene meno: a un effetto di spinta non corrisponde più un effetto di attrazione. Si è espulsi, si parte dal Paese natio, perché 116 Pace e diritti umani nel Mediterraneo soprannumerari di un sistema che avrebbe dovuto creare “pace e lavoro” (sviluppo) per tutti. Perciò il migrante, prima di essere immigrato è un emigrato, ed è una vittima, oltre a un prodotto, del sistema-mondo. Questi Paesi - che l’occidente si ostina a chiamare “sottosviluppati”, da dove oggi proviene gran parte della popolazione migrante – dovremmo chiamarli “impoveriti dallo sviluppo”, in conseguenza delle dinamiche storiche che hanno subìto. Siamo di fronte a un grande imbroglio epocale che ha sconvolto, irrimediabilmente, tutto il mondo. Allo stato, perciò, crediamo sia del tutto improprio parlare di accoglienza, considerate le grandi quantità di popolazione espulsa e della lotteria dei piccoli numeri allocati, non è popolazione ben accetta. Siamo di fronte a migranti sistemici che si muovono sull’onda di un mercato internazionale del lavoro che non vivono condizioni di accoglienza ma di destinazione. È popolazione in esubero costretta a partire, ma senza una meta perché nessuno è disposto ad accoglierla. 6. Le migrazioni politiche. Accanto a queste masse crescenti di proletari eccedenti, messe in movimento da un sistema economico-politico interessato unicamente ai profitti e certamente non alle condizioni di vita del pianeta, ci sono i profughi, ossia popolazione in fuga dalle loro terre d’origine perché in guerra. In tal caso il fenomeno coinvolge popolazione di ogni età e condizione sociale, non solo lavoratori. Scappano tutti e si rifugiano, dove possono, in Paesi limitrofi (migrazioni Sud-Sud) o in Occidente (Sud-Nord). Purtroppo, una cultura occidentalocentrica punta l’attenzione unicamente sulle migrazioni Sud-Nord ma il fenomeno Sud-Sud è molto più consistente. Anche in tal caso è popolazione costretta a partire, senza Paesi disposti a ospitarli. Malgrado ci siano i trattati internazionali (Ginevra e Dublino) che garantiscono il loro diritto a essere accolti ma, come abbiamo tristemente costatato, anche di quei diritti l’Europa – pur patria di quelle conquiste - ne ha fatto strame. Oggi salta anche la vecchia distinzione tra migrazioni economiche e politiche, perché è difficile stabilire il confine tra politico ed economico. Nell’uno e nell’altro caso è il sistema politico – 117 Pace e diritti umani nel Mediterraneo sistema mondo - che non regge, e nell’uno e nell’altro caso è causa dei disastri vigenti. Perciò gli addetti ai lavori considerano superata la vecchia distinzione e preferiscono parlare di migrazioni forzate. Chi parte, sia per motivi economici sia politici, proviene da quelle parti del mondo che hanno suscitato gli interessi occidentali. Si combattono guerre non dichiarate, sia di ordine economico sia politico. Si bombardano le aree geografiche, dove ci sono interessi forti dell’occidente (petrolio, risorse energetiche) non perché ci sia da combattere un’ingiustizia, quest’ultimo assunto solo come pretesto. 7. Migrazione e informazione. Questi sono i fattori strutturali che governano le migrazioni. Tuttavia, tutto ciò non entra nelle conoscenze del cittadino elettore. Al popolo – come si preferisce chiamare il cittadino – arrivano informazioni edulcorate, del tutto costruite artatamente. Sono costrutti sociali confezionati ad hoc che bisogna decostruire nel rispetto delle regole democratiche. Nella società complessa il reale non è ciò che è, ma ciò che appare. Basta costruire l’immagine di una migrazione di comodo e i giochi sono fatti. La democrazia è partecipazione popolare, basata su culture e saperi plurali che si formano grazie alla discussione, all’informazione, al confronto intorno al reale sociale, non si può formare su costrutti sociali. Questo è quanto avviene in Italia, e in buona parte d’Europa, che nulla ha a che fare con la democrazia. Si gioca con dei dati truccati. 8. Teoria dell’invasione. Il primo copione (i primi dati truccati) usato in Italia dagli imprenditori del razzismo è stato quello dell’invasione. In verità, non nuovo sul palcoscenico politico internazionale, ma in Italia è stato rispolverato e riverniciato di tricolore. Un “popolo di migranti, poeti e santi”, come quello italiano, non può essere razzista e xenofobo. Siccome la ricerca lo certificava, secondo i neo-razzisti e neo-fascisti la spiegazione risiedeva nel fatto che lo era diventato perché i “buonisti” (così sono ribattezzate, spregiativamente, le persone solidali), con le loro politiche, hanno fatto 118 Pace e diritti umani nel Mediterraneo entrare milioni di “clandestini”. Che hanno invaso il mite popolo italiano, superando la “soglia della tolleranza” e modificando l’indole tollerante e accogliente del popolo. Doveroso aggiungere che la teoria della “soglia della tolleranza” - presa in prestito dagli etologi, con la quale dimostrò che i topi in gabbia da pacifici divennero aggressivi, in conseguenza del loro moltiplicarsi e del restringersi dello “spazio vitale” -, è frutto di una forzatura. Ricerche sociologiche dimostrano, invece, che la densità abitativa - il numero di soggetti sociali in uno stesso spazio - è molto relativa, nella determinazione dell’intolleranza. Non è la densità che stabilisce la tolleranza, ma la qualità della vita, determinata dalle politiche sociali praticate nell’area di riferimento. In città come Francoforte, con un alto numero d’immigrati (italiani), non si sono mai avuti episodi xenofobi, diversamente da tante altre città, dove episodi di xenofobia e razzismo sono esplosi, nonostante il numero esiguo di presenze straniere. È doveroso, altresì, aggiungere che la presenza di popolazioni di diversa provenienza geografica, con usi e costumi diversi, ha bisogno di politiche democratiche e interculturali per permettere il dialogo e la convivenza. Non si può dialogare, rapportarsi e cooperare con soggetti sociali con cui non si ha niente in comune e di cui non si sa niente. In casi del genere sono più probabili la diffidenza e la chiusura del dialogo, e che cresca l’intolleranza piuttosto che la solidarietà. Specialmente se dei costrutti sociali fanno vedere nello straniero la causa dei mali, che magari vengono da molto lontano. Come vengono da lontano i problemi del lavoro, specialmente nel Sud, o dell’abitazione. Temi che, spesso, innescano conflitti e incomprensioni. La disoccupazione è un elemento strutturale del sistema capitalistico, lo dicono tutte le scuole di pensiero economico. Keynes lo deve ammettere, amaramente, in età avanzata, dopo avere tentato invano, per anni, di dimostrare il contrario. La “Questione meridionale” non è nata con la presenza dei migranti. Come i conflitti tra poveri, tra migranti e autoctoni, ci sono sempre stati, e noi italiani ne sappiamo qualcosa. Gli immigrati denudano - diventando un indicatore sociale -, ciò che non va, i punti dolenti del nostro welfare. Perciò non è proprio il caso di addossare responsabilità a chi confligge per un’abitazione, migrante o autoctono che sia. Il problema della casa 119 Pace e diritti umani nel Mediterraneo affligge i poveri, non i ricchi, che ne sono responsabili. Molto più consono, forse, sarebbe capire perché le politiche abitative, in Italia, sono assenti sin dagli anni Sessanta. Dapprima non si affittava ai meridionali, immigrati a Torino o Milano, oggi non si affitta ai migranti stranieri. Ieri come oggi, dove insiste il conflitto se non nelle aree di maggior sofferenza, ossia quelle periferie dove ieri andavano i meridionali e oggi gli stranieri? 9. La creazione del capro espiatorio. Ci invadono, rubano il lavoro, spacciano e così via; tutti mali sociali addossati ai migranti, il nuovo capro espiatorio. Diciamolo forte e chiaro, sono tutte ideologie costruite a uso e consumo delle credenze popolari: siamo di fronte a costrutti sociali confezionati per presentare i migranti come minaccia. Ciò non significa che non ci siano migranti che rubano o che spacciano, ma nessuno sta chiedendo la santificazione. Si noterà che i prodotti confezionati non solo girano intorno ai problemi che affliggono il Paese, ma che degli slogan hanno più successo in alcuni luoghi, piuttosto che in altri. A ogni luogo il suo stereotipo, secondo il motivo di sofferenza sociale che insiste. Se incrociamo i motivi di successo, quelli che fanno attecchire lo stereotipo, ci rendiamo conto che sono i problemi che affliggono quella determinata area. Se c’è disoccupazione, i migranti “rubano lavoro” agli autoctoni, se ci sono problemi di ordine pubblico creano disagi, spacciano o si prostituiscono, e così via. Questi costrutti sociali sono modificati e confezionati, secondo le diverse aree di riferimento. Siamo di fronte all’industria del falso. Anche le comunità da connotare, le vittime, sono scelte volta per volta per rispondere a questi requisiti. Nel Salento dapprima erano i marocchini spacciatori e criminali, poi è toccato agli albanesi, poi ai rumeni, ai rom. Avanti il prossimo. Oggi, negli Usa, nessuno si sognerebbe di assumere a modello negativo gli italiani, che ormai sono sindaci, senatori, industriali o candidati premier. Ci sono i neri, i 120 Pace e diritti umani nel Mediterraneo portoricani e tutte le periferie delle città. I poveri, insomma. Eppure, Sacco e Vanzetti, immigrati anarchici, furono mandati a morte, pur innocenti. In piccolo, abbiamo qualche esempio anche in Italia. Negli anni novanta i cittadini albanesi erano dipinti come lo zoccolo di Attila, tutti criminali, clandestini, spacciatori, ecc. Oggi si stenta a ricordarlo. Non dimentichiamolo, teniamolo ben presente, siamo di fronte a prodotti confezionati che hanno come posta in gioco la merce più preziosa in una società democratica: il consenso. Per ottenerlo sono al lavoro veri e propri centri di ricerca (Think Tank) per falsificare (Fake news), diffondere (Social) e rendere il prodotto commestibile (Convincere). Sempre più chiaro come l’informazione, in una società complessa, abbia un ruolo centrale e crescente. La gran parte dell’informazione, le notizie di cui il popolo-elettore si nutre, sono prodotti confezionati, di cui è difficile risalire alla fonte e svelarne l’arcano. Operazione, in Italia, più facile che altrove, dato il basso livello di letture e la condizione dei media, fortemente condizionati dalle proprietà e principale fonte d’informazione. Insomma, i media sono vere e proprie armi di distrazione di massa. Porre al centro del dibattito le migrazioni come problema non solo ha distolto la popolazione dalle vere questioni, ma ha orientato il dissenso verso falsi obiettivi e sprofondato il Paese nelle spire della deriva democratica. 10. Attori sociali e responsabilità politiche. Nascita della teoria dell’invasione. Se le migrazioni, allo stato, si configurano come minaccia alle conquiste democratiche e all’ordine pubblico, ovviamente, le responsabilità non sono da ricercare solo tra le forze conservatrici, reazionarie e xeno-razziste, ma anche altrove. Paradossalmente, queste forze hanno fatto il loro dovere, dovendo garantire privilegi e statu quo; chi non l’ha fatto sono le forze democratiche, quelle che avrebbero dovuto difendere le fasce popolari e gli ultimi. Sin dai primi anni Novanta, quando gli imprenditori del razzismo hanno trovato sponda politica nel Belpaese ed era iniziato il gioco dell’invasione e dei binomi abusivi, 121 Pace e diritti umani nel Mediterraneo non c’è stata alcuna contrapposizione netta e chiara, tale da tracciare chiaramente i confini tra razzisti e antirazzisti. L’immaginario negativo dell’invasione è stato creato e alimentato nei primi anni ’90, con “sono molti”, c’“invadono”, nonostante i numeri e del buon senso. Ma in Italia, chi richiamano le invasioni, se non le “invasioni barbariche”? Altro cavallo di battaglia, vera e propria perla, gli scivolamenti semantici: solo in Italia gli irregolari diventano “clandestini”, altrove semplicemente, senza documenti. Chi richiama la clandestinità, se non il banditismo e la paura dell’incognito? Clandestinità e invasioni costruite, dunque. I soli dati attendibili, allora (per metodologia e fonti), erano quelli del Dossier Caritas, che parlavano di meno di settecentomila/un milione di presenze straniere. A questi dati gli imprenditori del razzismo contrapponevano un “questi sono i regolari”, ma poi ci sono “due milioni d’irregolari”, che con slittamento semantico, in Italia, diventavano “clandestini”. Sorge una banale domanda: se erano clandestini, come facevano questi signori a contarli, e con quali metodologie? Le forze democratiche, per percorrere la via della scienza e della decenza, avrebbero dovuto difendere il fenomeno in sé, come scelta democratica di un mondo possibile e chiedere con quali metodologie sarebbero due milioni. Una difesa dei diritti universali dell’uomo, del diritto a migrare, sulla scia delle grandi conquiste occidentali. Posizioni politiche che avrebbero messo a confronto due mondi, due modi diversi di pensare. Invece la difesa a quegli attacchi fu, “non è vero che sono molti”, inseguendo i razzisti sul loro stesso terreno e avallando il principio secondo il quale l’aumento delle presenze era un fatto negativo, ossia avallando la teoria dell’invasione. Perciò, quando le presenze straniere divennero 4,5,6 milioni fu facile gioco parlare d’invasione. Uno sporco gioco che continua tuttora. 11. La deriva liberista dei partiti di sinistra. In verità, non si trattava di sola imperizia, come dimostrano i giorni a venire, purtroppo. All’interno dello schieramento democratico le posizioni non erano allineate a difesa, ma articolate, molto articolate, sino a colludere con lo schieramento opposto. 122 Pace e diritti umani nel Mediterraneo È uno dei periodi più tristi delle forze democratiche e progressiste, in tutta Europa, che si allineano alle politiche liberiste, distruggendo secoli di storia e conquiste democratiche. Lo dimostra dapprima l’approvazione della legge Turco-Napolitano (che introduce i CPT, ossia il “carcere abusivo”) e poi il lungo periodo di governicchi di centro-sinistra, durante i quali non si trova il tempo per modificare le leggi, testate e dimostratesi inadeguate, o introdurne una sulla cittadinanza, a gran voce richiesta dall’associazionismo dei migranti, di sostegno e dalle sinistre. Il clou si raggiunge con il Ministro dell’interno, Domenico Marco Minniti, detto Marco, che arriva a firmare accordi con la Libia, per “trattenere” i migranti che cercavano di scappare da una Paese in fiamme. Un Paese con cui, aldilà di ogni considerazione politica, non avrebbe potuto firmare alcun accordo, non aderendo la Libia al Trattato di Ginevra. Pensate, un ministro espresso da un governo di centrosinistra che – di fronte a disastri quotidiani in mare – fa accordi con criminali di guerra insensibile a tutte le voci democratiche del Paese. Una squallida operazione che ha seminato lutti e sofferenze tra uomini, donne e bambini nel tentativo di raggiungere le amate sponde; senza parlare delle carceri abusive messe in piedi da un governo criminale – con le risorse del contribuente italiano - che ha sottoposto a torture e stupro e migliaia di esseri umani. Tutto ciò non è stato sufficiente per allontanare il sig. Minniti dallo schieramento democratico, il quale non ha fatto alcuna autocritica, ma addirittura ha difeso il suo operato e si è candidato alla segreteria del suo Partito. Evidentemente proponendosi a modello. Difatti, come modello è stato assunto, ma dalle forze xenofobe e razziste, che hanno continuato sulla sua scia. Tutto ciò ha creato una grande confusione sotto il cielo, lasciando la difesa delle migrazioni e delle politiche solidali e inclusive alle sole minoranze di sinistra e alle Associazioni. Sono gli unici che parlano di Diritti e vanno alla radice del problema, nella dimensione causa effetto. Il sistema come causa e le migrazioni come effetto. Papa Francesco lo riassume benissimo: “Questo sistema uccide”. 123 Pace e diritti umani nel Mediterraneo 12. La retorica razzista e la realtà migratoria. Un osservatore attento noterebbe come l’attacco alle migrazioni, fatto dalle destre, con tanto di furore e violenza, non solo verbale, non è mai accompagnato da proposte percorribili. Dire, “non vogliamo i clandestini” è sfondare una porta aperta. Nessuno vuole lavoratori stranieri irregolari, a iniziare dagli interessati, i primi a pagare il prezzo del loro status d’irregolari, sottopagati, a rischio espulsione e privi di diritti. Allora, se non si vogliono migranti irregolari, bisogna mettere mano alla normativa, causa prima dell’irregolarità. In Italia e in Europa si può arrivare solo in modo irregolare. Si può perdere il permesso di soggiorno ma non acquisirlo, perciò le porte della clandestinità sono spalancate. Dire in campagna elettorale che saranno espulsi tutti i clandestini è cosa facile, quanto inapplicabile, oltre che irresponsabile. Sia perché chi “vive in clandestinità” non è facilmente reperibile, sia per mancanza di risorse. La repressione costa tanto. È stato calcolato, molto più di percorsi inclusivi e d’accoglienza. Inoltre, qualora si volessero dissipare inutilmente risorse, sarebbero ben pochi quelli che si potrebbero espellere. La gran parte non si potrebbe che accompagnarli alla frontiera, essendo pochi i Paesi con cui ci sono trattati di riammissione, unica condizione per rimpatriare. Perciò, si possono solo allontanare dalle patrie sponde, ma poi non farebbero che rientrare, come dimostrano ricerca ed esperienza. Come si vede il cavallo vincente delle destre xenorazziste è solo una battaglia inutile e ideologica, pura retorica; questa proposta, tanto gettonata, non porta da nessuna parte. Senza contare che queste politiche creano conflitti e tendono a inimicizzare e ghettizzare le popolazioni immigrate. L’esatto contrario di ciò che ricerca, buone prassi e buon senso suggeriscono. Avere cittadini privi di diritti sul proprio territorio, incattiviti, non è proprio la migliore delle aspirazioni. I migranti, bisogna prenderne atto, sono parte integrante della nostra società, vivono tra noi, producono e sono contribuenti. Ci sono migliaia di bambini nati in Italia e frequentano le nostre scuole, giocano con i nostri bambini. Tutto ciò dovrebbe indurci a parlare di diritti, diritti di cittadinanza, welfare. Discorsi e minacce d’esclusione portano solo a tensioni sociali e a reali problemi di sicurezza. 124 Pace e diritti umani nel Mediterraneo 13. Dall’ineluttabilità del fenomeno a politiche praticabili. La politica del respingimento alle frontiere, là dove applicata, ha portato solo lutti, lasciando invariato il problema. Senza contare che l’assenza degli stati e di politiche europee concordate hanno ingrassato le mafie di tutte le frontiere. Abbiamo una sola vita e nessuno ha il diritto di stroncarla. Non sono ammissibili proposte di alcun tipo se non mettono al primo posto la sicurezza della vita. Una vita non vale né più né meno di un’altra. Almeno così dovrebbe essere. Allora, qual è la via che porta alla sicurezza della vita, abbatte il business dei trafficanti del genere umano e traccia un orizzonte dei diritti. Non c’è nulla da inventare, le proposte praticabili vengono dalla ricerca e dal mondo di volontariato, che da sempre s’interessano del problema. Anzitutto, mettiamo nel conto che i flussi migratori sono inarrestabili, non c’è “soluzione finale” e sono solo governabili. Chi pensa di avere modelli è fuori strada, si può parlare solo di buone prassi, da cui partire per una governance del problema. Avremmo dovuto capirlo tutti, considerato il numero strabiliante di morti in mare. Per i migranti si tratta di scegliere tra aspettare la morte certa in patria e tentare di arrivare vivi sull’altra sponda. Quindi, i muri – è bene ripeterlo – non reggono, per quanto alti possano essere. È solo un gioco al massacro, più si alzano i muri, maggiore è il numero di morti. Lo aveva già capito Kant, qualche secolo fa, partendo dalla semplice constatazione che la terra è sferica, perciò ogni punto raggiungibile da chiunque. Aveva altresì legato la “Pace perpetua” alla condivisione della terra, presupponendo che questo stato sarebbe stato possibile quando tutti i Paesi avessero conquistato la democrazia che, per definizione, avrebbe fatto gli interessi di tutto il popolo. La storia ci insegna, quindi, che se le migrazioni non si possono fermare si possono governare. Perciò è alla politica che pasa la parola, che deve governare il fenomeno. Che non può partire da logiche etnocentriche, ma dagli interessi di tutti gli attori sociali in campo. Proposte apparentemente solidaristiche, tipo, accogliamoli perché la popolazione occidentale invecchia, oppure se non li accogliamo, non avremo chi pagherà le nostre 125 Pace e diritti umani nel Mediterraneo pensioni, non partono da logiche democratiche. Sono solo ragionamenti utilitaristi, purtroppo molto diffusi in alcuni settori politico-sociali. Che hanno del vero, ma non può essere la ragione dell’accoglienza. Le politiche inclusive devono partire dai diritti e dall’eguaglianza, iniziando dal diritto del migrante a migrare. Come gli occidentali possono muoversi dove e quando vogliono, per chi è nato nel posto (ritenuto) sbagliato, non deve essere diverso. Scatta il famoso “non possiamo accoglierli tutti”. Tranquilli, non vogliono tutti venire in Italia, né tutti in Europa. Decidono loro dove ritengono sia meglio vivere, e praticano semplicemente un loro diritto. Chiunque si professi democratico deve partire da questo principio inalienabile, rispettando i bisogni e i diritti di tutti. Cosa può fare l’Europa? Anzitutto delle politiche concordate - quelle a oggi adottate hanno portato sulla soglia dell’implosione dell’UE - iniziando – com’è ormai condiviso – con abolire il Trattato di Dublino, che costringe i migranti a chiedere asilo nel Paese d’approdo. I disastri combinati da questo trattato sono sotto gli occhi di tutti. Poi creare “corridoi umanitari” per permettere di attraversare i confini senza perire e offrire informazioni e prima accoglienza (abitazione, vitto, istruzione) in modo che possano ottimizzare le loro risorse umane. Si prosciugano così anche le casse delle mafie internazionali. Stesso discorso vale per quanti sono in cerca di lavoro. Si creino permessi per soggiorno per la ricerca di lavoro, in tutta Europa, con la dovuta accoglienza e informazione. Nessuno ha intenzione di rimanere in un posto da indesiderato, potendo trovare di meglio. Perciò gli interessati si sposteranno là dove troveranno la migliore sistemazione. Queste proposte hanno avuto l’avallo della ricerca e del calcolo costi/benefici. Costa meno della repressione e rispetta il genere umano che non può essere una variabile. 126 NUNZIO MASTROROCCO1, ELISA CALÒ2 Il movimento migratorio in Puglia: policy e flussi3 Abstract: Regione Puglia fosters the implementation of an integrated system of interventions and services for immigrants’ full integration, geared towards acquiring a structured understanding of migration flows. Additionally, for the sake of integration into the labour market, it promotes the dissemination and exchange of good practices and initiatives aimed at: a) combating forms of discrimination; b) promoting the awareness of the Italian culture, in order to fully carry out a reciprocal cultural integration; c) ensure equal opportunities for immigrants; d) combat criminal conducts and exploitation; e) promote immigrants’ participation to the local social life. Several complementary fields of action have also been foreseen based on the needs flagged by foreigners, which specifically concern the cultural, linguistic, economic, professional, social and health spheres. In light of the data available, it emerges how much Apulia is still maintaining its own specific peculiarity of “borderland”. As we have seen, this circumstance can be especially noticed in virtue of the numerous irregular and monitored landings of migrants observed in the course of the last three years. Objectively, the irregular landings of the last three years cannot by any means be likened to the landings of the Nineties. Instead, what generates more concern nowadays is the traffic of human beings. Today migrants continue crossing the sea, albeit on board of sailboats driven by professional skippers (smugglers evolving into sailors). Sea crossings are undertaken with the attempt to sail unnoticed, although the chance to circumvent coastguard’s control networks with their sophisticated technology watching over the waters of Salento, the entrance door of Europe, is unlikely. Unfortunately, these indicators point to the existence of international criminal organizations, based in several Mediterranean countries. It is a thorny phenomenon to contrast, even though over the last years it has mounted much attraction by institutional stakeholders. Keywords: Puglia, migrazioni, approdi, politiche migratorie. 1. Introduzione La Regione Puglia, compatibilmente con le prerogative che le vengono attribuite dalla normativa nazionale, da alcuni anni è impegnata in percorsi che guardano al raggiungimento di un’effettiva inclusione di tutta la popolazione migrante presente sul proprio territorio, nelle sue diverse composizioni. 1 IPRES, Istituto Pugliese di ricerche economiche e sociali: [email protected]. IPRES, Istituto Pugliese di ricerche economiche e sociali: [email protected]. 3 Per la realizzazione di parte della presente ricerca sono stati rielaborati documenti ed informazioni definiti, con il supporto del dott. Gianpietro Occhiofino, nell’ambito della convenzione Regione Puglia – IPRES “Rafforzamento della Capacity building e del dialogo sociale nell’attuazione del POR Puglia 2014/2020” – Linea 2 “Legalità e inclusione sociale”, finanziata a valere sul fondi del POR Puglia FESR – FSE 2014/2020 Asse XI (“Rafforzare la capacità istituzionale delle autorità”) Azione 11.2 (“Qualificazione ed empowerment delle istituzioni, degli operatori, degli stakeholders della pubblica amministrazione”, obiettivo specifico 11e) (“Migliorare la governance multilivello e le capacità degli organismi coinvolti nella attuazione e gestione dei programmi operativi”). 2 127 Pace e diritti umani nel Mediterraneo In epoca moderna la Puglia è stata interessata dai flussi migratori a partire dai primi anni Novanta del secolo scorso, periodo durante il quale cominciava a prendere forma una diffusa consapevolezza dell’importanza della collocazione geo-politica di questa regione all’interno del Bacino del Mediterraneo. Oggi, a distanza di circa trent’anni, appare sempre più attuale l’espressione di “Puglia, Regione di Frontiera”, allora coniata dal Presidente della Giunta regionale, Salvatore Distaso.4 Numerose furono le iniziative volte al consolidamento del ruolo della Regione nell’ambito di tutti quei processi decisionali finalizzati ad operare azioni dirette sul “fenomeno migratorio”: si pensi, ad esempio, all’“Osservatorio Interregionale delle Migrazioni Mediterranee”, così come le diverse istanze tendenti ad evidenziare, in ambito europeo, la necessità di riservare maggiore attenzione al Bacino del Mediterraneo; e questo, attraverso l’attuazione di politiche di sviluppo in un quadro di reale cooperazione decentrata. Oggi la Regione Puglia è impegnata fortemente sulla questione migratoria e, non in ultimo, con la realizzazione del Piano Triennale per le politiche migratorie (approvato con delibera di Giunta regionale n°6 del 12 gennaio 2018). In questo cono di luce il presente capitolo intende offrire un’analisi del contesto immigratorio oggi presente in Puglia, attraverso uno studio delle policy in atto e degli elementi programmatori all’uopo predisposti. 2. Il contesto di riferimento Al 1° gennaio 2018, gli ultimi dati Istat attestano che i residenti stranieri in Puglia sono 134.351, corrispondenti al 3,32% della popolazione residente (nel 2008 erano l’1,5%); l’incidenza nell’intero Sud Italia ha superato il 4%, mentre, a livello nazionale, ha raggiunto l’8,5%. Entrando nel dettaglio delle singole province e considerando le consistenze assolute, nel corso del 2017, la provincia di Bari ha registrato le presenze maggiori, con circa 42 mila residenti stranieri, mentre, in termini percentuali, il primato spetta alla 4 IPRES, “Puglia Regione di frontiera - I percorsi scientifici e l’impegno istituzionale di Salvatore Distaso”, Cacucci Editore, Bari 2009. 128 Pace e diritti umani nel Mediterraneo provincia di Foggia con il 4,5%, seguita da Bari, Lecce, BAT, Brindisi e Taranto. La variazione percentuale annuale è significativa poiché registra un aumento del +4,3% su base regionale (pari a +5.261 residenti stranieri), con percentuali vicine al +6% nelle province di Taranto, Brindisi e Lecce. Per Taranto (sede di Hotspot) l’aumento può essere collegato agli sbarchi e alla successiva decisione di accogliere le persone sul territorio. Nelle altre due province, protagoniste di arrivi soprattutto nei primi anni Novanta, si può ipotizzare un aumento giustificato dalla presenza di seconde generazioni e da una migrazione di ritorno, ossia famiglie di stranieri che dal Sud Italia si sono spostate al Nord per migliorare le proprie condizioni economiche, e che poi, a causa della crisi, sono rientrate in un territorio il cui costo della vita si mantiene a livelli più bassi e accessibili. Il dato sull’aumento della presenza straniera è ancora più rilevante se confrontato con quello nazionale, fermo al +0,4% (pari a +20.875 unità). L’ipotesi della migrazione di ritorno è avvalorata anche dal fatto che non si registrano particolari variazioni nelle provenienze: gli stranieri residenti in Puglia, infatti, provengono principalmente da Romania (27,2%), Albania (17,7%), Marocco (7,4) e Cina (4,4%). La Romania prevale in tutte le province ad eccezione di Bari, in cui la collettività più numerosa rimane quella albanese. La quota di donne si contrae, passando dal 52,6% al 51,6%. Un andamento simile si riscontra in tutte le province e rispecchia quasi l’intera situazione del Sud, al contrario di quanto accade a livello nazionale. Le donne straniere residenti in Puglia provengono prevalentemente da Romania (32,8%), Albania (16,6%), Marocco (5,9%) e Georgia (4,6%, che rappresentano il 24,9% delle donne georgiane presenti in Italia). L’analisi per classe d’età degli stranieri residenti fa emergere una prevalenza della fascia compresa tra i 30 e i 44 anni (33,9%), in linea con i valori nazionali (34,0%). Le province di Lecce e Brindisi registrano, tuttavia, alte percentuali, nettamente superiori a quelle regionali e nazionali, di stranieri compresi nelle classi d’età 45-64 e oltre 65 anni. In particolare nella provincia di Brindisi si registra un 6,6% di over65 sul numero dei residenti stranieri, a fronte di un dato regionale pari al 3,5% e nazionale pari al 3,7%, mentre nella provincia di Lecce risiede il 23,1% degli 129 Pace e diritti umani nel Mediterraneo stranieri ultra 65enni presenti sul territorio regionale. Sono dati, questi, che risentono evidentemente delle diverse fasi migratorie che la Puglia ha vissuto e continua a vivere; nel Salento, in particolare, emergono numeri riferibili a una migrazione più datata, che ha raggiunto la Puglia nei primi anni Novanta del secolo scorso, diversa da quella attuale: oggi le coste pugliesi sono nuovamente terra d’approdo, sebbene gli arrivi facciano parte di una migrazione per lo più di transito, che aspetta di essere distribuita sul territorio nazionale. Rispetto all’età, emerge, inoltre, che nelle fasce più adulte della popolazione straniera, prevalgono nettamente le donne, pari al 61,8% nella classe 45-64 anni e al 59,5% negli over65 (a fronte del 64,8% nazionale): queste due classi totalizzano rispettivamente il 28,2% e il 4,0% e delle presenze femminili straniere in Puglia. In considerevole aumento sono le acquisizioni di cittadinanza, che raggiungono la cifra di 2.376 nel 2017, mentre erano solo 824 dieci anni prima e 1.064 nel 2012. La provincia in cui si registra il maggior numero di acquisizioni è Bari, seguita, nell’ordine, da Lecce e Foggia. Il totale delle acquisizioni di cittadinanza, dal 2008 al 2016, è pari a 12.183, l’1,3% del totale nazionale. I titolari di permessi di soggiorno sono 84.308 nel 2016 (pari al 2,9% del totale nazionale). Le provenienze sono ripartite quasi in maniera equilibrata tra Europa (33,2%), Africa (32,1%) e Asia (30,5%). Tra i permessi a termine (40.447) prevalgono i motivi afferenti all’asilo e alle diverse forme di protezione (36,3%), seguiti da motivi familiari (28,2%) e lavoro (30,2%). Da sottolineare che i titolari di un permesso per asilo/motivi umanitari rappresentano il 7,7% della quota nazionale. Questi prevalgono in tutte le province, ad eccezione di Bari, in cui le percentuali più alte riguardano i motivi familiari (35,1%) e lavorativi (33,1%). I permessi di soggiorno rilasciati per la prima volta, sempre nel 2016, sono stati 9.255, il 4,1% del totale nazionale. Per il 45,0% si tratta di richieste d’asilo, a fronte di una percentuale nazionale che non supera il 30%. Nella provincia di Foggia la stessa percentuale raggiunge il 65,9%, mentre il dato più basso si registra nella provincia di Bari (23,0%). Nelle strutture temporanee di accoglienza localizzate sul territorio regionale, risultano 130 Pace e diritti umani nel Mediterraneo presenti 6.606 stranieri al 31 marzo 2017, il 4,8% del totale nazionale. Entrambi i valori superano quelli riferiti a regioni come Sicilia e Calabria, più fortemente interessate dagli sbarchi. Le persone ospitate nell’hotspot di Taranto sono 285, mentre gli immigrati presenti nei centri di prima accoglienza sono 3.378. A gennaio 2019, risultano accolte nel Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) 3.445 persone, pari al 9,7% del totale nazionale, percentuale superata soltanto da Sicilia, Lazio e Calabria (www.sprar.it/i-numeri-dello-sprar). 2.1 I minori stranieri I minori stranieri presenti sul territorio pugliese nel 2017 sono 23.708. I nuovi nati, sempre stranieri, sono 1.567, il 2,3% del totale nazionale e il 24,4% dei nuovi nati nel Sud Italia (ISTAT). Il numero dei nuovi nati risulta in leggero, ma costante aumento, nel corso degli anni. Un fenomeno rilevante in un Paese che continua a registrare una notevole diminuzione delle nascite. Il Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali – Direzione generale dell’immigrazione e delle politiche d’integrazione, ha rilevato che al 30 giugno 2017 i minori stranieri non accompagnati presenti e censiti in Italia sono 17.864; la Puglia ne ospita 795, il 4,5% del totale nazionale. I minori stranieri non accompagnati accolti in Puglia provengono prevalentemente da Pakistan, Egitto, Nigeria, Eritrea, Mali, Somalia e Afghanistan. Le strutture di accoglienza in Italia sono, in totale, 1.917, il 6,4% delle quali (123) è ubicato in Puglia. Con riferimento al sistema scolastico, dal rapporto Gli alunni stranieri nel sistema scolastico a.s. 2016/2017 (MIUR-Ufficio di statistica), emerge che gli alunni stranieri in Puglia sono 16.992, il 2,7% del totale degli studenti iscritti nelle scuole pugliesi (la media italiana è del 9,4%) e il 2,1% del totale degli studenti stranieri presenti nelle scuole italiane. A fronte di una riduzione delle iscrizioni di alunni italiani di 13.959 unità tra gli a.s. 2015/2016 e 2016/2017, le iscrizioni di alunni stranieri sono aumentate di 435 unità. Inoltre, nel 30,2% degli istituti scolastici non sono presenti alunni stranieri. Negli ordini anagraficamente più bassi (infanzia, primaria, 131 Pace e diritti umani nel Mediterraneo secondaria di primo grado) risulta alta la percentuale di alunni stranieri nati in Italia (nella scuola primaria si raggiunge il 72,3%), mentre nella scuola secondaria di secondo grado prevalgono gli alunni nati all’estero, 79,5%, ovvero minori e adolescenti che hanno vissuto l’esperienza della migrazione: un fenomeno che non coinvolge soltanto la Puglia, ma l’Italia intera. In regione, inoltre, risulta alta la percentuale di chi tra gli alunni stranieri è entrato per la prima volta nel sistema scolastico italiano nell’a.s. 2016/2017 (4%). La media italiana è 3,1% mentre il Meridione registra, in generale, percentuali più alte. 2.2 La situazione socio-occupazionale Nel 2017, secondo i dati ISTAT, i nati all’estero occupati in Puglia sono 98.345, il 2,9% del totale nazionale e il 9,3% delle persone occupate complessivamente in Puglia (percentuale stabile rispetto agli anni precedenti). Il 39,9% risulta occupato nel settore dei servizi, settore prevalente in tutte le province, ad eccezione di Foggia, in cui il 50,2% è occupato in agricoltura. In riferimento alle dimensioni aziendali, la percentuale più alta di questi lavoratori (83,6%) lavora nella micro-impresa (1-9 addetti). Sono prevalenti, inoltre, come tra i residenti, i nati in Romania e Albania. Rispetto ai paesi di nascita, il confronto con i numeri nazionali rivela, però, scenari interessanti e in parte nuovi: è occupato in Puglia il 23,1% dei maliani occupati in Italia, il 16,5% dei gambiani e il 10,7% dei bulgari. Risulta alta l’incidenza dei nati all’estero tra i nuovi assunti, ossia tra le persone contrattualizzate per la prima volta nell’anno 2017: in regione è pari al 26,0%, 11.998 individui, e sale al 53% nella provincia di Foggia. I nuovi assunti provengono prevalentemente da Romania e Bulgaria (questi ultimi sono il 24,9% dei nuovi assunti bulgari in Italia). Il settore che ha assorbito la più alta percentuale di nuovi assunti è l’agricoltura (44,7%). Le cessazioni, ossia le persone fisiche che nel corso dell’anno hanno conosciuto almeno una cessazione dal lavoro, risultano 60.400, il 4,3% del totale nazionale, con una forte concentrazione nella provincia di Foggia, il 39,6% del dato regionale. Se le nuove assunzioni vedono le percentuali di uomini e donne pari rispettivamente 132 Pace e diritti umani nel Mediterraneo al 70,9% e 29,1% (a livello nazionale, 57,8% e 42,2%), le cessazioni coinvolgono il 66,0% degli uomini e il 34,0% delle donne. Infine, le imprese “immigrate” (ovvero condotte a maggioranza, nelle forme societarie, o individualmente negli altri casi, da persone nate all’estero) sono 18.784, il 3,3% delle imprese “immigrate” nate in Italia. Sono concentrate, prevalentemente, nelle province di Lecce e Bari, anche se, rispetto al 2015, l’aumento più considerevole si registra in provincia di Foggia (+7,0%), mentre nella provincia di Bari crescono dello 0,8%. A livello regionale l’aumento è pari al 3,6%, mentre quello riferito alle imprese italiane si arresta allo 0,4%. 3. Le Policy della Regione Puglia Il nostro contesto regionale è caratterizzato dalla presenza di un triplice fenomeno migratorio, le cui esigenze e, conseguentemente, le politiche d’intervento risultano diversificate: per un verso, infatti, la Puglia è interessata da cosiddetti flussi migratori di “passaggio”, ovvero di migranti che approdano in Puglia ma sono interessati a raggiungere mete economiche ed occupazionali più allettanti, per altro verso, il fenomeno è da leggersi in funzione di una presenza stanziale diffusa su tutto il territorio, ed ancora, in forza di specifici flussi migratori, richiamati dal fabbisogno stagionale di manodopera nel settore agricolo e/o assistenziale. Il fondamento normativo regionale per gli ambiti d’intervento è costituito dalla L.R. 32/2009 (Norme per l’accoglienza, la convivenza civile e l’integrazione degli immigrati in Puglia), che, destinata ai cittadini di Stati non appartenenti all’UE, agli apolidi, ai richiedenti asilo e ai rifugiati con protezione internazionale, umanitaria e sussidiaria presenti sul territorio regionale, concorre alla tutela dei diritti dei cittadini immigrati, attivandosi per l’effettiva realizzazione dell’uguaglianza formale e sostanziale di tutte le persone (art. 1 e 2). Nel corso degli anni la Regione ha promosso la realizzazione di azioni orientate soprattutto all’empowerment delle popolazioni migranti, attraverso il coinvolgimento degli altri Enti Locali e delle associazioni del terzo settore che operano sul territorio: si pensi all’apertura degli sportelli per l’integrazione socio-sanitaria e culturale (ex art. 133 Pace e diritti umani nel Mediterraneo 108 R.R. 4/2007), chiamati a garantire e gestire attività di informazione sui diritti, di formazione e affiancamento degli operatori sociali e sanitari per la promozione della cultura, dell’integrazione organizzativa e professionale in favore degli immigrati, di primo orientamento e accompagnamento dei cittadini stranieri nell’accesso alla rete dei servizi socio-sanitari, dell’istruzione e di consulenza tecnica specialistica. Anche in termini di competenze linguistiche, la Regione ha consolidato la pratica di realizzare corsi di italiano e servizi di mediazione linguistica e culturale per contrastare la dispersione scolastica dei minori stranieri. Diverse sono, altresì, le linee programmatiche a sostegno di iniziative di contrasto al lavoro irregolare e allo sfruttamento, affiancate da misure per far fronte all’emergenza abitativa. Specificamente, nel corso del 2015 è stato ratificato l’Accordo per la programmazione e lo sviluppo di un sistema di interventi finalizzati a favorire l’integrazione sociale e l’inserimento lavorativo dei migranti regolarmente presenti in Italia,5 presentato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e concernente la programmazione integrata in tema di politiche migratorie, attraverso la definizione di obiettivi condivisi e l’integrazione degli strumenti finanziari comunitari, nazionali e regionali. Sempre del 2015 è l’Accordo tra l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR) e la Regione Puglia per l’attuazione del progetto Trasferimento di metodologie per il monitoraggio delle discriminazioni.6 Poiché la programmazione e la realizzazione delle politiche regionali per le migrazioni incrociano competenze specifiche e strutture amministrative di tutti i Dipartimenti della Regione Puglia, al fine di renderne più efficace l’attuazione, nel corso del 2016, è stato istituito il Coordinamento regionale delle politiche per le migrazioni,7 che si inserisce nel sentiero, già avviato, della cooperazione interistituzionale e territoriale nel settore delle politiche per l’integrazione, in considerazione della complessità e della mobilità del fenomeno migratorio. Si assiste ad una trasformazione dell’approccio alle 5 DGR 17 marzo 2015, n. 457 pubblicata sul BURP n. 52 del 14/04/2015. DGR 20 gennaio 2015, n. 20 pubblicata sul BURP n. 24 del 17/02/2015. 7 Decreto del Presidente della Giunta Regionale del 16 giugno 2016, n. 413, pubblicato sul BURP n. 72 del 23-6-2016. 6 134 Pace e diritti umani nel Mediterraneo politiche, come attestato dalla recente adesione della Puglia ai tre progetti interregionali, NET.WORK-Rete Antidiscriminazione, Skills for services to immigrants e Bambini in alto mare, L’accoglienza familiare dei minori stranieri,8 finanziati da fondi FAMI 2014-2020 e in seguito alla stipula del Protocollo d’intesa tra le Regioni Calabria, Campania, Puglia e Sicilia per la collaborazione a livello interregionale in materia di immigrazione.9 Con la Delibera di Giunta Regionale n. 596 del 26 aprile 2016, la Regione Puglia ha provveduto all’affidamento della gestione temporanea dell’Azienda agricola di proprietà regionale “Fortore” all’Associazione di immigrati “Ghetto Out – Casa Sankara”, al fine di sperimentare nuove pratiche di inclusione socio-lavorativa e per far fronte all’emergenza abitativa dei lavoratori migranti della Capitanata. Si menziona, inoltre, la Delibera di Giunta Regionale n. 906 del 7 giugno 2017 finalizzata a porre in essere un intervento strutturale in termini di contrasto al disagio abitativo e sociale dei braccianti agricoli immigrati. Provvedimento, questo, con il quale è stata realizzata a Nardò (Le) la prima foresteria per lavoratori migranti stagionali e che ha registrato anche per la “stagione 2018” una presenza pari a 150 “ospiti” (in fase di realizzazione le altre due foresterie previste per la provincia di Foggia e, precisamente, a San Severo ed Apricena). Sempre nell’ambito delle politiche di contrasto al “caporalato”, nell’aprile 2018 la Regione Puglia ha sottoscritto un’apposita Convenzione con il Comune di Turi con la quale si è impegnata a cedere, a titolo gratuito, 34 moduli abitativi per l’allestimento di una foresteria temporanea per circa 150 lavoratori stagionali impiegati nella raccolta cerasicola 2018. La Regione Puglia, ancora, attraverso l’approvazione della Delibera di Giunta n. 1446 del 14 settembre 2017, ha proceduto con la stipula di una nuova Convenzione con l’Associazione “Ghetto out – Casa Sankara”, diretta all’accoglienza temporanea, presso la struttura di San Severo denominata “L’Arena”, di parte di quei lavoratori migranti ancora residenti nei terreni adiacenti il luogo ove sorgeva il cosiddetto 8 9 DGR 22 marzo 2016, n.309 pubblicata sul BURP n. 37 del 05-4-2016. DGR 9 dicembre 2015, n. 2208 pubblicata sul BURP n. 162 del 18-12-2015. 135 Pace e diritti umani nel Mediterraneo “Gran ghetto” (ubicato tra i Comuni di San Severo e Rignano Garganico). Da ultimo, è necessario menzionare la Delibera di Giunta regionale n. 6 del 12 gennaio 2018 con la quale è stato approvato il Piano triennale Politiche migratorie 2016 – 2018. Il tema delle politiche per l’immigrazione compare, ancora, in maniera sostanziale, anche nel nuovo Programma Operativo Regionale FESR-FSE 2014-2020, in particolare negli Assi 8 e 9 dedicati all’occupabilità e alla lotta alle discriminazioni e all’inclusione sociale: un obiettivo specifico è riservato all’accrescimento dell’occupazione degli immigrati, attraverso il miglioramento delle proprie competenze professionali, incluso il riconoscimento dei titoli acquisiti nel paese di origine, e il sostegno alla creazione d’impresa e al lavoro autonomo, compreso il trasferimento d’azienda (ricambio generazionale).10 Analogamente, all’interno dell’obiettivo tematico 9 del POR Puglia, gli interventi destinati più in generale alle persone in difficoltà sono affiancati da specifici interventi per gli immigrati, quali gli interventi contro le discriminazioni e quelli per contra- stare il disagio abitativo. Cosicché, il processo di integrazione culturale e sociale degli immigrati in Puglia resta un elemento fondamentale nell’ambito della programmazione regionale, da promuovere con continuità, anche al fine di favorire nei cittadini la conoscenza e la consapevolezza del fenomeno migratorio, che ha caratteristiche poliedriche e complesse e che necessita di una sensibilità culturale verso l’interazione e l’integrazione. Nell’ambito della programmazione regionale si prevede l’istituzione di specifiche attività di mediazione interculturale, integrate in progetti di inclusione sociale attiva al fine di facilitare le relazioni con i cittadini immigrati, con l’intento di promuovere la reciproca comprensione e di favorire un rapporto positivo fra questi. Sono previste, altresì, misure per aumentare la legalità nelle aree ad alta esclusione sociale e miglioramento del tessuto urbano nelle aree a basso tasso di legalità, 10 In coerenza con l’Agenda Europea per nuove competenze e lavoro, con gli orientamenti del Consiglio 2014/322/UE e con la raccomandazione n.5, si intende incrementare il tasso di occupazione della popolazione straniera, ovvero, far crescere il numero di persone occupate rispetto al totale della popolazione extra UE, in età 15-64 anni. In tale contesto si delinea la volontà della Regione di investire su specifiche misure di politica attiva per l’inserimento lavorativo degli immigrati, mirando principalmente alla formazione e a favorire il processo di imprenditorialità straniera. 136 Pace e diritti umani nel Mediterraneo favorendo percorsi di rigenerazione urbana e sociale a partire dal riuso di beni e aziende confiscate alle mafie, per la promozione sociale ed economica delle comunità locali. 4. Il Piano triennale per le Politiche migratorie 2016 – 2018 La Regione Puglia, compatibilmente alle prerogative che le vengono attribuite dalla normativa nazionale, da alcuni anni è impegnata in percorsi che guardano al raggiungimento di un’effettiva inclusione di tutta la popolazione migrante, presente sul proprio territorio e nelle sue diverse composizioni. In tal senso, al fine di pervenire ad una significativa individuazione degli obiettivi strategici e degli interventi da adottare, per la redazione del Piano triennale per le politiche migratorie 2016 – 2018 ci si è soffermati sull’esame delle criticità emerse ed evidenziate nel corso dei Forum tematici provinciali tenutisi nei mesi di febbraio e marzo 2017. Tali incontri si sono svolti all’interno di quel processo di condivisione e partecipazione allargata denominato MiCS (Migrazione Condivisa e Sostenibile) e si sono articolati sull’analisi di quattro macro tematiche: politiche del lavoro, della salute, abitative e dell’integrazione. Le istanze, le priorità e le problematiche esistenti, sottolineate dagli attori territoriali (sindacati, enti pubblici, terzo settore) nel corso di MiCS, sono state oggetto di approfondimento e tenute in debita considera- zione nella costruzione delle linee di intervento e delle possibili azioni da adottare attraverso il nuovo Piano triennale 2016 – 2018 (approvato con Delibera di Giunta regionale n°6 del 12 gennaio 2018). Il Piano, fondamentalmente, prevede la realizzazione di specifici interventi nell’ambito delle quattro aree tematiche di riferimento precedentemente menzionate: Politiche del lavoro e formazione, Politiche della salute, Politiche abitative e Politiche d’integrazione. Politiche del lavoro e formazione. Previste numerose linee di intervento, tra queste la realizzazione di forme di agricoltura sociale capaci di creare filiere etiche, corsi di formazione on the job presso botteghe artigiane, corsi di formazione per l’ottenimento della qualifica di mediatore culturale (con creazione di un apposito Elenco regionale), 137 Pace e diritti umani nel Mediterraneo adozione di un modello formativo per l’aggiornamento delle competenze degli operatori della Pubblica Amministrazione. Politiche della salute. Nel campo della tutela e dell’accesso al diritto alla salute, sono previste azioni finalizzate alla creazione, all’interno dei distretti sanitari e ospedalieri, di sistemi di mediazione linguistica e culturale; così come saranno attivate cliniche mobili capaci di garantire assistenza socio-sanitaria presso i maggiori insediamenti dei braccianti agricoli stagionali (insediamenti nei quali saranno assicurati anche interventi di prima accoglienza igienico-sanitaria). Politiche abitative. Realizzazione di tre foresterie per l’accoglienza dei braccianti agricoli stagionali, attraverso l’avvio di un modello sperimentale che preveda l’utilizzo di moduli abitativi dignitosi e servizi alla persona finalizzati alla promozione del lavoro dei cittadini immigrati. Previste, altresì, formule di incentivazione per la costituzione delle cosiddette “botteghe dei mestieri”, proprio in quelle aree nelle quali si registrano gli indici più alti in termini di “spopolamento”. Politiche di integrazione. Diverse le azioni che saranno indirizzate alla promozione delle attività di integrazione e mediazione sociale svolte dalle associazioni dei migranti e questo attraverso percorsi di partecipazione attiva e diretta alla vita sociale, economica e culturale del territorio. 5. Gli strumenti: progettazione FAMI, PON Legalità, PON Inclusione Tra le misure predisposte a livello nazionale ed adottate dalla Regione è doveroso riportate il Fondo asilo migrazione e integrazione 2014-2020; si tratta di uno strumento finanziario istituito con Regolamento UE n. 516/2014 con l’obiettivo di promuovere una gestione integrata dei flussi migratori sostenendo tutti gli aspetti del fenomeno: asilo, integrazione e rimpatrio. Specificatamente, nell’area “Tutela della salute e inclusione socio-sanitaria”, la Regione ha attivato il progetto FAMI “Prevenzione 4.0”. Tra gli obiettivi: favorire la realizzazione di reti e rapporti collaborativi tra servizi pubblici, privati e del privato sociale; creare e sperimentare un sistema integrato di rilevazione, prevenzione, 138 Pace e diritti umani nel Mediterraneo diagnosi, cura e riabilitazione dei richiedenti e titolari di protezione internazionale sul territorio regionale pugliese; adottare strategie efficaci di alfabetizzazione e educazione sanitaria dell’utenza. Nel “settore” categorie vulnerabili, la regione è capofila del progetto FAMI “Future”, finalizzato alla creazione di percorsi di inclusione socio-lavorativa nei confronti dei Minori stranieri non accompagnati presenti nelle strutture di seconda accoglienza operative in Puglia. Nell’ambito della formazione e inserimento lavorativo, poi, la Regione Puglia è capofila del progetto FAMI “Skills to work”. Il progetto ha come finalità generale quella di costruire un sistema di raccordo tra le politiche del lavoro, dell’integrazione e dell’accoglienza. Tra i suoi obiettivi: l’attivazione di percorsi integrati individualizzati realizzati attraverso la certificazione di competenze formali e informali; la validazione/certificazione dei titoli posseduti acquisiti nei Paesi d’origine o di transito; l’attivazione sperimentale presso ciascun CPI provinciale di uno Sportello per l’immigrazione gestito con le risorse umane multilingue. Nel campo delle politiche di integrazione, la Regione Puglia ha attivato l’Azione 02 del FAMI Multiazione IMPACT che prevede la “Promozione dell’accesso ai servizi per l’integrazione”. Obiettivo principale è quello di facilitare e qualificare i percorsi di integrazione dei cittadini stranieri attraverso l’organizzazione di un sistema integrato di servizi territoriali (lavoro, integrazione, alloggio, salute e istruzione). Progetto, questo, che determinerà interventi volti allo sviluppo di azioni di governante multilivello, atte a favorire l’innovazione dei processi organizzativi dei servizi rivolti ai cittadini stranieri, attraverso un approccio integrato alla pianificazione degli interventi. Parallelamente, è operativa anche l’Azione 04 del FAMI Multiazione IMPACT che attiene alla “Promozione della partecipazione attiva dei migranti alla vita economica, sociale e culturale, anche attraverso la valorizzazione delle associazioni”. La principale finalità è il miglioramento del ruolo delle associazioni di cittadini stranieri nella promozione di processi di integrazione dinamici e trilaterali, basati sul coinvolgimento attivo dei migranti, delle comunità locali e dei paesi d’origine. Previsti 139 Pace e diritti umani nel Mediterraneo interventi volti alla promozione della partecipazione attiva e diretta dei cittadini immigrati e delle loro associazioni di rappresentanza, nonché alla pianificazione di politiche di integrazione attraverso il coinvolgimento diretto delle associazioni stesse. Nel settore della Formazione Linguistica e Qualificazione sistema scolastico, la Regione Puglia ha attivato due azioni specifiche. La prima, progetto FAMI “Puglia integrante – Formazione, partecipazione e integrazione sociale”, individua diversi obiettivi. Tra questi, l’aumento della conoscenza della lingua italiana da parte della popolazione migrante con relativa certificazione, il potenziamento della conoscenza delle modalità di accesso e fruizione dei servizi territoriali pubblici e privati, il rafforzamento della governance regionale delle azioni di integrazione linguistica mediante la strutturazione della rete territoriale esistente. La seconda azione, Azione 01 del FAMI Multiazione IMPACT, “Qualificazione del sistema scolastico in contesti multiculturali, anche attraverso azioni di contrasto alla dispersione scolastica”, si pone l’obiettivo di promuovere l’inclusione sociale di minori e giovani stranieri, anche di seconda generazione, di contrastare la dispersione scolastica e di fronteggiare i gap di rendimento. Previsti interventi di rafforzamento dell’offerta formativa in materia di insegnamento della lingua italiana e potenziamento di percorsi di sensibilizzazione ai temi dell’integrazione e contrasto alla discriminazione in ambito scolastico. L’azione, altresì, stabilisce interventi volti al recupero della dispersione e dell’abbandono scolastico all’interno di percorsi di formazione scolastica e professionale, nonché attività finalizzate alla promozione del coinvolgimento diretto delle famiglie di migranti alla vita scolastica stessa. Previsti, ancora, interventi di valorizzazione dell’identità culturale e delle esperienze di peer education. E questo attraverso la partecipazione attiva di studenti, giovani e in modo particolare dei giovani di seconde generazioni. In merito al rafforzamento dei modelli di governance, la Regione Puglia è capofila del progetto FAMI “COM&IN”. Tale progettualità intende provvedere al rafforzamento di reti di governance regionale e al coordinamento a livello territoriale 140 Pace e diritti umani nel Mediterraneo tra istituzioni, enti locali e associazioni del terzo settore, ai fini di qualificare l’offerta dei servizi rivolti ai cittadini di Paesi terzi. All’interno di tale obiettivo generale, s’intende migliorare la capacità dei pubblici uffici e degli operatori degli ambiti sociali di fornire servizi mirati all’utenza straniera. Previsti, inoltre, specifici interventi sia per la promozione delle competenze del personale della Pubblica Amministrazione sia per favorire l’innovazione dei processi organizzativi di accoglienza ed integrazione dei cittadini stranieri. Tra gli obiettivi, ancora, quello di sviluppare reti istituzionali per la gestione dei fenomeni migratori, nonché promuovere l’inclusione dei temi dell’integrazione all’interno della programmazione e dell’attuazione degli interventi di politica sociale. Cosi come, sempre in funzione del rafforzamento dei modelli di governante, la nostra Regione è capofila del progetto “SU.PR.EME ITALIA” (all’interno dei FAMI - Misure emergenziali). Obiettivo principale: realizzare un Piano Straordinario Integrato di interventi a contrasto e superamento di tutte le forme di grave sfruttamento lavorativo e di grave marginalità/vulnerabilità insistenti nei territori delle 5 Regioni del Sud partner (Puglia, Calabria, Basilicata, Sicilia, Campania), con particolare focus alle aree territoriali oggetto di recente commissariamento prefettizio da parte del Governo per Castelvoturno (CE), Manfredonia (FG) e San Ferdinando (RC) e ad altre aree che presentano medesime condizioni di allarme sociale derivanti dalla elevata concentrazione di cittadini di paesi terzi regolarmente presenti. Nel settore dell’Informazione e Comunicazione, la Regione Puglia ha attivato l’Azione 03 del FAMI Multiazione IMPACT “Servizi di informazione qualificata, attraverso canali regionali e territoriali di comunicazione”. L’intervento in oggetto si pone l’obiettivo di favorire un’informazione integrata e completa sui servizi e sulle opportunità presenti sul territorio nazionale, in particolare attraverso la valorizzazione di strumenti di comunicazione istituzionale e il consolidamento delle reti esistenti dal livello locale fino a quello nazionale. E questo attraverso lo strumento del Portale Integrazione Migranti, quale punto di raccordo nazionale di informazioni e diffusione di esperienze virtuose realizzate a livello territoriale. Accanto alla progettazione FAMI, poi, vi sono quattro candidature ai PON 141 Pace e diritti umani nel Mediterraneo LEGALITÀ 2018 riguardanti rispettivamente: agricoltura sociale innovativa; attivazione di cliniche mobile; mediazione linguistica e culturale; gestione emergenza abitativa lavoratori migranti stagionali. Inoltre, sussiste una candidatura al PON INCLUSIONE 2014–20120 che vede la nostra regione essere capofila, in partenariato con le altre quattro regioni meridionali (Sicilia, Campania, Basilicata e Calabria), del progetto “P.I.U. – SUPREME - Percorsi Individualizzati di Uscita dallo sfruttamento”. Intervento, questo, con il quale si vuole strutturare un’azione di sistema interregionale, finalizzato a contrastare il fenomeno del lavoro irregolare e dello sfruttamento, integrando e rafforzando le diverse iniziative di contrasto e di prevenzione. In raccordo con le 5 regioni e con i soggetti firmatari del protocollo nazionale anti-caporalato, infatti, si intende programmare un insieme combinato di interventi di supporto all’integrazione (sociale, sanitaria, abitativa) e di politica attiva, finalizzati a sostenere percorsi individualizzati di accompagnamento all’autonomia dei destinatari, restituendo trasparenza e dignità all’incontro tra domanda e offerta di lavoro. La Regione puglia è capofila, infine, in partenariato con la Rete regionale delle associazioni territoriali11 di riferimento, del progetto “La Puglia non Tratta II, insieme per le vittime”, teso a contrastare la discriminazione razziale e la tratta degli esseri umani finalizzata allo sfruttamento sessuale e/o lavorativo. 6. L’esperienza dell’azienda regionale “Fortore” e “Casa Sankara” Con la Delibera di Giunta Regionale n.596 del 26 aprile 2016, la Regione Puglia ha provveduto all’affidamento della gestione temporanea dell’Azienda agricola di proprietà regionale “Fortore” (comprensiva di 20 ettari di terra) all’Associazione di immigrati “Ghetto Out – Casa Sankara”, al fine di sperimentare nuove pratiche di inclusione socio-lavorativa e per far fronte all’emergenza abitativa dei lavoratori migranti della Capitanata. Il progetto in questione assume una valenza molto 11 Cooperativa sociale Atuttotenda, Cooperativa sociale C.A.P.S., Associazione Giraffa Onlus, Cooperativa sociale IRIS, Associazione Micaela Onlus, Cooperativa sociale Oasi2 - San Francesco Onlus, Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII. 142 Pace e diritti umani nel Mediterraneo particolare, perché viene portato avanti in un territorio dove, indubbiamente, molteplici e problematiche sono le dinamiche legate all’immigrazione. Oggi l’azienda agricola “Fortore”, attraverso il lavoro svolto dall’Associazione “Ghetto out –Casa Sankara” e la “Cooperativa Africa Di Vittorio”, nonché grazie al supporto diretto da parte della Regione Puglia, incarna appieno il concetto di speranza. Il Fortore, ormai, rappresenta un simbolo nazionale nella lotta di contrasto al caporalato e nel processo di autodeterminazione dei lavoratori migranti stagionali. Un gruppo di persone che ha creduto, fin da subito, nella possibilità di costruire percorsi inediti, inclusivi, solidali. Strade e strumenti fortemente alternativi a quei modelli di coercizione che costringono i lavoratori migranti a “sopravvivere” nel degrado e nell’emarginazione. In questo luogo, infatti, e già da tempo, si cerca di praticare quotidianamente il pieno riconoscimento dei diritti umani e della dignità di quei lavoratori extracomunitari, tanto vessati, quanto, però, indispensabili al mantenimento di un settore trainante della nostra terra, l’agricoltura. Fortore è un progetto nato sulla base di una grande sinergia intercorsa tra Istituzioni e Terzo settore. Una risposta di dignità e di legalità atta a realizzare una filiera di qualità nella produzione agricola, finalmente libera dalla triste piaga del caporalato e dello sfruttamento lavorativo. Non è un caso che 300 lavoratori migranti ‘fuoriusciti’ dal “Gran ghetto” nel marzo 2017 abbiano deciso, alla fine, di affidarsi all’Istituzione Regione Puglia e agli operatori di Casa Sankara e della Cooperativa Di Vittorio. Entrando nello specifico, diverse ed articolate sono le finalità del progetto che contraddistinguono l’attività dell’Azienda Fortore. Tra queste, l’istituzione di campi dimostrativi capaci di promuovere un’agricoltura a basso impatto ambientale ma ad alto impatto sociale, come l’agricoltura biologica e integrata. Sono previste, ancora, diverse azioni progettuali mirate al recupero della biodiversità. Attraverso, ad esempio, l’introduzione e valorizzazione di specie o varietà ormai poco coltivate, poiché considerate poco remunerative, ma che presentano, comunque, un loro “mercato di nicchia” e un valore ambientale-culturale da recuperare. L’Azienda 143 Pace e diritti umani nel Mediterraneo agricola “Fortore”, quindi, rappresenta a tutti gli effetti un modello sperimentale dove è possibile portare avanti un percorso di legalità legato al lavoro stagionale in agricoltura, attraverso il quale realizzare una filiera “regolare” fuori dalle dinamiche criminali che contraddistinguono il “caporalato”. Il Fortore attualmente ospita circa 200 persone, tra queste vi sono anche alcune famiglie con bimbi al seguito (regolarmente iscritti nelle scuole), che provengono dalla difficile “esperienza di vita” consumata all’interno del “Gran Ghetto”. 7. Flusso dei migranti in Puglia: approdi non regolari e sbarchi controllati Si può affermare con certezza che la Puglia, ad oggi, continua ad essere coinvolta, anche in maniera rilevante, nelle dinamiche connesse ai “processi migratori” di età moderna. Nell’ambito dell’operazione “Sophia” della missione europea “EUNAVFOR Med”, infatti, i porti delle città di Brindisi, Taranto e Bari sono stati individuati quali luoghi ove effettuare sbarchi di migliaia di profughi tratti in salvo nel Canale di Sicilia e nel Mediterraneo. Così come continuano approdi “irregolari” di profughi provenienti dai paesi di transito quali Turchia e Grecia che, a bordo di natanti di medie dimensioni, giungono direttamente sulle coste del Salento, del brindisino e in alcuni casi anche del Gargano. Tra dicembre 2015 e il 1° settembre 2019, i migranti giunti nella nostra Regione (attraverso approdi non regolari, oppure per il mezzo di sbarchi controllati – operazione Sophia Eunavfor Med) ammontano a 19.762, di questi 2.240 sono rappresentati da minori (diverse centinaia quelli privi di accompagnamento). 7.1. Approdi non regolari Nello specifico, tra il gennaio 2016 e il 1° settembre 2019, gli approdi irregolari sono stati 86, per un totale di 4.453 migranti, di cui 580 minori. Diverse le nazionalità di provenienza: somali, siriani, afghani, irakeni, palestinesi, pakistani, iraniani, yemeniti, curdi e kosovari. L’ultimo sbarco non regolare in ordine cronologico risale allo scorso 1° settembre 2019, a S. M. di Leuca, con 35 profughi di nazionalità irachena e curda (di cui 7 minori). I profughi che giungono sulle nostre coste per il 144 Pace e diritti umani nel Mediterraneo mezzo di questa modalità (natanti partiti da Grecia e Turchia e approdati direttamente in Puglia) sono accolti, prevalentemente, presso il C.P.S.A. (Centro di Primo soccorso e accoglienza) “Don Tonino Bello” di Otranto e all’interno dei tre C.A.R.A (Centro di accoglienza richiedenti asilo) di Restinco (Brindisi), Palese (Bari), Borgo Mezzanone (Manfredonia). La figura 1 mostra la distribuzione temporale degli sbarchi: le maggiori consistenze si registrano sul finire del 2016. Successivamente si assiste sia a un calo della numerosità degli sbarchi che a una flessione abbastanza pronunciata del numero di migranti. Fig. 1 – Numero di profughi/immigrati non regolari per data di approdo. Periodo gennaio 2016 – 1° settembre 2019 (valori assoluti). 200 198 180 169 160 140 120 113 100 95 89 84 80 75 86 75 70 64 62 60 52 37 36 12 15 53 52 63 62 55 17 19 75 72 71 70 75 74 63 56 55 50 43 62 60 47 70 62 59 55 47 41 34 14 35 34 32 28 27 21 6 80 73 73 49 48 36 25 12 83 78 70 43 24 20 52 50 45 40 35 20 54 53 52 48 73 11 4 7 18 18 18 17 15 9 13 11 18 16 11 11-gen-16 31-mar-16 04-mag-16 11-mag-16 17-mag-16 23-mag-16 31-mag-16 02-giu-16 11-giu-16 19-giu-16 22-giu-16 29-giu-16 27-lug-16 28-lug-16 12-ago-16 01-set-16 02-set-16 05-set-16 12-set-16 14-set-16 25-set-16 04-ott-16 09-ott-16 17-ott-16 24-ott-16 25-ott-16 26-nov-16 28-nov-16 31-dic-16 03-gen-17 05-feb-17 09-feb-17 10-apr-17 12-apr-17 28-apr-17 05-mag-17 15-mag-17 02-giu-17 05-giu-17 08-giu-17 08-giu-17 01-lug-17 31-lug-17 10-ago-17 11-ago-17 25-ago-17 07-set-17 09-set-17 18-set-17 30-set-17 30-set-17 11-ott-17 20-ott-17 23-ott-17 01-dic-17 22-feb-18 08-mar-18 06-mag-18 06-mag-18 14-mag-18 25-mag-18 15-giu-18 16-lug-18 23-lug-18 23-lug-18 31-lug-18 16-ago-18 16-ago-18 23-ago-18 26-ago-18 13-set-18 15-set-18 13-ott-18 02-nov-18 03-nov-18 24-mar-19 08-apr-19 23-apr-19 08-mag-19 03-giu-19 06-lug-19 21-lug-19 22-lug-19 28-lug-19 31-lug-19 06-ago-19 11-ago-19 20-ago-19 30-ago-19 01-set-19 0 Elaborazioni IPRES (2019) su fonti diverse. Il mezzo di trasporto impiegato più frequentemente è la barca a vela: circa 1.900 unità sono giunti con questo mezzo (47% del totale); anche il gommone ed il veliero hanno favorito l’approdo di circa 750 migranti. La scelta di imbarcazioni di piccole dimensioni sembra essere imputabile al tentativo, da parte degli scafisti, di non destare eccessivi sospetti nelle forze dell’ordine sfuggendo ai radar e confondendo i natanti fra quelli che normalmente affollano le coste salentine durante la stagione estiva. 145 Pace e diritti umani nel Mediterraneo Tab. 1 – Numero di profughi/migranti per mezzo di approdo e genere. Periodo gennaio 2016 - 1° settembre 2019 (valori assoluti).12 Mezzo di approdo Profughi/mi granti Barca a vela battente bandiera greca 97 Barca a vela battente bandiera inglese 34 Barca a vela battente bandiera montenegrina 89 Di cui: Uomini Donne Minori 7 17 Barca a vela battente bandiera tedesca 104 25 Barca a vela battente bandiera turca 158 34 Barca a vela battente bandiera USA 232 Barca a vela battente bandiera pakistana 87 6 73 Barca a vela 1464 19 19 398 73 185 Cabinato di 17 metri battente bandiera USA 113 2 Gommone 214 35 Imbarcazione 13 metri 222 22 Imbarcazione da diporto battente bandiera slovena 9 6 2 1 Motoveliero 73 15 Scafo 13 Scafo vetroresina 12 Semicabinato 22 Veliero battente bandiera Turca 63 Yatch 84 25 25 34 Veliero 481 43 7 81 N.D. 726 50 29 107 7 3 8 7 3 17 Elaborazioni IPRES (2019) su fonti diverse. 12 A volte le voci “di cui” non sono disponibili e si riporta solo il totale aggregato o il totale non corrisponde alla somma dei dati parziali. 146 Pace e diritti umani nel Mediterraneo I mesi in cui si concentrano il maggior numero di sbarchi sono quelli estivi, tra luglio e settembre, nei quali si verifica oltre il 45% degli approdi; seguono i mesi di maggio, giugno e ottobre. Sebbene episodici, alcuni sbarchi si verificano anche durante i mesi più freddi (tra novembre e marzo). Fig. 2 - Profughi/migranti per mese di approdo. Periodo gennaio 2016 - 1° settembre 2019 (valori percentuali sul totale complessivo dei profughi/migranti approdati nel medesimo periodo). 18 15,8 15,5 16 14,0 14 12 10,1 10 8,8 8 8,8 7,3 6,6 5,5 6 3,5 4 2 2,0 2,1 0 Elaborazioni IPRES (2019) su fonti diverse. Con riferimento alla localizzazione e alla consistenza degli sbarchi lungo la costa, S. M. di Leuca, Gallipoli e Otranto sono i principali punti di accesso, sebbene approdi si verifichino in maniera sparsa lungo l’intera costa. 147 Pace e diritti umani nel Mediterraneo Fig. 3 - Numero di sbarchi per punto di approdo. Periodo gennaio 2016 - 1° settembre 2019 (valori assoluti). Vieste 3 Torre Colimena - Avetrana 2 Isole Tremiti 1 Vernole - Oasi le Cesine 1 Ugento 2 Tricase 5 Torre Vado 1 Torre San Gennaro - Brindisi 1 Santa Cesarea Terme - Otranto 2 San Foca 1 San Cataldo 1 S. Maria di Leuca 19 Porto Badisco 6 Otranto 11 Marina di Novaglie - Alessano 3 Gallipoli 17 Gagliano del Capo 1 Corsano S. Maria di Leuca 2 Cerano - Brindisi 2 Castro marina 2 Castrignano del Capo-S. Maria di Leuca 0 Brindisi 3 0 2 4 6 Elaborazioni IPRES (2019) su fonti diverse. 148 8 10 12 14 16 18 20 Pace e diritti umani nel Mediterraneo Fig. 4 - Numero di profughi/migranti per punto di approdo. Periodo gennaio 2016 - 1° settembre 2019 (valori assoluti). Torre Vado 6 Isole tremiti 18 San Cataldo 25 Vernole - Oasi le Cesine 28 Gagliano del Capo 34 Corsano S. Maria di Leuca 40 Santa Cesarea Terme - Otranto 90 Torre Colimena - Avetrana 156 Torre San Gennaro - Brindisi 73 San Foca 73 Castro marina 91 Brindisi 93 Marina di Novaglie - Alessano 103 Ugento 112 Cerano - Brindisi 134 Vieste 176 Tricase 223 Porto Badisco 259 Castrignano del Capo-S. Maria di Leuca 315 Gallipoli 813 S. Maria di Leuca 810 Otranto 781 0 100 200 300 400 500 600 700 800 900 Elaborazioni IPRES (2019) su fonti diverse. La tabella 2 illustra la nazionalità dei migranti approdati; in molti casi il dettaglio per singola provenienza non è possibile e il dato è aggregato. Tuttavia sono abbastanza chiari i flussi maggiormente consistenti (Afghanistan Pakistan, Iran). 149 Pace e diritti umani nel Mediterraneo Tab. 1 – Numero di profughi/migranti per nazionalità e per genere. Periodo gennaio 2016 - 1° settembre 2019 (valori assoluti).13 Nazionalità Profughi/mi granti Iraq, Iran 34 Iraq, Iran, territori Kurdistan 24 Di cui: Uomini Donne 33 Minori 1 5 Iraq, territori del Kurdistan 399 88 16 18 Pakistan 113 20 Pakistan, India 63 17 Pakistan, India, Nepal 75 10 Pakistan, Kurdistan siriano 72 Iraq, Pakistan 70 Iraq, Pakistan, Afghanistan 49 Iran 50 Iran, Iraq e territori Kurdistan 86 Iran, Iraq, Pakistan 43 Iran, Iraq, Pakistan, Afghanistan 74 Iran, Iraq, Siria 36 12 Iran, Iraq, Somalia 62 6 8 24 Pakistan 531 Pakistan, Siria 347 47 Pakistan, Somalia 73 15 Pakistan, Sri Lanka 95 21 Siria, territori Kurdistan 43 11 111 27 36 8 Afghanistan Afghanistan, Iran, Iraq, Egitto, Pakistan, Marocco, Siria, Somalia 13 128 43 A volte le voci “di cui” non sono disponibili e si riporta solo il totale aggregato o il totale non corrisponde alla somma dei dati parziali. 150 Pace e diritti umani nel Mediterraneo Nazionalità Profughi/mi granti Afghanistan, Iran, Pakistan Di cui: Uomini Donne Minori 258 20 Afghanistan, Iran, Pakistan, Yemen, Somalia 45 20 Afghanistan, Pakistan, Somalia 52 39 5 8 Afghanistan, Pakistan, Siria, Iran 75 44 19 12 Afghanistan, Pakistan, Siria, Somalia 105 59 11 35 Iraq 397 76 17 62 Iraq e territori Kurdi 64 Iraq, Afghanistan 108 Iraq, Afghanistan 70 Iraq, Iran 19 25 25 41 24 6 2 1 Iraq, Siria 13 7 3 3 Iraq, Siria, Somalia 17 17 Kosovo Kosovo, territori del Kurdistan Kurdistan iracheno 4 2 48 12 145 27 65 6 138 70 6 27 Somalia 50 22 29 1 Somalia, Siria 12 Somalia, Siria, Palestina, 12 4 4 4 Somalia, Siria, Palestina, Iran, Egitto 20 N.D. 78 4 9 5 Pakistan Siria 17 31 21 Elaborazioni IPRES (2019) su fonti diverse. 7.2. Sbarchi controllati Per quanto attiene, invece, agli sbarchi controllati, tra il dicembre 2015 e il dicembre 2018 si sono registrati nei porti di Taranto, Brindisi e Bari ben 28 approdi, per un totale di 15.309 persone, di questi 1.660 sono minori. Diverse le nazionalità di 151 Pace e diritti umani nel Mediterraneo provenienza: somali, eritrei, nigeriani, sudanesi, egiziani, senegalesi, congolesi, ivoriani, maliani e siriani. In tal caso, quasi tutti i profughi sono stati condotti presso l’Hotspot di Taranto per le pratiche di identificazione e alcuni di loro successivamente sono stati trasferiti presso altre strutture dislocate in Italia. Da sottolineare, al riguardo, che nel corso del 2018 non si sono più registrai sbarchi controllati in territorio pugliese (l’ultimo risale ad ottobre 2017 nel Porto di Taranto). Fig. 5 – Numero di profughi/migranti per data dello sbarco controllato. Periodo dicembre 2015-1° settembre 2019 (valori assoluti). 20/10/2017 15/07/2017 14/07/2017 30/05/2017 27/05/2017 26/05/2017 22/05/2017 21/05/2017 17/04/2017 27/10/2016 25/10/2016 14/09/2016 12/09/2016 07/09/2016 31/08/2016 28/06/2016 26/06/2016 11/06/2016 30/05/2016 28/05/2016 26/05/2016 23/05/2016 26/04/2016 13/04/2016 18/03/2016 30/01/2016 07/12/2015 405 644 860 402 476 465 969 248 410 347 521 391 293 581 1786 905 1286 653 346 706 294 276 307 324 400 411 603 0 500 1000 1500 2000 Elaborazioni IPRES (2019) su fonti diverse. 152 Pace e diritti umani nel Mediterraneo Tab. 3 – Numero totale di profughi/migranti giunti con sbarchi controllati nei porti di Bari, Taranto e Brindisi. Periodo dicembre 2015 – 1° settembre 2019 (valori assoluti). Data Soccorso presso porto di: Bari Brindisi Taranto Totale complessivo 07/12/2015 603 603 30/01/2016 411 411 18/03/2016 400 400 13/04/2016 324 324 26/04/2016 307 307 23/05/2016 276 276 26/05/2016 294 28/05/2016 294 706 706 30/05/2016 346 346 11/06/2016 653 653 26/06/2016 1.286 1286 28/06/2016 905 905 1.078 1.786 07/09/2016 581 581 12/09/2016 293 293 31/08/2016 708 14/09/2016 391 25/10/2016 521 27/10/2016 347 17/04/2017 21/05/2017 391 521 347 410 248 410 248 22/05/2017 969 969 26/05/2017 465 465 27/05/2017 476 476 30/05/2017 402 402 14/07/2017 860 860 153 Pace e diritti umani nel Mediterraneo 15/07/2017 644 644 20/10/2017 Totale complessivo 892 5.763 405 405 8.654 15.309 Elaborazioni IPRES (2019) su fonti diverse. Tab. 4 – Numero totale di profughi/migranti giunti con sbarchi controllati nei porti di Bari, Taranto e Brindisi per mezzo di soccorso. Periodo dicembre 2015 – 1° settembre 2019 (valori assoluti). Mezzo di soccorso Soccorso presso porto di: Bari Brindisi Fregata "Karlsruhe" della Marina Militare Tedesca 294 Guardia Costiera Guardia Costiera "Nave Peluso" 294 969 248 969 248 Guardiapesca "Acquarius", ONG "Sos Méditerranée" Marina Militare Inglese Taranto Totale complessivo 1.251 644 521 402 1.772 1.046 Nave "Aliseo" della Marina Militare Italiana 411 411 Nave "Aviere" della Marina Militare Italiana 1.003 1.003 Nave "Hms Enterprise" della Marina Militare Inglese 708 Nave "Zeffiro" Marina Militare Italiana 708 405 405 Nave “Topaz Responder” dell’Associazione MOAS (Migrant Offshore Aid Stations) 347 347 Nave cargo battente bandiera Antigua e Barbuda 476 476 Nave d'appoggio "Frankfurt am Main" della Marina Militare Tedesca 1.286 1.286 Nave Mercantile 465 154 465 Pace e diritti umani nel Mediterraneo Soccorso presso porto di: Taranto Totale complessivo Nave militare spagnola "Rio Segura" 874 874 Nave MSF 410 410 1.078 1.731 307 307 1.611 1.611 Mezzo di soccorso Bari Nave norvegese "Siem Pilot" Brindisi 653 Nave portacontainer "Hamburg Bridge" bandiera panamense Nave spagnola "Reina Sofia" Pattugliatore irlandese "Roisin" 346 Pattugliatore spagnolo “Rio Segura" Totale complessivo 892 5.763 346 276 276 8.654 15.309 Elaborazioni IPRES (2019) su fonti diverse. Fig. 6 – Sbarchi controllati ed irregolari per porto, per consistenza e per mezzo di approdo (dicembre 2015-dicembre 2018). Elaborazioni IPRES (2019) su fonti diverse. 155 Pace e diritti umani nel Mediterraneo 8. Conclusioni La Regione Puglia promuove la realizzazione di un sistema integrato di interventi e servizi per la piena integrazione degli immigrati, orientato ad acquisire una conoscenza strutturata dei flussi migratori, anche ai fini dell’inserimento nel mercato del lavoro, mediante la diffusione e lo scambio di buone pratiche e di iniziative volte a: a) contrastare le forme di discriminazione; b) a promuovere la conoscenza della cultura italiana, per attuare pienamente una reciproca integrazione culturale; c) a garantire agli immigrati pari opportunità; d) a contrastare i fenomeni criminosi e lo sfruttamento; e) a promuovere la partecipazione degli immigrati alla vita pubblica locale.14 Diversi e complementari sono i campi di azione previsti, sulla base delle esigenze manifestate dalle persone straniere, che concernono specificamente la sfera culturale, linguistica, economica, lavorativa e socio-sanitaria. Al 1° gennaio 2018 i residenti stranieri presenti in Puglia sono 134.351, con un’incidenza del 3,3% sul totale della popolazione, valore inferiore a quello registrato nel Sud Italia (4,5%) e ancora lontano da quello nazionale (8,5%). Rispetto al 2017 si registra un aumento del 5% dei residenti stranieri, con incrementi superiori al 6% nelle province di Foggia e Taranto; variazione significativa, soprattutto se confrontata con quella che ha interessato l’intero territorio nazionale (+ 1,9%). Tra i residenti stranieri, i Paesi maggiormente rappresentati sono Romania (26,5%), Albania (17,0%) e Marocco (7,2%). Questa graduatoria si conferma nelle province di Brindisi, Lecce e Barletta-Andria-Trani, mentre nelle altre si registrano scostamenti molto significativi che comunicano informazioni di particolare importanza rispetto al contesto migratorio regionale. Nella provincia di Foggia, ad esempio, la Romania raggiunge il 40,6%, staccando nettamente Marocco (9,5%) e Albania (8,5%), mentre nella provincia di Bari si conferma l’alta percentuale dell’Albania (28,0%), seguita da Romania (13,4%) e Georgia (7,7%). Dato, quest’ultimo, che assume maggiore rilevanza se si considera che nel capoluogo pugliese risiede il 22% dei georgiani presenti in Italia. 14 Cft. art 3 L.R. 32/2009. 156 Pace e diritti umani nel Mediterraneo Il dato relativo agli immigrati presenti in Puglia nelle strutture di accoglienza evidenzia al 1° dicembre 2016 una quota di 11.795 unità; al 1° dicembre 2017, invece, risultano 12.576, con un aumento percentuale del 6,6%. In linea, di fatto, con il dato registrato a livello nazionale (+6,0%). Da sottolineare la situazione esistente all’interno dei Centri di accoglienza straordinaria (CAS) istituiti con Circolare del Ministero dell’Interno n. 104 dell’8 gennaio 2014, che al 1° dicembre 2017 ospitano 7.483 persone, circa il 60% del dato totale. In Puglia, il 45,5% dei permessi di soggiorno a termine viene rilasciato per motivi riguardanti l’asilo e le diverse forme di protezione (con una preponderanza di richieste d’asilo), seguono, poi, i motivi familiari (26%) e il lavoro (23,1%). Dalla lettura della composizione di base della Rete SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti asilo e Rifugiati), aggiornata al 31 luglio 2018, si rileva che in Puglia i posti compresi nel sistema SPRAR, distribuiti in 112 progetti (93 gli Enti Locali titolari), sono passati da 2.933 del 2017 a 3.459 del 2018, registrando, quindi, un aumento dell’17,9%. La quantità di progetti SPRAR posiziona di fatto la Puglia al terzo posto in Italia dopo Calabria e Sicilia. Alla luce di questi dati si evince come e quanto la Puglia continui a mantenere, a tutt’oggi, la sua particolare peculiarità di “Regione di frontiera” e tale aspetto lo si consta, come abbiamo avuto modo di osservare, soprattutto in funzione di numerosi approdi non regolari e sbarchi controllati di migranti, registratisi nel corso degli ultimi tre anni. In funzione delle attuali decisioni adottate a livello internazionale, tendenti a regolamentare maggiormente i flussi dei migranti provenienti dalla rotta del Mediterraneo centrale, non è da escludere che si possa riaprire il corridoio “Adriatico”. Alcuni segnali in tal direzione, infatti, si sono già avuti, si pensi, ad esempio, ai tre sbarchi di profughi che si sono verificati tra aprile e giugno 2017 sulle coste del Gargano. Obiettivamente, gli approdi irregolari che si sono susseguiti negli ultimi tre anni in Puglia non sono paragonabili agli sbarchi degli anni Novanta dello scorso secolo. Quello che desta maggiori preoccupazioni in età moderna, però, è il traffico di esseri 157 Pace e diritti umani nel Mediterraneo umani. Ad oggi si continua a solcare le onde, ma a bordo di barche a vela pilotate da skipper professionisti (gli scafisti che evolvono in velisti). Si intraprendono traversate tentando di navigare inosservati, anche se di rado si violano le maglie di controllo dei guardacoste dotati di sofisticate tecnologie che presidiano le acque del Salento, porta d’ingresso dell’Europa. Indicatori che, purtroppo, conducono all’esistenza di organizzazioni criminali internazionali, presenti in più Paesi del Mediterraneo; un fenomeno difficile da contrastare, che negli ultimi anni sta registrando, però, un’attenzione sempre maggiore da parte degli attori del mondo istituzionale. 9. Bibliografia e sitografia Banca Dati Servizio Centrale SPRAR, 2017. Dossier Statistico Immigrazione 2018, Centro Studi e Ricerche IDOS. Dossier Statistico – Commissione Parlamentare di Inchiesta sul sistema di Accoglienza, di Identificazione ed Espulsione - 23 Gennaio 2017. IPRES, Puglia Regione di frontiera – I percorsi scientifici e l’impegno istituzionale di Salvatore Distaso, Cacucci Editore, Bari, 2009. Mastrorocco N., Calò E., Nota tecnica IPRES n. 13, Caratteri e struttura della popolazione straniera residente in Puglia, 2016. Mastrorocco N., Labellarte G., Occhiofino G., Nota tecnica IPRES n. 4, Approdi non regolari e sbarchi controllati di migranti sulle coste della Puglia, 2017. Mastrorocco N. Occhiofino G., Nota tecnica IPRES n. 2, Approdi non regolari e sbarchi controllati di migranti sulle coste della Puglia nell’ultimo triennio, 2019. Mastrorocco N., Calò E., Il fenomeno migratorio e il processo di integrazione della popolazione straniera in Puglia. Policy in atto e “modello partecipativo”, in Quaderni IPRES n. 11, Cacucci Editore. 2019. Mastrorocco N., Occhiofino G., Politiche di integrazione e flussi migratori non regolari, in Rapporto Puglia 2018 Cacucci Editore, ISBN 978-88-6611-814-5, 2019. Protocollo Sperimentale contro il caporalato e lo sfruttamento lavorativo in 158 Pace e diritti umani nel Mediterraneo agricoltura “Cura - Legalità - Uscita dal Ghetto”, Roma 27 maggio 2016. Rapporto OIM La tratta di esseri umani attraverso la rotta del Mediterraneo centrale: dati, storie e informazioni raccolte dall’OIM, settembre 2017. Relazione Camera dei Deputati - Commissione Parlamentare di Inchiesta sul sistema di Accoglienza e di Identificazione ed Espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate, 3 maggio 2016. Delibera della Giunta Regionale Puglia n. 72 del 23 giugno 2016. Legge 13 aprile 2017, n. 46, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, recante disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell’immigrazione illegale. Delibera della Giunta Regionale Puglia n. 906 del 07 giugno 2017. Delibera di Giunta Regionale Puglia n. 6 del 12 gennaio 2018. UNHCR, Rapporto Focus Group sul tema dell’integrazione, aprile 2017. Decreto Presidente della Giunta Regionale Puglia n.443 del 31 luglio 2015. https://www.istat.it/ https://www.sprar.it/wp-content/uploads/2018/11/Atlante-Sprar-2017_Light.pdf http://www.italy.iom.int http://www.libertaciviliimmigrazione.dlci.interno.gov.it/it http://www.osservatoriomigranti.org https://www.amnesty.it/rapporti-annuali/rapporto-annuale-2016-2017 159 160 MAURO SPEDICATI La gestione del fenomeno migratorio in Puglia: strumenti normativi e strategie politiche Abstract Negli ultimi anni la Puglia ha sviluppato un sistema di ospitalità e integrazione dei migranti che trova la sua base giuridica in alcune strategie politiche e strumenti normativi, il cui punto di partenza è la Carta della Regione del 2004. Il contributo analizza lo sviluppo della questione, la visione politica e l'efficacia degli strumenti giuridici attuati dalla Regione. Keywords: migration policies; political strategies; hospitality; integration; regional plan; council; observatory Introduzione. Nell'ambito del complesso sistema giuridico e politico di gestione del fenomeno migratorio, che coinvolge a titolo diverso e con diverse competenze attori istituzionali e sociali a livello internazionale, nazionale e locale, la Regione Puglia è ormai da un decennio impegnata in un'intensa attività di implementazione delle proprie prerogative in materia attraverso l'elaborazione di strumenti normativi e la costituzione di strutture regionali che abbiano come obiettivo primario la realizzazione effettiva non soltanto di un sistema di accoglienza, ma anche di reale integrazione sociale degli stranieri presenti sul territorio. Si tratta, come si vedrà, di un'attività che rivela da un lato lo slancio ideale di cui è capace una Regione di frontiera, chiamata a confrontarsi quotidianamente con le conseguenze che le ondate migratorie comportano, e dall'altro lato le difficoltà di far seguire alle enunciazioni di principio un concreto processo di coinvolgimento degli attori del territorio, nella prospettiva della costruzione di una comunità regionale pienamente inclusiva. 1. Lo Statuto regionale. Per ripercorrere sinteticamente l'evoluzione delle strategie normative messe in campo dalla Regione Puglia nella gestione del fenomeno migratorio, nelle molteplici sfaccettature in cui esso si presenta nel territorio di riferimento, il punto di partenza deve essere necessariamente costituito dal documento giuridico fondamentale della Regione, vale a dire dallo Statuto, approvato dal Consiglio Regionale con la 161 Pace e diritti umani nel Mediterraneo deliberazione n. 155 dell'ottobre 2003 e confermato, in seconda lettura, con deliberazione n. 165 del febbraio 2004, e da alcuni principi a portata generale che esso enuncia. Sono due, in particolare, gli articoli che richiamano in maniera esplicita la condizione dello straniero, i suoi diritti e le connesse attività di accoglienza e integrazione che la Regione decide di abbracciare. L’art. 3 stabilisce, infatti, che «la Regione riconosce nella pace, nella solidarietà e nell'accoglienza, nello sviluppo umano e nella tutela delle differenze, anche di genere, altrettanti diritti fondamentali dei popoli e della persona, con particolare riferimento ai soggetti più deboli, agli immigrati e ai diversamente abili».1 Gli immigrati vengono, dunque, immediatamente riconosciuti come appartenenti ad una fascia di popolazione meritevole di un'attenzione specifica, al pari di altre categorie protette; allo stesso modo la Regione attribuisce alla solidarietà e all'accoglienza la qualità di diritti fondamentali da riconoscere all'individuo, facendone in questo modo fondamento dell'azione dei suoi organi politici. Se il primo riferimento assume, come detto, il valore di una altissima benché generica enunciazione di massima, sia per il suo contenuto, sia per la collocazione all'interno del Titolo I dello Statuto, il secondo riferimento esplicito allo status dei migranti operato nel testo avrebbe dovuto avere, nell'intenzione del legislatore regionale, una portata molto più fattiva, essendo collocato all'interno del capo II del Titolo IV, che disciplina gli organi a rilevanza statutaria. L'art. 50, in particolare, istituisce presso il Consiglio regionale le Autorità di garanzia, «con poteri di accesso agli atti normativi e amministrativi e con funzioni di tutela e salvaguardia, nell'interesse della più compiuta fruizione dei diritti garantiti.»2 Nel dettaglio, tra le Autorità di garanzia, accanto al Consiglio generale dei pugliesi nel mondo e al Comitato per l'informazione e la comunicazione (il cosiddetto CO.RE.COM), avrebbe dovuto assumere una autonoma e specifica rilevanza l'Ufficio della difesa civica, al quale, tra gli altri compiti, era (ed è tuttora) assegnata la possibilità di intervenire «nella tutela dei diritti e dei principi fondamentali di cui agli articoli 3 e 1 2 Statuto della Regione Puglia, art. 3, in Bollettino Ufficiale della Regione Puglia - n. 17 dell'11/2/2004. Statuto, art. 50, cit. 162 Pace e diritti umani nel Mediterraneo 6, nella tutela non giurisdizionale dell'infanzia, degli adolescenti e dei minori, nella tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali degli immigrati, nella tutela dei diritti e degli interessi dei consumatori e degli utenti.»3 La funzione assegnata a tale Ufficio era, in altre parole, quella di intermediazione tra gli organi politici e istituzionali e la comunità regionale, riferendo direttamente al Consiglio regionale e tuttavia mantenendo rispetto ad esso un carattere ausiliario, connotato peraltro da profili di indipendenza. Composto da cinque componenti eletti dallo stesso Consiglio, l'Ufficio della difesa civica si sarebbe attivato su domanda o di propria iniziativa, secondo criteri e procedure non giurisdizionali, affinché gli organi e le strutture competenti ponessero rimedio agli abusi, alle irregolarità e alle iniquità accertati nei settori di intervento dello stesso Ufficio, e ne rimuovessero le cause. «L'Ufficio di difesa civica» – si legge tuttora nello Statuto regionale – «integra e coordina la propria attività con quelle delle analoghe istituzioni che operano ai diversi livelli istituzionali in ambito locale, nazionale e internazionale.»4 L'Ufficio avrebbe, quindi, dovuto svolgere una essenziale funzione di raccordo tra le istanze della collettività e le istituzioni deputate a prenderle in esame, e si sarebbe caratterizzato come fondamentale strumento a disposizione delle fasce più deboli della popolazione, quali appunto i migranti: la sua istituzione non ha tuttavia mai avuto piena attuazione, lasciando disattese le pur valide affermazioni di principio contenute nella normativa che lo regola. A tal proposito, è del settembre 2019 una proposta di modifica dell'art. 50 dello Statuto, che suggerisce la sostituzione dell'Ufficio di difesa civica con la figura, peraltro prevista nello Statuto regionale del 1981, del difensore civico che, riassumendo in un'unica persona le funzioni oggi astrattamente attribuite all'ufficio, nell'auspicio del gruppo politico promotore della proposta in seno al Consiglio regionale potrebbe risultare figura istituzionale più snella e in grado di interpretare al meglio le necessità dei soggetti da tutelare, quali consumatori, minori e, come detto, migranti.5 3 Ibid. Ibid. 5 Si veda Conca presenta modifica alla legge regionale 7 del 2004: “Istituire il difensore civico, figura fondamentale per i cittadini", in PugliaNotizie Agenzia di Quotidiana di stampa – Consiglio Regionale della Puglia, n. 2762 del 27/09/2019. 4 163 Pace e diritti umani nel Mediterraneo Nell'individuazione dei principi regionali alla base delle politiche di gestione del fenomeno migratorio, accanto a quelli già menzionati, non si può tuttavia non citare il comma 2 dell'art. 1 dello Statuto che, benché contenga indicazioni su un piano del tutto generale, sembra costituire il vero manifesto e la cornice socio-culturale entro la quale si muove l'azione politica degli organi di governo regionale con riferimento al tema dell'accoglienza e dell'integrazione dei migranti: «la Puglia» – si legge nel testo – «per la storia plurisecolare di culture, religiosità, cristianità e laboriosità delle popolazioni che la abitano e per il carattere aperto e solare del suo territorio proteso sul mare, è ponte dell’Europa verso le genti del Levante e del Mediterraneo negli scambi culturali, economici e nelle azioni di pace.»6 2. La legge regionale 32/2009. A dare una più compiuta attuazione alle disposizioni di principio affermate nello Statuto, mediante la previsione di specifiche funzioni e organismi deputati ad assolverle, è intervenuta nel 2009 la legge n. 32, recante «Norme per l’accoglienza, la convivenza civile e l’integrazione degli immigrati in Puglia», in abrogazione della precedente disciplina regionale che, con la legge n. 26 del 2000, attribuiva alla Regione funzioni amministrative in materia di immigrazione extracomunitaria. Gli obiettivi dell'intervento normativo (oggetto, come si vedrà, di alcune modifiche intervenute con la l. regionale n. 51 dell'ottobre 20187) vengono espressamente individuati nella necessità di garantire non solo la più ampia forma di tutela delle comunità straniere presenti sul territorio pugliese, ma anche nel loro pieno inserimento nel tessuto socio-culturale regionale. Accanto, dunque, all'impegno di garantire i diritti inviolabili degli stranieri, presenti a qualunque titolo in Puglia, e all'eliminazione di ogni forma di discriminazione, con la l. 32/2009 fa ingresso nel corpus normativo regionale anche il proposito di garantire pari opportunità agli stranieri nell'accesso e nella fruibilità dei servizi assistenziali, 6 Statuto, art. 2, cit. Legge Regionale 5 ottobre 2018, n. 51, Modifiche alla legge regionale 4 dicembre 2009, n. 32, in Bollettino Ufficiale della Regione Puglia - n. 129 del 5/10/2018. 7 164 Pace e diritti umani nel Mediterraneo sanitari, di istruzione. A distanza di un decennio, ponendo mente allo sviluppo delle dinamiche politiche nazionali e locali nella gestione del fenomeno, appare lungimirante l'obiettivo indicato nella legge di promuovere iniziative di cooperazione decentrata tese a migliorare le condizioni di vita delle persone nei paesi di provenienza e di progetti di reinserimento degli immigrati nei rispettivi paesi d'origine. Particolarmente controverso appariva, per altro versante, l'impegno assunto dal legislatore regionale di «garantire la tutela legale, in particolare l’effettività del diritto di difesa, agli immigrati presenti a qualunque titolo sul territorio della regione».8 Anche in considerazione dei profondi e radicali contrasti esistenti tra l'orientamento politico del governo regionale, del quale la legge in questione era diretta emanazione, e quello nazionale, la legge nel suo complesso fu oggetto di valutazioni contrastanti. Proprio la previsione di cui si è appena detto, insieme a numerose altre, fu infatti sottoposta ad un vaglio di legittimità costituzionale su ricorso del Governo italiano, che aveva in particolare impugnato le disposizioni che garantivano accesso alle cure essenziali ai cittadini stranieri non in regola con le norme sull'ingresso e sul soggiorno. Secondo la tesi sostenuta davanti alla Corte Costituzionale dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, tale norma avrebbe generato un conflitto con l'art. 117, secondo comma, della Costituzione: «la formula lessicale» – questa la tesi del Governo, richiamata in sentenza - «indurrebbe, infatti, a ritenere che gli interventi ivi previsti riguardano anche gli immigrati privi di regolare permesso di soggiorno, poiché «disciplinano e in qualche modo agevolano la permanenza sul territorio nazionale di cittadini extracomunitari», i quali «non solo non avrebbero titolo a soggiornare ma, una volta sul territorio nazionale, dovrebbero essere perseguiti penalmente».9 Nel rispondere al quesito sottoposto alla sua attenzione, tuttavia, la Corte Costituzionale ebbe a richiamare i principi fondamentali cui la legge regionale pugliese si era ispirata con riferimento ai diritti essenziali dell'individuo, evidenziando come le azioni messe in campo dai soggetti pubblici non potessero essere confinate al controllo 8 Legge Regionale 4 dicembre 2009, n. 32, Norme per l’accoglienza, la convivenza civile e l’integrazione degli immigrati in Puglia, in Bollettino Ufficiale della Regione Puglia - n. 196 del 7/12/2009. 9 Corte Costituzionale, sentenza n. 299 del 22 ottobre 2010, p. 8. 165 Pace e diritti umani nel Mediterraneo dell'ingresso e del soggiorno dello straniero sul territorio nazionale, ma dovessero contemplare necessariamente quelle dimensioni della vita sociale dell'individuo che ne consentissero un sereno inserimento nel contesto territoriale nel quale si trovasse. Dimensioni – dall'istruzione, alla salute, al diritto all'abitazione – che evidentemente coinvolgono competenze normative attribuite dalla Costituzione talvolta allo Stato, talvolta alle Regioni. Ciò che tuttavia, a parere della Corte Costituzionale, non avrebbe potuto in alcun modo essere superato era il riconoscimento in capo allo straniero di tutti i diritti fondamentali che la stessa Costituzione assegna alla persona. Esiste, infatti, «un nucleo irriducibile del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana, il quale impone di impedire la costituzione di situazioni prive di tutela, che possano appunto pregiudicare l’attuazione di quel diritto». Quest’ultimo diritto deve perciò essere riconosciuto «anche agli stranieri, qualunque sia la loro posizione rispetto alle norme che regolano l’ingresso ed il soggiorno nello Stato, pur potendo il legislatore prevedere diverse modalità di esercizio dello stesso».10 Non poteva invece essere ricondotto alla competenza della Regione, bensì a quella esclusiva dello Stato, proprio la norma che mirava a garantire tutela legale ed effettività del diritto di difesa anche agli stranieri presenti in modo irregolare sul territorio regionale, norma di cui dunque la Corte Costituzionale rilevò l'illegittimità. Essa, infatti, proprio per la sua formulazione rimandava in maniera non equivocabile a quegli ambiti definiti dall’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione (giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa). Proprio la disposizione che, come la Corte non mancò di rilevare, era stata evocata «in modo ampio, ma congruamente, dal ricorrente.» Superato in maniera nel complesso soddisfacente il vaglio di legittimità della Corte Costituzionale, la legge, dopo aver individuato, nella prima parte, i destinatari, gli obiettivi e le priorità dell'azione della Regione, passava a definire e disciplinare due specifici strumenti di intervento: la Consulta regionale per l'integrazione degli immigrati, con funzioni propositive in ambito di programmazione e legislazione, e 10 Ibid., p. 9. 166 Pace e diritti umani nel Mediterraneo l'Osservatorio regionale sull'immigrazione e diritto d'asilo, con funzioni di monitoraggio sui flussi migratori. 2.1 La Consulta. Si legge all'art. 7 della legge 32/2009 che «la Consulta svolge funzioni di proposta in materia di integrazione sociale degli immigrati, anche in raccordo con i consigli territoriali per l’immigrazione».11 In particolare, alla Consulta è attribuito il compito di formulare «proposte propedeutiche alla formazione della programmazione regionale e dei provvedimenti di legge regionali in favore degli immigrati», e di esprimere pareri facoltativi (secondo la modifica intervenuta con la l. 51/2018: i pareri erano obbligatori nel testo del 2009) su tutti gli atti di programmazione che incidano sulla qualità della vita e sulle condizioni di integrazione degli immigrati.12 All'istituzione della Consulta ha fatto seguito, come strumento attuativo, la costituzione del Registro regionale delle associazioni composte da immigrati, o che prevedono in misura prevalente tra le proprie attività la cura degli interessi della comunità immigrata. In attuazione delle disposizioni della l. 32/2009, la Giunta regionale nel gennaio 2011 ha incardinato tale Registro all'interno dell'assessorato alla Politiche giovanili, ed in particolare nel Servizio per le Politiche giovanili e la cittadinanza sociale, per operare una sorta di mappatura delle associazioni di categoria e alimentare la capacità di operare in modo sinergico con un'attenzione specifica al tema dell'accoglienza.13 11 Legge Regionale 4 dicembre 2009, n. 32, cit., art. 7. Tra gli altri compiti specificamente assegnati alla Consulta si ricordano: la possibilità di esprimere pareri e proposte di intervento sulle iniziative di settore afferenti alle aree tematiche che interessano l’immigrazione; di formulare proposte per lo svolgimento di studi e approfondimenti sull’immigrazione, sulle condizioni di vita e di lavoro degli immigrati e delle loro famiglie che risiedono nella regione, anche tenendo conto della prospettiva di genere, per promuovere iniziative tendenti alla tutela e alla difesa dei loro diritti e interessi; di collaborare con l’Osservatorio, di cui al successivo art. 8 della legge, anche attraverso approfondimenti e sessioni tematiche sul fenomeno migratorio; di formulare alla Regione proposte di intervento da sottoporre al Parlamento e al Governo per l’adozione di opportuni provvedimenti per la tutela dei destinatari della stessa legge e delle loro famiglie. 13 Deliberazione della Giunta regionale 26 gennaio 2011, n. 56, Istituzione del Registro delle associazioni degli immigrati. Atto di indirizzo al Servizio Politiche giovanili e cittadinanza sociale per la 12 167 Pace e diritti umani nel Mediterraneo Tuttavia, nonostante i buoni propositi manifestati in seno al Consiglio e alla Giunta regionali, la Consulta è stata istituita di fatto solo nel febbraio 2013 quando, con decreto del Presidente della Regione, si è provveduto a nominare quali suoi componenti l’assessore regionale competente in materia di immigrazione, con funzioni di presidente; il dirigente del servizio competente; poi ancora, in rappresentanza degli immigrati, ulteriori 18 componenti (più 14 supplenti), che garantissero la rappresentatività di tutti «i territori provinciali e delle principali comunità sulla base della popolazione immigrata residente, e designati congiuntamente dalle associazioni degli immigrati iscritte nel registro regionale delle associazioni degli immigrati»;14 infine, una serie di componenti in rappresentanza del terzo settore, del mondo del lavoro, della scuola, dell'università. 2.3 L'Osservatorio. 2.4 Nell'originaria formulazione, la l. 32/2009 prevedeva l'istituzione di un Osservatorio sull'immigrazione in seno alla struttura dell’Assessorato alla solidarietà; a tale organismo venivano attribuiti «quali obiettivi il monitoraggio, la rilevazione e l’analisi dei flussi migratori, dei bisogni degli immigrati, delle condizioni di vita e di lavoro, delle situazioni di discriminazione e di razzismo, anche rispetto alla prospettiva di genere e la verifica dell’impatto dell’attuazione delle politiche in materia di immigrazione realizzate sul territorio regionale, promuovendo a tal fine ogni utile collaborazione interistituzionale.»15 Pur mantenendo fermi gli obiettivi indicati nella legge, le modifiche intervenute nel 2018 hanno in modo significativo rideterminato la collocazione istituzionale dell'Osservatorio, incardinandolo presso la Sezione sicurezza del cittadino, politiche per le migrazioni ed antimafia sociale della Presidenza della Regione.16 formazione dei criteri del Registro e modalità di iscrizione, in Bollettino Ufficiale della Regione Puglia n. 21 del 09/02/2011. 14 D.P.G.R. 15 febbraio 2013, n. 58, Nomina componenti Consulta Regionale per l’integrazione degli immigrati, in Bollettino Ufficiale della Regione Puglia - n. 33 del 28/02/2013. 15 Legge Regionale 4 dicembre 2009, n. 32, cit., art. 8. 16 Con il decreto n. 443 del 2015 il Presidente della Giunta Regionale ha adottato l’Atto di Alta Organizzazione della Regione Puglia; con il medesimo D.P.G.R. è stata istituita, presso la Presidenza 168 Pace e diritti umani nel Mediterraneo Al dirigente di tale Sezione, peraltro, è stata attribuita la responsabilità di curare l'organizzazione interna e il regolamento di funzionamento di un'ulteriore struttura, il Coordinamento regionale delle politiche per le migrazioni, istituita nel 2016 con decreto del Presidente della Regione sul presupposto «che la elaborazione e la realizzazione delle politiche regionali per le migrazioni incrociano competenze specifiche e strutture amministrative di tutti i Dipartimenti della Regione Puglia»17 e che, dunque, «al fine di rendere efficace l’attuazione delle politiche regionali per le migrazioni è opportuno creare un coordinamento tra le azioni dei Dipartimenti della Regione Puglia».18 La Sezione in questione, oltre ad occuparsi delle misure dirette ad aumentare il livello di sicurezza della cittadinanza, da un lato redige il Piano Triennale delle politiche per le migrazioni, dall'altro lato «cura e coordina le attività della Regione Puglia relative alle politiche di accoglienza, assistenza socio-sanitaria, integrazione e formazione anche di carattere lavorativo delle popolazioni migranti»19. Si occupa, infine, di incentivare e realizzare «interventi di carattere socio-comunitario, ispirati ai principi costituzionali di solidarietà sociale e di responsabilità civica, finalizzati a promuovere la solidarietà e la cooperazione con particolare riguardo alla tutela dei diritti sociali».20 Al suo interno, come detto, è incardinato l'Osservatorio, attraverso il quale la Regione si propone di realizzare, coordinandosi con le prefetture, il monitoraggio del funzionamento dei centri di permanenza per i rimpatri (CPR) e del rispetto delle normative nazionali e internazionali con particolare riferimento alla tutela dei diritti umani dei cittadini stranieri trattenuti. Nella prospettiva del legislatore regionale, inoltre, si tratterebbe di uno strumento particolarmente incisivo per quanto attiene ai rapporti con il territorio, avendo la della Giunta Regionale, la Sezione “Sicurezza del cittadino, politiche per le migrazioni ed antimafia sociale”. 17 D.P.G.R. 16 giugno 2016, n. 413, Coordinamento regionale delle politiche per le migrazioni. Istituzione, in Bollettino Ufficiale della Regione Puglia - n. 72 del 23/6/2016. 18 Ibid. 19 Si veda Sezione sicurezza cittadino, politiche per le migrazioni ed antimafia sociale - Scheda struttura, in www.regione.puglia.it. 20 Ibid. 169 Pace e diritti umani nel Mediterraneo possibilità di relazionarsi, ai fini dell'espletamento della propria attività, non soltanto con i soggetti pubblici e privati aventi specifiche competenze in materia, ma anche con gli altri enti locali, chiamati a fornire le informazioni relative alle azioni di propria competenza in tema di accoglienza e integrazione. 3. Il Piano regionale delle politiche per le migrazioni Ulteriore strumento di intervento strategico, introdotto dalla l. 32/2009, che la Regione Puglia si è dato per definire gli indirizzi e gli interventi necessari al conseguimento degli obiettivi di accoglienza e integrazione dei migranti per come enunciati nella normativa regionale era il cosiddetto «Piano regionale per l'immigrazione», ridefinito Piano regionale delle politiche per le migrazioni dall'intervento del 2018. Nella determinazione dei tratti essenziali di tale strumento, proprio le modifiche intervenute nel 2018 hanno significativamente rimodulato il comma 2 dell'art. 9 della l. 32/2009, in particolar modo per ciò che concerne il coinvolgimento degli attori del territorio nella elaborazione del contenuto del piano.21 Ferma restando l'approvazione, che spetta alla Giunta regionale su proposta dell'assessore competente in materia, e la sua validità triennale, con possibilità di aggiornamento annuale, la nuova formulazione prevede che esso sia redatto «attraverso un percorso di partecipazione che coinvolge la cittadinanza, i sindaci e gli amministratori locali, le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, le associazioni e gli enti che svolgono attività particolarmente significative nel settore dell’immigrazione sul territorio regionale».22 L'ultimo piano triennale, quello relativo agli anni 2016-2018, è stato adottato all'unanimità dalla Giunta regionale con deliberazione n. 6/2018. Esso riporta le politiche e le azioni programmate per l’intero triennio, le cui principali linee 21 Si veda Consiglio regionale: sì alle modifiche della legge per l’accoglienza degli immigrati in Puglia, in PugliaNotizie Agenzia di Quotidiana di stampa – Consiglio Regionale della Puglia, n. 3375 del 25/09/2018. 22 Legge Regionale 4 dicembre 2009, n. 32, cit., art. 9. 170 Pace e diritti umani nel Mediterraneo d’intervento sono costituite da politiche del lavoro e formazione, politiche della salute, politiche abitative e politiche per l’integrazione.23 In tal senso, il Piano triennale appare di gran lunga lo strumento più efficace dell'azione complessiva della Regione in materia di gestione del fenomeno migratorio, condensando al suo interno le azioni già avviate e finanziate, con una analisi dei progressi effettuati nel singolo ambito di intervento, come anche le linee programmatiche previste per il biennio successivo a quello cui il piano si riferisce, con riferimenti puntuali alle fonti di finanziamento, agli altri soggetti coinvolti, agli obiettivi che la singola azione si propone di raggiungere. 4. Conclusioni Dal 2004, anno di entrata in vigore dello Statuto regionale, al 1° gennaio 2019, gli stranieri residenti sul territorio pugliese sono passati da 42.985, corrispondenti a poco più dell'1% della popolazione regionale, a 138.811, corrispondenti al 3,4% della popolazione.24 La gestione di questo complesso fenomeno, richiedendo la predisposizione di strategie atte a garantire non soltanto un efficace sistema di accoglienza ma, con uno sguardo più lungimirante, anche un sistema di integrazione ed effettiva inclusione socio-culturale, ha sfidato e continua a sfidare gli organismi di governo regionale oltre che tutti i soggetti operanti nel terzo settore. Allo stesso modo ineludibile è il continuo adeguamento alle novità legislative nazionali. Alla luce di tali circostanze può essere letta l'intensa produzione normativa regionale che ha condotto, nell'ultimo decennio, all'istituzione degli organi e degli strumenti descritti nei paragrafi precedenti. Tuttavia, se da un lato il Piano regionale per le politiche migratorie appare già in grado di svolgere il proprio compito programmatico, risulta dall'altro lato evidente che debbano essere ancora messe a pieno regime le potenzialità proprio di quegli organi che sono astrattamente in grado di garantire una maggiore partecipazione dei soggetti 23 Deliberazione della Giunta Regionale 12 gennaio 2018, n. 6, Piano Triennale dell’Immigrazione 2016/2018 - Programmazione 2016/2020. Approvazione, in Bollettino Ufficiale della Regione Puglia - n. 23 del 12/2/2018. 24 Cfr. http://dati.istat.it/Index.aspx?QueryId=19119 171 Pace e diritti umani nel Mediterraneo coinvolti nel fenomeno e di conferire, dunque, una legittimazione più ampia e pertinente alle decisioni politiche regionali in materia di immigrazione. Prevedendo per i prossimi anni un incremento continuo e costante della popolazione straniera in Puglia, una tale modalità di coinvolgimento dal basso dovrà necessariamente costituire un caposaldo nell'elaborazione delle strategie di gestione del fenomeno migratorio. 172 STEFANIA ATTOLINI Le fake news e gli hate speeches in rete nell’ordinamento europeo e internazionale in relazione all’inclusione sociale dei migranti. Abstract Il comportamento degli utenti su Internet può influenzare l’effettiva inclusione dei migranti all’interno della società. Con la crescita del flusso migratorio negli ultimi anni sono aumentati, altresì, i casi di diffusione di notizie false e i fenomeni di incitamento all’odio, che hanno portato, a loro volta, un aumento dei casi di hate crimes. I migranti sono spesso considerati una minaccia alla sicurezza nazionale, così le manifestazioni nazionalistiche e la propaganda xenofoba sono ormai diffuse su Internet e in Europa. A livello internazionale, vi è un crescente interesse per il tema della disinformazione e dei discorsi di odio in rete nonché per gli effetti di tali fenomeni all’interno della società, a causa del ruolo cruciale che hanno i media nell’influenzare le opinioni e le scelte dei cittadini. Pertanto, è divenuto fondamentale analizzare quali siano le misure adottate fino a oggi e quali siano gli strumenti a disposizione degli organi competenti al fine di poter contrastare tali fenomeni. Keywords: Migranti; fake news; hate speech; Europa; CEDU; OIM 1. Introduzione Alcune politiche nazionali sempre più frequentemente sono oggetto di propaganda fondata su paura e rabbia1. Nell’ambito di tale propaganda, tra le categorie maggiormente «sotto attacco» vi sono, sicuramente, i migranti2 e i rifugiati3. L’eco di questi attacchi è sempre più 1 Cfr. Report del febbraio 2018 redatto a seguito del #SpreadNoHate Symposium tenuto a Bruxelles il 26 gennaio 2017, intitolato «Hate Speech Against Migrants And Refugees In The Media», organizzato da UNAOC e Unione europea, nell’ambito dell’iniziativa #SpreadNoHate lanciata il 25 dicembre 2015 dalle Nazioni Unite. Cfr. Comparative Report, «Legal framework, societal responses and good practices to counter online hate speech against migrants and refugees», del 2017, redatto dalla Coalition of Positive Messengers to Counter Online Hate Speech project, consultabile al seguente link: https://ec.europa.eu/migrantintegration/librarydoc/legal-framework-societal-responses-and-good-practices-to-counter-online-hatespeech-against-migrants-and-refugees 2 Non esiste, a livello internazionale, una definizione di “migrante” che sia riconosciuta universalmente. Tuttavia, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni ( OIM), nel proprio glossario (consultabile al link http://publications.iom.int/system/files/pdf/iml_34_glossary.pdf) definisce il termine migranti come “An umbrella term, not defined under international law, reflecting the common lay understanding of a person who moves away from his or her place of usual residence, whether within a country or across an international border, temporarily or permanently, and for a variety of reasons. The term includes a number of well-defined legal categories of people, such as migrant workers; persons whose particular types of movements are legally-defined, such as smuggled migrants; as well as those whose status or means of movement are not specifically defined under international law, such as international students”. 173 Pace e diritti umani nel Mediterraneo amplificata da una serie di elementi legati alle peculiarità del mezzo con il quale vengono perpetrati, quale, ad esempio, Internet. La rete ha comportato un’apertura delle informazioni, permettendo a chiunque di riceverne qualsiasi tipo, ovvero di ricercarle, ma anche di crearle, dando, così, spazio a una relazione peer-to-peer tra privati e informazioni; da ultimo, ma non meno importante, la facilità dell’anonimato sulla rete rende molto difficile stabilire in capo a chi risiedano le responsabilità di atti illeciti ovvero non eticamente corretti commessi su Internet. È noto, ormai, come il web sia luogo in cui circolano notizie false (c.d. fake news) ovvero falsamente riportate e dove si consumano discriminazioni e incitazioni all’odio (c.d. hate speeches) e non vi è dubbio che questi fenomeni influenzino gravemente e profondamente la creazione del pensiero politico fino a intaccare le fondamenta stesse della democrazia4. Occorre domandarsi cosa ci sia davvero sulla rete, quali siano, cioè, le vere potenzialità che questa ha di informare gli utenti e di formarne il pensiero politico. La Rete contiene un numero inimmaginabile di informazioni, ma sta all’utente sapere come e dove cercarle. Ai fini di una tale valutazione non si può prescindere dalla considerazione di quanto influiscano i social network e i motori di ricerca e i rispettivi algoritmi sulla facile reperibilità delle informazioni o sulla loro selezione. Il rischio è la riduzione della capacità e dell’interesse dell’utente finale a cercare altro oltre quello che Per un approfondimento sul tema dei migranti, si rinvia a L. IMPERATORE, Migrazioni e diritti umani. Lo straniero nella giurisprudenza CEDU, Key editore 2019; P. BECCEGATO, R. MARINARO, Falsi miti. Storie di migranti oltre i luoghi comuni e le fake news, Edizioni Dehoniane Bologna, 2018; V. MILITELLO e A. SPENA (a cura di), Il traffico di migranti. Diritti, tutele e criminalizzazione, Giappichelli, 2015; A. DAL LAGO, Non-persone. L’esclusione dei migranti in una società globale, Feltrinelli, 2004. 3 L’art. 1/A della Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati (1951) definisce tale categoria come “chiunque, per causa di avvenimenti anteriori al 1° gennaio 1951 e nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; oppure a chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori dei suo Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi”. Per un approfondimento sulla condizione dei rifugiati si rinvia a M. MANOCCHI Richiedenti asilo e rifugiati politici: percorsi di ricostruzione identitaria : il caso torinese, Franco Angeli, 2012; M. ODELLO, Il diritto dei rifugiati: elementi di diritto internazionale, europeo e italiano, Franco Angeli, 2013. 4 Report «Hate Speech Against Migrants And Refugees In The Media» citato. 174 Pace e diritti umani nel Mediterraneo viene prima facie “proposto”, poiché il comportamento degli utenti su Internet ha un’importanza notevole sulla formazione del loro convincimento e della loro opinione e il fenomeno dell’immigrazione è entrato a pieno titolo tra gli argomenti sui quali si tende a plasmare il pensiero dei cittadini, soprattutto in periodi di propaganda elettorale. 5 Le considerazioni che seguono hanno l’obiettivo di analizzare le minacce della Rete derivanti dai fenomeni patologici della libertà di espressione, ovvero fake news e hate speeches6, rapportati alle difficoltà di inclusione dei migranti. Infatti, la circolazione fake news e la disinformazione su Internet rendono più ardua la conoscenza della reale situazione in cui versa il fenomeno migratorio in Europa7. 2. Le fake news come minaccia alla democrazia e all’inclusività sociale Negli atti dell’Unione europea, la Commissione europea affronta il fenomeno delle fake news facendo rientrare questo concetto in quello più ampio di disinformazione, definendo quest’ultimo come «un’informazione rivelatasi falsa o fuorviante concepita, presentata e diffusa a scopo di lucro o per ingannare intenzionalmente il pubblico, e che può arrecare un pregiudizio pubblico. La 5 Molti degli atti emanati dalle Istituzioni dell’Unione europea in materia di lotta alla disinformazione si sono concentrati sulle misure da prendere per garantire trasparenza e integrità in vista delle elezioni, sia a livello nazionale che dell’Unione. Cfr. il Codice di Buone Pratiche sulla Disinformazione pubblicato il 26.10.2018, che contiene un impegno da parte delle piattaforme firmatarie, Facebook, Twitter e Google, al rendiconto mensile delle misure adottate in vista delle elezioni del Parlamento europeo del maggio 2019. Si legge al par. 2 della Comunicazione congiunta al Parlamento europeo, al Consiglio europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni, «Relazione sull’attuazione del piano d’azione contro la disinformazione», JOIN(2019)12final del 14.06.2019, che “In vista delle elezioni europee del 2019, la Commissione e il gruppo del regolatori europei per i servizi di media audiovisivi (ERGA) hanno effettuato un monitoraggio mirato delle azioni intraprese da Facebook, Google e Twitter sulla base delle relazioni mensili presentate da tali piattaforme da gennaio a maggio 2019”, (relazioni tutte pubblicate dalla Commissione europea). 6 Nell’ambito del presente approfondimento si fa un riferimento generico al fenomeno migratorio, senza alcuna distinzione tra migrazione legale e migrazione illegale. 7 Publication "Facts Matter: Debunking Myths About Migration", del 20.03.2019, Ufficio dell’Azione esterna dell’Unione europea. 175 Pace e diritti umani nel Mediterraneo disinformazione non include gli errori di segnalazione, la satira e la parodia, o notizie e commenti chiaramente identificabili come di parte». 8 Le conseguenze negative derivanti dalla disinformazione possono sintetizzarsi in un’erosione della fiducia nelle istituzioni e nei mezzi di comunicazione nonché in un danno per la democrazia stessa, poiché viene ostacolata la capacità dei cittadini di crearsi un’opinione libera e di prendere decisioni in maniera informata. A ciò si aggiunga che la disinformazione può divenire una chiara minaccia alla libertà di informazione, che è un diritto fondamentale riconosciuto a livello europeo 9 ed internazionale10. Ciò che si intende per “pregiudizio pubblico” ai sensi della definizione citata, è stato anch’esso precisato dalla Commissione e indicato come «minacce ai processi democratici e a beni pubblici quali la salute dei cittadini, l’ambiente e la sicurezza dell’Unione». 11 Tra le problematiche legate alle c.d. fake news vi è sicuramente il fatto che tale fenomeno resta circoscritto alla creazione e diffusione di informazioni e notizie del tutto lecite, i cui contenuti, anche quelli dannosi, o presunti tali, devono ritenersi tutelati dalla libertà di espressione. 12 Inoltre, la disinformazione, come detto, può indurre gli utenti finali a perdere fiducia nella Rete e nelle piattaforme online. 8 Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni del 26.04.2018, «Contrastare la disinformazione online: un approccio europeo», COM(2016)236final. 9 Art. 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ( CDFUE). 10 Art. 10 della Convenzione europea sulla salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (d’ora in poi CEDU). 11 Comunicazione congiunta al Parlamento europeo, al Consiglio europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni, del 05.12.2018, «Piano d’azione contro la disinformazione», JOIN(2018)36final. Su questo punto si veda, altresì, la sentenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo (d’ora in poi Corte EDU) del 22.04.2013, Caso Animal Defenders International v. the United Kingdom (Ricorso n. 48876/08) e la sentenza della Corte EDU del 13.07.2012, caso Mouvement raëlien suisse v. Switzerland (Ricorso n. 16354/06). 12 Il ruolo degli Stati in queste ipotesi è quello di “astenersi da qualsiasi tipo di interferenza e di censura e di garantire un contesto favorevole per un dibattito pluralistico e inclusivo” (COM(2018)236final). 176 Pace e diritti umani nel Mediterraneo L’attenzione delle Istituzioni europee si è concentrata molto sulla lotta alle fake news ritenute essere tra le cause di rallentamenti nello sviluppo della Rete e del Mercato Unico Digitale13 all’interno dell’Unione europea. In particolare, la crescente sfiducia degli utenti nelle piattaforme online e nei contenuti da loro offerti si basa sulla consapevolezza della sempre maggiore proliferazione di falsi account e recensioni false, così come sulla mancanza di trasparenza in relazione ai criteri utilizzati da tali piattaforme per la selezione e la personalizzazione dei contenuti proposti, nonché sulla verifica della veridicità delle informazioni presentate. 14 Il Parlamento europeo, dal canto suo, ha evidenziato l’importanza che riveste, all’epoca attuale, l’esistenza di una politica che faccia fronte alla disinformazione online e, nel 2017, ha invitato la Commissione europea a verificare la possibilità di intervenire in via legislativa contro la creazione e la circolazione in Rete di fake news.15 Un fattore che non può essere ignorato, inoltre, è che il proliferare delle fake news rappresenta una minaccia per la credibilità dell’intera categoria dei giornalisti e diminuisce la fiducia dei cittadini nell’importante ruolo più volte attribuito ai giornalisti anche dalla giurisprudenza europea di c.d. chiens de garde della politica e della democrazia. 1617 Tutto questo può condurre il cittadino a non distinguere più le 13 Il Mercato Unico Digitale è una strategia, a dimensione pluriennale, lanciata dall’Unione europea per affrontare le sfide derivanti dall’evoluzione tecnologica. Come si legge nella Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni, intitolato «Strategia Per Il Mercato Unico Digitale In Europa», COM(2015)192final del 6.5.2015, il M.U.D. rappresenta un programma di azioni da intraprendersi a livello dell’Unione per il perseguimento di tre grandi finalità: il miglioramento delle condizioni di accesso ai beni e ai servizi online in Europa, porre le basi per lo sviluppo delle reti e dei servizi e, infine, massimizzare il potenziale di crescita dell’economia digitale in Europa. 14 Il Consiglio europeo, come si legge nelle conclusioni adottate nella riunione del 22.03.2018, ha rilevato l’esigenza che social network e piattaforme digitali garantiscano “politiche trasparenti e la piena protezione della vita privata e dei dati personali dei cittadini”. 15 Risoluzione del Parlamento europeo del 15.06.2017 sulle piattaforme online e il mercato unico digitale (2016/2276(INI)) 16 Per un approfondimento sulla libertà di stampa nell’ordinamento internazionale e sul ruolo dei giornalisti, si rinvia tra tutti, a M. CASTELLANETA, La libertà di stampa nel diritto internazionale e europeo, Cacucci editore, 2012. 17 Sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, del 10.03.2009 – 10.06.2009, causa Times Newspapers Ltd C. Regno Unito, ricorsi nn. 3002/03 e 23676/03 177 Pace e diritti umani nel Mediterraneo informazioni prodotte, e certamente verificabili, dai giornalisti da quelle immesse in Rete da chiunque. 18 Anche a livello internazionale l’interesse per il fenomeno della disinformazione è stato rilevato come problema emergente al quale si è cercato di fare fronte con l’enunciazione di vari principi, tra i quali emergono quelli secondo cui tutti gli stakeholders, dagli intermediari, agli organi di stampa e così anche gli accademici e la società civile, devono partecipare alla ricerca e allo sviluppo di tecniche e di soluzioni per la lotta alla disinformazione e alla propaganda.19 Per quanto attiene specificamente il fenomeno delle fake news occorre porre l’attenzione sul fatto che queste non sono illecite per se ma solo nel caso in cui configurino una violazione di diritti fondamentali. Ed invero, il contenuto della libertà di informazione non specifica che essa debba essere veritiera o verificata, ma si riferisce al fatto che gli Stati devono garantire il pluralismo dei media così come un’informazione libera e priva di impedimenti e limitazioni. Anche con riferimento alle notizie false si applica la generale obbligazione di non ingerenza incombente sugli Stati: questi non devono imporre restrizioni che non siano 18 Per questa ragione, la Commissione, tra le iniziative enunciate nella Comunicazione sulla disinformazione online COM(2018)236final, si è preoccupata di annunciare un sostegno al giornalismo «di qualità come elemento essenziale di una società democratica», chiarendo altresì che «le misure a sostegno degli Stati finalizzate al conseguimento degli obiettivi di interesse comune dell’Ue, quali la libertà e il pluralismo dei media, sono state dichiarate compatibili con le norme UE in materia di aiuti di Stato». Nel Report del 20 febbraio 2018 redatto a seguito dell’incontro tenutosi a Bruxelles il 26.01.2017, intitolato « Hate Speech against Migrants and Refugees in the Media» si evidenzia l’importanza di una maggiore chiarezza e attenzione nell’uso delle parole: “Words matter. It is important to differentiate between a migrant and a refugee, between journalists and social media users, between regulation of hate speech and restriction of freedom of expression. There is a need for clarification between freedom of expression of individuals and freedom of expression in journalism to prevent confusion and address these separate issues adequately”. 19 “Joint Declaration on Freedom of Expression and “Fake news”, Disinformation and Propaganda”, adottata a Vienna il 03.03.2017, da OSCE, NAZIONI UNITE, l’0rganizzazione degli Stati Americani (OAS) e la African Commission on Human and People’s rights ( ACHPR), consultabile al link: https://www.osce.org/fom/302796?download=true Si legge nella Dichiarazione che per «disinformazione» si intende “statements which [the Authors] know or reasonably should know to be false” e per «propaganda» si intende statements “which demonstrate a reckless disregard for verifiable information”. 178 Pace e diritti umani nel Mediterraneo previste dalla legge, che non perseguano un interesse legittimo secondo il diritto internazionale e che non siano necessarie20 e proporzionate21. La diffusione di notizie false è contrastata oltre che da iniziative miranti alla loro rimozione anche dalla creazione di contenuti che descrivono i migranti in senso positivo per la società: alcuni documenti ufficiali riportano dati e analisi sull’inclusione dei migranti che, documentano l’influenza positiva che esso apporterebbe sul welfare nazionale. 22 Ad esempio, in Italia, come risulta da alcuni studi, «In un periodo di calo delle nascite, tuttavia, l’incidenza delle donne straniere appare stabile o in leggera crescita, confermando che anche nel mercato del lavoro la propensione a fare figli è più alta nella popolazione immigrata che in quella italiana». 23 Tali dati porterebbero a ipotizzare che, se si riuscisse a ridurre il lavoro nero all’interno dell’Unione e si riuscisse così a creare maggiore inclusione sociale 24, i benefici derivanti dai flussi migratori potrebbero essere addirittura maggiori delle sfide che essi comportano25: così l’invecchiamento progressivo e l’aumento della vita media 20 Sulla necessità di una misura di interferenza dello Stato sulla libertà di espressione tutelata dalla CEDU, si rinvia alla seguente giurisprudenza della CORTE EDU, secondo la quale un’interferenza dello Stato che sia necessaria in una società democratica deve essere la risposta all’esistenza di “pressing social needs” dell’intervento, che sta al Giudice nazionale valutare. Cfr. Sentenza della CORTE EDU del 25.08.1998, Caso Hertel v. Switzerland; Sentenza della CORTE EDU, caso Steel and Morris v. the United Kingdom, (Ricorso n. 68416/01), 2005; Sentenza della CORTE EDU, caso Mouvement raëlien suisse v. Switzerland [GC], Ricorso n. 16354/06, 2012; and Sentenza della CORTE EDU, caso Animal Defenders International v. the United Kingdom [GC], Ricorso n. 48876/08, 2013. 21 “Joint Declaration on Freedom of expression” cit. 22 Dichiarazione del Gruppo Mondiale sulla migrazione del 30 settembre 2010, ove si legge che “la protection des droits [de l’homme] n’est pas seulement une obligation juridique; elle est aussi une question d’intéret public, intimement liée au développement humain”. 23 XVI Rapporto annuale dell’Inps, luglio 2017, ISSN 2611-3619, pag. 75, consultabile al link https://www.inps.it/docallegatiNP/Mig/Dati_analisi_bilanci/Rapporti_annuali/INPS_XVI_Rapporto_annu ale_intero_030717%20.pdf 24 Come riportato dal Rapporto Inps citato, un working paper Istat intitolato “The Heterogeneity of irregular employment in Italy: some evidences from the Labour force survey integrated with administrative data”, ISTAT Working PAPER 1/2015 redatto da C. De Gregorio e A. Giordano, attestava che in Italia la quota di lavoratori non Italiani (UE e Extra UE) impiegati nel lavoro non regolare negli anni 2010-2011 era di circa il 17,3%. 25 Si legge nella Comunicazione della Commissione europea al Parlamento europeo, al Consiglio, al Consiglio europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni del 7.06.2016, COM(2016)377final, che “Garantire che tutti coloro che risiedono legittimamente e regolarmente nell'UE, indipendentemente dalla durata del loro soggiorno, possano partecipare e apportare il loro contributo è essenziale per il benessere, la prosperità e la coesione futura delle società europee. In un periodo in cui discriminazione, pregiudizi, razzismo e xenofobia sono in aumento, vi sono imperativi giuridici, morali ed economici che impongono di sostenere i diritti fondamentali, i valori e le libertà 179 Pace e diritti umani nel Mediterraneo della popolazione, che si trasformano in erogazioni pensionistiche più durature, potrebbero essere sostenuti dalla forza lavoro degli stranieri. 26 3. Hate speech e rimozione dei contenuti illeciti. L’art. 20 del Patto internazionale sui diritti civili e politici (1966) sancisce che «Qualsiasi propaganda a favore della guerra deve essere vietata dalla legge. Qualsiasi appello all’odio nazionale, razziale o religioso che costituisce incitamento alla discriminazione, all’ostilità o alla violenza deve essere vietato dalla legge». 27 Nel 1997, in seno al Consiglio d’Europa è stata emanata una Raccomandazione28 nella quale si affrontava il fenomeno degli hate speeches. In quella sede veniva fornita una definizione di ciò che può intendersi per hate speech, vale a dire tutte le forme di espressione che diffondono, incitano, promuovono o giustificano l'odio razziale, la xenofobia, l'antisemitismo o altre forme di odio basate sull'intolleranza, tra cui: intolleranza espressa da nazionalismo aggressivo ed etnocentrismo, discriminazione e ostilità contro le minoranze, i migranti e le persone immigrate di origine. 29 Nella Raccomandazione citata venivano, altresì, emanati dei principi che gli Stati erano chiamati a tenere in considerazione, tra i quali spiccano le enunciazioni riguardanti il bilanciamento tra la necessità di perseguire gli autori degli hate speeches, in modo differente rispetto ai professionisti e agli altri soggetti che partecipavano alla dell'UE e di continuare ad adoperarsi per una società complessivamente più coesa. Un'integrazione efficace dei cittadini di paesi terzi è nell'interesse comune di tutti gli Stati membri”. 26 “Oggi gli immigrati offrono un contributo molto importante al finanziamento del nostro sistema di protezione sociale e questa loro funzione è destinata a crescere nei prossimi decenni man mano che le generazioni di lavoratori nativi che entrano nel mercato del lavoro diventeranno più piccole. Più donne che lavorano e più contribuenti immigrati ci permetteranno di migliorare sia oggi che in prospettiva i conti dell’Inps e ci permetteranno di avere un sistema di protezione sociale capace di offrire copertura assicurativa ai nuovi rischi associati a globalizzazione e progresso tecnologico”. Prefazione alla Relazione del Presidente Inps Tito Boeri contenuta nel XVI Rapporto annuale Inps del luglio 2017. 27 Per un approfondimento sul punto in relazione alla condizione dello straniero, si rinvia a A. GIORGIS, E. GROSSO, M. LOSANA, Diritti uguali per tutti? Gli stranieri e la garanzia dell’uguaglianza formale, FrancoAngeli editore, 2017 28 Raccomandazione n. (97)20 del Consiglio dei Ministri agli Stati membri sui “hate speech”, adottata dal Consiglio dei Ministri il 30 ottobre 1997, in occasione del 607esimo incontro dei Delegati dei Ministri. 29 Cfr. Raccomandazione n. 97(20): “…all forms of expression which spread, incite, promote or justify racial hatred, xenophobia, anti-Semitism or other forms of hatred based on intolerance, including: intolerance expressed by aggressive nationalism and ethnocentrism, discrimination and hostility against minorities, migrants and people of immigrant origin”. 180 Pace e diritti umani nel Mediterraneo loro diffusione attraverso i media (Principio n. 6); ma ancora di più, nell’atto veniva sottolineata l’importanza di circoscrivere le interferenze alla libertà di espressione derivanti dalla lotta al fenomeno degli hate speeches a misure adottate in conformità alla legge e secondo criteri obiettivi e assoggettabili a un controllo di un’autorità giudiziaria indipendente (Principio n. 3). 30 In un Rapporto pubblicato nel 201731, nuovamente in seno al Consiglio d’Europa, si discute di hate speech in termini di “inquinamento dell’informazione” (information pollution) e viene riportato un dato davvero importante che riguarda l’azione della Russia nell’incitazione all’odio nei confronti dei migranti e destinata solo agli utenti negli USA. 32 L’Unione europea ha, poi, manifestato, nel 2008, la necessità che gli Stati rendessero punibili le condotte d’incitazione all’odio, intese come istigazioni pubbliche «alla violenza o all’odio nei confronti di un gruppo di persone, o di un suo membro, definito in riferimento alla razza, al colore, alla religione, all’ascendenza o all’origine nazionale o etnica»33. Già in quella sede, è emersa una delle problematiche più importanti legate ai discorsi di odio e cioè l’esigenza di perseguire tali atti criminosi tenendo conto del bilanciamento con i diritti fondamentali riguardanti «la libertà di 30 La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo ha chiaramente fatto rientrare nell’ambito di applicazione dell’art. 10 della CEDU, anche i discorsi di odio, come espressione del pluralismo e come esplicazione di una società democratica. [“Subject to paragraph 2 of Article 10, it is applicable not only to ‘information’ or ‘ideas’ that are favourably received or regarded as inoffensive or as a matter of indifference, but also to those that offend, shock or disturb. Such are the demands of pluralism, tolerance and broadmindedness without which there is no ‘democratic society’”]. Cfr. sentenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo del 22.04.2013, Caso Animal Defenders International v. the United Kingdom (Ricorso n. 48876/08); sentenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo del 13.07.2012, caso Mouvement raëlien suisse v. Switzerland (Ricorso n. 16354/06). 31 C. WARDLE, H. DERAKHSHAN, “Information disorder: Toward an interdisciplinary framework for research and policy making”, pubblicato nel settembre 2017 dal Consiglio d’Europa, consultabile al link https://www.rcmediafreedom.eu/Publications/Reports/Information-disorder-Toward-an-interdisciplinaryframework-for-research-and-policy-making 32 Report cit., pag. 61, “In September 2017, Facebook admitted that they had found evidence that ‘dark ads’ (ads that are only visible to the intended audience, rather than publicly viewable on a page) had been purchased by a Russian organization and directed at US citizens. Facebook explained, “[T]he ads and accounts appeared to focus on amplifying divisive social and political messages across the ideological spectrum — touching on topics from LGBT matters to race issues to immigration to gun rights.”184 A few days later, an investigation by the Daily Beast found inauthentic accounts, seemingly located in Russia, had used the Facebook events function to organize anti-immigration protests in the US”. 33 Decisione quadro 2008/913/GAI del Consiglio, del 28 novembre 2008, sulla lotta contro talune forme ed espressioni di razzismo e xenofobia mediante il diritto penale, in GU L 328 del 6.12.2008, pag. 55–58 181 Pace e diritti umani nel Mediterraneo associazione e la libertà di espressione, in particolare la libertà di stampa e la libertà di espressione in altri mezzi di comunicazione, quali risultano dalle tradizioni costituzionali o dalle norme che disciplinano i diritti e le responsabilità della stampa o di altri mezzi di comunicazione, nonché le relative garanzie procedurali…». 34 Quest’ultimo profilo, riapre un dibattito di lunga data su quali siano effettivamente i confini entro i quali si possa considerare un contenuto o una notizia o un’opinione come coperta dall’esercizio della libertà di espressione. 35 In molti casi, questo che ci occupa non fa eccezione, le pronunce della giurisprudenza della CORTE EDU possono venire in aiuto al fine di delineare al meglio alcuni istituti giuridici nonché a dirimere alcuni conflitti tra norme o principi. In particolare, la CORTE EDU ha avuto modo di pronunciarsi, per la prima volta nel 201536, su un caso di hate speech su Internet, nel quale sono state affrontate le tematiche relative ai doveri e alle responsabilità di una piattaforma giornalistica online che esercita attività in via professionale e a scopo di lucro, nonché relative ai limiti in cui possa essere ammessa, ai sensi della Convenzione, un’ingerenza dello Stato nella libertà di espressione di tali soggetti. Ferme restando le particolari circostanze del caso concreto, per le quali si rinvia alla sentenza, è importante sottolineare in questa sede i principi affermati dalla Corte e che possono aiutare a tracciare i confini del fenomeno di cui si parla. Per quanto attiene alla definizione di hate speech, la Corte non si discosta da quanto già affermato negli atti delle organizzazioni internazionali fin qui richiamate. Al contrario, un’attenzione particolare la Corte l’ha prestata alla possibilità di ammettere una differenza, al fine di qualificare un ipotesi di hate speech, nel tono di alcune dichiarazioni o, come nel caso di specie, di alcuni commenti, a seconda che l’autore 34 Art. 7, Decisione quadro 2008/913/GAI, cit. «Hate Speech isn’t free speech, it is racism», citazione dal discorso di apertura di María Fernanda Espinosa, Presidente dell’Assemblea Generale ONU, in occasione dell’incontro dell’Assemblea Generale sul tema “Combating Anti-Semitism and Other Forms of Racism and Hate – The Challenges of Teaching Tolerance and Respect in the Digital Age“, tenutosi il 26.06.2019. 36 Sentenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo del 16.06.2015, Caso DELFI AS c. ESTONIA (Ricorso no. 64569/09) 35 182 Pace e diritti umani nel Mediterraneo degli stessi sia un giornalista, ovvero un politico, rispetto ad un privato cittadino37; allo stesso modo la Corte ammette che, alla luce delle specificità della Rete, vi possano essere differenti doveri e responsabilità tra una piattaforma d’informazione online rispetto a un giornale tradizionale, per quanto attiene i contenuti illeciti di terzi soggetti. 38 In ogni caso, vi è da valutare il ruolo delle piattaforme online, grandi o piccole che siano, nella rimozione dei contenuti e nel monitoraggio delle pubblicazioni offensive, poiché non vi è da dimenticare che la previsione di obbligo di rimozione dei contenuti può, in alcuni casi, rappresentare una vera e propria forma di censura. 39 D’altra parte, nel valutare l’ampiezza dell’obbligo di rimozione del contenuto da parte della piattaforma online ospitante, non può non tenersi conto che le vittime del messaggio di odio, siano esse un gruppo di persone40, ovvero un soggetto determinato, non hanno la stessa “capacità di monitorare” la rete quotidianamente. E pertanto, può essere considerato come una forma adeguata di tutela. 41 37 Sentenza Delfi As c. Estonia, cit., punto 132 Sentenza Delfi As c. Estonia, cit., punto 113 39 Report of the Special Rapporteur on the promotion and protection of the right to freedom of opinion and expression, del 16.05.2011, nel quale mr. Frank La Rue ha dichiarato che: «Intermediaries play a fundamental role in enabling Internet users to enjoy their right to freedom of expression and access to information. Given their unprecedented influence over how and what is circulated on the Internet, States have increasingly sought to exert control over them and to hold them legally liable for failing to prevent access to content deemed to be illegal. The Special Rapporteur emphasizes that censorship measures should never be delegated to private entities, and that intermediaries should not be held liable for refusing to take action that infringes individuals’ human rights. Any requests submitted to intermediaries to prevent access to certain content, or to disclose private information for strictly limited purposes such as administration of criminal justice, should be done through an order issued by a court or a competent body which is independent of any political, commercial or other unwarranted influences». 40 Per un approfondimento sul rapporto tra mezzi di comunicazione, discorsi di odio contro le comunità religiose, si rinvia a C. MORINI, La tutela dei diritti dei gruppi religiosi nel contesto regionale europeo, Cacucci editore, 2018. 41 Come sottolineato dalla Corte nella sentenza citata, al punto 158, “The Court attaches weight to the consideration that the ability of a potential victim of hate speech to continuously monitor the Internet is more limited than the ability of a large commercial Internet news portal to prevent or rapidly remove such comments”. 38 183 Pace e diritti umani nel Mediterraneo 4. Le iniziative per combattere le discriminazioni e promuovere l’inclusione dei migranti e il ruolo della soft law. Al fine di meglio comprendere il ruolo delle informazioni «inquinate», quali possono essere le fake news, nella formazione del pensiero democratico dei cittadini e nella qualità e quantità della loro partecipazione alla vita sociale e politica, potrebbe essere utile fare riferimento a quattro possibili relazioni tra la società e l’innovazione tecnologica42: i due estremi di tali relazioni sono la «trasformazione», vale a dire la trasformazione del processo decisionale e del modello di democrazia rappresentativa dovute alla sempre maggiore conoscenza e partecipazione dei rappresentati nella vita politica attraverso Internet, e la «sostituzione», vale a dire la teoria secondo la quale ci saranno algoritmi in grado di prendere decisioni nella maniera più oggettiva possibile riducendo tutte le problematiche sociali e politiche ad una valutazione algoritmica43; mitigati da «ottimizzazione», cioè l’idea che la tecnologia possa fungere da supporto nel processo decisionale senza tuttavia modificarne il modello, e «controllo», ossia la crescente partecipazione politica della cittadinanza grazie alle nuove tecnologie che permettono un controllo più o meno costante sulle persone dei rappresentanti, sul loro impegno politico quotidiano, sulle loro finanze, sui loro rapporti con i gruppi di interesse, ecc…. Ciò che accomuna tutte queste possibili relazioni tra tecnologia e partecipazione alla vita sociale è che nessuna di esse è immune dall’influenza negativa che può essere rappresentata dalla circolazione indisturbata di informazioni false e non verificate, utilizzate per “alterare” il pensiero sociale e politico. Le problematiche alle quali entrambi i fenomeni oggetto della presente analisi danno origine consistono nel difficile equilibrio tra la tutela della libertà di espressione e 42 G. VILELLA, “E-Democracy, On Participation in the Digital Age”, Nomos Verlagsgesellschaft, BadenBaden, 2019 43 Con riferimento a una tale relazione, l’Autore esprime forti dubbi dovuti al fatto che tali algoritmi hanno bisogno di essere creati e scritti, così come i fattori su cui i risultati dovranno essere calcolati, con il rischio che vi sia totale mancanza di trasparenza e che tali operazioni siano fonte di discriminazioni, senza contare che “delegare” il processo di formazione democratica della società ad una macchina, creerebbe un forte rischio di assenza del dibattito politico così come dell’opposizione e delle minoranze e de pluralismo informativo. 184 Pace e diritti umani nel Mediterraneo la necessità di promuovere la democrazia nonché di reprimere e combattere gli illeciti su Internet. Negli ultimi anni si è assistito al proliferare nel mondo della rete di codici di buona condotta44 dai quali emerge sempre di più il ruolo centrale affidato a soggetti diversi dalle autorità statali nella gestione di problematiche legate a Internet 45 e, da ultimo, per quel che qui interessa, nella lotta contro la disinformazione online e l’illegalità sulla rete. 46 Il 26 settembre 2018 è stato pubblicato il Codice di buone pratiche sulla disinformazione, al quale i firmatari iniziali hanno aderito formalmente il 16 ottobre successivo. Lo stesso presenta, tuttavia, alcune evidenti criticità. In particolare, si potrebbe definire una “raccolta di intenti” presentata da alcuni fornitori del servizio, poiché il codice si riferisce «al singolo firmatario che ha accettato determinati impegni […] senza impegnare tutti i firmatari del codice a sottoscrivere ogni impegno». Infatti, «i firmatari hanno redatto il presente codice e i relativi allegati, che costituiscono parte integrante del codice, e si impegnano ad aderire agli impegni pertinenti elencati accanto al rispettivo nome».47 Inoltre, per espressa previsione, «l’applicazione del codice si limita per ciascun firmatario ai servizi forniti negli Stati che sono parti contraenti dello Spazio economico europeo», limitando la portata geografica dello strumento. Tale circostanza, in qualche modo, svuota di contenuto l’intero codice, poiché, come si è già avuto modo di 44 L’Unione ha incoraggiato in varie occasioni l’emanazione di tali atti di soft law al fine di tutelare alcune particolari situazioni che riguardano Internet. Un esempio è dato dall’art. 16 della Direttiva 2000/31/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio dell'8 giugno 2000 relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell'informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («Direttiva sul commercio elettronico»), GU L 178 del 17.7.2000, pag. 1–16. 45 Si pensi, tra gli altri, al Codice di condotta relativo alle pratiche di “Telehealth” e e-health, adottato in seno alla Conferenza europea di Telemedicina tenutasi il 29 ottobre 2013 a Edimburgo; ovvero il Codice di deontologia e di buona condotta per il trattamento dei dati personali effettuato ai fini di informazione commerciale adottato dal Garante Privacy italiano nel 2015. 46 Questo tipo di politica è promossa soprattutto a livello europeo: sempre rimanendo nel settore oggetto della presente analisi, si può menzionare il «Piano di azione contro la disinformazione» del 5.12.2018, JOIN(2018)36final, nel quale la mobilizzazione del settore privato è stato inserita tra i pilastri dell’azione coordinata per combattere la disinformazione per la lotta alla disinformazione. 47 Entrambe le citazioni sono riprese dal contenuto del Preambolo al Codice di buone pratiche sulla disinformazione cit. 185 Pace e diritti umani nel Mediterraneo precisare, fino a oggi, i più grossi attacchi e, quindi, il maggiore pericolo di diffusione della disinformazione e dei discorsi di odio deriva da paesi terzi. Coerentemente con una tale tendenza di “autotutela” delle piattaforme online, twitter ha recentemente annunciato sul proprio sito ufficiale48 che la compagnia diversamente dal passato, quando veniva tollerata la permanenza di alcuni tweet nonostante violassero le regole della piattaforma, perché considerati di pubblico interesse-, avrebbe lanciato un nuovo avviso/notifica (visibile come finestra sul tweet ed eliminabile con un click), che dovrebbe precedere la lettura di alcuni tweet da parte degli utenti, nel quale viene chiarito che il contenuto vìola le regole della piattaforma, ma che lo stesso non viene eliminato poiché l’accesso allo stesso è ritenuto di pubblico interesse. 49 Tale avviso, secondo quanto annunciato da Twitter, sarà apposto a seguito di una valutazione che categoricamente non sarà eseguita da un algoritmo e che riguarderà, per adesso, solo determinati account, i quali, per specifiche caratteristiche (gestione da parte di politici o rappresentanti di governi o soggetti che rivestono o stanno per rivestire cariche pubbliche; esistenza di più di 100000 followers), possono avere un’influenza di gran lunga maggiore di altri. 50 Con riferimento al fenomeno hate speech, inoltre, l’esempio della tendenza alla creazione di strumenti di soft law per la gestione delle problematiche di Internet è fornito dal «Codice di condotta per combattere le forme illegali di incitazione all’odio online», adottato dalla Commissione europea e da facebook, microsoft, twitter e youtube il 31 maggio 2016. A livello internazionale, recentemente, in seno alle Nazioni Unite si è discusso di discorsi di odio e di come le piattaforme online abbiano agevolato la proliferazione di idee estremiste, antisemite e xenofobe, contesti discriminatori, questi, che hanno, poi, un nesso causale con l’aumento dei casi di violenza e di esclusione sociale. Il Segretario 48 Post del 27 giugno 2019, «Defining public interest on Twitter», consultabile al link https://blog.twitter.com/en_us/topics/company/2019/publicinterest.html 49 Per ulteriori approfondimenti sulla nozione di “pubblico interesse” secondo Twitter, consultare il link https://help.twitter.com/it/rules-and-policies/enforcement-philosophy 50 Per quanto riguarda gli altri casi, la piattaforma detta alcune regole e principi, tra i quali, quelli specificati al seguente link: https://blog.twitter.com/en_us/topics/company/2019/hatefulconductupdate.html 186 Pace e diritti umani nel Mediterraneo Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha affermato che i discorsi di odio sono da considerare come un attacco alla tolleranza, all’inclusione e all’essenza stessa delle norme e dei principi che fondano i diritti umani. 51 Poiché i canali offerti dalla rete amplificano i mezzi e le occasioni in cui i diritti umani dei migranti possono essere oggetto di attacco e poiché vi è un collegamento52 tra la diffusione di informazioni negative su Internet e l’aumento dei c.d. hate crimes53, la risposta manifesta in seno alle organizzazioni internazionali è quella di promuovere politiche di contrasto a questi fenomeni fondate sulla promozione dell’educazione e sul rispetto dei diritti umani54. Una di queste iniziative è contenuta nel Global Compact for Migration 55, accordo intergovernativo concluso nel dicembre 2018 per la protezione dei migranti, il quale enumera tra gli obiettivi per il raggiungimento di una migrazione sicura e ordinata, quello di eliminare ogni forma di discriminazione e promuovere una percezione diffusa 51 Discorso di apertura del Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, nell’incontro che si è svolto lo scorso 18 giugno 2019, nel quale si è lanciata la Strategia delle Nazioni Unite e il Piano d’azione contro i discorsi d’odio. La registrazione della conferenza è visibile al seguente link: http://webtv.un.org/search/launch-of-the-un-strategy-and-plan-of-action-on-hate-speech-openingspeeches-un-secretary-general-antónio-guterres-and-special-adviser-on-the-prevention-of-genocideadama-dieng/6049614294001/?term=Antonio%20Guterres&lan=English&sort=date#t=34s 52 Cfr. Comparative Report, «Legal framework, societal responses and good practices to counter online hate speech against migrants and refugees», del 2017, citato. 53 I c.d. Hate crimes (crimini d’odio) sono definiti come atti criminosi fondati su discriminazione e pregiudizio nei confronti di un gruppo di persone, che condividono determinate caratteristiche quali orientamento sessuale, razza o etnia, orientamento religioso, disabilità. Una definizione esaustiva del fenomeno è fornita dall’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), e consultabile al seguente link http://hatecrime.osce.org/what-hate-crime 54 Dichiarazione di New York sui rifugiati e i migranti del 13.09.2016, p. 14. 55 Il «Global Compact For Safe, Orderly And Regular Migration, Intergovernmentally Negotiated and Agreed Outcome» del 13 luglio 2018, adottato il 10 dicembre 2018, è un accordo negoziato a livello intergovernativo in seguito all’adozione della Dichiarazione di New York del 2016. L’allegato II della Dichiarazione, infatti, promuoveva l’avvio di un processo di negoziazione finalizzato all’adozione del global compact fissando gli obiettivi ai quali la negoziazione doveva mirare, prevedendo che «The global compact would set out a range of principles, commitments and understandings among Member States regarding international migration in all its dimensions. It would make an important contribution to global governance and enhance coordination on international migration. It would present a framework for comprehensive international cooperation on migrants and human mobility. It would deal with all aspects of international migration, including the humanitarian, developmental, human rights-related and other aspects of migration. It would be guided by the 2030 Agenda for Sustainable Development and the Addis Ababa Action Agenda of the Third International Conference on Financing for Development and informed by the Declaration of the High-level Dialogue on International Migration and Development adopted in October 2013». 187 Pace e diritti umani nel Mediterraneo dei migranti basata su dati e fatti, ma anche su un dibattito aperto nel rispetto della libertà di espressione. Un tale obiettivo dovrebbe essere raggiunto attraverso la promozione dell’indipendenza degli organi di stampa e della qualità dell’informazione anche su Internet, tra l’altro, incentivando la sensibilizzazione e l’educazione dei professionisti al tema e alle problematiche collegate ai migranti56. Sul piano internazionale, le iniziative intraprese che promuovono la cultura e l’educazione sul tema della migrazione si scontrano con le incertezze dovute, tra l’altro, alla mancanza di strumenti universali e unitari sui migranti che non fanno che dare più spazio alla diffusione della disinformazione che a sua volta alimenta i sentimenti negativi nei confronti degli stessi migranti. Nella lotta contro fake news e hate speech in relazione ai migranti è stata rilevata l’importanza di un approccio olistico del fenomeno migratorio e la necessità che la società, a tutti i livelli57 (dalla classe politica alla comunità economica e alla società civile), sia interessata dalla politica di contrasto alla xenofobia che è all’origine dell’esclusione e della diffusione di odio58. Infatti, è pacifico tra gli esperti che, affinché 56 «Global Compact For Safe, Orderly And Regular Migration» cit., obiettivo n. 17, p. 33, lett. c). A. MIKULSKA , Who does what in the field of migration & integration in Poland – a Stakeholder Analysis, «In order to pursue a progressive migrant and integration policy, understood as the involvement of both migrants and members of the host society in the process of integration, the political will of decisionmakers (at central and local level) needs to be complemented by social support. And to build this support, a friendly attitude towards refugees and migration needs to be created. Various agents might be involved in the process, such as politicians, journalists, teachers, educators, artists and celebrities that inspire authority and are popular with various social groups. However, creating a positive narrative must go hand in hand with combating fake news regarding migration in Western European countries as well as around the drivers of the refugee problem». 58 L’allora Segretario Generale ONU Ban Ki-Moon nel 2013, nel Rapporto «Promotion And Protection Of Human Rights, Including Ways And Means To promote the human rights of Migrantsm», A/68/292, 9 agosto 2013, citato da IMPERATORE L., Migrazioni e diritti umani. Lo straniero nella giurisprudenza CEDU, Key editore, 2019, ha evidenziato 58 come sia sempre più difficile distinguere, nella situazione contemporanea di rapida crescita e frequenza degli spostamenti migratori, i motivi all’origine della decisione di migrare: se sia su base volontaria o forzata, regolare o irregolare, temporanea o stagionale o a lungo termine. A ciò si aggiunga l’inclinazione della comunità internazionale a fornire tutele ai migranti per categoria (Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (2006), Convenzione del 1949 sui lavoratori migranti, Convenzione sui diritti dell’infanzia (1989), Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati (1951), ecc…), tendenza che, tuttavia, può comportare dei problemi in termini di tutela effettiva, poiché la vaghezza delle categorie nonché la circostanza che ogni migrante può passare facilmente da una categoria all’altra, fa aumentare in maniera importante l’incertezza delle tutele previste e le difficoltà in termini di controllo da parte degli Stati e della comunità internazionale sull’operato di questi ultimi, come chiaramente espresso dal documento dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, intitolato «Améliorer la Gouvernance de la migration internationale fondée sur les 57 188 Pace e diritti umani nel Mediterraneo vi sia una vera inclusione, occorre che l’azione abbia origine dalle istituzioni politiche ma che sia condivisa dalla società civile: l’integrazione non è il risultato unicamente di politiche che offrono opportunità di educazione e di lavoro per i migranti ma riguarda anche la possibilità che questi hanno partecipare alla vita sociale nella realtà in cui vivono e, perché ciò avvenga è necessario che vi sia consapevolezza e conoscenza da parte della comunità intera.59 Per questa ragione, la lotta alle fake news e agli hate speeches contro i migranti è di fondamentale importanza perché vi sia una vera inclusione. Una delle soluzioni più incisive per combattere le problematiche legate alla circolazione di informazioni su Internet che più spesso emergono a livello internazionale è quella di rafforzare le iniziative che mirano ad una maggiore e più ampia formazione della società60. Recentemente, l’importanza dell’educazione è stata esaltata dalla Presidente dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Maria Fernanda Espinoza, nel discorso di apertura al summit che si è tenuto nel giugno 2019 con riferimento alla lotta contro il fenomeno degli hate speeches.61 Tutte le iniziative appena elencate evidenziano in maniera chiara l’importanza ormai acquisita dal fenomeno della disinformazione e della diffusione dell’odio sulla droits de l’homme», Migration et Droit de l’Homme, consultabile al seguente link: https://l.facebook.com/l.php?u=https%3A%2F%2Fwww.ohchr.org%2FDocuments%2FIssues%2FMigrati on%2FMigrationHR_improvingHR_ReportFR.pdf%3Ffbclid%3DIwAR2ZUFTdlUpmwEcc4aef9I4yLQo BjJl5MCLw92rsKGkhVEX1KvxFUZOSvnM&h=AT1zwr64P65wepSmSYXYP9KZf-gzdxSTlUJs55P9Dce6p2eXfCMDG4exe7bN411xHJN9Vjx8ytqNShFobLayngnKnEEryKbxgx9gv2KJndO_VgbRjQ1ew2c5RNM4j3TEAwMSjo. 59 Report del febbraio 2018 «Hate Speech Against Migrants And Refugees In The Media» citato. 60 «Hate Crime and Hate Speech in Europe: Comprehensive Analysis of International Law Principles, EU-wide Study and National Assessments», Report redatto nell’ambito del progetto PRISM - Preventing, Redressing and Inhibiting hate speech in new Media, co-finanziato dall’Unione europea e coordinato dall’Associazione Arci, consultabile al seguente link: http://www.unicri.it/special_topics/hate_crimes/Hate_Crime_and_Hate_Speech_in_Europe_Comprehensi ve_Analysis_of_International_Law_Principles_EU-wide_Study_and_National_Assessments.pdf 61 In questa direzione si muoveva Mr. Frank La Rue nel noto report del 2011, che si concludeva con la seguente raccomandazione: “States should include Internet literacy skills in school curricula, and support similar learning modules outside of schools. In addition to basic skills training, modules should clarify the benefits of accessing information online, and of responsibly contributing information. Training can also help individuals learn how to protect themselves against harmful content, and explain the potential consequences of revealing private information on the Internet”. 189 Pace e diritti umani nel Mediterraneo rete nei confronti dei migranti. Tuttavia, benché il ruolo fondamentale svolto dalle piattaforme online nella lotta a questi fenomeni sia innegabile, non è sufficiente che le politiche di contrasto siano affidate unicamente a questi soggetti, soprattutto in virtù della norma, sancita dal diritto dell’Unione europea, 62 secondo la quale gli intermediari, in linea di principio, non sono ritenuti responsabili di quello che accade sulle loro piattaforme e non sono soggetti un obbligo generale di sorveglianza né di ricerca attiva dei contenuti illeciti63. Invero, promuovere l’inclusione dei migranti attraverso iniziative volte ad assicurare una tutela ex post dei contenuti illeciti non è sufficiente, poiché, di fatto, esse si fondano su un comportamento attivo di denuncia della vittima di hate speech o fake news diffusi sulla rete e questo può non assicurare una tutela effettiva, soprattutto nei casi in cui si tratta di contenuti diretti, come spesso avviene, a un gruppo indeterminato di soggetti. D’altro canto, anche le numerose iniziative che mirano alla diffusione di notizie positive sui migranti possono non sortire alcun effetto se non si combattono in maniera efficace, individuandole64 e rimuovendole, le notizie false e le incitazioni all’odio. In conclusione, le discussioni sulle problematiche legate agli ostacoli all’inclusione dei migranti passano inevitabilmente dall’analisi dell’impatto della disinformazione e della confusione che essa genera nell’opinione pubblica. A livello politico sul tema dei migranti non esistono dibattiti chiari e politiche programmatiche ma solo estremismi e slogan. La relazione tra la crescita dei flussi migratori degli ultimi anni e l’aumento dei casi di hate speech e di condotte integranti crimini di odio è al centro del dibattito politico, europeo e internazionale. 62 Cfr. art. 12 e ss. Direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell'8 giugno 2000 relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell'informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («Direttiva sul commercio elettronico»), GU L 178 del 17.7.2000, pag. da 1 a 16. 63 Secondo una giurisprudenza consolidata della Corte di Giustizia (Cfr. sentenza del 12.07.2011, C324/09, L’Oréal SA e altri contro eBay International AG e altri., Racc. giurispr. 2011 I-06011), l’assenza di responsabilità in capo agli intermediari non comporta che essi non possano essere destinatari di ingiunzioni che prevedano obblighi specifici di sorveglianza finalizzati a prevenire una nuova violazione. 64 Alcuni intermediari online, tra cui anche facebook, hanno attivato filtri di monitoraggio che ricorrono all’Intelligenza Artificiale. 190 Pace e diritti umani nel Mediterraneo Tutto ciò che circola liberamente su Internet e, in particolare, sui social network è la sintesi di tutte le considerazioni fin qui svolte. Essi sono le sedi ove maggiormente si diffondono le fake news e dove si possono riscontrare casi in cui accanto a post relativi al tema dei migranti si ritrovano commenti offensivi e dichiarazioni di odio. Questa carenza di contenuti nel dibattito politico passa anche attraverso un uso distorto della rete. Un chiaro esempio ne è la questione portata all’attenzione della Corte di Giustizia dell’Unione europea, conclusasi con una sentenza emessa il 3 ottobre scorso65. In particolare, si trattava della condivisione su facebook di notizie relative ai migranti e alle posizioni politiche assunte sul tema dagli esponenti dei partiti politici, per questi motivi messi sotto attacco da alcuni utenti di facebook mediante commenti offensivi e diffamanti66 dei quali veniva richiesta la rimozione mediante ingiunzione del giudice 65 Cfr. Corte di Giustizia dell’Unione europea, sentenza del 3.10.2019, Eva Glawischnig-Piesczek contro Facebook Ireland Limited, C-18/18. 66 La Corte di Giustizia nella detta sentenza ha statuito, in particolare, che, nonostante il divieto di sancire in capo agli intermediari obblighi di sorveglianza o di ricerca dei contenuti illeciti sui propri spazi virtuali (Il caso portato dinanzi alla Corte riguardava prestatori di servizi di hosting, definiti all’art. 14 della Direttiva 2000/31/Ce, come prestatori “di un servizio della società dell'informazione consistente nella memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio”), il diritto europeo permette ai giudici nazionali di ingiungere la rimozione di contenuti illeciti anche a livello mondiale, nonché di informazioni di contenuto identico, ovvero equivalente, a quelli dichiarati illeciti anche se successivi all’ingiunzione stessa, sempre nel rispetto della libertà di espressione. 191 192 CLAUDIA MORINI Il Forum europeo della migrazione: brevi osservazioni ‘A truly united, European migration policy also means that we need to look into opening legal channels for migration […] if there are more, safe and controlled roads opened to Europe, we can manage migration better and make the illegal work of human traffickers less attractive.’ (J.-C. Juncker, SOTEU 2015, https://ec.europa.eu/commission/sites/betapolitical/files/state_of_the_union_2015_en.pdf) Abstract Il Forum europeo della migrazione è un’importante piattaforma per il dialogo tra la società civile e le Istituzioni europee su questioni relative alle migrazioni, all’asilo e all’integrazione dei cittadini di Paesi terzi nell’Unione europea. L’ultimo incontro è avvenuto lo scorso aprile e sono state adottate dieci importanti raccomandazioni. Keywords: Unione europea; Comitato economico e sociale (CESE); fenomeno migratorio; società civile 1. Premessa. Nel gennaio del 2015 il Comitato economico e sociale europeo (CESE)1, in collaborazione con la Commissione europea, ha organizzato la prima edizione del Forum europeo della migrazione, il quale traeva origine dall’esperienza del Forum europeo dell’integrazione che aveva avuto luogo 11 volte tra il 2009 e il 20142. 1 In quanto organo consultivo dell’Unione europea che rappresenta la società civile organizzata, il Comitato economico e sociale europeo, istituito con il Trattato di Roma del 1957, è prevalentemente dedicato alla tutela e promozione di quella che potremmo definire ‘la dimensione umana della politica europea’. Si tratta di un forum, unico nel suo genere, di consultazione, dialogo e consenso fra i rappresentanti della c.d. ‘società civile organizzata’, che include, tra gli altri, datori di lavoro, sindacalisti, organizzazioni di categoria, organizzazioni giovanili, associazioni delle donne, rappresentanti dei consumatori e organizzazioni per la tutela dell’ambiente. Le sue funzioni principali sono essenzialmente tre, ovvero fare in modo che le politiche e gli atti legislativi dell’Unione siano in linea con le condizioni socioeconomiche; attivarsi per la promozione della partecipazione nell’UE, garantendo a tal fine che le organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro e gli altri gruppi di interesse abbiano la possibilità di esprimersi e, infine, farsi portavoce e promotore dei valori dell’integrazione europea, sostenendo in particolar modo la causa della democrazia partecipativa e la partecipazione delle organizzazioni della società civile. Il filo conduttore di questa azioni è la ricerca un consenso proficuo per il bene comune attraverso un dialogo costruttivo con tutti gli interlocutori coinvolti. 2 Questo forum è nato su impulso della Commissione europea per permettere ai rappresentanti delle organizzazioni della società civile di esprimersi sulle questioni rilevanti, in particolare con riferimento alla c.d. ‘agenda UE per l’integrazione’, e per consentire allo stesso tempo alle Istituzioni europee di 193 Pace e diritti umani nel Mediterraneo Il Forum europeo della migrazione è oggi un’importante piattaforma per il dialogo tra la società civile e le Istituzioni europee su questioni relative alle migrazioni, all’asilo e all’integrazione dei cittadini di Paesi terzi nell’Unione europea. Con cadenza almeno annuale, esso riunisce i rappresentanti delle organizzazioni della società civile, degli enti locali e regionali, degli Stati membri e delle Istituzioni dell’UE. Il più rilevante scopo del Forum è quello di migliorare il coordinamento e la cooperazione tra i principali attori coinvolti nella governance europea del fenomeno migratorio, che è caratterizzata da una struttura multilivello. Esso ha tra i suoi obiettivi la diffusione di maggiori informazioni sugli esiti recenti delle politiche in materia, la raccolta di informazioni sulle diverse modalità di attuazione delle politiche europee sia a livello regionale che locale, nell’ottica di una sempre maggiore prossimità ai cittadini europei. Inoltre, il Forum mira anche a contribuire, con la sua attività, a migliorare la percezione e la conoscenza delle maggiori difficoltà affrontate dalle organizzazioni della società civile e dalle parti sociali attive nel settore delle migrazioni, e a individuare i metodi per sostenere al meglio gli sforzi messi in atto al fine di rispondere adeguatamente alle diverse esigenze dei migranti. 2. La posizione del Comitato economico e sociale in tema di migrazioni. Il V incontro del Forum europeo, il cui tema è stato From global to local governance of migration: the role of local authorities and civil society in managing migration and ensuring safe and regular pathways to the EU, ha avuto luogo lo scorso aprile a Bruxelles (3-4 aprile 2019). Un importante punto di riferimento per capire la posizione del CESE sul tema delle migrazioni è stato proprio il discorso tenuto dal suo Presidente, Luca Jahier, in apertura del Forum 2019. Bisogna evidenziare, in primo luogo, che già nel 2015, anno della sua prima edizione, nelle conclusioni del Forum ci si era preoccupati di sottolineare che le politiche dell’Unione europea in materia migratoria avrebbero dovuto avere tra le loro svolgere un ruolo di impulso in quel settore. Anche questa piattaforma di dialogo nasceva in cooperazione con il Comitato economico e sociale europeo. 194 Pace e diritti umani nel Mediterraneo priorità la garanzia di percorsi e accessi legali verso l’UE. Ciò, non solo per le persone potenzialmente beneficiarie di protezione internazionale, ma anche per coloro che avessero avuto il desiderio di lavorare, studiare o unirsi ai loro familiari all’interno dei confini dell’Unione. Come è noto, dopo quasi cinque anni da quei propositi, la situazione è in uno stato di grave stallo politico, mentre è sensibilmente peggiorata la condizione dei migranti, che continuano a morire nel Mediterraneo e lungo la rotta balcanica, e la pressione migratoria è ancora elevata. Se ancora oggi molte persone intraprendono viaggi estremamente pericolosi via mare, mettendo seriamente a rischio la propria vita e quella dei propri cari, è chiaramente perché mancano alternative legali. Solo nel 2018 sono stati rilevati circa 150.000 attraversamenti irregolari delle frontiere esterne dell’Unione. Sebbene di fatto si tratti di un calo significativo rispetto ai numeri del 2015, è ancora un numero troppo elevato, soprattutto in virtù della pericolosità dei suddetti attraversamenti. Fonti attendibili parlano di circa 1000 morti nel Mediterraneo centrale nel solo 20193. Come evidenziato dal Presidente Jahier, poi, l’UE deve ormai porsi nell’ottica che il fenomeno migratorio continuerà e dovrà, pertanto, attivarsi di conseguenza. A tal fine risulta ormai sempre più pressante la necessità di sviluppare strumenti efficaci per affrontare futuri arrivi su larga scala e realtà socio-economico-culturali in continua evoluzione. La via di una politica migratoria comune ed efficace, basata sul principio di solidarietà sia tra gli Stati membri che nei confronti di Paesi terzi in grave difficoltà, è ormai l’unica percorribile. Infine, la predisposizione di rotte sicure e legali, ad avviso del Presidente, non solo ridurrebbe gli arrivi irregolari, ma potrebbe anche alleviare - nel medio e lungo periodo - la pressione sul sistema di asilo dell’Unione. 3 La fonte è lo United Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR). Dal 2014 al 2019 i morti sono stati 15.000 circa. Inoltre, il rapporto tra partenze e morti in mare è drammaticamente aumentato: mentre nel 2018 si verificava una morte ogni 29 partenze; nel 2019 siamo arrivati a una morte ogni 6 partenze. Vedi il documento del 5 novembre 2019 di Amnesty International, dal titolo “La strage silenziosa dei rifugiati nel Mar Mediterraneo: le nostre colpe”, reperibile al seguente link: https://www.amnesty.it/giornata-mondiale-rifugiato-strage-mediterraneo/. 195 Pace e diritti umani nel Mediterraneo 3. Il V incontro del Forum europeo. L’esito concreto dell’incontro dello scorso aprile è stata l’adozione di 10 raccomandazioni indirizzate a tutti gli attori coinvolti nella gestione della crisi migratoria di questi ultimi anni. Per quanto riguarda nello specifico il tema del governo multilivello delle migrazioni, dal globale al locale, si è messo in evidenza il ruolo centrale delle autorità locali nella gestione della migrazione. Sul punto il Forum si è espresso, innanzitutto, nel senso di favorire l’inclusione di una clausola di coesione sociale nei fondi UE/nazionali destinati ai migranti e di rendere obbligatorio il coinvolgimento anche degli individui appartenenti alla comunità ospitante. Inoltre, si è raccomandato di sviluppare piattaforme multi-stakeholder istituzionalizzate a livello locale che possano riunire, tra gli altri, autorità locali, organizzazioni non governative e organizzazioni di migranti, al fine di garantire ai migranti servizi accessibili, inclusivi e pertinenti, indipendentemente dal loro status. Quanto alle prospettive future della politica di migrazione legale dell’Unione europea, invece, nell’ottica di un sempre più stretto coinvolgimento ‘dal basso’ e dell’attuazione del principio di prossimità, il Forum si è espresso favorevolmente affinché venga avviato un processo strutturato per la consultazione di organizzazioni non governative, autorità locali e parti sociali nella gestione della migrazione legale. Inoltre, ad avviso dei partecipanti all’incontro, è ormai necessario adottare una direttiva che armonizzi le condizioni e i diritti di ammissione per tutte le categorie di cittadini di Paesi terzi, e che includa in sé diritti quali la parità di trattamento, il diritto di libera circolazione entro i confini dell’Unione e il diritto al ricongiungimento familiare. Un ruolo di primaria importanza in questo scenario deve essere rivestito dalle organizzazioni della società civile, con l’obiettivo di sviluppare e migliorare canali sicuri di arrivo nell’Unione per motivi umanitari e di protezione internazionale. A tal fine sarebbe opportuno che i programmi di ricongiungimento familiare nell’UE divenissero percorsi complementari per ottenere la protezione internazionale. 196 Pace e diritti umani nel Mediterraneo Anche alla Commissione europea è riconosciuto un compito di rilievo, ovvero l’adozione di misure per armonizzare i percorsi di accoglienza e integrazione dei migranti tra i vari Paesi dell’Unione, indipendentemente da quelle che siano le modalità di arrivo o il Paese di origine. Un’attenzione specifica dovrà senz’altro essere riconosciuta e garantita ai c.d. gruppi vulnerabili (donne, bambini, anziani, malati, etc.), alle cui esigenze specifiche bisognerà prontamente e adeguatamente rispondere. L’azione della società civile, poi, viene vista non solo nell’ottica interna, come contributo alla gestione della crisi entro i confini dell’UE, ma altresì come fondamentale nel rafforzare la cooperazione con i Paesi terzi nella gestione del fenomeno migratorio. Ciò, ad esempio, si potrebbe fare rafforzando la cooperazione tra la società civile e le organizzazioni della diaspora affinché vengano adeguatamente sostenuti gli sforzi per fornire informazioni e incentivi volti a facilitare il reinserimento dei migranti nei Paesi di origine. Di importanza non secondaria è poi la promozione del dialogo e delle piattaforme regionali al fine di creare partenariati pubblico-privato per la mobilità dei migranti. Da ultimo, ma non meno importante per la riuscita delle politiche di integrazione dei migranti giunti attraverso vie sicure e legali nell’Unione europea, è la responsabilizzazione dei migranti stessi. A tale fine, si potrebbero sviluppare progettipilota nelle autorità locali in tutta l’Unione europea finalizzati a garantire l’accesso ai diritti umani per tutti, ivi compresi i migranti privi di documenti, al fine di sostenere e promuovere la coesione sociale nei territori interessati. Importante sarà poi finanziare e sostenere quelle organizzazioni locali attive e impegnate con gruppi vulnerabili, al fine di sviluppare ad esempio azioni e politiche “di genere” sia multilivello (locale/regionale/nazionale/UE), che attraverso un approccio che veda coinvolti i diversi stakeholders. 197 Pace e diritti umani nel Mediterraneo 4. Considerazioni conclusive. Da quanto detto emerge che, oggi più che mai, le organizzazioni della società civile svolgono un ruolo estremamente significativo nel rendere più sicuri e umani il reinsediamento, i viaggi e l’accoglienza di migranti e dei rifugiati. Da ciò deriva che esse, in un’ottica partecipativa e inclusiva, dovrebbero pertanto essere coinvolte nella progettazione, attuazione, monitoraggio e valutazione delle azioni di tutte le autorità competenti coinvolte nella gestione del fenomeno migratorio. In un recente parere del CESE intitolato «I costi della non immigrazione e della non integrazione», è stato prefigurato uno scenario in cui un giorno l’Unione europea si risveglia senza migrazione4. Ne emerge un quadro davvero poco rassicurante: i dati disponibili suggeriscono, infatti, che i mercati del lavoro sarebbero sotto pressione, le industrie andrebbero in rovina, la produzione agricola calerebbe drasticamente e il settore edilizio non sarebbe più in grado di tenere il passo con la domanda. Inoltre, i sistemi pensionistici potrebbero diventare insostenibili, il settore sanitario e assistenziale potrebbe collassare e lo spopolamento di alcune aree procederebbe a un ritmo molto più rapido che oggi. Di conseguenza, la stessa coesione sociale verrebbe indebolita e sarebbe più facile assistere in futuro a un aumento di episodi di razzismo e xenofobia nelle nostre società. L’Unione, si sa, ha una popolazione che invecchia e spesso non la manodopera interna non riesce a fornire adeguata risposta alla richiesta di alcune specifiche competenze professionali. Qui non si vuole certo affermare che l’immigrazione in sé sia la soluzione definitiva per affrontare le conseguenze dell’invecchiamento demografico in Europa, ma se regolamentata adeguatamente potrebbe essere certamente un rimedio alla carenza di manodopera e competenze in settori quali, ad esempio, l’assistenza agli anziani o alle persone non autosufficienti o il lavoro domestico. 4 Vedi Parere del Comitato economico e sociale europeo su «I costi della non immigrazione e non integrazione», adottato nel corso della 539a sessione plenaria del CESE, 12.12.2018 – 13.12.2018, in GU, C 110/1, del 22 marzo 2019. 198 Pace e diritti umani nel Mediterraneo Il fenomeno migratorio, controllato attraverso un sistema di governance multilivello che veda riconosciuto un ruolo di prim’ordine alle organizzazioni della società civile impegnate sul campo, in futuro potrebbe finalmente non costituire più un elemento sociale tanto divisivo e intriso di stereotipi e fobie, ma potrebbe porsi come un sano investimento per il futuro delle nostre società, ormai irreversibilmente multietniche e multireligiose. La chiave di volta di questo sistema deve essere e restare la tutela dei diritti fondamentali di tutti gli individui, in particolare di quelli più vulnerabili e la promozione di modelli sociali inclusivi e pluralisti. 199 200 SIMONE DE MICHELE La tutela dell’interesse legittimo al visto ed il diritto di migrare Abstract In questo scritto ci si chiede, provando anche a dare una risposta a tale quesito, se il diritto “umano” alla liberà di movimento dentro e fuori i confini di uno Stato, nonché di residenza entro i confini dello stesso, sia un diritto universalmente riconosciuto, garantito e tutelato dagli Stati sovrani. Keywords: immigrazione; diritto di migrare; visto d’ingresso 1. Introduzione. Il diritto alla libertà di movimento, rectius diritto di migrare, è pacificamente collocato all’interno della sfera dei diritti umani. Diritti, quindi, che per loro essenza preesistono a qualsiasi formazione di potere statale e sono innati nell’individuo in quanto tale. In virtù del suo essere classificato come diritto umano, il diritto di migrare, dunque, dovrebbe essere garantito pacificamente all’interno di ogni ordinamento giuridico e, i suoi eventuali limiti, dovrebbero essere previsti dalla legge, nonché giustificati da esigenze legate alla tutela dello Stato in sé. Il quesito che ci si pone è il seguente: il diritto “umano” alla liberà di movimento dentro e fuori i confini di uno Stato, nonché di residenza entro i confini dello stesso, è un diritto universalmente riconosciuto, garantito e tutelato dagli Stati sovrani? Questa è la prima domanda da porsi nel momento in cui ci si accinge ad affrontare il tema dei visti consolari e fin da subito è possibile notare alcuni punti di frizioni in relazione all’istituto in oggetto. Prima di provare a dare una risposta al quesito posto, è bene però analizzare le ragioni che stanno alla base di tale diritto e quindi l’origine del fenomeno migratorio. 2. Le origini del fenomeno migratorio. Per fenomeno migratorio deve intendersi quel flusso di individui che da una determinata 201 Pace e diritti umani nel Mediterraneo area geografica si sposta verso un’altra area geografica con la volontà di stanziarvisi in maniera temporanea o permanente. Dall’analisi del fenomeno è possibile distinguere due tipi di flussi migratori: quello interno e quello esterno. Per flusso migratorio interno deve intendersi quel movimento che avviene all’interno dello stesso stato, mentre, per flusso migratorio esterno, si intende quel flusso che travalica i confini nazionali per giungere all’interno di un altro stato. Le ragioni alla base della migrazione umana sono determinate da fattori di varia natura: economica, politica, sociale ed ambientale. Questo fa sì che, spostando il focus sul migrante, è possibile classificarne vari tipi in relazione alla motivazione che è alla base del flusso. Le persone possono migrare da un luogo ad un altro in ragione della domanda di ricongiungimento familiare posta in essere da un famigliare residente in uno stato estero. Il “ricongiungimento familiare” è quell’istituto riconosciuto a favore dei cittadini stranieri, regolarmente soggiornanti sul territorio di uno stato diverso da quello di provenienza, attraverso il quale lo straniero (già titolare di un permesso di soggiorno di lunga durata o di un permesso di soggiorno con durata inferiore ad un anno rilasciato per svolgere attività di lavoro subordinato/autonomo o rilasciato a seguito di richiesta di asilo, studio o protezione sussidiaria) chiede allo stato di permanenza l’ingresso dei familiari residenti all’estero al fine di ristabilire in modo continuativo l’unità della propria famiglia.1 Per “migrante ambientale”, invece, deve intendersi quella persona che è costretta a lasciare il proprio habitat tradizionale, temporaneamente o permanentemente, a causa di un fenomeno ambientale di origine naturale o causato dall’attività umana il quale 1 È bene ribadire che l’unità familiare è un diritto fondamentale riconosciuto e tutelato sia dall’ordinamento italiano che europeo. Il ricongiungimento familiare è uno strumento essenziale per permettere la vita familiare, in quanto contribuisce a creare una stabilità socioculturale che facilita l’integrazione nello stato, permettendo quindi di promuovere la coesione economica e sociale. Tale diritto si ricava in particolar modo dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo la quale afferma al comma 3 dell’articolo 16 <<che la famiglia è il nucleo fondamentale della società ed ha diritto ad essere protetta nella società e nello Stato>>. 202 Pace e diritti umani nel Mediterraneo mette in pericolo la sua stessa esistenza e/o influisce in maniera rilevante sulla qualità della sua vita.2 Continuando, si ha il “migrante economico” e cioè quella persona che per motivi legati alla sua attività lavorativa si reca in un paese estero e vi risiede per un determinato periodo di tempo o quella persona che è costretta a migrare in un paese straniero per cercare una posizione lavorativa, posizione la quale non è possibile riscontrare nel paese di provenienza. Si ha, inoltre, il “migrante richiedente asilo” e cioè quella persona che fuori dal proprio paese presenta, in un altro stato, domanda di asilo per il riconoscimento dello status di rifugiato così come inteso in base alla convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951, o richiesta per ottenere altre forme di protezione internazionale. Lo status di richiedente asilo permane fintanto che le autorità competenti dello stato in cui viene presentata la domanda non decidono in merito alla questione. Infine, c’è il “migrante rifugiato” e per tale deve intendersi, in base all’articolo 1 della convenzione di Ginevra del 1951, quella persona che «temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure che, non avendo cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra».3 Da questa breve classificazione, ben si comprende la complessità del fenomeno 2 In base a quanto riportato dall’International panel on climate change, il cambiamento climatico ha un’importanza crescente tra i fattori determinanti il flusso migratorio. Una vasta gamma di eventi, fattori e processi, inducono a migrare. Persone o intere comunità sono costrette a spostarsi a causa di eventi climatici improvvisi e distruttivi, quali ad esempio terremoti, alluvioni, tsunami. Inoltre, il flusso migratorio è fortemente condizionato dalle effettive condizioni di vita rese insostenibili dallo stress ambientale che interessano determinate aeree geografiche a seguito di siccità lenta e progressiva desertificazione. Tra l’altro, secondo una ricerca pubblicata dalla rivista science nel 2017, vi è un rapporto direttamente proporzionale tra l’aumento delle richieste d’asilo e le variazioni climatiche: nel recente passato (2000-2014) i cambiamenti climatici in 143 paesi hanno comportato 351.000 richieste d’asilo in più. E’ possibile sul punto consultare il sito internet dell’IPCC al seguente link https://ipccitalia.cmcc.it/ipcc-special-report-global-warming-of-1-5-c/. 3 È bene precisare che lo status di rifugiato si ottiene solo a seguito di esito positivo della procedura di richiesta di riconoscimento dello stesso. 203 Pace e diritti umani nel Mediterraneo migratorio. È innegabile che negli ultimi anni tale fenomeno ha assunto una portata e rilevanza tale da porsi come punto inevitabile nell’agenda di governo degli stati e come focus di dialogo tra gli stati stessi, in particolare tra quelli membri dell’Unione Europea. Infatti, secondo i dati relativi all’anno 2018 dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati sono circa 70 milioni le persone costrette a mettersi in viaggio. Di queste, 40 milioni vivono sfollate nel proprio paese, circa 27 milioni sono rifugiati fuggiti all’estero e 3 milioni sono richiedenti asilo. Secondo tali dati, oltre il 50% dei rifugiati totali arriva da tre paesi: in particolare, un rifugiato su tre proviene dalla Siria, cui segue l’Afghanistan ed il Sud Sudan. Consistenti risultano essere anche i flussi continui di rifugiati somali ed eritrei, i quali si trovano costretti a lasciare il corno d’Africa a causa dalla precaria stabilità politica di tali paesi originata da conflitti perenni o instaurazione di regimi dittatoriali particolarmente violenti. Analizzando ulteriormente i dati così come elaborati dall’UNHCR4 si nota, in aggiunta, che i paesi i quali hanno accolto il maggior numero di migranti rifugiati, in relazione alla propria popolazione, sono il Libano4, la Turchia, l’Uganda, cui seguono l’Iran ed il Pakistan. Tali risultati fanno ben comprendere come il numero di migranti che arriva in Europa che presentano domanda di riconoscimento dello status di rifugiato è ben più esiguo rispetto al totale dei migranti accolti dai paesi citati.5 L’assunto che il fenomeno migratorio coinvolga un’area geografica così ampia, interessando un numero di stati nazionali sempre maggiore, porta all’inevitabile conclusione che, affinché si possa trovare una soluzione adeguata allo stesso, quest’ultima non deve ricercarsi all’interno dei confini nazionali, ma a livello transnazionale, preferibilmente in seno ad organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite. 4 Nel dettaglio in Libano trovano rifugio oltre 300mila palestinesi ed oltre 1 milione di siriani. Dati consultabili sul sito istituzionale dell’UNHCR al seguente link: https://www.unhcr.it/risorse/statistiche. 5 204 Pace e diritti umani nel Mediterraneo 3. La regolamentazione giuridica in tema di migrazioni. Spostando la ricerca della soluzione dal piano nazionale a quello internazionale si incontrano i primi deficit e limiti. A livello internazionale non è possibile trovare alcuna normativa pattizia sull’immigrazione, anche se è bene precisare che la stessa viene lambita nel momento in cui si affrontano altri temi.6 Ciò nonostante, è possibile ricavare un diritto di migrare (rectius diritto alla liberà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato, nonché diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio e di ritornarci) all’interno di alcuni atti internazionali. Nello specifico, l’articolo 13 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, al primo comma, afferma che «ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato», per poi proseguire al secondo comma affermando che «ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese». Tuttavia, la Dichiarazione universale non ha efficacia vincolante in quanto è una dichiarazione di principi. L’importanza, nondimeno, della stessa, è che essa mette in luce la volontà comune degli stati membri della comunità internazionale di voler riconoscere come diritto proprio di ogni essere umano quello di spostarsi liberamente sulla “Terra casa comune”. Analizzando il diritto internazionale pattizio, si nota come il diritto di migrare è disciplinato all’interno del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966 in particolare all’articolo 12 primo comma.7 Il diritto di migrare è possibile rinvenirlo, inoltre, all’interno della Convenzione ONU sui diritti dei lavoratori migranti, nella quale si specifica all’articolo 8 che «i lavoratori migranti e i membri della loro famiglia sono liberi di lasciare tutti gli Stati, ivi compreso il loro Stato di origine. Questo diritto non può essere oggetto di restrizioni se 6 Esempio emblematico è la trattazione del diritto di migrare in relazione al migrante lavoratore sancita nella Convenzione internazionale sui diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie. 7 L’analisi dell’articolo in questione verrà effettuata nelle pagine successive del presente lavoro. 205 Pace e diritti umani nel Mediterraneo non quelle previste dalla legge, necessarie alla protezione della sicurezza nazionale, dell’ordine pubblico, della salute o della moralità pubblica, o del diritto e libertà degli altri, e compatibili con gli altri diritti riconosciuti dalla presente parte della convenzione».8 Come sopra meglio specificato, è possibile rinvenire all’interno della normativa internazionale pattizia il diritto di migrare; tuttavia, sarebbe auspicabile porre in essere una normativa ad hoc che abbia come unico soggetto il migrante e come oggetto il flusso migratorio. Sul punto è bene dare risalto che nella conferenza di Marrakech del 10 e 11 dicembre 2018 è stato ufficialmente adottato il Global compact on safe, orderly and regular migration. La conferenza, che si è svolta sotto l’egida delle Nazioni Unite, ha avuto come protagonisti non solo gli stati membri della comunità internazionale, ma anche la partecipazione di vari attori non governativi. Il testo ufficiale del patto, così come definito nel luglio del 2018, è stato successivamente accluso a una risoluzione dell’Assemblea generale. Il Patto globale sulle migrazioni è stato elaborato insieme al Patto globale sui rifugiati, quest’ultimo sviluppato in seno all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Tuttavia, è doveroso sottolineare come in relazione al Patto sulle migrazioni molti dei paesi membri dell’Unione Europea, tra i quali l’Italia, 9 hanno deciso di non aderire allo stesso, nonostante si tratti di uno strumento meramente politico e programmatico anche se ricco di significato intrinseco. Infatti il Patto globale sulle migrazioni rappresenta il primo tentativo di definizione di un quadro di riferimento in materia d’immigrazione a livello mondiale, anche in considerazione del fatto che la disciplina sulla gestione dei flussi migratori è definita a livello nazionale o tuttalpiù regionale. 8 Si precisa tuttavia che L’Italia non ha ancora ratificato la Convenzione ONU in oggetto. In particolare, nonostante l’Italia abbia votato a favore del patto globale sui rifugiati, come tutti gli altri stati membri dell’Unione Europea, esclusa l’Ungheria, in relazione al patto sulle migrazioni, l’Italia stessa, insieme ad altri paesi membri dell’UE, ha deciso di non aderire al patto prefato adducendo come motivazione (pretestuosa a mio modesto avviso) il fatto che il patto in questione potrebbe far sorgere in capo anche ai migranti irregolari tutta una serie di diritti nuovi andando a rafforzare o rendendo “legittimo” il loro status giuridico di immigrato irregolare. 9 206 Pace e diritti umani nel Mediterraneo Sebbene la tutela delle frontiere nazionali è una delle principali materie su cui si fonda la sovranità statale, è innegabile che un’azione coordinata tra i vari stati è auspicabile per la ricerca di soluzioni efficaci alla problematica in esame. 4. La tutela del diritto di migrare. Come specificato nella premessa, il diritto di migrare dovrebbe essere garantito pacificamente all’interno di ogni ordinamento giuridico e i suoi eventuali limiti devono essere previsti dalla legge, nonché giustificati da esigenze legate alla tutela dello stato in sé. La legge in quanto tale è strumento ortodosso attraverso il quale lo stato esercita la propria sovranità in maniera legittima. Quindi, tra le funzioni della stessa, rientra pacificamente anche la garanzia e la tutela dei diritti umani.10 Di diritto di migrare, come ut supra anticipato, si parla all’interno del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966. Infatti, l’articolo 12 comma 2 specifica che «ogni individuo è libero di lasciare qualsiasi Paese incluso il proprio». Così facendo, la Convenzione riconosce il diritto di qualsiasi persona di migrare da uno stato all’altro. Tuttavia, il comma 3 precisa che, il diritto di migrare, può essere limitato nel momento in cui entra in conflitto con interessi considerati di vitale importanza per la sopravvivenza dello stato, specificando – opportunamente – che tali intessi devono essere individuati prontamente dalla legge nonché sorretti da congrua motivazione. Il citato comma sancisce che «i suddetti diritti11 non possono essere sottoposti ad alcuna restrizione, tranne quelle che siano previste dalla legge e che siano necessarie per proteggere la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, la sanità o la moralità pubbliche». È legittimo chiedersi a questo punto cosa si intenda per sanità pubblica, ordine 10 Volontariamente si è omesso il verbo “riconoscere” in quanto in diritti umani, essendo preesistenti a qualsiasi formazione di potere pubblico non necessitano del riconoscimento in quanto tale, essendo gli stessi già riconosciuti in re ipsa ma, necessitano degli strumenti normativi affinché siano al massimo attuati tutelati e garantiti effettivamente. 11 Fra i suddetti diritti è compreso anche il diritto di cui al comma 1 articolo 12 del Patto internazionale sui diritti civili e politici secondo cui <<ogni individuo che si trovi legalmente nel territorio di uno stato ha diritto alla libertà di movimento e alla libertà di scelta della residenza in quel territorio>>. 207 Pace e diritti umani nel Mediterraneo pubblico e sicurezza. La specificazione di tali espressioni risulta essere necessaria in quanto esse sono connotate da una natura elastica ed in virtù di ciò, si riempiono di significato nel momento in cui vengono applicate al caso concreto o interpretate. Tenendo presente la loro intrinseca natura dinamica, non si è quindi immuni dal rischio che uno stato, nel momento in cui si trova ad applicare tali concetti, per ragioni politiche, ideologiche o di mera convenienza, decida di adottare un criterio interpretativo espansivo che arrivi ad allargare talmente tanto le maglie delle citate nozioni giungendo ad una compressione ingiustificata del diritto di migrare fino a limitarne la tutela. Dunque, sarebbe pericoloso la prospettiva che l’interpretazione dei concetti di ordine pubblico, sanità e sicurezza fosse lasciata al mero arbitrio degli stati. Sul punto, occorre precisare che la Corte di giustizia dell’Unione Europea più volte si è pronunciata su cosa deve intendersi per sanità pubblica o sicurezza. Con la sentenza numero C-601/15 PPU del 15 febbraio 2016 la Corte ha specificato che la nozione di “ordine pubblico” presuppone, in ogni caso, oltre alla perturbazione dell’ordine sociale insita in qualsiasi infrazione della legge, anche e soprattutto l’esistenza di una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave nei confronti di un interesse fondamentale della società. Mentre, in relazione alla “pubblica sicurezza”, dalla costante giurisprudenza della Corte si ricava che tale nozione comprende «la sicurezza interna di uno stato membro e la sua sicurezza esterna, quindi, di conseguenza, il pregiudizio al funzionamento delle istituzioni e dei servizi pubblici essenziali nonché la sopravvivenza della popolazione, intesa come il rischio di perturbazioni gravi dei rapporti internazionali o della coesistenza pacifica dei popoli, o ancora il pregiudizio agli interessi militari, che possono ledere la pubblica sicurezza».12 Con la sentenza suddetta, la Corte sottolinea come la tutela della sicurezza nazionale e dell’ordine pubblico contribuiscono parimenti alla tutela dei diritti e delle libertà altrui, così come anche specificati all’interno della Carta dei diritti fondamentali 12 Il testo integrale della sentenza è consultabile sul sito istituzionale della Corte di giustizia dell’Unione Europea al seguente link: http://curia.europa.eu/juris/documents.jsf?num=C-601/15. 208 Pace e diritti umani nel Mediterraneo dell’Unione Europea, la quale enuncia il diritto di ogni persona non solo alla libertà, ma altresì alla sicurezza. Per tanto, le restrizioni all’esercizio dei diritti di libertà (tra i quali rientra il diritto di migrare) devono operare entro i limiti dello stretto necessario alla stregua dei principi di proporzionalità e adeguatezza. Altro punto di frizione da sottolineare è la circostanza che il diritto di migrare13 (supponendo che non ci siano ragioni a negarlo legate alla sicurezza della nazione, saluta e incolumità pubblica) non è azionabile e quindi usufruibile immediatamente dalla persona, ma è subordinato al rilascio di un atto amministrativo che prende il nome di visto. 5. Il visto consolare d’ingresso. Il visto d’ingresso è quell’autorizzazione (quindi un atto amministrativo) attraverso il quale viene concesso ad un cittadino il travalicamento delle frontiere. Tale atto deve essere richiesto dal soggetto interessato alle rappresentanze diplomatiche o consolari del paese di destinazione che sono presenti nel paese di provenienza. È bene precisare che la persona non ha un diritto a richiedere il visto, ma un interesse legittimo e per tale deve intendersi, così come specificato dalla Corte di cassazione con la sentenza numero 500 del 1999, quella «posizione di vantaggio riservata ad un soggetto in relazione ad un bene della vita oggetto di un provvedimento amministrativo e consistente nell’attribuzione a tale soggetto di poteri idonei ad influire sul corretto esercizio del potere, in modo da rendere possibile la realizzazione dell’interesse al bene della vita».14 L’interesse legittimo al visto, per quanto possa essere tutelato quale posizione giuridica soggettiva, in particolare – nel nostro ordinamento – in virtù dell’articolo 24 della Costituzione italiana, non è equiparabile alla posizione giuridica di diritto soggettivo. La subordinazione del diritto di migrare al rilascio del visto, fa sì che, non solo il diritto di migrare viene attuato attraverso la legge dello stato, la quale può limitarlo per i 13 Si precisa che l’analisi è incentrata sul diritto di migrare azionato nelle modalità previste dalla legge, quindi la migrazione regolare. 14 Su punto Cassazione civile, Sezioni unite – sentenza numero 500 del 22 luglio 1999. 209 Pace e diritti umani nel Mediterraneo motivi sopra citati, ma la fruibilità dello stesso è possibile solo a seguito dell’ottenimento di un atto amministrativo che autorizza il richiedente all’attraversamento delle frontiere e cioè del visto d’ingresso. In realtà, la ragione di questo doppio filtro del diritto di migrare è ben spiegabile in virtù del fatto che il controllo delle frontiere esterne è materia fondamentale sulla quale si fonda la sovranità statale e come tale gli stati sono restii a far sì che tale aspetto venga regolato da normativa internazionale pattizia, piuttosto che nazionale. A livello dell’Unione Europea si assiste ad una controtendenza del fenomeno, ma la singolarità risiede nel modello ibrido stesso d’integrazione europeo frutto di un processo lungo e complicato nel tempo, non ancora giunto al termine. La materia dei visti è regolata, all’interno dell’U.E., dal regolamento numero 810 del parlamento e del consiglio. La base giuridica dello stesso è individuata negli articoli 61 e 62 paragrafo 2 del TUE e l’obiettivo principale è quello di fissare le procedure e le condizioni comuni per il rilascio del visto sia in relazione ai soggiorni di breve durata (non più di 90 giorni su un periodo di 180 giorni) sia per il transito nel territorio dei paesi dell’Unione Europea e negli altri Stati che applicano interamente l’Accordo di Schengen. La domanda di visto viene esaminata nel merito dalle autorità consolari del paese di destinazione, presenti nel paese di provenienza. L’autorità competente, dopo l’accertamento del possesso e la valutazione dei requisiti necessari per l’ottenimento del visto, rilascia lo stesso al richiedente. Si specifica inoltre, all’articolo 9 del regolamento 810/2009, che «le domande vanno presentate non prima di tre mesi dall’inizio del viaggio previsto» e la domanda di applicazione si concretizza nella compilazione di un modulo predeterminato già predisposto dall’autorità competente. Il rifiuto del visto è regolato dall’articolo 32, il quale prevede tutte una serie di situazioni in cui l’autorità competente può rifiutarsi di concedere il visto. Tra queste rientrano i seguenti casi: - presenta un documento di viaggio falso, contraffatto o alterato; - non fornisce la giustificazione riguardo allo scopo e alle condizioni del soggiorno previsto; 210 Pace e diritti umani nel Mediterraneo - non dimostra di disporre di mezzi di sussistenza sufficienti, sia per la durata prevista del soggiorno sia per il ritorno nel paese di origine o di residenza oppure per il transito verso un paese terzo nel quale la sua ammissione è garantita, ovvero non è in grado di ottenere legalmente detti mezzi; - ha già soggiornato per tre mesi, nell’arco del periodo di sei mesi in corso, sul territorio degli Stati membri in virtù di un visto uniforme o di un visto con validità territoriale limitata; - è segnalato nel S.I.S. al fine della non ammissione.15 Occorre precisare come, in relazione ai motivi di rifiuto, ampi margini di discrezionalità vengono lasciati agli stati nel momento in cui si demanda agli stessi di verificare la sussistenza dei requisiti e dei presupposti per concedere il visto. In considerazione di quanto detto, è lecito chiedersi che tipo di tutela ha il cittadino straniero nel momento in cui si vede rifiutato un visto d’ingresso e se l’attività amministrativa dello stato in relazione al rilascio degli stessi è di tipo discrezionale, vincolata o parzialmente vincolata. Parte della risposta è fornita direttamente dal regolamento sui visti. Infatti, al paragrafo 3 dell’articolo 32 è previsto che «il richiedente cui sia stato rifiutato il visto ha il diritto di presentare ricorso. I ricorsi sono proposti nei confronti dello stato membro che ha adottato la decisione definitiva in merito alla domanda e disciplinati conformemente alla legislazione nazionale di tale stato». Il paragrafo rimanda poi all’allegato VI del regolamento nel quale si specifica che «il ricorso avverso la decisione di rifiuto, annullamento e revoca del visto va presentato secondo quanto stabilito dalla legislazione nazionale». Nell’ordinamento italiano, la competenza a giudicare sul diniego di visto spetta al TAR della regione Lazio. Tuttavia, essendo la concessione stessa del visto espressione della sovranità statale (e cioè del potere dello stato di negare l’ingresso agli stranieri nel proprio territorio sulla base di ragioni predeterminate e motivate), il rifiuto stesso è 15 Art. 32 del regolamento numero 810 del parlamento e del consiglio del 13 luglio 2009. 211 Pace e diritti umani nel Mediterraneo espressione di un potere discrezionale dell’autorità pubblica e, come tale, soffre del sindacato di merito del giudice amministrativo se non, quest’ultimo, espressamente previsto dalla legge, mentre, è soggetto al sindacato di legittimità del medesimo. Per questo si comprende la ragione per la quale, restando impregiudicato il potere di verificare la legittimità16 del diniego di visto, l’autorità amministrativa competente non può esimersi dal fornire spiegazioni in merito alle ragioni che hanno condotto alla mancata adozione del provvedimento. Dalla lettura dell’articolo 32 del regolamento 810/09, nonché dell’allegato VI del medesimo, non può non notarsi come sia affidata alla legislazione nazionale la previsione di rimedi volti a garantire una tutela in caso di diniego. In caso di lesione di situazioni giuridiche soggettive provenienti da una pubblica autorità, solitamente al cittadino vengono forniti due mezzi di tutela: una di tipo giurisdizionale e l’altra di tipo amministrativo. Per quanto le due offrano la possibilità di poter far sì che la medesima questione sia affrontata per una seconda volta almeno, è bene sottolineare che i due meccanismi di tutela non sono uguali e non sempre rispettano il diritto ad avere una tutela effettiva e concreta delle proprie situazioni giuridiche che venga giudicata da un organo indipendente e imparziale così come prescritto dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. La problematica è giunta all’attenzione della Corte di giustizia dell’Unione Europea, ad es., con la sentenza numero 403 del 2016 avente ad oggetto una questione pregiudiziale e nello specifico se alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea,17 il paragrafo 3 dell’articolo 32 del regolamento 810 del 2009 deve interpretarsi nel senso che la tutela da apprestarsi in caso di diniego di visto consolare sia di tipo giurisdizionale o se risulta essere sufficiente quella di tipo amministrativo. 16 Nel senso di legittima formale e quindi verifica dell’esistenza dei presupposti che hanno portato al diniego ma non esamina degli stessi nel merito. 17 Nonché alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in relazione all’articolo 13 della C.E.D.U.. 212 Pace e diritti umani nel Mediterraneo Prima di procedere all’analisi della sentenza, sia in fatto che in diritto, è bene chiarire la differenza che intercorre tra i rimedi giurisdizionali ed i rimedi amministrativi. La tutela di tipo giurisdizionale è la forma più importante di tutela azionabile a fronte di atti della pubblica amministrazione che ledano situazioni giuridiche soggettive. Essa, viene garantita nell’ordinamento italiano, in virtù dell’articolo 113 della nostra Costituzione. La tutela di tipo amministrativo è quella forma di tutela, disciplinata nel nostro ordinamento dal DPR del 24 novembre 1971 numero 1199, la quale prevede che gli atti della PA (tra i quali rientra il riconoscimento al visto) possono essere impugnati innanzi agli organi stessi della amministrazione pubblica in via, per l’appunto, amministrativa.18 Quest’ultimo rimedio, quindi, è azionabile di fronte ad organi, individuati secondo la legge degli stati, facenti parte della pubblica amministrazione. Organi, quindi, che in quanto facenti parte dell’apparato amministrativo dello stato, nel momento in cui agiscono, seppur devono seguire il canone dell’imparzialità, perseguono comunque l’interesse pubblico generale del bene della collettività. Nel momento in cui la pubblica amministrazione agisce, la stessa persegue, attraverso la sua azione, il fine pubblico di cui è portatrice, seppur tutta la sua attività amministrativa è pervasa dal canone dell’imparzialità. Se alla medesima autorità viene richiesto, attraverso un ricorso amministrativo, il riesame di una medesima situazione sulla quale si è già espressa, le viene demandato di riesaminare la questione in maniera imparziale e decidere quale dei due interessi (tra quello pubblico e privato) risulta prevalente in relazione al caso concreto. Ma sul piatto della bilancia è presente un interesse che alla stessa autorità viene chiesto dalla legge di perseguire e tutelare, seppur in maniera imparziale. Invece, la tutela giurisdizionale è impregnata non dal principio di imparzialità, ma dal principio della neutralità. Infatti, mentre l’imparzialità comporta il trattare interessi opposti in maniera 18 R. GAROFOLI , Manuale di diritto amministrativo, Nel diritto editore, IV edizione, 2017, p. 643 e ss. 213 Pace e diritti umani nel Mediterraneo equidistante, non richiedendo come condizione necessaria la totale estraneità di chi giudica rispetto ad uno dei due interessi contrapposti,19 la neutralità presuppone la totale indifferenza del soggetto giudicante in relazione agli interessi in conflitto, in quanto il soggetto giudicante stesso non persegue nessuno dei due interessi contrapposti: è terzo rispetto agli stessi. Solo il giudice pertanto, e non la P.A., è l’unico in grado di giudicare in maniera neutrale (concetto quindi differente dal termine imparziale) una situazione di conflitto e quindi, di conseguenza, solo la tutela di tipo giurisdizionale è in grado di fornire una tutela effettiva, concreta ed efficace in caso di lesione di posizioni giuridiche soggettive. Questa precisazione risulta necessaria per poter analizzare nello specifico la questione pregiudiziale alla base della sentenza numero 403 del 2016 della Corte di giustizia. In merito al fatto, il Sig. Soufiane El Hassani, cittadino marocchino, volendo fare visita alla moglie ed al figlio, entrambi cittadini polacchi e residenti in Polonia, presenta al console della repubblica di Polonia in Rabat domanda di rilascio di un visto Schengen. Ricevuta la domanda, il console la respinge, specificando che la stessa non veniva accolta in quanto non vi sono certezze che il Sig. El Hassani, avrebbe lasciato il territorio polacco prima della scadenza del visto.20 La normativa polacca, in attuazione dell’articolo 32 paragrafo 3 del regolamento 810/09, prevede che in caso di rifiuto al visto, il soggetto interessato può presentar domanda di riesame (quindi un ricorso di tipo amministrativo) di fronte alla medesima autorità che non ha concesso il visto. Il Sig. El Hassani propone riesame ai sensi dell’articolo 76 comma 1 della legge 19 Basti pensare che, nel riesame, all’autorità competente (solitamente la stessa che ha emanato l’atto) viene richiesto di rivalutare tra l’interesse pubblico e quello privato quale è prevalente, in maniera imparziale, anche se all’autorità competente è demandato per legge il perseguimento di quel fine pubblico che nel giudizio di riesame si trova a confronto con l’interesse privato. 20 In merito si veda la sentenza C-406/16 – Fatti all’origine della controversia e questione pregiudiziale, punto 11. 214 Pace e diritti umani nel Mediterraneo sugli stranieri del 12 dicembre 2013 (ustawa o cudzoziemcach),21 ma, in data 27 gennaio 2015 si vede nuovamente rifiutato il visto consolare. È bene precisare che la legge polacca, non prevede la possibilità di poter impugnare il rifiuto di un visto consolare di fronte ad un’autorità giurisdizionale. A tal proposito, il codice di procedura giurisdizionale amministrativa, all’articolo 5 punto 4, prevede espressamente che non rientra nella competenza del giudice amministrativo la materia del rilascio dei visti consolari, precludendo di fatto una tutela di tipo giurisdizionale in relazione a tale problematica. Nonostante il limite della competenza del giudice amministrativo nel poter decidere in tema di visti, il Sig. El Hassani propone comunque ricorso di fronte al tribunale amministrativo polacco del voivodato di Varsavia, specificando che l’articolo 76 della legge sugli stranieri polacca non garantisce un livello di tutela conforme a quanto prescritto all’articolo 13 della CEDU, nonché dell’articolo 47 della carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Nel proporre ricorso sottolineava come l’unico rimedio previsto in caso di diniego del visto consolare è di tipo amministrativo, mentre la legislazione degli altri stati membri dell’Unione Europea prevedano un rimedio di tipo giurisdizionale. Sulla base di tali dichiarazioni, il Sig. El Hassani chiede quindi al tribunale amministrativo di Varsavia di deferire alla Corte di giustizia una domanda di pronuncia pregiudiziale riguardo all’interpretazione dell’articolo 32, paragrafo 3, del regolamento sui visti, per stabilire se tale disposizione includesse nel suo ambito di applicazione altresì il diritto di proporre ricorso giurisdizionale contro le decisioni di diniego di visto o lasciava ampia libertà agli Stati membri nella scelta dello strumento di tutela ritenuto più idoneo. Il tribunale amministrativo di Varsavia con ordinanza respinge il ricorso affermando che l’articolo 5, punto 4, del codice di procedura giurisdizionale amministrativa polacco, afferma che il giudice amministrativo non è competente nel decidere avverso il diniego di un visto Schengen. Conseguentemente, il medesimo 21 In particolare al punto primo del comma uno della legge sugli stranieri polacca si prevede che avverso la decisione di rifiuto di un visto Schengen adottata da un console, al soggetto interessato spetta il diritto di chiedere il riesame dinanzi alla stessa autorità. 215 Pace e diritti umani nel Mediterraneo tribunale, si rifiuta di deferire domanda di pronuncia pregiudiziale alla corte di giustizia. In risposta, il Sig. El Hassani propone ricorso dinanzi alla corte suprema amministrativa della Polonia, adducendo i motivi pregressi e quindi anche la questione pregiudiziale. Sul punto, la corte suprema amministrativa Polacca, ritenendo fondato il dubbio interpretativo, decide di deferire questione pregiudiziale alla corte di giustizia.22 In particolare, la suprema corte precisa che, ai sensi della normativa polacca in tema di giurisdizione amministrativa, un rimedio giurisdizionale avverso il diniego di visto viene garantito esclusivamente ad un cittadino di un paese terzo che sia familiare di un cittadino di uno stato membro dell’Unione o di un paese membro dell’associazione europea di libero scambio che è parte all’accordo sul SEE o della confederazione svizzera. Ogni altro cittadino di paese terzo beneficia unicamente di un rimedio amministrativo, ossia di una domanda di riesame da parte della medesima autorità. Inoltre, nell’ordinanza di rinvio, la suprema corte evidenzia l’assenza di competenza dei giudici amministrativi per le cause relative ai visti rilasciati dai consoli, come previsto dall’articolo 5, punto 4, del codice di procedura giurisdizionale amministrativa e che, tale carenza, può violare l’articolo 32, paragrafo 3, del regolamento sui visti, in combinato disposto con l’articolo 47, primo comma, della carta dei diritti fondamentali dell’U.E., che garantisce il diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice. È bene precisare che, attraverso il rinvio pregiudiziale, la Corte di giustizia è competente a pronunciarsi sull’esatta interpretazione dei trattati, degli atti compiuti dalle istituzioni europee o dagli organismi dell’Unione.23 Tramite tale strumento, la Corte di giustizia collabora con gli organismi 22 Si precisa che il giudice di ultima istanza, ai sensi dell’articolo 267 del TFUE ha l’obbligo, in caso di dubbio interpretativo vertente su una disposizione del diritto dell’Unione Europea, di deferire questione pregiudiziale alla stessa. 23 Sul punto art 267 paragrafo 1 del TFUE. 216 Pace e diritti umani nel Mediterraneo giurisdizionali degli stati membri, al fine di garantire la corretta applicazione, effettiva ed omogenea, del diritto europeo. Il rinvio pregiudiziale ha quindi come oggetto di causa non la risoluzione di una controversia, infatti quest’ultima spetterà esclusivamente al giudice nazionale del rinvio, ma, invece, oggetto del ricorso è il dubbio interpretativo di una normativa europea. Sempre in virtù del rinvio pregiudiziale, alla Corte di giustizia è chiesto di interpretare anche le disposizioni del diritto dell’Unione Europea che sono oggetto di rinvio diretto da parte della normativa nazionale. Qui, si ha che il diritto dell’Unione trova applicazione non in vigore proprio, ma in virtù della disposizione di diritto interno che contiene il rinvio alla normativa europea. Si viene così a creare una situazione che può o deve costringere il giudice nazionale ad adire la Corte di giustizia affinché quest'ultima interpreti in via pregiudiziale una disposizione di diritto interno, seppur contenente il rinvio ad una disposizione europea. È bene precisare che una simile situazione, che trova ragione d’essere nella sua eccezionalità, non può far pensare che il giudice europeo possa essere adito, seppur indirettamente, ad interpretare una disposizione di diritto interno, anche se, non può dubitarsi, di come il rinvio pregiudiziale possa essere strumento utile alla Corte che le permette di azionare un controllo indiretto della compatibilità delle norme interne con quelle dell'ordinamento dell'Unione Europea. Di tale avviso è anche la Corte di cassazione, la quale infatti precisa che lo strumento del rinvio pregiudiziale svolge l’importante funzione di verifica della legittimità di una norma nazionale, di un atto emesso dalla autorità amministrativa o una prassi amministrativa in relazione al diritto europeo.24 In merito al diritto della questione, la corte di giustizia risolve il dubbio interpretativo affermando che «l’articolo 32, paragrafo 3, del regolamento n. 810/2009 del parlamento europeo e del consiglio, del 13 luglio 2009, che istituisce un codice comunitario dei visti, come modificato dal regolamento (UE) n. 610/2013 del parlamento europeo e del consiglio, del 26 giugno 2013, letto alla luce dell’articolo 47 24 Si guardi, sul punto, Cassazione. n. 13603/2011. 217 Pace e diritti umani nel Mediterraneo della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che esso fa obbligo agli stati membri di prevedere una procedura di ricorso contro le decisioni di diniego di visto, le cui modalità siano definite dall’ordinamento giuridico del singolo Stato membro nel rispetto dei principi di equivalenza e di effettività. Tale procedura deve garantire, a un dato stadio del procedimento, un ricorso giurisdizionale».25 A conferma di tale conclusione, la Corte afferma che l’articolo 47 della Carta, che ribadisce il principio della tutela giurisdizionale effettiva, richiede, al suo primo comma, che ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice indipendente e imparziale.26 Il rispetto di tali requisiti, non sempre può essere soddisfatto dal rinvio della decisione demandata ad un’autorità amministrativa.27 L’unico organo idoneo a garantire il rispetto di tali principi è quello giurisdizionale. Infatti, la nozione di indipendenza, intrinseca alla funzione giurisdizionale, implica innanzitutto che l’organo interessato si trovi in posizione di terzietà rispetto all’autorità che ha adottato la decisione oggetto del ricorso.28 6. Conclusioni. Il diritto “umano” alla liberà di movimento dentro e fuori i confini di uno stato, nonché di residenza entro i confini dello stesso è universalmente riconosciuto, garantito e tutelato dagli Stati sovrani? Si è potuto notare come il diritto di migrare, nonostante la sua elevazione a diritto umano, nel momento in cui entra in contrasto con interessi ritenuti rilevanti per la sopravvivenza dello stato, quale la sicurezza pubblica o l’incolumità della nazione, subisce una compressione tale da parte della stessa entità (lo stato) che è chiamata a 25 Sul punto si vedano le conclusioni della sentenza della Corte di giustizia numero 403 del 2016. In merito a ciò si veda il punto 38 della sentenza C403/16, nonché sentenza del 19 settembre 2006, Wilson, C506/04 punto 49 e sentenza del 17 dicembre 2015, Tall, C239/14, punto 51. 27 Seppur la stessa, nel momento in cui si trova a riesaminare la richiesta agisca rispettando il principio di imparzialità. 28 Si precisa, che la Corte usa l’espressione “terzietà”, ma che ben può sostituirsi la stessa con l’espressione neutralità. 26 218 Pace e diritti umani nel Mediterraneo garantirlo ed attuarlo. Tale situazione apparentemente paradossale deve essere letta anche alla luce del lento mutamento che la comunità internazionale sta subendo. L’emersione dell’individuo, all’interno della stessa, seppur non come soggetto di diritto, ma come centro d’imputazione di diritti, inevitabilmente erode il concetto di sovranità statale facendolo quasi apparire obsoleto. Inoltre, l’emersione di alcune problematiche quali i flussi migratori, i cambiamenti climatici, ma ancor di più la tutela effettiva ed universale dei diritti umani, hanno mostrato come i confini statali siano labili. Tali problematiche, lungi dall’essere risolte con azioni plurime prese univocamente dai singoli stati, necessitano di soluzioni all’interno di strutture in grado di canalizzare le pretese statali e di mettere a confronto le stesse non solo fra di esse ma, anche, con le pretese avanzate da altri soggetti che non siano i singoli stati, quali le parti private, le organizzazioni non governative, la comunità scientifica e perché no, l’individuo persona come tale. Seppur l’ONU sembra essere la sede adatta nella quale attuare questo (o, perlomeno, sotto la sua egida), la conferenza di Marrakech del 10 e 11 dicembre 2018, dove è stato ufficialmente adottato il Global compact on safe, orderly and regular migration (nella quale, tra l’altro, hanno preso parte anche le parti private), ha mostrato come gli stati siano ancora restii a scendere a compromessi sulla tutela effettiva di alcuni diritti che possono entrare in conflitto con la propria sovranità. Sarebbe auspicabile, quindi, che sul piano internazionale venga adottata una normativa pattizia che riesca a tutelare e garantire in maniera effettiva ed uniforme il diritto di migrare, che spesso risulta essere il presupposto per la tutela del diritto alla vita e l’integrità psico-fisica: basti pensare al migrante richiedente asilo o altra forma di protezione cui viene negato il visto d’ingresso. Tale obiettivo, seppur lontano nel tempo, può essere perseguito nel breve periodo attraverso la buona volontà politica degli stati, incanalando la stessa in atti di soft law. Strumenti quest’ultimi che, seppur non vincolanti dal punto di vista giuridico, possono vincolare ideologicamente e politicamente l’agire politico degli stati membri della 219 Pace e diritti umani nel Mediterraneo comunità internazionale ed i governi interni ad essi presenti, nonché tracciare una strada da percorrere per quelli futuri. 220 LUCA DE SANTIS Crisi immigratoria: limite confine e tolleranza. Abstract Siamo consapevoli di non appartenere ad una cultura concettualmente univoca, ed è stato proprio questo elemento a differenziarci dagli altri popoli. La globalizzazione in se stessa contiene ciò che è opposto, per questo abbiamo bisogno sia di limen che di limes, di locum e di topos senza protendere né per l’una, né per l’altra. La nostra forza culturale consiste proprio nella capacità di saperci fortificare nel tollerare tali contraddizioni, non dimenticando però che come esseri animati procediamo verso il nostro eskaton (fine) divenendo in questo procedimento affini con gli altri che sono in cammino come noi, quegli altri che noi nemmeno immaginiamo e non conosciamo, ma con cui si condivide un cammino. Keywords: identità plurale, globalizzazione, limes, limen, locum, topus, l’eskaton dell’uomo Introduzione. Il tema delle migrazioni può essere ritenuto uno degli aspetti della grande crisi che si è manifestata dall’inizio di questo millennio. Sarebbe un grave errore infatti, considerare la medesima crisi solo dal punto di vista economico, poiché essa riguarda globalmente varie componenti della società con ricadute di vario genere su ogni persona. Proprio per questo motivo diviene necessario prendere in considerazione il fatto che stiamo attraversando un cambiamento d’epoca, il quale richiede per un processo di risoluzione un dialogo continuo e costruttivo di tutte le forze sociali così come il confronto e l’utilizzo delle scienze. 1. Le cause delle migrazioni. Il tema delle migrazioni dunque non può essere declinato come una semplice emergenza, esso è piuttosto una conseguenza di eventi dalle chiare e rintracciabili radici storiche. Le guerre, la sete di potere, lo sfruttamento iniquo delle risorse, la mancanza di politiche lavorative, sono le generatrici di quanto oggi è sotto i nostri occhi. Vi è un principio vecchio come le montagne che ci ricorda come la fame va sempre verso il pane, ed essa non potrà essere fermata né dal mare, né dai monti, né dai porti chiusi, né dai muri. Siamo d’altro canto sicuri che se una persona avesse una minima possibilità di sussistenza a casa sua, non si metterebbe nelle braccia della morte. Riflettere su quanto sta accadendo riguardo agli spostamenti dai Paesi più poveri verso l’Europa, non deve farci dimenticare una migrazione interna alla nostra stessa Nazione, fatta di giovani e 221 Pace e diritti umani nel Mediterraneo intere famiglie in cerca di realizzazione professionale o lavorativa in altri Paesi; una migrazione certamente diversa nei modi e nelle motivazioni rispetto alla prima, ma che porta con sé l’identico carico di sentimenti e di dolore nell’animo dell’essere umano. Basterebbe la semplice osservazione di questi fenomeni per far scaturire concretamente una programmazione politica che sia risolutiva per quelle terre e il nostro Paese. La problematica delle migrazioni si presenta dunque come un fenomeno mondiale che non riguarda solo i barconi che arrivano in Italia, essa è piuttosto una rete che coinvolge l’interno e l’esterno dei continenti come l’Africa e l’Asia, ma nello stesso tempo anche l’Europa e l’America. 2. Il confine: limes e limen. Un primo passo da compiere per affrontare questo tempo di cambiamento consiste nel riprendere il giusto significato delle parole per meglio comprendere la nostra identità culturale. La tematica delle migrazioni è legata a doppio filo con un termine che la caratterizza: confine1. La lingua latina ci ha consegnato due parole diverse per esprimere il significato di confine: limes e limen2. Il primo termine dal punto di vista concettuale è affine alla parola terminus, indica la barriera ciò che non deve essere trasgredito, mentre il secondo è più affine a principium, richiama la soglia di casa collocata tra l’interno e l’esterno dell’abitazione. A differenza del limes, essa viene continuamente trasgredita per entrare e uscire; è da precisare però che se c’è una soglia vi è pure una casa un luogo che comunque segna uno spazio intimo. Come suddetto la nostra tradizione linguistica ci ha consegnato due termini che noi traduciamo con confine i quali però hanno significati totalmente opposti3. 3. Il luogo: locum, topus. eskaton dell’uomo. 1 Cfr. GENTILE A., Filosofia del limite, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2012. Cfr. MELZI D’ERRIL C. E VIGEVANI G., La dialettica sui confini, in «Il Sole 24 ore», 18 settembre 2016. 3 Cfr. AA.VV. Mediterraneo. Un dialogo fra le due sponde, a cura di Horchani F. e Zolo D., Jouvence ed., Sesto San Giovanni, 2005. 2 222 Pace e diritti umani nel Mediterraneo Una medesima contrapposizione la si riscontra non solo in quanto è stato appena espresso, ma anche riguardo a cosa chiude una linea di confine. Spinti da tale provocazione risponderemmo che un confine delimita un luogo che sempre a livello concettuale, si presenta essere diverso da uno spazio. Questo termine richiama l’idea dell’apertura, di un qualcosa che non può essere contenuto, che è sempre aperto (open space, spazio cosmico…)4, ad esso si oppone appunto l’idea di luogo5. Lo spazio manifesta una categoria prettamente geografica, mentre il luogo richiama la dimensione socio – culturale, o di un qualcosa legato alla memoria rispetto a un evento vissuto da una singola persona: essere particolarmente legato all’angolo di una piazza (spazio – Kora) poiché punto di ritrovo con i miei amici, i ricordi legati alla cucina in casa della nonna o a quell’angolo di spiaggia. Uno spazio diviene luogo quando richiama alla memoria un evento importante, quando in quella parte di spazio è accaduto qualcosa di fondamentale per chi ricorda6. Diviene perciò interessante riflettere sulla radice etimologica di luogo (locum). Il termine richiama qualcosa di chiuso, come anche una cavità (loculo, lucchetto, in inglese lock), nonostante ciò il termine suggerisce un'altra idea in quanto la radice di locum è la medesima di lux – lucis: un luogo chiuso, ma dove comunque arriva luce (pensiamo al Mito della caverna di Platone). In greco il termine luogo viene invece tradotto con topos. Su questo termine riflette in modo approfondito Aristotele, nella sua più grande opera filosofica, esattamente il IV libro della Fisica. Definire il concetto di luogo per il grande filosofo è ritenuta cosa complicata, in quanto risulta impossibile evidenziare da che cosa un luogo sia limitato. Superando tutte le contraddizioni di definizione in cui erano caduti i filosofi naturalistici prima di lui, Aristotele sostiene che il limite del luogo è determinato dall’uomo stesso7. Il luogo è l’eskaton dell’uomo, il fine ultimo che la persona raggiunge nel suo movimento. Il luogo dunque non ci è dato a-priori come lo spazio, ma esso viene ad essere edificato da me stesso, dal mio essere per natura animato. Il luogo, continua ancora Aristotele, non è statico, fisso, come l’acquario in cui vengono collocati i pesci, esso invece è in continua 4 Cfr. SIMPLICIO, Physika, 467,26. Cfr. DEI F., Antropologia culturale, Il Mulino, Bologna, p. 239. 6 Cfr. Ibidem, p. 243. 7 Cfr. ARISTOTELE, Opere, vol. 3, Fisica, Del Cielo, Roma: Editori Laterza, 1991, p.73 5 223 Pace e diritti umani nel Mediterraneo costruzione poiché è definito dal movimento dell’essere umano, dalla finalità da esso perseguita e raggiunta. L’essere umano essendo animato e in perenne cammino si indirizza sempre verso un oltre che una volta raggiunto diviene suo luogo: «Sembra poi che sia una questione grave e difficile comprendere il concetto di luogo, non solo perché esso presenta l’apparenza della materia e della forma, ma anche perché lo spostamento della cosa trasportata ha luogo nell’interno dello stesso contenente, che resta in riposo; appare infatti che il luogo possa essere un intervallo intermedio diverso dalle grandezze che si muovono. Vi contribuisce in qualche modo anche l’aria, che sembra essere incorporea; appare infatti che il luogo sia costituito non soltanto dai limiti del vaso, ma anche dall’intermedio fra questi limiti, come se fosse un vuoto. D’altronde, come il vaso è un luogo trasportabile, cosí anche il luogo è un vaso immobile; perciò quando ciò che è all’interno si muove e muta di posto in un contenente a sua volta in movimento, ad esempio una nave in un fiume, si serve di questo contenente come di un vaso, piuttosto che come di un luogo; il luogo, invece, vuol essere immobile; perciò il fiume tutto intero è piuttosto un luogo, poiché tutto intero è immobile.»8. L’uomo non può fare a meno di un luogo perché è nella sua natura sia l’abitare come anche il camminare. Il luogo dunque non potrà mai essere delimitabile. Odiernamente nella nostra cultura è contenuto, rispetto al termine luogo, sia il significato di locus che quello di topos. Una possibile tentazione consisterebbe nel preferire come veritiero un concetto rispetto all’altro. Credo invece che sia necessario tollerare entrambi. Viviamo nel tempo delle semplificazioni e ciò che necessariamente deve essere evitato, soprattutto dinanzi a un problema dalle profonde radici come è quello delle emigrazioni, il definire veritiero un significato rispetto ad un altro. Siamo chiamati dunque a tollerare tale contraddizione di significato, ma nel senso etimologico e nobile del termine. Esso infatti non va assunto nel modo comune con il suo significato di sopportare, ma facendo propria la sua radice che è tollere: sollevare, tenere in alto. La nostra cultura ha proprio questo compito, quello di sostenere entrambi queste 8 ARISTOTELE, La Fisica, 212a. 224 Pace e diritti umani nel Mediterraneo contraddizioni considerandole tutte e due veritiere e per questo devono essere necessariamente tollerate. 4. Identità plurale: tollerare le contraddizioni. L’epoca della globalizzazione trova le sue basi nella tradizione culturale che ci è stata trasmessa. Proprio per questo motivo siamo consapevoli di non appartenere ad una cultura concettualmente univoca, ed è stato proprio questo elemento a differenziarci dagli altri popoli. La globalizzazione in se stessa contiene ciò che è opposto, per questo abbiamo bisogno sia di limen che di limes, di locum e di topos senza protendere né per l’una, né per l’altra. La nostra forza culturale consiste proprio nella capacità di saperci fortificare nel tollerare tali contraddizioni, non dimenticando però che come esseri animati procediamo verso il nostro eskaton (fine) divenendo in questo procedimento affini con gli altri che sono in cammino come noi, quegli altri che noi nemmeno immaginiamo e non conosciamo, ma con cui si condivide un cammino. Quanto sinora espresso esclude il ritenere la nostra identità come esclusiva e unica, poiché essa è sempre plurale e costituita da molte dimensioni. La crisi da questo punto di vista può essere intravista nel pretendere l’altro uguale a me, nel ritorno ad un sistema sovranista e chiuso9. La paura non si innesta solo in me che accolgo lo straniero, ma anche nello straniero che entra nella nostra società, per questo le paure possono essere risolte solo confrontandole, mai mettendole nelle mani dei professionisti della paura. La paura determinata dall’incontro esiste ed è reale, per questo dall’altra parte sarebbe totalmente sbagliato far finta che non ci sia, poiché tale atteggiamento otterrebbe di far ritenere l’altro perennemente diverso da me. 9 Cfr. ADORNO TH. W., Minima Moralia, Einaudi, Torino, 1994, p. 114-115. 225 226 STEFANIA MANZO Per altre vie, per altri porti! Noi e gli altri da noi: tra paure ed empatia, l’àncora della cultura. Abstract L’articolo illustra le attività e i progetti di educazione alla cittadinanza dell’Istituto comprensivo stata di Racale, che ha aderito come partner al progetto del Centro Culturale San Martino Pace e diritti umani nel Mediterraneo. Il tema delle migrazioni fa parte della proposta culturale della scuola che ha sempre posto sempre al centro della sua programmazione didattica ed educativa il dialogo interculturale, l’educazione alle emozioni e l’empatia. Infatti, solo attraverso questa strada è possibile promuovere un’educazione di qualità ed inclusiva. Keywords: migrazioni, empatia, dialogo interculturale, educazione alla cittadinanza globale, umanità Introduzione. Volendo affrontare infatti la complessa ma non nuova tematica delle “migrazioni” nell’ottica educativa e formativa della cittadinanza attiva, con un atteggiamento scevro da qualsivoglia posizione politica, giacché la politica è per sua natura “risoluzione di problemi” che evidentemente non compete all’istituzione scuola, ci si ritrova in un mondo assai intricato di storie, di vite, di culture che proprio non possono non coinvolgere la sfera emotiva, ma che necessitano, per essere sviscerate al meglio e realmente comprese, dell’analisi apparentemente fredda, tecnica, di dati matematici che parlano di distanze percorse, di uomini che si sottraggono da una sponda per aggiungersi ad altri, di uomini, e su altre sponde. I dati, insomma, al servizio delle emozioni perché non ci si lasci guidare dal solo cuore in un viaggio che chiama a gran voce anche la mente affinché si informi, elabori, comprenda, illumini di senso corrispondente al vero espressioni che fanno presto a diventare convinzioni, ma che rischiano di scivolare in luoghi comuni, in stereotipi, certo comodi perché rapidi e in quanto tali adattissimi ai tempi sempre più ristretti e zippati della società globale, ma spesso forieri di visioni parziali, deformate, “prese in prestito” da altri e mai davvero consapevolmente fatte proprie. 1. Il macro-progetto dell’Istituto statale comprensivo di Racale. 227 Pace e diritti umani nel Mediterraneo Nell’anno scolastico 2018-2019, l’Istituto Comprensivo di Racale ha attivato il Macroprogetto “Per altre vie, per altri porti! Noi e gli altri da noi: tra paure ed empatia, l’àncora della cultura. Diventare cittadini attivi e responsabili non è roba da poco. Il cittadino attivo non è un ripetitore acritico della voce più convinta, dell’idea più diffusa. La cittadinanza attiva richiede sforzo ed impegno a capire, e da più punti di vista, un dato fenomeno; chiede perché e li cerca autonomamente, chiama a raccolta ogni facoltà dell’uomo in quanto essere integrale per costruire un suo pensiero e su quello ispirare la sua azione. In questa complessità che ci circonda è doveroso, da parte della scuola, accompagnare la sua comunità sui sentieri della consapevolezza perché sarebbe davvero curioso, in nome della “difesa” della nostra cultura, seppellirne le fondamenta e senza nemmeno rendersene conto. Non si può, pensando di salvare l’albero, tagliare le sue radici. 2. Finalità e obiettivi educativi. La finalità, piuttosto articolata, del Macro-progetto si può esprimere in questi termini: promuovere un approccio significativo alla complessità della società globale e al fenomeno migratorio in particolare, attraverso l’esercizio delle otto competenze chiave di cittadinanza attiva per acquisire l’abitudine alla curiosità, alla ricerca e alla costruzione di una propria interpretazione dei fenomeni, basata su informazioni verificate provenienti da più fonti. Gli obiettivi educativi, in effetti, sono stati agganciati e riferiti alle competenze che definiscono il “cittadino attivo”: Comunicazione nella madrelingua: - Letture di storie («Nel mare ci sono i coccodrilli» di Fabio Geda; «Io sto con te. Storia di Brigitte», di Melania Mazzuzzo; «Non dirmi che hai paura» di Giuseppe Catozzella) ed ascolto di letture animate («Ama il tuo sogno. Vita e rivolta nella terra dell’oro rosso» di Yvan Sagnet; «Immagina di essere in guerra», di Jeanne Teller e Vibeke Jensen) sul tema delle migrazioni, nell’ambito del Progetto #IOLEGGOPERCHÉ. - Analisi e comprensione dei testi letti, produzione di riflessioni, rappresentazioni grafiche e presentazioni multimediali individuali e collettive. 228 Pace e diritti umani nel Mediterraneo Comunicazione nelle lingue straniere - Letture, analisi, traduzioni di discorsi di grandi operatori di pace e di testi di canzoni in lingua inglese. Competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia - Raccolta di dati e tabulazioni in schemi e grafici sul fenomeno migratorio degli italiani all’estero e delle nuove migrazioni. - I settori della produzione nel mondo globalizzato. Competenza digitale: - ricerche sul web in piccolo gruppo per reperire informazioni, interviste, video, testimonianze e quant’altro occorra per approfondire la tematica delle migrazioni e la conoscenza delle radici della cultura occidentale, a partire dai documenti internazionali e dalla Costituzione italiana; - preparare video o testi interattivi per presentare il percorso effettuato. Imparare ad imparare: - acquisire la metodologia dell’indagine e della ricerca-azione per reperire informazioni utilizzando diversi canali (lettura di libri, atlanti storicogeografici, cartine tematiche, grafici, testimonianze, interviste, video, film…) per affrontare autonomamente argomenti di studio e di analisi complesse, organizzando il proprio apprendimento. Competenze sociali e civiche: - collaborare e partecipare comprendendo i diversi punti di vista; - sviluppare empatia nei riguardi di storie e vite “altre”; - imparare a valorizzare la propria cultura, conoscendone le fondamenta legislative nazionali ed internazionali; - sviluppare curiosità e rispetto per l’altro da sé. Spirito di iniziativa e imprenditorialità: - risolvere problemi che si incontrano nel percorso progettuale e proporre soluzioni; - valutare rischi e opportunità di situazioni analizzate; - scegliere tra opzioni diverse e prendere decisioni; 229 Pace e diritti umani nel Mediterraneo - collaborare alla progettazione del percorso di studio, alla pianificazione delle attività e della socializzazione di quanto prodotto. Consapevolezza ed espressione culturale: - stabilire collegamenti tra le proprie tradizioni culturali nazionali e quelle internazionali, in una prospettiva interculturale; - riconoscere gli aspetti geografici, ecologici, territoriali di vari ambienti naturali ed antropici e le connessioni con le corrispondenti strutture demografiche, economiche, sociali, culturali. 3. Progetti e iniziative per un’educazione alla cittadinanza globale. I Temi/Argomenti sono stati definiti in modo da coinvolgere tutte le fasce d’età dei tre ordini di scuola:  educazione all’Affettività: Emozioni: riconoscerle e gestirle. Il valore umano dell’empatia;  educazione alla Cittadinanza Globale: “Diffusori di pace”;  i fondamenti giuridici dei Diritti umani e il valore della Dignità L’àncora della cultura:  Salento: terra di incontri tra popoli e culture: L’integrazione possibile: visita al Museo della Shoah di Santa Maria al Bagno;  lessico e consapevolezza: Il colore delle parole, dall’explicatio terminorum alle parole ponte;  La storia ci guarda. Nei panni del rifugiato: quando gli stranieri eravamo noi  Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui: esiliati e rifugiati in Aiutiamoli a casa loro: sfruttamento e sostenibilità ambientale. La responsabilità sociale delle multinazionali;  Stiamo tutti bene: le nuove schiavitù.  Giusti, non eroi: Educazione alla legalità. Da Nardò (Renata Fonte) a Pollica (Angelo Vassallo, il Sindaco pescatore) in occasione del Premio “Angelo Vassallo” assegnato al Sindaco di Racale Donato Metallo). 230 Pace e diritti umani nel Mediterraneo Un lavoro così articolato non poteva non prevedere di avvalersi di importanti collaborazioni, le più rilevanti delle quali sono state indubbiamente quelle stabilite con:  Il Centro Culturale San Martino (Prof. Silvio Spiri): Pace e diritti umani nel Mediterraneo. Migranti, rifugiati e richiedenti asilo  L’Associazione “Gli InDisciplinati”  Don Tony Drazza, Assistente nazionale giovani ACR  Donatella Ferrario, scrittrice  I CRIFIU (gruppo musicale salentino)  Don Giuseppe Venneri (Direttore della Caritas diocesana)  Stefania Gualtieri (Segretario della Fondazione Emmanuel)  Casa Francesco (Comunità Emmanuel) Di particolare impatto, per alunni e genitori, sono state le testimonianze di giovani immigrati e di associazioni che lavorano per l’accoglienza e promuovono il rispetto e la dignità umana: La Crisalide, Comunità Emmanuel, Comunità Giovanni XXIII. Tra le iniziative di formazione proposte anche ai genitori, da ricordare: gli incontri organizzati dal Centro Culturale San Martino: La sfida delle migrazioni, Accoglienza, Integrazione e Sviluppo Sostenibile e La convivialità delle differenze e la solidarietà internazionale; tra gli incontri con l’autore, di particolare successo quello con Donatella Ferrario che ha presentato il suo lavoro, Sconfinare. Viaggio alla ricerca dell’altro e dell’altrove. Tutto ciò ha nutrito il Piano dei Percorsi didattici per i tre ordini di scuola dell’Istituto, “Tutti noi compresi”, La scuola dell’infanzia è stata impegnata nei seguenti progetti:  il valore dell’accoglienza: I diritti non sono fiabe (adozione a distanza a Natale);  partecipazione al Concorso del Centro Culturale S. Martino: rappresentazioni grafiche e poesie sul fenomeno dell’immigrazione;  #IO LEGGO PERCHÉ (per favorire l’approccio affettivo ed emozionale del bambino al libro come mezzo per veicolare tematiche sociali. Le diversità culturali, etniche, religiose, fisiche); 231 Pace e diritti umani nel Mediterraneo  progetto Cittadinanza: “IO SONO…” (per promuovere la convivenza civile imparando a gestire le emozioni e i primi conflitti sviluppando il rispetto per gli altri e per l’ambiente, il senso della solidarietà, dell’amicizia e dell’aiuto reciproco);  Qui si crea! (laboratorio orientato all’incontro tra più generazioni con la partecipazione dei genitori, pensato sviluppare il bisogno di vivere in pace ed essere felici in famiglia);  Scuola in festa (per scoprire il vero senso dell’amicizia, della collaborazione, della disponibilità favorendo il senso di cittadinanza attraverso la conoscenza del patrimonio culturale del territorio);  Cittadini si diventa (sapersi prendere cura di sé, degli altri, dell’ambiente favorendo forme di collaborazione e solidarietà soprattutto per i diversi da sé)  In viaggio (l’importanza e centralità dell’essere persona-conoscere i principali diritti dei bambini- avviare al senso della cittadinanza);  …e lessero felici ce contenti (educare all’ascolto, al coinvolgimento emozionale e alla comunicazione per favorire l’accettazione e il rispetto delle culture “altre”. La scuola primaria è stata protagonista di queste iniziative:  #IO LEGGO PERCHE’: Musical “Il Piccolo Principe”;  partecipazione al Concorso del Centro Culturale S. Martino: rappresentazioni grafiche e poesie sul fenomeno dell’immigrazione;  Il coro delle mani bianche (classi IVe – Ve primaria e Ie - IIe -IIIe Sec.1°grado);  Buon viaggio (Progetto Teatro per scoprire sé stessi e gli altri con il linguaggio e i gesti del corpo tramite la danza, la musica e il canto per gestire le proprie emozioni e per comunicare con gli altri);  E quindi uscimmo a riveder le stelle (Recital classi Ve Scuola Primaria e classi 1e, 2e e 33 Secondaria di 1° grado: il viaggio dell’uomo di ogni tempo, dalla profondità dell’anima alla consapevolezza della propria umanità). Infine, la scuola secondaria di 1° grado ha partecipato: 232 Pace e diritti umani nel Mediterraneo  al Concorso del Centro Culturale S. Martino: rappresentazioni grafiche e poesie sul fenomeno dell’immigrazione;  al progetto I diritti umani a scuola: Amnesty kids;  al Progetto Giornalino (documentazione e diffusione delle esperienze più significative);  al progetto #IO LEGGOPERCHE’: Letture di storie di migranti. Classi prime: Nel mare ci sono i coccodrilli di Fabio Geda; Classi seconde: Io sto con te. Storia di Brigitte, di Melania Mazzuzzo; Classi terze Non dirmi che hai paura di Giuseppe Catozzella. Ascolto di letture animate (Classi terze: Ama il tuo sogno. Vita e rivolta nella terra dell’oro rosso di Yvan Sagnet; Classi prime e seconde Immagina di essere in guerra, di Jeanne Teller e Vibeke Jensen);  all’iniziativa Dalla loro viva voce: Incontro con ragazzi richiedenti asilo;  al progetto Moviereading: La nave dolce, Cose di questo mondo, Terraferma;  AMCM (associazione multiculturale viaggio studio a Malta);  al Progetto AIESEC (The world in my classroom);  Viaggio nell’universo: MY SKY, MY SPACE;  Il mare e i visionari (Renata Fonte e Porto Selvaggio; Angelo Vassallo e Pollica: come i sogni dei GIUSTI diventano realtà, nonostante tutto, morte compresa.  Il coro delle mani bianche (classi IVe – Ve primaria e Ie - IIe -IIIe Sec.1°grado. 4. Riflessioni conclusive. «Non ci fidiamo più l'uno dell'altro. Vediamo agguati dappertutto. Il sospetto è divenuto organico nei rapporti col prossimo. Il terrore di essere ingannati ha preso il sopravvento sugli istinti di solidarietà che pure ci portiamo dentro. E il cuore se ne va a pezzi dietro i cancelli dei nostri recinti». Sembra che, da qualunque sia “l’altrove” in cui si trova, don Tonino Bello osservi e commenti ciò che accade... Riteniamo che la contemporaneità sia il bacino di fatti e di esperienze da cui attingere per selezionare ciò che, come Scuola, intendiamo sottoporre all’attenzione e alla riflessione dei nostri “utenti”, bambini, ragazzi e genitori compresi. 233 Pace e diritti umani nel Mediterraneo Nell’ovvia consapevolezza che quanto realizzato non possa in alcun modo aver pretese di esaustività, pure crediamo fermamente che un qualche “segno” debba essere comunque impresso, dei dubbi che stimolino all’approfondimento e alla definizione di una propria posizione debbano comunque essere sollevati, perché non si può negare che quelli in cui ci è toccato in sorte di vivere siano tempi contrassegnati dall’esclusione, dal rifiuto e spesso dall’umiliazione della dignità altrui. Noi partiamo da qui: dal nostro dovere istituzionale di “educare all’umanità”, sollecitare all’approfondimento vero, con metodo, tempi ed impegno adeguati all’opera articolata e complessa del “crescere”. E lo facciamo con fiducia, con ottimismo e con passione. 234 Pace e diritti umani nel Mediterraneo I Curatori Vitantonio Gioia. Ordinario di Storia del Pensiero economico (Unisalento), già Preside Fac. Scienze Politiche (Un. Macerata), Coordinatore del Dottorato Internazionale “La tradizione europea nella storia del pensiero economico” e Direttore del Department of History, Society and Human Studies (Unisalento). Ricerche: German Historical School, Economia classica, Pensiero utopico, Marx. Globalizzazione, diseguaglianze e migrazioni Alcuni contributi recenti: Capitalism and Judaism in Werner Sombart: a contribution to the analysis of capitalist rationality and its limits, in RHETM, V. 32; The German Historical School of Economics in the Italian Debate (1870 – 1890), J.L. Cardoso (ed.), Routledge 2016; Diseguaglianze e sviluppo. Le radici antiche di un problema attuale, in Giovanola B., Etica pubblica e giustizia sociale, Carocci Editore, 2016; Economics and Sociology Meet Socialism: Sombart, Durkheim and Pareto, in Soliani (ed.), Springer 2017; Protectionnisme et laissez-faire. L’économie politique en question, in A. Tiran - D. Uzunidis (eds.), Protectionnisme, libre-échange, compétitivité et développement économique : quelle réalité ?, Peter Lang, Bruxelles, 2019 ; From « prudent man » to homo oeconomicus : Does historicity matter for the category of individualism ? in International Review of Economics, August 2019. Attilio Pisanò. Dottore di Ricerca in Scienze Bioetico-giuridiche presso l’Università del Salento, è Prof. Associato di Filosofia del Diritto e di Teoria e Pratica dei Diritti umani presso il CdLM in Giurisprudenza (Dip. di Scienze Giuridiche) ed il CdLM in Studi Geopolitici e Internazionali (Dip. di Storia, Società e Studi sull'Uomo), nonché Principal Researcher del Political Terror Scale (North Carolina University). Già Presidente dei Corsi di Laurea di Area Politologica, è Componente del Centro di Bioetica e Diritti umani e dell’International Center of Interdisciplinary Studies on Migrations, nonché referente dell’Università del Salento per il network delle Università per la pace della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI). Autore di diverse monografie (da ultimo Crisi della legge e Litigation Strategy. Corti, Diritti e Bioetica, Giuffrè, Milano, 2016) e di contributi pubblicati sulle maggiori riviste di filosofia del diritto italiane (Rivista di Filosofia del Diritto, Politica del Diritto, Ragion Pratica) e di diritti umani (Diritti umani e diritto internazionale, Human Rights Review, The International Journal of Human Rights). 235 Pace e diritti umani nel Mediterraneo Silvio Spiri. Dottore di ricerca in Filosofia (Università di Roma Tor Vergata, 2006), docente presso la Scuola Secondaria Superiore, è Presidente dell’associazione “Centro Culturale San Martino”. Ha pubblicato monografie (Essere e sentimento. La persona nella filosofia di A. Rosmini, Città Nuova, Roma 2004 – Premio Nazionale Gentile da Fabriano, IX Edizione, Sezione “Opera prima”; La sapienza dell'essere. Ontologia triadica e trinitaria, metafisica della creazione e dialettica nella Teosofia di Antonio Rosmini, Aracne, Roma 2013) e curatele (con T. Valentini, Allargare gli orizzonti della razionalità. Prospettive per la filosofia, Editori Riuniti, Roma 2010; Antonio Rosmini, Vincenzo Gioberti e Gustavo di Cavour. Cristianesimo, filosofia e politica nel Risorgimento, Limina Mentis, 2012, vol.1; Antonio Rosmini, Vincenzo Gioberti e Gustavo di Cavour. Cristianesimo, filosofia e politica nel Risorgimento, Limina Mentis, 2012, vol. 2) e ha scritto diversi voci (Ecologia e religione; Etologia e bioetica; Legge morale e Bioetica; Neuroscienze e Bioetica; Neuroscienze e persona; Umanità e Shoah) nell’Enciclopedia di Bioetica e Scienza giuridica (a cura di Antonio Tarantino e Elio Sgreccia, ESI, Napoli). Gli autori Roberto Tanisi, di anni 66. Laureatosi a pieni voti presso l’Università “La Sapienza” di Roma, è entrato in Magistratura nel 1981. Pretore a Santhià e Vercelli fino al 1991, poi giudice del lavoro a Lecce per 3 anni. Giudice penale presso la Pretura e poi presso il Tribunale di Lecce, nel 2004 è divenuto Consigliere presso la Corte d’Appello territoriale. Nominato Presidente di Sezione, ha presieduto per sette anni la seconda Sezione penale del Tribunale e la Corte d’Assise di Lecce. Nel 2017 è stato nominato Presidente della Corte d’Appello, che ha retto per quasi due anni, lasciando l’incarico in seguito ad un contenzioso amministrativo. Attualmente presiede la prima Sezione penale e svolge le funzioni di Presidente f.f. del Tribunale di Lecce. Nella sua carriera è stato impegnato in delicati e complessi processi, anche per fatti di mafia, ed estensore di importanti Sentenze, quale quella sui c.d. “schiavi di Nardò”. Per otto anni Presidente della giunta distrettuale dell’A.N.M., si è fatto promotore di numerose iniziative sui temi della legalità, all’interno del Palazzo di Giustizia e nelle scuole, in collaborazione con l’Università e con Associazioni del territorio. Giuseppe Gioffredi. Dottore di ricerca in Scienze Bioetico-giuridiche presso l’Università del Salento, è ricercatore confermato presso l’Università del Salento e Prof. Aggregato di Diritto internazionale, Tutela internazionale dei diritti umani, Diritto europeo e internazionale 236 Pace e diritti umani nel Mediterraneo dell’immigrazione e dell’asilo. Tra le sue pubblicazioni: La condizione internazionale del minore nei conflitti armati, Giuffrè, Milano, 2006; Globalizzazione, nuove guerre e diritto internazionale, Trento, Tangram Edizioni Scientifiche, 2012. Luigi Perrone. Già Professore Associato di Sociologia delle migrazioni presso l’Università del Salento, ha diretto il Dottorato di ricerca in Sociologia delle migrazioni e delle culture, ha fondato e diretto l’OPI (Osservatorio provinciale sull’immigrazione) e l’ICISMI (International Centre of Interdisciplanary Studies on Migration), di cui oggi è coordinatore scientifico. Autore di saggi sul fenomeno migratorio e sulle comunità, collabora con riviste nazionali e internazionali. Mastrorocco Nunzio. Senior Researcher in Analisi e programmazione territoriale presso IPRES (Istituto Pugliese di Ricerche Economiche e Sociali), Dottore di Ricerca in Economia della Popolazione e dello Sviluppo, Perfezionato in Migrazioni internazionali, Academic Visitor Università di Oxford. Aree di ricerca: Analisi statistica e valutazione, Ricerca sociale e welfare regionale, Programmazione territoriale e sviluppo locale, Europrogettazione Bandi dell’UE. Autore di circa 150 pubblicazioni scientifiche attinenti materie demografiche, statistiche, economiche, sociali, territoriali. Calò Elisa. Junior Researcher in Analisi e programmazione territoriale presso IPRES (Istituto Pugliese di Ricerche Economiche e Sociali), Laurea in Scienze Economiche, con Specializzazione in Diritti e Politiche Euromediterranee, Master di II livello in Economia dell’Ambiente e del Territorio. Aree di ricerca: ricerca in ambito socio-economico; programmazione, monitoraggio e valutazione di politiche pubbliche con particolare riferimento a servizi pubblici locali e politiche di coesione (cicli 2007-2013, 2014-2020, 2021-2027), europrogettazione e gestione di progetti europei. Mauro Spedicati. Dottore di ricerca in Storia del Diritto presso l’Università di Macerata, collabora stabilmente con le cattedre di Storia del Diritto Moderno e Contemporaneo e di Diritto dell’Unione Europea presso il Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università del Salento. Borsista del MaxPlanck-Institut für europäische Rechtsgeschichte di Frankfurt am Main, ha collaborato anche con l’Institut für Rechts- und Verfassungsgeschichte dell'Universität Wien. È avvocato del Foro di Lecce. 237 Pace e diritti umani nel Mediterraneo Stefania Attolini. Dottoranda di ricerca presso il Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Università del Salento. Nel 2015 ha conseguito il Master complémentaire en droit européen (Advanced Master in European Law) presso l’Université Libre de Bruxelles (ULB). È coautrice del volume Come difendere il contribuente dagli studi di settore (Maggioli Editore, 2012). Claudia Morini. Senior Researcher in Diritto dell’Unione Europea presso il Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Università del Salento, è dottore di ricerca in Diritto internazionale e dell’Unione Europea presso l’Università di Bari. Tra le sue pubblicazioni la monografia La tutela dei diritti dei gruppi religiosi nel contesto regionale europeo (Cacucci, 2018). Simone De Michele. Laureato in Giurisprudenza, iscritto alla SIOI di Roma, ha conseguito nel 2017 un master in studi diplomatici. Collabora attivamente con le cattedre di Diritto dell'Unione Europea e di Diritto internazionale presso il Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università del Salento. Luca De Santis. Licenza in Sacra Teologia con indirizzo in Dottrina Sociale della Chiesa Roma e Dottorato in Sacra Teologia con indirizzo in Dottrina Sociale della Chiesa presso la Pontificia Università Lateranense. Insegna presso l’ISSR “Don Tonino Bello” di Lecce e presso l’Università Cattolica di Roma. Ha pubblicato il volume Autonomismo e persona. Federalismo, autonomia e sociologia del soprannaturale nel pensiero di don Luigi Sturzo, Effatà Editrice, Febbraio 2018 (III ristampa). Stefania Manzo. Laurea in Lingue e Letterature Straniere (Inglese e Russo) conseguita nel 1994 presso l’Università degli Studi di Lecce. Dal 1995 al 2014 è stata docente specialista di Lingua inglese nella scuola primaria di Taviano. Vincitrice del Concorso per il Reclutamento di Dirigenti Scolastici in Puglia – D.D.G. del 13/07/2011. Dal 2014 è Dirigente Scolastico dell’Istituto Comprensivo Statale di Racale (LE). Nel 2015 ha ricevuto il primo Premio al Concorso Nazionale “PREPARATION CENTRE CAMBRIDGE AWARDS 2015” in qualità di docente referente del progetto “Cambridge Esol” cat. Scuola Primaria. 238 Atti della Rassegna PACE E DIRITTI UMANI NEL MEDITERRANEO. Migranti, rifugiati e richiedenti asilo © 2019 Università del Salento eISBN 978-88-8305-158-6 (electronic version) http://siba-ese.unisalento.it