Atti della Rassegna
PACE E DIRITTI UMANI NEL
MEDITERRANEO.
Migranti, rifugiati e richiedenti asilo
a cura di
GIOIA V. , PISANÒ A. , SPIRI S.
2019
Comitato scientifico
VITANTONIO GIOIA
ATTILIO PISANÒ
SILVIO SPIRI
I contributi presenti nel presente volume sono stati sottoposti al processo di peer-review
© 2019 Università del Salento
eISBN 978-88-8305-158-6 (electronic version)
DOI Code: 10.1285/i97888830511586
http://siba-ese.unisalento.it
INDICE
INTRODUZIONE ...................................................................................................................... p. 1
SILVIO SPIRI
Per un umanesimo della solidarietà. La sfida delle migrazioni e
lo sviluppo umano sostenibile. ............................................................................................. p. 7
ATTILIO PISANÒ
Il Leviatano è ancora vivo. Migrazioni e Human Rights Gap,
movendo da Hannah Arendt .............................................................................................
p. 41
ROBERTO TANISI
Il diritto di migrare: ragioni umanitarie e illeciti penali ...................................................
p. 61
GIUSEPPE GIOFFREDI
Immigrazione, diritto d’asilo e ruolo dell’UNHCR. Scritto in ricordo
del seminario leccese di Pedro Felipe Camargo ................................................................
p. 95
LUIGI PERRONE
Migrazioni tra reale e immaginario collettivo. ...................................................................
p. 113
NUNZIO MASTROROCCO, ELISA CALÒ
Il movimento migratorio in Puglia: policy e flussi ..............................................................
p. 127
MAURO SPEDICATI
La gestione del fenomeno migratorio in Puglia: strumenti normativi
e strategie politiche .............................................................................................................. p. 161
STEFANIA ATTOLINI
Le fake news e gli hate speeches in rete nell’ordinamento europeo
e internazionale in relazione all’inclusione sociale dei migranti ........................................ p. 173
CLAUDIA MORINI
Il Forum europeo della migrazione: brevi osservazioni ..................................................... p. 193
SIMONE DE MICHELE
La tutela dell’interesse legittimo al visto ed il diritto di migrare ........................................ p. 201
LUCA DE SANTIS
Crisi immigratoria: limite confine e tolleranza. ................................................................... p. 221
STEFANIA MANZO
Per altre vie, per altri porti! Noi e gli altri. Da noi; tra paure
ed empatia, l’ancora della cultura. ...................................................................................... p. 227
INTRODUZIONE
Il 15 novembre 2018, presso l’ex convento degli Olivetani dell’Università del
Salento, si è tenuto un seminario intitolato Pace e diritti umani nel mediterraneo con la
partecipazione del Direttore dell’Ufficio del Sud Europa dell’UNHCR, Avv. Pedro
Felipe Camargo e di diversi docenti dell’Università del Salento (Fabio Pollice,
Vitantonio Gioia, Attilio Pisanò, Gigi Perrone, Giuseppe Gioffredi).
Il seminario, organizzato dal Centro Culturale San Martino, dai Corsi di Laurea
di Scienze Politiche e dell’International Center of Interdisciplinary Studies on
Migration (ICISMI), è stato l’evento conclusivo della seconda edizione di incontri
d’autunno che hanno avuto come tema l’Umanesimo della solidarietà che si sono svolti,
tra Taviano e Lecce, durante il 2018.
In particolare, il seminario del 15 novembre ha rappresentato una tappa
importante del Progetto Pace e diritti umani nel Mediterraneo. Migranti, rifugiati e
richiedenti asilo, promosso dal Centro San Martino con il partenariato della Regione
Puglia, del Comune di Taviano, dell’Istituto comprensivo di Taviano, dell’Istituto
comprensivo di Racale, del Centro di accoglienza “Agapolis” di Gallipoli e
dell’Università del Salento, ma anche con la testimonianza di operatori e richiedenti
asilo ospiti della Comunità Emmanuel.
Da settembre a dicembre 2018, difatti, sono stati organizzati alcuni incontri a
Taviano, Racale, Lecce su temi legati alle migrazioni per riflettere su accoglienza,
inclusione, sviluppo umano sostenibile in un’ottica di convivialità delle differenze.
La partecipazione, al seminario del 15 novembre, del Direttore dell’Ufficio di
Rappresentanza Regionale per i Paesi del Sud Europa, Felipe Camargo, su invito del
Centro Culturale San Martino, è stata la dimostrazione della rilevanza del progetto che
ha portato il Direttore Camargo ad incontrare, in due occasioni diverse, ma collegate
(Taviano, 14 Novembre 2018 e Lecce 15 Novembre 2018), gli amministratori locali, gli
alunni delle scuole e i cittadini di Taviano e Racale, ma anche gli studenti e alcuni
docenti dell’Università del Salento.
1
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
Da questa esperienza collettiva che intreccia università, scuola, associazionismo,
istituzioni nasce il volume che oggi si pubblica e che prende il nome proprio dall’evento
conclusivo di questa serie di seminari.
Il volume vuole lasciare traccia della riuscita collaborazione tra Università del
Salento e Centro Culturale San Martino, anche testimoniando la capacità dell’Università
di aprirsi al territorio e di sviluppare politiche relative alla c.d. “terza missione” su temi
di pressante attualità anche e soprattutto per la realtà sociale nella quale l’Università del
Salento si radica.
In aggiunta, gli incontri itineranti legati al progetto hanno fatto emergere tutta
una serie di questioni che il presente volume vuole riprendere ed approfondire, con
approccio scientifico, in una prospettiva più ampia di quella propriamente accademica,
al fine di dare un contributo all’attuale dibattito politico e giuridico sul fenomeno
migratorio e sulle politiche finalizzate ad una sua governance. Da qui la necessità di
aprirsi alla realtà, anche attraverso una serie di contributi che non sono solo direttamente
riconducibili all’attività di ricerca universitaria, ma che rimandano a esperienze e
prospettive differenti.
In quest’ottica il volume ospita contributi di Roberto Tanisi (magistrato, già
Presidente della Corte di Appello di Lecce), Mauro Spedicati (ricercatore e avvocato),
Nunzio Mastrorocco ed Elisa Calò (ricercatori dell’Istituto Pugliese di Ricerche
Economiche e Sociali, IPRES), con due note conclusive di riflessione di Stefania
Manzo (dirigente dell’Istituto Statale Comprensivo di Racale), e Luca De Santis
(docente presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Don Tonino Bello” di Lecce).
Una pluralità di prospettive necessaria per comprendere i tanti aspetti (etici,
politici, giuridici, economici, sociologici) che l’analisi del fenomeno immigratorio
richiede.
I diversi contributi che oggi si presentano vengono aperti da Silvio Spiri (Per un
umanesimo della solidarietà. La sfida delle migrazioni e lo sviluppo umano sostenibile),
promotore delle attività seminariali da cui nasce questo volume. Spiri, in particolare,
partendo dall’analisi sociologica del fenomeno migratorio nell’area euro-mediterranea
affronta la questione delle migrazioni nella prospettiva filosofica dell’umanesimo della
2
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
solidarietà, mettendo in evidenza la relazione tra gli obiettivi dello sviluppo umano
sostenibile, contenuti nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, e la questione delle
migrazioni.
Attilio Pisanò (Il Leviatano è ancora vivo. Migrazioni e Human Rights Gap,
movendo da Hannah Arendt) parte da un passaggio di sinistra attualità de Le origini del
totalitarismo di Hannah Arendt per introdurre il concetto di human rights gap come
fattore di spinta dei fenomeni migratori, in un percorso argomentativo centrato
particolarmente sul ruolo e la responsabilità degli Stati in tema di riconoscimento dei
diritti negli anni Duemila. Tale tema di grande attualità oggi, lo era anche negli anni
Quaranta del Novecento, quando Hannah Arendt scriveva.
Roberto Tanisi (Il diritto di migrare: ragioni umanitarie e illeciti penali),
assumendo la complessità del fenomeno migratorio, sia dalla prospettiva storica che da
quella giuridica, si sofferma sul diritto di migrare, alla luce del diritto costituzionale e
del diritto internazionale. Emerge con chiarezza che alle diverse tipologie di “migranti”
corrispondono differenti regolamentazioni giuridiche di cui occorre tener conto quando
si parla delle migrazioni. Il contributo si sofferma anche agli spetti penali legati al
fenomeno migratorio, con particolare riferimento alle violazioni dei diritti del migrante,
emerse da recenti pronunce giurisprudenziali. L’attenta considerazione delle diverse
forme di sfruttamento del lavoro dei migranti economici in Italia, in particolare nel
Salento, la piaga dal caporalato, l’illecito penale di recente introdotto nel nostro
ordinamento penale, ma anche la schiavitù sono analizzate dall’autore sulla base di
testimonianze processuali e alla luce di principi costituzionali e giuridici, su cui si basa
l’azione di contrasto dei fenomeni criminali.
Giuseppe Gioffredi (Immigrazione, diritto d’asilo e ruolo dell’UNHCR. Scritto
in ricordo del seminario leccese di Pedro Felipe Camargo), rilevando la configurazione
permanente del fenomeno migratorio, si sofferma particolarmente sui fattori “espulsivi”
dei Paesi di esodo e su quelli “attrattivi” dei Paesi di arrivo, evidenziando gli elementi
strutturali pur in un contesto di
costante evoluzione. Attenzione particolare, nel
contributo, è dedicata al ruolo fondamentale dell’UNHCR.
3
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
L’apertura alla prospettiva sociologica è enfatizzata da Luigi Perrone
(Migrazioni tra reale e immaginario collettivo) in un contributo che sottolinea la
specificità delle “migrazioni mediterranee”, attraverso l’analisi dell’evoluzione del
contesto economico e sociale degli ultimi decenni. Perrone, inoltre, evidenza il motivo
per cui la figura del migrante, da paradigma della modernità si trasforma in capro
espiatorio di tutti i mali sociali, alimentando paure e nuove forme di esclusione e di
razzismo.
Nunzio Mastrorocco ed Elisa Calò (Il movimento migratorio in Puglia: policy e
flussi) descrivono invece il sistema integrato di interventi, i progetti nazionali ed europei
di inclusione, i servizi ed il quadro normativo della Regione Puglia, la quale promuove
la piena integrazione degli immigrati. Particolare attenzione viene riservata
all’integrazione nel mercato del lavoro, che viene attuata attraverso la diffusione e lo
scambio di buone pratiche e iniziative con lo scopo di combattere ogni forma di
discriminazione, promuovere la consapevolezza dell’importanza dell’integrazione
culturale, garantire agli immigrati pari opportunità e canali di uscita da spirali criminali
e di sfruttamento lavorativo.
In continuità con Mastrorocco e Calò, il contributo di Mauro Spedicati (La
gestione del fenomeno migratorio in Puglia: strumenti normativi e strategie politiche)
analizza gli strumenti normativi attuati dalla Regione Puglia per la gestione dei
fenomeni migratori, descrivendo il sistema di ospitalità, accoglienza e integrazione dei
migranti e degli stranieri presenti sul territorio regionale. In particolare, è sottolineata
l’importanza dello Statuto per il riconoscimento dei diritti dello straniero, della legge n.
32 del 2009, recante «Norme per l’accoglienza, la convivenza civile e l’integrazione
degli immigrati in Puglia» e delle modifiche intervenute con la legge regionale n. 51
dell’Ottobre 2018. Infine, si sottolinea la rilevanza del Piano regionale triennale delle
politiche per le migrazioni
Il contributo di Stefania Attolini (Le fake news e gli hate speeches in rete
nell’ordinamento europeo e internazionale in relazione all’inclusione sociale dei
migranti) si concentra sul comportamento degli utenti in Internet che determina e
influenza l'inclusione dei migranti nelle nostre società. Sui social network si sono diffusi
4
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
messaggi di incitamento all’odio, sentimenti di diffidenza, paura e razzismo che si sono
accompagnati alla fake news in una cornice in cui i migranti sono percepiti come una
minacci. Per questi motivi, il contributo propone un’analisi delle misure e gli strumenti
giuridici e legislativi, nazionali ed europei, che vietano l’incitamento alla violenza, alla
all’odio, alla xenofobia, all’antisemitismo e alle discriminazioni contro i
guerra,
migranti.
Claudia Morini (Il Forum europeo della migrazione: brevi osservazioni) illustra,
invece, l’importanza e la funzione del Forum europeo della migrazione, una piattaforma
promossa dal Comitato economico sociale europeo e dalla Commissione europea, che
vuole rafforzare il dialogo e la cooperazione tra la società civile e le Istituzioni europee
sui temi delle migrazioni, del diritto di asilo e dell’integrazione dei cittadini di Paesi
terzi nell’Unione europea.
Simone De Michele (La tutela dell’interesse legittimo al visto ed il diritto di
migrare), invece, riconduce il diritto alla libertà di movimento, ovvero il diritto di
migrare, nella sfera dei diritti fondamentali dell’uomo che in quanto tali preesistono allo
Stato e sono innati nell’individuo. Di fronte alla resistenza di alcuni stati che non sono
disposti a riconoscere la priorità di questo diritto soggettivo, secondo l’autore, si
potrebbe adottare nel breve periodo una normativa (soft law) a livello internazionale che
tuteli in maniera effettiva e uniforme il diritto di migrare.
Chiudono il lavoro due riflessioni di Stefania Manzo (Per altre vie, per altri
porti! Noi e gli altri. Da noi; tra paure ed empatia, l’ancora della cultura),
sull’impegno della comunità scolastica nell’ambito dell’educazione alla cittadinanza e
al dialogo interculturale e Luca De Santis (Crisi immigratoria: limite confine e
tolleranza) che propone una riflessione sul significato dei termini limes (barriera), limen
(soglia), locum (luogo chiuso in cui arriva la luce) e del topos, inteso come luogo,
eskaton dell’uomo, fine ultimo che la persona raggiunge nel suo movimento.
Un lavoro collettaneo, pertanto, che muove da una serie di esperienze
seminariali, utile per promuovere una discussione civilmente impegnata sul fenomeno
migratorio, ma anche per corroborare forme di collaborazione tra l’Università del
5
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
Salento e le diverse realtà culturali e associative che arricchiscono, con il loro lavoro,
tanto carsico quanto prezioso, il territorio salentino.
Silvio Spiri, Attilio Pisanò, Vitantonio Gioia
6
SILVIO SPIRI
Per un umanesimo della solidarietà.
La sfida delle migrazioni e lo sviluppo umano sostenibile.
Abstract: l’articolo intende proporre la prospettiva dell’umanesimo della solidarietà. Questa prospettiva
filosofica implica la necessità di approfondire la relazione tra il fenomeno complesso delle migrazioni e
gli obiettivi dello sviluppo umano sostenibile, espressi nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. A partire
dall’analisi sociologica del fenomeno migratorio nell’area del Mediterraneo, la riflessione etico-filosofica
cerca di rintracciare le connessioni con il piano giuridico e politico da cui derivano azioni ispirate
dall’umanesimo della solidarietà che è il presupposto della convivialità delle differenze. Con questo
approccio interdisciplinare si vuole affermare la complessità del fenomeno, la necessità di tutelare i diritti
umani delle persone e, al tempo stesso, si riconosce che l’accoglienza non è possibile senza l’inclusione.
Keywords: sviluppo umano sostenibile, migrazioni, diritto d’asilo, rifugiati, apolide, umanesimo della
solidarietà.
Introduzione.
La storia dell'umanità è una storia di migrazioni, dalla comparsa degli uomini sulla terra
fino ai giorni nostri. Quando si parla di migranti occorre prima di tutto considerare che
gli “stranieri” sono persone uguali a noi per dignità e diritti, anche se, in base ad alcuni
punti di vista o caratteristiche accidentali, sono diversi da noi perché provengono da un
Paese lontano e sconosciuto, non appartengono allo Stato e alla nazione di cui invece
noi siamo parte.
L’estraneità dell’Altro, che è segno della nostra inquietudine interiore, ci spinge a
riflettere sul significato della nostra appartenenza ad una comunità di riferimento e ci
sollecita a ripensare all’identità personale che emerge solo nella costituzione relazionale
del nostro essere e del nostro agire. Il volto dell’altro, che è anche la cifra della realtà
personale, secondo la riflessione filosofica di Levinas, è anche la traccia dell’Infinito.
La riflessione sulla dignità ontologica della persona deve essere accompagnata da
un’attenta analisi delle condizioni storiche concrete, delle condizioni economiche,
sociali, culturali e religiose in cui ogni persona è inserita.
Le sofferenze e le violenze subite dai migranti che sbarcano sulle coste dell’Europa,
sono l’epilogo di un dramma senza fine che segna il volto di persone emarginate,
7
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
escluse o sfruttate dalle società opulenti. Si pensi alla piaga del caporalato, alla logica
perversa del lavoro nero, alla prostituzione.
L’immigrazione nel Mediterraneo è un fenomeno complesso che ci spinge a riflettere
sull’entità reale (e non solo sulla percezione diffusa e spesso distorta) dei fenomeni
migratori, sulle cause profonde dei flussi, sulla situazione dei Paesi di provenienza, di
transito e di approdo, ma anche sulla responsabilità politica ed etica che i Paesi
industrializzati hanno nei confronti di altri esseri umani, disperati e poveri che
provengono dal Sud del mondo, sfruttato e depredato da coloro che spesso si rifiutano di
accoglierli.
La questione dei diritti umani è il problema più urgente da affrontare per praticare
l’equità e la giustizia sociale a livello nazionale, europeo e globale. Vale la pena
sottolineare che esiste un diritto di restare nella terra in cui si è nati e cresciuti così come
dovrebbe essere riconosciuto a tutti la libertà di movimento e di migrazione, Nella realtà
così non è poiché il diritto di restare viene negato a causa di violenze, guerre
persecuzioni, sfruttamento indiscriminato di terre e beni, mentre la libertà di emigrare
dipende dal passaporto che si possiede
In prima luogo, bisogna assistere e accogliere il migrante che arriva, poi occorre
gestire i flussi migratori e attuare politiche efficaci e solidali anche attraverso un
sostegno più significativo alla cooperazione internazionale per lo sviluppo. Dal punto di
vista etico, si pone il dovere di considerare le condizioni delle persone nei campi di
detenzione in Libia e in altri Paesi di transito o di prima accoglienza. Seguendo diverse
rotte, i migranti inseguono il sogno di uscire dalla miseria, dalla fame, di sfuggire dalla
guerra e da persecuzione o di sfuggire dalle conseguenze innescate dai cambiamenti
climatici e dall’inquinamento. Questo sogno di liberazione spesso si trasforma in
schiavitù, prigionia, miseria o morte. Coloro che riescono a imbarcarsi e che tentano di
attraversare il Mare Mediterraneo sono protagonisti di un traffico aberrante di esseri
umani che si conclude spesso con tragedie, naufragi, stenti causati dal blocco e dalla
chiusura di alcuni porti dell’Europa. Il traffico di esseri umani, gestito da organizzazioni
criminali, esige un intervento immediato da parte della comunità europea e
8
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
internazionale contro gli scafisti e le mafie, ma anche interventi politici a favore di
soluzioni umane, come ad esempio i corridoi umanitari.
Le persone che intraprendono un viaggio dall’Africa verso l’Europa, attraversando
itinerari impervi e poi il Mare Mediterraneo con piccole imbarcazioni, insicure e
precarie, sono le vittime disperate di tutte le ingiustizie globali di cui sono responsabili
anche i Paesi della sponda settentrionale del Mediterraneo.
1. Le Migrazioni e gli obiettivi dello sviluppo sostenibile.
L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è un programma d’azione per le persone,
il pianeta e la prosperità che è stato adottato dall’Assemblea Generale delle Nazioni
Unite il 25 settembre 2015. Nel documento Transforming our world: the 2030 Agenda
for sustainable development1 sono contenuti 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile.
Gli SDG (sustainable development goals) 4, 5, 8, 10, 16 e 17 si trovano riferimenti
espliciti alle migrazioni.
L’obiettivo 4 riconosce che solo un’istruzione di qualità può migliorare la vita delle
persone. Da qui deriva la necessità di fornire un’educazione di qualità, equa ed
inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti. Nel target 4.b si fa menzione delle
migrazioni, dove si afferma che bisogna “espandere considerevolmente entro il 2020 a
livello globale il numero di borse di studio disponibili per i paesi in via di sviluppo,
specialmente nei paesi meno sviluppati, nei piccoli stati insulari e negli stati africani,
per garantire l’accesso all’istruzione superiore – compresa la formazione professionale,
le tecnologie dell’informazione e della comunicazione e i programmi tecnici,
ingegneristici e scientifici – sia nei paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo”.
Nell’obiettivo 5 dell’Agenda 2030, le Nazioni Unite riconoscono che è importante
raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze.
In relazione alle migrazioni e alle situazioni di vulnerabilità e di violenza di cui sono
vittime le donne migranti, il target 5.2 riconosce l’urgenza di “eliminare ogni forma di
1
A/RES/70/1 Transforming our world: the 2030 Agenda for
https://www.un.org/ga/search/view_doc.asp?symbol=A/RES/70/1&Lang=E
9
sustainable
development
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
violenza nei confronti di donne e bambine, sia nella sfera privata che in quella pubblica,
compreso il traffico di donne e lo sfruttamento sessuale e di ogni altro tipo”.
L’obiettivo 8 esprime la necessità di adottare (target 8.7) provvedimenti immediati
ed effettivi per sradicare il lavoro forzato, porre fine alla schiavitù moderna e alla tratta
di esseri umani e garantire la proibizione ed eliminazione delle peggiori forme di lavoro
minorile, compreso il reclutamento e l’impiego dei bambini-soldato, nonché porre fine
entro il 2025 al lavoro minorile in ogni sua forma.
Sempre in relazione al diritto al lavoro dignitoso che ad ogni persona si deve
riconoscere, il target 8.8 pone l’obiettivo di “proteggere il diritto al lavoro e promuovere
un ambiente lavorativo sano e sicuro per tutti i lavoratori, inclusi gli immigrati, in
particolare le donne, e i precari”. Il problema della disoccupazione, infatti, riguarda tutti
e, di conseguenza, le politiche sociali dovrebbero essere orientate ad affrontare in
maniera strutturale e integrale questa piaga sociale che genera povertà esclusione.
Talvolta le contrapposizioni sono generate da approcci parziale e riduttivi al problema.
In particolare, nel decimo obiettivo delle Nazioni Unite (Ridurre l’ineguaglianza
all’interno e fra le Nazioni) il settimo punto riguarda le migrazioni. Pertanto, il target
10.7 si può considerare la pietra angolare della migrazione nell’Agenda 2030 poiché si
riconosce la necessità di facilitare la migrazione ordinata, sicura, regolare e
responsabile, anche con l’attuazione di politiche pianificate e ben gestite. Questa è
sicuramente una strada per ridurre le ineguaglianze globali. Anche se non si parla
esplicitamente della lotta alle migrazioni forzate, questo punto è importante perché
riguarda tutti i migranti, sia coloro che fuggono dai conflitti sia coloro che fuggono a
causa di cambiamenti climatici o disastri ambientali.
L’agenda 2030 riconosce anche nel target 10.c, che entro il 2030, si deve ridurre a
meno del 3% i costi di transazione delle rimesse dei migranti ed eliminare i corridoi di
rimesse con costi oltre il 5%.
La dignità umana dei minori non accompagnati, soggetti vulnerabili negli
spostamenti migratori, viene ribadita nel target 16.2 con cui le Nazioni Unite dichiarano
di impegnarsi per “porre fine all’abuso, allo sfruttamento, al traffico di bambini e a tutte
le forme di violenza e tortura nei loro confronti”.
10
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
Infine, per la costruzione della pace e della giustizia sociale, il target 17.18 afferma
che entro il 2020 occorre rafforzare il sostegno allo sviluppo dei paesi emergenti, dei
paesi meno avanzati e dei piccoli stati insulari in via di Sviluppo (SIDS)”. L’accesso a
informazioni certe è un diritto violato che conduce le persone a intraprendere viaggi
senza meta che spesso si concludono con la schiavitù, o con la morte per terra o per
mare. Da ciò deriva l’impegno a “incrementare la disponibilità di dati di alta qualità,
immediati e affidabili andando oltre il profitto, il genere, l’età, la razza, l’etnia, lo stato
migratorio, la disabilità, la posizione geografica e altre caratteristiche rilevanti nel
contesto nazionale”.
2. Le cause delle migrazioni. Dall’Africa all’Europa.
In Africa si combattono molte “guerre e guerriglie dimenticate”, sostenute e alimentate
anche dall’esportazione di armi costruite da aziende e dai Paesi occidentali. La grande
disponibilità di ricchezze minerarie è causa di conflitti. La Repubblica democratica del
Congo è ricca di oro, stagno, rame, tungsteno e tantalio. In Sud Africa ci sono immensi
giacimenti di oro e di diamanti. Questi ultimi si trovano anche nel Congo, in Angola,
Liberia e Sierra Leone. Nel Sud Sudan ci sono poi ricchi giacimenti petroliferi. Altre
materie prime, come il coltan in Congo, sono estratte tramite lavori forzati a cui sono
obbligati anche i bambini per poi produrre gli strumenti informatici che si usano nel
mondo tecnologico. L’Africa è sistematicamente depredata delle sue risorse naturali.
In Africa è diffuso il fenomeno delle terre rubate agli africani (land grabbing),
provocato dagli interessi economici e industriali dell’Europa, di Russia, Stati Uniti e
soprattutto della Cina che ha assunto il monopolio nella costruzione delle infrastrutture
realizzate con investimenti statali. Ciò ha determinato anche un certo sviluppo, ma
numerosi sono anche i problemi del continente africano che è gravato dai debiti, da
ingerenze politiche e da nuove forme di colonialismo.
In Africa, i cambiamenti climatici, le malattie come l’ebola o l’AIDS e gli incendi
devastanti non cessano di provocare effetti dirompenti sull’ecosistema e sulla
biodiversità e sugli esseri umani. A ciò bisogna aggiungere l’esistenza di nuovi
“profughi climatici” che non hanno ancora un riconoscimento giuridico, di cui parla
11
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
l’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco2. Basti pensare alla desertificazione nel Sahel,
una striscia di terra, lunga circa 8.500 chilometri che si trova tra il deserto del Sahara e
l’Africa Subsahariana e che si estende dal Senegal, sulla costa ovest del continente, fino
al Gibuti, sulla costa est. Questa area è caratterizzata da diversi fenomeni come il
disboscamento, che si aggiungono agli effetti negativi del riscaldamento globale. Tutto
ciò ha determinato un calo consistente della produttività nel settore dell’agricoltura e
della pastorizia e anche la scomparsa di specie animali e vegetali.
Gli effetti devastanti del sottosviluppo si possono constatare nella povertà estrema,
nelle carestie e nella mancanza di acqua potabile, nella malnutrizione di milioni di
persone, tra cui molti bambini, che ogni giorno muoiono o rischiano di morire.
3. Cittadini stranieri e tendenze demografiche in Italia ed in Europa.
Secondo i dati ISTAT3, al 31 dicembre 2018 la popolazione residente in Italia ammonta
a 60.359.546 persone, oltre 124 mila in meno rispetto al 2017 (-0,2%) e oltre 400 mila
in meno rispetto a quattro anni prima.
Considerando il bilancio demografico nazionale, l’Italia sta attraversando una
situazione di declino demografico che è rallentato solo dalla crescita dei cittadini
stranieri. Infatti, dal 2015 la popolazione residente è in diminuzione.
La popolazione italiana scende al 31 dicembre 2018 a 55 milioni 104 mila unità, 235
mila in meno rispetto all’anno precedente (-0,4%). Rispetto alla stessa data del 2014 la
perdita di cittadini italiani (residenti in Italia) è pari alla scomparsa di una città grande
come Palermo (-677 mila). Il saldo naturale della popolazione è negativo ovunque in
quanto ci sono più decessi che nascite
2
«È tragico l’aumento dei migranti che fuggono la miseria aggravata dal degrado ambientale, i quali non
sono riconosciuti come rifugiati nelle convenzioni internazionali e portano il peso della propria vita
abbandonata senza alcuna tutela normativa» Laudato si’. Sulla cura della casa comune (24 Maggio
2015), par. 25. Gli insegnamenti di Papa Francesco sulla questione dei migranti e dei rifugiati si collocano
nella prospettiva di un’ecologia umana integrale. I discorsi e gli insegnamenti pronunciati dal Papa tra il
2013 e il 2017 sono stati raccolti in un volume, dal titolo Luci sulle strade della speranza. Insegnamenti
di Papa Francesco su migranti, rifugiati e tratta, a cura della Migrants and Refugees Section – Integral
Human Development, LEV, Città del Vaticano 2018.
3
ISTAT, Bilancio demografico nazionale anno 2018. Report del 3 Luglio 2019.
12
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
Inoltre, negli ultimi quattro anni i nuovi cittadini per acquisizione della cittadinanza
sono stati oltre 638 mila. Senza questo apporto, il calo degli italiani sarebbe stato
intorno a 1 milione e 300 mila unità. Nel quadriennio, il contemporaneo aumento di
oltre 241 mila unità di cittadini stranieri ha permesso di contenere la perdita
complessiva di residenti.
Al 31 dicembre 2018, i cittadini stranieri iscritti in anagrafe sono 5.255.503 (dati
ISTAT). Rispetto al 2018 sono aumentati di 111 mila (+2,2%), passando dall’8,5%
all’8,7% del totale della popolazione residente.
In Germania gli stranieri sono circa l’11,7% della popolazione, in Spagna il 9,5%, in
Francia gli stranieri sono il 7% della popolazione, nel Regno Unito il 9,5%, a Cipro gli
stranieri sono il 17,3%, mentre in Lussemburgo sono il 47,8%. La media europea è del
7,2%. L’Europa è dunque una realtà multiculturale che riflette la complessità delle
dinamiche sociali ed economiche della globalizzazione, tra diritti negati e meccanismi
economici di ingiustizia sociale. Al contrario, i sondaggi rivelano che nella percezione
diffusa, la percentuale degli stranieri in Europa si aggirerebbe attorno al 25-30% della
popolazione.
Un’indagine dell’IPSOS rivela che una errata convinzione degli Italiani secondo i
quali e gli immigrati sarebbero il 26% della popolazione residente in Italia. In verità, le
cifre reali ci dicono che gli immigrati non sono più del 10%, contando anche gli
irregolari.
Una ricerca comparata, condotta dal National Bureau of Economic Research di
Harvard 4, pubblicata nel giugno del 2018, riferisce che la percezione degli Italiani è
alterata al punto da far ritenere erroneamente che gli immigrati siano il 30% della
popolazione.
Questo dato è sproporzionato rispetto alla realtà dei fatti ed è funzionale alla
propaganda politica che cerca di riprodurre sempre il consenso, agitando lo spettro della
sicurezza, sempre minacciata dalla presenza di stranieri, e la paura dell’altro estraneo
che incute timore e tremore.
4
A. ALESINA, A. MIANO, S. STANTCHEVA, Immigration and redistribution, «National Bureau of
economic research. Working Paper» N. 24733, June 2018, p. 4.
13
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
La profonda distanza che separa la percezione dalla realtà del fenomeno
dell’immigrazione impedisce di comprenderne a fondo le sfide e le opportunità
4. Le migrazioni e la situazione a livello internazionale.
Grazie ai dati forniti dall’UNHCR sui flussi migratori degli ultimi anni 5, sappiamo che
nel 2017 68.5 milioni di persone sono state costrette ad abbandonare la loro casa - per
fame, miseria, guerre, cambiamenti climatici (desertificazione), urbanizzazione.
Nel 2018 sono state costrette a migrare 70,8 milioni di persone nel mondo. Tra
queste, circa 41,3 milioni sono sfollati interni, 25,9 milioni sono rifugiati e 3,5 milioni
sono richiedenti asilo. La maggior parte dei rifugiati, circa il 57%, proviene dalla Siria
(6.7 milioni), dall’Afghanistan (2,7 milioni), dal Sud Sudan (2,3 milioni), dal Myanmar
(1,1 milione), dalla Somalia (0,9 milioni)
I principali Paesi che ospitano i rifugiati sono: la Turchia (3,7 milioni), il Pakistan
(1,4 milioni), l’Uganda (1,2 milioni), il Sudan (1,1 milioni) e la Germania (1,1 milioni).
Inoltre, l’80 % dei rifugiati risiede nei Paesi vicini a quello di origine, secondo le stime
dell’ONU. Questa tendenza dimostra che le persone coltivano il desiderio di ritornare
nei loro Paesi di origine.
La Libia è sconvolta da continui scontri e ostilità tra fazioni militari rivali, è
attraversata da una frammentazione politica e militare che aggrava sempre più
l’instabilità sociale e politica del Paese. I migranti sopravvissuti ad una nuova tratta di
essere umani che giungono in Libia da diverse parti del continente africano hanno già
attraversato un lunghissimo ed estenuante viaggio di disperazione, hanno già
sperimentato il pericolo della morte, hanno visto numerosi compagni “morti” nel
deserto e sul cammino impervio e crudele verso la speranza negata. Questo cammino
che non concede tregua né ristoro alcuno, per alcuni può durare pochi mesi per altri può
durare più di un anno.
In un clima di persistente illegalità, i migranti sono raccolti e ammassati nei campi
della Libia, dove sono costretti a subire nuove violenze, torture, stupri, privazioni e
5
UNHCR, Global trends forced displacement in 2018, produced and printed by UNHCR, Geneva 20
June 2019.
14
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
prostrazioni, prima di potersi imbarcare nel mare Mediterraneo verso l’Europa, non
senza aver pagato prima il riscatto della loro libertà e della loro dignità. In queste
condizioni sono calpestati sistematicamente i diritti umani fondamentali, come attestano
numerose testimonianze e numerosi Rapporti ufficiali delle Nazioni Unite6.
Nella relazione ufficiale che denuncia gli abusi in Libia, il Segretario della Nazioni
Unite Guterres delinea i capi di accusa: «Perdita della libertà e detenzione arbitraria in
luoghi di detenzione ufficiali e non ufficiali; tortura, compresa la violenza sessuale;
rapimento per riscatto; estorsione; lavoro forzato; uccisioni illegali. I migranti hanno
continuato a essere detenuti in sovraffollamento, in condizioni disumane e degradanti,
con cibo, acqua e cure mediche insufficienti e servizi igienico-sanitari molto scarsi»7.
Responsabili di queste violazioni sono anche «funzionari statali, membri di gruppi
armati, contrabbandieri, trafficanti e membri di bande criminali» con la complicità della
Guardia costiera.
Per porre fine alle gravi violazioni dei diritti umani, mentre ancora infuria la guerra
libica, i rifugiati e i migranti trattenuti nei centri di detenzione devono essere evacuati.
Un buon esempio è l’accordo raggiunto dall’Unione Africana e dal Ruanda che ha
permesso di creare un meccanismo di transito per l’evacuazione dei rifugiati vulnerabili
(bambini e adolescenti) dai centri di detenzione della Libia. Il governo di Kigali si è
impegnato ad accogliere e proteggere alcuni richiedenti asilo. L’evacuazione in Paesi di
transito è la precondizione essenziale che permette di trovare soluzioni come il
reinsediamento in Paesi terzi, nel Paese di origine, ove le condizioni di sicurezza lo
rendano possibile, oppure la permanenza per alcuni in Ruanda.
Per questi motivi, i porti libici non sono affatto sicuri e non è possibile riportare lì i
naufraghi nel punto di partenza. L’unica alternativa possibile è quella dei corridoi
6
United Nations Support Mission in Libya, Report of the Secretary-General, 26 August 2019
https://unsmil.unmissions.org/sites/default/files/sg_report_on_unsmil_s_2019_628e.pdf
7
« Migrants and refugees continued to be vulnerable to: loss of liberty and arbitrary detention in official
and unofficial places of detention; torture, including sexual violence; abduction for ransom; extortion;
forced labour; and unlawful killings. Migrants continued to be detained in overcrowded, inhuman and
degrading conditions, with insufficient food, water and medical care and very poor sanitation.
Perpetrators of violations included State officials, members of armed groups, smugglers, traffickers and
members of criminal gangs». United Nations Support Mission in Libya. Report of the Secretary-General,
26 August 2019, p. 9.
15
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
umanitari che ponga fine al traffico di esseri umani e alla situazione di emergenza
umanitaria.
5. Flussi migratori verso l’Europa e nel Mediterraneo.
Secondo i dati forniti dall’UNHCR8, fino al 9 Dicembre 2019 nell’area del
Mediterraneo si contano 117.820 arrivi, di cui 95.870 sono i rifugiati e i migranti via
mare: 11.083 in Italia, 69.214 in Grecia, 30.517 in Spagna, 1664 a Cipro e 3.308 a
Malta. Inoltre, 21.950 sono i migranti giunti via terra in Grecia e Spagna. Sulla base dei
dati forniti dall’UNHCR, i Paesi di provenienza dei rifugiati nel corso del 2019 sono:
Afghanistan, Siria, Marocco, Algeria, Iraq, Tunisia, Guinea, Repubblica democratica
del Congo, Costa d’avorio.
Sulla base dei dati disponibili grazie alle stime dell’UNHCR, possiamo analizzare il
numero degli arrivi in Italia, Cipro, Malta, gli arrivi per terra e per mare in Grecia e in
Spagna, nel periodo che va dal 2014 al 2019. Nel 2014 gli arrivi sono stati 225.455 e i
morti 3.538; nel 2015 sono stati registrati 1.032.408 arrivi e 3771 morti; nel 2016 ci
sono stati 373.652 arrivi e 5.096 morti; nel 2017 rispetto a 185.139 si contano 2.277
morti. Nel 2018 gli arrivi sono stati 141.472 i morti 2.277. Si stima che fino al 9
Dicembre 2019 siano morte 1.234 persone. A partire da questi dati e da queste cifre, che
nascondono e, al tempo steso, rivelano la tragedia vissuta dai migranti, possiamo
consratare una consistente e graduale riduzione, ma il numero dei morti è sempre molto
alto.La rotta del Mediterraneo è la più pericolosa al mondo. Soltanto nel 2018, sono
morti nel mare Mediterraneo circa 2.000 persone, sbarcate dai porti della Libia e
dell'Africa del Nord e dirette verso l'Italia o l'Europa.
Non bisogna dimenticare che le politiche restrittive a livello europeo hanno limitato
e chiuso, nel corso degli anni, le vie di accesso regolare al continente europeo. Ciò ha
determinato una situazione di irregolarità e ha favorito indirettamente la proliferazione
degli affari illeciti delle organizzazioni mafiose che gestiscono il traffico di esseri
8
https://data2.unhcr.org/en/situations/mediterranean Questi dati coincidono sostanzialmente con quelli
forniti
dall’Organizzazione
Internazionale
per
le
migrazioni
https://migration.iom.int/europe?type=arrivals
16
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
umani, dalla fase di reclutamento nei villaggi africani alla fase di reclusione nei campi
della Libia in cui sono violati sistematicamente i diritti umani, fino all’abbandono delle
persone in mare. La morte di queste persone è spesso l'epilogo drammatico di un vero e
proprio traffico di esseri umani, segnato da torture, violenze e soprusi. A questa
situazione drammatica hanno cercato di porre rimedio le Organizzazioni non
governative che sono impegnate ad effettuare salvataggi in mare, in assenza di un
intervento efficace delle autorità politiche.
6. La situazione in Italia.
Dopo la crisi migratoria iniziata nel 2014, i flussi migratori in Italia sono
progressivamente diminuiti, anche se tale diminuzione non deriva da una soluzione al
problema complesso delle migrazioni nel Mediterraneo che richiederebbe una strategia
europea.
La stessa tendenza, che si è accentuata per effetto delle politiche migratorie e dei
divieti imposti, si riscontra dal 2017 al 2019. La diminuzione degli arrivi sul territorio
italiano è la conseguenza delle restrizioni imposte dalla legislazione nazionale che ha
determinato un riorientamento dei flussi migratori verso altri Paesi europei di primo
approdo. Da questi dati comprendiamo che i flussi, anche per le cause che ne sono alla
base, non si possono arrestare. Al tempo stesso, devono essere governati ma con un
approccio solidale e umanitario.
In base ai dati del Ministero dell’Interno, in Italia nel 2017 sono sbarcati 119.369
migranti; nel 2018 sono stati registrati 23.370 sbarchi. Dal 1 Gennaio 2019 al 12
Dicembre 2019 gli sbarchi registrati in Italia sono scesi a 11.097.9 Il Ministero
dell’interno riferisce anche la nazionalità dichiarata dai migranti al momento dello
sbarco in riferimento al 2019: Tunisia (2.654 persone), Pakistan (1.180), Costa d’Avorio
(1.135), Algeria (1.005), Iraq (871), Bangladesh (581), Sudan (444), Iran (434), Guinea
9
Cruscotto statistico del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero Italiano
dell’internohttp://www.libertaciviliimmigrazione.dlci.interno.gov.it/it/documentazione/statistica/cruscotto
-statistico-giornaliero
17
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
(281), Marocco (253), altre (2259 persone: “il dato potrebbe comprendere immigrati
per i quali sono ancora in corso le attività di identificazione”).
Di fronte alle tragedie e ai naufragi nel Mare Mediterraneo c’è il rischio di
un’assuefazione tragica alla morte in una sorta di globalizzazione dell’indifferenza
mediatica che anestetizza le coscienze, provocando non solo l’inerzia morale di fronte a
ingiustizie globali che si consumano sotto i nostri occhi, ma addirittura il rifiuto degli
stranieri e il disprezzo di tutto ciò che destabilizza la nostra quiete in nome di una
solidarietà. Basti pensare all’opera meritoria che, in assenza di un intervento statale,
compiono numerose organizzazioni non governative che salvano i migranti, i rifugiati e
gli sfollati dalla morte.
Dal punto di vista statistico, è importante considerare anche il dato, fornito dal
Ministero dell’Interno, relativo ai minori non accompagnati sbarcati nel 2017 (circa
15.779 minori), nel 2018 (3.536 minori) e nel 2019, fino al 2 dicembre 2019 (1.519
minori).
La Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo, adottata dall’Assemblea
Generale delle Nazioni Unite nel 1989, è una fonte giuridica importante, anche per la
protezione dei minori migranti, in cui si afferma la priorità ed il superiore interesse del
minore, il principio di non discriminazione, il diritto alla vita e all’educazione. Nei
confronti dei minori stranieri non accompagnati, che vivono in condizione di forti
privazioni, bisogna evitare ogni forma di detenzione, in riferimento allo status
migratorio, mentre occorre grande impegno da parte delle istituzioni per garantire
l’accesso regolare all’istruzione primaria e secondaria, un diritto sistematicamente
violato. Poiché non è dato conoscere il destino di molte persone al compimento della
maggiore età, risulta necessario garantire la permanenza regolare al compimento dei 18
anni. A fronte di una bassa scolarizzazione, spesso funzionale al progetto migratorio
delle famiglie che restano in contatto con i figli per interposte persone, è quantomai
necessario garantire loro la possibilità di proseguire negli studi. Per i minori non
accompagnati oppure separati dalla loro famiglia di origine bisogna prevedere
18
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
programmi di custodia temporanea o di affidamento10. Tra le persone scomparse nel
2017 risulta molto alta la percentuale dei minori non accompagnati. Pertanto, in assenza
di adeguata protezione e assistenza, i minori sono soggetti molto vulnerabili che spesso
finiscono nel giro della criminalità, nella tratta o in situazioni di irregolarità. Inoltre, il
diritto universale ad una nazionalità deve essere riconosciuto, con la necessaria
certificazione, a tutti i bambini e a tutte le bambine fin dalla nascita. Spesso migranti e
rifugiati si trovano nella condizione di apolidia, e subiscono emarginazione,
discriminazioni, vessazioni. In particolare, ai minori apolidi è negato il diritto ad
un’infanzia felice.
7. Economia delle migrazioni.
Secondo i dati MEF elaborati dalla Fondazione Leone Moressa, nel 2019 è aumentato il
gettito Irpef proveniente dagli immigrati che ammonta a 7,9 miliardi di euro (+3,6%). A
fronte di questo dato, gli immigrati ricevono circa 3 miliardi di euro. Con quasi 5
miliardi di differenza è stato calcolato che si possono pagare le pensioni di 600.000
italiani. Pertanto, gli immigrati svolgono un ruolo fondamentale per il mantenimento del
sistema previdenziale che senza di loro rischierebbe il collasso11.
Secondo le ultime stime, il reddito pro-capite degli immigrati in Italia è di 13.671
euro, mentre rimane alta la differenza e il divario con gli italiani (oltre 7 mila euro).
Inoltre, per la metà dei lavoratori stranieri, il reddito si ferma a 3.760 euro. È evidente
che pesa il lavoro sommerso, soprattutto in alcuni settori: costruzioni, agricoltura,
ristorazione, lavori domestici con colf e badanti, spesso senza contratti.
Tuttavia, il PIL prodotto dagli immigrati italiani si aggira intorno al 8,9%.
Peraltro, non esiste alcuna evidenza in base alla quale si può affermare che gli
stranieri tolgono il lavoro agli italiani. Solo nei lavori a basso rendimento, che gli
Italiani non vogliono più fare, c’è una netta prevalenza e una sostituzione di italiani con
stranieri.
10
Cfr Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e Rifugiato (2010); Osservatore Permanente
della Santa Sede, Intervento alla XXVI Sessione Ordinaria del Consiglio per i Diritti dell’Uomo sui diritti
umani dei migranti, 13 giugno 2014.
11
T. BOERI, Costi e benefici dell’immigrazione tra percezioni e realtà, Radar - Roma 28 Novembre 2018.
19
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
8. Il diritto internazionale.
Il primo dovere morale della comunità internazionale e dei singoli Stati, sia quelli di
prima sia quelli di seconda accoglienza, è quello di proteggere, difendere e garantire i
diritti umani fondamentali di milioni di rifugiati12, sfollati13 e apolidi14, richiedenti asilo,
ma anche migranti economici e migranti climatici, consentendo loro di costruire un
12
Il termine “rifugiato”, in base alla Convenzione di Ginevra del 1951, firmata da 144 Sati contraenti,
indica una persona che non può fare rientro in patria perché ciò risulterebbe troppo pericoloso. Tale
definizione si applica a «chiunque, nel giustificato timore d'essere perseguitato per la sua razza, la sua
religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni
politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole
domandare la protezione di detto Stato; oppure a chiunque essendo apolide e trovandosi fuori dal suo
Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato, non vuole
ritornarvi»12. Convenzione di Ginevra sullo statuto dei rifugiati (1951), Art. 1. Definizione del termine
"rifugiato", https://www.unhcr.it/wp-content/uploads/2016/01/Convenzione_Ginevra_1951.pdf. Questo
importante documento contiene, nell’art. 33, un principio fondamentale del diritto internazionale, ovvero
il principio del non-refoulement in base al quale nessun rifugiato può essere respinto in un Paese in cui la
sua vita e la sua libertà potrebbero essere seriamente minacciate. Ai diritti dei migranti forzati si
accompagna il dovere e gli obblighi degli Stati che si impegnano a proteggere i rifugiati. Questo
documento, concepito nel periodo postbellico, ha alcuni limiti: ad esempio, non parla degli sfollati interni
(internally displaced person), non prevede l’obbligo di ammettere richiedenti asilo e rifugiati, rinviando
la questione ai singoli stati, limita la definizione di rifugiato a coloro che hanno subito una persecuzione
"per causa di avvenimenti anteriori al 1° gennaio 1951”, prevede che "possano essere considerati solo gli
avvenimenti anteriori al 1° gennaio 1951 accaduti in Europa, con una chiara limitazione geografica. Per
superare questi limiti, ul 31 gennaio 1967 l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York, ha
adottato il Protocollo relativo allo status dei Rifugiati, entrato in vigore il 4 ottobre 1967 che prevede
l'eliminazione della limitazione temporale e geografica.
13
Gli sfollati interni (Internally Displaced Persons o IDPs) sono civili costretti a fuggire da guerre o
persecuzioni. Gli sfollati interni hanno abbandonato la propria casa per ragioni simili a quelle dei
rifugiati, ma restano sotto la protezione del loro governo, anche quando quel governo costituisce la causa
stessa del loro sfollamento. Per questo, gli sfollati interni sono persone che si trovano in una condizione
estrema di vulnerabilità. Inoltre, Con il consenso degli Stati interessati o almeno con l’impegno a non
ostacolare le operazioni di assistenza, l’UNHCR cerca di prestare assistenza anche alle popolazioni
sfollate di alcuni Paesi. Secondo i dati del Global Trends 2017 dell’Alto Commissariato delle Nazioni
Unite per i Rifugiati, nel 2017 erano circa 40 milioni le persone sfollate per conflitti o persecuzioni,
mentre nel 2018, secondo i dati forniti dal Global Trend 2018 dell’UNHCR e dall’Internal Displacement
Monitoring Centre of the Norwegian Refugee Council, ci sono stati 41.3 milioni gli sfollati interni
(internally displaced people)a causa di persecuzioni, conflitti, violenze o violazioni dei diritti umani.
14
Secondo la Convenzione di New York relativa allo status di apolidi del 28 settembre 1954, con il
termine “apolide” (dal gr. a = senza; pólis = stato) si indica: “(…) una persona che nessuno Stato
considera come suo cittadino per applicazione della sua legislazione”. L’UNHCR stima che nel mondo
siano apolidi circa 10 milioni di persone, anche se mancano dati statistici affidabili per rilevare la reale
entità e di un grave problema, molto diffuso nel mondo. Questa condizione è una grave violazione dei
diritti umani ed implica che le persone non passano andare a scuola o essere visitati da un medico, non
possono avere un lavoro, né aprire un conto in banca o comprare una casa p sposarsi. Nella condizione di
apolidia, l’individuo non viene considerato cittadino di nessuno Stato. Di conseguenza, non viene
riconosciuto il diritto fondamentale alla nazionalità né vengono assicurati i diritti correlati. Questi
individui e anche intere comunità, che pure esistono e dovrebbero godere degli stessi diritti delle altre
persone, sono invece considerati invisibili e perciò emarginati.
20
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
futuro migliore. L’UNHCR è l’agenzia, istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni
Unite il 14 dicembre 1950, che ha soccorso oltre 60 milioni di persone, aiutandole a
ricostruire la propria vita.
Ai “rifugiati” si riconosce il diritto d’asilo in quanto fuggono dalle guerre, dalle
persecuzioni e dalla povertà. Tuttavia, l’accezione di rifugiato, come si è configurata
storicamente e come è stata codificata nel diritto internazionale non comprende tutte le
situazioni possibili, molte delle quali sono nuove ed inedite. Basti pensare ai “migranti
climatici” che fuggono dal loro Paese a causa dei disastri naturali (come ad esempio la
desertificazione, le calamità naturali, ecc.). Al termine della 25a Conferenza ONU sul
clima, che si è svolta a Madrid (Cop25) dal 2 dicembre al 13 dicembre 2019, non si è
raggiunto un accordo risolutivo sul clima. Infatti, le principali decisioni, come quella
sulla riduzione dei gas serra, sono state rinviate per l’atteggiamento di alcuni Paesi
ricchi e inquinanti che hanno preferito tutelare i propri interessi. Eppure, in quel
contesto internazionale sono stati presentati diversi studi e rapporti sulle catastrofi
naturali determinate da cambiamenti climatici. Proprio il riscaldamento globale è la
prima causa delle migrazioni forzate.
Per comprendere il fenomeno complesso delle migrazioni occorre guardare la realtà
dei fatti e della storia umana, quella globale ma anche la vicenda storica soggettiva e
familiare, tornando alla realtà delle cose stesse, alla realtà della “persona”, intesa nella
sua integralità delle sue dimensioni costitutive e delle sue relazioni.
Chi sono i migranti e da dove vengono le persone che intraprendono viaggi disperati
verso l’Europa o verso altri Paesi, affrontando ogni genere di pericolo e di rischio (il
deserto, il Mar Mediterraneo che è diventato un cimitero, percorsi impervi via terra e via
mare) pur di trovare un’ancora di salvezza?
Queste persone, che definiamo in modo generico e riduzionistico “migranti”, hanno
una storia personale e familiare, hanno subito violenze di ogni tipo e sono prima di tutto
persone, che hanno la dignità e i diritti propri di ogni essere umano. La riflessione
filosofica di Pascal ci aiuta a comprendere quanto sia importante considerare la dignità
dell’essere umano, senza esclusioni o emarginazioni determinate dalla circostanza
fortuita di essere nati in un’area del mondo più evoluta e ricca rispetto ad altre. In
21
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
quanto ogni persona è un fine e mai un mezzo, un miracolo e un mistero indecifrabile,
nessuno può sentirsi esonerato da una responsabilità collettiva e globale verso le
persone e verso la casa comune. Da ciò deriva il significato antropologico
dell’ospitalità, dell’accoglienza e dell’inclusione delle persone che abitano il mondo.
Prendersi cura dell’altro significa riscoprire nella relazione la sorgente della solidarietà.
Poiché apparteniamo alla stessa comunità umana in quanto siamo tutti fratelli: «Non so
chi mi ha messo al mondo, né che cosa è il mondo, né chi sono io. Mi trovo in una
terribile ignoranza di tutte le cose. Non so che cosa sia il mio corpo, i miei sensi, la mia
anima e questa parte di me che pensa quel che dico, riflette su tutto e sopra se stessa, e
ignora se stessa tanto quanto tutto il resto. Vedo quegli spaventosi spazi dell’universo,
che mi tengono prigioniero, e mi trovo confinato in un angolo di questa vasta distesa,
senza sapere perché sono collocato in questo luogo piuttosto che altrove, né perché
questo po’ di tempo che mi è dato di vivere mi sia assegnato in questo momento
piuttosto che in un altro di tutta l’eternità che mi ha preceduto e che mi seguirà»15.
Due sono le condizioni dell’esistenza precaria, vulnerabile, ma aperta e pervasa
dall’infinito, di cui non abbiamo una comprensione sufficiente: essere-nel-mondo, in
una piccola porzione dell’universo, e vivere il tempo che ci è donato. Al di là dello
spazio che abitiamo, tutti dovremmo godere degli stessi diritti oltre che degli stessi
doveri di solidarietà reciproca perché ogni esistenza umana è un mistero inesauribile e
un dono. Tutto è dono e ci ho donato, ma il dono per continuare ad essere quello che è e
non trasformarsi in esercizio di potere o privilegio di pochi, chiede di essere condiviso,
cioè custodito, ereditato e trasmesso.
Alcuni affermano che la politica deve occuparsi prima degli abitanti residenti e solo
in seconda istanza degli stranieri. Questo atteggiamento nasconde surrettiziamente le
responsabilità politiche che devono essere assunte da coloro che, piuttosto che
affrontare e risolvere i problemi sociali ed economici di tutti i cittadini (autoctoni e
stranieri), in particolare coloro che sono in condizione di vulnerabilità, indicano come
unici responsabili di ogni male sociale proprio gli stranieri, i migranti e i rifugiati.
15
B. PASCAL, Pensieri e altri scritti, a cura di G. Auletta con un saggio di T.S. Eliot, Mondadori, 2010,
Milano, n. 194.
22
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
L’accezione e il giudizio negativo nei confronti di queste persone è il segno di un
declino morale che è il prodotto dalla cultura dello scarto. In questa degenerazione
sociale, che investe la società dell’opulenza e dell’ingiustizia, «ogni soggetto che non
rientra nei canoni del benessere fisico, psichico e sociale diventa a rischio di
emarginazione e di esclusione»16. La questione dei migranti ci invita a recuperare
alcune dimensioni essenziali dell’umanità e dell’identità personale, ragion per cui non si
tratta solo di migranti. L’altro e lo straniero destano e suscitano dubbi, paure, incertezze
poiché non siamo sempre pronti ad accogliere l’atro, il diverso. La paura dell’ignoto è
generata da ciò che è imprevedibile, da ciò che non si può comprendere pienamente
perché appartiene ad un’altra cultura, ad un altro orizzonte socio-economico e religioso.
Ciò che appare distante e diverso rispetto a quello a cui ognuno di noi sente di
appartenere, ci crea inquietudine, ci disorienta perché mette in crisi i punti di
riferimento, le certezze acquisite. È vero però anche il contrario. Infatti, nell’incontro
autentico con l’altro, che è oltre noi stessi, può accadere che ci sentiamo più vicini a
persone di altre culture e di altre religioni di quanto non ci sentiamo prossimi a familiari
e amici che, per nascita o per comunanza di vita, hanno le nostre stesse radici, abitudini
e usanze. Non è dunque la paura e il dubbio, l’incertezza che costituiscono un problema,
ma piuttosto l’intolleranza, la chiusura, l’indifferenza e il rifiuto dell’altro ci espongono
vertiginosamente sul baratro del male che segna la fine dell’umanità. Al contrario, solo
l’intersezione degli orizzonti culturali o meglio la convivialità delle differenze, che
accetta e rispetta la dignità di ogni persona e dunque, anche la diversità (culturale,
religiosa, ecc.) ovvero la distanza e la profondità dell’altro, consentirà di superare le
sterili contrapposizioni ideologiche, la violenza, la discriminazione e l’ingiustizia.
L’incontro e la comunione tra le persone ci rende migliori di quello che siamo e genera
giustizia e pace sociale.
Nell’epoca in cui la retorica dei diritti talvolta prevale sul rispetto della persona,
occorre ricordare che ogni essere umano, al di là del colore della pelle, della religione,
della cultura o del Paese di provenienza, al di là del passaporto, ha sempre diritto alla
16
Messaggio del Santo Padre Francesco per la 105ma giornata del migrante e del rifugiato 2019.
23
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
vita, ha diritto di essere salvata e accolta con mezzi ordinari e straordinari, ha diritto di
emigrare, perché ogni persona è soggetto di diritto ed è degna di essere amata in quanto
persona. Da ciò derivano i doveri morali dell’uomo verso l’altro uomo che è un fine e
non si può mai ridurre ad un mezzo o ad uno strumento. Se la politica non riconosce che
la vita di ogni persona è il valore morale fondamentale, difficilmente sarà in grado di
riconoscere e affrontare i problemi sociali che scaturiscono proprio dal valore della vita.
I migranti non sono solo e prima di tutto una questione politica, ma sono persone da
accogliere e aiutare. Ciò implica che i flussi migratori devono essere regolati secondo
criteri autenticamente umani, ispirati al principio di solidarietà, prevedendo ad esempio
anche la protezione umanitaria. Da ciò deriva l'esigenza di riconoscere, rispettare e
promuovere i diritti umani fondamentali (la vita, la salute, l'istruzione, il lavoro) che per
definizione sono universali e che anche nella realtà dovrebbero essere riconosciuti e
rispettati.
Del resto, se neghiamo i diritti fondamentali a qualcuno, apriamo inevitabilmente la
strada alla negazione dei diritti di tutti. Qual è il contrario del diritto? Non è
semplicemente il dovere, ma il privilegio di alcuni.
La priorità di intervento da parte di istituzioni pubbliche (Stati, Europa, ONU, ecc.)
deve sempre rivolgersi alle persone che hanno bisogno di aiuto e che rischiano di
perdere la vita, che si trovano in situazioni di emergenza o di pericolo. Ciò è previsto
anche dal diritto internazionale che ogni Stato è tenuto a rispettare, ma vale anche per il
progetto politico di un’Europa unita e solidale che non può disinteressarsi, demandando
il controllo dei flussi migratori solo ai Paesi di primo approdo. L’egoismo politico che si
sta manifestando da parte dei singoli Stati, che limitano drasticamente gli accessi, ma
anche da parte delle Istituzioni europee, mette seriamente a rischio il progetto politico
dell’Unione europea.
Inoltre, se prevale la logica delle divaricazioni e della separazione tra le persone
(italiani/stranieri) o del restringimento dei diritti umani fondamentali, si producono
conflitti sociali, odio e disprezzo per l’altro, violenze e ingiustizie.
Occorre un approccio integrale al problema delle migrazioni. Per offrire soluzioni
adeguate alle sfide delle migrazioni e per aiutare le persone migranti anche “a casa loro”
24
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
occorre promuovere lo sviluppo umano integrale, la cooperazione internazionale e
decentrata, ma anche il dialogo interculturale e interreligioso.
La Dichiarazione universale dei diritti umani, firmata a Parigi il 10 dicembre 1948
dall'Assemblea Generale della Nazioni Unite è un documento ancora attuale. Il primo
articolo afferma che «tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti.
Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito
di fratellanza».
Questi diritti valgono anche per i migranti che provengono dai Paesi più poveri del
Sud del mondo, depauperati e privati di risorse umane e materiali. Migranti, rifugiati,
sfollati sono esseri umani uguali, in dignità e diritti, a tutti gli altri individui del pianeta.
9. Per una filosofia delle migrazioni.
Immanuel Kant ha esposto tesi ancora attuali nel pieno della crisi migratoria che
coinvolge l’Europa ed il Mediterraneo. Nel progetto filosofico Per la pace
perpetua (1795) Kant non considera l’ospitalità come il frutto di una concessione
filantropica, ma come diritto di visita. Si tratta dell’inalienabile «diritto di uno straniero
di non essere trattato ostilmente quando arriva sul suolo di un altro. Quest’ultimo può
allontanarne il primo quando ciò accada senza che ne consegua la rovina; ma sinché
quello straniero sta pacificamente al suo posto, non lo può accogliere ostilmente. Non è
un diritto di essere ospitato ciò che dà luogo a questa pretesa (a tal fine sarebbe
richiesto un particolare contratto di benevolenza, per far diventare quello straniero
coabitante per un certo tempo), ma un diritto di visita, che spetta a tutti gli uomini, di
proporsi come membri della società per via del diritto al possesso comune della
superficie della Terra, su cui , giacché è una superficie sferica, essi non possono
disperdersi all’infinito e devono infine sopportarsi a vicenda, e originariamente nessuno
ha più diritto che un altro a stare in un luogo di essa»17. Si tratta di un principio
universale. Del resto, senza postulare la fine della sovranità nazionale, Kant afferma il
diritto di proporsi come membri della società in un rapporto di amicizia e di reciproca
17
I. KANT, Per la pace perpetua. Un progetto filosofico di Immanuel Kant, in Scritti di storia, politica e
diritto, a cura di F. Gonnelli, Laterza, Bari-Roma 1995, p. 177 e p. 188.
25
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
collaborazione per un progresso materiale e spirituale. In altri termini, Kant chiede che
si passi dall’ostilità all’ospitalità reciproca, base e fondamento della pace universale.
L’importanza di questa tesi viene riconosciuta anche dal sociologo Zygmunt Bauman18.
Quando lo straniero non è riconosciuto come persona, gli sono negati i diritti che
l’appartenenza alla comune umanità dovrebbe invece garantire e assicurare. La
cancellazione o meglio l’oscuramento dell’umanità è un processo che Bauman
chiama adiaforizzazione (dal greco ἀδιαφέρω, rendo indifferente), frutto di una politica
di securitizzazione sempre associata negli ultimi anni al contratto dell’immigrazione.
Tale approccio intransigente identifica sempre i migranti con potenziali terroristi e li
conduce su un terreno esente da valutazioni morali, al di fuori cioè dello spazio della
compassione e della cura, come osserva Bauman. Esonerati dalla responsabilità morale
nei confronti di questi sventurati, il mondo occidentale resta in preda alla paura e rischia
di scivolare nella spirale della violenza. Come acutamente osserva Bauman, «Ciò che si
verifica oggi – in netta controtendenza rispetto alla costante espansione dello spazio
dell’interdipendenza umana - è il restringersi di quelle obbligazioni morali che siamo
disposti a riconoscere e accettare come nostra responsabilità»19. Tracciato il solco tra
“noi” e “loro” si negano le responsabilità morali che noi dovremmo avere nei loro
confronti. Tale sospensione dell’etica si compie nell’identificazione dei profughi con i
nemici fastidiosi, indesiderati e inaccettabili da respingere.
In questo processo di identificazione dell’altro con il nemico, le vittime si
confondono con i carnefici e diventa preferibile per questi uomini politici, che mostrano
il pugno forte con i deboli, costruire muri anziché ponti. Ai disperati che fuggono da
una morte certa si nega così la dignità elementare dell’essere umano. Esclusi
dall’orizzonte umano e relegati nell’alveo dell’indifferenza, migranti, rifugiati e
richiedenti asilo lasciano indifferenti coloro che non si ritengono responsabili delle
sventure altrui. L’inerzia di fronte al rischio reale di morte dell’altro uomo è un
18
Cfr. Z. BAUMAN, Stranieri alle porte (Strangers at our door, 2016), tr. Di Marco Cupellaro, Laterza,
Bari-Roma 2016.
19
Ibid., p. 67.
26
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
atteggiamento devastante perché toglie alla politica e alle relazioni interpersonali ogni
parvenza di umanità e di compassione.
Per porre rimedio all’intolleranza e all’odio nei confronti dello straniero, secondo
Bauman, bisogna recuperare il significato globale della complessità, intesa come
capacità di costruire orizzonti comunitari concreti e come disponibilità a intraprendere
l’arte del dialogo.
10. Il Global Compact sulle migrazioni ed il global compact sui rifugiati.
Il 19 Settembre 2016 si è svolto a New York un vertice delle Nazioni Unite che ha
prodotto la Dichiarazione di New York sui rifugiati e sui migranti. In quella circostanza,
i leaders mondiali si sono impegnati a elaborare un patto globale per i rifugiati e hanno
espresso la volontà di adottare questo patto globale per una migrazione sicura, ordinata
e regolare in due processi separati. Del resto, i due patti globali definiscono due aspetti
complementari e costitutivi della cooperazione internazionale in quanto migranti e
rifugiati possono affrontare molte sfide comuni in condizione di vulnerabilità. Da ciò
deriva la necessità di salvare la vita dei migranti e dei rifugiati e di proteggere i loro
diritti, condividendo tale responsabilità a livello globale (Risoluzione 71/1 del 19
settembre 2016).
Come prevedeva l’appendice di quella dichiarazione, l'Assemblea Generale delle
Nazioni Unite ha poi deciso di convocare una conferenza intergovernativa per adottare
un patto globale finalizzato a costruire un ordine internazionale sicuro e ordinato e una
migrazione regolare.
Come previsto dalle risoluzioni 71/280 del 6 aprile 2017, 72/244 del 24 dicembre
2017 e 72/308 del 6 agosto 2018, una conferenza intergovernativa ha approvato a
Marrakech, in Marocco, tra il 10 e l’11 Dicembre 2018, il Global compact sulle
migrazioni disciplinate, sicure e regolari e la protezione internazionale dei rifugiatie ed
il Global Compact sui rifugiati.
27
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
Il 19 dicembre 2018 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (Resolution adopted by
the General Assembly on 19 December 2018) ha adottato il Global compact sulle
migrazioni.
Questo accordo internazionale contiene alcune linee guida generali sulle politiche
migratorie e si propone di offrire una risposta coordinata al fenomeno. Il Patto globale
per una migrazione sicura, ordinata e regolare ha ricevuto il voto favorevole di 152
Paesi, il voto contrario di 5, mentre 12 Paesi, tra i quali l’Italia, si sono astenuti.
Nel documento si afferma che i diritti umani universali dei rifugiati e dei migranti
devono essere rispettati, protetti e realizzati in ogni momento, anche se si tratta di due
gruppi distinti che sono regolati da norme giuridiche separate. Solo i rifugiati hanno
diritto alla specifica protezione internazionale come definita dal diritto internazionale
dei rifugiati. Il Patto globale assume un approccio integrale in quanto affronta la
migrazione in tutte le sue dimensioni. In esso si afferma l’importanza della
cooperazione internazionale e il rispetto della sovranità nazionale nelle decisioni che
riguardano le politiche migratorie. I principi guida trasversali e interdipendenti a cui ci
si richiama esplicitamente sono:
- la centralità della persona. Da ciò deriva la necessità di promuovere il benessere dei
migranti e delle comunità nei paesi di origine, di transito e di destinazione;
- la cooperazione internazionale. Pur non essendo giuridicamente vincolante, il Patto
globale sulle migrazioni riconosce il carattere transnazionale del fenomeno e l’esigenza
di individuare risposte globali;
- la sovranità nazionale;
- il rispetto dello stato di diritto, il giusto processo e l’accesso alla giustizia;
- lo sviluppo sostenibile nella convinzione che la migrazione è una realtà
pluridimensionale che può contribuire al raggiungimento degli obiettivi contenuti
nell’agenda 2030, quando e se è gestita correttamente;
- il rispetto dei diritti umani dei migranti contro ogni forma di discriminazione,
xenofobia o intolleranza; il rispetto dei diritti delle donne; l’attenzione ai minori;
l’approccio trasversale che deve coinvolgere le dimensioni e gli apparati della pubblica
28
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
amministrazione; il partenariato sociale per una governance delle migrazioni che sia
rispettosa delle persone e dei diritti umani.
Nel documento sono indicati 23 obiettivi da cui deriva una serie di impegni e di
azioni: «1. In primo luogo, occorre raccogliere e utilizzare dati precisi e disaggregati
come base per elaborare politiche basate sull’evidenza dei fatti.
2. Ridurre al minimo i fattori negativi e strutturali che costringono le persone a lasciare
il loro Paese d’origine.
3. Fornire informazioni accurate, aggiornate in tutte le fasi della migrazione.
4. Assicurare a tutti i migranti il diritto di possedere documenti d’identità validi.
5. Migliorare la disponibilità e la flessibilità dei percorsi per una migrazione regolare.
6. Garantire assunzioni etiche e giuste e condizioni dignitose di lavoro.
7. Affrontare e ridurre le condizioni di vulnerabilità durante la migrazione.
8. Salvare vite umane e compiere sforzi internazionali per interventi coordinati.
9. Rafforzare la risposta transnazionale per contrastare il traffico di essere umani.
10. Prevenire, combattere e sradicare la tratta di esseri umani nel contesto delle
migrazioni internazionale.
11. Gestire le frontiere in modo integrato, sicuro e coordinato.
12. Rafforzare la certezza e la prevedibilità delle procedure per la migrazione al fine di
operare le opportune selezioni, valutazioni e attività di orientamento.
13. Ricercare soluzioni alternative alla detenzione dei migranti.
14. Migliorare la protezione consolare, l’assistenza e la cooperazione durante tutto il
ciclo della migrazione.
15. Fornire l’accesso ai servizi di base per migranti.
16. Promuovere politiche di inclusione e di coesione sociale.
17. Eliminare tutte le forme di discriminazione e promuovere un dibattito pubblico
basato sulla conoscenza realistica del fenomeno migratorio per modificare la percezione
(negativa) nei confronti dei migranti.
18. Investire nello sviluppo delle competenze e favorire il riconoscimento di abilità,
qualifiche e competenze.
29
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
19. Creare le condizioni affinché i migranti e le diaspore possano contribuire allo
sviluppo sostenibile in tutti i Paesi.
20. Promuovere trasferimenti di rimesse più rapidi, sicuri ed economici e favorire
l’inclusione economico-finanziaria dei migranti.
21. Cooperare per facilitare il ritorno sicuro e dignitoso e la riammissione, nonché il
reinserimento sostenibile.
22. Stabilire meccanismi per la portabilità dei diritti previdenziali e delle prestazioni
maturate.
23. Rafforzare la cooperazione internazionale e una partnership globale per una
migrazione sicura, ordinata, e regolare».20
Il Global Compact riconosce che la migrazione è una realtà multidimensionale di
grande rilevanza per lo sviluppo sostenibile dei Paesi d’origine, di transito e di
destinazione. Per realizzare gli obiettivi dello sviluppo sostenibile, le migrazioni devono
essere gestite correttamente e i flussi migratori devono essere regolati, controllati e
sicuri.
A tal proposito, è opportuno approfondire tre aspetti: i cambiamenti climatici,
l’emergenza umanitaria legata ai flussi migratori, la questione dei diritti umani.
In relazione ai cambiamenti climatici e disastri naturali che causano migrazioni
forzate, il GCM afferma che è necessario garantire protezione e assistenza umanitaria
alle persone colpite da disastri naturali a insorgenza improvvisa e a insorgenza lenta.
Spesso il peggioramento delle situazioni ambientali costringe le persone ad una
migrazione irregolare, a esodi di massa e a condizioni precarie di vita.
Il Global Compact sulle migrazioni si fonda sui principi espressi dalla Carta delle
Nazioni Unite, sulla Dichiarazione Universale dei diritti umani, ma richiama
esplicitamente anche gli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, il Piano
20
UNITED NATIONS, Global Compact for safe, orderly and regular migration, 13 July 2018
https://refugeesmigrants.un.org/sites/default/files/180713_agreed_outcome_global_compact_for_migratio
n.pdf
30
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
d’azione di Addis Abeba21, nonché l’Accordo di Parigi22 e l’Accordo di Sendai per la
riduzione dei rischi di disastri 2015-2030. Inoltre, bisogna considerare anche alcune
raccomandazioni che sono frutto di processi consultivi tra gli Stati, come l’Agenda per
la protezione di sfollati transnazionali nel contesto di catastrofi e cambiamenti climatici
e la Piattaforma sugli esodi per catastrofi.
L’emergenza umanitaria dei migranti, che seguono rotte impervie e molto rischiose,
via mare e via terra, esige politiche condivise a livello internazionale per salvare vite
umane e garantire un’assistenza efficace. Inoltre, occorre adottare strategie efficaci a
lungo termine per contrastare l’immigrazione irregolare e per offrire alternative
dignitose a tutti coloro che non possono tornare nel proprio Paese di origine. Gli Stati si
sono impegnati a collaborare a livello internazionale per salvare vite umane e prevenire
morti e feriti tra i migranti attraverso operazioni di ricerca e soccorso con procedure e
accordi condivisi, con la raccolta e lo scambio di informazioni pertinenti. La
responsabilità morale collettiva, espressa anche nel diritto internazionale, deriva dal
dovere morale di tutelare il diritto alla vita dei migranti. Purtroppo, non sempre dalle
dichiarazioni di principio sono derivati interventi concreti, efficaci e tempestivi da parte
21
UNITED NATIONS, Addis Ababa Action Agenda of the Third International conference on Financing for
development (Addis Ababa Action Agenda), New York 2015 https://www.un.org/esa/ffd/wpcontent/uploads/2015/08/AAAA_Outcome.pdf
I Par. 40 e Par. 111 indicano il contributo positivo dei migranti alla crescita e allo sviluppo sostenibile nei
Paesi di origine, di transito e di destinazione. Inoltre, si ribadisce la necessità di diminuire i costi di
transazione delle rimesse, la necessità di incentivare la cooperazione per il riconoscimento dei titoli esteri
e delle competenze, l’esigenza di combattere lo sfruttamento, la xenofobia nei Paesi di destinazione al
fine di promuovere i diritti fondamentali e le libertà, con particolare riferimento alle donne e ai bambini.
22
UNITED NATIONS - CLIMATE CHANGE, The Paris Agreement. La conferenza sul clima si è tenuta a
Parigi (COP21) nel dicembre 2015. L’accordo di Parigi – convenzione quadro delle Nazioni Unite sui
cambiamenti climatici è stato firmato nell’Aprile 2016 (FCCC/CP/2015/10/Add.1, decisione 1/CP.21),
mentre il 5 Ottobre 2016 è stato ratificato dall’Unione Europea. In base all’Articolo 2, i governi si
impegnano a «rafforzare la risposta mondiale alla minaccia posta dai cambiamenti climatici, nel contesto
dello sviluppo sostenibile e degli sforzi volti a eliminare la povertà, in particolare: a) mantenendo
l’aumento della temperatura media mondiale ben al di sotto di 2 °C rispetto ai livelli preindustriali e
proseguendo l'azione volta a limitare tale aumento a 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali, riconoscendo
che ciò potrebbe ridurre in modo significativo i rischi e gli effetti dei cambiamenti climatici; b)
aumentando la capacità di adattamento agli effetti negativi dei cambiamenti climatici e promuovendo la
resilienza climatica e lo sviluppo a basse emissioni di gas a effetto serra, con modalità che non minaccino
la produzione alimentare; c) rendendo i flussi finanziari coerenti con un percorso che conduca a uno
sviluppo a basse emissioni di gas a effetto serra e resiliente al clima».
31
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
di tutti gli Stati. Altrettanto importante è identificare coloro che sono morti o scomparsi
e facilitare la comunicazione con le famiglie coinvolte.
Infine, centrale è il rapporto tra diritti umani e migrazione. Il Global Compact
riafferma che i diritti umani riguardano tutti, indipendentemente dallo status di migrante
e in tutte le fasi del ciclo migratorio. Molte situazioni di vulnerabilità sono qui
contemplate: in particolare i minori e le donne, ragazzi e ragazze, uomini che rischiano
di diventare vittime del traffico di esseri umani o di altre forme di sfruttamento e di
abusi.
Inoltre, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) ha
elaborato il testo di un patto globale per i rifugiati, che è stato approvato dall’Assemblea
Generale dell’ONU il 17 dicembre 2018 mediante lo strumento della risoluzione. Il
Global compact sui rifugiati23 si fonda sui principi di umanità e solidarietà
internazionale. La base normativa si può rintracciare nella Convenzione di Ginevra del
1951, nel Protocollo di New York del 1967 e nella Dichiarazione di New York del
2016. Come il Global compact sui migranti, anche il Global compact sui rifugiati non è
una convenzione o un trattato, ma si propone di migliorare la cooperazione
internazionale, riconoscendo che esiste una responsabilità globale sulla questione dei
rifugiati. Il Global compact indica quattro obiettivi fondamentali: alleggerire la
pressione sui Paesi che accolgono un gran numero di rifugiati; favorire la fiducia
e l’autonomia da
parte
dei
rifugiati;
allargare
l’accesso
al
“resettlement”
(reinsediamento); promuovere il diritto all’istruzione e all’assistenza sanitaria dei
rifugiati; favorire un ritorno sicuro e dignitoso dei rifugiati nei loro Paesi d’origine. Il
Patto Globale sui rifugiati che intende affrontare la questione delle migrazioni forzate di
massa, sollecita l’impegno della comunità internazionale a favore della pace e dello
sviluppo sostenibile. Inoltre, compare un riferimento importante ai disastri naturali e ai
cambiamenti climatici, che concorrono a determinare la scelta di lasciare un Paese, agli
23
UNITED NATIONS, Report of United Nations High Commissioner for Refugees. Part II: Global
compact on refugees Supplement No. 12 (A/73/12 (Part II), New York 2018
https://www.unhcr.org/gcr/GCR_English.pdf
32
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
internally displaced persons (IDP) di cui bisogna sempre tener conto quando si affronta
il problema delle migrazioni.
Solo gli Stati Uniti e l’Ungheria hanno votato contro, mentre l’Italia ha votato a
favore. Inoltre, solo tre Paesi si sono astenuti: Repubblica Dominicana, Eritrea e Libia.
11. L’accordo UE-Turchia del 2016.
La guerra in Siria, scoppiata nel 2011, ha generato imponenti flussi migratori che
l’Europa ha tentato di arginare attraverso accordi internazionali. Infatti, il 18 marzo
2016, gli Sati membri dell'Unione europea e la Turchia hanno deciso di fermare la
migrazione irregolare dalla Turchia verso l'UE. Questa decisione prosegue il piano
d’azione comune UE-Turchia, avviato il 29 novembre 2015 e la dichiarazione UETurchia del 7 marzo.
L'accordo mirava a colpire il business dei trafficanti di esseri umani, contrastare
l’immigrazione irregolare in Europa e ristabilire il rispetto della legislazione
internazionale ed europea. Con questo accordo, raggiunto dopo lunghi negoziati, la
Turchia si è impegnata a riammettere tutti i nuovi migranti irregolari in viaggio dalla
Turchia verso le isole greche a decorrere dal 20 marzo 2016, nel rispetto del diritto
dell'UE e del diritto internazionale. In questo contesto, si dichiara che è esclusa qualsiasi
forma di espulsione collettiva. Gli Stati membri dell'UE hanno anche deciso di fornire
alla Grecia i mezzi necessari, tra cui guardie di frontiera, esperti in materia di asilo e
interpreti.
In cambio, l’Unione europea si è impegnata a ricollocare dalla Turchia all’UE un
rifugiato siriano per ogni cittadino siriano rimpatriato in Turchia dalle isole greche.
Inoltre, l’UE si è impegnata a pagare sei miliardi di euro entro la fine del 2018 per
supportare l’assistenza della Turchia ai tre milioni di rifugiati siriani. La Turchia si è
impegnata ad adottare le misure necessarie per impedire l'apertura di nuove rotte
terrestri o marittime per la migrazione illegale.
Nel documento si apprende che terminati gli attraversamenti irregolari, verrà attivato
un programma volontario di ammissione umanitaria.
33
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
L’UE e la Turchia hanno dichiarato di voler migliorare la situazione umanitaria in
Siria. L’accordo è stato criticato da molte organizzazioni per i diritti umani in quanto la
Turchia non è un Paese sicuro dove mandare indietro i rifugiati, provenienti da Siria e
Afghanistan. Di fatto, poche persone sono state rimandate in Turchia anche a causa
della lentezza e della burocrazia greca. Di conseguenza, questo accordo ha provocato un
sovraffollamento dei centri di accoglienza nelle isole greche, dove donne, uomini e
bambini vivono in condizioni drammatiche. Inoltre, questo accordo dimostra che
l’Europa non è disposta ad assumersi le proprie responsabilità nei confronti dei rifugiati.
Inoltre, il 9 Ottobre 2019 è iniziata l’operazione militare della Turchia nel Nord Est
della Siria contro i Curdi, anche a seguito del disimpegno degli USA che hanno
abbandonato la regione abitata dai Curdi dopo che questi ultimi avevano dato un
contributo decisivo alla lotta contro l’Isis. I bombardamenti e le ferite in quella zona del
Medio Oriente hanno provocato nuove ondate migrazioni forzate di sfollati, in fuga
verso l’Iraq a causa della guerra di Erdogan che coltiva il progetto di spostare i rifugiati
siriani in quella parte della Siria. Per impedire qualsiasi intromissione da parte degli
Stati europei nell’offensiva turca nel Nord Est della Siria, contro i Curdi, il leader turco
Erdogan ha minacciato di aprire le porte dell’Europa a milioni di migranti e rifugiati,
ospitati dalla Turchia. Del resto, la nuova crisi migratoria che si annuncia proprio a
seguito della guerra di Siria, pone in crisi la politica europea che fatica a trovare un
strategia geopolitica e una posizione unica. Proprio la guerra scatenata da Erdogan nel
Nord Est della Siria contro i Curdi è un’aperta violazione delle dichiarazioni contenute
nell’accordo del 2016 in quanto l’emergenza umanitaria che si sta profilando aggrava
ulteriormente la situazione già molto compromessa di bambini, donne e altri soggetti
vulnerabili.
12. Il protocollo d’intesa tra Libia ed Italia.
Il 2 febbraio 2017 il Presidente del Consiglio dei Ministri italiano Paolo Gentiloni e il
Capo del Governo di Riconciliazione nazionale dello Stato dei Libia, riconosciuto
dall’ONU, dall’Unione europea e dall’Italia, Fayez Mustapa Serraj, hanno sottoscritto
un Memorandum d’intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto
34
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul
rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e la Repubblica
Italiana. Questo non è stato certamente il primo accordo concluso tra Italia e Libia. Al
Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la Repubblica italiana e la
Grande Giamahiria araba libica popolare socialista del 2008 è seguita la
Dichiarazione di Tripoli del 2012.
L’accordo tra le due parti si propone di limitare gli sbarchi sulle coste italiane di
cittadini provenienti dalla Libia e, conseguentemente, di contrastare i flussi di migranti
illegali ovvero il traffico di esseri umani attraverso la lotta contro gli scafisti. Inoltre, si
dichiara l’intenzione di rafforzare la cooperazione contro il terrorismo, anche se non
compare un riferimento esplicito alla tutela dei diritti umani dei migranti. In questo
modo l’Italia cercava di affermarsi come interlocutore privilegiato del governo libico.
Inoltre, non bisogna dimenticare che il Governo di riconciliazione nazionale non
possiede il controllo del territorio, ma solo di una parte della Libia, dove la situazione
resta molto fluida dal punto di vista militare e politico. Anche se il governo islamista
insediatosi a Tripoli nel 2014 è stato allontanato, esistono due autorità distinte e
contrapposte: da una parte il governo di Tripoli guidato da Serraj, dall’altra il
Parlamento di Tobruk, sostenuto dal generale Haftar. La situazione confusa è
ulteriormente complicata dalla presenza di milizie e tribù che si dividono i proventi dei
traffici di esseri umani e armi.
In terzo luogo, occorre sottolineare che la Libia non ha mai firmato la Convenzione
di Ginevra sui rifugiati. Questo fatto ha limitato l’intervento delle Agenzie delle Nazioni
Unite.
Il Memorandum è stato siglato a Roma presso la Presidenza del Consiglio dei
Ministri italiana con un lavoro diplomatico condotto dal Ministro Minniti. L’accordo, ha
durata triennale, è tacitamente rinnovabile, anche se il governo italiano è intenzionato a
chiedere alcune modifiche.
In particolare, l’articolo 1 lett. A prevede che la Parte italiana fornisca finanziamenti
e supporto tecnico e tecnologico alla Guardia costiera e agli organi competenti.
35
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
Inoltre, le Parti si sono impegnate all’adeguamento e al finanziamento dei centri di
accoglienza con finanziamenti italiani ed europei. La parte italiana contribuisce, poi,
attraverso la fornitura di medicinali e attrezzature mediche, a soddisfare le esigenze di
assistenza sanitaria dei migranti irregolari.
Inoltre, l’Italia si è impegnata a sostenere la formazione del personale libico nei
centri di
accoglienza
per individuare metodi efficaci
contro
il fenomeno
dell'immigrazione irregolare e la tratta degli esseri umani.
L’accordo contiene anche una prospettiva di cooperazione euro-africana finalizzata
ad eliminare le cause dell'immigrazione irregolare e a sostenere i Paesi d’origine
dell’immigrazione al fine di attuare progetti strategici di sviluppo.
Molti sono i punti critici dell’accordo, nonostante le dichiarazioni di intenti delle
parti contraenti. Innanzitutto, il memorandum è stato approvato senza passaggio
parlamentare. Questo metodo è sicuramente un altro aspetto problematico dell’intesa
raggiunta. Oltre a ciò, sono stati messi sotto accusa i fondi pubblici usati per finanziarlo,
ma soprattutto le violazioni dei diritti umani sia da parte della guardia costiera libica sia
all’interno dei centri di detenzione governativi.
Contestualmente al rinnovo dell’accordo potrebbero essere introdotte alcune
modifiche, previste dall’articolo 7 del Memorandum al fine di consentire la presenza di
organizzazioni umanitarie nei centri di detenzione, di riattivare programmi di
evacuazione e rimpatrio, di migliorare le condizioni disumane nei 19 centri governativi
ma che sono gestiti dalle milizie. Nei centri governativi sono detenute dalle tremila alle
seimila persone che vivono in condizioni disumane. Come ampiamente documentato
dalle Nazioni Unite, da diverse associazioni e organizzazioni internazionali, le autorità
libiche non sono state in grado di impedire la violazione dei diritti umani e di
contrastare le violenze contro i migranti nei centri.
13. Accogliere, proteggere, promuovere e integrare.
Alla luce dei risultati negativi prodotti da accordi internazionali, come ad esempio
l’Accordo UE-Turchia o il protocollo d’intesa tra Libia ed Italia, gli Stati membri
36
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
dell’Unione Europea non dovrebbero trasferire al di fuori dell’Unione europea la
responsabilità politica della protezione umanitaria di migranti forzati.
In questi accordi si dichiara di voler offrire un’alternativa ai migranti, ma in realtà
questo obiettivo non è stato raggiunto.
Anche se sono diminuiti gli arrivi in Italia ed in Europa di migranti forzati nel 2017 e
nel 2019, non è affatto diminuito il numero delle vittime, come del resto non è
diminuito il numero di coloro che hanno lasciato il loro Paese e hanno intrapreso viaggi
pericolosi per fuggire dalle guerre, dalle persecuzioni, dai disastri naturali e dalla
povertà. Inoltre, molti migranti sono rimasti intrappolati o sono stati rimandati in
contesti e in Paesi pericolosi.
Secondo Papa Francesco, la risposta al problema delle migrazioni si potrebbe
articolare attorno a quattro verbi fondamentali: «accogliere, proteggere, promuovere e
integrare»24. Alla luce di ciò, è possibile individuare alcune indicazioni concrete.
Accogliere significa garantire a migranti e rifugiati percorsi sicuri e legali di ingresso
in Europa. Per questo, è urgente aprire i corridoi umanitari per i rifugiati, favorire il
ricongiungimento familiare, prevedere visti temporanei speciali per le persone che
scappano dalle guerre. Le espulsioni collettive e arbitrarie di migranti e rifugiati non
sono soluzioni adeguate perché violano i diritti umani fondamentali dei migranti. Per
affrontare la questione delle migrazioni, bisogna essere consapevoli che la vera
accoglienza deve prevedere percorsi d’inclusione e di integrazione, di educazione alla
cittadinanza al fine di promuovere l’incontro tra culture diverse ed il dialogo
interculturale. Anche nei confronti di coloro che entrano nel territorio nazionale senza
essere autorizzati il Papa invita ad assumere atteggiamenti umani di solidarietà,
preferendo soluzioni alternative alla detenzione. Del resto, la dignità delle persone e dei
nuclei familiari che si trovano in condizione di bisogno e di necessità, a causa della
migrazione, non deve mai essere calpestata o ignorata.
24
PAPA FRANCESCO, Discorso ai partecipanti al Forum Internazionale “Migrazioni e pace”, 21 febbraio
2017; Messaggio del Santo Padre Francesco per la 105ma giornata del migrante e del rifugiato 2018;
Messaggio del Santo Padre Francesco per la 105ma giornata del migrante e del rifugiato 2019.
37
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
Il verbo proteggere si può declinare in una serie di azioni concrete in difesa dei diritti
e della dignità dei migranti e dei rifugiati. Papa Francesco osserva giustamente che la
protezione delle persone deve cominciare nel Paese di origine dei migranti. Un’efficace
azione preventiva dovrebbe consentire l’accesso ad informazioni accurate, tempestive
certe prima di partire ma anche durante tutto il processo migratorio. Infatti, un’azione
deterrente, che renda consapevole dei rischi di un’immigrazione irregolare, è necessaria
per evitare viaggi insicuri e molto rischiosi. I trafficanti di esseri umani iniziano la loro
opera criminale di persuasione proprio nei villaggi dei Paesi in via di sviluppo,
diffondendo. I corsi di formazione prima della partenza nei Paesi di origine, in
cooperazione con le autorità locali, con le missioni consolari e diplomatiche, con le
organizzazioni non governative possono certamente promuovere una migrazione sicura,
ordinata e regolare e consapevole. Le false promesse diffuse in cambio di denaro
tradiscono sempre le attese dei poveri e dei disperati del Sud del mondo che hanno
bisogno di essere aiutati con programmi di sviluppo e di lavoro. Inoltre, nei Paesi di
arrivo è necessario garantire ai migranti l’assistenza consolare, l’accesso a informazioni
complete mirate e accessibili con le necessarie indicazioni sui loro diritti e doveri, sul
rispetto delle leggi nazionali e locali, sui permessi di lavoro e di soggiorno,
sull’assistenza sanitaria.
Promuovere la dignità delle persone significa fare in modo che i migranti e i rifugiati
e i richiedenti asilo, insieme alle comunità di accoglienza, possano realizzarsi come
persone. Il rispetto della religione di ciascuno e il dialogo tra culture diverse, ma anche
la valorizzazione delle competenze delle persone, il sostegno a programmi di
formazione linguistica e di educazione alla cittadinanza, di inserimento lavorativo
rivolti a tutti i soggetti vulnerabili, disoccupati autoctoni, ma anche migranti, rifugiati o
richiedenti asilo, sono alcuni elementi essenziali dell’umanesimo della solidarietà. Da
ciò deriva la necessità di superare le divisioni o le contrapposizioni tra poveri e di
promuovere una reale integrazione e inclusione delle persone vulnerabili e a rischio di
esclusione. Inoltre, è necessaria attenzione e cura nei confronti dei minori non
accompagnati che devono essere tutelati per evitare e contrastare ogni forma di abuso,
minaccia o sfruttamento.
38
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
La cooperazione internazionale allo sviluppo e la cooperazione decentrata sono gli
strumenti che la comunità europea e internazionale deve sostenere con grande impegno
al fine di investire risorse per lo sviluppo umano integrale in una logica di condivisione
e di reciprocità tra le comunità dei Paesi del Mediterraneo e del mondo. Accanto alla
gestione di emergenze umanitarie di vaste proporzioni, è necessario promuovere anche
la sostenibilità degli interventi nei Paesi più poveri e impoveriti, combattendo in primo
luogo la piaga della corruzione che si insinua ad ogni livello.
La presenza di migranti e rifugiati costituisce una grande opportunità per i Paesi di
accoglienza che possono così promuovere il dialogo interculturale, la civiltà dell’amore,
la convivialità delle differenze e la fratellanza umana. Le comunità che accolgono e
includono hanno la possibilità di costruire ponti tra popoli e culture sui pilastri della
giustizia e del rispetto, uniche alternative ai muri dell’indifferenza o dell’odio. Il
rapporto con l’altro non produce mai assimilazione, indistinzione amorfa e non
sopprime l’identità culturale dei soggetti che sono in relazione, ma permette di aprire lo
scrigno dei segreti racchiusi in ogni identità (storia, cultura, tradizione) che si protende
verso la differenza di cui ciascuno è portatore. Aprirsi all’alterità significa anche
conoscere la verità di se stessi nel circolo ermeneutico della conoscenza reciproca in cui
il volto dell’altro diventa il centro metafisico del co-esistere. Una cultura dell’incontro e
del dialogo, basata sulla reciprocità, aumenta le opportunità di sviluppo, moltiplica i
processi di inclusione e permette di considerare tutte le persone degne di amore e di
rispetto per il fatto che esistono come esseri umani e nella forma della loro esistenza
particolare.
Come ribadisce il Global compact per le migrazioni delle Nazioni Unite, per favorire
il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile, bisogna eliminare i fattori
negativi e i fattori strutturali che costringono le persone a lasciare il loro Paese di
origine, anche attraverso l'eliminazione della povertà, la sicurezza alimentare, la salute e
l’igiene, l’istruzione, la crescita economica inclusiva, le infrastrutture, lo sviluppo
urbano e rurale, la creazione di posti di lavoro, il lavoro dignitoso, l’uguaglianza di
genere e l’emancipazione delle donne e delle ragazze, la resilienza e la riduzione dei
rischi di catastrofi, l’attenuazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici, la gestione
39
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
degli effetti socioeconomici di tutte le forme di violenza, la non discriminazione, lo
stato di diritto e il buon governo, l’accesso alla giustizia e la protezione dei diritti
umani, nonché la creazione e il mantenimento di società pacifiche e inclusive con
istituzioni efficaci, responsabili e trasparenti.
Secondo l’aberrante concezione dello scarto, frutto di una mentalità consumistica e
materialistica, il soggetto che vive in una situazione di povertà e di emarginazione
sociale non merita rispetto, cura e attenzione. L’unico antidoto contro questa visione
distorta dell'uomo e della società, la quale riflette una concezione elitaria della società e
della politica, è la convivialità delle differenze. L’umanesimo della solidarietà è capace
di ispirare azioni concrete: salvare, accogliere, proteggere, promuovere e integrare le
persone, tutti gli abitanti delle periferie esistenziali è un dovere morale che implica
livelli di responsabilità personali, politiche e sociali. I migranti, i rifugiati, gli sfollati e i
richiedenti asilo sono nostri fratelli di cui dobbiamo prenderci cura. Tuttavia, come più
volte abbiamo avuto modo di sottolineare, non si tratta solo di migranti: si tratta della
nostra umanità, ma anche delle nostre paure e soprattutto del futuro dell’umanità. Non si
tratta solo di migranti: si tratta di tutta la persona, che in quanto tale si può definire
come «il diritto umano sussistente»; si tratta di tutte le persone che hanno il diritto di
abitare la casa comune. In ultima analisi, non è possibile uno sviluppo umano
sostenibile senza la giustizia sociale, da attuare a livello locale e globale, e senza il
rispetto dei diritti umani fondamentali.
I migranti sono nostri fratelli e ciò che unisce il genere umano è molto più
importante di quello che ci divide, cioè delle differenze religiose, culturali o
economiche. Per questo, nessuno può vivere nell’indifferenza di fronte ai gemiti e ai
lamenti dell’umanità, fingendo di non vedere o di non ascoltare il dramma delle persone
costrette alla migrazione forzata. Nessun uomo in quanto uomo può evitare, sopprimere
o ignorare nell’interiorità della sua coscienza la domanda perenne che sempre si
ripropone: Dov’è tuo fratello? A questa domanda non esiste altra risposta se non l’unico
imperativo etico che ci conduce nel centro metafisico della co-esistenza e dell’essere nel
mondo con gli altri: Ama il prossimo tuo come te stesso!
40
ATTILIO PISANÒ
Il Leviatano è ancora vivo.
Migrazioni e Human Rights Gap, movendo da Hannah Arendt
Abstract: Il contributo muove da una riflessione arendtiana per svolgere un ragionamento sullo human
rights gap come fattore di spinta dei fenomeni migratori. La riflessione, inoltre, si articolerà intorno al
ruolo dello Stato nei processi di implementazione dei diritti avendo come metro il mutamento di
prospettiva che, a partire dal fine del secondo conflitto mondiale, ha spostato il piano normativo dei diritti
dall’ambito domestico a quello internazionale. Verrà così ribadita l’importanza del principio di
uguaglianza nell’effettivo riconoscimento dei diritti, anche nella prospettiva cosmopolitica, facendo
ricorso ad elementi utili a fotografare la profondità dello human rights gap.
Keywords: Human Rights Gap; Migrazioni; Cittadinanza; Eguaglianza.
1.
Il paradosso dei diritti
In Le origini del totalitarismo (1948), Hannah Arendt scriveva che «nessun
paradosso della politica contemporanea è più pervaso di amara ironia del divario fra gli
sforzi di sinceri idealisti, che insistono tenacemente a considerare “inalienabili” i diritti
umani, in realtà goduti soltanto dai cittadini dei Paesi più prosperi e civili, e la
situazione degli individui privi di diritti, che è costantemente peggiorata, sino a fare del
campo di internamento (prima della seconda guerra mondiale l’eccezione piuttosto che
la regola per gli apolidi) la soluzione corrente del problema della residenza delle
displaced persons».1
A distanza di settant’anni, le parole della filosofa di Eichmann in Jerusalem. A
Report on the banality of Evil, risultano ancora di pressante attualità. Non solo perché la
sua storia personale, racchiude in sé un archetipo universale, quello di chi fugge dalle
persecuzioni, privato dei propri diritti, migrante in cerca di rifugio in un Paese che spera
possa dargli accoglienza. Ma anche perché oggi, probabilmente più di ieri, una delle
questioni più rilevanti che caratterizza la fenomenologia dei diritti è proprio quella del
divario, sempre più evidente, tra l’universalità del consenso normativo generato dai
1
H. ARENDT, Le origini del totalitarismo (1948), Torino, Einaudi, 2004, p. 388.
41
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
diritti (il «consensus omnium gentium o consensus humani generis»2) e la particolarità
dell’effettivo godimento, delimitato, in maniera sempre più evidente, da spazi e
confini.3 Questione attuale, quella sollevata dalla Arendt, se, come suggeriva Pietro
Barcellona, all’inizio del nuovo Millennio, guardando ai processi di globalizzazione
(economica e giuridica) che si sono sviluppati negli ultimi decenni, ci si accorge che
«mentre questi diritti sono stati proclamati in tutte le latitudini del mondo, la parte di
popolazione mondiale che partecipa alla festa del benessere si è ridotta sempre di più».4
Niente di più, o di meno, rispetto a quanto denunciato dalla Arendt una cinquantina di
anni prima.
Se, però, non ci si limita all’astrazione di una citazione dal suo contesto
argomentativo generale, quanto osservato dalla filosofa di origini tedesche, nasconde
ulteriori e, forse, più sinistri elementi di attualità.
Il tema generale, difatti, affrontato nel capitolo nono della versione italiana del
2004 di Le origini del totalitarismo, è quello del “tramonto dello stato nazionale e la
fine dei diritti umani”. In questo capitolo, la Arendt non si limitava a denunciare le
aporie dei diritti umani (per come lei li vedeva nel 1948, infra), ma, partendo dalla
descrizione della situazione che aveva vissuto l’Europa a cavallo delle due guerre
mondiali (quando «le guerre civili […] furono più sanguinose e crudeli che in passato e
diedero luogo a migrazioni di gruppi che […] privati dei diritti umani garantiti dalla
cittadinanza, si trovarono ad essere senza alcun diritto, la schiuma della terra»5),
denunciava i pericoli insiti nell’idea che lo Stato potesse disporre, a suo piacimento,
dello statuto di cittadinanza e del portato di diritti ad esso connesso. Lo strumento che
sostanziava questa disponibilità era proprio il diritto, le legislazioni «formulate in modo
da consentire l’espulsione dei cittadini al momento opportuno».6
2
N. BOBBIO, L’età dei diritti, Torino, Einaudi, 1990, p. 19.
Si veda A. PISANÒ, Sul momento applicativo del diritto dei diritti umani, in «Rivista di Filosofia del
Diritto», 1, 2017, pp. 119-140.
4
P. BARCELLONA, Le passioni negate. Globalismo e diritti umani, Troina, Città Aperta Edizioni, 2001, p.
139.
5
H. ARENDT, Le origini del totalitarismo, cit., p. 372.
6
Ibidem, p. 387.
3
42
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
La condizione di apatride, perno della riflessione arendtiana, non era naturale,
bensì, artificiale, sopravvenuta per mezzo di un tratto di legge, il quale aveva il potere di
trasformare l’essere umano in «uomo generico –senza professione, senza cittadinanza,
senza una opinione, senza un’attività con cui identificarsi e specificarsi– e in individuo
generico, rappresentante nient’altro che la propria diversità assolutamente unica,
spogliata di ogni significato perché privata dell’espressione e dell’azione in un mondo
comune».7 Occorre ricordare in proposito che l’ordito filosofico arendtiano poggia su
una concezione comunitaristica, si potrebbe dire aristotelico-tomistica dell’antropologia
umana, la quale definisce l’humanum nella sua piena ed attiva appartenenza ad una
comunità politica.8
Ci troviamo dinnanzi alla denuncia della responsabilità dello Stato nella
determinazione di quei (graduali) processi di esclusione e deumanizzazione che avevano
come effetto ultimo la privazione del diritto più importante, quello di avere diritti.
In questo scenario, la disponibilità della cittadinanza nelle mani dello StatoLeviatano (ed il suo uso per motivi politici) era la condizione che aveva favorito proprio
quel processo di esclusione dalla comunità di cittadini (molto spesso) perfettamente
integrati nel tessuto sociale, il quale minava alle fondamenta uno dei princìpi cardine
dello Stato legislativo: il principio di uguaglianza di fronte alla legge. «Quando questo
[lo Stato nazionale, n.d.r.] non è in grado di trattare gli apolidi come soggetti giuridici e
lascia ampio campo d’azione all’arbitrio delle misure poliziesche, difficilmente resiste
alla tentazione di privare tutti i cittadini del loro status e di governarli con una polizia
onnipotente».9
2.
Quali diritti?
7
Ibid., p. 418.
Sul punto si veda della Arendt anche The Human Condition, 1958, trad. it Vita Activa. La condizione
umana, Milano, Bombiani, 1964, 1989, un’opera, ricorda Alessandro Dal Lago nella sua introduzione, di
antropologia filosofica segnata da una concezione dell’agire come essere-nel-mondo. Sul punto rimando
anche a P. HELZEL, Hannah Arendt e il ‘diritto di cittadinanza’ come base dei diritti umani, in
«Cittadinanza Europea», 2, 2015, pp. 103-115.
9
H. ARENDT, Le origini del totalitarismo, cit., p. 402.
8
43
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
C’è da sottolineare, però, che tralasciando gli aspetti generali di carattere semantico e
linguistico convocati dal concetto di “diritti umani” (human rights) utilizzato dalla
Arendt, è ormai in via di consolidamento l’utilizzo specifico dell’espressione de qua
(diritti umani, human rights) che descrive una particolare fattispecie di diritti soggettivi
(non l’unica evidentemente) che, in realtà, ancora sul finire degli anni Quaranta del
Novecento, ancora non aveva manifestato chiaramente la loro dimensione
istituzionale.10
Per diritti umani, come già anticipato, devono dunque intendersi quei diritti
progressivamente riconosciuti, promossi e protetti a seguito dell’approvazione della
Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948, sia dal diritto (propriamente)
internazionale (facente capo quindi all’azione delle Nazioni Unite ed al sistema che
ruota intorno ai Core Human Rights Treaties ed alle attività di controllo e promozione
delle Nazioni Unite, tramite lo United Nations Human Rights Council o allo High
Commissioner on Human Rights) sia da quello regionale (i diritti riconosciuti e protetti
da convenzione specifiche promosse dalle organizzazioni regionali come il Consiglio
d’Europa o l’Organizzazione degli Stati Americani che, di norma, prevedono anche
meccanismi di garanzia giudiziaria tramite l’istituzione di corti ad hoc).
I “diritti umani” di cui parla Hannah Arendt non sono dunque i “diritti umani” che
si sono affermati a partire dalla conclusione del secondo conflitto mondiale. Ma quella
particolare tipologia che va ad indentificarsi con i diritti ancorati, spiegava Luigi
Ferrajoli, «alla cittadinanza in quanto ‘appartenenza’ (a una determinata comunità
statale) e quindi alla statualità».11 La perdita della cittadinanza, anche per opera di una
legge dello Stato, dunque, significava la negazione dell’appartenenza ad una comunità.
Tale perdita si poteva realizzare perché i diritti di cittadinanza erano “diritti pubblici
soggettivi”, la «versione positivista dei “diritti naturali”»12, i quali «rispetto allo Stato
10
Per una panoramica sugli aspetti terminologici e concettuali, ex plurimis, si veda E. PARIOTTI, I diritti
umani: concetto, teoria, evoluzioni, Padova, CEDAM, 2013; A. FACCHI, Breve storia dei diritti umani. Dai
diritti dell’uomo ai diritti delle donne, Bologna, il Mulino, 20132; F. VIOLA, G. ZACCARIA, Le ragioni del diritto,
Bologna, il Mulino, 2003; G. PECES-BARBA, Teoria dei diritti fondamentali (1991), Milano, Giuffrè, 1999.
11
L. FERRAJOLI, Dai diritti del cittadino ai diritti della persona, in D. ZOLO, a cura di, La cittadinanza.
Appartenenza, identità, diritti, Roma-Bari, Laterza, 1994, p. 289.
12
G. PECES-BARBA, cit, p. 15.
44
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
come legislatore, non potevano essere concepiti come una limitazione ma solo come
un’autolimitazione e come una concessione. I diritti esistevano in quanto il legislatore li
avesse non riconosciuti ma creati».13
I diritti, dunque, avevano come fonte e fondamento ultimo la volontà dello Stato
onnipotente che, secondo la dottrina tedesca del diritto pubblico, si autolimitava
attraverso la legge, realizzando quel modello di Stato legislativo che poi è stato
completamente superato, proprio a conclusione del secondo conflitto mondiale,
dall’avvento dello stato costituzionale di diritto (e dai diritti fondamentali che esso
riconosceva).
La differenza fondamentale tra diritti umani e diritti pubblici soggettivi (i “diritti
umani” di cui parla la Arendt) riposava nel fatto che questi, a differenza di quelli,
essendo intesi come posti da uno Stato che si autolimitava (li concedeva, senza
riconoscerli), erano conseguentemente alla mercé dello Stato.
Diritti, quelli cui fa riferimento la Arendt, che le carte borghesi sei-settecentesche
(ma anche la coeva filosofia politica e giuridica) avevano definito «naturels,
inaliénables et sacrés de l'homme» (Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino
del 1789) o «unalienable» (Dichiarazione di indipendenza americana del 1776), ma che,
una volta positivizzati, si allontanarono dalle premesse giusnaturalistiche per essere
«inglobati nel sistema del diritto positivo»14, trasformandosi da diritti naturali in diritti
positivi, creazione artificiale di uno Stato-demiurgo («L’uomo –ricordava la Arendt–
appariva l’unico sovrano in materia di diritto» mentre «la sovranità popolare […] non
era proclamata per grazia di Dio, bensì in nome dell’uomo»15), quindi positivi e non
naturali, alienabili a seconda delle valutazioni di opportunità compiute dagli Stati, laici
perché radicati solo nel volubile consenso che il corpo politico esprimeva tramite la
legge.
13
G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite, 1992, p. 58.
A. FACCHI, Breve storia dei diritti umani, Bologna, il Mulino, 2007, p. 80.
15
H. ARENDT, Le origini del totalitarismo, cit., p. 403.
14
45
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
3.
Dall’utopia alla realtà. Il cammino dei diritti umani.
I diritti umani, dunque, vengono “inventati” nella seconda metà degli anni Quaranta,
proprio come antidoto alla velenosità della situazione descritta dalla Arendt.
Alla fine del secondo conflitto mondiale, ma soprattutto, dopo la presa di
coscienza della tragedia umana racchiusa nel sistema concentrazionario tedesco, era
difatti chiaro che lo Stato avesse convogliato nelle proprie mani (anche per il tramite del
diritto) un potere illimitato, non solo di vita e di morte, ma anche di definizione
dell’humanum. Un potere che andava limitato, attraverso l’introduzione delle
costituzioni rigide, dei meccanismi di controllo giudiziario di legalità costituzionale, ma
anche attraverso il riconoscimento di una forma di soggettività giuridica al singolo
individuo nell’ambito dell’ordinamento giuridico internazionale.
Al centro della riflessione arendtiana vi è proprio il rapporto tra Stato e diritti che,
come si diceva in precedenza, sino al 1948 era declinato esclusivamente in chiave
domestica e statalistica. In seguito all’approvazione della Dichiarazione universale,
invece, iniziava ad essere declinato in maniera diversa, con una «svolta epocale», come
la definiva Carlo Cardia, che rifiutava ogni riduzione statalistica dei diritti e si apriva,
politicamente e giuridicamente, non solo filosoficamente, allo scenario cosmopolitico e
universale. «Le democrazie occidentali –continuava Cardia– per la prima volta
nell’epoca contemporanea, elaborano un progetto politico di respiro planetario, che
immagina e cerca di costruire un governo mondiale degli uomini, fondato sul rispetto
dei diritti in tutti gli Stati e in ogni angolo della Terra». 16 Un progetto di ampio respiro
che si è definito lentamente ma progressivamente, erodendo man mano spazi di
sovranità agli Stati (anche se non con gli stessi effetti nello scenario globale).
Sebbene le Nazioni Unite fossero state costituite già nel 1946, negli anni Quaranta
del Novecento, nessuno avrebbe mai potuto immaginare i risultati, almeno sul piano
normativo, che la prospettiva internazionale avrebbe prodotto. Sino alla Dichiarazione
del 1948, dunque, l’universalità dei diritti era un presupposto filosofico, più che un dato
16
C. CARDIA, Genesi dei diritti umani, Torino, Giappichelli, 2005, p. 154.
46
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
politico o giuridico e lo Stato continuava ad avere la disponibilità assoluta dei diritti.17
La Arendt, dunque, si muoveva in una prospettiva che vedeva l’universalità dei diritti,
disancorati dalla cittadinanza statale, una chimera, un esercizio filosofico, il quale
proprio per la sua lontananza dalla realtà, diveniva «sinonimo d’idealismo ipocrita o
ingenuo».18
Se, però, la Arendt si muoveva in una dimensione politicamente e giuridicamente
domestica che aveva nella cittadinanza la garanzia più evidente contro ogni forma di
sopruso statale e se la dimensione cosmopolitica era, ancora nel 1948, una chimera alla
quale guardavano solo i «sinceri idealisti», oggi, occorre tenere in considerazione che la
dimensione cosmopolitica non è più solo filosofica, ma anche politica e giuridica.
Se per la Arendt, ancora, la garanzia della cittadinanza politica era l’unica
garanzia perché i diritti fossero riconosciuti in uno scenario che era esclusivamente
domestico, in cui il divario poteva sorgere tra i cittadini e coloro che erano stati privati
della cittadinanza, oggi, nello scenario cosmopolitico, segnato dall’universalismo dei
diritti, la cittadinanza politica rappresenta «l’ultimo privilegio di status, l’ultimo fattore
di esclusione e discriminazione, l’ultimo relitto premoderno delle disuguaglianze
personali».19
A partire dal 1948, i diritti hanno costituito una «galassia ideologico-normativa in
continua espansione», diceva Antonio Cassese20, il cui big-bang è stata certamente la
Dichiarazione universale, momento natale di una serie di percorsi, in primis quello di
internazionalizzazione, ma poi anche quelli di regionalizzazione e specificazione o
settorializzazione21 che hanno trasformato la natura dei diritti universali, da filosofica
utopia, propria dei più «sinceri idealisti», ad elementi di un sistema politico e giuridico
17
E lo era sicuramente per la Arendt che criticava, nel 1948, la «confusione creata dai recenti tentativi di
redigere una nuova carta [evidentemente la Dichiarazione universale i cui lavori preparatori si avviarono
nel 1946, n.d.r.]» perché «nessuno sembra in grado di definire con sicurezza che cosa sono realmente
questi diritti umani generali, cioè distinti dai diritti dei cittadini». «Sebbene –concludeva– tutti siano
d’accordo nel ritenere che il dramma degli apolidi consista appunto nella perdita dei diritti umani,
nessuno sa quali diritti essi abbiano perduto». H. ARENDT, Le origini del totalitarismo, cit., p. 406.
18
Ibid., p. 375.
19
Cfr. L. FERRAJOLI, Dai diritti del cittadino ai diritti della persona, cit., p. 288.
20
A. CASSESE, I diritti umani oggi, Bari-Roma, Laterza, 2005, p. 6.
21
Sul punto rimando a A. PISANÒ, I diritti umani come fenomeno cosmopolita. Internazionalizzazione,
Regionalizzazione, Specificazione, Milano, Giuffrè, 2011.
47
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
finalizzato alla tutela della dignità umana. Un «normatively robust global human rights
regime», come lo definiva Jack Donnelly, che si è sviluppato a partire dalla fine della
seconda guerra mondiale, attraverso la definizione nella issue-area dei diritti, di «a set
of principles, norms, rules and decion-making procedures that states and other
international actors accept as authoritative».22
Un sistema, inimmaginabile sino agli Cinquanta, forse anche sino agli Settanta del
Novecento, che va ad integrare l’azione delle Nazioni Unite, dello Human Rights
Council, dell’High Commissioner for Human Rights, dei Human Rights Treaty Bodies,
con i meccanismi regionali di riconoscimento, promozione e protezione giudiziale
(previsti dal Consiglio d’Europa, dall’Unione Europea, dall’Organizzazione degli Stati
Americani, dall’Unione Africana, dalla Lega Araba, e dall’Associazione degli Stati del
Sud-Est Asiatico) dei diritti, senza dimenticare il fondamentale ruolo di “watchdog”
delle Organizzazioni non Governative (come Amnesty International e Human Rights
Watch) e l’azione delle reti transnazionali di advocacy.23
Un sistema che, normativamente, è andato coagulando intorno a sé sempre
maggiori consensi, partendo dalla Dichiarazione universale, passando per i due Patti sui
diritti economici, sociali, culturali, civili e politici del 1966, per la Conferenza
Internazionale sui Diritti umani di Teheran del 1968, per l’Atto finale della Conferenza
sulla sicurezza e cooperazione in Europa di Helsinki del 1975, e, infine,
per la
fondamentale Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sui diritti umani di Vienna del
1993 che produsse una Dichiarazione e un programma di azione che vennero discussi e
approvati unanimemente dalle delegazioni di 173 Stati e di 800 organizzazioni non
governative. Un consensus omnium gentium che ha avuto come fulcro i Core Human
Rights Treaties24, capaci di raccogliere il consenso dell’intera comunità internazionale,
22
J. DONNELLY, International Human Rights, Boulder, Westview Press, 20134, p. 14.
Sul punto rimando a A. MURDIEA, M. POLIZZI, Human Rights and Transnational Advocacy Network, in
J. NICOLL VICTOR, A.H. MONTGOMERY, M. LUBELL, a cura di, The Oxford Handbook of Political
Networks, Oxford, Oxford University Press, 2018, pp. 715-732.
24
L’International Convention on the Elimination of All Forms of Racial Discrimination, l’International
Covenant on Civil and Political Rights, l’International Covenant on Economic, Social and Cultural
Rights, la Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination against Women, la Convention
against Torture and Other Cruel, Inhuman or Degrading Treatment or Punishment, la Convention on the
Rights of the Child, l’International Convention on the Protection of the Rights of All Migrant Workers
23
48
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
con tassi di ratifica da parte degli Stati, che arrivano a raggiungere anche il 95% (come
per la Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989).
Nel breve volgere di qualche anno, dunque, a partire dagli anni Quaranta del
Novecento, le fondamenta dell’Europa e della comunità internazionale sono state
profondamente scosse dall’accordo di Londra (1945), istitutivo del Tribunale di
Norimberga, momento natale della giustizia penale internazionale, dalla Carta di San
Francisco (1945), istitutiva dell’Organizzazioni delle Nazioni Unite, dall’approvazione
della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio (1948) e
della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948), preceduta di qualche mese
dall’approvazione della Dichiarazione americana dei diritti e dei doveri dell’uomo
(Organizzazione degli Stati Americani, 1948), dal Trattato di Roma istitutivo del
Consiglio d’Europa (1950), dalla Convenzione per la Salvaguardia dei diritti dell’uomo
e delle libertà fondamentali (1950), dall’istituzione della CECA (1951), della CEE,
dell’EURATOM (1957).
In conseguenza termini, concetti, come «giustizia internazionale», «dignità»
(intesa in chiave giuridico-politica), «valore della persona umana», «diritti umani»,
«cooperazione internazionale», «pace», «valori universali», tutti leitmotiv dell’azione
delle Nazioni Unite, marginali o dal sapore filosofico-utopistico sino agli anni Quaranta
del Novecento, sono dunque divenuti comuni nella lingua franca dei diritti umani, su
scala globale, e obiettivi concreti da raggiungere, su scala locale, per la politica ed il
diritto.
Senza dimenticare che, nel 1951, viene approvata la Convenzione delle Nazioni
Unite sullo statuto dei rifugiati che ha rappresentato una «risposta fondamentale alla
vastità dei processi di spostamento di popolazioni avvenute anteriormente al 1951 nello
spazio giuridico europeo»25, dovuti a ragioni di razza, religione, nazionalità,
appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per opinioni politiche, dai quali
and Members of Their Families, l’International Convention for the Protection of All Persons from
Enforced Disappearance, la Convention on the Rights of Persons with Disabilities.
25
G. GOZZI, I rifugiati e i richiedenti asilo: un mondo sospeso tra integrazione e criminalizzazione, in G.
GOZZI, B. SORGONI, a cura di, I confini dei diritti. Antropologia, politiche locali e rifugiati, Bologna, il
Mulino, 2010, p. 61.
49
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
proprio la Arendt moveva nella prima parte del nono capitolo de Le origini del
totalitarismo.
4.
Lo Human Rights Gap oggi.
Eppure, nonostante questa moltitudine di attori e norme che popolano lo scenario
giuridico internazionale e che partecipano, ognuno con il suo ruolo, al rafforzamento dei
diritti, oggi, come ieri, rimane insoluto il problema del divario esistente tra «i cittadini
dei Paesi più prosperi e civili» e «gli individui privi di diritti», in un contesto in cui è
radicalmente cambiato il rapporto tra Stato e diritti.
Pur nel sovvertimento dei termini del rapporto Stato-diritti, con quello non più
demiurgo di questi, ciò che non può relativizzarsi è l’importanza del principio di
uguaglianza come fondamento dei diritti, tanto di quelli di cittadinanza (al centro della
riflessione arendtiana), quanto di quelli umani, la cui garanzia è la sfida più importante
per il nuovo costituzionalismo mondiale.
Anche in questo caso, la lezione della Arendt vale anche per l’oggi. Il tramonto
dello Stato nazionale, la crisi dei diritti umani, temi che campeggiano nella titolazione
del capitolo IX de Le origini del totalitarismo, sono causati, ci insegna la Arendt, dal
progressivo accantonamento del principio di uguaglianza, in nome di interessi politici
partigiani ed in ossequio alle dominanti, tra Otto e Novecento, teorie razziali. «Lo Stato
nazionale –sentenziava la Arendt– non può esistere una volta infranto il principio
dell’eguaglianza di tutti di fronte alla legge». «Senza questa uguaglianza –si
continuava– che in origine era destinata a sostituire i vecchi ordinamenti della società
feudale, esso [lo Stato nazionale, n.d.r.] si dissolve in una massa anarchica di
privilegiati e diseredati».26
La conclusione apodittica della Arendt era che «le leggi che non sono eguali per
tutti danno luogo a privilegi».27
Il ragionamento della Arendt è però universale, lega inscindibilmente il principio
di uguaglianza ai diritti, utilizzando questo legame per distinguere i veri diritti dai veri
26
27
H. ARENDT, Le origini del totalitarismo, cit. p. 402.
Ibidem.
50
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
privilegi. È un ragionamento che vale nell’ambito domestico, nel quale si muove la
Arendt, ma vale anche e soprattutto nell’ambito cosmopolitico. La negazione del
principio di uguaglianza nel godimento dei diritti è la morte dei diritti umani. Essi
assumono come fondamento ontologico la comune appartenenza alla famiglia umana e
l’uguaglianza di statuto giuridico di ogni singolo individuo, per come definito
dall’articolato della Dichiarazione universale, il primo decalogo valido per l’intera
umanità.
Del ferale rischio per i diritti insito in uno sviluppo dello costituzionalismo
mondiale scevro da ogni legame con il principio di uguaglianza è consapevole anche
Luigi Ferrajoli che ha nella riflessione sulle varie dimensioni dell’uguaglianza e della
disuguaglianza e diritti un tòpos della sua produzione scientifica. Non a caso, nel
recente Manifesto per l’uguaglianza (2018), difatti, Ferrajoli, muove proprio dal
capitolo IX de Le origini del totalitarismo per evidenziare «la discriminazione di cui
soffrono i migranti, soprattutto se clandestini, per difetto di quel diritto di avere diritti,
secondo una classica espressione di Hannah Arendt, che è lo status di cittadino». «La
cittadinanza –continua Ferrajoli– che alle origini dello Stato moderno ha svolto un ruolo
di inclusione, svolge oggi un ruolo di esclusione». «Il diritto di cittadinanza è così
diventato quel meta-diritto ad avere diritti che è il diritto di accesso e residenza nel
territorio nazionale e che […] è attribuito soltanto ai cittadini».
Sul versante domestico, dunque, argomenta Ferrajoli, «la cittadinanza si è
trasformata nell’ultimo privilegio di status legato a un accident de naissance;
nell’ultimo fattore di esclusione e discriminazione per nascita anziché, come fu alle
origini della modernità giuridica, di inclusione e parificazione; nell’ultimo relitto
premoderno delle differenziazioni giuridiche delle identità personali; nell’ultima
contraddizione irrisolta con l’affermata universalità ed uguaglianza dei diritti
fondamentali».28
Sul versante cosmopolitico, invece, Ferrajoli osserva che «le nuove frontiere
dell’uguaglianza sono quelle planetarie, aperte dalla globalizzazione, che includono
28
L. FERRAJOLI, Manifesto per l’uguaglianza, Roma-Bari, Laterza, 2018, pp. 23-25.
51
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
l’intera umanità» laddove occorre considerare che «come la parità nei diritti genera il
senso dell’uguaglianza, e con esso il rispetto dell’altro come uguale, così la
disuguaglianza nei diritti genera l’immagine dell’altro come disuguale, ossia inferiore
antropologicamente in quanto inferiore giuridicamente». 29
L’approccio al principio di uguaglianza di Ferrajoli è difatti olistico, non
limitandosi al divario determinato, nella cosmopolis, dall’iniqua distribuzione delle
risorse economiche, ma anche (e soprattutto) dall’iniqua distribuzione dei diritti. La
disuguaglianza economica (con Paesi sempre più ricchi e Paesi sempre più poveri) e
quella nell’effettivo godimento dei diritti (con Paesi dove ci sono sempre più diritti e
Paesi dove ce ne sono sempre di meno) sono parimenti motore dei processi migratori e
potenziale elemento minante «le basi delle nostre stesse democrazie».30
Agire sulla disuguaglianza determinata dagli squilibri legati all’economia e ai
diritti è, dunque, necessario in un’ottica di giustizia cosmopolitica, ma anche necessario
per mettere al sicuro le nostre democrazie costituzionali da ogni deriva illiberale.
5.
Lo Human Rights Gap. Alcuni dati.
Proprio nel recente Manifesto per l’uguaglianza, Ferrajoli, con rifermento alla
disuguaglianza economica, ricordava difatti che secondo il rapporto Oxfam del gennaio
2017, l’1% della popolazione mondiale possiede la metà dell’intera ricchezza globale e
le otto persone più ricche del pianeta hanno la stessa ricchezza della metà più povera
dell’intera popolazione mondiale, cioè di circa 3 miliardi 600 milioni di persone.
Aggiungeva poi Ferrajoli: «Grazie ala crisi economica della quale hanno ampiamente
beneficiato, la ricchezza di questi superricchi è aumentata negli ultimi sette anni del
44%, mentre quella della metà più povera del mondo è diminuita del 41%». E poi:
«Oggi più di 800 milioni di persone soffrono la fame e la sete e circa 2 miliardi si
ammalano senza la possibilità di curarsi […]. Quasi 10 milioni di persone muoiono ogni
anno per mancanza di farmaci salva-vita: vittime del mercato più delle malattie, essendo
29
30
Ibid., p. 32.
Ibidem.
52
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
i farmaci in grado di curarli brevettati, e quindi inaccessibili». 31 Recentemente, infine,
Oxfam ha prodotto un interessante rapporto dedicato all’Africa intitolato A tale of two
continents, dal quale risulta che, in un mondo segnato dalle disuguaglianze, l’Africa è
tra le aree del mondo dove queste risultano ancora più ampie. Attualmente, secondo i
dati Oxfam, tre miliardari africani detengono una ricchezza pari al reddito di 650
milioni di cittadini africani.32
Anche con riferimento allo human rights gap, però, è possibile avanzare
un’analisi che ci consenta di evidenziare le diseguaglianze diffuse, nonostante
l’ombrello normativo universale rappresentato dal diritto internazionale dei diritti
umani.
Il rapporto 2018 della ONG statunitense Freedom House (fondata nel 1941 con il
supporto di Eleanor Roosvelt, moglie del Presidente Franklin D. Roosvelt e grande
sostenitrice dell’adozione della Dichiarazione universale) sulla libertà nel mondo, ad
esempio, significativamente intitolato Democracy in Crisis, ci restituisce una
rappresentazione del mondo diviso a metà.
Freedom House, in particolare, utilizza una metodologica che prevede il
coinvolgimento di analisti di esperti tenuti ad esprimere un giudizio sulla condizione di
rispetto dei diritti civili e delle libertà politiche, tenendo in considerazione le violazioni
compiute sia da attori statali che non-statali (gruppi terroristici o criminali). La scala
utilizzata per valutare le condizioni di sicurezza in 195 Paesi e 14 territori (Crimea,
Striscia di Gaza, Hong Kong, ecc.) va da 1 (miglior giudizio) a 7 (peggior giudizio), sia
per i diritti civili che per le libertà politiche. Poi i dati vengono aggregati per definire tre
insiemi di Paesi: quello dei Paesi liberi, quello dei Paesi parzialmente liberi e quello dei
Paesi non liberi.33
31
L. FERRAJOLI, Manifesto per l’uguaglianza, Roma-Bari, Laterza, 2018, pp. 70-73.
OXFAM, A tale of two continents, Oxford, September 2019.
33
Per un’analisi dettaglia della metodologia si veda https://freedomhouse.org/report/methodologyfreedom-world-2019
32
53
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
Ebbene, secondo il rapporto Democracy in Crisis34, i Paesi liberi nel mondo sono
il 45%. Quelli parzialmente liberi, invece, il 30%, quelli non liberi, infine, il 25%. Dato
che potrebbe essere inteso positivamente, ma va rapportato al peso in termini di
popolazione dei singoli Stati, pesando, a titolo esemplificativo, nell’aggregazione su
base statale, San Marino e la Repubblica Popolare Cinese allo stesso modo, pur avendo
due popolazioni enormemente diverse. Se i dati, invece, vengono rapportati alla
popolazione mondiale, emerge una evidente frattura tra i ricchi in diritti rappresentati
dal 39% della popolazione mondiale che vive nei Paesi liberi (ai quali va affiancato quel
24% della popolazione mondiale che vive in Paesi parzialmente liberi), i poveri in
diritti rappresentati dal 37% della popolazione mondiale che vive, pertanto in Paesi
giudicati non liberi.
La rappresentazione attraverso una mappa planisferica, inoltre, fa emergere come
la maggior parte dei Paesi liberi è rappresentata dai Paesi occidentali e, in parte, da
quelli latinoamericani. I Paesi, invece, non liberi sono concentrati soprattutto nell’area
c.d. MENA (Middle East and North Africa) e nel Sahel e nell’Africa sub-sahariana.
Dove, inoltre, si concentrano anche la maggior parte dei Paesi che appartengono alla
poco edificante lista dei Paesi Worst of the Worst (in ordine di insicurezza –dal peggiore
al migliore dei peggiori– Syria, Sud-Sudan, Eritrea, Corea del Nord, Turkmenistan,
Guinea Equatoriale, Arabia Saudita, Somalia, Uzbekistan, Sudan. Repubblica Centro
Africana, Lybia).
Continente africano (soprattutto nella parte subsahariana) dove, tra le altre cose, vi
sono 33 Paesi che fanno parte della lista dei Paesi meno sviluppati al mondo (Least
Developed Countries, in totale sono 47), prodotta dalle Nazioni Unite. Di questi 47
Paesi, 21 sono presenti in questa lista dal 1971, da quasi mezzo secolo. Tra questi 21,
ricordo solo il Burkina Faso, il Burundi, il Chad, l’Etiopia, la Guinea, il Malawi, il Mali,
il Niger, il Rwanda, la Somalia, il Sudan.35
34
Il rapporto, con tutti i dati allegati, è disponibile al sito https://freedomhouse.org/report/freedomworld/freedom-world-2018
35
Per un’analisi dettagliata rimando a https://www.un.org/development/desa/dpad/least-developedcountry-category.html
54
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
Dati, quelli di Freedom House che sembrano anche confermati dal progetto
Political Terror Scale, sviluppato dalla North Carolina University, che, annualmente,
esprime un giudizio, utilizzando una scala che va da 1 (miglior giudizio) a 5 (peggior
giudizio), sulle violazioni dei physical integrity rights (scomparese forzate, omicidi
illegali, tortura, atti inumani o degradanti, ecc.) compiute dagli attori statali.36
Pur non consegnandoci dati comparabili o assimilabili a quelli di Freedom House,
(diversissime essendo le metodologie e le violazioni dei diritti da valutare), il Political
Terror Scale ci presenta un quadro forse anche più preoccupante di quello di Freedom
House.
Con riferimento ai risultati pubblicati nel 2019, facenti riferimento alle violazioni
dei diritti compiute nell’anno solare 2018 e denunciate nei Country Reports on Human
Rights Practices del Dipartimento di Stato Americano (altre fonti sono i rapporti
annuali di Amnesty International e di Human Rights Watch), i Paesi ai quali viene dato
un giudizio pari a 137 sono 62, quelli ai quali viene dato un giudizio pari a 238 sono 48,
mentre 29 sono i Paesi che hanno un giudizio pari a 339, 27 quelli che hanno un giudizio
pari a 440, solo 11 quelli che hanno il giudizio peggiore, pari a 541.
Pertanto, aggregando i dati tenendo in considerazione che i giudizi pari a 1 e 2
sono positivi e testimoniano uno stato di diritto (più o meno) ben strutturato, il giudizio
di 3 è già negativo, mentre molo negativi sono i giudizi 4 e 5, possiamo concludere che
36
Per un approfondimento sulle metodologie utilizzate dal Political Terror Scale e da Freedom House,
rimando a A. PISANÒ, Misurare i diritti umani. Le standards-Based Measures con approccio de facto, in
«Politica del Diritto», 2, 2014, pp. 297-318. Per un’analisi specifica della metodologia del Political
Terror Scale si veda M. GIBNEY, L. CORNETT, R. WOOD, P. HASCHKE, D. ARNON, A. PISANÒ, AND G.
BARRETT, 2019. The Political Terror Scale 1976-2018. Date Retrieved, from the Political Terror Scale
website: http://www.politicalterrorscale.org/.
37
«Countries under a secure rule of law, people are not imprisoned for their views, and torture is rare or
exceptional. Political murders are extremely rare».
38
«There is a limited amount of imprisonment for nonviolent political activity. However, few persons are
affected, torture and beatings are exceptional. Political murder is rare».
39
«There is extensive political imprisonment, or a recent history of such imprisonment. Execution or other political murders and brutality may be common. Unlimited detention, with or without a trial, for political views is accepted».
40
«Civil and political rights violations have expanded to large numbers of the population. Murders, disappearances, and torture are a common part of life. In spite of its generality, on this level terror affects
those who interest themselves in politics or ideas».
41
«Terror has expanded to the whole population. The leaders of these societies place no limits on the
means or thoroughness with which they pursue personal or ideological goals».
55
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
110 Paesi garantiscono condizioni di sicurezza (solo, si ribadisce, riferite alle violazioni
dei physical integrity rights), 49 sono prevalentemente insicuri, 38 sono molto o
totalmente insicuri.
Dati, ancora una volta, che vanno visti pesando i Paesi in base alla loro
popolazione. Emerge così che il 15,64% della popolazione mondiale vive in Paesi che
garantiscono condizioni (più o meno buone) di sicurezza (giudizio 1, 2); il 14,54% vive
in condizioni di prevalente insicurezza (giudizio 3); il 69,82% della Popolazione vive in
Paesi molto insicuri (giudizio 4 per il 64,41%; giudizio 5 per il 5,41%).42
Degli undici Paesi (Afghanistan, Repubblica Democratica del Congo, Corea del
Nord, Eritrea, Libya, Myanmar, Sudan, Sud-Sudan, Syria, Turchia, Yemen), inoltre, che
hanno il peggior rating sulla Political Terror Scale, sette si trovano nell’area MENA,
nel Sahel e nell’Africa Sub-Sahariana. Situazioni, quelle appena descritte, che vanno ad
incidere naturalmente sui flussi migratori, soprattutto quelli relativi ai migranti forzati,
costretti a lasciare le proprie case a causa di conflitti o persecuzioni.
Secondo il recente Dossier statistico immigrazione, infatti, pubblicato ad ottobre
201943, i migranti forzati nel mondo hanno raggiunto i 70,8 milioni, toccando un nuovo
livello record con un trend che, secondo il rapporto UNHCR Global Trends. Forced
displacement in 2018 è andato sempre crescendo dal 2009 ad oggi, passando dai circa
45 milioni di forced displacement del 2009 agli oltre 70 milioni di oggi.44
Conseguentemente è andata aumentando anche la percentuale di migranti forzati sulla
popolazione mondiale, aumentata, nello stesso periodo 2009-2019, di circa 3 punti
percentuale (dal 6% circa al 9%).
In particolare, i nuovi migranti forzati, nell’anno 2018, sempre secondo il citato
rapporto UNHCR, sono stati 13,6 milioni, di questi 10,8 milioni sono rimasti entro i
confini del proprio Stato45; 2,8 milioni, invece, sono nuovi rifugiati e richiedenti asilo
all’estero. Il 67% di tutti i rifugiati, invece, provengono da soli 5 Paesi: Syria (6,7
42
Sul punto si veda http://www.politicalterrorscale.org/archive/Release2019/
CENTRO STUDI E RICERCHE IDOS, Dossier Statistico Immigrazione, 2019.
44
Disponibile on line all’indirizzo https://www.unhcr.org/globaltrends2018/
45
I Paesi con la maggior popolazione sfollata interna sono Colombia, Siria, Repubblica Democratica del
Congo, Somalia, Etiopia. Fonte Dossier Statistico Immigrazione 2019, p. 48.
43
56
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
milioni), Afghanistan (2,7 milioni), Sud-Sudan (2,3 milioni), Myanmar (1,1 milioni),
Somalia (0,9 milioni). Mentre i Paesi che ospitano il maggior numero di rifugiati nel
mondo sono: Turchia (3,7 milioni), Pakistan (1,4 milioni), Uganda (1,2 milioni), Sudan
(1,1 milioni), infine la Germania (1,1 milioni).
Non per caso, ovviamente, molti dei Paesi di origine dei 20,4 milioni di rifugiati
all’estero (Syria, Afghanistan, Sud-Sudan, Myanmar, Somalia, Sudan, Repubblica
Democratica del Congo, Repubblica Centro-Africana, Eritrea, Burundi), per i quali sono
stati attivati i procedimenti di protezione giuridica previsti nella Convenzione di
Ginevra sullo status di rifugiato a livello globale, sono tra i Paesi che rientrano nella
lista dei Worst of the Worst di Freedom House o in quella dei Paesi con il peggior rating
secondo il Political Terror Scale.
Molti di questi Paesi (quasi tutti), infine, rientrano anche nel cluster di quei Paesi
(dal peggiore al “migliore”, Yemen, Somalia, Sud-Sudan, Syria, Repubblica
Democratica del Congo) qualificati dal Fragile State Index Annual Report del 2019,
elaborato dal Fund For Peace, in una situazione di very high alert per ciò che attiene
alla loro capacità di far fronte alla pressione sociale, garantendo così sicurezza e
prevenendo possibili conflitti interni. A questi, inoltre, vanno aggiunti i Paesi in una
situazione di High Alert (sempre dal peggiore al “migliore”, Repubblica Centro
Africana, Chad, Sudan, Afghanistan). Dei 178 Paesi analizzati, ben 119 (il 66%) si
trova in una situazione qualificata almeno di attenzione (Warning).46
Senza dimenticare, infine, che accanto a chi scappa da guerre e persecuzioni
(rifugiati e richiedenti asilo) nella categoria dei migranti forzati vanno considerati anche
i c.d. migranti ambientali che, secondo quanto stimato da un rapporto della Banca
Mondiale, saranno 143 milioni entro il 2050, la maggior parte dei quali (86 milioni) si
stima che si muoveranno proprio nell’Africa sub-sahariana.47
46
Disponibile on line al link https://fundforpeace.org/2019/04/10/fragile-states-index-2019/
K.K, RIGAUD, A. DE SHERBININ, B. JONES, J. BERGMANN, V. CLEMENT, K. OBER, J. SCHEWE, S.
ADAMO, B. MCCUSKER, S. HEUSER, A. MIDGLEY, 2018. Groundswell : Preparing for Internal Climate
Migration.
World
Bank,
Washington,
DC.
World
Bank.
https://openknowledge.worldbank.org/handle/10986/29461
47
57
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
Insomma appare evidente che esistono alcuni Stati che sono dei veri e propri
buchi neri, capaci di spegnere, per tornare ad una metafora di Antonio Cassese, la
galassia ideologico-normativa rappresentata dai diritti umani. Il tutto in un contesto di
insieme di altissima condivisione consensuale del diritto internazionale dei diritti umani.
Il risultato è il radicamento di quei processi migratori che investono perseguitati, apolidi
(non in senso tecnico) senza diritti, persone che vivono in una condizione di endemica
insicurezza, i quali, non trovando alcun calore nel guscio protettivo dei diritti proclamati
urbi et orbi, rimangono con la speranza di fuggire da condizioni di insicurezza che
trasformano le loro città, i loro villaggi in campi di internamento.
6.
Il Leviatano è vivo e vegeto.
Occorre dunque ripartire dallo Stato e, forse, da una domanda specifica che, come visto,
è carsica nel ragionamento della Arendt. Ed è quella stessa domanda che, chiaramente,
viene posta ad Antonio Cassese nell’ultimo capitolo di un libro-intervista, curato dal
giornalista Giorgio Acquaviva, L’esperienza del male. Guerra, tortura, genocidio,
terrorismo alla sbarra, pubblicato nel 2011, poco prima della morte del grande
internazionalista di origine campana.48
Come sta il Leviatano? Una domanda chiave, che chiude il libro, ma apre vari
scenari, perché la storia dei diritti umani è proprio la storia del loro rapporto con lo
Stato.49
L’effettività dei diritti umani, intesi come diritti riconosciuti, promossi e protetti
dal diritto internazionale, dipende prevalentemente dalla loro capacità di incunearsi
entro i confini degli ordinamenti giuridici domestici e di essere fatti valere anche (e
soprattutto) contro lo Stato, quando uno Stato esiste.
48
A. CASSESE, L’esperienza del male. Guerra, tortura, genocidio, terrorismo alla sbarra. Conversazione
con Giorgio Acquaviva, Bologna, il Mulino, 2011.
49
Lo dice bene Salvatore Zappalà nell’introduzione al suo La tutela internazionale dei diritti umani: «I
diritti umani sono un prodotto che storicamente si è creato all’interno delle dinamiche nazionali di
confronto tra il potere ed i sudditi. La grande novità del XX scolo è la loro dimensione internazionale». S.
ZAPPALÀ, La tutela internazionale dei diritti umani, Bologna, il Mulino, 2011, p. 8.
58
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
È, questo, il tema centrale del ragionamento della Arendt da cui abbiamo preso le
mosse. Nella sua concezione, difatti, i diritti sono un prodotto esclusivo dello Stato, non
essendoci altra prospettiva che quella domestica.
A partire dal secondo dopoguerra, come visto, la prospettiva è completamente
cambiata. La riflessione sui non luoghi del diritto, non si deve più limitare ai campi di
internamento nello spazio domestico (seppur esistenti, come persistono le logiche e le
strategie di deumanizzazione e depoliticizzazione dell’humanum, si pensi ai centri di
detenzione in Libia o per fare un esempio che esula dal fenomeno migratorio si pensi a
Guantanamo ed al trattamento riservato ai “nemici combattenti”), ma deve andare oltre,
mirando allo scenario cosmopolitico, definendo una nuova dimensione delle no-rights
zones, le quali vanno a coincidere ormai con i confini statali. Questo cambio di
prospettiva è l’unico che consente di evidenziare la responsabilità degli Stati nei
processi di riconoscimento (o misconocimento) dei diritti umani e, nello specifico, delle
obbligazioni giuridiche internazionali che gli Stati stessi hanno assunto ratificando i
Core Human Rights Treaties.
Ed è per questo motivo che la domanda su come stia il Leviatano rappresenta la
chiusura del cerchio. Dalla risposta a questa domanda dipende anche la risposta alla
domanda dalla quale siamo partiti. Come è possibile prendere sul serio la questione
dello human rights gap? Cassese a proposito è molto chiaro: «purtroppo gli Stati
sovrani, anche se hanno perduto molto del loro potere a favore di “centri gestionali” a
carattere internazionale”, ancora dettano legge». 50 E, in realtà, per quanto riguarda i
diritti umani non potrebbe essere diversamente, atteso che il global human rights regime
è un regime promozionale che ha sviluppato un sistema reticolato di monitoraggio del
rispetto delle obbligazioni giuridiche internazionali in tema di diritti umani, ma che
necessita dello Stato, del suo sistema giuridico, del suo apparato burocratico, della sua
capacità di esprimere una vis coactiva, per trasformare le paper rules dei diritti in real
rules.
50
A. CASSESE, L’esperienza del male. Guerra, tortura, genocidio, terrorismo alla sbarra, cit., pp. 242243.
59
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
È lo Stato, con la sua accountability, dunque, a dover implementare i diritti umani
riconosciuti a livello internazionale. È lo Stato, ancora, a doversi fare carico della
riduzione dello human rights gap. Alla comunità internazionale, alla global civil society
il compito di supportare e guidare questo percorso di empowerment.
Il problema dei diritti, oggi, è, dunque, lo stesso che avvertiva la Arendt negli anni
Quaranta del Novecento: lo Stato. Quando il controllo sociale che esso esprime è troppo
forte, è forte il rischio della riduzione degli spazi di libertà. Quando è troppo debole non
sussiste quell’humus che garantiscono ai diritti di fiorire.
Lo human rights gap rischia pertanto di consolidarsi, nel disinteresse collettivo e
degli Stati più prosperi e civili guidati, nelle loro scelte di politica internazionali, dal
perseguimento di miopi obiettivi elettoralistici a breve periodo e insensibili al grido di
dolore che proviene dalle persone che vivono in condizioni di privazioni totale di risorse
economiche e di diritti umani.
Un orizzonte limitato che rischia di corroborare le disuguaglianze, minando alle
fondamenta anche quel sistema valoriale, normativamente segnato dal principio di
uguaglianza di status, che dà sostanza alle nostre democrazie.
La conclusione del grande internazionalista Cassese è, forse, non molto diversa da
quella che avrebbe dato Hannah Arendt, alla stessa domanda, alla fine degli anni
Quaranta. Come sta il Leviatano?: «il Leviatano è ancora vivo e vegeto». 51
51
Ibidem.
60
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
ROBERTO TANISI
Il diritto di migrare: ragioni umanitarie e illeciti penali
Abstract Premessi brevi cenni sui fenomeni migratori, anche sotto il profilo storico, l’articolo affronta
alcune tematiche relative ai fenomeni migratori odierni, soffermandosi, in particolare, sul diritto di
migrare, alla luce dei presidi costituzionali e di diritto internazionale.
Analizzate le diverse tipologie di “migranti”, cui corrispondono differenti regolamentazioni giuridiche,
l’articolo si sofferma, poi, sulla rilevanza penale del fenomeno migratorio, riguardata sia con riferimento
agli illeciti penali strettamente correlati al fatto stesso del migrare, sia con riferimento alle violazioni dei
diritti del migrante integranti reato (quali emerse da recenti pronunce giurisprudenziali), sia, infine, con
riferimento allo sfruttamento del lavoro dei migranti economici nel nostro Paese (e nel nostro Salento),
dal caporalato (illecito penale di recente introdotto nel nostro Ordinamento penale) alla vera e propria
schiavitù.
Keywords: diritti umani, sofferenza, diffidenza, migranti, profughi, Costituzione, diritto d’asilo,
immigrazione clandestina, protezione internazionale, Smuggling, Trafficking caporalato, schiavitù
1. I fenomeni migratori.
«Compagni (davvero da tempo non siamo nuovi a sventure), / o voi, che di peggio
soffriste, pure a queste un dio/ porrà una fine. Voi la rabbia di Scilla, sugli scogli /
conosceste dal cupo rimbombo, voi delle rupi del Ciclope / aveste esperienza: prendete
coraggio e lasciate il timone / inerte; forse anche un giorno gioverà ricordare. / Fra
disparate vicende, fra innumeri rischi di imprese, / tendiamo al Lazio, dove una sede
tranquilla i fati / ci additano: colà è scritto che il regno di Troia rinasca: / saldi restate
e serbate voi stessi a eventi migliori…»1.
Sono versi dell’Eneide, scritti più di duemila anni fa, e descrivono una fuga di migranti,
quella dei Teucri da Troia, più o meno 1000 anni prima di Cristo. A significare come
quello delle migrazioni sia un fenomeno che esiste dacché esiste l’uomo. Non
diversamente da quanto accade oggi per coloro che fuggono dalla Siria, squassata dalla
guerra civile, o dai Paesi del corno d’Africa o a sud del Maghreb.
Nel loro peregrinare i troiani giungono di fronte alle coste libiche, dove i fenici (a
loro volta popolazione non autoctona, ma proveniente dall’odierno Libano) hanno
1
VIRGILIO, Eneide, libro I.
61
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
costruito la città di Cartagine. Hanno bisogno di approdare, ma come saranno accettati?
Si pone il problema di sempre: quello della sofferenza di chi è costretto a fuggire dalla
propria patria e riparare in terra straniera e della diffidenza di chi accoglie. Chi sono
questi stranieri? Che intenzioni avranno? E come si comporteranno? E perché vengono
proprio qui da noi? Nel poema di Virgilio è Giove che, leggendo nei pensieri dei
cartaginesi, manda il messaggero Mercurio a rassicurare la regina Didone: «Questo dice,
e il figlio di Maia manda dal cielo, / perché la terra di Cartagine e le nuove mura /
s’aprano ospitali ai Teucri e Didone, all’oscuro dei fati, / dal suolo non li respinga. …
Presto il comando è dato; mutano i Punici la fierezza / del cuore al volere del dio; fra
tutti la regina con senso / di pace e cuore benigno si pone di fronte ai Teucri»2.
Dunque, su ogni confine, di terra o di mare, il fenomeno migratorio denota
“sofferenza” per chi emigra e “diffidenza” per chi “riceve”. Considerare la sofferenza e
superare la diffidenza – come fecero i cartaginesi – è simbolo di civiltà.
Problema estremamente complesso, allora, quello dei fenomeni migratori, rispetto al
quale è estremamente difficile fornire soluzione appaganti; anche perché, forse, non ne
esistono. Problema esistente da sempre, come ci ricordano i classici (non solo l’Eneide,
ma anche i poemi omerici), che, però, negli ultimi anni è divenuto di stringente e
drammatica attualità soprattutto nel bacino del Mediterraneo. Scrive Alessandro
Leogrande:3 «Esiste una faglia sotterranea che taglia in due il Mediterraneo da est a
ovest. Dal vicino Oriente fino a Gibilterra. Una linea di infiniti punti, infiniti nodi,
infiniti attraversamenti. Ogni punto una storia, ogni nodo un pugno di esistenza, Ogni
attraversamento una crepa che si apre. È la Frontiera. Non è un luogo preciso,
piuttosto la moltiplicazione di una serie di luoghi in perenne mutamento, che
coincidono con la possibilità di finire da una parte o rimanere nell’altra. Dopo la
caduta del muro di Berlino, il confine principale tra il mondo di qua e il mondo di là
cade proprio tra le onde di quello che, fin dall’antichità, è stato chiamato Mare di
mezzo. Se l’Angelo della Storia di Walter Benjamin venisse risucchiato ora, proprio in
questo momento, in un vortice che lo sospinge verso il futuro, con la faccia rivolta verso
2
3
Ibidem.
A. LEOGRANDE, La frontiera, Milano, Feltrinelli, 2015.
62
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
il passato e il cumulo di violenza che si erige incessantemente, vedrebbe innanzitutto il
continuo accatastarsi dei corpi dei naufraghi, il vagare dei dispersi nella lotta dei
flutti».
Parole bellissime, quelle dello scrittore tarantino prematuramente scomparso, che
testimoniano come sul margine di questa frontiera si giochi, oggi, «il grande gioco del
mondo contemporaneo»4.
Va detto, peraltro, che protezione del perseguitato e accoglienza dello straniero sono
parte integrante della tradizione di civiltà mediterranea ed europea, tradizione che, sotto
il profilo squisitamente normativo, si fa risalire a Francisco de Vitoria, un padre
domenicano, teorico della scuola di Salamanca, che già nel ‘500 teorizzò il diritto di
migrare, tanto che a lui si fa risalire la nascita del diritto internazionale. Tuttavia è solo
dal secondo dopoguerra – quando la piena consapevolezza delle dimensioni
dell’olocausto ha portato ad una nuova concezione del diritto, con il preminente rilievo
accordato ai diritti umani5 - che si cerca, da un lato, di rifondare il diritto internazionale
ancorandolo alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (firmata a Parigi il 10
dicembre 1948) e, dall’altro, di superare quello che viene definito “il primato della
legge” sulla base di un costituzionalismo non eminentemente statuale, ma di livello
tendenzialmente sovranazionale.
4
Ibidem.
Particolarmente pregnanti, sul punto, le considerazioni del giurista americano A. Dershowitz, nel suo
libello Rights from wrongs. Dershowitz muove una attenta critica al diritto naturale, affermando, fra
l’altro, che i diritti non derivano da Dio (perché “Dio non parla agli esseri umani con un’unica voce”: si
pensi al Dio dei cristiani e al Dio dell’Islam), né dalla natura (che è moralmente neutra), ma derivano
“dall’esperienza umana, e in particolare dall’esperienza dell’ingiustizia”. Piuttosto che ricorrere ad
astratte generalizzazioni, secondo Dershowitz, occorre partire dall’esperienza umana, che ci fa vedere gli
errori (e gli orrori) della storia, perché da essa è possibile apprendere che esiste un sistema basato sulla
difesa di alcuni diritti fondamentali – per esempio: il diritto alla vita e alla salute, la libertà di espressione,
la libertà di e dalla religione, l’uguaglianza davanti alla legge, il diritto ad un giusto processo, il diritto
alla partecipazione democratica – che ci consente di affrancarci dagli errori del passato; un sistema
fondato su principi che hanno trovato riconoscimento nelle Costituzioni moderne e nelle varie
Convenzioni sui diritti dell’Uomo, quella dell’Onu e quella europea. Dunque, più che individuare un
diritto naturale partendo, per così dire, dall’alto, Dershowitz reputa opportuno partire “dal basso”, ossia
da quelle che si sono palesate come evidenti ingiustizie, come torti evidenti (si pensi, come esempio,
come esempio eclatante, ai lager o ai gulag) per individuare “i diritti che non possono essere violati”.
5
63
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
Di primaria importanza, sotto tale profilo, l’art 13, comma 2°, della Dichiarazione
universale ONU, secondo cui «ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi Paese,
compreso il proprio, e di ritornare nel proprio Paese», che si lega all’art. 14, comma 1,
della medesima Dichiarazione, secondo cui «ogni individuo ha diritto di cercare e di
godere in altri Paesi asilo dalle persecuzioni».
Si tratta di due disposizioni che teorizzano, la prima, il diritto di emigrare (non anche
quello di immigrare), la seconda il diritto di asilo (non anche quello di ottenerlo).
Con specifico riferimento al diritto d’asilo sono state date diverse soluzioni, a
cominciare dalla Convenzione di Ginevra sullo statuto dei rifugiati, del 1951, la quale
costituisce diretta emanazione del citato art. 14 e, oltre a definire lo status di rifugiato,
ne definisce i diritti e le correlate responsabilità degli Stati che hanno accordato l’asilo.
Per quanto riguarda l’Italia, va ricordato l’art. 10, comma 3° della Costituzione, secondo
cui «lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà
democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della
Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge». La quale legge ben
difficilmente potrebbe essere in contrasto con il valore che tale disposizione racchiude
(quello della previsione e tutela del “diritto d’asilo”), onde è agevole ritenere che mal si
concilino con essa molte delle normative interne in materia di immigrazione e,
soprattutto, i c.d. “Decreti-sicurezza” recentemente varati6.
Del resto, quanto al secondo di tali Decreti, il Presidente della Repubblica, pur
firmandolo, non ha mancato di rilevare alcune notevoli incongruenze (dalla eccessività
delle sanzioni amministrative agli ostacoli frapposti all’attività di soccorso in mare di
chi si trovi in pericolo, assolutamente doverosa secondo la Convenzione di Montego
Bay), mentre, con riferimento al primo, non possono non essere evidenziate le grosse
falle esistenti sul piano dell’efficacia: cancellando, infatti, la protezione umanitaria,
questo testo di legge ha finito col buttar fuori dai centri di accoglienza un elevato
numero di migranti, con la conseguenza che gli irregolari sono lievitati dai 600.000
6
D.L. 4. 10.18, n. 113 e D.L. 14.6.19 n. 53
64
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
accertati alla data della sua entrata in vigore ai quasi settecentomila di oggi, dei quali –
lo si è visto in concreto – è pressoché impossibile il rimpatrio.
Va detto, peraltro, che a livello internazionale non esiste una normativa generale
sull’immigrazione, ma solo una congerie di fonti che riguardano, fondamentalmente il
divieto di discriminazione e la salvaguardia dei diritti umani, oltre ad alcune
convenzioni sui diritti dei lavoratori migranti7. Altre disposizioni normative si
occupano, poi, del doloroso fenomeno del “traffico” o “tratta” di migranti (su ciò vedi
infra).
2. I migranti.
Quando si parla di migranti, soprattutto con riferimento alla immigrazione degli
ultimi anni, quella delle rotte per mare verso l’Italia o la Grecia o quella delle rotte di
terra attraverso i Balcani, si rischia, anzitutto, di fare di ogni erba un fascio; mescolando
i migranti economici ai profughi in fuga da guerre e persecuzioni politiche. Questo
perché, spesso, sui barconi queste due grandi categorie di “persone in fuga” sono
entrambe presenti: sulle spiagge libiche giungono, infatti, soggetti che cercano di
giungere in Italia o in Europa perché sperano in un futuro migliore (esempio: tunisini,
senegalesi, centroafricani come etiopi, somali, maliani, abitanti del Burkina-Fasu) e
soggetti che provengono da zone di guerra (nigeriani, Sudanesi, eritrei) che cercano
semplicemente di salvare le propria vita o di viverne una migliore. Ed anche perché,
talvolta, sono gli stessi migranti che, per assicurarsi la permanenza sul territorio ed
evitare il possibile rimpatrio, si qualificano per quello che non sono: rifugiati,
richiedenti asilo, invece di migranti “economici”.
La distinzione fra queste due categorie, che pure è importante per i risvolti giuridici
che essa comporta, tuttavia non sempre è così netta, dal momento che sovente le due
situazioni tendono a confondersi: così è per l’Eritrea, l’Etiopia, la Somalia, il Mali.
Intanto una prima domanda si impone: perché queste persone fuggono?
7
Ci si riferisce alla Convenzione Onu sui diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie,
del 1990, entrata in vigore nel 2003, ma non ratificata dall’Italia né dalla maggior parte dei Paesi
occidentali, e alle due Convenzioni dell’OIL (Organizzazione internazionale del lavoro) la n. 97 del 1949
con le successive Disposizioni integrative e la n. 143 del 1975, ratificate dall’Italia nel 1981.
65
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
La risposta è semplice: perché nel loro paese stanno male, ma talmente male da
sobbarcarsi a tremendi viaggi per terra addirittura della durata di anni, a correre il
rischio di marcire nei centri di raccolta libici (ove vengono sottoposti ad ogni tipo di
violenza), fino ad avventurarsi, poi, nel mar Mediterraneo, stivati uno sull’altro, dentro
vere e proprie carrette del mare, sulle quali non di rado trovano la morte.
Se queste persone si sottopongono a tali, indicibili sofferenze, si capisce perché il
problema dell’emigrazione di massa sia di difficilissima soluzione: perché nulla
spaventa i migranti e, dunque, esso, al più, potrà essere (e dovrà essere), in qualche
modo, governato nei prossimi anni, senza tuttavia che si possa pervenire ad una
soluzione definitiva, almeno nel breve-medio periodo, ossia fino a quando qualcosa non
cambierà nelle terre d’origine.
Di certo quella dell’emigrazione non può essere considerata un’emergenza, ma
questione ordinaria e non occasionale. Quando nei Paesi poveri sono intense le spinte di
insicurezza, violenza e miseria, e nei Paesi sviluppati – come il nostro – esistono fattori
di attrazione come la possibilità di lavorare (anche in nero: si pensi, per esempio, al
lavoro dei “neri” in agricoltura, a Nardò come a Foggia: vedi infra), le barriere non
potranno mai fermare i flussi di persone, decise a raggiungere gli stati più ricchi.
La situazione dell’Africa, per esempio, è paragonabile ad un vulcano pronto ad
eruttare. Dopo gli anni del colonialismo, che hanno depredato il continente, sono giunti
gli anni dell’indipendenza (almeno per molti Stati), ma anche delle satrapie e delle
guerre civili, fra etnie e tribù. Un problema endemico, aggravato, negli ultimi tempi, dal
fanatismo di matrice islamica (si pensi a Boko Haram). Al quale anche gli occidentali
hanno dato e continuano a dare un mano: non nel senso di risolverlo, ma di aggravarlo.
La quasi totalità delle armi, dei congegni militari, degli esplosivi sono prodotti in
occidente: sono i Paesi occidentali, direttamente o per il tramite di trafficanti senza
scrupoli, ad armare le tribù africane (per gli enormi guadagni che se ne traggono),
sicché non ci si dovrebbe meravigliare più di tanto se poi deflagrano i conflitti e
scandalizzarsi se dai conflitti nascono i flussi migratori, o peggio, si sviluppa la mala
pianta del terrorismo.
66
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
Il mondo occidentale, talvolta in complicità con governanti corrotti e sanguinari, per
anni si è impossessato – e lo fa tuttora - delle ricchezze dell’Africa (oro, diamanti,
petrolio), sottraendole a milioni di disperati e morti di fame, salvo poi indignarsi se gli
africani ci sbattono in faccia la loro miseria o se cercano di sfuggire alla fame e alla
morte venendo proprio in occidente.
La risposta che i governanti occidentali danno, a fronte di un problema di immensa
complessità, non è quella di governare il fenomeno migratorio, ma, nel migliore dei
casi, la “carità pelosa” di non meglio precisati sussidi (“aiutiamoli a casa loro” è uno
slogan che si sente spesso), nel peggiore una politica muscolare (per esempio la
chiusura dei porti) che si scarica sui disperati in cerca di una sorte migliore e che fa
strame dei valori costituzionali o convenzionali in precedenza evidenziati.
La questione migratoria, di estrema complessità (come si sta cercando di
evidenziare) non sta (o non sta solo) in mare, negli sbarchi, ma soprattutto sulla
terraferma, «tra coloro che il nostro sistema d’accoglienza ha perso per strada, lasciato
tracimare nell’illegalità e nell’oblio»8. Una questione che non si risolve a colpi di
slogan o con una politica esclusivamente muscolare (totalmente inefficace), ma
provando a governare il problema dei flussi migratori, mostrando umanità ed aprendo i
porti a chi fugge, ma anche rendendo efficaci i CIE (Centri di identificazione ed
espulsione) per contenervi chi non può o non sa stare nel nostro Paese; ma, soprattutto,
aprendo i canali dell’immigrazione legale (oltre che di rimpatrio di quella illegale),
attraverso accordi con i Paesi d’origine; ridando linfa e soldi agli SPRAR per favorire
una autentica integrazione dei migranti destinati a restare, essenziali, oggi ed in futuro,
per garantire il funzionamento delle nostre aziende; infine togliendo dai marciapiedi
quella pletora di disadattati o disperati che finiscono con l’ingrassare le fila della
manovalanza criminale. Va da sé che tutto ciò richiede anche una “rilettura” della
politica europea sull’immigrazione, ferma agli accordi di Dublino, forse oggi più facile
da raggiungere dopo il ricambio alla Commissione europea ed alla sua guida.
8
Così Goffredo Buccini sul Corriere della Sera del 3 settembre 2019
67
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
3. Aspetti giuridici. La rilevanza penale del fenomeno migratorio.
La materia della immigrazione clandestina pone, dunque, problemi (di ordine
politico, sociale, economico e giuridico) di rilevante entità, di carattere anche
internazionale. Il controllo delle frontiere, la salvaguardia della vita umana, la lotta alla
criminalità organizzata sono aspetti dello stesso fenomeno con cui la riflessione
giudiziaria deve confrontarsi.
3.1 I diritti del migrante.
Si è visto come, a livello internazionale, non esista una normativa generale
sull’immigrazione, ma molteplici fonti normative per lo più improntate alla tutela dei
diritti umani. Ciò non significa, tuttavia, che il migrante sia privo di diritti.
Sotto tale profilo, come sopra evidenziato, la prima norma cui occorre
necessariamente fare riferimento è l’art. 10 della Costituzione, che, dopo aver statuito
che «L’ordinamento italiano si conforma alle norme del diritto internazionale
generalmente riconosciute» (1° comma) e che «la condizione giuridica dello straniero è
regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali (2° comma) »,
stabilisce: «Lo straniero al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle
libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio
della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge».
Dunque vi è un presidio costituzionale rispetto a quello che è un vero e proprio
diritto del migrante di vedersi garantito «l’effettivo esercizio delle libertà
democratiche».
È da qui che si deve partire, se si vuole provare ad analizzare lo status del migrante, i
cui diritti – come accennato - sono protetti dal un complesso corpus normativo.
Per primi vanno analizzati, dunque gli strumenti giuridico-normativi posti a
protezione del migrante e dei suoi diritti fondamentali. Essi rilevano, essenzialmente,
come limiti alla sovranità statale italiana in materia penale: è il caso, per esempio, della
Convenzione di Ginevra del 1951; del Protocollo del 1967 sul principio del non
68
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
refoulement9; della Direttiva 2004/83/CE (c.d. ‘’Direttiva qualifiche’’), della recente
Direttiva 2011/36 sulle vittime di tratta. Questi strumenti, in linea generale, stabiliscono
misure di tutela delle vittime di tratta, ovvero impongono agli Stati di riconoscere
protezione internazionale ad alcune categorie di migranti (chi è sottoposto a
persecuzione nel proprio paese di origine, o a chi colà corra il pericolo di un danno
grave, ovvero di una condanna a morte, tortura, pene o trattamenti degradanti, ecc.).
Gli articoli 698 c.p.p., sul divieto di estradizione, e l’art. 19 del T.U.
sull’emigrazione (n. 286/98), sul divieto di espulsione, sono un esempio della
attuazione, sul piano interno, di questo sistema di protezione.
Eppure di tutto ciò si ha scarsa consapevolezza. Qualche anno fa, su un giornale,
comparve questo titolo: «È un gay, non viene espulso». Un titolo chiaramente omofobo,
dal momento che lo straniero in questione non veniva espulso solo perché omosessuale,
ma per il fatto che nel suo paese d’origine (il Sudan) i gay erano – e sono - perseguitati
e non di rado uccisi.
Altri strumenti internazionali hanno ricoperto un ruolo, per così dire, di protezione
indiretta dei migranti, attraverso la criminalizzazione delle condotte dei c.d. scafisti, o
trafficanti.
I principali tra di essi – anche perché adottati a livello globale - sono i due protocolli
ONU alla Convenzione di Palermo: il Protocol to Prevent, Suppress and Punish
Trafficking in Persons, expecially Women and children, che ha come presupposto il
trasporto (favoreggiamento, facilitazione, ecc.) del migrante contro la sua volontà o con
l’inganno, e mira a punire i colpevoli e a tutelare le vittime della tratta, e il Protocol
against the Smuggling of Migrants by Land, Sea and Air che mira a prevenire
l’introduzione clandestina e lo sfruttamento di migranti consenzienti .
Occorre, qui, sottolineare la differenza tra Trafficking (che noi traduciamo con
“Tratta”: si pensi alle “ragazze dell’est”, o della Nigeria, portate in Occidente come
schiave e fatte prostituire) e Smuggling (che noi traduciamo con “traffico”): nel primo
9
Divieto di respingimento: “Nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un
rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della
sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle
sue opinioni politiche".
69
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
caso il migrante viene indotto a fare ingresso in uno Stato contro la sua volontà o con
l'inganno; nel secondo il migrante è consenziente (anche se nella pratica non mancano
le “zone grigie”). In questa seconda ipotesi, nonostante vi sia il consenso del migrante,
l’obbligo di criminalizzazione è imposto agli Stati solo con riferimento alla posizione
dello sfruttatore e trasportatore, mentre è lasciata allo Stato la decisione se punire anche
il migrante che volontariamente fa ingresso nello stato.
Come è noto l’Italia, purtroppo, ha scelto di punire la condizione di straniero
irregolare in sé, attraverso la previsione dell’art. 10 bis T.U. immigrazione, che
disciplina il reato di immigrazione clandestina, punendo con la pena della ammenda da
5.000 a 10.000 euro (non oblabile) la semplice presenza o ingresso illegale nel territorio
dello Stato, senza che vi sia stato alcun provvedimento relativo all’espulsione o
allontanamento. Si tratta una condotta attiva istantanea che si consuma con il varcare
illegalmente i confini nazionali, come ricorda la Corte costituzionale (n. 250/2010).
Nel 2014 la legge-delega in materia di depenalizzazione (n. 67/14) aveva previsto
l’espunzione di tale reato dall’Ordinamento, attesa la sua patente inutilità, ma i Decreti
Delegati (nn. 7 e 8 del 2016) non hanno dato esecuzione alla delega perché – come si
ritenne allora, all’indomani dell’attentato di Parigi – “i tempi non sono ancora maturi”
(sic).
Quella dell’art. 10-bis è una disposizione normativa non solo inutile, ma altamente
deleteria, che ha creato – continua a creare - problemi ai Giudici e alla Forze
dell’ordine, senza risolverne alcuno, e sulla quale si sono scagliati, con coro unanime, il
Primo Presidente della Cassazione e tutti i Presidenti e i P.G. delle Corti d’Appello nelle
Cerimonie di inaugurazione dell’anno giudiziario.
Non è questa la sede per affrontare funditus le varie problematiche determinate da
tale fattispecie di reato. Qui basti solo rilevare l’assoluta irrazionalità del reato in parola:
a) Sul piano della deterrenza. Si può mai pensare che un migrante, disposto a sopportare
anche anni di sacrifici per spostarsi dal suo luogo d’origine ed a porre a rischio la
propria vita e quella dei suoi cari su una carretta del mare, si possa mai “spaventare” per
la pena prevista dall’art. 10-bis, un’ammenda da 5.000 a 10.000 euro? E quando mai
70
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
egli potrà pagare una tale ammenda? Ed essendo incensurato, non avrà forse diritto alla
sospensione condizionale? Dunque: deterrenza nulla.
b)
Sul piano dei Costi: tantissimi ed elevati. Ad Agrigento (tribunale nel cui
Circondario ricade Lampedusa), si iscrivono ogni anno più di venticinquemila
procedimenti per il reato di immigrazione clandestina.
Per fare i processi occorrono P.M., Giudici, personale amministrativo, difensori
d’ufficio. Le sentenze emesse, di solito, vengono impugnate dai difensori (è un loro
diritto) fino alla Cassazione. Il tutto a spese dello Stato. Per ottenere cosa? Ancora una
volta il nulla.
c)
Sulle ricadute sull’Amministrazione della Giustizia: anche qui tante, e gravi, posto
che la trattazione di tali procedimenti finisce col distogliere i magistrati dai ben più
delicati compiti relativi, per esempio, alla criminalità comune e mafiosa (siamo pur
sempre in Sicilia o in Calabria e, qualche volta, anche in Puglia. Terre di mafia). Quindi,
riassumendo, il quadro che si ricava dalla legislazione interna ed internazionale su
questo tema è, a grandi linee, il seguente: gli Stati hanno l’obbligo di punire coloro che
sfruttano e favoriscono l’immigrazione clandestina, e con maggiore severità se ciò
avviene con la violenza o a certi fini, come lo sfruttamento della prostituzione ecc.; non
possono criminalizzare in nessun modo il migrante vittima di violenza o inganno ed
anzi lo debbono tutelare; sono liberi di punire il migrante economico o comunque
volontario, ma nel rispetto delle norme internazionali a tutela dei diritti umani. Sempre
sotto il profilo normativo e di politica internazionale in materia di immigrazione, merita
di essere segnalato il “patto fra Stati” (Compact on Safe, Orderly and Regular
Migration) raggiunto nella Conferenza di Marrakech del 10 e 11 dicembre 2018 su
input dell’Onu (Dichiarazione di New York del 2016).
Ferma restando la sovranità nazionale di ciascuno Stato nella definizione delle proprie
politiche migratorie, in esso vengono individuati “comuni obbiettivi” per un’equa
condivisione delle responsabilità quanto a: tutela dei migranti (tutela della vita umana,
riduzione della vulnerabilità, stigmatizzazione delle discriminazioni, etc.), trasmissione
delle informazioni riguardanti la mobilità, prevenzione e contrasto della tratta e del
traffico di esseri umani, contrasto all’immigrazione irregolare, gestione integrata delle
71
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
frontiere esterne e azioni tese a favorire lo sviluppo dei Paesi di origine. «Si tratta
evidentemente di un documento di soft law, non giuridicamente vincolante, ma utile a
sollecitare nuove normative o a indirizzare l’interpretazione delle norme vigenti»10.
Alla sua elaborazione hanno contribuito l’Unione europea e gli Stati membri
dell’Unione (salvo solo una posizione discordante dell’Ungheria), ma poi dopo il voto a
favore del Patto, alcuni Stati europei, fra cui l’Italia, si sono inspiegabilmente rifiutati di
partecipare alla Conferenza di Marrakech.
Con specifico riferimento all’Europa, va segnalato, ancora, come la Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea, divenuta giuridicamente vincolante dal dicembre del
2009, oltre ad affermare l’obbligo del rispetto dei diritti fondamentali (compresi i diritti
sociali) di ogni individuo come tale e il divieto di discriminazione sotto qualsiasi
profilo, ribadisce, oltre al diritto all’asilo come garantito dalle convenzioni
internazionali, il divieto di espulsioni collettive e il divieto di estradizione quando esista
il rischio di pena di morte, di tortura o di trattamenti inumani e degradanti.
Nell’ambito dell’Unione europea i Trattati vigenti prevedono che venga garantita:
l’assenza di qualsivoglia controllo sulle persone, a prescindere dalla nazionalità, all’atto
dell’attraversamento delle frontiere interne» e, insieme, «il controllo delle persone e la
sorveglianza efficace dell’attraversamento delle frontiere esterne» (art. 77 TFUE);
una politica comune dell’immigrazione per assicurare la gestione efficace dei flussi
migratori, l’equo trattamento dei cittadini dei Paesi terzi, la prevenzione e il contrasto
dell’immigrazione illegale e della tratta degli esseri umani (art. 79 TFUE);
una politica comune in materia di asilo, di protezione sussidiaria e di protezione
temporanea (art. 78 TFUE);
un’equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri, governata dal principio di
solidarietà (art. 80 TFUE).
La triste realtà di tutti i giorni ci dimostra, tuttavia, quale enorme distanza vi sia fra tale
«dover essere» normativo e la drammatica quotidianità di un “essere”, quale quello
innanzi descritto: ad onta di tale rilevante corpus di leggi e disposizioni, nessuna seria
10
E. PACIOTTI, L’Europa dei diritti e le migrazioni. Le norme e la realtà, «Questione giustizia», 2019.
72
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
politica comune dell’immigrazione (e neppure dell’asilo) ispirata alla solidarietà risulta
ad oggi essere stata adottata ed il mar Mediterraneo costituisce un enorme tomba
d’acqua che i governanti europei, al di là di poche parole di circostanza in occasione di
grandi tragedie, si ostinano a non voler guardare.
Il problema della protezione umanitaria dei migranti nel nostro Paese rileva anche da
altro, duplice punto di vista:
a) quello della vulnerabilità individuale del migrante e del suo diritto a vedersi riconoscere
protezione e diritto d’asilo;
b) quello delle recenti – e più stringenti – politiche del nostro Governo, anche in accordo
col Governo libico (e dell’Unione Europea col governo turco), tendenti ad impedire i
viaggi della speranza verso le nostre coste e, in determinati casi, a restituire alla Libia i
migranti in cerca di espatrio verso l’Italia e l’Europa.
Rilevano, a riguardo, due importanti pronunce: la prima della Cassazione civile (n.
4155/18), la seconda della Corte d’Assise di Milano, dell’ottobre-dicembre 2017, nel
processo contro tale Osman Matammud, condannato all’ergastolo per tortura e plurimi
omicidi.
Cos’hanno in comunque queste due importanti pronunce? Entrambe si preoccupano
della condizione di vulnerabilità individuale del migrante, avuto riguardo alla situazione
di estrema, oggettiva pericolosità in cui egli corre il rischio di trovarsi se restituito al
Paese di provenienza.
La Sentenza della Cassazione riguarda il caso di un cittadino gambiano che si era visto
riconoscere dalla Corte d’Appello di Bari il diritto al rilascio di un permesso per motivi
di integrazione sociale, stante la sua esposizione ad una situazione di particolare
vulnerabilità che gli sarebbe derivata in caso di rimpatrio nel suo Paese d’origine, a
causa della grave compromissione dei diritti umani ivi esistente. Contro tale pronuncia
aveva presentato ricorso il Ministero dell’Interno sostenendo che il permesso di
soggiorno per motivi umanitari non potrebbe essere rilasciato solo per ragioni di
integrazione sociale e per il rischio derivante da una generale violazione dei diritti
umani nello Stato d’origine.
73
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
La Cassazione, richiamando la Convenzione E.D.U. e le pronunce della Corte di
Strasburgo (segnatamente sull’art. 8 della Convenzione), nel confermare la Sentenza
impugnata, statuisce che la condizione di vulnerabilità dello straniero può essere
accertata anche effettuando il bilanciamento tra l’integrazione sociale acquisita in Italia
e la situazione oggettiva del Paese di origine del richiedente, correlata alla condizione
personale che ne ha determinato la partenza, così da accertare la condizione personale di
effettiva deprivazione dei diritti umani che abbia giustificato l’allontanamento.
La Corte, inoltre, coglie l’occasione per applicare tale argomentazione anche ad altre
ipotesi di vulnerabilità, già frequentemente emerse nella giurisprudenza di merito e che
avevano dato corso ad orientamenti altalenanti. In particolare, il riferimento è alle
condizioni di estrema povertà o a quelle ambientali. A questo riguardo la Corte
chiaramente afferma che la condizione di vulnerabilità può dipendere anche «dalla
mancanza di condizioni minime per condurre un’esistenza nella quale non sia
radicalmente compromessa la possibilità di soddisfare i bisogni e le esigenze ineludibili
della vita personale, quali quelli strettamente connessi al proprio sostentamento e al
raggiungimento degli standards minimi per un’esistenza dignitosa». Quindi non solo
una situazione di instabilità politico-sociale che esponga a situazioni di pericolo per
l’incolumità personale ma anche «un’esposizione seria alla lesione del diritto alla
salute» oppure «conseguente ad una situazione politico-economica molto grave con
effetti di impoverimento radicale riguardante la carenza di beni di prima necessità, di
natura anche non strettamente contingente, od anche discendere da una situazione geopolitica che non offre alcuna garanzia di vita all’intero del Paese d’origine (siccità,
carestie, situazioni di povertà inemendabili)».
Ancora più tranchant la sentenza della Corte d’Assise di Milano, con la quale è stato
condannato all’ergastolo, con isolamento diurno per tre anni, tale Osman Matammud,
per i reati di omicidio, sequestro di persona in concorso e continuato a scopo estorsivo e
violenza sessuale aggravata.
L’imputato e i suoi uomini, con frequenza quotidiana, fra il 2015 e il 2016, si erano
recati all’interno del capannone ove erano reclusi i somali e li avevano picchiati con
calci e pugni, con bastoni e spranghe di ferro, provocando la frattura degli arti, e, in
74
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
alcuni casi, la morte di alcuni di loro. Lo scopo era quello di ottenere il pagamento di €
7.000,00 di riscatto.
Ilda Boccassini, capo della procura antimafia milanese, nella conferenza stampa che
seguì agli arresti dichiarò: «In quarant’anni di carriera non ho mai ascoltato dei racconti
così atroci».
Questa sentenza è molto importante perché con essa è come se lo Stato italiano,
attraverso un suo Giudice, per la prima volta abbia riconosciuto ufficialmente che i
campi di prigionia libici sono dei veri e propri lager e, dunque, che i migranti vittime di
torture in Libia meritano tutela e giustizia anche in Italia.
Entrambe le sentenze si muovono sulla scia di una importante sentenza della C.E.D.U.
del 23.2.12 nel caso Hirsi C/ Italia11.
La Corte, facendo applicazione anche di svariate disposizioni internazionali (fra le altre:
1) la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare - c.d. Convenzione di
Montego Bay del 1982 – secondo cui «Ogni Stato deve esigere che il comandante di una
nave che batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza
mettere a repentaglio la nave, l'equipaggio o i passeggeri:
a.
presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo;
11
I ricorrenti - undici cittadini somali e tredici cittadini eritrei, facenti parte di un gruppo di circa
duecento persone che aveva lasciato la Libia a bordo di tre imbarcazioni allo scopo di raggiungere le
coste italiane - il 6 maggio 2009, quando le imbarcazioni si trovavano a trentacinque miglia marine a sud
di Lampedusa, ossia all’interno della zona marittima di ricerca e salvataggio (c.d. zona di responsabilità
SAR) rientrante nella giurisdizione di Malta, furono intercettati da tre navi della Guardia di finanza e
della Guardia costiera italiane.
Gli occupanti di queste imbarcazioni furono trasferiti sulle navi militari italiane, ricondotti a Tripoli e
consegnati alle autorità libiche. Secondo la versione dei fatti presentata dai ricorrenti, costoro si opposero
alla loro consegna alle autorità libiche, ma furono ugualmente obbligati con la forza a lasciare le navi
italiane.
Durante una conferenza stampa tenuta il 7 maggio 2009, il ministro dell’Interno italiano (On. Maroni)
dichiarò che le operazioni di intercettazione delle imbarcazioni in alto mare e di rinvio dei migranti in
Libia facevano seguito all’entrata in vigore, il 4 febbraio 2009, di accordi bilaterali conclusi con la Libia,
e rappresentavano una svolta importante nella lotta contro l’immigrazione clandestina.
In realtà i ricorrenti, due dei quali nel frattempo deceduti ed altri dispersi, siccome esposti al rischio di
subire torture o trattamenti inumani e degradanti in Libia, nonché nei rispettivi paesi di origine, vale a dire
l’Eritrea e la Somalia, invocarono l’articolo 3 della Convenzione, secondo cui “Nessuno può essere
sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”.
75
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
b.
proceda quanto più velocemente è possibile al soccorso delle persone in
pericolo, se viene a conoscenza del loro bisogno di aiuto, nella misura in cui ci si può
ragionevolmente aspettare da lui tale iniziativa»;
2) La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (2000), secondo cui (art. 19)
«Le espulsioni collettive sono vietate. Nessuno può essere allontanato, espulso o
estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di
morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti»), ha ritenuto che
lo Stato italiano abbia posto in essere «una grave violazione del divieto di espulsione
collettiva di stranieri e, di conseguenza, del principio di non respingimento».
La Sentenza, poi, così conclude: «Se vi è una causa nella quale la Corte dovrebbe
fissare misure concrete di esecuzione è proprio questa. La Corte ritiene che il governo
italiano debba adoperarsi per ottenere dal governo libico l'assicurazione che i ricorrenti
non siano sottoposti a un trattamento incompatibile con la Convenzione, compreso un
respingimento indiretto. Non è abbastanza. Il governo italiano ha anche un obbligo
positivo di fornire ai ricorrenti un accesso pratico ed effettivo ad una procedura di asilo
in Italia. … I rifugiati che tentano di scappare dall'Africa non richiedono un diritto di
ammissione in Europa. Essi domandano soltanto all'Europa, culla dell’idealismo in
materia di diritti dell’uomo e luogo di nascita dello Stato di diritto, di cessare di
chiudere le sue porte a persone disperate che fuggono dall'arbitrio e dalla brutalità. È
una preghiera modesta, peraltro sostenuta dalla Convenzione europea dei diritti
dell'uomo. Non restiamo sordi a questa preghiera».
In realtà, l’appello alla “non sordità” della CEDU è rimasto, in larga parte, inascoltato,
se solo si pensa alla recente “politica” del nostro Paese nei confronti di alcune ONG
straniere, deputate al salvataggio in mare dei migranti, ed al sequestro delle navi
impiegate a questo fine.
Anche in questo caso si tratta di questioni estremamente complesse, non solo dal
punto di vista normativo, sulle quali non è facile esprimere valutazioni senza conoscere,
in maniera approfondita, gli atti processuali e non potendosi escludere, in astratto, la
sussistenza di interessi e condotte convergenti fra trafficati di esseri umani e talune
ONG (pur se pare oggettivamente arduo ipotizzare il reato di associazione per
76
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
delinquere – ossia di un reato posto a tutela dell’ordine pubblico - a carico di chi si
limita, al postutto, a soccorrere dei migranti in pericolo ed in cerca d’aiuto).
Sono noti i casi che hanno riguardato le navi di alcune di queste ONG (Open arms,
Diciotti, Mare Jonio, ecc.), dapprima sottoposte a sequestro preventivo, poi
dissequestrate dai Giudici siciliani, che hanno escluso la sussistenza del fumus in ordine
ai reati ipotizzati dalla Procura, ovvero ritenuto le condotte coperte dalla scriminante
dello stato di necessità, siccome conseguenti ad uno stato di pericolo volontariamente
provocato da altri ossia dai trafficanti di uomini (così Cass., sez. 1, sent. 18 maggio
2015 n. 20503, Rv. 263670).
Merita di essere segnalato, fra l’altro, come in taluni provvedimenti (es. GIP Ragusa
16.4.18) si sia evidenziato che il semplice recupero fisico dei migranti dalle
imbarcazioni alla deriva non esaurisce il salvataggio dei medesimi, dovendosi, invece,
prendere in considerazione la destinazione finale del soccorso, da consolidarsi in un
POS (Place of safety) effettivo ed affidabile, ossia in una destinazione dove la vita delle
persone sia messa in effettiva sicurezza. Tale – secondo i Giudici – è non solo un posto
sulla terra ferma dove sia possibile far fronte alle esigenze di cibo e di acqua, ma anche
un posto che sia al riparo dalle minacce alla vita ed alla incolumità personale, nel
rispetto dei diritti fondamentali. Tale, in particolare, non viene reputato il territorio
libico a causa delle torture, persecuzioni o trattamenti inumani o degradanti cui
solitamente sono sottoposti migranti.
In altri termini, in tutti questi provvedimenti viene operato un bilanciamento fra
l’interesse dello Stato a contrastare l’immigrazione illegale e il diritto dei migranti
all’asilo, ovvero a non vedersi respinti verso terre in cui sono esposti a rischio i
fondamentali diritti alla vita, alla libertà, alla incolumità personale. E nel bilanciamento
di questi interessi è di tutta evidenza come il secondo, per Costituzione vigente e per la
normativa europea ed internazionali, sia certamente prevalente. L’attuale stretta sulle
migrazioni ricorda molto da vicino quella posta in essere, a fine anni novanta, dal nostro
Governo in accordo col Governo albanese per ridurre i traffici in Adriatico e che fu
causa non secondaria della tragedia che si consumò nel Canale d’Otranto il venerdì
santo del 1997, quando un manovra di harassment spinto, posta in essere da una nave
77
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
della Marina Militare italiana per costringere una carretta del mare albanese a far rientro
nel porto di Valona, costò la vita ad oltre 100 persone, fra morti e dispersi (come
accertato dalla Corte d’Appello di Lecce nel processo Namik-Laudadio).
Va detto infine – per concludere sul punto – che queste politiche hanno spinto il
Tribunale Permanente dei Popoli (Associazione nata da una proposta di Lelio Basso –
già Padre Costituente - quale spazio di garanzia e di denuncia delle violazioni dei diritti
sanciti dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dei Popoli proclamata ad Algeri nel
1976), nella sessione dedicata ai diritti delle persone migranti e rifugiate tenutasi a
Palermo dal 18 al 20 dicembre 2017, sotto la presidenza di Franco Ippolito (già
Presidente di Sezione della Cassazione), ad emettere una ferma pronuncia di condanna
del nostro e di altri Governi, per avere, di fatto, finito con l’avallare documentati metodi
di violenza, tortura e schiavitù che sistematicamente si consumano nei Paesi di origine e
di transito a danno dei migranti. In particolare, a venire in rilievo sono il
Memorandum stipulato nel 2016 dall’Italia con il Sudan di Omar al-Bashir, accusato
dalla Corte penale internazionale di crimini di guerra, crimini contro l’umanità e
genocidio, e quello del 2 febbraio 2017 firmato dal presidente del Consiglio Gentiloni e
Serraj, presidente di un ancora precario Governo di riconciliazione. Secondo il
Tribunale Permanente dei Popoli queste politiche di cooperazione hanno avuto l’effetto
perverso di peggiorare le condizioni dei migranti che tentano di aprirsi una rotta verso
l’Europa, proprio a causa delle estorsioni e torture quotidianamente praticate nei centri
di detenzione e del fatto che il recupero dei migranti in mare da parte delle autorità
libiche avviene in assenza delle più elementari condizioni di sicurezza.
«Nonostante lo ius migrandi non trovi ancora tutela nell’ordinamento internazionale – si
legge nella pronuncia - l’esigenza di migrare è un atto esistenziale e politico che va
riconosciuto e tutelato dinanzi alla persistenza di modelli economici di sfruttamento che
non consentono uno sviluppo equo e sostenibile».
4. I migranti e il lavoro. Dal caporalato alla schiavitù.
È noto che i poveri, gli indifesi, gli indigenti sono prede facili. La povertà, le
discriminazioni per genere, razza o provenienza sono fattori che rendono le persone
78
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
vulnerabili al traffico di esseri umani e, in generale, al crimine organizzato. Per le
organizzazioni criminali i migranti sono solo “beni” da trasportare e da usare. Così il
nostro mare Mediterraneo è divenuto una enorme tomba d’acqua a causa delle morti su
barconi alla deriva. Così troppo spesso si è appreso di bambini abusati, di donne violate,
di persone uccise nei modi più brutali e, sempre e comunque, private della loro libertà e
dignità.
Nella mia Relazione tenuta in occasione della Cerimonia di inaugurazione dell’anno
giudiziario 2018, ponevo in risalto anche il problema, sempre più grave, dei “bambini
che arrivano soli” e poi scompaiono. Al 30 giugno 2017, le persone scomparse nel
nostro Paese erano 47.946 di cui il 70% minorenni. Spesso, troppo spesso, quei bambini
finiscono nelle mani dei trafficanti di organi o sono vittime di abusi sessuali o vengono
costretti alla prostituzione.
Altrettanto grave è, poi, il fenomeno del lavoro nero nelle mani della criminalità
organizzata, quello che chiamiamo “caporalato”. Si tratta di un fenomeno legato spesso
(ma non esclusivamente) alla tratta o, comunque, al traffico di migranti, finalizzato al
loro sfruttamento economico.
Quelle che seguono sono le dichiarazioni di A. A., acquisite nel corso del Processo
contro J. S. ed altri, celebratosi innanzi alla Corte d’Assise di Lecce12:
«… In Tunisia ho 5 sorelle ed un fratello, oltre i genitori. … Era noto a Sfax che Bachir
[o Bechir, trafficante di uomini: n.d.r.] organizzava gruppi che partivano per l’Italia. …
Io e F. abbiamo chiesto a Bachir di aiutarci a raggiungere l’Italia … versando un
acconto di 2000 euro. Bachir ci ha promesso che ci avrebbe fatto lavorare in Italia in
un’azienda che produce fiori … e che ci sarebbe stata corrisposta la somma di € 1200.
… Ci disse di portare la restante somma di 4500 dinari tunisini e poi ci chiese altro
1350 dinari per i documenti i Italia. Ci disse che in Italia avremmo dovuto incontrare
tale Hassan, di cui ci fornì l’utenza cellulare. In Italia ci vedemmo costretti ad
12
La Corte d’Assise di Lecce, nel processo citato, con sentenza 13.7.17 ha ritenuto la sussistenza del
delitto di riduzione in schiavitù e condannato la maggior parte degli imputati alla pena di undici anni di
reclusione. Successivamente la Corte d’Assise d’Appello, con Sentenza 8.4.19, non ancora depositata, ha
escluso la sussistenza del reato di schiavitù ritenendo ravvisabile il solo caporalato ex art. 603-bis c.p.,
peraltro assolvendo la più gran parte degli imputati perché il fatto non era, all’epoca dei fatti, previsto
come reato.
79
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
accettare le condizioni poste da Hassan. Per pagare i soldi a Bachir ho dovuto vendere
l’unica macchina di famiglia che avevano. … Volevo venire in Italia per migliorare le
mie condizioni. Bachir ci fece il biglietto per la nave che sbarcò a Palermo. Qui, invece
di prendere il treno per Siracusa, trovammo un passaggio per Vittoria e da lì
raggiungemmo Pachino. Non trovammo Hassan al telefono e telefonammo a Bachir che
ci disse di attendere nella piazza principale del paese che sarebbe venuto. Attendemmo
invano. Provammo a richiamare Bachir ma non ci rispose più. … Per caso, dopo
qualche giorno, conobbi un connazionale di nome Checida, che conosceva Hassan e lo
chiamò. Hassan non venne, dicendo che era occupato, mandò due uomini (uno era suo
fratello) che ci accompagnarono ad un ristorane algerino. Ci diedero un panino che
non mangiai per quanto ero disperato… Ci portarono in una casa per dormire, dove
volevano 5 euro a notte. … Il giorno dopo venne Hassan con M. R. e mi accompagnò in
Prefettura … dove firmammo alcuni documenti in un ufficio e uscimmo. Hassan mi
disse che avrei trovato lavoro a Nardò. Gli contestai che ci aveva ingannato. Restammo
a Pachino 2 mesi … Eravamo disperati, saltavamo i pasti perché non avevamo soldi …
Hassan è strafottente … mi aveva annullato con il suo atteggiamento … Da Siracusa
sono andato a Napoli e da Napoli a Lecce e poi a Nardò in pullman… Arrivai a Nardò
alle 16 e scesi presso il distributore Agip … un vero e proprio luogo di reclutamento di
manodopera straniera. I connazionali che conobbi presso il distributore AGIP mi
dissero che potevo dormire sotto gli alberi di ulivo. Ho dormito con F. e A. in terra,
coperto di cartoni, in un uliveto vicino a un luogo diroccato dove un tunisino di nome
Heidi aveva improvvisato un ristorante di fortuna. Saltavo i pasti, alcune volte
mangiavo in questo posto perché Heidi mi faceva credito Un pasto costava 4 euro.
Heidi mi ha fatto conoscere S., che faceva lavorare le persone. Incontrai S., che aveva
una Ford familiare di colore scuro. Chiese a me e F. i documenti, A. rimase distante
perché non li aveva, S. controllò i documenti e ci disse che avemmo lavorato ai
pomodori a 4 euro per cassa. S. imponeva le condizioni: noi chiedemmo di avere 5
euro, ma lui rispose di no e che potevano andarcene a cercare un altro lavoro. Ci disse
però che nessun altro ci avrebbe dato lavoro senza il suo tramite. S. trattenne i miei
documenti asseritamente per un contratto che, in realtà non ho mai firmato … e dopo
80
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
due giorni me li restituì. Così fece per gli altri. Alle 4-5 del mattino vi erano 5-6
macchine ad attenderci che facevano la spola con i campi. S. gestiva un gruppo, mentre
un sudanese ne gestiva un altro. Ho lavorato con S. per 5 giorni, ma sono stato pagato
dopo 10 gg. e ho percepito 100 euro. I soldi me li ha dati il sudanese non S. C’erano
altri padroni, tunisini e sudanesi … c’era un sudanese che controllava che il lavoro
venisse fatto bene … che usava violenza verbale. Le condizioni erano così disumane che
molti sono scappati mentre lavoravano. Nessuno li ha ripresi. Alcuni sono tornati da
soli. Quella per mangiare era l’unica pausa. … Non vi erano servizi igienici, vivevamo
come animali. … Ritengo che chi stava male non lo diceva per paura di essere
allontanato. Ho raccolto meloni 3 gg. prima di conoscere S. ... Orario di lavoro dalle
5,30 alle 17,30. Compravo un panino all’AGIP e lo mangiavo durante la sosta. Anche
Aymen, che era senza documenti, ha lavorato per un italiano che aveva una Clio per
due gg. insieme a me. Venivamo pagati al termine della giornata lavorativa».
Deposizioni come questa ne sono state raccolte a decine nel processo, tutte univoche nel
denunciare il grave sfruttamento della manodopera straniera (ma anche, talvolta,
italiana), conseguenza di quel grave fenomeno che va sotto il nome di caporalato e che,
non di rado, sconfina in una vera e propria schiavitù.
Quanto alle condizioni di vita, merita di essere segnalato quanto riportato da Yvan
Sagnet, uno studente-lavoratore camerunense divenuto uno dei promotori della c.d.
“rivolta di Nardò”13: «Il campo di Boncuri (una vecchia masseria parzialmente diruta,
dove vivevano i lavoratori di colore impegnati nella raccolta delle angurie o dei
pomodori: n.d.r.) era una versione più povera e triste di qualsiasi situazione africana
avessi incontrato nella mia vita. Persino il caldo, secchissimo, sembrava più torrido di
quello dell’Africa. Le tende e l’immondizia si stendevano a perdita d’occhio, ai lati
dell’accampamento sorgevano baracche di lamiera e persino di cartone. Era lì, mi
spiego l’amico di Pavia, che dormivano quelli che non avevano trovato posto nelle
canadesi».
13
Y. SAGNET, Ama il tuo sogno, Roma, Fandango libri, 2012.
81
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
Per caporalato in senso tecnico-giuridico si intende l’intermediazione illecita nel lavoro
(art. 603-bis c.p.).
Si tratta, com’è noto, di un fenomeno sociale molto diffuso, soprattutto al sud ed in
Puglia, in particolar modo nei settori dell’agricoltura e dell’edilizia. Esso, tuttavia, non
esaurisce le nuove forme di sfruttamento lavorativo, ma ne rappresenta solo un aspetto
specifico, in alcuni casi anche marginale, sempre particolarmente grave. Il caporalato è
infatti parte di un modello sociale che può considerarsi vasto, complesso e trasversale,
non circoscrivibile dentro categorie sociologiche rigide ma necessariamente aperte, in
grado di aggiornarsi all’evolversi del fenomeno e al suo strutturarsi localmente e
globalmente, che può prevedere la partecipazione di diversi soggetti, con funzioni
correlate tra loro. A questo modello “liquido” e resistente di impresa non importa il
colore della pelle del lavoratore, i suoi tratti estetici e etici o la sua condizione giuridica,
quanto, invece, la sua fragilità sociale, la sua vulnerabilità e ricattabilità, tanto da
sfociare talvolta in forme contemporanee - e a volte anche antiche - di riduzione in
servitù e schiavitù. Tuttavia, costituisce dato socialmente acquisito che sono soprattutto
i lavoratori stranieri provenienti dal sud del mondo, siccome più vulnerabili e ricattabili,
ad alimentare e fortificare il fenomeno.
Preliminare ad una sua compiuta comprensione è l’indicazione di alcune nozioni,
derivanti dal suo concreto atteggiarsi e rinvenibili nelle varie vicende processuali che,
sempre più frequentemente, sono portate all’attenzione dei giudici.
In particolare:
a)
“caporale” o anche “caponero”: è colui che recluta i lavoratori, organizza le
squadre e dispone il trasporto;
b)
“tassista”: è colui che gestisce la fase del trasporto dal luogo di reclutamento al
campo di lavoro e viceversa;
c)
“venditore” o “ristoratore”: è colui che organizza la vendita di generi alimentari,
di solito a prezzi superiori a quelli ordinari;
d)
“aguzzino”: è colui che adopera violenze nei confronti dei lavoratori riottosi o
fastidiosi;
82
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
e)
“Caporale amministratore delegato” : è l’uomo di fiducia del datore di lavoro,
che coordina l’opera degli altri caporali e pianifica il lavoro (in taluni casi si tratta di
vere e proprie agenzie di lavoro interinale ed allora si parla anche di “caporalato
collettivo”).
Tutte, o anche solo alcune, di tali connotazioni possono coesistere in un unico soggetto
(nel senso che uno può essere caporale, fare il tassista, coordinare altri caporali, ecc.).
Come detto, si tratta di un fenomeno piuttosto diffuso ed in espansione, soprattutto (ma
non solo) al sud, in taluni casi gestito anche da associazioni mafiose e che produce
effetti devastanti sull’economia (si pensi, rispetto all’agricoltura, alla alterazione degli
equilibri economici dell’intera filiera alimentare) e, soprattutto, sui lavoratori, i quali
percepiscono il ruolo del mediatore non in modo traumatico, ma, paradossalmente, in
un’ottica di interazione amicale.
Esso produce infatti:
Una distorta percezione della realtà quanto alla forza lavoro, la quale è portata a
ravvisare nella mediazione illecita un ruolo di aiuto sociale, considerata la sola che
consenta di lavorare;
Turni massacranti di lavoro, sempre superiori alle 10 ore, non di rado di 14-16
ore, in condizioni estremamente difficili (sotto il sole cocente o la pioggia battente,
senza pause o con pause estremamente ridotte, senza mezzi o possibilità di ristoro);
Frequentemente, la sottrazione di documenti di identità, che pongono i lavoratori
stranieri in condizione di estrema difficoltà ed ulteriore vulnerabilità, vero e proprio
ostaggio dei caporali. Da qui la loro necessità di fornire, talvolta, false generalità,
ovvero di fuggire in caso di controlli. Spesso i documenti vengono trattenuti dai
caporali per periodi di tempi più o meno lunghi, per essere forniti a lavoratori
clandestini, al fine di parare eventuali controlli (cambiando la foto, se c’è, ovvero
approfittando del fatto che trattandosi di stranieri, non sempre è facile distinguerli);
In caso di ribellione dei lavoratori (anche solo per far valere i propri diritti), di
regola è prevista l’esclusione (anche temporanea) del lavoratore dal lavoro;
Vengono corrisposti salari estremamente bassi, in gran parte erosi dai “servizi”
erogati (obbligatoriamente) dagli stessi caporali;
83
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
È frequente l’impiego di forme minatorie e violente per imporre paura ed
ottenere sottomissione.
Dal punto di vista normativo, il caporalato è stato oggetto, nel corso degli anni, di
numerosi interventi legislativi, sino all’attuale formulazione dell’art. 603-bis c.p., a
riprova dell’importanza che ad esso ha inteso riconnettervi il Legislatore.
Va detto che l’intermediazione di manodopera è stata, di regola, guardata con sfavore.
Difatti, inizialmente era previsto il monopolio pubblico della genesi del rapporto di
lavoro (con gli uffici comunali di collocamento), mentre l’intermediazione di
manodopera era considerata reato contravvenzionale (art. 27 L. 264/49; artt. 1 e 2 L. n.
1369/60). E tale è rimasta anche a seguito, nel 1997, dell’introduzione nel nostro
Ordinamento del lavoro interinale (legge n. 196) e la susseguente apertura al mercato
del lavoro (c.d. Legge Biagi: n. 276/03). L’art. 18 di tale legge prevedeva, infatti, come
reato contravvenzionale la «mediazione e somministrazione di lavoro senza
autorizzazione» (art. 18 L. 276/03), considerato dalla Corte Costituzionale come l’erede
dei reati previsti negli anni 50-60. Ad onta di ciò, tuttavia, tali disposizioni si sono
sempre connotate per la loro scarsa efficacia deterrente, soprattutto in tempi più recenti,
attesa la loro assoluta inadeguatezza a fronteggiare lo sfruttamento lavorativo degli
stranieri, quasi sempre correlato al triste fenomeno della “tratta” dei migranti. Proprio
per questo, per la sua sostanziale inutilità, il reato in parola è stato recentemente
depenalizzato (D. L.vo n. 8/16), anche a seguito dell’entrata in vigore di nuove norme
incriminatrici.
L’inadeguatezza di tale figura di reato contravvenzionale, soprattutto a fronte di gravi
forme di sfruttamento del lavoro, manifestatesi sul nostro territorio anche grazie ai
fenomeni di immigrazione massiva dai Paesi dell’Est Europa, dal Maghreb e dall’Africa
sub-sahariana, ha correlativamente spinto il Legislatore ad intervenire su altri fronti,
reputati evidentemente più idonei per fronteggiare il fenomeno: così, anche grazie alla
spinta di nuove normative internazionali, con la legge n. 228/03 è stato è stato
riformulato l’art. 600 c.p., con una nuova definizione del reato di riduzione in schiavitù,
mentre con il D.L. n. 13.8.11, n. 138, in vigore da tale data e poi convertito nella legge
n. 148/11, è stato introdotto il reato di cui all’art. 603-bis c.p. («Intermediazione illecita
84
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
e sfruttamento del lavoro»). Scopo di tale ultima disposizione è stato – ed è - quello di
punire tutte quelle condotte gravemente distorsive del mercato del lavoro, caratterizzate
da violenza, minaccia, intimidazione, profittamento dello stato di bisogno o di necessità
del lavoratore, che, da un lato, non si risolvano nella mera violazione delle regole poste
dalla Legge Biagi e, dall’altro, non integrino il più grave reato di riduzione in schiavitù
(«Salvo che il fatto costituisca più grave reato…»).
Degno di nota è il fatto che tale nuova figura di reato sia stata introdotta con Decretolegge, ossia con uno strumento normativo che presuppone necessità ed urgenza, a
riprova della gravità del fenomeno e della volontà del Legislatore di porre riparo ad una
situazione reputata ormai insostenibile (peraltro proprio sulla spinta di alcuni episodi
clamorosi, come la protesta dei lavoratori extra-comunitari di Nardò che ha costituito
oggetto del processo penale innanzi alla Corte d’Assise di Lecce, da cui è stata tratta la
testimonianza sopra riportata).
La condotta tipica di tale nuova forma di reato è quella di chi svolge «un’attività
organizzata di intermediazione», reclutando manodopera per il lavoro, caratterizzata da
“sfruttamento”, mediante «violenza, minaccia o intimidazione, o approfittando dello
stato di bisogno o di necessità dei lavoratori», secondo alcuni “indici” contenuti nella
stessa norma:
a)
Sistematica retribuzione dei lavoratori in modo palesemente difforme dai
contratti collettivi di lavoro;
b)
Sistematica violazione dell’orario di lavoro, riposo settimanale, ferie, ecc;
c)
Violazioni in materia di sicurezza e igiene del lavoro, tali da esporre a pericolo
la salute del lavoratore;
d)
Sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, sorveglianza, situazioni
alloggiative particolarmente degradanti.
La fattispecie è aggravata se i lavoratori reclutati sono più di tre, se ci sono minori,
ovvero se i lavoratori intermediati sono esposti a grave pericolo.
Va detto subito, però, che tale novità legislativa non ha sortito l’effetto sperato – ossia
quello di eliminare o, quanto meno, ridimensionare il fenomeno del caporalato - come è
85
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
attestato dal fatto che in giurisprudenza si rinviene una sola sentenza della Cassazione
(Cass. 27.3.14, n. 14591).
Il principale difetto di tale normativa, almeno a stare agli studiosi che si sono occupato
del problema, stava nel fatto che:
a)
Essa non prevedeva alcuna responsabilità per il datore di lavoro che, pure, è il
vero beneficiario del “caporalato”;
b)
Esisteva già nel nostro tessuto normativo, una disposizione - l’art. 22, comma
12-bis D. L.vo 286/98 - che prevedeva come aggravanti le condotte tipizzate dall’art.
603-bis, pur se riferibile solo agli stranieri (onde, secondo qualcuno, si poteva porre un
problema di costituzionalità);
c)
Non risultavano, comunque, sufficientemente delineate le condotte incriminate,
quanto a: il concetto di sfruttamento (se mera eventualità del reato o elemento
essenziale); il contenuto della violenza, minaccia o intimidazione (se le stesse dovessero
correlarsi alle caratteristiche dello sfruttamento del lavoratore o, invece, o all’attività di
intermediazione del caporale).
Da qui la necessità, da più parti reclamata, di una rivisitazione della norma, la quale è
intervenuta con l’entrata in vigore (dal 4.11.16) della legge n. 199/16.
Per effetto della modifica, oggi il reato:
Consiste nel fatto di chi «recluta manodopera allo scopo di destinarla presso
terzi in condizioni di sfruttamento ed approfittando dello stato di bisogno» (dunque
viene meno il requisito della violenza, minaccia o intimidazione, correlate allo
sfruttamento);
è addebitabile, oltre che al caporale (che recluta), anche a chi «utilizza, assume o
impiega» manodopera grazie all’opera di illecita intermediazione (ossia al datore di
lavoro);
È aggravato da “violenza o minaccia” (che sono, dunque, trasformate in
circostanze aggravanti), con pena da 5 a 8 anni e multa da 1.000 a 2.000 euro per
ciascun lavoratore reclutato.
Per effetto di tale innovazione normativa la condotta tipica del reato ex art. 603-bis non
richiede più, quale elemento costitutivo, che il fatto sia compiuto con la «violenza,
86
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
minaccia o intimidazione», le quali si atteggiano oggi come circostanze aggravanti e
comportano un aumento di pena.
Tali circostanze, tuttavia, oltre che aggravare il delitto di cui all’art. 603-bis c.p.,
possono essere la cartina di tornasole di una soggezione continuativa, correlata ad una
condizione di vulnerabilità della vittima, che vale ad integrare il più grave reato di
riduzione in schiavitù. In altri termini, oggi, per effetto della ricordata innovazione
normativa, le nozioni – e le differenze - dei due reati paiono meglio definite, tanto più
che anche gli indici di sfruttamento - che hanno comunque valore esplicativo e non
tassativo – sono meglio esplicitati.
Ulteriori caratteristiche della nuova forma di reato sono:
1)
Il fatto che, quanto alla violazione della normativa in materia di sicurezza sul
lavoro (art 603-bis, comma 3° n. 3) non sia più prevista l’esposizione a pericolo per la
salute del lavoratore;
2)
La eliminazione, dal n. 4 dello stesso comma, dell’avverbio particolarmente
rispetto a «situazioni alloggiative … degradanti».
Da ultimo è giuridicamente configurabile il tentativo e il dolo del reato è specifico (in
quanto la condotta del soggetto agente è tesa al raggiungimento di uno scopo che va al
di là del fatto materiale tipico). I reati di violenza privata e minaccia debbono
considerarsi assorbiti nella fattispecie aggravata, mentre quelli di lesioni personali e
violenza sessuale (spesso presenti) concorrono.
Si è detto in precedenza che il reato di «intermediazione illecita e sfruttamento del
lavoro» è alternativo («salvo che il fatto non costituisce più grave reato») a quello di
riduzione in schiavitù (art. 600 c.p.), per cui è necessario delineare l’esatta linea di
demarcazione fra le due fattispecie, posto che entrambe le disposizioni in
considerazione prevedono sostanzialmente gravi condotte costrittive legate al lavoro.
L’art. 600 rimanda, già dalla rubrica, al concetto di “schiavitù” o “servitù”. Anch’esso,
come già evidenziato, è stato oggetto di importanti modifiche normative.
Difatti, il testo previgente alle modifiche apportate nel 2003 testualmente disponeva:
«Chiunque riduce una persona in schiavitù o in una condizione analoga alla schiavitù,
è punito ecc.». La norma, nell’originaria formulazione, in un certo senso tautologica,
87
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
rimandava ad un sistema di fonti internazionali relative al concetto di “schiavitù”. In
particolare, l’art. 1 della Convenzione di Ginevra del 7.9.56 (ratificata con Legge
20.12.57, n. 1304), definiva le “condizioni analoghe alla schiavitù”, evidenziando non
solo delle condizioni di diritto (di cui alla Convenzione di Ginevra 25.9.1926, sulla
abolizione della schiavitù, approvata con R.D. 26.4.1928, n. 1723), ma “analoghe”
situazioni di fatto. Quanto al concetto giuridico di “schiavitù”, era quello definito,
appunto, dalla prima Convenzione di Ginevra 1926. Un coacervo normativo, quello
sulla schiavitù, che si rivelava lacunoso per l’interprete, soprattutto quando si dovevano
enucleare le condizioni “analoghe” alla schiavitù. Si oscillava, infatti, fra due indirizzi
giurisprudenziali:
-
uno, piuttosto estensivo, che consentiva di abbracciare qualsiasi condizione di
fatto in cui si ravvisasse una riduzione della vittima nella condizione materiale della
schiavitù;
-
un altro molto più rigoroso, che restringeva l’operatività della fattispecie alle
sole situazioni di diritto individuate dalla Convenzione del 1926.
La questione fu portata all’esame delle Sezioni Unite della Cassazione (Sentenza
20.11.96, n. 261), la quale optò per la concezione più estensiva, specificando che per
“condizione analoga alla schiavitù” doveva intendersi «qualunque situazione di fatto in
cui la condotta dell’agente avesse per effetto la riduzione della persona offesa nella
condizione materiale dello schiavo», e cioè nella condizione di «soggezione esclusiva
ad un altrui potere di disposizione, analogo a quello che viene riconosciuto al padrone
sullo schiavo negli ordinamenti in cui la schiavitù era ammessa».
La Cassazione precisò anche che le condizioni analoghe alla schiavitù contenute nella
Convenzione di Ginevra dovevano considerarsi meramente esemplificative.
Le sentenze successive della Cassazione di adeguarono a tale indirizzo.
Tuttavia la situazione era destinata a mutare rapidamente, soprattutto per impulso delle
fonti sovranazionali.
L’Unione Europea, infatti, approvò nel 1997 il Protocollo contro il traffico dei migranti
e nel 2002 la decisione quadro 2002/629/GAI (19 luglio), con cui si prescriveva agli
Stati membri di incriminare penalmente la tratta di migranti a fini di sfruttamento di
88
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
manodopera o di sfruttamento sessuale. Peraltro, nel 2000, su input delle Nazioni Unite,
erano stati approvati i Protocolli aggiuntivi alla Convenzione di Ginevra, al fine di
prevenire e punire la «tratta di persone, specialmente donne e bambini», nonché «il
traffico di migranti per terra, aria, mare». Da tutto ciò è derivata la necessità di una
ridefinizione delle fattispecie penali del nostro codice, che fosse coerente con le Fonti
internazionali. Tale ridefinizione è intervenuta con la legge n. 228/03, che ha
riformulato l’art. 600 c.p., ponendosi, tuttavia, e in regime di continuità normativa col
precedente dettato normativo.
Il testo della nuova disposizione è, sostanzialmente, quello oggi in vigore, e punisce il
fatto di chi eserciti «su una persona poteri corrispondenti a quelli del diritto di
proprietà» ovvero riduca o mantenga «una persona in stato di soggezione continuativa,
costringendola a prestazioni lavorative o sessuali ovvero all’accattonaggio o comunque
a prestazioni che ne comportino lo sfruttamento»; nel secondo comma si precisa che «la
riduzione o il mantenimento nello stato di soggezione ha luogo quando la condotta è
attuata mediante violenza, minaccia, inganno, abuso di autorità o approfittamento di
una situazione di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità, o
mediante la promessa o la dazione di somme di denaro o altri vantaggi a chi ha
l’autorità sulla persona». La disposizione è stata rimaneggiata nel 2014 (D. L.vo n. 24)
con l’aggiunta della fattispecie relativa al prelievo di organi e ad altre attività illecite
specificamente individuate dal nuovo testo di legge (1° comma), nonché, al 2° comma,
dopo la frase “approfittamento di una situazione”, delle parole “di vulnerabilità”.
Queste ultime modifiche, almeno formalmente, dovrebbero operare per i fatti successivi
alla legge di modifica, ma di fatto, quanto meno con riferimento alla “situazione di
vulnerabilità” un vero e proprio problema di applicazione della legge più favorevole non
si pone, giacché secondo la giurisprudenza, anche prima della modifica della norma, la
riduzione in schiavitù era da rinvenirsi nell’approfittamento di situazioni di vulnerabilità
del lavoratore.
Il delitto, così come oggi è configurato, individua una fattispecie multipla, a forma
libera, che comporta:
89
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
l’esercizio su di una persona di poteri di signoria corrispondenti al diritto di
proprietà, in modo che la persona sia più o meno ridotta ad una res, oggetto di scambio
commerciale (es. le ragazze dell’est portate in Italia per essere destinate alla
prostituzione ed oggetto di ripetuti cambi di “padrone”);
la riduzione o il mantenimento di una persona in stato di soggezione
continuativa, finalizzata al suo sfruttamento, con differenti modalità.
Integrate tali situazioni, nessuna rilevanza ha il consenso della parte, i cui processi
volitivi si intendono assolutamente alterati.
Ovviamente – e parallelamente - anche la giurisprudenza della Cassazione si è evoluta,
rispetto alle SS. UU. del ’96.
Secondo la Suprema Corte, lo stato di “soggezione continuativa” di cui all’art. 600 c.p.
va rapportato al vulnus arrecato all’altrui libertà di autodeterminazione, nel senso che
«esso non può essere escluso qualora si verifichi una qualche limitata forma di
autonomia della vittima» (Cass. 25408/13). La questione si pone – ed è particolarmente
delicata – nei riguardi degli immigrati, essendosi affermato che «integra il delitto di
riduzione in schiavitù, mediante approfittamento dello stato di necessità altrui, la
condotta di chi approfitta della mancanza di alternative esistenziali di un immigrato da
un Paese povero, imponendogli condizioni di vita abnormi e sfruttandone le prestazioni
lavorative, al fine di conseguire il saldo del debito da questi contratto con chi ne ha
agevolato l’immigrazione clandestina» (Cass. n. 46128/08).
Con riferimento, poi, allo “stato di necessità”, Cass. 17.6.16, n. 1884 ha ritenuto che più
correttamente di deve parlare di “situazione di necessità”, la quale va delineata non già
con riferimento all’esimente di cui all’art 54 c.p., «quanto piuttosto alla nozione di
bisogno enunciata dall’art. 644, comma 5° n.3 c.p. in tema di usura e nell’art. 1448 c.d.
in tema di rescissione del contratto» (Art. 1448 c.c.: «Se vi è sproporzione tra la
prestazione di una parte e quella dell’altra, e la sproporzione è dipesa dallo stato di
bisogno di una parte, del quale l’altra ha approfittato per trarne vantaggio, la parte
danneggiata può domandare la rescissione del contratto»: deve trattarsi di lesione ultra
dimidium e non deve riguardare i contratti aleatori).
90
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
In altri termini, quello che si richiede per la sussistenza della riduzione in schiavitù, è
una «situazione di debolezza o di mancanza materiale o morale del soggetto passivo,
adatta a condizionarne la volontà personale, in accordo con quanto disposto nella
decisione-quadro UE 2002/629/GAI sulla lotta alla tratta degli essere umani (di cui la
legge n. 228/03 è attuazione), laddove intende tutelare le posizioni di vulnerabilità;
nozione, quest’ultima, che deve essere tenuta ben presente al fine di interpretare l’art.
600 c.p. », costituendo essa una condizione capace di compromettere «radicalmente la
libertà di scelta della vittima, che non ha altra scelta se non quella di sottostare
all’abuso» (Cass. n. 31647/16 cit.).
A proposito, poi, della continuatività della soggezione, la Cassazione ha osservato come
tale requisito debba essere inteso o in senso cronologico di durata prolungata nel tempo,
ovvero nel senso di una “certa permanenza”, con esclusione, quindi, di quelle condotte
che si esauriscano in brevissimo tempo e non siano idonee a determinare “dipendenza”.
Da ultimo, secondo Cass. n. 40045/10 (Murmylo ed altri) è ravvisabile la situazione di
“soggezione” integrante il delitto di cui all’art. 600 c.p., allorquando le vittime (in via di
esempio):
a)
siano private dei passaporti o dei documenti;
b)
siano collocate in luoghi isolati privi di relazioni esterne;
c)
abbiano retribuzioni nettamente inferiori alle promesse e, comunque, alla
normativa contrattuale;
d)
subiscano contestualmente sacrifici di esigenze primarie;
e)
vivano in luoghi fatiscenti, in assenza di servizi igienici;
f)
subiscano privazioni alimentari e siano impossibilitate di spostarsi liberamente
sul territorio, costrette a raggiungere i luoghi di lavoro solo su mezzi di trasporto nella
disponibilità dell’autore del reato;
g)
siano incapaci comunque di sottrarsi allo sfruttamento e siano, anche, oggetto di
violenze o minacce.
Nello specifico, la Cassazione ha ritenuto sussistente il reato nel caso di un uomo
«alloggiato in un ricovero per gli animali, non avendo la possibilità di scegliere altre
sistemazioni abitative anche a causa delle sue condizioni di persona straniera, da pochi
91
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
mesi in Italia, senza denaro né conoscenze, con scarsa o nulla consapevolezza della
propria situazione o dei propri diritti. Pur se egli aveva mantenuto in termini astratti la
possibilità di allontanarsi dalla situazione sgradita – si legge nella sentenza - ciò non
significa che egli avesse alternative realisticamente individuabili e compatibili con le
circostanze contingenti esistenti in quel contesto territoriale e temporale». Ne viene –
secondo la S.C. – che tale lavoratore «non si determinò liberamente a svolgere
un’attività lavorativa gravosa, sottopagata e in condizioni disagiate, ma lo fece in
quanto condizionato dall’assenza di alternative praticabili, in quel periodo, in quel
contesto locale e temporale e in ragione delle proprie condizioni personali».
Ancora più recentemente la Cassazione, sulla scia di un ormai consolidato indirizzo
nomofilattico, ha ribadito che per la sussistenza del reato de quo «non è necessaria
un’integrale privazione della libertà personale, ma è sufficiente una significativa
compromissione della capacità di autodeterminazione della persona offesa, idonea a
configurare lo stato di soggezione rilevante ai fini dell’integrazione della norma
incriminatrice», stato di soggezione che «deve essere rapportato all’intensità del vulnus
arrecato all’altrui libertà di autodeterminazione», dovendosi ritenere “irrilevante” che
le vittime conservino la possibilità di compiere singoli atti in autonomia, quale quello di
allontanarsi temporaneamente dall’organizzazione, posto che ciò che rileva sotto tale
profilo è «la condizione di coartazione psicologica continuativa» in cui le vittime si
vengano a trovare per effetto della condotta posta in essere dal soggetto agente (Cass.
16.5.17, n. 42751).
Alla stregua di tali considerazioni, la differenza fra il reato di cui all’art. 603-bis e
quello di riduzione in schiavitù (art. 600 c.p.) sta, fondamentalmente, nella maggior
gravità di quest’ultimo, connotato da una più estesa privazione della libertà di
autodeterminazione (nel senso sopra specificato) e nel fatto che la riduzione in schiavitù
si attaglia alle condizioni di lavoro ma non si esaurisce con quelle (si pensi, per
esempio, al fenomeno delle schiave-prostitute).
In altri termini le due fattispecie si atteggiano, in un certo senso, come due cerchi
concentrici: più grande quello dell’art. 603-bis, più piccolo quello di cui all’art. 600 c.p.,
92
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
nel senso che tutto ciò che è caporalato non è necessariamente schiavitù, ma ciò che è
schiavitù è, ancora prima, caporalato.
Peraltro, proprio per effetto di tali differenze, è da escludere che l’entrata in vigore della
più mite normativa di cui all’art 603-bis c.p. possa costituire un ostacolo
all’applicazione della più severe fattispecie della riduzione in schiavitù (o servitù), pur
se
appare
«pessimisticamente
ipotizzabile
un’interpretazione
economicamente
realistica, basata sul tacito riconoscimento dello stato di necessità, in cui opera
l’agricoltura italiana nell’arretrata economia meridionale, sotto la pressione della
concorrenza internazionale»14. Un tale orientamento, tuttavia, pare insostenibile alla
luce della consolidata giurisprudenza della Suprema Corte, «secondo cui il delitto di
riduzione in schiavitù è inequivocabilmente identificabile in virtù dello specializzante
evento costituito dal permanente stato di soggezione continuativa, che è a monte del
perenne sfruttamento della vittima. … Grazie anche alla Sentenza della Corte d’Assise
di Lecce [si può] giungere ad una precisa consapevolezza: è ancora in vigore un
ordinamento legislativo – fondato su un superiore ordinamento costituzionale e su un
alternativo ordinamento economico. che riconosce a tutti il diritto di vivere e lavorare in
maniera libera, dignitosa, sicura»15.
Le ricordate innovazioni legislative ed una maggiore consapevolezza della Magistratura
italiana circa la gravità e pervasività dei fenomeni ora descritti fanno, dunque,
ragionevolmente ritenere che essi possano finalmente essere adeguatamente fronteggiati
e ridimensionati, pur se molto può ancora essere fatto. E non solo dai magistrati, ma da
tutti i cittadini. Perché questi fenomeni sono anche un fatto culturale e risentono anche
delle speculazioni e delle storture tipiche indotte dal populismo (anche giuridico) e dal
sovranismo. Si pensi, solo per un attimo, a quello che fu l’atteggiamento degli italiani,
e, segnatamente, dei salentini quando in Italia, particolarmente nella Provincia dei
Lecce, cominciarono i flussi degli albanesi e a qual è l’atteggiamento odierno rispetto ai
migranti africani. Allora il Salento fu ospitale, tanto che qualcuno lo propose per il
14
A. BEVERE, Nota alla sentenza 13.7.17 della Corte d’Assise di Lecce, cit.. in «Critica del Diritto»,
E.S.I., Napoli
15
Ibidem.
93
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
Nobel per la pace. Oggi non è più così. Certo, c’è la crisi. Certo, manca il lavoro. Ma
credo sia indubitabile se non una maggior cattiveria, una più avvertita ostilità. Allora,
forse, occorre tornare a “vedere” l’altro non come una persona ostile ma come un ospite
che ha “diritto di avere diritti” (per citare una frase di Stefano Rodotà mutuata da
Hannah Arendt). Occorre guardare all’altro, anche straniero, non solo come individuo,
ma come persona (il richiamo a Mounier e a Maritain è d’obbligo), perché solo così è
possibile avere consapevolezza dei problemi che affliggono la società in cui viviamo e
di come affrontarli. La politica italiana, come quella europea, in materia di
immigrazione debbono mutare (la mancata approvazione della legge sullo jus soli è
stata un’occasione persa), anche dal punto di vista securitario, perché una maggiore
integrazione, con una più significativa presa di coscienza culturale da parte di chi viene
a vivere in Italia, vale a ridurre e a contenere i fenomeni violenti molto di più
dell’abnorme aumento delle sanzioni contenuto in recenti provvedimenti legislativi. Poi,
forse, una pre-condizione per provare a governare il fenomeno migratorio è quella di
por termine alle guerre e ai focolai di guerra che allignano in paesi come l’Iraq, la Siria,
la Libia, ecc. Ovviamente non è pensabile una soluzione che contempli un intervento
militare europeo o della NATO, che finirebbe, invece, con l’inasprire una situazione già
difficile (Libia docet). Occorre, al contrario, dare luogo a forti investimenti in aiuti
umanitari e programmi per il rafforzamento dello stato di diritto, magari sotto l’egida
dell’ONU, anche se tutto ciò è più facile a dirsi che a farsi.
Occorre – io credo – adottare, almeno a livello europeo, una politica comune per il
diritto d’asilo, evitando di lasciare isolati Stati come l’Italia o la Grecia. La frontiera del
Mar Mediterraneo non è dell’Italia o della Grecia ma è la frontiera dell’Europa!
Il motto dell’Unione Europea recita: “Uniti nella diversità”. L’impressione, purtroppo, è
che, almeno fino ad oggi, gli europei siano stati sempre più diversi e sempre meno uniti.
E ancor meno solidali! L’auspicio è che qualcosa, finalmente, possa cambiare.
94
GIUSEPPE GIOFFREDI
Immigrazione, diritto d’asilo e ruolo dell’UNHCR.
Scritto in ricordo del seminario leccese di Pedro Felipe Camargo.*
Abstracts Il fenomeno migratorio ha ormai assunto una configurazione permanente, trasformandosi in
realtà strutturale della società contemporanea. Le analisi delle cause del fenomeno migratorio concordano
nell’affermare che i fattori espulsivi dei Paesi di esodo e i fattori attrattivi dei Paesi di arrivo non
cesseranno nel breve periodo, sicché si tratta di un fenomeno con il quale il mondo è destinato a
confrontarsi ancor di più nei prossimi anni. Per tali motivi ci si propone di effettuare una disamina delle
questioni più rilevanti concernenti la materia in esame, che comunque è molto ampia e in continua
evoluzione. Attenzione particolare sarà poi dedicata al ruolo dell’UNHCR dato il suo ruolo peculiare per
la protezione dei rifugiati.
Keywords: immigrazione, asilo, rifugiati, Convenzione di Ginevra, UNHCR
Introduzione.
Uno dei fenomeni più complessi da governare nel mondo contemporaneo è senza
dubbio quello dell’immigrazione. Per immigrazione si intende l’ingresso e la
permanenza in un luogo, con carattere temporaneo (i. temporanea) o definitivo (i.
definitiva), di persone provenienti dall’estero (i. esterna o interstatale) o da altre zone
del territorio nazionale (i. interna). Rispetto all’emigrazione essa indica l’arrivo nel
Paese straniero, anziché la partenza dal proprio. I termini correlativi di immigrazione ed
emigrazione, dunque, rappresentano i due momenti, positivo (con riferimento al Paese
di arrivo) e negativo (con riferimento al Paese di partenza), del fenomeno migratorio. 1
* A Pedro Felipe Camargo, Direttore dell’Ufficio del Sud Europa dell’UNHCR, con un sentito
ringraziamento per le preziose sollecitazioni e per l’entusiasmo profuso in ogni sua iniziativa. Si
ringrazia vivamente anche Silvio Spiri, Presidente del Centro culturale San Martino, per aver
brillantemente ideato e realizzato tale raccolta di scritti.
1
Secondo la definizione generalmente accettata, il migrante è colui che risiede per più di un anno in
un Paese diverso da quello in cui normalmente sta, generalmente alla ricerca di un lavoro o di una vita
migliore. Migranti sono anche gli stranieri che per ragioni di sicurezza personale chiedono “asilo” ad uno
Stato (cioè chiedono di entrare e soggiornare in un territorio straniero in cui trovano protezione), così
come lo sono i “rifugiati”, cioè coloro che, «temendo a ragione di essere perseguitati per motivi di razza,
religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le loro opinioni politiche, si
trovano al di fuori del Paese di cui sono cittadini e non possono o, a causa di questo timore, non vogliono
avvalersi della protezione di questo Paese» (art. 1 Convenzione relativa allo status dei rifugiati del 28
luglio 1951). Il “diritto d’asilo” è il diritto concesso a uno straniero di trovare rifugio nel territorio (a.
territoriale) o presso una rappresentanza diplomatica (a. diplomatico) di uno Stato terzo, qualora sia
perseguitato o subisca discriminazioni per motivi politici, religiosi, razziali. Secondo l’art. 10, comma 3°,
della nostra Carta costituzionale, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica «[l]o straniero al quale
sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione
95
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
Questo è un fenomeno con il quale il mondo si è confrontato in passato ed è destinato a
confrontarsi ancor di più nei prossimi anni a causa dei processi di globalizzazione in
atto e degli effetti che questi processi – in presenza di persistenti squilibri demografici,
economici e sociali tra le varie aree del pianeta – determinano sulla circolazione delle
persone.2 Negli ultimi decenni, infatti, esso ha assunto sempre di più una configurazione
permanente, trasformandosi in realtà strutturale della società contemporanea. I flussi
migratori, dunque, rappresentano un fenomeno ormai irreversibile, destinato ad una
maggiore rilevanza nei prossimi anni e non più pensabile e sostenibile soltanto in
termini di emergenza.
Le analisi delle cause del fenomeno migratorio concordano nell’affermare che,
poiché i fattori espulsivi (push factors) dei Paesi di esodo (conflitti armati, dittature,
violazione dei diritti umani, degrado dell’ambiente e disastri naturali, sottosviluppo
economico, incremento demografico, disoccupazione, diffusione dei modelli di vita
occidentali, ecc.) e i fattori attrattivi (pull factors) dei Paesi di arrivo (migliori
possibilità economiche, richiesta di manodopera, ricongiungimento familiare, occasioni
di studio o di formazione, ecc.) non cesseranno nel breve periodo, è molto probabile che
l’immigrazione straniera sia destinata a crescere ulteriormente.
Il riferimento, pur sintetico, alle cause delle spinte migratorie costituisce un
indispensabile punto di partenza per la comprensione del fenomeno e dei problemi posti
da un’immigrazione sempre più massiccia ed incontrollata. Come si è prima osservato,
le odierne migrazioni internazionali sono determinate da diversi fattori che hanno
favorito ingenti spostamenti di persone: la globalizzazione, l’esplosione demografica nei
italiana». Il termine “rifugiato” non coincide con quello del richiedente asilo: un individuo può ricevere
asilo territoriale senza perciò rivestire la condizione di rifugiato. L’asilo attiene semplicemente ai profili
dell’ammissione sul territorio statale del perseguitato, generalmente politico; lo status di rifugiato, invece,
determina una più ben precisa e definita condizione giuridica.
2
Sul fenomeno della globalizzazione v.: A. BALDASSARRE, Globalizzazione contro democrazia,
Roma-Bari, Laterza, 2002; F. BONAGLIA, A. GOLDSTEIN, Globalizzazione e sviluppo: due concetti
inconciliabili? quattro luoghi comuni da sfatare, Bologna, Il Mulino, 2003; M.R. FERRARESE, Il diritto al
presente: globalizzazione e tempo delle istituzioni, Bologna, il Mulino, 2002; M.R. FERRARESE, Diritto
sconfinato: inventiva giuridica e spazi nel mondo globale, Roma-Bari, Laterza, 2006; D. HELD,
Governare la globalizzazione. Un'alternativa democratica al mondo unipolare, Bologna, Il Mulino, 2005;
E. RESTA, Il diritto fraterno, Bari-Roma, Laterza, 2005.
96
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
Paesi in via di sviluppo, l’aumento delle disuguaglianze tra Nord e Sud del mondo. Ma
esse affondano le proprie radici anche nel nazionalismo esasperato, nell’emarginazione
sistematica e a volte violenta delle minoranze etniche o dei credenti di religioni non
maggioritarie, nelle guerre civili che insanguinano molte aree del pianeta. Tutte queste
realtà continueranno a costituire, anche negli anni a venire, altrettanti fattori di spinta e
di espansione – secondo una combinazione ogni volta differente – dei flussi migratori,
anche se l’irrompere sulla scena internazionale del terrorismo ha provocato ed ancora
provocherà, per ragioni di sicurezza, reazioni al movimento dei migranti.
2. Il quadro normativo internazionale.
Nell’àmbito del quadro giuridico internazionale, occorre preliminarmente osservare che
la regolamentazione derivante dal diritto internazionale generale si rivela insufficiente a
governare un fenomeno così complesso e articolato come quello migratorio. Il diritto
internazionale generale, infatti, non prevede alcun limite in ordine all’ammissione e
all’espulsione degli stranieri da parte degli Stati. Si tratta di un aspetto essenziale della
norma consuetudinaria sulla sovranità territoriale, la quale attribuisce a ogni Stato il
diritto di esercitare il potere di governo sulla sua comunità territoriale in modo libero ed
esclusivo.3
Anche la regolamentazione relativa al soggiorno non è soggetta a norme di
diritto internazionale generale: ogni Stato è libero di stabilire le condizioni per il
soggiorno degli immigrati.4 Parimenti, nessun limite specifico derivante dal diritto
internazionale consuetudinario è posto alla libertà dello Stato in materia di espulsione
dello straniero (salvo il principio del non refoulement dei rifugiati di cui all’art. 32
Convenzione relativa allo status dei rifugiati del 1951). In tale caso, tuttavia, lo Stato ha
una serie di obblighi di carattere sia sostanziale (obblighi relativi alla protezione e alla
3
Da tale norma, in subiecta materia, discende la piena libertà di ogni Stato di determinare la propria
politica nel campo dell’immigrazione, stabilendo le condizioni per l’ammissione dello straniero nel
proprio territorio.
4
Ad es. vietando di risiedere in determinati luoghi o sottoponendo a limitazioni la possibilità di
svolgere determinate attività lavorative.
97
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
sicurezza della vita e della libertà personale dello straniero) sia giurisdizionale (obblighi
relativi alle elementari garanzie di giustizia).5
Lo Stato, come evidenziato, nel decidere in merito all’ammissione dello
straniero nel proprio territorio e al suo soggiorno, opera una scelta discrezionale che
rientra nell’esercizio della sua sovranità. Tuttavia, una volta ammesso nel territorio, allo
straniero devono essere riconosciuti una serie di diritti. In base al diritto internazionale
consuetudinario, la sfera oggetto di specifica tutela è rappresentata, in generale, dal
riconoscimento della capacità giuridica e di agire dello straniero, dalla non esclusione
dello stesso dalle garanzie giurisdizionali, dalla tutela nei suoi confronti dei diritti
fondamentali in materia penale, dalla protezione della sua persona e dei suoi beni contro
atti lesivi.6 D’altro canto, lo straniero ammesso nel territorio si impegna a rispettare le
leggi dello Stato e ad adempiere agli obblighi che questo impone.7
Se sulla base del diritto internazionale consuetudinario lo Stato è libero, nei
termini sopra descritti, di stabilire la propria politica nel campo dell’immigrazione,
l’esercizio di tale potere sovrano può essere soggetto a limitazioni per effetto di accordi.
Quanto al diritto internazionale convenzionale, va rilevato che fino a non molto tempo
fa le convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) costituivano gli
unici strumenti internazionali rivolti a soddisfare l’esigenza di adottare una disciplina a
vocazione universale in relazione ai molteplici aspetti del fenomeno migratorio.
L’adesione a tali convenzioni ha comportato per gli Stati contraenti l’obbligo di
5
Lo Stato, dunque, nell’espellere uno straniero non può, ad esempio, adottare modalità oltraggiose,
non può recare offese alla sua dignità e reputazione, non può trattarlo in maniera vessatoria, deve
concedergli un lasso temporale ragionevole per regolare i propri interessi e lasciare il Paese, deve
garantirgli la legittimità del provvedimento di espulsione.
6
Quest’ultima ipotesi riguarda il c.d. “obbligo di protezione” che lo Stato territoriale ha nei confronti
dello straniero e che consiste nella predisposizione di misure idonee a prevenire e a reprimere le offese
contro la persona dello straniero e i suoi beni. La violazione di tali obblighi dà luogo alla c.d. “protezione
diplomatica”, meccanismo attraverso il quale lo Stato di appartenenza dello straniero maltrattato agisce
sul piano internazionale in difesa del proprio cittadino, attraverso proteste, proposte di arbitrato,
contromisure, ecc.
7
Lo Stato, però, non può imporre allo straniero prestazioni, né richiedere condotte, che non siano
giustificate da un sufficiente collegamento del medesimo con la comunità territoriale (c.d. “attacco
sociale”).
98
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
conformare i rispettivi ordinamenti nazionali allo standard minimo di protezione
stabilito da questi strumenti.8
È necessario sottolineare che i due fenomeni contrapposti dell’emigrazione e
dell’immigrazione non riflettono soltanto la situazione economica, sociale, politica degli
Stati. Essi riguardano e coinvolgono soprattutto le persone che si spostano e i diritti di
cui queste godono. Vengono dunque in rilievo la tutela internazionale della persona, le
garanzie fondamentali di cui deve godere ogni essere umano (a prescindere
dall’appartenenza a un determinato Stato), le esigenze di carattere umanitario. La
considerazione delle esigenze di natura umanitaria nell’àmbito del fenomeno
dell’immigrazione è riscontrabile chiaramente nella disciplina convenzionale.9
È soprattutto la Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti di tutti i
lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie – adottata dall’Assemblea generale
delle Nazioni Unite con risoluzione 45/158 del 18 dicembre 1990 (dopo oltre 10 anni di
negoziati) – a tenere conto di tali esigenze umanitarie.10 Questa Convenzione, infatti,
pur riguardando i lavoratori, non è una convenzione promossa dall’OIL, in quanto i suoi
scopi concernono principalmente la protezione della persona umana in quanto tale. Ne è
8
Vedi la Convenzione concernente i lavoratori migranti n. 66 del 1939 e la Convenzione di revisione
n. 97 del 1949, la Convenzione concernente le migrazioni nelle condizioni abusive e la promozione
dell’eguaglianza di opportunità e di trattamento dei lavoratori migranti n. 143 del 1975, le
Raccomandazioni concernenti i lavoratori migranti n. 86 del 1949 e n. 151 del 1975. A livello regionale
europeo ricordiamo la Convenzione del Consiglio d’Europa relativa allo status giuridico del lavoratore
migrante del 24 novembre 1977.
9
Già alcuni trattati riguardanti i diritti umani in generale (Patti internazionali sui diritti civili e politici
e sui diritti economici, sociali e culturali del 16 dicembre 1966, Convenzione internazionale
sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale del 21 dicembre 1965, Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 4 novembre 1950) hanno
ampliato il novero dei diritti garantiti agli immigrati, nel senso che le norme sui diritti umani, essendo
dirette a tutelare la persona in quanto tale, tutelano anche lo straniero (pur se non espressamente
beneficiario di quelle norme).
10
United Nations, General Assembly, International Convention on the Protection of the Rights of All
Migrant Workers and Members of their Families, UN doc. A/RES/45/58, New York, 18 dicembre 1990.
La Convenzione è entrata in vigore sul piano internazionale il 1° luglio 2003, decorso il periodo di tempo
di tre mesi (previsto dall’art. 87, par. 1) dal deposito del ventesimo strumento di ratifica. Su tale
Convenzione v., per tutti, G. CELLAMARE, La Convenzione delle Nazioni Unite sulla protezione dei diritti
di tutti i lavoratori migranti e dei membri della loro famiglia, in Rivista internazionale dei diritti
dell’uomo, 2002, p. 861 ss.; sul sostanziale disinteresse per la ratifica della Convenzione da parte dei
Paesi di ricezione dei flussi migratori v. R. BARATTA, La Convenzione delle Nazioni Unite sulla
protezione dei lavoratori migranti: quali ostacoli all’adesione dei Paesi di ricezione dei flussi migratori?,
in Rivista di diritto internazionale, 2003, p. 764 ss.
99
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
prova, sia il richiamo, contenuto nel Preambolo, a molti strumenti di diritto
internazionale dei diritti umani (Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, Patti
internazionali delle Nazioni Unite, Convenzione sui diritti del fanciullo), sia il
contenuto di alcune sue norme (v., ad es., la parte III, artt. 8-35, dedicata ai «diritti
dell’uomo dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie»).11
La considerazione dei profili umanitari nell’àmbito del fenomeno migratorio,
con conseguente progressiva integrazione fra “diritti dello straniero” e “diritti
dell’uomo” (Immigration Law e Human Rights Law),12 è ben sintetizzata nella
risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite 40/144 del 13 dicembre 1985,
con cui è stata adottata la Dichiarazione sui diritti umani degli individui che non sono
cittadini del Paese in cui vivono.
Sul piano internazionale si deve anche ricordare l’operato dell’OIM (Organizzazione
internazionale per le migrazioni), i cui antecedenti storici sono l’OIR (Organizzazione
internazionale per i rifugiati), il PICMME (Comitato intergovernativo provvisorio dei
movimenti migratori d’Europa), il CIME (Comitato intergovernativo per le migrazioni
europee) e il CIM (Comitato intergovernativo provvisorio per le migrazioni).13
11
La Convenzione è suddivisa in nove parti ed è composta da un Preambolo e da 93 articoli. Oltre a
un esaustivo elenco di diritti spettanti ai lavoratori migranti (quelli della parte III spettano a tutti i
lavoratori anche se illegalmente presenti nel territorio dello Stato, quelli della parte IV, invece, ai soli
lavoratori regolari), la Convenzione prevede anche una serie di obblighi di condotta e di cooperazione per
gli Stati membri (per promuovere migliori condizioni di vita per i lavoratori migranti), nonché un
meccanismo di controllo dell’osservanza degli obblighi convenzionali (incentrato sul sistema dei rapporti
periodici riguardanti lo stato di applicazione della Convenzione che ogni Stato contraente deve
trasmettere ad un apposito comitato). La Convenzione coniuga due diversi aspetti della protezione del
migrante: a) quello relativo alla sua condizione di lavoratore in un Paese diverso dal proprio; b) quello
relativo alla sua condizione di persona, titolare in quanto tale dei diritti spettanti a ogni essere umano
(indipendentemente dalla cittadinanza).
12
V., in tal senso, B. NASCIMBENE, Straniero nel diritto internazionale, in Digesto delle discipline
pubblicistiche, XV, Torino, Utet, 1999, p. 187 ss.
13
L’articolo 1 dell’Atto costitutivo dell’OIM prevede che l’organizzazione adotti tutte le misure
idonee ad assicurare lo spostamento ordinato dei migranti. Più in particolare, la lettera a) dell’art. 1 fa
riferimento ai casi in cui la decisione di migrare è presa liberamente (per motivi di convenienza personale
o altri); la lettera b) dello stesso articolo fa, invece, riferimento ai casi in cui la decisione di migrare è
determinata da fattori coercitivi esterni (come avviene, ad esempio, per rifugiati, sfollati, richiedenti
asilo).
100
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
3. Unione Europea e immigrazione.
Il fenomeno dell’immigrazione ha ormai acquisito in Europa caratteristiche strutturali e
non coinvolge più soltanto i Paesi storicamente meta di flussi di immigrati. Alla
tradizionale migrazione verso i Paesi industrializzati dell’Europa settentrionale (che, a
partire dai primi anni Novanta, hanno inaugurato una politica più restrittiva nei
confronti dei migranti) si è aggiunta quella verso i Paesi dell’Europa meridionale, i
quali da terre di emigrazione o di transito si sono trasformati, nell’arco di un trentennio,
in importanti aree di permanenza.
Le politiche restrittive nel settore dell’immigrazione, introdotte in passato dagli
Stati europei di tradizionale destinazione, andavano dal blocco degli ingressi ai tentativi
di incentivare e/o obbligare il rientro dei lavoratori stranieri disoccupati. Tali politiche si
accompagnarono a due situazioni relativamente nuove per la realtà europea: a)
l’allargamento a sud delle aree di attrazione, giunte a comprendere Paesi come l’Italia,
la Spagna e infine la Grecia e il Portogallo; b) lo sviluppo dell’immigrazione
clandestina. A queste situazioni si deve aggiungere l’ulteriore novità costituita
dall’apertura delle frontiere orientali (dopo la dissoluzione dell’impero sovietico) e dalla
conseguente instabilità politica ed economica di quelle aree. Questi fenomeni hanno
indubbiamente esteso sia l’area di pressione migratoria, sia il potenziale serbatoio della
clandestinità.
Le linee politiche poste in essere dagli Stati europei di destinazione nei confronti
degli immigrati stranieri si sono ispirate a differenti modelli politico-giuridici che
riflettono differenti visioni del rapporto tra autoctoni e immigrati, tra maggioranze e
minoranze, tra Stato e comunità. Due differenti e paradigmatiche tendenze d’azione
politica e giuridica sono quella francese e quella inglese: si tratta di due modelli i cui
presupposti si ritrovano già nella storia dei due Paesi, in particolare nelle loro politiche
coloniali.14
14
La linea politica adottata dal Governo francese nei confronti degli immigrati ha il suo fondamento
nella neutralità e laicità dello Stato, che si assume non debba prendere posizione, né adottare misure che
riguardano la sfera privata dell’individuo. Questo modello privilegia fortemente l’integrazione per
“assimilazione” delle popolazioni immigrate. Molti hanno criticato (soprattutto a seguito dei disordini
che hanno infiammato le periferie popolari di alcune città francesi) il carattere astratto del modello
101
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
Nell’ambito dell’Unione europea, gli Stati, dopo decenni di cooperazione
sviluppatasi a livello esclusivamente intergovernativo, hanno intrapreso la strada di una
politica comune in materia di immigrazione. L’ordinamento dell’Unione, invero, non
aveva originariamente competenza in tale materia. Solo con il Trattato sull’Unione
europea, firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992 ed entrato in vigore il 1° novembre
1993, la politica dell’immigrazione è divenuta oggetto della cooperazione
intergovernativa nei settori della giustizia e degli affari interni (il c.d. “terzo pilastro”
dell’Unione) e quindi parte integrante dello “spazio di libertà, sicurezza e giustizia”, che
è un obiettivo di carattere generale dell’Unione europea. Una vera e propria politica
comunitaria dell’immigrazione, però, si realizza successivamente soltanto con il
Trattato di Amsterdam, firmato il 2 ottobre 1997 ed entrato in vigore il 1° maggio
199915.
Da ultimo, ricordiamo che la materia dell’immigrazione, ugualmente a quelle
appartenenti in generale allo “Spazio di libertà, sicurezza e giustizia”, è oggi compresa
nel Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE)16. La parte III del Trattato
(dedicata a “Politiche e azioni interne dell’Unione”) prevede, infatti, la realizzazione
dello “Spazio di libertà, sicurezza e giustizia” (tit. V), in cui rientrano le “Politiche
relative ai controlli alla frontiere, all’asilo e all’immigrazione” (capo 2, artt. 77-80). Gli
artt. 78 e 79 del TFUE riprendono e modificano l’art. 63 del TCE (mentre l’art. 64, par.
francese d’integrazione e ne hanno proclamato il fallimento. Secondo tali critiche, l’uguaglianza
affermata da tale modello è costantemente smentita da disuguaglianze di fatto, che il modello francese
sarebbe incapace di affrontare. Su un versante opposto viene a collocarsi invece il modello inglese,
fondato sul rispetto e sulla valorizzazione delle “diversità”. Esso si dichiara ufficialmente diretto ad un
trattamento paritetico delle minoranze. Anche il modello inglese, però, non è riuscito a eliminare le
difficoltà insite nella convivenza di etnie e culture diverse, tant’è che anche in Inghilterra sono scoppiati
conflitti urbani particolarmente violenti (v., fra gli altri, L. ZANFRINI, Sociologia della convivenza
interetnica, Roma-Bari, Laterza, 2010).
15
Tale Trattato ha “comunitarizzato” in parte il terzo pilastro dell’Unione, ha cioè trasferito in capo
alla Comunità la competenza su alcuni aspetti della disciplina degli affari interni (quali il rilascio dei visti,
la concessione dell’asilo, l’immigrazione), che prima erano oggetto soltanto di cooperazione
intergovernativa. Il Trattato di Amsterdam, infatti, ha inserito nel Trattato istitutivo della CE un nuovo
titolo IV (artt. 61-69), rubricato “Visti, asilo, immigrazione ed altre politiche connesse con la libera
circolazione delle persone”.
16
Il Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007 ed entrato in vigore il 1° dicembre 2009, ha
modificato il Trattato sull’Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea. Quest’ultimo
ha ricevuto la nuova denominazione di Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), mentre
la titolazione del Trattato sull’Unione europea è rimasta invariata (TUE).
102
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
1, del TCE è diventato, senza modifiche, l’art. 72 del TFUE). L’art. 78 recita che: «1.
L’Unione sviluppa una politica comune in materia di asilo, di protezione sussidiaria e di
protezione temporanea, volta a offrire uno status appropriato a qualsiasi cittadino di un
paese terzo che necessita di protezione internazionale e a garantire il rispetto del
principio di non respingimento. Detta politica deve essere conforme alla convenzione di
Ginevra del 28 luglio 1951 e al protocollo del 31 gennaio 1967 relativi allo status dei
rifugiati, e agli altri trattati pertinenti. 2. Ai fini del paragrafo 1, il Parlamento europeo e
il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, adottano le misure
relative a un sistema europeo comune di asilo …».
Tale sistema deve includere una serie di previsioni che sono indicate nelle lettere
a-g del par. 2 del medesimo articolo. Il par. 3 (ex art. 64, par. 2, del TCE) recita che:
«Qualora uno o più Stati membri debbano affrontare una situazione di emergenza
caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi, il Consiglio, su
proposta della Commissione, può adottare misure temporanee a beneficio dello Stato
membro o degli Stati membri interessati. Esso delibera previa consultazione del
Parlamento europeo». L’art. 79 prevede che «l’Unione sviluppa una politica comune
dell’immigrazione intesa ad assicurare, in ogni fase, la gestione efficace dei flussi
migratori, l’equo trattamento dei cittadini dei paesi terzi regolarmente soggiornanti negli
Stati membri e la prevenzione e il contrasto rafforzato dell’immigrazione illegale e della
tratta degli esseri umani».
Le conseguenti misure possono essere adottate nei seguenti settori: condizioni di
ingresso e soggiorno e norme sul rilascio da parte degli Stati membri di visti e di titoli di
soggiorno di lunga durata (compresi quelli rilasciati a scopo di ricongiungimento
familiare); definizione dei diritti dei cittadini di paesi terzi regolarmente soggiornanti in
uno Stato membro (comprese le condizioni che disciplinano la libertà di circolazione e
di soggiorno negli altri Stati membri); immigrazione clandestina e soggiorno irregolare
(compresi l’allontanamento e il rimpatrio delle persone in soggiorno irregolare); lotta
contro la tratta degli esseri umani (in particolare donne e minori). L’ultimo par. del
medesimo articolo specifica che esso «non incide sul diritto degli Stati membri di
103
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
determinare il volume di ingresso nel loro territorio dei cittadini di paesi terzi,
provenienti da paesi terzi, allo scopo di cercarvi un lavoro dipendente o autonomo».
Di notevole interesse è anche l’ultimo articolo del capo in esame, il n. 80, che
recita: «Le politiche dell’Unione di cui al presente capo e la loro attuazione sono
governate dal principio di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità tra gli
Stati membri, anche sul piano finanziario. Ogniqualvolta necessario, gli atti dell’Unione
adottati in virtù del presente capo contengono misure appropriate ai fini
dell’applicazione di tale principio».
L’Unione europea si è dunque impegnata a sviluppare una politica comune in
materia di asilo e di immigrazione al fine di assicurare una gestione più efficace dei
flussi migratori. Tale politica è basata su alcuni principî: 1) un approccio globale e
flessibile al fenomeno migratorio allo scopo di accrescere la cooperazione e i
partenariati con i Paesi terzi (sia d’origine che di transito); 2) il sostegno
all’immigrazione contemperando le esigenze dei mercati del lavoro degli Stati membri
con l’integrazione e i diritti dei migranti; 3) la prevenzione, il controllo e il contrasto
dell’immigrazione clandestina, privilegiando gli accordi di riammissione e le politiche
di rimpatrio; 4) la protezione dei minori non accompagnati; 5) una politica comune in
materia di asilo per stabilire uno spazio comune di solidarietà e di protezione dei
richiedenti l’asilo all’interno dell’UE.
4. L’immigrazione in Italia. Cenni.
Solo recentemente la realtà dell’immigrazione ha interessato l’Italia, Paese di forte
emigrazione per oltre un secolo. L’immigrazione straniera in Italia, invero, è aumentata
in modo progressivo a partire dagli anni Settanta, quando i flussi migratori, lungi dal
cessare, cominciarono a dirigersi anche verso i Paesi dell’Europa meridionale. Si trattò,
comunque, di ingressi non voluti, non programmati, e successivamente in gran parte
regolarizzati dai pubblici poteri. A partire dagli anni Ottanta il flusso migratorio italiano
si è nettamente invertito e l’Italia si è trasformata da terra di emigrazione in terra di
immigrazione. Tuttavia all’inizio si è trattato soltanto di un modesto flusso di tunisini
stabilitisi sulle coste siciliane. Ma dalla fine di quel decennio il fenomeno è divenuto
104
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
rilevante, interessando prevalentemente persone provenienti dall’Africa settentrionale e
occidentale. Negli anni Novanta, inoltre, l’apertura dei confini dell’Est europeo ha
favorito i movimenti migratori dai Paesi di quell’area. Di recente, l’aumentato livello
del lucroso mercato del lavoro nero, che accoglie manodopera straniera disposta a
svolgere le attività rifiutate dagli italiani (i cosiddetti lavori delle “tre d”: dirty,
dangerous, demanding), associato all’andamento demografico negativo, ha reso ormai
l’Italia una delle mete definite di insediamento stabile.
È interessante rilevare una caratteristica peculiare del fenomeno migratorio in
Italia, consistente in una notevole eterogeneità nelle provenienze degli immigrati,
laddove nell’Europa centro-settentrionale, in conseguenza dei precedenti regimi
coloniali, i Paesi di provenienza erano costituiti prevalentemente dalle ex colonie. Si
tratta di un dato costante negli anni che sembra ormai caratterizzare in maniera
strutturale l’immigrazione in Italia e che per questo induce a parlare di un modello
migratorio sui generis soprattutto se rapportato ad un contesto mondiale nel quale sono
pochi i Paesi in cui si assiste ad una tale diversificazione di nazionalità.
Non v’è dubbio che, tra le sfide epocali che l’Italia è chiamata ad affrontare,
quella migratoria assume una rilevanza del tutto peculiare a motivo della collocazione
geografica del nostro Paese: crocevia, da un lato, tra il bacino del Mediterraneo e
l’Europa settentrionale e, dall’altro, tra Est e Ovest del mondo, l’Italia costituisce uno
dei poli preferenziali d’immigrazione ed è esposta a continui tentativi di aggiramento
delle misure nazionali ed europee volte a contenere e a regolamentare l’ingresso degli
immigrati.
Per quanto riguarda la disciplina legislativa nazionale dell’immigrazione e gli
interventi dei pubblici poteri in merito, in considerazione della complessità e della
costante evoluzione del fenomeno in esame, si rimanda tale disamina a uno scritto
specificamente dedicato solo a tale argomento. In tale sede, invece, si ritiene opportuno
soffermarsi sul ruolo dell’UNHCR soprattutto in relazione alla protezione dei rifugiati
ed al diritto d’asilo, che è tra i diritti fondamentali dell'uomo riconosciuto dall’articolo
10, III comma, della Costituzione italiana allo straniero al quale sia impedito nel suo
105
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione,
secondo le condizioni stabilite dalla legge.
5. La protezione dei rifugiati e il ruolo dell’UNHCR
Come già accennato in precedenza,17 anche se i due termini sono spesso usati come
sinonimi, l'istituto del diritto di asilo non coincide con quello del riconoscimento dello
status di rifugiato. Per quest'ultimo non è sufficiente, per ottenere accoglienza in altro
Paese, che nel Paese di origine siano generalmente represse le libertà fondamentali, ma
occorre che il singolo richiedente abbia subito specifici atti di persecuzione. Il
riconoscimento dello status di rifugiato è entrato nel nostro ordinamento con l’adesione
alla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 (ratificata con la legge 722/1954) ed è
regolato essenzialmente da fonti di rango UE.
Il rifugiato è dunque un cittadino straniero il quale, per il timore fondato di
essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un
determinato gruppo sociale o opinione politica, si trova fuori dal territorio del Paese di
cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della
protezione di tale Paese. Può trattarsi anche di un apolide che si trova fuori dal territorio
nel quale aveva precedentemente la dimora abituale e, per le stesse ragioni, non può o
non vuole farvi ritorno. La protezione di rifugiati, sfollati e apolidi rappresenta proprio
il cuore del mandato dell’UNHCR.
Tale organizzazione sorge all’indomani della II Guerra mondiale, quando
movimenti forzati di popolazione senza precedenti nella storia del XX secolo
ridisegnano il volto degli Stati. Si tratta di una situazione che rende sempre più
necessaria la costituzione di una struttura sovranazionale mondiale preposta
all’organizzazione dell’assistenza dei rifugiati che realizzi interventi di carattere
umanitario e apolitico. Per tali motivi, il 14 dicembre 1950 l’Assemblea Generale delle
Nazioni Unite istituisce l’Ufficio dell’Alto Commissariato per i Rifugiati (UNHCR),
un’organizzazione sovranazionale le cui attività, come sancito dall’art. 2 del suo Statuto,
17
Vedi supra, nota 1.
106
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
non hanno alcun carattere politico ma fini umanitari e sociali.18 L’UNHCR iniziò a
operare il 1° gennaio 1951 e pochi mesi dopo, una Conferenza di plenipotenziari delle
Nazioni Unite approvò la Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati, pilastro
normativo sul quale si fonda il “sistema di protezione internazionale dei rifugiati”.
Tale Convenzione è il primo accordo internazionale che introduce la definizione
generale del termine “rifugiato” e prescrive agli Stati contraenti alcuni standard minimi
nel trattamento di coloro che sono stati riconosciuti come tali dalle autorità nazionali ai
sensi della Convenzione. Una sorta di Costituzione dei rifugiati, quindi, che da una
parte sancisce l’obbligo per costoro di rispettare le leggi e le regole del Paese di asilo e,
dall’altra, impegna gli Stati a garantire loro un trattamento - come minimo - pari a
quello degli stranieri legalmente residenti nel proprio territorio. L’articolo 1 della
Convenzione definisce “rifugiato” colui che «temendo a ragione di essere perseguitato
per motivi di razza, religione, cittadinanza, appartenenza ad un determinato gruppo
sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori dal paese di cui è cittadino e non
può o non vuole, per tale timore, avvalersi della protezione di questo paese; oppure che,
non avendo cittadinanza e trovandosi fuori del paese in cui aveva residenza abituale a
seguito di siffatti avvenimenti, non può o non vuole ritornarvi, per il timore di cui
sopra»19.
Nel rispetto del disposto della Convezione, è compito degli Stati stabilire le
procedure da seguire per la determinazione dello status di rifugiato. L’UNHCR, come
previsto dal suo mandato, collabora con i governi affinché questa procedura sia il più
possibile equa ed efficiente. L’UNHCR esercita una funzione di controllo sul rispetto
degli obblighi sanciti nella Convenzione e, se necessario, interviene per garantire che i
18
Per approfondimenti vedi www.unhcr.it.
Tale definizione, in origine, non era volta a gestire le questioni umanitarie internazionali in termini
globali e in una prospettiva di lungo periodo, quanto piuttosto ad affrontare le specifiche difficoltà del
periodo postbellico. In coerenza con tale impostazione, essa da una parte risultava applicabile
esclusivamente alle persone in fuga per effetto di eventi verificatisi prima del 1° gennaio 1951
(limitazione temporale) e, dall’altra, rimetteva ai singoli Stati contraenti la scelta di applicarla solo alle
persone in fuga per effetto di eventi avvenuti in Europa (limitazione geografica). Oggi, la limitazione
temporale è stata universalmente abolita grazie all’adozione del Protocollo del 1967. La limitazione di
carattere geografico, invece, è ancora applicata da pochissimi Paesi.
19
107
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
richiedenti asilo aventi diritto ottengano lo status di rifugiati e non siano rimpatriati
forzatamente in Paesi dove le loro vite potrebbero essere a rischio.
L’articolo 33 della Convenzione di Ginevra, infatti, impone agli Stati contraenti
di «non espellere o respingere - in qualsiasi modo - un rifugiato verso i confini di
territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza,
della sua religione, della sua nazionalità, della sua appartenenza a un gruppo sociale o
delle sue opinioni politiche». Tale principio di non respingimento (non-refoulement) è
stato incluso in maniera esplicita o implicita nelle norme delle Costituzioni nazionali e
delle leggi sugli stranieri di vari Stati. Inoltre, rientrando nell’ambito del diritto
internazionale consuetudinario, il principio di non respingimento ha carattere vincolante
per tutti i paesi.
In origine, le attività di protezione e assistenza dell’UNHCR avrebbero dovuto
essere svolte per soli tre anni, tempo stimato sufficiente dagli Stati per trovare soluzioni
all’elevato numero di rifugiati generato dalle devastazioni della II Guerra mondiale
Tuttavia, gli esodi di massa non cessarono, anzi, sono diventati un fenomeno persistente
su scala mondiale e il problema dei rifugiati è divenuto una situazione strutturale della
comunità internazionale contemporanea. In ragione del mutato contesto in cui si è
trovato a operare nel corso della sua storia, l’UNHCR ha garantito protezione,
estendendo il proprio mandato originario, a nuove categorie di persone. È il caso degli
apolidi e degli sfollati interni, i quali non avevano mai avuto prima un’organizzazione
sovranazionale che si dedicasse in maniera sistematica alla loro tutela.
Le persone di competenza dell’UNHCR, dunque, oggi sono circa 68,5 milioni.
Si tratta di rifugiati che hanno chiesto protezione in paesi stranieri e di persone che
rientrano nel proprio Paese d’origine dopo un periodo, a volte molto lungo, di esilio
all’estero. In questo numero sono inclusi anche gli sfollati all’interno del proprio stesso
Paese (che non rientravano - come accennato - nel mandato originario dell’UNHCR ma
di cui l’Agenzia si occupa dal 1972) e le persone apolidi (che dal 1974 rientrano
anch’esse sotto il mandato dell’UNHCR).20
20
Per approfondimenti vedi www.unhcr.it.
108
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
Con riferimento alla distinzione tra le diverse categorie di persone costrette a
lasciare i propri paesi di origine, ricordiamo che oggi non è più così facile distinguere
nettamente - ad esempio - i rifugiati dai migranti per motivi economici. I moderni flussi
migratori, infatti, sono flussi “misti”, composti cioè sia da rifugiati (che fuggono da
guerre e gravi violazioni dei diritti umani) sia da “migranti economici” in viaggio alla
ricerca di migliori prospettive di vita. Spesso poi le due condizioni si sovrappongono
oppure mutano durante il periodo della migrazione. Cioè, può senz’altro accadere che
una persona che abbia iniziato il proprio cammino come “migrante economico” si trovi
successivamente a diventare, per una serie di questioni complesse e contingenti, un
“rifugiato”. Ciò premesso, il rifugiato è considerato, ai sensi dell’articolo 1.A della
Convenzione di Ginevra del 1951, come colui che si trova fuori del paese di cui è
cittadino o, nel caso degli apolidi, in cui ha residenza abituale, e non vuole o non può
farvi ritorno a causa del fondato timore di essere perseguitato per ragioni di razza,
religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le sue
opinioni politiche. L’apolide, invece, è - secondo quanto sancito dalla apposita
Convenzione del 1954 - colui «che nessuno Stato considera come suo cittadino in base
al proprio ordinamento». Di regola, può definirsi apolide qualsiasi persona priva di
cittadinanza fin dalla nascita (e che non ne abbia acquisita una) oppure che, avendone
una, ne è stata privata (ad esempio, in seguito ad eventi politici o bellici).21 Il concetto
di sfollato, o IDP (Internally Displaced Person), è spesso confuso con quello di
rifugiato. Gli sfollati sono persone costrette a lasciare le loro case per motivi simili ai
rifugiati, come lo scoppio di conflitti armati o l’esistenza di gravi violazioni dei diritti
umani. Tuttavia, a differenza di questi ultimi, gli sfollati non hanno attraversato un
confine internazionale per cercare aiuto in un altro Stato, ma si sono spostati all’interno
21
Nel periodo tra le due guerre mondiali furono molti gli sforzi mirati a codificare tale fenomeno. È
però soltanto nel 1949 che, di fronte a milioni di rifugiati e apolidi che ancora vagavano in un’Europa
devastata dalla guerra, le Nazioni Unite nominarono un comitato con l’incarico di valutare la
preparazione di una convenzione relativa allo status internazionale dei rifugiati e degli apolidi. Si giunse,
così, alla stesura di due diverse Convenzioni: la già citata Convenzione del 1951 sullo status dei rifugiati
e la Convenzione del 1954 relativa allo status degli apolidi. Nel 1961 ci fu poi la Convenzione sulla
riduzione dei casi di apolidia. Nel 1974, l’Assemblea Generale dell’ONU ha richiesto all’UNHCR di
fornire assistenza legale anche a questa categoria di persone e nel 1996 ha incaricato l’Agenzia di
ampliare il suo ruolo anche alla prevenzione e alla riduzione del fenomeno dell’apolidia.
109
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
del loro stesso paese.22
Ecco dunque che l’UNHCR, in base al mandato conferito dalle Nazioni Unite,
ha il compito di garantire protezione internazionale e assistenza materiale alle persone
di propria competenza. Nel garantire tale protezione, compito primario dell’UNHCR è
assicurare che gli Stati rispettino i propri obblighi internazionali in materia. L’assistenza
materiale, invece, consiste nel garantire beni e servizi di prima necessità come acqua,
cibo, assistenza sanitaria e alloggi. Inoltre, l’assistenza comprende: trasporti per le
persone, materiali (coperte, indumenti, medicinali, infrastrutture, utensili vari) e
interventi di carattere sociale (assistenza psicologica, sociale, istruzione, formazione
professionale). Tra i vari obiettivi dell’UNHCR, uno dei più importanti è anche quello
di cercare soluzioni durevoli che aiutino i rifugiati a ricostruire le loro vite in condizioni
di pace e dignità. La prima e la più auspicabile tra queste soluzioni è il rimpatrio
volontario nei paesi di origine dei rifugiati. Nel caso in cui le condizioni che avevano
spinto i rifugiati alla fuga non siano cambiate, l’UNHCR persegue due alternative:
l’integrazione nei paesi in cui i rifugiati hanno trovato asilo o il reinsediamento, cioè il
trasferimento del rifugiato in uno Stato terzo.
Con riferimento al ruolo di UNHCR in Italia, specifichiamo che l’Ufficio
Regionale dell’UNHCR di Roma coordina le attività dell’Agenzia in Italia, Cipro,
Malta, Portogallo, Spagna, San Marino e Santa Sede. In Italia, l’UNHCR lavora con le
istituzioni competenti e con la società civile affinché sia garantita la protezione dei
rifugiati e degli apolidi; fornisce supporto al governo e alle altre autorità competenti nel
rafforzare la legislazione in materia di asilo, assicurandosi che le politiche, le leggi e le
prassi attuative siano in linea con gli standard internazionali, anche attraverso attività di
formazione, capacity building e supporto tecnico. Nello specifico, le attività di
protezione di UNHCR Italia si focalizzano principalmente sulle seguenti aree: accesso
22
L’UNHCR si occupa anche di questa categoria di persone, pur se in origine non aveva un mandato
specifico in tal senso. Oggi, in riconoscimento dell’esperienza e delle competenze maturate in tale ambito,
l’Agenzia è diventata un attore chiave nel nuovo “cluster approach” volto a migliorare l’assistenza e la
protezione degli sfollati, attraverso la collaborazione con decine di organizzazioni internazionali
governative e non. Nel corso della sua storia, inoltre, l’UNHCR si è talvolta occupato di vittime di disastri
naturali, generalmente considerate anch’esse parte degli sfollati: tale coinvolgimento è avvenuto in
circostanze di eccezionale gravità.
110
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
al territorio e individuazione delle vulnerabilità; procedura per il riconoscimento della
protezione internazionale; accoglienza; gruppi vulnerabili; protezione di bambini e
adolescenti; soluzioni durevoli; riduzione dell’apolidia.23 Inoltre, l’UNHCR è
impegnato in Italia a far conoscere i temi legati al diritto d’asilo e ai rifugiati attraverso
iniziative di sensibilizzazione, organizzazione e partecipazione ad eventi e incontri,
produzione di materiali e campagne. L’UNHCR svolge anche attività di orientamento ai
servizi del territorio, informativa socio-legale e supporto per le persone sotto il proprio
mandato; progetti di ricerca; raccolta ed elaborazione dati; attività specifiche intorno a
emergenze strategiche e prioritarie. Il suo ruolo dunque è di assoluta rilevanza. Da
febbraio 2018 il nuovo Rappresentante regionale per il Sud Europa dell’UNHCR è
Pedro Felipe Camargo, che abbiamo avuto il piacere di ospitare a Lecce per un
seminario in data 15 novembre 2018.
6. Considerazioni conclusive.
Il fenomeno dell’immigrazione, come abbiamo avuto modo di vedere, ha ormai
acquisito in Europa caratteristiche strutturali e non coinvolge più soltanto i Paesi
storicamente meta di flussi di immigrati. Anche l’Italia, per oltre un secolo Paese di
forte emigrazione, è ormai completamente interessata dalla realtà dell’immigrazione.
Tra le sfide epocali che l’Italia è chiamata ad affrontare, quella migratoria assume una
rilevanza del tutto peculiare a motivo della collocazione geografica del nostro Paese.
Questa sfida, come già detto nell’incipit di questo scritto, è una delle più complesse e
difficili da governare del mondo contemporaneo. Ne sia prova che in Italia, si continua a
modificare - ma senza mai affrontare i veri nodi della questione - la disciplina in
materia. L’auspicio è che le molteplici problematiche indubbiamente esistenti vengano
affrontate in maniera esauriente, pervenendo a un quadro normativo organico che tenga
conto della presenza, numerosa e rilevante, degli immigrati nel nostro Paese e della
necessità che sia data loro una reale possibilità di integrazione. L’integrazione, infatti è
la vera scommessa di ogni politica dell’immigrazione nel XXI secolo. Qualsiasi riforma
23
Per approfondimenti vedi www.unhcr.it.
111
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
che venga fatta, dunque, raggiungerà i suoi scopi soltanto se, attraverso una
regolamentazione razionale del fenomeno in esame, favorirà un’equilibrata integrazione
degli stranieri nella nostra comunità, nel rispetto dei diritti e dei doveri di ciascuno.
112
LUIGI PERRONE
Migrazioni tra reale e immaginario collettivo.
Abstract Il lavoro passa in rassegna alcuni elementi strutturali che definiscono le migrazioni moderne,
evidenziando le differenze tra “migrazioni classiche” e “migrazioni mediterranee”. Fenomeno che passa
attraverso la crisi petrolifera, con le sue ricadute sul piano economico, sul sistema mondo e
sull’allocazione della forza-lavoro a livello globale e locale.
Analizza così l’adeguamento della legislazione in materia di migrazioni, le cause di tale adeguamento e le
conseguenze sul piano strutturale e sociale. Evidenziando perché la figura del migrante, da paradigma
della modernità si trasforma in capro espiatorio dei mali sociali, diventando – nell’immaginario collettivo
– “l’invasore” moderno. Perciò facile vittima del neo-razzismo del “povero uomo bianco”.
Spiega perché non reggono più le vecchie teorie sulle migrazioni, a partire dalla distinzione tra migrazioni
economiche e politiche e perché sarebbe opportuno, ormai, parlare di “migrazioni forzate”.
Termina identificando alcune cause di questo degrado, identificando nella deriva liberista dei partiti di
sinistra, a livello europeo, uno delle cause che ha aperto la strada della deriva democratica. Infine,
ipotizza alcune “buone prassi” che possono tracciare una risalita antirazzista.
Keywords: migrazione, crisi petrolifera, Pull Push effect, informazione, la retorica razzista, corridoi
umanitari, convivenza
Premessa.
Rispondere alla mole di domande che ci vengono oggi dall’universo migratorio, è
operazione piuttosto ardua. Difficile, perciò, in così poco tempo, una trattazione
esauriente. Qui mi limiterò a toccare solo alcuni argomenti, come quelli attinenti gli
aspetti strutturali che reggono le migrazioni e quelli imposti, in modo impellente,
dall’attualità quotidiana. Quest’ultima, sempre più invasiva, purtroppo, ha delle ricadute
sociali negative, complici non le migrazioni in sé, ma i processi ideologici, creati
artatamente, intorno alle migrazioni. Abbiamo, ormai, una vera e propria “scuola di
pensiero”, on fait pour dire, che ha il compito di presentare i fenomeni migratori per ciò
che non sono.
1. Migrazioni: fenomeno totale e strutturale.
Incominciamo con il dire che le migrazioni sono un fenomeno totale e strutturale.
Totale perché coinvolgono ambiti diversi della società (economici, sociali, giuridici,
culturali, ecc.); e strutturale perché tutte le civiltà esistenti sono frutto delle migrazioni,
d’incrocio tra popoli, conseguenti a scambi economico-socio-culturali, colonizzazione,
conquiste, ecc.
113
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
Siamo, perciò, di fronte a un fenomeno sociale che ha modificato e continua a
modificare, costantemente, il quadro sociale e politico, a livello locale e globale. Come
ogni mutamento sociale non è indolore e chiama in causa interessi plurimi della società,
con classi, strati e ceti sociali che, chiamati in causa, traducono in profitti e opportunità
le mutazioni, mentre altre si sentono minacciate o soccombono.
Si stimano tra i settecento milioni e un miliardo, le persone che sono coinvolte in
questo fenomeno. Una mobilità sociale (orizzontale e verticale) che non ha risparmiato
alcun angolo della terra e che – ricordiamolo - si configura come inarrestabile.
Date queste caratteristiche rivoluzionarie che il fenomeno si porta appresso, in tutti i
tempi sono state considerate un fenomeno positivo e accompagnate da un immaginario
collettivo elogiativo (progresso, benessere, incontri, ecc.). Qualcosa che, tuttavia, si
modifica e degrada con le migrazioni moderne, quando i migranti da stranieri, portatori
di progresso e civiltà, diventano clandestini, pericolo pubblico.
2. Migrazioni e crisi petrolifera.
Tutto ciò si può far risalire a un periodo ben preciso, i primi degli anni settanta, quando,
con la crisi petrolifera - che investì tutto il pianeta, in particolare i Paesi industriali
poveri di risorse energetiche -, il mondo industrializzato fu costretto a profonde
ristrutturazioni industriali. Si passò così dalla fase dello sviluppo capitalistico estensivo
a quello intensivo.
Sino agli anni Settanta, periodo dello sviluppo estensivo del sistema capitalistico, il
capitale ha bisogno di grandi quantità di lavoratori per i suoi profitti. Con la
ristrutturazione capitalistica, indotta dalla crisi petrolifera e dal conseguente rincaro del
petrolio, il capitalismo non ha più bisogno di grandi quantità di forza lavoro, ma di
quantità contingentate: nasce così la fase del capitalismo intensivo, ad alto contenuto
tecnologico. Nella produzione centrale, ad alta intensità tecnologica, alloca forza-lavoro
qualificata (autoctona), in quella periferica, standardizzata e a bassa composizione
organica del capitale, generica, dequalificata (gli immigrati). Questo è il quadro
economico-politico che si configura in seguito alla crisi petrolifera.
114
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
Per quanto riguarda le migrazioni, nella prima fase si praticano le politiche dalle
“porte aperte” (e siamo di fronte alle migrazioni “classiche”); nella seconda le politiche
delle “porte chiuse” (e siamo alle migrazioni “moderne”). Indicatore di quanto
affermato sono le leggi che si promulgano, prima e dopo la crisi petrolifera, in tutti i
Paesi industrializzati, dove si orienta(va)no le grandi migrazioni di massa.
3. Legislazione e marginalizzazione del migrante.
Il nuovo processo produttivo ha bisogno di forza-lavoro dequalificata e priva di diritti e
di capacità contrattuale, al fine di rispondere alla flessibilità richiesta dalla produzione
industriale.
Le leggi che si promulgano, in materia migratoria, hanno questi requisiti, perciò il
permesso di soggiorno è legato strettamente all’occupazione, facendo dipendere le sorti
del lavoratore, strettamente, dal datore di lavoro.
Inoltre, mentre prima la forza-lavoro richiesta dai Paesi industrializzati, proveniva
principalmente dalle vecchie colonie, ora, non potendo i lavoratori dirigersi in quei
Paesi – per via delle nuove leggi restrittive -, si orientano verso nuove mete, dove non ci
sono leggi che glielo impediscano.
4. Le migrazioni moderne e il modello Mediterraneo.
I Paesi di destinazione sono quelli che si affacciano per la prima volta sul panorama
internazionale come Paesi industrializzati bisognosi di forza-lavoro migrante. Gli stessi
che, nelle migrazioni classiche, erano stati i fornitori di manodopera ai Paesi di vecchia
migrazione. Siamo di fronte al fenomeno che è chiamato “modello Mediterraneo”.
Difatti, i Paesi di nuova immigrazione sono quelli che si affacciano sul Mediterraneo
(Italia, Grecia, Portogallo, Spagna) che sino a ieri erano Paesi di emigrazione. Anche
per questo privi di leggi sulle immigrazioni, perciò, gli unici, dove potessero arrivare le
popolazioni migranti.
Ciò comporta anche una modifica importante nello scenario politico-culturale.
Mentre prima le migrazioni erano monoculturali (stesse aree di provenienza, stesso
sistema scolastico e lingua di partenza e d’arrivo), ora sono multiculturali (i migranti
115
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
dirigono, dove possono). I nuovi migranti arrivano in Paesi di cui non conoscono nulla,
né lingua, né tradizioni, tutti aspetti che complicano l’adattamento dei migranti sul
territorio e attivano difficili rapporti interculturali. Che, a loro volta, facilitano i processi
di connotazioni del diverso, poco o niente conosciuto dalle comunità maggioritarie. È
risaputo che si ha paura di ciò che non si conosce.
5. Pull Push effect e Teoria dei vasi comunicanti.
Se sino agli anni Settanta, i fenomeni migratori si spiegavano con la teoria dei vasi
comunicanti e con l’effetto Pull/Push (attrazione/spinta), in conseguenza della crisi
petrolifera, e le successive ricadute economico-sociali, anche questa teoria entra in crisi,
inadeguata com’è a spiegare partenze e arrivi della modernità.
La teoria dei vasi comunicanti è il principio fisico che spiega come un liquido di due
o più recipienti comunicanti tra loro - in presenza di gravità -, raggiunga lo stesso
livello, dando origine a un'unica superficie “equipotenziale”. Per estensione al nostro
caso, il travaso di forza-lavoro, da un’area economica (domanda) a un’altra (offerta), da
un’area “sottosviluppata” a una “sviluppata”. Quindi, le migrazioni, con i loro moventi
da una ad altra area geo-economica creavano un equilibrio tra domanda e offerta di
lavoro, contribuendo a un’ottimizzazione delle risorse.
Per lungo tempo questa teoria ha dato una spiegazione accettabile, specialmente con
il periodo coloniale che ha accompagnato lo sviluppo capitalistico. Difatti, il sistema
capitalistico, penetrando nel tessuto economico-sociale delle vecchie colonie,
sconvolgeva il millenario sistema produttivo e metteva in sovrannumero grandi quantità
di “popolazione eccedente” - “sovrappopolazione relativa”, la definì Karl Marx - che il
sistema produttivo (nella fase espansiva) attraeva nelle industrie del “Primo mondo”, in
costante crescita. Perciò, a un effetto di espulsione (push) nei Paesi d’origine,
corrispondeva un effetto attrazione (pull) oltre confine; dov’erano ben accetti, grazie a
politiche d’accoglienza volute dal sistema produttivo, bisognoso di quei lavoratori
(politiche delle “porte aperte”).
Con le migrazioni moderne questa teoria viene meno: a un effetto di spinta non
corrisponde più un effetto di attrazione. Si è espulsi, si parte dal Paese natio, perché
116
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
soprannumerari di un sistema che avrebbe dovuto creare “pace e lavoro” (sviluppo) per
tutti. Perciò il migrante, prima di essere immigrato è un emigrato, ed è una vittima, oltre
a un prodotto, del sistema-mondo.
Questi Paesi - che l’occidente si ostina a chiamare “sottosviluppati”, da dove oggi
proviene gran parte della popolazione migrante – dovremmo chiamarli “impoveriti dallo
sviluppo”, in conseguenza delle dinamiche storiche che hanno subìto. Siamo di fronte a
un grande imbroglio epocale che ha sconvolto, irrimediabilmente, tutto il mondo.
Allo stato, perciò, crediamo sia del tutto improprio parlare di accoglienza,
considerate le grandi quantità di popolazione espulsa e della lotteria dei piccoli numeri
allocati, non è popolazione ben accetta. Siamo di fronte a migranti sistemici che si
muovono sull’onda di un mercato internazionale del lavoro che non vivono condizioni
di accoglienza ma di destinazione. È popolazione in esubero costretta a partire, ma
senza una meta perché nessuno è disposto ad accoglierla.
6. Le migrazioni politiche.
Accanto a queste masse crescenti di proletari eccedenti, messe in movimento da un
sistema economico-politico interessato unicamente ai profitti e certamente non alle
condizioni di vita del pianeta, ci sono i profughi, ossia popolazione in fuga dalle loro
terre d’origine perché in guerra.
In tal caso il fenomeno coinvolge popolazione di ogni età e condizione sociale, non
solo lavoratori. Scappano tutti e si rifugiano, dove possono, in Paesi limitrofi
(migrazioni
Sud-Sud)
o
in
Occidente
(Sud-Nord).
Purtroppo,
una
cultura
occidentalocentrica punta l’attenzione unicamente sulle migrazioni Sud-Nord ma il
fenomeno Sud-Sud è molto più consistente.
Anche in tal caso è popolazione costretta a partire, senza Paesi disposti a ospitarli.
Malgrado ci siano i trattati internazionali (Ginevra e Dublino) che garantiscono il loro
diritto a essere accolti ma, come abbiamo tristemente costatato, anche di quei diritti
l’Europa – pur patria di quelle conquiste - ne ha fatto strame. Oggi salta anche la
vecchia distinzione tra migrazioni economiche e politiche, perché è difficile stabilire il
confine tra politico ed economico. Nell’uno e nell’altro caso è il sistema politico –
117
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
sistema mondo - che non regge, e nell’uno e nell’altro caso è causa dei disastri vigenti.
Perciò gli addetti ai lavori considerano superata la vecchia distinzione e preferiscono
parlare di migrazioni forzate.
Chi parte, sia per motivi economici sia politici, proviene da quelle parti del mondo
che hanno suscitato gli interessi occidentali. Si combattono guerre non dichiarate, sia di
ordine economico sia politico. Si bombardano le aree geografiche, dove ci sono interessi
forti dell’occidente (petrolio, risorse energetiche) non perché ci sia da combattere
un’ingiustizia, quest’ultimo assunto solo come pretesto.
7. Migrazione e informazione.
Questi sono i fattori strutturali che governano le migrazioni. Tuttavia, tutto ciò non entra
nelle conoscenze del cittadino elettore. Al popolo – come si preferisce chiamare il
cittadino – arrivano informazioni edulcorate, del tutto costruite artatamente. Sono
costrutti sociali confezionati ad hoc che bisogna decostruire nel rispetto delle regole
democratiche.
Nella società complessa il reale non è ciò che è, ma ciò che appare. Basta costruire
l’immagine di una migrazione di comodo e i giochi sono fatti. La democrazia è
partecipazione popolare, basata su culture e saperi plurali che si formano grazie alla
discussione, all’informazione, al confronto intorno al reale sociale, non si può formare
su costrutti sociali. Questo è quanto avviene in Italia, e in buona parte d’Europa, che
nulla ha a che fare con la democrazia. Si gioca con dei dati truccati.
8. Teoria dell’invasione.
Il primo copione (i primi dati truccati) usato in Italia dagli imprenditori del razzismo è
stato quello dell’invasione. In verità, non nuovo sul palcoscenico politico
internazionale, ma in Italia è stato rispolverato e riverniciato di tricolore.
Un “popolo di migranti, poeti e santi”, come quello italiano, non può essere razzista
e xenofobo. Siccome la ricerca lo certificava, secondo i neo-razzisti e neo-fascisti la
spiegazione risiedeva nel fatto che lo era diventato perché i “buonisti” (così sono
ribattezzate, spregiativamente, le persone solidali), con le loro politiche, hanno fatto
118
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
entrare milioni di “clandestini”. Che hanno invaso il mite popolo italiano, superando la
“soglia della tolleranza” e modificando l’indole tollerante e accogliente del popolo.
Doveroso aggiungere che la teoria della “soglia della tolleranza” - presa in prestito
dagli etologi, con la quale dimostrò che i topi in gabbia da pacifici divennero aggressivi,
in conseguenza del loro moltiplicarsi e del restringersi dello “spazio vitale” -, è frutto di
una forzatura.
Ricerche sociologiche dimostrano, invece, che la densità abitativa - il numero di
soggetti sociali in uno stesso spazio - è molto relativa, nella determinazione
dell’intolleranza. Non è la densità che stabilisce la tolleranza, ma la qualità della vita,
determinata dalle politiche sociali praticate nell’area di riferimento.
In città come Francoforte, con un alto numero d’immigrati (italiani), non si sono mai
avuti episodi xenofobi, diversamente da tante altre città, dove episodi di xenofobia e
razzismo sono esplosi, nonostante il numero esiguo di presenze straniere.
È doveroso, altresì, aggiungere che la presenza di popolazioni di diversa provenienza
geografica, con usi e costumi diversi, ha bisogno di politiche democratiche e
interculturali per permettere il dialogo e la convivenza. Non si può dialogare, rapportarsi
e cooperare con soggetti sociali con cui non si ha niente in comune e di cui non si sa
niente. In casi del genere sono più probabili la diffidenza e la chiusura del dialogo, e che
cresca l’intolleranza piuttosto che la solidarietà. Specialmente se dei costrutti sociali
fanno vedere nello straniero la causa dei mali, che magari vengono da molto lontano.
Come vengono da lontano i problemi del lavoro, specialmente nel Sud, o
dell’abitazione. Temi che, spesso, innescano conflitti e incomprensioni.
La disoccupazione è un elemento strutturale del sistema capitalistico, lo dicono tutte
le scuole di pensiero economico. Keynes lo deve ammettere, amaramente, in età
avanzata, dopo avere tentato invano, per anni, di dimostrare il contrario.
La “Questione meridionale” non è nata con la presenza dei migranti. Come i conflitti
tra poveri, tra migranti e autoctoni, ci sono sempre stati, e noi italiani ne sappiamo
qualcosa. Gli immigrati denudano - diventando un indicatore sociale -, ciò che non va, i
punti dolenti del nostro welfare. Perciò non è proprio il caso di addossare responsabilità
a chi confligge per un’abitazione, migrante o autoctono che sia. Il problema della casa
119
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
affligge i poveri, non i ricchi, che ne sono responsabili. Molto più consono, forse,
sarebbe capire perché le politiche abitative, in Italia, sono assenti sin dagli anni
Sessanta.
Dapprima non si affittava ai meridionali, immigrati a Torino o Milano, oggi non si
affitta ai migranti stranieri. Ieri come oggi, dove insiste il conflitto se non nelle aree di
maggior sofferenza, ossia quelle periferie dove ieri andavano i meridionali e oggi gli
stranieri?
9. La creazione del capro espiatorio.
Ci invadono, rubano il lavoro, spacciano e così via; tutti mali sociali addossati ai
migranti, il nuovo capro espiatorio. Diciamolo forte e chiaro, sono tutte ideologie
costruite a uso e consumo delle credenze popolari: siamo di fronte a costrutti sociali
confezionati per presentare i migranti come minaccia. Ciò non significa che non ci siano
migranti che rubano o che spacciano, ma nessuno sta chiedendo la santificazione.
Si noterà che i prodotti confezionati non solo girano intorno ai problemi che
affliggono il Paese, ma che degli slogan hanno più successo in alcuni luoghi, piuttosto
che in altri. A ogni luogo il suo stereotipo, secondo il motivo di sofferenza sociale che
insiste.
Se incrociamo i motivi di successo, quelli che fanno attecchire lo stereotipo, ci
rendiamo conto che sono i problemi che affliggono quella determinata area. Se c’è
disoccupazione, i migranti “rubano lavoro” agli autoctoni, se ci sono problemi di ordine
pubblico creano disagi, spacciano o si prostituiscono, e così via. Questi costrutti sociali
sono modificati e confezionati, secondo le diverse aree di riferimento. Siamo di fronte
all’industria del falso.
Anche le comunità da connotare, le vittime, sono scelte volta per volta per rispondere
a questi requisiti. Nel Salento dapprima erano i marocchini spacciatori e criminali, poi è
toccato agli albanesi, poi ai rumeni, ai rom. Avanti il prossimo.
Oggi, negli Usa, nessuno si sognerebbe di assumere a modello negativo gli italiani,
che ormai sono sindaci, senatori, industriali o candidati premier. Ci sono i neri, i
120
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
portoricani e tutte le periferie delle città. I poveri, insomma. Eppure, Sacco e Vanzetti,
immigrati anarchici, furono mandati a morte, pur innocenti.
In piccolo, abbiamo qualche esempio anche in Italia. Negli anni novanta i cittadini
albanesi erano dipinti come lo zoccolo di Attila, tutti criminali, clandestini, spacciatori,
ecc. Oggi si stenta a ricordarlo.
Non dimentichiamolo, teniamolo ben presente, siamo di fronte a prodotti
confezionati che hanno come posta in gioco la merce più preziosa in una società
democratica: il consenso. Per ottenerlo sono al lavoro veri e propri centri di ricerca
(Think Tank) per falsificare (Fake news), diffondere (Social) e rendere il prodotto
commestibile (Convincere).
Sempre più chiaro come l’informazione, in una società complessa, abbia un ruolo
centrale e crescente. La gran parte dell’informazione, le notizie di cui il popolo-elettore
si nutre, sono prodotti confezionati, di cui è difficile risalire alla fonte e svelarne
l’arcano. Operazione, in Italia, più facile che altrove, dato il basso livello di letture e la
condizione dei media, fortemente condizionati dalle proprietà e principale fonte
d’informazione.
Insomma, i media sono vere e proprie armi di distrazione di massa. Porre al centro
del dibattito le migrazioni come problema non solo ha distolto la popolazione dalle vere
questioni, ma ha orientato il dissenso verso falsi obiettivi e sprofondato il Paese nelle
spire della deriva democratica.
10. Attori sociali e responsabilità politiche. Nascita della teoria dell’invasione.
Se le migrazioni, allo stato, si configurano come minaccia alle conquiste democratiche e
all’ordine pubblico, ovviamente, le responsabilità non sono da ricercare solo tra le forze
conservatrici, reazionarie e xeno-razziste, ma anche altrove. Paradossalmente, queste
forze hanno fatto il loro dovere, dovendo garantire privilegi e statu quo; chi non l’ha
fatto sono le forze democratiche, quelle che avrebbero dovuto difendere le fasce
popolari e gli ultimi.
Sin dai primi anni Novanta, quando gli imprenditori del razzismo hanno trovato
sponda politica nel Belpaese ed era iniziato il gioco dell’invasione e dei binomi abusivi,
121
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
non c’è stata alcuna contrapposizione netta e chiara, tale da tracciare chiaramente i
confini tra razzisti e antirazzisti.
L’immaginario negativo dell’invasione è stato creato e alimentato nei primi anni ’90,
con “sono molti”, c’“invadono”, nonostante i numeri e del buon senso. Ma in Italia, chi
richiamano le invasioni, se non le “invasioni barbariche”?
Altro cavallo di battaglia, vera e propria perla, gli scivolamenti semantici: solo in
Italia gli irregolari diventano “clandestini”, altrove semplicemente, senza documenti.
Chi richiama la clandestinità, se non il banditismo e la paura dell’incognito?
Clandestinità e invasioni costruite, dunque. I soli dati attendibili, allora (per
metodologia e fonti), erano quelli del Dossier Caritas, che parlavano di meno di
settecentomila/un milione di presenze straniere. A questi dati gli imprenditori del
razzismo contrapponevano un “questi sono i regolari”, ma poi ci sono “due milioni
d’irregolari”, che con slittamento semantico, in Italia, diventavano “clandestini”. Sorge
una banale domanda: se erano clandestini, come facevano questi signori a contarli, e
con quali metodologie?
Le forze democratiche, per percorrere la via della scienza e della decenza, avrebbero
dovuto difendere il fenomeno in sé, come scelta democratica di un mondo possibile e
chiedere con quali metodologie sarebbero due milioni. Una difesa dei diritti universali
dell’uomo, del diritto a migrare, sulla scia delle grandi conquiste occidentali. Posizioni
politiche che avrebbero messo a confronto due mondi, due modi diversi di pensare.
Invece la difesa a quegli attacchi fu, “non è vero che sono molti”, inseguendo i razzisti
sul loro stesso terreno e avallando il principio secondo il quale l’aumento delle presenze
era un fatto negativo, ossia avallando la teoria dell’invasione. Perciò, quando le
presenze straniere divennero 4,5,6 milioni fu facile gioco parlare d’invasione. Uno
sporco gioco che continua tuttora.
11. La deriva liberista dei partiti di sinistra.
In verità, non si trattava di sola imperizia, come dimostrano i giorni a venire, purtroppo.
All’interno dello schieramento democratico le posizioni non erano allineate a difesa, ma
articolate, molto articolate, sino a colludere con lo schieramento opposto.
122
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
È uno dei periodi più tristi delle forze democratiche e progressiste, in tutta Europa,
che si allineano alle politiche liberiste, distruggendo secoli di storia e conquiste
democratiche.
Lo dimostra dapprima l’approvazione della legge Turco-Napolitano (che introduce i
CPT, ossia il “carcere abusivo”) e poi il lungo periodo di governicchi di centro-sinistra,
durante i quali non si trova il tempo per modificare le leggi, testate e dimostratesi
inadeguate,
o
introdurne
una
sulla
cittadinanza,
a
gran
voce
richiesta
dall’associazionismo dei migranti, di sostegno e dalle sinistre.
Il clou si raggiunge con il Ministro dell’interno, Domenico Marco Minniti, detto
Marco, che arriva a firmare accordi con la Libia, per “trattenere” i migranti che
cercavano di scappare da una Paese in fiamme. Un Paese con cui, aldilà di ogni
considerazione politica, non avrebbe potuto firmare alcun accordo, non aderendo la
Libia al Trattato di Ginevra. Pensate, un ministro espresso da un governo di centrosinistra che – di fronte a disastri quotidiani in mare – fa accordi con criminali di guerra
insensibile a tutte le voci democratiche del Paese.
Una squallida operazione che ha seminato lutti e sofferenze tra uomini, donne e
bambini nel tentativo di raggiungere le amate sponde; senza parlare delle carceri
abusive messe in piedi da un governo criminale – con le risorse del contribuente italiano
- che ha sottoposto a torture e stupro e migliaia di esseri umani. Tutto ciò non è stato
sufficiente per allontanare il sig. Minniti dallo schieramento democratico, il quale non
ha fatto alcuna autocritica, ma addirittura ha difeso il suo operato e si è candidato alla
segreteria del suo Partito. Evidentemente proponendosi a modello. Difatti, come
modello è stato assunto, ma dalle forze xenofobe e razziste, che hanno continuato sulla
sua scia. Tutto ciò ha creato una grande confusione sotto il cielo, lasciando la difesa
delle migrazioni e delle politiche solidali e inclusive alle sole minoranze di sinistra e
alle Associazioni. Sono gli unici che parlano di Diritti e vanno alla radice del problema,
nella dimensione causa effetto. Il sistema come causa e le migrazioni come effetto. Papa
Francesco lo riassume benissimo: “Questo sistema uccide”.
123
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
12. La retorica razzista e la realtà migratoria.
Un osservatore attento noterebbe come l’attacco alle migrazioni, fatto dalle destre, con
tanto di furore e violenza, non solo verbale, non è mai accompagnato da proposte
percorribili. Dire, “non vogliamo i clandestini” è sfondare una porta aperta. Nessuno
vuole lavoratori stranieri irregolari, a iniziare dagli interessati, i primi a pagare il prezzo
del loro status d’irregolari, sottopagati, a rischio espulsione e privi di diritti. Allora, se
non si vogliono migranti irregolari, bisogna mettere mano alla normativa, causa prima
dell’irregolarità. In Italia e in Europa si può arrivare solo in modo irregolare. Si può
perdere il permesso di soggiorno ma non acquisirlo, perciò le porte della clandestinità
sono spalancate.
Dire in campagna elettorale che saranno espulsi tutti i clandestini è cosa facile,
quanto inapplicabile, oltre che irresponsabile. Sia perché chi “vive in clandestinità” non
è facilmente reperibile, sia per mancanza di risorse. La repressione costa tanto. È stato
calcolato, molto più di percorsi inclusivi e d’accoglienza. Inoltre, qualora si volessero
dissipare inutilmente risorse, sarebbero ben pochi quelli che si potrebbero espellere. La
gran parte non si potrebbe che accompagnarli alla frontiera, essendo pochi i Paesi con
cui ci sono trattati di riammissione, unica condizione per rimpatriare. Perciò, si possono
solo allontanare dalle patrie sponde, ma poi non farebbero che rientrare, come
dimostrano ricerca ed esperienza. Come si vede il cavallo vincente delle destre xenorazziste è solo una battaglia inutile e ideologica, pura retorica; questa proposta, tanto
gettonata, non porta da nessuna parte. Senza contare che queste politiche creano conflitti
e tendono a inimicizzare e ghettizzare le popolazioni immigrate. L’esatto contrario di
ciò che ricerca, buone prassi e buon senso suggeriscono. Avere cittadini privi di diritti
sul proprio territorio, incattiviti, non è proprio la migliore delle aspirazioni. I migranti,
bisogna prenderne atto, sono parte integrante della nostra società, vivono tra noi,
producono e sono contribuenti. Ci sono migliaia di bambini nati in Italia e frequentano
le nostre scuole, giocano con i nostri bambini. Tutto ciò dovrebbe indurci a parlare di
diritti, diritti di cittadinanza, welfare. Discorsi e minacce d’esclusione portano solo a
tensioni sociali e a reali problemi di sicurezza.
124
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
13. Dall’ineluttabilità del fenomeno a politiche praticabili.
La politica del respingimento alle frontiere, là dove applicata, ha portato solo lutti,
lasciando invariato il problema. Senza contare che l’assenza degli stati e di politiche
europee concordate hanno ingrassato le mafie di tutte le frontiere.
Abbiamo una sola vita e nessuno ha il diritto di stroncarla. Non sono ammissibili
proposte di alcun tipo se non mettono al primo posto la sicurezza della vita. Una vita
non vale né più né meno di un’altra. Almeno così dovrebbe essere.
Allora, qual è la via che porta alla sicurezza della vita, abbatte il business dei
trafficanti del genere umano e traccia un orizzonte dei diritti.
Non c’è nulla da inventare, le proposte praticabili vengono dalla ricerca e dal mondo
di volontariato, che da sempre s’interessano del problema.
Anzitutto, mettiamo nel conto che i flussi migratori sono inarrestabili, non c’è
“soluzione finale” e sono solo governabili. Chi pensa di avere modelli è fuori strada, si
può parlare solo di buone prassi, da cui partire per una governance del problema.
Avremmo dovuto capirlo tutti, considerato il numero strabiliante di morti in mare.
Per i migranti si tratta di scegliere tra aspettare la morte certa in patria e tentare di
arrivare vivi sull’altra sponda. Quindi, i muri – è bene ripeterlo – non reggono, per
quanto alti possano essere. È solo un gioco al massacro, più si alzano i muri, maggiore è
il numero di morti.
Lo aveva già capito Kant, qualche secolo fa, partendo dalla semplice constatazione
che la terra è sferica, perciò ogni punto raggiungibile da chiunque. Aveva altresì legato
la “Pace perpetua” alla condivisione della terra, presupponendo che questo stato sarebbe
stato possibile quando tutti i Paesi avessero conquistato la democrazia che, per
definizione, avrebbe fatto gli interessi di tutto il popolo.
La storia ci insegna, quindi, che se le migrazioni non si possono fermare si possono
governare. Perciò è alla politica che pasa la parola, che deve governare il fenomeno.
Che non può partire da logiche etnocentriche, ma dagli interessi di tutti gli attori sociali
in campo.
Proposte apparentemente solidaristiche, tipo, accogliamoli perché la popolazione
occidentale invecchia, oppure se non li accogliamo, non avremo chi pagherà le nostre
125
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
pensioni, non partono da logiche democratiche. Sono solo ragionamenti utilitaristi,
purtroppo molto diffusi in alcuni settori politico-sociali. Che hanno del vero, ma non
può essere la ragione dell’accoglienza.
Le politiche inclusive devono partire dai diritti e dall’eguaglianza, iniziando dal
diritto del migrante a migrare. Come gli occidentali possono muoversi dove e quando
vogliono, per chi è nato nel posto (ritenuto) sbagliato, non deve essere diverso.
Scatta il famoso “non possiamo accoglierli tutti”. Tranquilli, non vogliono tutti
venire in Italia, né tutti in Europa. Decidono loro dove ritengono sia meglio vivere, e
praticano semplicemente un loro diritto. Chiunque si professi democratico deve partire
da questo principio inalienabile, rispettando i bisogni e i diritti di tutti.
Cosa può fare l’Europa? Anzitutto delle politiche concordate - quelle a oggi adottate
hanno portato sulla soglia dell’implosione dell’UE - iniziando – com’è ormai condiviso
– con abolire il Trattato di Dublino, che costringe i migranti a chiedere asilo nel Paese
d’approdo. I disastri combinati da questo trattato sono sotto gli occhi di tutti.
Poi creare “corridoi umanitari” per permettere di attraversare i confini senza perire e
offrire informazioni e prima accoglienza (abitazione, vitto, istruzione) in modo che
possano ottimizzare le loro risorse umane. Si prosciugano così anche le casse delle
mafie internazionali.
Stesso discorso vale per quanti sono in cerca di lavoro. Si creino permessi per
soggiorno per la ricerca di lavoro, in tutta Europa, con la dovuta accoglienza e
informazione. Nessuno ha intenzione di rimanere in un posto da indesiderato, potendo
trovare di meglio. Perciò gli interessati si sposteranno là dove troveranno la migliore
sistemazione.
Queste proposte hanno avuto l’avallo della ricerca e del calcolo costi/benefici. Costa
meno della repressione e rispetta il genere umano che non può essere una variabile.
126
NUNZIO MASTROROCCO1, ELISA CALÒ2
Il movimento migratorio in Puglia: policy e flussi3
Abstract: Regione Puglia fosters the implementation of an integrated system of interventions and
services for immigrants’ full integration, geared towards acquiring a structured understanding of
migration flows. Additionally, for the sake of integration into the labour market, it promotes the
dissemination and exchange of good practices and initiatives aimed at: a) combating forms of
discrimination; b) promoting the awareness of the Italian culture, in order to fully carry out a reciprocal
cultural integration; c) ensure equal opportunities for immigrants; d) combat criminal conducts and
exploitation; e) promote immigrants’ participation to the local social life. Several complementary fields
of action have also been foreseen based on the needs flagged by foreigners, which specifically concern
the cultural, linguistic, economic, professional, social and health spheres.
In light of the data available, it emerges how much Apulia is still maintaining its own specific
peculiarity of “borderland”. As we have seen, this circumstance can be especially noticed in virtue of the
numerous irregular and monitored landings of migrants observed in the course of the last three years.
Objectively, the irregular landings of the last three years cannot by any means be likened to the landings
of the Nineties. Instead, what generates more concern nowadays is the traffic of human beings. Today
migrants continue crossing the sea, albeit on board of sailboats driven by professional skippers
(smugglers evolving into sailors). Sea crossings are undertaken with the attempt to sail unnoticed,
although the chance to circumvent coastguard’s control networks with their sophisticated technology
watching over the waters of Salento, the entrance door of Europe, is unlikely. Unfortunately, these
indicators point to the existence of international criminal organizations, based in several Mediterranean
countries. It is a thorny phenomenon to contrast, even though over the last years it has mounted much
attraction by institutional stakeholders.
Keywords: Puglia, migrazioni, approdi, politiche migratorie.
1.
Introduzione
La Regione Puglia, compatibilmente con le prerogative che le vengono attribuite
dalla normativa nazionale, da alcuni anni è impegnata in percorsi che guardano al
raggiungimento di un’effettiva inclusione di tutta la popolazione migrante presente
sul proprio territorio, nelle sue diverse composizioni.
1
IPRES, Istituto Pugliese di ricerche economiche e sociali:
[email protected].
IPRES, Istituto Pugliese di ricerche economiche e sociali:
[email protected].
3
Per la realizzazione di parte della presente ricerca sono stati rielaborati documenti ed informazioni
definiti, con il supporto del dott. Gianpietro Occhiofino, nell’ambito della convenzione Regione Puglia –
IPRES “Rafforzamento della Capacity building e del dialogo sociale nell’attuazione del POR Puglia
2014/2020” – Linea 2 “Legalità e inclusione sociale”, finanziata a valere sul fondi del POR Puglia FESR
– FSE 2014/2020 Asse XI (“Rafforzare la capacità istituzionale delle autorità”) Azione 11.2
(“Qualificazione ed empowerment delle istituzioni, degli operatori, degli stakeholders della pubblica
amministrazione”, obiettivo specifico 11e) (“Migliorare la governance multilivello e le capacità degli
organismi coinvolti nella attuazione e gestione dei programmi operativi”).
2
127
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
In epoca moderna la Puglia è stata interessata dai flussi migratori a partire dai
primi anni Novanta del secolo scorso, periodo durante il quale cominciava a prendere
forma una diffusa consapevolezza dell’importanza della collocazione geo-politica di
questa regione all’interno del Bacino del Mediterraneo. Oggi, a distanza di circa
trent’anni, appare sempre più attuale l’espressione di “Puglia, Regione di Frontiera”,
allora coniata dal Presidente della Giunta regionale, Salvatore Distaso.4 Numerose
furono le iniziative volte al consolidamento del ruolo della Regione nell’ambito di
tutti quei processi decisionali finalizzati ad operare azioni dirette sul “fenomeno
migratorio”: si pensi, ad esempio, all’“Osservatorio Interregionale delle Migrazioni
Mediterranee”, così come le diverse istanze tendenti ad evidenziare, in ambito
europeo, la necessità di riservare maggiore attenzione al Bacino del Mediterraneo; e
questo, attraverso l’attuazione di politiche di sviluppo in un quadro di reale
cooperazione decentrata.
Oggi la Regione Puglia è impegnata fortemente sulla questione migratoria e, non in
ultimo, con la realizzazione del Piano Triennale per le politiche migratorie
(approvato con delibera di Giunta regionale n°6 del 12 gennaio 2018). In questo cono
di luce il presente capitolo intende offrire un’analisi del contesto immigratorio oggi
presente in Puglia, attraverso uno studio delle policy in atto e degli elementi
programmatori all’uopo predisposti.
2.
Il contesto di riferimento
Al 1° gennaio 2018, gli ultimi dati Istat attestano che i residenti stranieri in Puglia
sono 134.351, corrispondenti al 3,32% della popolazione residente (nel 2008 erano
l’1,5%); l’incidenza nell’intero Sud Italia ha superato il 4%, mentre, a livello
nazionale, ha raggiunto l’8,5%.
Entrando nel dettaglio delle singole province e considerando le consistenze assolute,
nel corso del 2017, la provincia di Bari ha registrato le presenze maggiori, con circa
42 mila residenti stranieri, mentre, in termini percentuali, il primato spetta alla
4
IPRES, “Puglia Regione di frontiera - I percorsi scientifici e l’impegno istituzionale di Salvatore
Distaso”, Cacucci Editore, Bari 2009.
128
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
provincia di Foggia con il 4,5%, seguita da Bari, Lecce, BAT, Brindisi e Taranto.
La variazione percentuale annuale è significativa poiché registra un aumento del
+4,3% su base regionale (pari a +5.261 residenti stranieri), con percentuali vicine al
+6% nelle province di Taranto, Brindisi e Lecce. Per Taranto (sede di Hotspot)
l’aumento può essere collegato agli sbarchi e alla successiva decisione di accogliere
le persone sul territorio. Nelle altre due province, protagoniste di arrivi soprattutto nei
primi anni Novanta, si può ipotizzare un aumento giustificato dalla presenza di
seconde generazioni e da una migrazione di ritorno, ossia famiglie di stranieri che dal
Sud Italia si sono spostate al Nord per migliorare le proprie condizioni economiche, e
che poi, a causa della crisi, sono rientrate in un territorio il cui costo della vita si
mantiene a livelli più bassi e accessibili.
Il dato sull’aumento della presenza straniera è ancora più rilevante se confrontato con
quello nazionale, fermo al +0,4% (pari a +20.875 unità).
L’ipotesi della migrazione di ritorno è avvalorata anche dal fatto che non si registrano
particolari variazioni nelle provenienze: gli stranieri residenti in Puglia, infatti,
provengono principalmente da Romania (27,2%), Albania (17,7%), Marocco (7,4) e
Cina (4,4%). La Romania prevale in tutte le province ad eccezione di Bari, in cui la
collettività più numerosa rimane quella albanese. La quota di donne si contrae,
passando dal 52,6% al 51,6%. Un andamento simile si riscontra in tutte le province e
rispecchia quasi l’intera situazione del Sud, al contrario di quanto accade a livello
nazionale. Le donne straniere residenti in Puglia provengono prevalentemente da
Romania (32,8%), Albania (16,6%), Marocco (5,9%) e Georgia (4,6%, che
rappresentano il 24,9% delle donne georgiane presenti in Italia).
L’analisi per classe d’età degli stranieri residenti fa emergere una prevalenza della
fascia compresa tra i 30 e i 44 anni (33,9%), in linea con i valori nazionali (34,0%).
Le province di Lecce e Brindisi registrano, tuttavia, alte percentuali, nettamente
superiori a quelle regionali e nazionali, di stranieri compresi nelle classi d’età 45-64 e
oltre 65 anni. In particolare nella provincia di Brindisi si registra un 6,6% di over65
sul numero dei residenti stranieri, a fronte di un dato regionale pari al 3,5% e
nazionale pari al 3,7%, mentre nella provincia di Lecce risiede il 23,1% degli
129
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
stranieri ultra 65enni presenti sul territorio regionale. Sono dati, questi, che risentono
evidentemente delle diverse fasi migratorie che la Puglia ha vissuto e continua a
vivere; nel Salento, in particolare, emergono numeri riferibili a una migrazione più
datata, che ha raggiunto la Puglia nei primi anni Novanta del secolo scorso, diversa
da quella attuale: oggi le coste pugliesi sono nuovamente terra d’approdo, sebbene gli
arrivi facciano parte di una migrazione per lo più di transito, che aspetta di essere
distribuita sul territorio nazionale.
Rispetto all’età, emerge, inoltre, che nelle fasce più adulte della popolazione
straniera, prevalgono nettamente le donne, pari al 61,8% nella classe 45-64 anni e al
59,5% negli over65 (a fronte del 64,8% nazionale): queste due classi totalizzano
rispettivamente il 28,2% e il 4,0% e delle presenze femminili straniere in Puglia.
In considerevole aumento sono le acquisizioni di cittadinanza, che raggiungono la
cifra di 2.376 nel 2017, mentre erano solo 824 dieci anni prima e 1.064 nel 2012. La
provincia in cui si registra il maggior numero di acquisizioni è Bari, seguita,
nell’ordine, da Lecce e Foggia. Il totale delle acquisizioni di cittadinanza, dal 2008 al
2016, è pari a 12.183, l’1,3% del totale nazionale.
I titolari di permessi di soggiorno sono 84.308 nel 2016 (pari al 2,9% del totale
nazionale). Le provenienze sono ripartite quasi in maniera equilibrata tra Europa
(33,2%), Africa (32,1%) e Asia (30,5%). Tra i permessi a termine (40.447)
prevalgono i motivi afferenti all’asilo e alle diverse forme di protezione (36,3%),
seguiti da motivi familiari (28,2%) e lavoro (30,2%). Da sottolineare che i titolari di
un permesso per asilo/motivi umanitari rappresentano il 7,7% della quota nazionale.
Questi prevalgono in tutte le province, ad eccezione di Bari, in cui le percentuali più
alte riguardano i motivi familiari (35,1%) e lavorativi (33,1%).
I permessi di soggiorno rilasciati per la prima volta, sempre nel 2016, sono stati
9.255, il 4,1% del totale nazionale. Per il 45,0% si tratta di richieste d’asilo, a fronte
di una percentuale nazionale che non supera il 30%. Nella provincia di Foggia la
stessa percentuale raggiunge il 65,9%, mentre il dato più basso si registra nella
provincia di Bari (23,0%).
Nelle strutture temporanee di accoglienza localizzate sul territorio regionale, risultano
130
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
presenti 6.606 stranieri al 31 marzo 2017, il 4,8% del totale nazionale. Entrambi i
valori superano quelli riferiti a regioni come Sicilia e Calabria, più fortemente
interessate dagli sbarchi. Le persone ospitate nell’hotspot di Taranto sono 285,
mentre gli immigrati presenti nei centri di prima accoglienza sono 3.378. A gennaio
2019, risultano accolte nel Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR)
3.445 persone, pari al 9,7% del totale nazionale, percentuale superata soltanto da
Sicilia, Lazio e Calabria (www.sprar.it/i-numeri-dello-sprar).
2.1 I minori stranieri
I minori stranieri presenti sul territorio pugliese nel 2017 sono 23.708. I nuovi nati,
sempre stranieri, sono 1.567, il 2,3% del totale nazionale e il 24,4% dei nuovi nati nel
Sud Italia (ISTAT). Il numero dei nuovi nati risulta in leggero, ma costante aumento,
nel corso degli anni. Un fenomeno rilevante in un Paese che continua a registrare una
notevole diminuzione delle nascite.
Il Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali – Direzione generale
dell’immigrazione e delle politiche d’integrazione, ha rilevato che al 30 giugno 2017
i minori stranieri non accompagnati presenti e censiti in Italia sono 17.864; la Puglia
ne ospita 795, il 4,5% del totale nazionale. I minori stranieri non accompagnati
accolti in Puglia provengono prevalentemente da Pakistan, Egitto, Nigeria, Eritrea,
Mali, Somalia e Afghanistan. Le strutture di accoglienza in Italia sono, in totale,
1.917, il 6,4% delle quali (123) è ubicato in Puglia.
Con riferimento al sistema scolastico, dal rapporto Gli alunni stranieri nel sistema
scolastico a.s. 2016/2017 (MIUR-Ufficio di statistica), emerge che gli alunni stranieri
in Puglia sono 16.992, il 2,7% del totale degli studenti iscritti nelle scuole pugliesi (la
media italiana è del 9,4%) e il 2,1% del totale degli studenti stranieri presenti nelle
scuole italiane. A fronte di una riduzione delle iscrizioni di alunni italiani di 13.959
unità tra gli a.s. 2015/2016 e 2016/2017, le iscrizioni di alunni stranieri sono
aumentate di 435 unità. Inoltre, nel 30,2% degli istituti scolastici non sono presenti
alunni stranieri. Negli ordini anagraficamente più bassi (infanzia, primaria,
131
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
secondaria di primo grado) risulta alta la percentuale di alunni stranieri nati in Italia
(nella scuola primaria si raggiunge il 72,3%), mentre nella scuola secondaria di
secondo grado prevalgono gli alunni nati all’estero, 79,5%, ovvero minori e
adolescenti che hanno vissuto l’esperienza della migrazione: un fenomeno che non
coinvolge soltanto la Puglia, ma l’Italia intera. In regione, inoltre, risulta alta la
percentuale di chi tra gli alunni stranieri è entrato per la prima volta nel sistema
scolastico italiano nell’a.s. 2016/2017 (4%). La media italiana è 3,1% mentre il
Meridione registra, in generale, percentuali più alte.
2.2 La situazione socio-occupazionale
Nel 2017, secondo i dati ISTAT, i nati all’estero occupati in Puglia sono 98.345, il
2,9% del totale nazionale e il 9,3% delle persone occupate complessivamente in
Puglia (percentuale stabile rispetto agli anni precedenti). Il 39,9% risulta occupato nel
settore dei servizi, settore prevalente in tutte le province, ad eccezione di Foggia, in
cui il 50,2% è occupato in agricoltura. In riferimento alle dimensioni aziendali, la
percentuale più alta di questi lavoratori (83,6%) lavora nella micro-impresa (1-9
addetti). Sono prevalenti, inoltre, come tra i residenti, i nati in Romania e Albania.
Rispetto ai paesi di nascita, il confronto con i numeri nazionali rivela, però, scenari
interessanti e in parte nuovi: è occupato in Puglia il 23,1% dei maliani occupati in
Italia, il 16,5% dei gambiani e il 10,7% dei bulgari.
Risulta alta l’incidenza dei nati all’estero tra i nuovi assunti, ossia tra le persone
contrattualizzate per la prima volta nell’anno 2017: in regione è pari al 26,0%, 11.998
individui, e sale al 53% nella provincia di Foggia. I nuovi assunti provengono
prevalentemente da Romania e Bulgaria (questi ultimi sono il 24,9% dei nuovi
assunti bulgari in Italia). Il settore che ha assorbito la più alta percentuale di nuovi
assunti è l’agricoltura (44,7%).
Le cessazioni, ossia le persone fisiche che nel corso dell’anno hanno conosciuto
almeno una cessazione dal lavoro, risultano 60.400, il 4,3% del totale nazionale, con
una forte concentrazione nella provincia di Foggia, il 39,6% del dato regionale.
Se le nuove assunzioni vedono le percentuali di uomini e donne pari rispettivamente
132
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
al 70,9% e 29,1% (a livello nazionale, 57,8% e 42,2%), le cessazioni coinvolgono il
66,0% degli uomini e il 34,0% delle donne.
Infine, le imprese “immigrate” (ovvero condotte a maggioranza, nelle forme
societarie, o individualmente negli altri casi, da persone nate all’estero) sono 18.784,
il 3,3% delle imprese “immigrate” nate in Italia. Sono concentrate, prevalentemente,
nelle province di Lecce e Bari, anche se, rispetto al 2015, l’aumento più
considerevole si registra in provincia di Foggia (+7,0%), mentre nella provincia di
Bari crescono dello 0,8%. A livello regionale l’aumento è pari al 3,6%, mentre quello
riferito alle imprese italiane si arresta allo 0,4%.
3. Le Policy della Regione Puglia
Il nostro contesto regionale è caratterizzato dalla presenza di un triplice fenomeno
migratorio, le cui esigenze e, conseguentemente, le politiche d’intervento risultano
diversificate: per un verso, infatti, la Puglia è interessata da cosiddetti flussi migratori
di “passaggio”, ovvero di migranti che approdano in Puglia ma sono interessati a
raggiungere mete economiche ed occupazionali più allettanti, per altro verso, il
fenomeno è da leggersi in funzione di una presenza stanziale diffusa su tutto il
territorio, ed ancora, in forza di specifici flussi migratori, richiamati dal fabbisogno
stagionale di manodopera nel settore agricolo e/o assistenziale.
Il fondamento normativo regionale per gli ambiti d’intervento è costituito dalla L.R.
32/2009 (Norme per l’accoglienza, la convivenza civile e l’integrazione degli
immigrati in Puglia), che, destinata ai cittadini di Stati non appartenenti all’UE, agli
apolidi, ai richiedenti asilo e ai rifugiati con protezione internazionale, umanitaria e
sussidiaria presenti sul territorio regionale, concorre alla tutela dei diritti dei cittadini
immigrati, attivandosi per l’effettiva realizzazione dell’uguaglianza formale e
sostanziale di tutte le persone (art. 1 e 2).
Nel corso degli anni la Regione ha promosso la realizzazione di azioni orientate
soprattutto all’empowerment delle popolazioni migranti, attraverso il coinvolgimento
degli altri Enti Locali e delle associazioni del terzo settore che operano sul territorio:
si pensi all’apertura degli sportelli per l’integrazione socio-sanitaria e culturale (ex art.
133
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
108 R.R. 4/2007), chiamati a garantire e gestire attività di informazione sui diritti, di
formazione e affiancamento degli operatori sociali e sanitari per la promozione della
cultura, dell’integrazione organizzativa e professionale in favore degli immigrati, di
primo orientamento e accompagnamento dei cittadini stranieri nell’accesso alla rete dei
servizi socio-sanitari, dell’istruzione e di consulenza tecnica specialistica.
Anche in termini di competenze linguistiche, la Regione ha consolidato la pratica
di realizzare corsi di italiano e servizi di mediazione linguistica e culturale per
contrastare la dispersione scolastica dei minori stranieri. Diverse sono, altresì, le linee
programmatiche a sostegno di iniziative di contrasto al lavoro irregolare e allo
sfruttamento, affiancate da misure per far fronte all’emergenza abitativa.
Specificamente, nel corso del 2015 è stato ratificato l’Accordo per la
programmazione e lo sviluppo di un sistema di interventi finalizzati a favorire
l’integrazione sociale e l’inserimento lavorativo dei migranti regolarmente presenti in
Italia,5 presentato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e concernente la
programmazione integrata in tema di politiche migratorie, attraverso la definizione di
obiettivi condivisi e l’integrazione degli strumenti finanziari comunitari, nazionali e
regionali.
Sempre del 2015 è l’Accordo tra l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali
(UNAR) e la Regione Puglia per l’attuazione del progetto Trasferimento di
metodologie per il monitoraggio delle discriminazioni.6 Poiché la programmazione e
la realizzazione delle politiche regionali per le migrazioni incrociano competenze
specifiche e strutture amministrative di tutti i Dipartimenti della Regione Puglia, al
fine di renderne più efficace l’attuazione, nel corso del 2016, è stato istituito il
Coordinamento regionale delle politiche per le migrazioni,7 che si inserisce nel
sentiero, già avviato, della cooperazione interistituzionale e territoriale nel settore
delle politiche per l’integrazione, in considerazione della complessità e della mobilità
del fenomeno migratorio. Si assiste ad una trasformazione dell’approccio alle
5
DGR 17 marzo 2015, n. 457 pubblicata sul BURP n. 52 del 14/04/2015.
DGR 20 gennaio 2015, n. 20 pubblicata sul BURP n. 24 del 17/02/2015.
7
Decreto del Presidente della Giunta Regionale del 16 giugno 2016, n. 413, pubblicato sul BURP n. 72
del 23-6-2016.
6
134
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
politiche, come attestato dalla recente adesione della Puglia ai tre progetti
interregionali, NET.WORK-Rete Antidiscriminazione, Skills for services to
immigrants e Bambini in alto mare, L’accoglienza familiare dei minori stranieri,8
finanziati da fondi FAMI 2014-2020 e in seguito alla stipula del Protocollo d’intesa
tra le Regioni Calabria, Campania, Puglia e Sicilia per la collaborazione a livello
interregionale in materia di immigrazione.9
Con la Delibera di Giunta Regionale n. 596 del 26 aprile 2016, la Regione Puglia
ha provveduto all’affidamento della gestione temporanea dell’Azienda agricola di
proprietà regionale “Fortore” all’Associazione di immigrati “Ghetto Out – Casa
Sankara”, al fine di sperimentare nuove pratiche di inclusione socio-lavorativa e per far
fronte all’emergenza abitativa dei lavoratori migranti della Capitanata.
Si menziona, inoltre, la Delibera di Giunta Regionale n. 906 del 7 giugno 2017
finalizzata a porre in essere un intervento strutturale in termini di contrasto al disagio
abitativo e sociale dei braccianti agricoli immigrati. Provvedimento, questo, con il
quale è stata realizzata a Nardò (Le) la prima foresteria per lavoratori migranti
stagionali e che ha registrato anche per la “stagione 2018” una presenza pari a 150
“ospiti” (in fase di realizzazione le altre due foresterie previste per la provincia di
Foggia e, precisamente, a San Severo ed Apricena).
Sempre nell’ambito delle politiche di contrasto al “caporalato”, nell’aprile 2018 la
Regione Puglia ha sottoscritto un’apposita Convenzione con il Comune di Turi con la
quale si è impegnata a cedere, a titolo gratuito, 34 moduli abitativi per l’allestimento
di una foresteria temporanea per circa 150 lavoratori stagionali impiegati nella
raccolta cerasicola 2018.
La Regione Puglia, ancora, attraverso l’approvazione della Delibera di Giunta n.
1446 del 14 settembre 2017, ha proceduto con la stipula di una nuova Convenzione
con l’Associazione “Ghetto out – Casa Sankara”, diretta all’accoglienza temporanea,
presso la struttura di San Severo denominata “L’Arena”, di parte di quei lavoratori
migranti ancora residenti nei terreni adiacenti il luogo ove sorgeva il cosiddetto
8
9
DGR 22 marzo 2016, n.309 pubblicata sul BURP n. 37 del 05-4-2016.
DGR 9 dicembre 2015, n. 2208 pubblicata sul BURP n. 162 del 18-12-2015.
135
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
“Gran ghetto” (ubicato tra i Comuni di San Severo e Rignano Garganico). Da ultimo,
è necessario menzionare la Delibera di Giunta regionale n. 6 del 12 gennaio 2018 con
la quale è stato approvato il Piano triennale Politiche migratorie 2016 – 2018.
Il tema delle politiche per l’immigrazione compare, ancora, in maniera sostanziale,
anche nel nuovo Programma Operativo Regionale FESR-FSE 2014-2020, in particolare negli Assi 8 e 9 dedicati all’occupabilità e alla lotta alle discriminazioni e
all’inclusione sociale: un obiettivo specifico è riservato all’accrescimento
dell’occupazione degli immigrati, attraverso il miglioramento delle proprie
competenze professionali, incluso il riconoscimento dei titoli acquisiti nel paese di
origine, e il sostegno alla creazione d’impresa e al lavoro autonomo, compreso il
trasferimento d’azienda (ricambio generazionale).10
Analogamente, all’interno dell’obiettivo tematico 9 del POR Puglia, gli interventi
destinati più in generale alle persone in difficoltà sono affiancati da specifici
interventi per gli immigrati, quali gli interventi contro le discriminazioni e quelli
per contra- stare il disagio abitativo. Cosicché, il processo di integrazione culturale
e sociale degli immigrati in Puglia resta un elemento fondamentale nell’ambito
della programmazione regionale, da promuovere con continuità, anche al fine di
favorire nei cittadini la conoscenza e la consapevolezza del fenomeno migratorio,
che ha caratteristiche poliedriche e complesse e che necessita di una sensibilità
culturale verso l’interazione e l’integrazione.
Nell’ambito della programmazione regionale si prevede l’istituzione di
specifiche attività di mediazione interculturale, integrate in progetti di inclusione
sociale attiva al fine di facilitare le relazioni con i cittadini immigrati, con l’intento di
promuovere la reciproca comprensione e di favorire un rapporto positivo fra questi.
Sono previste, altresì, misure per aumentare la legalità nelle aree ad alta esclusione
sociale e miglioramento del tessuto urbano nelle aree a basso tasso di legalità,
10
In coerenza con l’Agenda Europea per nuove competenze e lavoro, con gli orientamenti del Consiglio
2014/322/UE e con la raccomandazione n.5, si intende incrementare il tasso di occupazione della
popolazione straniera, ovvero, far crescere il numero di persone occupate rispetto al totale
della
popolazione extra UE, in età 15-64 anni. In tale contesto si delinea la volontà della Regione di investire su
specifiche misure di politica attiva per l’inserimento lavorativo degli immigrati, mirando principalmente
alla formazione e a favorire il processo di imprenditorialità straniera.
136
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
favorendo percorsi di rigenerazione urbana e sociale a partire dal riuso di beni e
aziende confiscate alle mafie, per la promozione sociale ed economica delle comunità
locali.
4.
Il Piano triennale per le Politiche migratorie 2016 – 2018
La Regione Puglia, compatibilmente alle prerogative che le vengono attribuite
dalla normativa nazionale, da alcuni anni è impegnata in percorsi che guardano al
raggiungimento di un’effettiva inclusione di tutta la popolazione migrante, presente
sul proprio territorio e nelle sue diverse composizioni. In tal senso, al fine di
pervenire ad una significativa individuazione degli obiettivi strategici e degli
interventi da adottare, per la redazione del Piano triennale per le politiche migratorie
2016 – 2018 ci si è soffermati sull’esame delle criticità emerse ed evidenziate nel
corso dei Forum tematici provinciali tenutisi nei mesi di febbraio e marzo 2017. Tali
incontri si sono svolti all’interno di quel processo di condivisione e partecipazione
allargata denominato MiCS (Migrazione Condivisa e Sostenibile) e si sono articolati
sull’analisi di quattro macro tematiche: politiche del lavoro, della salute, abitative e
dell’integrazione. Le istanze, le priorità e le problematiche esistenti, sottolineate dagli
attori territoriali (sindacati, enti pubblici, terzo settore) nel corso di MiCS, sono state
oggetto di approfondimento e tenute in debita considera- zione nella costruzione delle
linee di intervento e delle possibili azioni da adottare attraverso il nuovo Piano
triennale 2016 – 2018 (approvato con Delibera di Giunta regionale n°6 del 12 gennaio
2018). Il Piano, fondamentalmente, prevede la realizzazione di specifici interventi
nell’ambito delle quattro aree tematiche di riferimento precedentemente menzionate:
Politiche del lavoro e formazione, Politiche della salute, Politiche abitative e Politiche
d’integrazione.
Politiche del lavoro e formazione. Previste numerose linee di intervento, tra queste
la realizzazione di forme di agricoltura sociale capaci di creare filiere etiche, corsi di
formazione on the job presso botteghe artigiane, corsi di formazione per l’ottenimento
della qualifica di mediatore culturale (con creazione di un apposito Elenco regionale),
137
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
adozione di un modello formativo per l’aggiornamento delle competenze degli
operatori della Pubblica Amministrazione.
Politiche della salute. Nel campo della tutela e dell’accesso al diritto alla salute, sono
previste azioni finalizzate alla creazione, all’interno dei distretti sanitari e ospedalieri,
di sistemi di mediazione linguistica e culturale; così come saranno attivate cliniche
mobili capaci di garantire assistenza socio-sanitaria presso i maggiori insediamenti dei
braccianti agricoli stagionali (insediamenti nei quali saranno assicurati anche
interventi di prima accoglienza igienico-sanitaria).
Politiche abitative. Realizzazione di tre foresterie per l’accoglienza dei braccianti
agricoli stagionali, attraverso l’avvio di un modello sperimentale che preveda
l’utilizzo di moduli abitativi dignitosi e servizi alla persona finalizzati alla
promozione del lavoro dei cittadini immigrati. Previste, altresì, formule di
incentivazione per la costituzione delle cosiddette “botteghe dei mestieri”, proprio in
quelle aree nelle quali si registrano gli indici più alti in termini di “spopolamento”.
Politiche di integrazione. Diverse le azioni che saranno indirizzate alla
promozione delle attività di integrazione e mediazione sociale svolte dalle
associazioni dei migranti e questo attraverso percorsi di partecipazione attiva e diretta
alla vita sociale, economica e culturale del territorio.
5.
Gli strumenti: progettazione FAMI, PON Legalità, PON Inclusione
Tra le misure predisposte a livello nazionale ed adottate dalla Regione è doveroso
riportate il Fondo asilo migrazione e integrazione 2014-2020; si tratta di uno
strumento finanziario istituito con Regolamento UE n. 516/2014 con l’obiettivo di
promuovere una gestione integrata dei flussi migratori sostenendo tutti gli aspetti del
fenomeno: asilo, integrazione e rimpatrio.
Specificatamente, nell’area “Tutela della salute e inclusione socio-sanitaria”, la
Regione ha attivato il progetto FAMI “Prevenzione 4.0”. Tra gli obiettivi: favorire la
realizzazione di reti e rapporti collaborativi tra servizi pubblici, privati e del privato
sociale; creare e sperimentare un sistema integrato di rilevazione, prevenzione,
138
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
diagnosi, cura e riabilitazione dei richiedenti e titolari di protezione internazionale sul
territorio regionale pugliese; adottare strategie efficaci di alfabetizzazione e
educazione sanitaria dell’utenza.
Nel “settore” categorie vulnerabili, la regione è capofila del progetto FAMI
“Future”, finalizzato alla creazione di percorsi di inclusione socio-lavorativa nei
confronti dei Minori stranieri non accompagnati presenti nelle strutture di seconda
accoglienza operative in Puglia.
Nell’ambito della formazione e inserimento lavorativo, poi, la Regione Puglia è
capofila del progetto FAMI “Skills to work”. Il progetto ha come finalità generale
quella di costruire un sistema di raccordo tra le politiche del lavoro, dell’integrazione e
dell’accoglienza. Tra i suoi obiettivi: l’attivazione di percorsi integrati individualizzati
realizzati attraverso la certificazione di competenze formali e informali; la
validazione/certificazione dei titoli posseduti acquisiti nei Paesi d’origine o di
transito; l’attivazione sperimentale presso ciascun CPI provinciale di uno Sportello per
l’immigrazione gestito con le risorse umane multilingue.
Nel campo delle politiche di integrazione, la Regione Puglia ha attivato l’Azione
02 del FAMI Multiazione IMPACT che prevede la “Promozione dell’accesso ai
servizi per l’integrazione”. Obiettivo principale è quello di facilitare e qualificare i
percorsi di integrazione dei cittadini stranieri attraverso l’organizzazione di un sistema
integrato di servizi territoriali (lavoro, integrazione, alloggio, salute e istruzione).
Progetto, questo, che determinerà interventi volti allo sviluppo di azioni di governante
multilivello, atte a favorire l’innovazione dei processi organizzativi dei servizi rivolti
ai cittadini stranieri, attraverso un approccio integrato alla pianificazione degli
interventi.
Parallelamente, è operativa anche l’Azione 04 del FAMI Multiazione IMPACT
che attiene alla “Promozione della partecipazione attiva dei migranti alla vita
economica, sociale e culturale, anche attraverso la valorizzazione delle associazioni”.
La principale finalità è il miglioramento del ruolo delle associazioni di cittadini
stranieri nella promozione di processi di integrazione dinamici e trilaterali, basati sul
coinvolgimento attivo dei migranti, delle comunità locali e dei paesi d’origine. Previsti
139
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
interventi volti alla promozione della partecipazione attiva e diretta dei cittadini
immigrati e delle loro associazioni di rappresentanza, nonché alla pianificazione di
politiche di integrazione attraverso il coinvolgimento diretto delle associazioni stesse.
Nel settore della Formazione Linguistica e Qualificazione sistema scolastico, la
Regione Puglia ha attivato due azioni specifiche.
La prima, progetto FAMI “Puglia integrante – Formazione, partecipazione e
integrazione sociale”, individua diversi obiettivi. Tra questi, l’aumento della
conoscenza della lingua italiana da parte della popolazione migrante con relativa
certificazione, il potenziamento della conoscenza delle modalità di accesso e
fruizione dei servizi territoriali pubblici e privati, il rafforzamento della governance
regionale delle azioni di integrazione linguistica mediante la strutturazione della rete
territoriale esistente.
La seconda azione, Azione 01 del FAMI Multiazione IMPACT, “Qualificazione
del sistema scolastico in contesti multiculturali, anche attraverso azioni di contrasto alla
dispersione scolastica”, si pone l’obiettivo di promuovere l’inclusione sociale di minori e
giovani stranieri, anche di seconda generazione, di contrastare la dispersione
scolastica e di fronteggiare i gap di rendimento. Previsti interventi di rafforzamento
dell’offerta formativa in materia di insegnamento della lingua italiana e
potenziamento di percorsi di sensibilizzazione ai temi dell’integrazione e contrasto
alla discriminazione in ambito scolastico. L’azione, altresì, stabilisce interventi volti
al recupero della dispersione e dell’abbandono scolastico all’interno di percorsi di
formazione scolastica e professionale, nonché attività finalizzate alla promozione del
coinvolgimento diretto delle famiglie di migranti alla vita scolastica stessa. Previsti,
ancora, interventi di valorizzazione dell’identità culturale e delle esperienze di peer
education. E questo attraverso la partecipazione attiva di studenti, giovani e in modo
particolare dei giovani di seconde generazioni.
In merito al rafforzamento dei modelli di governance, la Regione Puglia è capofila
del progetto FAMI “COM&IN”. Tale progettualità intende provvedere al
rafforzamento di reti di governance regionale e al coordinamento a livello territoriale
140
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
tra istituzioni, enti locali e associazioni del terzo settore, ai fini di qualificare l’offerta
dei servizi rivolti ai cittadini di Paesi terzi. All’interno di tale obiettivo generale,
s’intende migliorare la capacità dei pubblici uffici e degli operatori degli ambiti
sociali di fornire servizi mirati all’utenza straniera. Previsti, inoltre, specifici interventi
sia per la promozione delle competenze del personale della Pubblica Amministrazione
sia per favorire l’innovazione dei processi organizzativi di accoglienza ed
integrazione dei cittadini stranieri. Tra gli obiettivi, ancora, quello di sviluppare reti
istituzionali per la gestione dei fenomeni migratori, nonché promuovere l’inclusione
dei temi dell’integrazione all’interno della programmazione e dell’attuazione degli
interventi di politica sociale. Cosi come, sempre in funzione del rafforzamento dei
modelli di governante, la nostra Regione è capofila del progetto “SU.PR.EME
ITALIA” (all’interno dei FAMI - Misure emergenziali). Obiettivo principale: realizzare
un Piano Straordinario Integrato di interventi a contrasto e superamento di tutte le
forme di grave sfruttamento lavorativo e di grave marginalità/vulnerabilità insistenti
nei territori delle 5 Regioni del Sud partner (Puglia, Calabria, Basilicata, Sicilia,
Campania), con particolare focus alle aree territoriali oggetto di recente
commissariamento prefettizio da parte del Governo per Castelvoturno (CE),
Manfredonia (FG) e San Ferdinando (RC) e ad altre aree che presentano medesime
condizioni di allarme sociale derivanti dalla elevata concentrazione di cittadini di
paesi terzi regolarmente presenti.
Nel settore dell’Informazione e Comunicazione, la Regione Puglia ha attivato
l’Azione 03 del FAMI Multiazione IMPACT “Servizi di informazione qualificata,
attraverso canali regionali e territoriali di comunicazione”. L’intervento in oggetto si
pone l’obiettivo di favorire un’informazione integrata e completa sui servizi e sulle
opportunità presenti sul territorio nazionale, in particolare attraverso la valorizzazione
di strumenti di comunicazione istituzionale e il consolidamento delle reti esistenti dal
livello locale fino a quello nazionale. E questo attraverso lo strumento del Portale
Integrazione Migranti, quale punto di raccordo nazionale di informazioni e diffusione
di esperienze virtuose realizzate a livello territoriale.
Accanto alla progettazione FAMI, poi, vi sono quattro candidature ai PON
141
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
LEGALITÀ 2018 riguardanti rispettivamente: agricoltura sociale innovativa;
attivazione di cliniche mobile; mediazione linguistica e culturale; gestione emergenza
abitativa lavoratori migranti stagionali.
Inoltre, sussiste una candidatura al PON INCLUSIONE 2014–20120 che vede la
nostra regione essere capofila, in partenariato con le altre quattro regioni meridionali
(Sicilia, Campania, Basilicata e Calabria), del progetto “P.I.U. – SUPREME - Percorsi
Individualizzati di Uscita dallo sfruttamento”. Intervento, questo, con il quale si vuole
strutturare un’azione di sistema interregionale, finalizzato a contrastare il fenomeno
del lavoro irregolare e dello sfruttamento, integrando e rafforzando le diverse
iniziative di contrasto e di prevenzione. In raccordo con le 5 regioni e con i soggetti
firmatari del protocollo nazionale anti-caporalato, infatti, si intende programmare un
insieme combinato di interventi di supporto all’integrazione (sociale, sanitaria,
abitativa) e di politica attiva, finalizzati a sostenere percorsi individualizzati di
accompagnamento all’autonomia dei destinatari, restituendo trasparenza e dignità
all’incontro tra domanda e offerta di lavoro. La Regione puglia è capofila, infine, in
partenariato con la Rete regionale delle associazioni territoriali11 di riferimento, del
progetto “La Puglia non Tratta II, insieme per le vittime”, teso a contrastare la
discriminazione razziale e la tratta degli esseri umani finalizzata allo sfruttamento
sessuale e/o lavorativo.
6.
L’esperienza dell’azienda regionale “Fortore” e “Casa Sankara”
Con la Delibera di Giunta Regionale n.596 del 26 aprile 2016, la Regione Puglia
ha provveduto all’affidamento della gestione temporanea dell’Azienda agricola di
proprietà regionale “Fortore” (comprensiva di 20 ettari di terra) all’Associazione di
immigrati “Ghetto Out – Casa Sankara”, al fine di sperimentare nuove pratiche di
inclusione socio-lavorativa e per far fronte all’emergenza abitativa dei lavoratori
migranti della Capitanata. Il progetto in questione assume una valenza molto
11
Cooperativa sociale Atuttotenda, Cooperativa sociale C.A.P.S., Associazione Giraffa Onlus, Cooperativa sociale IRIS, Associazione Micaela Onlus, Cooperativa sociale Oasi2 - San Francesco Onlus,
Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII.
142
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
particolare, perché viene portato avanti in un territorio dove, indubbiamente,
molteplici e problematiche sono le dinamiche legate all’immigrazione.
Oggi
l’azienda
agricola
“Fortore”,
attraverso
il
lavoro
svolto
dall’Associazione “Ghetto out –Casa Sankara” e la “Cooperativa Africa Di
Vittorio”, nonché grazie al supporto diretto da parte della Regione Puglia, incarna
appieno il concetto di speranza. Il Fortore, ormai, rappresenta un simbolo nazionale
nella lotta di contrasto al caporalato e nel processo di autodeterminazione dei
lavoratori migranti stagionali.
Un gruppo di persone che ha creduto, fin da subito, nella possibilità di costruire
percorsi inediti, inclusivi, solidali. Strade e strumenti fortemente alternativi a quei
modelli di coercizione che costringono i lavoratori migranti a “sopravvivere” nel
degrado e nell’emarginazione.
In questo luogo, infatti, e già da tempo, si cerca di praticare quotidianamente il
pieno riconoscimento dei diritti umani e della dignità di quei lavoratori
extracomunitari, tanto vessati, quanto, però, indispensabili al mantenimento di un
settore trainante della nostra terra, l’agricoltura. Fortore è un progetto nato sulla base
di una grande sinergia intercorsa tra Istituzioni e Terzo settore. Una risposta di
dignità e di legalità atta a realizzare una filiera di qualità nella produzione agricola,
finalmente libera dalla triste piaga del caporalato e dello sfruttamento lavorativo. Non
è un caso che 300 lavoratori migranti ‘fuoriusciti’ dal “Gran ghetto” nel marzo 2017
abbiano deciso, alla fine, di affidarsi all’Istituzione Regione Puglia e agli operatori di
Casa Sankara e della Cooperativa Di Vittorio.
Entrando nello specifico, diverse ed articolate sono le finalità del progetto che
contraddistinguono l’attività dell’Azienda Fortore. Tra queste, l’istituzione di campi
dimostrativi capaci di promuovere un’agricoltura a basso impatto ambientale ma ad
alto impatto sociale, come l’agricoltura biologica e integrata. Sono previste, ancora,
diverse azioni progettuali mirate al recupero della biodiversità. Attraverso, ad
esempio, l’introduzione e valorizzazione di specie o varietà ormai poco coltivate,
poiché considerate poco remunerative, ma che presentano, comunque, un loro
“mercato di nicchia” e un valore ambientale-culturale da recuperare. L’Azienda
143
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
agricola “Fortore”, quindi, rappresenta a tutti gli effetti un modello sperimentale dove
è possibile portare avanti un percorso di legalità legato al lavoro stagionale in
agricoltura, attraverso il quale realizzare una filiera “regolare” fuori dalle dinamiche
criminali che contraddistinguono il “caporalato”. Il Fortore attualmente ospita circa
200 persone, tra queste vi sono anche alcune famiglie con bimbi al seguito
(regolarmente iscritti nelle scuole), che provengono dalla difficile “esperienza di vita”
consumata all’interno del “Gran Ghetto”.
7.
Flusso dei migranti in Puglia: approdi non regolari e sbarchi controllati
Si può affermare con certezza che la Puglia, ad oggi, continua ad essere coinvolta,
anche in maniera rilevante, nelle dinamiche connesse ai “processi migratori” di età
moderna.
Nell’ambito
dell’operazione
“Sophia”
della
missione
europea
“EUNAVFOR Med”, infatti, i porti delle città di Brindisi, Taranto e Bari sono stati
individuati quali luoghi ove effettuare sbarchi di migliaia di profughi tratti in salvo
nel Canale di Sicilia e nel Mediterraneo. Così come continuano approdi “irregolari” di
profughi provenienti dai paesi di transito quali Turchia e Grecia che, a bordo di
natanti di medie dimensioni, giungono direttamente sulle coste del Salento, del
brindisino e in alcuni casi anche del Gargano. Tra dicembre 2015 e il 1° settembre
2019, i migranti giunti nella nostra Regione (attraverso approdi non regolari, oppure
per il mezzo di sbarchi controllati – operazione Sophia Eunavfor Med) ammontano a
19.762, di questi 2.240 sono rappresentati da minori (diverse centinaia quelli privi di
accompagnamento).
7.1. Approdi non regolari
Nello specifico, tra il gennaio 2016 e il 1° settembre 2019, gli approdi irregolari
sono stati 86, per un totale di 4.453 migranti, di cui 580 minori. Diverse le nazionalità
di provenienza: somali, siriani, afghani, irakeni, palestinesi, pakistani, iraniani,
yemeniti, curdi e kosovari. L’ultimo sbarco non regolare in ordine cronologico risale
allo scorso 1° settembre 2019, a S. M. di Leuca, con 35 profughi di nazionalità
irachena e curda (di cui 7 minori). I profughi che giungono sulle nostre coste per il
144
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
mezzo di questa modalità (natanti partiti da Grecia e Turchia e approdati direttamente
in Puglia) sono accolti, prevalentemente, presso il C.P.S.A. (Centro di Primo
soccorso e accoglienza) “Don Tonino Bello” di Otranto e all’interno dei tre C.A.R.A
(Centro di accoglienza richiedenti asilo) di Restinco (Brindisi), Palese (Bari), Borgo
Mezzanone (Manfredonia).
La figura 1 mostra la distribuzione temporale degli sbarchi: le maggiori
consistenze si registrano sul finire del 2016. Successivamente si assiste sia a un calo
della numerosità degli sbarchi che a una flessione abbastanza pronunciata del numero
di migranti.
Fig. 1 – Numero di profughi/immigrati non regolari per data di approdo. Periodo
gennaio 2016 – 1° settembre 2019 (valori assoluti).
200
198
180
169
160
140
120
113
100
95
89
84
80
75
86
75
70
64
62
60
52
37
36
12
15
53
52
63
62
55
17
19
75
72
71
70
75 74
63
56
55
50
43
62
60
47
70
62
59
55
47
41
34
14
35
34
32
28
27
21
6
80
73
73
49
48
36
25
12
83
78
70
43
24
20
52
50
45
40 35
20
54
53 52
48
73
11
4
7
18
18 18
17
15
9
13
11
18 16
11
11-gen-16
31-mar-16
04-mag-16
11-mag-16
17-mag-16
23-mag-16
31-mag-16
02-giu-16
11-giu-16
19-giu-16
22-giu-16
29-giu-16
27-lug-16
28-lug-16
12-ago-16
01-set-16
02-set-16
05-set-16
12-set-16
14-set-16
25-set-16
04-ott-16
09-ott-16
17-ott-16
24-ott-16
25-ott-16
26-nov-16
28-nov-16
31-dic-16
03-gen-17
05-feb-17
09-feb-17
10-apr-17
12-apr-17
28-apr-17
05-mag-17
15-mag-17
02-giu-17
05-giu-17
08-giu-17
08-giu-17
01-lug-17
31-lug-17
10-ago-17
11-ago-17
25-ago-17
07-set-17
09-set-17
18-set-17
30-set-17
30-set-17
11-ott-17
20-ott-17
23-ott-17
01-dic-17
22-feb-18
08-mar-18
06-mag-18
06-mag-18
14-mag-18
25-mag-18
15-giu-18
16-lug-18
23-lug-18
23-lug-18
31-lug-18
16-ago-18
16-ago-18
23-ago-18
26-ago-18
13-set-18
15-set-18
13-ott-18
02-nov-18
03-nov-18
24-mar-19
08-apr-19
23-apr-19
08-mag-19
03-giu-19
06-lug-19
21-lug-19
22-lug-19
28-lug-19
31-lug-19
06-ago-19
11-ago-19
20-ago-19
30-ago-19
01-set-19
0
Elaborazioni IPRES (2019) su fonti diverse.
Il mezzo di trasporto impiegato più frequentemente è la barca a vela: circa 1.900
unità sono giunti con questo mezzo (47% del totale); anche il gommone ed il veliero
hanno favorito l’approdo di circa 750 migranti. La scelta di imbarcazioni di piccole
dimensioni sembra essere imputabile al tentativo, da parte degli scafisti, di non
destare eccessivi sospetti nelle forze dell’ordine sfuggendo ai radar e confondendo i
natanti fra quelli che normalmente affollano le coste salentine durante la stagione
estiva.
145
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
Tab. 1 – Numero di profughi/migranti per mezzo di approdo e genere. Periodo gennaio
2016 - 1° settembre 2019 (valori assoluti).12
Mezzo di approdo
Profughi/mi
granti
Barca a vela battente bandiera greca
97
Barca a vela battente bandiera inglese
34
Barca a vela battente bandiera montenegrina
89
Di cui:
Uomini
Donne
Minori
7
17
Barca a vela battente bandiera tedesca
104
25
Barca a vela battente bandiera turca
158
34
Barca a vela battente bandiera USA
232
Barca a vela battente bandiera pakistana
87
6
73
Barca a vela
1464
19
19
398
73
185
Cabinato di 17 metri battente bandiera USA
113
2
Gommone
214
35
Imbarcazione 13 metri
222
22
Imbarcazione da diporto battente bandiera slovena
9
6
2
1
Motoveliero
73
15
Scafo
13
Scafo vetroresina
12
Semicabinato
22
Veliero battente bandiera Turca
63
Yatch
84
25
25
34
Veliero
481
43
7
81
N.D.
726
50
29
107
7
3
8
7
3
17
Elaborazioni IPRES (2019) su fonti diverse.
12
A volte le voci “di cui” non sono disponibili e si riporta solo il totale aggregato o il totale non
corrisponde alla somma dei dati parziali.
146
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
I mesi in cui si concentrano il maggior numero di sbarchi sono quelli estivi, tra
luglio e settembre, nei quali si verifica oltre il 45% degli approdi; seguono i mesi di
maggio, giugno e ottobre. Sebbene episodici, alcuni sbarchi si verificano anche
durante i mesi più freddi (tra novembre e marzo).
Fig. 2 - Profughi/migranti per mese di approdo. Periodo gennaio 2016 - 1° settembre
2019 (valori percentuali sul totale complessivo dei profughi/migranti approdati nel
medesimo periodo).
18
15,8
15,5
16
14,0
14
12
10,1
10
8,8
8
8,8
7,3
6,6
5,5
6
3,5
4
2
2,0
2,1
0
Elaborazioni IPRES (2019) su fonti diverse.
Con riferimento alla localizzazione e alla consistenza degli sbarchi lungo la costa,
S. M. di Leuca, Gallipoli e Otranto sono i principali punti di accesso, sebbene approdi
si verifichino in maniera sparsa lungo l’intera costa.
147
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
Fig. 3 - Numero di sbarchi per punto di approdo. Periodo gennaio 2016 - 1° settembre
2019 (valori assoluti).
Vieste
3
Torre Colimena - Avetrana
2
Isole Tremiti
1
Vernole - Oasi le Cesine
1
Ugento
2
Tricase
5
Torre Vado
1
Torre San Gennaro - Brindisi
1
Santa Cesarea Terme - Otranto
2
San Foca
1
San Cataldo
1
S. Maria di Leuca
19
Porto Badisco
6
Otranto
11
Marina di Novaglie - Alessano
3
Gallipoli
17
Gagliano del Capo
1
Corsano S. Maria di Leuca
2
Cerano - Brindisi
2
Castro marina
2
Castrignano del Capo-S. Maria di Leuca
0
Brindisi
3
0
2
4
6
Elaborazioni IPRES (2019) su fonti diverse.
148
8
10
12
14
16
18
20
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
Fig. 4 - Numero di profughi/migranti per punto di approdo. Periodo gennaio 2016 - 1°
settembre 2019 (valori assoluti).
Torre Vado
6
Isole tremiti
18
San Cataldo
25
Vernole - Oasi le Cesine
28
Gagliano del Capo
34
Corsano S. Maria di Leuca
40
Santa Cesarea Terme - Otranto
90
Torre Colimena - Avetrana
156
Torre San Gennaro - Brindisi
73
San Foca
73
Castro marina
91
Brindisi
93
Marina di Novaglie - Alessano
103
Ugento
112
Cerano - Brindisi
134
Vieste
176
Tricase
223
Porto Badisco
259
Castrignano del Capo-S. Maria di Leuca
315
Gallipoli
813
S. Maria di Leuca
810
Otranto
781
0
100
200
300
400
500
600
700
800
900
Elaborazioni IPRES (2019) su fonti diverse.
La tabella 2 illustra la nazionalità dei migranti approdati; in molti casi il dettaglio
per singola provenienza non è possibile e il dato è aggregato. Tuttavia sono abbastanza
chiari i flussi maggiormente consistenti (Afghanistan Pakistan, Iran).
149
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
Tab. 1 – Numero di profughi/migranti per nazionalità e per genere. Periodo gennaio
2016 - 1° settembre 2019 (valori assoluti).13
Nazionalità
Profughi/mi
granti
Iraq, Iran
34
Iraq, Iran, territori Kurdistan
24
Di cui:
Uomini
Donne
33
Minori
1
5
Iraq, territori del Kurdistan
399
88
16
18
Pakistan
113
20
Pakistan, India
63
17
Pakistan, India, Nepal
75
10
Pakistan, Kurdistan siriano
72
Iraq, Pakistan
70
Iraq, Pakistan, Afghanistan
49
Iran
50
Iran, Iraq e territori Kurdistan
86
Iran, Iraq, Pakistan
43
Iran, Iraq, Pakistan, Afghanistan
74
Iran, Iraq, Siria
36
12
Iran, Iraq, Somalia
62
6
8
24
Pakistan
531
Pakistan, Siria
347
47
Pakistan, Somalia
73
15
Pakistan, Sri Lanka
95
21
Siria, territori Kurdistan
43
11
111
27
36
8
Afghanistan
Afghanistan, Iran, Iraq, Egitto, Pakistan,
Marocco, Siria, Somalia
13
128
43
A volte le voci “di cui” non sono disponibili e si riporta solo il totale aggregato o il totale non
corrisponde alla somma dei dati parziali.
150
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
Nazionalità
Profughi/mi
granti
Afghanistan, Iran, Pakistan
Di cui:
Uomini
Donne
Minori
258
20
Afghanistan, Iran, Pakistan, Yemen, Somalia
45
20
Afghanistan, Pakistan, Somalia
52
39
5
8
Afghanistan, Pakistan, Siria, Iran
75
44
19
12
Afghanistan, Pakistan, Siria, Somalia
105
59
11
35
Iraq
397
76
17
62
Iraq e territori Kurdi
64
Iraq, Afghanistan
108
Iraq, Afghanistan
70
Iraq, Iran
19
25
25
41
24
6
2
1
Iraq, Siria
13
7
3
3
Iraq, Siria, Somalia
17
17
Kosovo
Kosovo, territori del Kurdistan
Kurdistan iracheno
4
2
48
12
145
27
65
6
138
70
6
27
Somalia
50
22
29
1
Somalia, Siria
12
Somalia, Siria, Palestina,
12
4
4
4
Somalia, Siria, Palestina, Iran, Egitto
20
N.D.
78
4
9
5
Pakistan
Siria
17
31
21
Elaborazioni IPRES (2019) su fonti diverse.
7.2. Sbarchi controllati
Per quanto attiene, invece, agli sbarchi controllati, tra il dicembre 2015 e il dicembre
2018 si sono registrati nei porti di Taranto, Brindisi e Bari ben 28 approdi, per un
totale di 15.309 persone, di questi 1.660 sono minori. Diverse le nazionalità di
151
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
provenienza: somali, eritrei, nigeriani, sudanesi, egiziani, senegalesi, congolesi,
ivoriani, maliani e siriani. In tal caso, quasi tutti i profughi sono stati condotti presso
l’Hotspot di Taranto per le pratiche di identificazione e alcuni di loro successivamente
sono stati trasferiti presso altre strutture dislocate in Italia. Da sottolineare, al riguardo,
che nel corso del 2018 non si sono più registrai sbarchi controllati in territorio pugliese
(l’ultimo risale ad ottobre 2017 nel Porto di Taranto).
Fig. 5 – Numero di profughi/migranti per data dello sbarco controllato. Periodo
dicembre 2015-1° settembre 2019 (valori assoluti).
20/10/2017
15/07/2017
14/07/2017
30/05/2017
27/05/2017
26/05/2017
22/05/2017
21/05/2017
17/04/2017
27/10/2016
25/10/2016
14/09/2016
12/09/2016
07/09/2016
31/08/2016
28/06/2016
26/06/2016
11/06/2016
30/05/2016
28/05/2016
26/05/2016
23/05/2016
26/04/2016
13/04/2016
18/03/2016
30/01/2016
07/12/2015
405
644
860
402
476
465
969
248
410
347
521
391
293
581
1786
905
1286
653
346
706
294
276
307
324
400
411
603
0
500
1000
1500
2000
Elaborazioni IPRES (2019) su fonti diverse.
152
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
Tab. 3 – Numero totale di profughi/migranti giunti con sbarchi controllati nei porti di
Bari, Taranto e Brindisi. Periodo dicembre 2015 – 1° settembre 2019 (valori assoluti).
Data
Soccorso presso porto di:
Bari
Brindisi
Taranto
Totale complessivo
07/12/2015
603
603
30/01/2016
411
411
18/03/2016
400
400
13/04/2016
324
324
26/04/2016
307
307
23/05/2016
276
276
26/05/2016
294
28/05/2016
294
706
706
30/05/2016
346
346
11/06/2016
653
653
26/06/2016
1.286
1286
28/06/2016
905
905
1.078
1.786
07/09/2016
581
581
12/09/2016
293
293
31/08/2016
708
14/09/2016
391
25/10/2016
521
27/10/2016
347
17/04/2017
21/05/2017
391
521
347
410
248
410
248
22/05/2017
969
969
26/05/2017
465
465
27/05/2017
476
476
30/05/2017
402
402
14/07/2017
860
860
153
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
15/07/2017
644
644
20/10/2017
Totale complessivo
892
5.763
405
405
8.654
15.309
Elaborazioni IPRES (2019) su fonti diverse.
Tab. 4 – Numero totale di profughi/migranti giunti con sbarchi controllati nei porti di
Bari, Taranto e Brindisi per mezzo di soccorso. Periodo dicembre 2015 – 1° settembre
2019 (valori assoluti).
Mezzo di soccorso
Soccorso presso porto di:
Bari
Brindisi
Fregata "Karlsruhe" della Marina
Militare Tedesca
294
Guardia Costiera
Guardia Costiera "Nave Peluso"
294
969
248
969
248
Guardiapesca "Acquarius", ONG "Sos
Méditerranée"
Marina Militare Inglese
Taranto
Totale
complessivo
1.251
644
521
402
1.772
1.046
Nave "Aliseo" della Marina Militare
Italiana
411
411
Nave "Aviere" della Marina Militare
Italiana
1.003
1.003
Nave "Hms Enterprise" della Marina
Militare Inglese
708
Nave "Zeffiro" Marina Militare Italiana
708
405
405
Nave “Topaz Responder”
dell’Associazione MOAS (Migrant
Offshore Aid Stations)
347
347
Nave cargo battente bandiera Antigua e
Barbuda
476
476
Nave d'appoggio "Frankfurt am Main"
della Marina Militare Tedesca
1.286
1.286
Nave Mercantile
465
154
465
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
Soccorso presso porto di:
Taranto
Totale
complessivo
Nave militare spagnola "Rio Segura"
874
874
Nave MSF
410
410
1.078
1.731
307
307
1.611
1.611
Mezzo di soccorso
Bari
Nave norvegese "Siem Pilot"
Brindisi
653
Nave portacontainer "Hamburg Bridge"
bandiera panamense
Nave spagnola "Reina Sofia"
Pattugliatore irlandese "Roisin"
346
Pattugliatore spagnolo “Rio Segura"
Totale complessivo
892
5.763
346
276
276
8.654
15.309
Elaborazioni IPRES (2019) su fonti diverse.
Fig. 6 – Sbarchi controllati ed irregolari per porto, per consistenza e per mezzo di
approdo (dicembre 2015-dicembre 2018).
Elaborazioni IPRES (2019) su fonti diverse.
155
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
8. Conclusioni
La Regione Puglia promuove la realizzazione di un sistema integrato di interventi e
servizi per la piena integrazione degli immigrati, orientato ad acquisire una conoscenza
strutturata dei flussi migratori, anche ai fini dell’inserimento nel mercato del lavoro,
mediante la diffusione e lo scambio di buone pratiche e di iniziative volte a: a)
contrastare le forme di discriminazione; b) a promuovere la conoscenza della cultura
italiana, per attuare pienamente una reciproca integrazione culturale; c) a garantire agli
immigrati pari opportunità; d) a contrastare i fenomeni criminosi e lo sfruttamento; e) a
promuovere la partecipazione degli immigrati alla vita pubblica locale.14 Diversi e
complementari sono i campi di azione previsti, sulla base delle esigenze manifestate
dalle persone straniere, che concernono specificamente la sfera culturale, linguistica,
economica, lavorativa e socio-sanitaria.
Al 1° gennaio 2018 i residenti stranieri presenti in Puglia sono 134.351, con
un’incidenza del 3,3% sul totale della popolazione, valore inferiore a quello registrato
nel Sud Italia (4,5%) e ancora lontano da quello nazionale (8,5%). Rispetto al 2017 si
registra un aumento del 5% dei residenti stranieri, con incrementi superiori al 6%
nelle province di Foggia e Taranto; variazione significativa, soprattutto se confrontata
con quella che ha interessato l’intero territorio nazionale (+ 1,9%).
Tra i residenti stranieri, i Paesi maggiormente rappresentati sono Romania (26,5%),
Albania (17,0%) e Marocco (7,2%). Questa graduatoria si conferma nelle province di
Brindisi, Lecce e Barletta-Andria-Trani, mentre nelle altre si registrano scostamenti
molto significativi che comunicano informazioni di particolare importanza rispetto al
contesto migratorio regionale. Nella provincia di Foggia, ad esempio, la Romania
raggiunge il 40,6%, staccando nettamente Marocco (9,5%) e Albania (8,5%), mentre
nella provincia di Bari si conferma l’alta percentuale dell’Albania (28,0%), seguita da
Romania (13,4%) e Georgia (7,7%). Dato, quest’ultimo, che assume maggiore rilevanza
se si considera che nel capoluogo pugliese risiede il 22% dei georgiani presenti in
Italia.
14
Cft. art 3 L.R. 32/2009.
156
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
Il dato relativo agli immigrati presenti in Puglia nelle strutture di accoglienza
evidenzia al 1° dicembre 2016 una quota di 11.795 unità; al 1° dicembre 2017, invece,
risultano 12.576, con un aumento percentuale del 6,6%. In linea, di fatto, con il dato
registrato a livello nazionale (+6,0%). Da sottolineare la situazione esistente all’interno
dei Centri di accoglienza straordinaria (CAS) istituiti con Circolare del Ministero
dell’Interno n. 104 dell’8 gennaio 2014, che al 1° dicembre 2017 ospitano 7.483
persone, circa il 60% del dato totale.
In Puglia, il 45,5% dei permessi di soggiorno a termine viene rilasciato per motivi
riguardanti l’asilo e le diverse forme di protezione (con una preponderanza di richieste
d’asilo), seguono, poi, i motivi familiari (26%) e il lavoro (23,1%). Dalla lettura della
composizione di base della Rete SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti asilo e
Rifugiati), aggiornata al 31 luglio 2018, si rileva che in Puglia i posti compresi nel
sistema SPRAR, distribuiti in 112 progetti (93 gli Enti Locali titolari), sono passati da
2.933 del 2017 a 3.459 del 2018, registrando, quindi, un aumento dell’17,9%. La
quantità di progetti SPRAR posiziona di fatto la Puglia al terzo posto in Italia dopo
Calabria e Sicilia.
Alla luce di questi dati si evince come e quanto la Puglia continui a mantenere, a
tutt’oggi, la sua particolare peculiarità di “Regione di frontiera” e tale aspetto lo si
consta, come abbiamo avuto modo di osservare, soprattutto in funzione di numerosi
approdi non regolari e sbarchi controllati di migranti, registratisi nel corso degli ultimi
tre anni.
In funzione delle attuali decisioni adottate a livello internazionale, tendenti a
regolamentare maggiormente i flussi dei migranti provenienti dalla rotta del
Mediterraneo centrale, non è da escludere che si possa riaprire il corridoio “Adriatico”.
Alcuni segnali in tal direzione, infatti, si sono già avuti, si pensi, ad esempio, ai tre
sbarchi di profughi che si sono verificati tra aprile e giugno 2017 sulle coste del
Gargano.
Obiettivamente, gli approdi irregolari che si sono susseguiti negli ultimi tre anni in
Puglia non sono paragonabili agli sbarchi degli anni Novanta dello scorso secolo.
Quello che desta maggiori preoccupazioni in età moderna, però, è il traffico di esseri
157
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
umani. Ad oggi si continua a solcare le onde, ma a bordo di barche a vela pilotate da
skipper professionisti (gli scafisti che evolvono in velisti). Si intraprendono traversate
tentando di navigare inosservati, anche se di rado si violano le maglie di controllo dei
guardacoste dotati di sofisticate tecnologie che presidiano le acque del Salento, porta
d’ingresso dell’Europa. Indicatori che, purtroppo, conducono all’esistenza di
organizzazioni criminali internazionali, presenti in più Paesi del Mediterraneo; un
fenomeno difficile da contrastare, che negli ultimi anni sta registrando, però,
un’attenzione sempre maggiore da parte degli attori del mondo istituzionale.
9. Bibliografia e sitografia
Banca Dati Servizio Centrale SPRAR, 2017.
Dossier Statistico Immigrazione 2018, Centro Studi e Ricerche IDOS.
Dossier Statistico – Commissione Parlamentare di Inchiesta sul sistema di
Accoglienza, di Identificazione ed Espulsione - 23 Gennaio 2017.
IPRES, Puglia Regione di frontiera – I percorsi scientifici e l’impegno
istituzionale di Salvatore Distaso, Cacucci Editore, Bari, 2009.
Mastrorocco N., Calò E., Nota tecnica IPRES n. 13, Caratteri e struttura della
popolazione straniera residente in Puglia, 2016.
Mastrorocco N., Labellarte G., Occhiofino G., Nota tecnica IPRES n. 4, Approdi
non regolari e sbarchi controllati di migranti sulle coste della Puglia, 2017.
Mastrorocco N. Occhiofino G., Nota tecnica IPRES n. 2, Approdi non regolari e
sbarchi controllati di migranti sulle coste della Puglia nell’ultimo triennio, 2019.
Mastrorocco N., Calò E., Il fenomeno migratorio e il processo di integrazione della
popolazione straniera in Puglia. Policy in atto e “modello partecipativo”, in
Quaderni IPRES n. 11, Cacucci Editore. 2019.
Mastrorocco N., Occhiofino G., Politiche di integrazione e flussi migratori non
regolari, in Rapporto Puglia 2018 Cacucci Editore, ISBN 978-88-6611-814-5,
2019.
Protocollo Sperimentale contro il caporalato e lo sfruttamento lavorativo in
158
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
agricoltura “Cura - Legalità - Uscita dal Ghetto”, Roma 27 maggio 2016.
Rapporto OIM La tratta di esseri umani attraverso la rotta del Mediterraneo
centrale: dati, storie e informazioni raccolte dall’OIM, settembre 2017.
Relazione Camera dei Deputati - Commissione Parlamentare di Inchiesta sul
sistema di Accoglienza e di Identificazione ed Espulsione, nonché sulle condizioni
di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate, 3 maggio 2016.
Delibera della Giunta Regionale Puglia n. 72 del 23 giugno 2016.
Legge 13 aprile 2017, n. 46, Conversione in legge, con modificazioni, del
decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, recante disposizioni urgenti per
l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per
il contrasto dell’immigrazione illegale.
Delibera della Giunta Regionale Puglia n. 906 del 07 giugno 2017.
Delibera di Giunta Regionale Puglia n. 6 del 12 gennaio 2018.
UNHCR, Rapporto Focus Group sul tema dell’integrazione, aprile 2017.
Decreto Presidente della Giunta Regionale Puglia n.443 del 31 luglio 2015.
https://www.istat.it/
https://www.sprar.it/wp-content/uploads/2018/11/Atlante-Sprar-2017_Light.pdf
http://www.italy.iom.int
http://www.libertaciviliimmigrazione.dlci.interno.gov.it/it
http://www.osservatoriomigranti.org
https://www.amnesty.it/rapporti-annuali/rapporto-annuale-2016-2017
159
160
MAURO SPEDICATI
La gestione del fenomeno migratorio in Puglia: strumenti normativi e strategie
politiche
Abstract Negli ultimi anni la Puglia ha sviluppato un sistema di ospitalità e integrazione dei migranti
che trova la sua base giuridica in alcune strategie politiche e strumenti normativi, il cui punto di
partenza è la Carta della Regione del 2004. Il contributo analizza lo sviluppo della questione, la visione
politica e l'efficacia degli strumenti giuridici attuati dalla Regione.
Keywords: migration policies; political strategies; hospitality; integration; regional plan; council;
observatory
Introduzione.
Nell'ambito del complesso sistema giuridico e politico di gestione del fenomeno
migratorio, che coinvolge a titolo diverso e con diverse competenze attori istituzionali e
sociali a livello internazionale, nazionale e locale, la Regione Puglia è ormai da un
decennio impegnata in un'intensa attività di implementazione delle proprie prerogative
in materia attraverso l'elaborazione di strumenti normativi e la costituzione di strutture
regionali che abbiano come obiettivo primario la realizzazione effettiva non soltanto di
un sistema di accoglienza, ma anche di reale integrazione sociale degli stranieri presenti
sul territorio. Si tratta, come si vedrà, di un'attività che rivela da un lato lo slancio ideale
di cui è capace una Regione di frontiera, chiamata a confrontarsi quotidianamente con le
conseguenze che le ondate migratorie comportano, e dall'altro lato le difficoltà di far
seguire alle enunciazioni di principio un concreto processo di coinvolgimento degli
attori del territorio, nella prospettiva della costruzione di una comunità regionale
pienamente inclusiva.
1. Lo Statuto regionale.
Per ripercorrere sinteticamente l'evoluzione delle strategie normative messe in campo
dalla Regione Puglia nella gestione del fenomeno migratorio, nelle molteplici
sfaccettature in cui esso si presenta nel territorio di riferimento, il punto di partenza
deve essere necessariamente costituito dal documento giuridico fondamentale della
Regione, vale a dire dallo Statuto, approvato dal Consiglio Regionale con la
161
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
deliberazione n. 155 dell'ottobre 2003 e confermato, in seconda lettura, con
deliberazione n. 165 del febbraio 2004, e da alcuni principi a portata generale che esso
enuncia. Sono due, in particolare, gli articoli che richiamano in maniera esplicita la
condizione dello straniero, i suoi diritti e le connesse attività di accoglienza e
integrazione che la Regione decide di abbracciare.
L’art. 3 stabilisce, infatti, che «la Regione riconosce nella pace, nella solidarietà e
nell'accoglienza, nello sviluppo umano e nella tutela delle differenze, anche di genere,
altrettanti diritti fondamentali dei popoli e della persona, con particolare riferimento ai
soggetti più deboli, agli immigrati e ai diversamente abili».1 Gli immigrati vengono,
dunque, immediatamente riconosciuti come appartenenti ad una fascia di popolazione
meritevole di un'attenzione specifica, al pari di altre categorie protette; allo stesso modo
la Regione attribuisce alla solidarietà e all'accoglienza la qualità di diritti fondamentali
da riconoscere all'individuo, facendone in questo modo fondamento dell'azione dei suoi
organi politici.
Se il primo riferimento assume, come detto, il valore di una altissima benché
generica enunciazione di massima, sia per il suo contenuto, sia per la collocazione
all'interno del Titolo I dello Statuto, il secondo riferimento esplicito allo status dei
migranti operato nel testo avrebbe dovuto avere, nell'intenzione del legislatore
regionale, una portata molto più fattiva, essendo collocato all'interno del capo II del
Titolo IV, che disciplina gli organi a rilevanza statutaria. L'art. 50, in particolare,
istituisce presso il Consiglio regionale le Autorità di garanzia, «con poteri di accesso
agli atti normativi e amministrativi e con funzioni di tutela e salvaguardia,
nell'interesse della più compiuta fruizione dei diritti garantiti.»2
Nel dettaglio, tra le Autorità di garanzia, accanto al Consiglio generale dei pugliesi
nel mondo e al Comitato per l'informazione e la comunicazione (il cosiddetto
CO.RE.COM), avrebbe dovuto assumere una autonoma e specifica rilevanza l'Ufficio
della difesa civica, al quale, tra gli altri compiti, era (ed è tuttora) assegnata la possibilità
di intervenire «nella tutela dei diritti e dei principi fondamentali di cui agli articoli 3 e
1
2
Statuto della Regione Puglia, art. 3, in Bollettino Ufficiale della Regione Puglia - n. 17 dell'11/2/2004.
Statuto, art. 50, cit.
162
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
6, nella tutela non giurisdizionale dell'infanzia, degli adolescenti e dei minori, nella
tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali degli immigrati, nella tutela dei
diritti e degli interessi dei consumatori e degli utenti.»3
La funzione assegnata a tale Ufficio era, in altre parole, quella di intermediazione tra
gli organi politici e istituzionali e la comunità regionale, riferendo direttamente al
Consiglio regionale e tuttavia mantenendo rispetto ad esso un carattere ausiliario,
connotato peraltro da profili di indipendenza. Composto da cinque componenti eletti
dallo stesso Consiglio, l'Ufficio della difesa civica si sarebbe attivato su domanda o di
propria iniziativa, secondo criteri e procedure non giurisdizionali, affinché gli organi e
le strutture competenti ponessero rimedio agli abusi, alle irregolarità e alle iniquità
accertati nei settori di intervento dello stesso Ufficio, e ne rimuovessero le cause.
«L'Ufficio di difesa civica» – si legge tuttora nello Statuto regionale – «integra e
coordina la propria attività con quelle delle analoghe istituzioni che operano ai diversi
livelli istituzionali in ambito locale, nazionale e internazionale.»4
L'Ufficio avrebbe, quindi, dovuto svolgere una essenziale funzione di raccordo tra le
istanze della collettività e le istituzioni deputate a prenderle in esame, e si sarebbe
caratterizzato come fondamentale strumento a disposizione delle fasce più deboli della
popolazione, quali appunto i migranti: la sua istituzione non ha tuttavia mai avuto piena
attuazione, lasciando disattese le pur valide affermazioni di principio contenute nella
normativa che lo regola. A tal proposito, è del settembre 2019 una proposta di modifica
dell'art. 50 dello Statuto, che suggerisce la sostituzione dell'Ufficio di difesa civica con
la figura, peraltro prevista nello Statuto regionale del 1981, del difensore civico che,
riassumendo in un'unica persona le funzioni oggi astrattamente attribuite all'ufficio,
nell'auspicio del gruppo politico promotore della proposta in seno al Consiglio regionale
potrebbe risultare figura istituzionale più snella e in grado di interpretare al meglio le
necessità dei soggetti da tutelare, quali consumatori, minori e, come detto, migranti.5
3
Ibid.
Ibid.
5
Si veda Conca presenta modifica alla legge regionale 7 del 2004: “Istituire il difensore civico, figura
fondamentale per i cittadini", in PugliaNotizie Agenzia di Quotidiana di stampa – Consiglio Regionale
della Puglia, n. 2762 del 27/09/2019.
4
163
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
Nell'individuazione dei principi regionali alla base delle politiche di gestione del
fenomeno migratorio, accanto a quelli già menzionati, non si può tuttavia non citare il
comma 2 dell'art. 1 dello Statuto che, benché contenga indicazioni su un piano del tutto
generale, sembra costituire il vero manifesto e la cornice socio-culturale entro la quale si
muove l'azione politica degli organi di governo regionale con riferimento al tema
dell'accoglienza e dell'integrazione dei migranti: «la Puglia» – si legge nel testo – «per
la storia plurisecolare di culture, religiosità, cristianità e laboriosità delle popolazioni
che la abitano e per il carattere aperto e solare del suo territorio proteso sul mare, è
ponte dell’Europa verso le genti del Levante e del Mediterraneo negli scambi culturali,
economici e nelle azioni di pace.»6
2. La legge regionale 32/2009.
A dare una più compiuta attuazione alle disposizioni di principio affermate nello
Statuto, mediante la previsione di specifiche funzioni e organismi deputati ad assolverle,
è intervenuta nel 2009 la legge n. 32, recante «Norme per l’accoglienza, la convivenza
civile e l’integrazione degli immigrati in Puglia», in abrogazione della precedente
disciplina regionale che, con la legge n. 26 del 2000, attribuiva alla Regione funzioni
amministrative in materia di immigrazione extracomunitaria.
Gli obiettivi dell'intervento normativo (oggetto, come si vedrà, di alcune modifiche
intervenute con la l. regionale n. 51 dell'ottobre 20187) vengono espressamente
individuati nella necessità di garantire non solo la più ampia forma di tutela delle
comunità straniere presenti sul territorio pugliese, ma anche nel loro pieno inserimento
nel tessuto socio-culturale regionale.
Accanto, dunque, all'impegno di garantire i diritti inviolabili degli stranieri, presenti
a qualunque titolo in Puglia, e all'eliminazione di ogni forma di discriminazione, con la
l. 32/2009 fa ingresso nel corpus normativo regionale anche il proposito di garantire
pari opportunità agli stranieri nell'accesso e nella fruibilità dei servizi assistenziali,
6
Statuto, art. 2, cit.
Legge Regionale 5 ottobre 2018, n. 51, Modifiche alla legge regionale 4 dicembre 2009, n. 32, in
Bollettino Ufficiale della Regione Puglia - n. 129 del 5/10/2018.
7
164
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
sanitari, di istruzione. A distanza di un decennio, ponendo mente allo sviluppo delle
dinamiche politiche nazionali e locali nella gestione del fenomeno, appare lungimirante
l'obiettivo indicato nella legge di promuovere iniziative di cooperazione decentrata tese
a migliorare le condizioni di vita delle persone nei paesi di provenienza e di progetti di
reinserimento degli immigrati nei rispettivi paesi d'origine.
Particolarmente controverso appariva, per altro versante, l'impegno assunto dal
legislatore regionale di «garantire la tutela legale, in particolare l’effettività del diritto
di difesa, agli immigrati presenti a qualunque titolo sul territorio della regione».8
Anche in considerazione dei profondi e radicali contrasti esistenti tra l'orientamento
politico del governo regionale, del quale la legge in questione era diretta emanazione, e
quello nazionale, la legge nel suo complesso fu oggetto di valutazioni contrastanti.
Proprio la previsione di cui si è appena detto, insieme a numerose altre, fu infatti
sottoposta ad un vaglio di legittimità costituzionale su ricorso del Governo italiano, che
aveva in particolare impugnato le disposizioni che garantivano accesso alle cure
essenziali ai cittadini stranieri non in regola con le norme sull'ingresso e sul soggiorno.
Secondo la tesi sostenuta davanti alla Corte Costituzionale dalla Presidenza del
Consiglio dei Ministri, tale norma avrebbe generato un conflitto con l'art. 117, secondo
comma, della Costituzione: «la formula lessicale» – questa la tesi del Governo,
richiamata in sentenza - «indurrebbe, infatti, a ritenere che gli interventi ivi previsti
riguardano anche gli immigrati privi di regolare permesso di soggiorno, poiché
«disciplinano e in qualche modo agevolano la permanenza sul territorio nazionale di
cittadini extracomunitari», i quali «non solo non avrebbero titolo a soggiornare ma,
una volta sul territorio nazionale, dovrebbero essere perseguiti penalmente».9
Nel rispondere al quesito sottoposto alla sua attenzione, tuttavia, la Corte
Costituzionale ebbe a richiamare i principi fondamentali cui la legge regionale pugliese
si era ispirata con riferimento ai diritti essenziali dell'individuo, evidenziando come le
azioni messe in campo dai soggetti pubblici non potessero essere confinate al controllo
8
Legge Regionale 4 dicembre 2009, n. 32, Norme per l’accoglienza, la convivenza civile e l’integrazione
degli immigrati in Puglia, in Bollettino Ufficiale della Regione Puglia - n. 196 del 7/12/2009.
9
Corte Costituzionale, sentenza n. 299 del 22 ottobre 2010, p. 8.
165
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
dell'ingresso e del soggiorno dello straniero sul territorio nazionale, ma dovessero
contemplare necessariamente quelle dimensioni della vita sociale dell'individuo che ne
consentissero un sereno inserimento nel contesto territoriale nel quale si trovasse.
Dimensioni – dall'istruzione, alla salute, al diritto all'abitazione – che evidentemente
coinvolgono competenze normative attribuite dalla Costituzione talvolta allo Stato,
talvolta alle Regioni. Ciò che tuttavia, a parere della Corte Costituzionale, non avrebbe
potuto in alcun modo essere superato era il riconoscimento in capo allo straniero di tutti
i diritti fondamentali che la stessa Costituzione assegna alla persona. Esiste, infatti, «un
nucleo irriducibile del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come ambito
inviolabile della dignità umana, il quale impone di impedire la costituzione di situazioni
prive di tutela, che possano appunto pregiudicare l’attuazione di quel diritto».
Quest’ultimo diritto deve perciò essere riconosciuto «anche agli stranieri, qualunque
sia la loro posizione rispetto alle norme che regolano l’ingresso ed il soggiorno nello
Stato, pur potendo il legislatore prevedere diverse modalità di esercizio dello stesso».10
Non poteva invece essere ricondotto alla competenza della Regione, bensì a quella
esclusiva dello Stato, proprio la norma che mirava a garantire tutela legale ed effettività
del diritto di difesa anche agli stranieri presenti in modo irregolare sul territorio
regionale, norma di cui dunque la Corte Costituzionale rilevò l'illegittimità. Essa, infatti,
proprio per la sua formulazione rimandava in maniera non equivocabile a quegli ambiti
definiti dall’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione (giurisdizione e
norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa). Proprio la
disposizione che, come la Corte non mancò di rilevare, era stata evocata «in modo
ampio, ma congruamente, dal ricorrente.»
Superato in maniera nel complesso soddisfacente il vaglio di legittimità della Corte
Costituzionale, la legge, dopo aver individuato, nella prima parte, i destinatari, gli
obiettivi e le priorità dell'azione della Regione, passava a definire e disciplinare due
specifici strumenti di intervento: la Consulta regionale per l'integrazione degli
immigrati, con funzioni propositive in ambito di programmazione e legislazione, e
10
Ibid., p. 9.
166
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
l'Osservatorio regionale sull'immigrazione e diritto d'asilo, con funzioni di monitoraggio
sui flussi migratori.
2.1 La Consulta.
Si legge all'art. 7 della legge 32/2009 che «la Consulta svolge funzioni di proposta in
materia di integrazione sociale degli immigrati, anche in raccordo con i consigli
territoriali per l’immigrazione».11
In particolare, alla Consulta è attribuito il compito di formulare «proposte
propedeutiche alla formazione della programmazione regionale e dei provvedimenti di
legge regionali in favore degli immigrati», e di esprimere pareri facoltativi (secondo la
modifica intervenuta con la l. 51/2018: i pareri erano obbligatori nel testo del 2009) su
tutti gli atti di programmazione che incidano sulla qualità della vita e sulle condizioni di
integrazione degli immigrati.12
All'istituzione della Consulta ha fatto seguito, come strumento attuativo, la
costituzione del Registro regionale delle associazioni composte da immigrati, o che
prevedono in misura prevalente tra le proprie attività la cura degli interessi della
comunità immigrata. In attuazione delle disposizioni della l. 32/2009, la Giunta
regionale nel gennaio 2011 ha incardinato tale Registro all'interno dell'assessorato alla
Politiche giovanili, ed in particolare nel Servizio per le Politiche giovanili e la
cittadinanza sociale, per operare una sorta di mappatura delle associazioni di categoria e
alimentare la capacità di operare in modo sinergico con un'attenzione specifica al tema
dell'accoglienza.13
11
Legge Regionale 4 dicembre 2009, n. 32, cit., art. 7.
Tra gli altri compiti specificamente assegnati alla Consulta si ricordano: la possibilità di esprimere
pareri e proposte di intervento sulle iniziative di settore afferenti alle aree tematiche che interessano
l’immigrazione; di formulare proposte per lo svolgimento di studi e approfondimenti sull’immigrazione,
sulle condizioni di vita e di lavoro degli immigrati e delle loro famiglie che risiedono nella regione, anche
tenendo conto della prospettiva di genere, per promuovere iniziative tendenti alla tutela e alla difesa dei
loro diritti e interessi; di collaborare con l’Osservatorio, di cui al successivo art. 8 della legge, anche
attraverso approfondimenti e sessioni tematiche sul fenomeno migratorio; di formulare alla Regione
proposte di intervento da sottoporre al Parlamento e al Governo per l’adozione di opportuni
provvedimenti per la tutela dei destinatari della stessa legge e delle loro famiglie.
13
Deliberazione della Giunta regionale 26 gennaio 2011, n. 56, Istituzione del Registro delle
associazioni degli immigrati. Atto di indirizzo al Servizio Politiche giovanili e cittadinanza sociale per la
12
167
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
Tuttavia, nonostante i buoni propositi manifestati in seno al Consiglio e alla Giunta
regionali, la Consulta è stata istituita di fatto solo nel febbraio 2013 quando, con decreto
del Presidente della Regione, si è provveduto a nominare quali suoi componenti
l’assessore regionale competente in materia di immigrazione, con funzioni di
presidente; il dirigente del servizio competente; poi ancora, in rappresentanza degli
immigrati, ulteriori 18 componenti (più 14 supplenti), che garantissero la
rappresentatività di tutti «i territori provinciali e delle principali comunità sulla base
della popolazione immigrata residente, e designati congiuntamente dalle associazioni
degli immigrati iscritte nel registro regionale delle associazioni degli immigrati»;14
infine, una serie di componenti in rappresentanza del terzo settore, del mondo del
lavoro, della scuola, dell'università.
2.3 L'Osservatorio.
2.4 Nell'originaria formulazione, la l. 32/2009 prevedeva l'istituzione di un Osservatorio
sull'immigrazione in seno alla struttura dell’Assessorato alla solidarietà; a tale
organismo venivano attribuiti «quali obiettivi il monitoraggio, la rilevazione e l’analisi
dei flussi migratori, dei bisogni degli immigrati, delle condizioni di vita e di lavoro,
delle situazioni di discriminazione e di razzismo, anche rispetto alla prospettiva di
genere e la verifica dell’impatto dell’attuazione delle politiche in materia di
immigrazione realizzate sul territorio regionale, promuovendo a tal fine ogni utile
collaborazione interistituzionale.»15
Pur mantenendo fermi gli obiettivi indicati nella legge, le modifiche intervenute nel
2018 hanno in modo significativo rideterminato la collocazione istituzionale
dell'Osservatorio, incardinandolo presso la Sezione sicurezza del cittadino, politiche per
le migrazioni ed antimafia sociale della Presidenza della Regione.16
formazione dei criteri del Registro e modalità di iscrizione, in Bollettino Ufficiale della Regione Puglia n. 21 del 09/02/2011.
14
D.P.G.R. 15 febbraio 2013, n. 58, Nomina componenti Consulta Regionale per l’integrazione degli
immigrati, in Bollettino Ufficiale della Regione Puglia - n. 33 del 28/02/2013.
15
Legge Regionale 4 dicembre 2009, n. 32, cit., art. 8.
16
Con il decreto n. 443 del 2015 il Presidente della Giunta Regionale ha adottato l’Atto di Alta
Organizzazione della Regione Puglia; con il medesimo D.P.G.R. è stata istituita, presso la Presidenza
168
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
Al dirigente di tale Sezione, peraltro, è stata attribuita la responsabilità di curare
l'organizzazione interna e il regolamento di funzionamento di un'ulteriore struttura, il
Coordinamento regionale delle politiche per le migrazioni, istituita nel 2016 con decreto
del Presidente della Regione sul presupposto «che la elaborazione e la realizzazione
delle politiche regionali per le migrazioni incrociano competenze specifiche e strutture
amministrative di tutti i Dipartimenti della Regione Puglia»17 e che, dunque, «al fine di
rendere efficace l’attuazione delle politiche regionali per le migrazioni è opportuno
creare un coordinamento tra le azioni dei Dipartimenti della Regione Puglia».18
La Sezione in questione, oltre ad occuparsi delle misure dirette ad aumentare il
livello di sicurezza della cittadinanza, da un lato redige il Piano Triennale delle politiche
per le migrazioni, dall'altro lato «cura e coordina le attività della Regione Puglia
relative alle politiche di accoglienza, assistenza socio-sanitaria, integrazione e
formazione anche di carattere lavorativo delle popolazioni migranti»19. Si occupa,
infine, di incentivare e realizzare «interventi di carattere socio-comunitario, ispirati ai
principi costituzionali di solidarietà sociale e di responsabilità civica, finalizzati a
promuovere la solidarietà e la cooperazione con particolare riguardo alla tutela dei
diritti sociali».20
Al suo interno, come detto, è incardinato l'Osservatorio, attraverso il quale la
Regione si propone di realizzare, coordinandosi con le prefetture, il monitoraggio del
funzionamento dei centri di permanenza per i rimpatri (CPR) e del rispetto delle
normative nazionali e internazionali con particolare riferimento alla tutela dei diritti
umani dei cittadini stranieri trattenuti.
Nella prospettiva del legislatore regionale, inoltre, si tratterebbe di uno strumento
particolarmente incisivo per quanto attiene ai rapporti con il territorio, avendo la
della Giunta Regionale, la Sezione “Sicurezza del cittadino, politiche per le migrazioni ed antimafia
sociale”.
17
D.P.G.R. 16 giugno 2016, n. 413, Coordinamento regionale delle politiche per le migrazioni.
Istituzione, in Bollettino Ufficiale della Regione Puglia - n. 72 del 23/6/2016.
18
Ibid.
19
Si veda Sezione sicurezza cittadino, politiche per le migrazioni ed antimafia sociale - Scheda struttura,
in www.regione.puglia.it.
20
Ibid.
169
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
possibilità di relazionarsi, ai fini dell'espletamento della propria attività, non soltanto
con i soggetti pubblici e privati aventi specifiche competenze in materia, ma anche con
gli altri enti locali, chiamati a fornire le informazioni relative alle azioni di propria
competenza in tema di accoglienza e integrazione.
3. Il Piano regionale delle politiche per le migrazioni
Ulteriore strumento di intervento strategico, introdotto dalla l. 32/2009, che la Regione
Puglia si è dato per definire gli indirizzi e gli interventi necessari al conseguimento
degli obiettivi di accoglienza e integrazione dei migranti per come enunciati nella
normativa regionale era il cosiddetto «Piano regionale per l'immigrazione», ridefinito
Piano regionale delle politiche per le migrazioni dall'intervento del 2018.
Nella determinazione dei tratti essenziali di tale strumento, proprio le modifiche
intervenute nel 2018 hanno significativamente rimodulato il comma 2 dell'art. 9 della l.
32/2009, in particolar modo per ciò che concerne il coinvolgimento degli attori del
territorio nella elaborazione del contenuto del piano.21 Ferma restando l'approvazione,
che spetta alla Giunta regionale su proposta dell'assessore competente in materia, e la
sua validità triennale, con possibilità di aggiornamento annuale, la nuova formulazione
prevede che esso sia redatto «attraverso un percorso di partecipazione che coinvolge la
cittadinanza, i sindaci e gli amministratori locali, le organizzazioni sindacali
maggiormente rappresentative, le associazioni e gli enti che svolgono attività
particolarmente significative nel settore dell’immigrazione sul territorio regionale».22
L'ultimo piano triennale, quello relativo agli anni 2016-2018, è stato adottato
all'unanimità dalla Giunta regionale con deliberazione n. 6/2018. Esso riporta le
politiche e le azioni programmate per l’intero triennio, le cui principali linee
21
Si veda Consiglio regionale: sì alle modifiche della legge per l’accoglienza degli immigrati in Puglia,
in PugliaNotizie Agenzia di Quotidiana di stampa – Consiglio Regionale della Puglia, n. 3375 del
25/09/2018.
22
Legge Regionale 4 dicembre 2009, n. 32, cit., art. 9.
170
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
d’intervento sono costituite da politiche del lavoro e formazione, politiche della salute,
politiche abitative e politiche per l’integrazione.23
In tal senso, il Piano triennale appare di gran lunga lo strumento più efficace
dell'azione complessiva della Regione in materia di gestione del fenomeno migratorio,
condensando al suo interno le azioni già avviate e finanziate, con una analisi dei
progressi effettuati nel singolo ambito di intervento, come anche le linee
programmatiche previste per il biennio successivo a quello cui il piano si riferisce, con
riferimenti puntuali alle fonti di finanziamento, agli altri soggetti coinvolti, agli obiettivi
che la singola azione si propone di raggiungere.
4. Conclusioni
Dal 2004, anno di entrata in vigore dello Statuto regionale, al 1° gennaio 2019, gli
stranieri residenti sul territorio pugliese sono passati da 42.985, corrispondenti a poco
più dell'1% della popolazione regionale, a 138.811, corrispondenti al 3,4% della
popolazione.24
La gestione di questo
complesso
fenomeno, richiedendo la
predisposizione di strategie atte a garantire non soltanto un efficace sistema di
accoglienza ma, con uno sguardo più lungimirante, anche un sistema di integrazione ed
effettiva inclusione socio-culturale, ha sfidato e continua a sfidare gli organismi di
governo regionale oltre che tutti i soggetti operanti nel terzo settore. Allo stesso modo
ineludibile è il continuo adeguamento alle novità legislative nazionali. Alla luce di tali
circostanze può essere letta l'intensa produzione normativa regionale che ha condotto,
nell'ultimo decennio, all'istituzione degli organi e degli strumenti descritti nei paragrafi
precedenti.
Tuttavia, se da un lato il Piano regionale per le politiche migratorie appare già in
grado di svolgere il proprio compito programmatico, risulta dall'altro lato evidente che
debbano essere ancora messe a pieno regime le potenzialità proprio di quegli organi che
sono astrattamente in grado di garantire una maggiore partecipazione dei soggetti
23
Deliberazione della Giunta Regionale 12 gennaio 2018, n. 6, Piano Triennale dell’Immigrazione
2016/2018 - Programmazione 2016/2020. Approvazione, in Bollettino Ufficiale della Regione Puglia - n.
23 del 12/2/2018.
24
Cfr. http://dati.istat.it/Index.aspx?QueryId=19119
171
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
coinvolti nel fenomeno e di conferire, dunque, una legittimazione più ampia e pertinente
alle decisioni politiche regionali in materia di immigrazione. Prevedendo per i prossimi
anni un incremento continuo e costante della popolazione straniera in Puglia, una tale
modalità di coinvolgimento dal basso dovrà necessariamente costituire un caposaldo
nell'elaborazione delle strategie di gestione del fenomeno migratorio.
172
STEFANIA ATTOLINI
Le fake news e gli hate speeches in rete nell’ordinamento europeo e internazionale in
relazione all’inclusione sociale dei migranti.
Abstract Il comportamento degli utenti su Internet può influenzare l’effettiva inclusione dei migranti
all’interno della società. Con la crescita del flusso migratorio negli ultimi anni sono aumentati, altresì, i
casi di diffusione di notizie false e i fenomeni di incitamento all’odio, che hanno portato, a loro volta, un
aumento dei casi di hate crimes. I migranti sono spesso considerati una minaccia alla sicurezza nazionale,
così le manifestazioni nazionalistiche e la propaganda xenofoba sono ormai diffuse su Internet e in
Europa.
A livello internazionale, vi è un crescente interesse per il tema della disinformazione e dei discorsi di odio
in rete nonché per gli effetti di tali fenomeni all’interno della società, a causa del ruolo cruciale che hanno
i media nell’influenzare le opinioni e le scelte dei cittadini.
Pertanto, è divenuto fondamentale analizzare quali siano le misure adottate fino a oggi e quali siano gli
strumenti a disposizione degli organi competenti al fine di poter contrastare tali fenomeni.
Keywords: Migranti; fake news; hate speech; Europa; CEDU; OIM
1. Introduzione
Alcune politiche nazionali sempre più frequentemente sono oggetto di propaganda
fondata su paura e rabbia1.
Nell’ambito di tale propaganda, tra le categorie maggiormente «sotto attacco» vi
sono, sicuramente, i migranti2 e i rifugiati3. L’eco di questi attacchi è sempre più
1
Cfr. Report del febbraio 2018 redatto a seguito del #SpreadNoHate Symposium tenuto a Bruxelles il 26
gennaio 2017, intitolato «Hate Speech Against Migrants And Refugees In The Media», organizzato da
UNAOC e Unione europea, nell’ambito dell’iniziativa #SpreadNoHate lanciata il 25 dicembre 2015 dalle
Nazioni Unite.
Cfr. Comparative Report, «Legal framework, societal responses and good practices to counter online hate
speech against migrants and refugees», del 2017, redatto dalla Coalition of Positive Messengers to
Counter Online Hate Speech project, consultabile al seguente link: https://ec.europa.eu/migrantintegration/librarydoc/legal-framework-societal-responses-and-good-practices-to-counter-online-hatespeech-against-migrants-and-refugees
2
Non esiste, a livello internazionale, una definizione di “migrante” che sia riconosciuta universalmente.
Tuttavia, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni ( OIM), nel proprio glossario (consultabile al
link http://publications.iom.int/system/files/pdf/iml_34_glossary.pdf) definisce il termine migranti come
“An umbrella term, not defined under international law, reflecting the common lay understanding of a
person who moves away from his or her place of usual residence, whether within a country or across an
international border, temporarily or permanently, and for a variety of reasons. The term includes a
number of well-defined legal categories of people, such as migrant workers; persons whose particular
types of movements are legally-defined, such as smuggled migrants; as well as those whose status or
means of movement are not specifically defined under international law, such as international students”.
173
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
amplificata da una serie di elementi legati alle peculiarità del mezzo con il quale
vengono perpetrati, quale, ad esempio, Internet.
La rete ha comportato un’apertura delle informazioni, permettendo a chiunque di
riceverne qualsiasi tipo, ovvero di ricercarle, ma anche di crearle, dando, così, spazio a
una relazione peer-to-peer tra privati e informazioni; da ultimo, ma non meno
importante, la facilità dell’anonimato sulla rete rende molto difficile stabilire in capo a
chi risiedano le responsabilità di atti illeciti ovvero non eticamente corretti commessi su
Internet.
È noto, ormai, come il web sia luogo in cui circolano notizie false (c.d. fake news)
ovvero falsamente riportate e dove si consumano discriminazioni e incitazioni all’odio
(c.d. hate speeches) e non vi è dubbio che questi fenomeni influenzino gravemente e
profondamente la creazione del pensiero politico fino a intaccare le fondamenta stesse
della democrazia4.
Occorre domandarsi cosa ci sia davvero sulla rete, quali siano, cioè, le vere
potenzialità che questa ha di informare gli utenti e di formarne il pensiero politico. La
Rete contiene un numero inimmaginabile di informazioni, ma sta all’utente sapere come
e dove cercarle. Ai fini di una tale valutazione non si può prescindere dalla
considerazione di quanto influiscano i social network e i motori di ricerca e i rispettivi
algoritmi sulla facile reperibilità delle informazioni o sulla loro selezione. Il rischio è la
riduzione della capacità e dell’interesse dell’utente finale a cercare altro oltre quello che
Per un approfondimento sul tema dei migranti, si rinvia a L. IMPERATORE, Migrazioni e diritti umani. Lo
straniero nella giurisprudenza CEDU, Key editore 2019; P. BECCEGATO, R. MARINARO, Falsi miti. Storie di
migranti oltre i luoghi comuni e le fake news, Edizioni Dehoniane Bologna, 2018; V. MILITELLO e A.
SPENA (a cura di), Il traffico di migranti. Diritti, tutele e criminalizzazione, Giappichelli, 2015; A. DAL
LAGO, Non-persone. L’esclusione dei migranti in una società globale, Feltrinelli, 2004.
3
L’art. 1/A della Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati (1951) definisce tale categoria
come “chiunque, per causa di avvenimenti anteriori al 1° gennaio 1951 e nel giustificato timore d’essere
perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato
gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non
può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; oppure a chiunque, essendo
apolide e trovandosi fuori dei suo Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore
sopra indicato, non vuole ritornarvi”. Per un approfondimento sulla condizione dei rifugiati si rinvia a M.
MANOCCHI Richiedenti asilo e rifugiati politici: percorsi di ricostruzione identitaria : il caso torinese,
Franco Angeli, 2012; M. ODELLO, Il diritto dei rifugiati: elementi di diritto internazionale, europeo e
italiano, Franco Angeli, 2013.
4
Report «Hate Speech Against Migrants And Refugees In The Media» citato.
174
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
viene prima facie “proposto”, poiché il comportamento degli utenti su Internet ha
un’importanza notevole sulla formazione del loro convincimento e della loro opinione e
il fenomeno dell’immigrazione è entrato a pieno titolo tra gli argomenti sui quali si
tende a plasmare il pensiero dei cittadini, soprattutto in periodi di propaganda elettorale.
5
Le considerazioni che seguono hanno l’obiettivo di analizzare le minacce della
Rete derivanti dai fenomeni patologici della libertà di espressione, ovvero fake news e
hate speeches6, rapportati alle difficoltà di inclusione dei migranti. Infatti, la
circolazione fake news e la disinformazione su Internet rendono più ardua la conoscenza
della reale situazione in cui versa il fenomeno migratorio in Europa7.
2. Le fake news come minaccia alla democrazia e all’inclusività sociale
Negli atti dell’Unione europea, la Commissione europea affronta il fenomeno
delle fake news facendo rientrare questo concetto in quello più ampio di
disinformazione, definendo quest’ultimo come «un’informazione rivelatasi falsa o
fuorviante concepita, presentata e diffusa a scopo di lucro o per ingannare
intenzionalmente il pubblico, e che può arrecare un pregiudizio pubblico. La
5
Molti degli atti emanati dalle Istituzioni dell’Unione europea in materia di lotta alla disinformazione si
sono concentrati sulle misure da prendere per garantire trasparenza e integrità in vista delle elezioni, sia a
livello nazionale che dell’Unione. Cfr. il Codice di Buone Pratiche sulla Disinformazione pubblicato il
26.10.2018, che contiene un impegno da parte delle piattaforme firmatarie, Facebook, Twitter e Google,
al rendiconto mensile delle misure adottate in vista delle elezioni del Parlamento europeo del maggio
2019. Si legge al par. 2 della Comunicazione congiunta al Parlamento europeo, al Consiglio europeo, al
Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni, «Relazione
sull’attuazione del piano d’azione contro la disinformazione», JOIN(2019)12final del 14.06.2019, che “In
vista delle elezioni europee del 2019, la Commissione e il gruppo del regolatori europei per i servizi di
media audiovisivi (ERGA) hanno effettuato un monitoraggio mirato delle azioni intraprese da Facebook,
Google e Twitter sulla base delle relazioni mensili presentate da tali piattaforme da gennaio a maggio
2019”, (relazioni tutte pubblicate dalla Commissione europea).
6
Nell’ambito del presente approfondimento si fa un riferimento generico al fenomeno migratorio, senza
alcuna distinzione tra migrazione legale e migrazione illegale.
7
Publication "Facts Matter: Debunking Myths About Migration", del 20.03.2019, Ufficio dell’Azione
esterna dell’Unione europea.
175
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
disinformazione non include gli errori di segnalazione, la satira e la parodia, o notizie e
commenti chiaramente identificabili come di parte». 8
Le conseguenze negative derivanti dalla disinformazione possono sintetizzarsi in
un’erosione della fiducia nelle istituzioni e nei mezzi di comunicazione nonché in un
danno per la democrazia stessa, poiché viene ostacolata la capacità dei cittadini di
crearsi un’opinione libera e di prendere decisioni in maniera informata. A ciò si
aggiunga che la disinformazione può divenire una chiara minaccia alla libertà di
informazione, che è un diritto fondamentale riconosciuto a livello europeo 9 ed
internazionale10.
Ciò che si intende per “pregiudizio pubblico” ai sensi della definizione citata, è
stato anch’esso precisato dalla Commissione e indicato come «minacce ai processi
democratici e a beni pubblici quali la salute dei cittadini, l’ambiente e la sicurezza
dell’Unione». 11
Tra le problematiche legate alle c.d. fake news vi è sicuramente il fatto che tale
fenomeno resta circoscritto alla creazione e diffusione di informazioni e notizie del tutto
lecite, i cui contenuti, anche quelli dannosi, o presunti tali, devono ritenersi tutelati dalla
libertà di espressione. 12
Inoltre, la disinformazione, come detto, può indurre gli utenti finali a perdere
fiducia nella Rete e nelle piattaforme online.
8
Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e
sociale europeo e al Comitato delle Regioni del 26.04.2018, «Contrastare la disinformazione online: un
approccio europeo», COM(2016)236final.
9
Art. 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ( CDFUE).
10
Art. 10 della Convenzione europea sulla salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali
(d’ora in poi CEDU).
11
Comunicazione congiunta al Parlamento europeo, al Consiglio europeo, al Consiglio, al Comitato
economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni, del 05.12.2018, «Piano d’azione contro la
disinformazione», JOIN(2018)36final.
Su questo punto si veda, altresì, la sentenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo (d’ora in poi Corte
EDU) del 22.04.2013, Caso Animal Defenders International v. the United Kingdom (Ricorso n. 48876/08)
e la sentenza della Corte EDU del 13.07.2012, caso Mouvement raëlien suisse v. Switzerland (Ricorso n.
16354/06).
12
Il ruolo degli Stati in queste ipotesi è quello di “astenersi da qualsiasi tipo di interferenza e di censura e
di garantire un contesto favorevole per un dibattito pluralistico e inclusivo” (COM(2018)236final).
176
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
L’attenzione delle Istituzioni europee si è concentrata molto sulla lotta alle fake
news ritenute essere tra le cause di rallentamenti nello sviluppo della Rete e del Mercato
Unico Digitale13 all’interno dell’Unione europea.
In particolare, la crescente sfiducia degli utenti nelle piattaforme online e nei
contenuti da loro offerti si basa sulla consapevolezza della sempre maggiore
proliferazione di falsi account e recensioni false, così come sulla mancanza di
trasparenza in relazione ai criteri utilizzati da tali piattaforme per la selezione e la
personalizzazione dei contenuti proposti, nonché sulla verifica della veridicità delle
informazioni presentate. 14
Il Parlamento europeo, dal canto suo, ha evidenziato l’importanza che riveste,
all’epoca attuale, l’esistenza di una politica che faccia fronte alla disinformazione online
e, nel 2017, ha invitato la Commissione europea a verificare la possibilità di intervenire
in via legislativa contro la creazione e la circolazione in Rete di fake news.15
Un fattore che non può essere ignorato, inoltre, è che il proliferare delle fake news
rappresenta una minaccia per la credibilità dell’intera categoria dei giornalisti e
diminuisce la fiducia dei cittadini nell’importante ruolo più volte attribuito ai giornalisti
anche dalla giurisprudenza europea di c.d. chiens de garde della politica e della
democrazia.
1617
Tutto questo può condurre il cittadino a non distinguere più le
13
Il Mercato Unico Digitale è una strategia, a dimensione pluriennale, lanciata dall’Unione europea per
affrontare le sfide derivanti dall’evoluzione tecnologica.
Come si legge nella Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato
Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni, intitolato «Strategia Per Il Mercato Unico
Digitale In Europa», COM(2015)192final del 6.5.2015, il M.U.D. rappresenta un programma di azioni da
intraprendersi a livello dell’Unione per il perseguimento di tre grandi finalità: il miglioramento delle
condizioni di accesso ai beni e ai servizi online in Europa, porre le basi per lo sviluppo delle reti e dei
servizi e, infine, massimizzare il potenziale di crescita dell’economia digitale in Europa.
14
Il Consiglio europeo, come si legge nelle conclusioni adottate nella riunione del 22.03.2018, ha rilevato
l’esigenza che social network e piattaforme digitali garantiscano “politiche trasparenti e la piena
protezione della vita privata e dei dati personali dei cittadini”.
15
Risoluzione del Parlamento europeo del 15.06.2017 sulle piattaforme online e il mercato unico digitale
(2016/2276(INI))
16
Per un approfondimento sulla libertà di stampa nell’ordinamento internazionale e sul ruolo dei
giornalisti, si rinvia tra tutti, a M. CASTELLANETA, La libertà di stampa nel diritto internazionale e
europeo, Cacucci editore, 2012.
17
Sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, del 10.03.2009 – 10.06.2009, causa Times
Newspapers Ltd C. Regno Unito, ricorsi nn. 3002/03 e 23676/03
177
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
informazioni prodotte, e certamente verificabili, dai giornalisti da quelle immesse in
Rete da chiunque. 18
Anche a livello internazionale l’interesse per il fenomeno della disinformazione è
stato rilevato come problema emergente al quale si è cercato di fare fronte con
l’enunciazione di vari principi, tra i quali emergono quelli secondo cui tutti gli
stakeholders, dagli intermediari, agli organi di stampa e così anche gli accademici e la
società civile, devono partecipare alla ricerca e allo sviluppo di tecniche e di soluzioni
per la lotta alla disinformazione e alla propaganda.19
Per quanto attiene specificamente il fenomeno delle fake news occorre porre
l’attenzione sul fatto che queste non sono illecite per se ma solo nel caso in cui
configurino una violazione di diritti fondamentali. Ed invero, il contenuto della libertà
di informazione non specifica che essa debba essere veritiera o verificata, ma si riferisce
al fatto che gli Stati devono garantire il pluralismo dei media così come
un’informazione libera e priva di impedimenti e limitazioni.
Anche con riferimento alle notizie false si applica la generale obbligazione di non
ingerenza incombente sugli Stati: questi non devono imporre restrizioni che non siano
18
Per questa ragione, la Commissione, tra le iniziative enunciate nella Comunicazione sulla
disinformazione online COM(2018)236final, si è preoccupata di annunciare un sostegno al giornalismo
«di qualità come elemento essenziale di una società democratica», chiarendo altresì che «le misure a
sostegno degli Stati finalizzate al conseguimento degli obiettivi di interesse comune dell’Ue, quali la
libertà e il pluralismo dei media, sono state dichiarate compatibili con le norme UE in materia di aiuti di
Stato».
Nel Report del 20 febbraio 2018 redatto a seguito dell’incontro tenutosi a Bruxelles il 26.01.2017,
intitolato « Hate Speech against Migrants and Refugees in the Media» si evidenzia l’importanza di una
maggiore chiarezza e attenzione nell’uso delle parole: “Words matter. It is important to differentiate
between a migrant and a refugee, between journalists and social media users, between regulation of
hate speech and restriction of freedom of expression. There is a need for clarification between freedom of
expression of individuals and freedom of expression in journalism to prevent confusion and address these
separate issues adequately”.
19
“Joint Declaration on Freedom of Expression and “Fake news”, Disinformation and Propaganda”,
adottata a Vienna il 03.03.2017, da OSCE, NAZIONI UNITE, l’0rganizzazione degli Stati Americani (OAS) e
la African Commission on Human and People’s rights ( ACHPR), consultabile al link:
https://www.osce.org/fom/302796?download=true
Si legge nella Dichiarazione che per «disinformazione» si intende “statements which [the Authors] know
or reasonably should know to be false” e per «propaganda» si intende statements “which demonstrate a
reckless disregard for verifiable information”.
178
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
previste dalla legge, che non perseguano un interesse legittimo secondo il diritto
internazionale e che non siano necessarie20 e proporzionate21.
La diffusione di notizie false è contrastata oltre che da iniziative miranti alla loro
rimozione anche dalla creazione di contenuti che descrivono i migranti in senso positivo
per la società: alcuni documenti ufficiali riportano dati e analisi sull’inclusione dei
migranti che, documentano l’influenza positiva che esso apporterebbe sul welfare
nazionale. 22 Ad esempio, in Italia, come risulta da alcuni studi, «In un periodo di calo
delle nascite, tuttavia, l’incidenza delle donne straniere appare stabile o in leggera
crescita, confermando che anche nel mercato del lavoro la propensione a fare figli è più
alta nella popolazione immigrata che in quella italiana». 23
Tali dati porterebbero a ipotizzare che, se si riuscisse a ridurre il lavoro nero
all’interno dell’Unione e si riuscisse così a creare maggiore inclusione sociale 24, i
benefici derivanti dai flussi migratori potrebbero essere addirittura maggiori delle sfide
che essi comportano25: così l’invecchiamento progressivo e l’aumento della vita media
20
Sulla necessità di una misura di interferenza dello Stato sulla libertà di espressione tutelata dalla CEDU,
si rinvia alla seguente giurisprudenza della CORTE EDU, secondo la quale un’interferenza dello Stato che
sia necessaria in una società democratica deve essere la risposta all’esistenza di “pressing social needs”
dell’intervento, che sta al Giudice nazionale valutare. Cfr. Sentenza della CORTE EDU del 25.08.1998,
Caso Hertel v. Switzerland; Sentenza della CORTE EDU, caso Steel and Morris v. the United Kingdom,
(Ricorso n. 68416/01), 2005; Sentenza della CORTE EDU, caso Mouvement raëlien suisse v. Switzerland
[GC], Ricorso n. 16354/06, 2012; and Sentenza della CORTE EDU, caso Animal Defenders International
v. the United Kingdom [GC], Ricorso n. 48876/08, 2013.
21
“Joint Declaration on Freedom of expression” cit.
22
Dichiarazione del Gruppo Mondiale sulla migrazione del 30 settembre 2010, ove si legge che “la
protection des droits [de l’homme] n’est pas seulement une obligation juridique; elle est aussi une
question d’intéret public, intimement liée au développement humain”.
23
XVI Rapporto annuale dell’Inps, luglio 2017, ISSN 2611-3619, pag. 75, consultabile al link
https://www.inps.it/docallegatiNP/Mig/Dati_analisi_bilanci/Rapporti_annuali/INPS_XVI_Rapporto_annu
ale_intero_030717%20.pdf
24
Come riportato dal Rapporto Inps citato, un working paper Istat intitolato “The Heterogeneity of
irregular employment in Italy: some evidences from the Labour force survey integrated with
administrative data”, ISTAT Working PAPER 1/2015 redatto da C. De Gregorio e A. Giordano, attestava
che in Italia la quota di lavoratori non Italiani (UE e Extra UE) impiegati nel lavoro non regolare negli
anni 2010-2011 era di circa il 17,3%.
25
Si legge nella Comunicazione della Commissione europea al Parlamento europeo, al Consiglio, al
Consiglio europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni del 7.06.2016,
COM(2016)377final, che “Garantire che tutti coloro che risiedono legittimamente e regolarmente
nell'UE, indipendentemente dalla durata del loro soggiorno, possano partecipare e apportare il loro
contributo è essenziale per il benessere, la prosperità e la coesione futura delle società europee. In un
periodo in cui discriminazione, pregiudizi, razzismo e xenofobia sono in aumento, vi sono imperativi
giuridici, morali ed economici che impongono di sostenere i diritti fondamentali, i valori e le libertà
179
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
della popolazione, che si trasformano in erogazioni pensionistiche più durature,
potrebbero essere sostenuti dalla forza lavoro degli stranieri. 26
3. Hate speech e rimozione dei contenuti illeciti.
L’art. 20 del Patto internazionale sui diritti civili e politici (1966) sancisce che
«Qualsiasi propaganda a favore della guerra deve essere vietata dalla legge. Qualsiasi
appello all’odio nazionale, razziale o religioso che costituisce incitamento alla
discriminazione, all’ostilità o alla violenza deve essere vietato dalla legge». 27
Nel 1997, in seno al Consiglio d’Europa è stata emanata una Raccomandazione28
nella quale si affrontava il fenomeno degli hate speeches. In quella sede veniva fornita
una definizione di ciò che può intendersi per hate speech, vale a dire tutte le forme di
espressione che diffondono, incitano, promuovono o giustificano l'odio razziale, la
xenofobia, l'antisemitismo o altre forme di odio basate sull'intolleranza, tra cui:
intolleranza espressa da nazionalismo aggressivo ed etnocentrismo, discriminazione e
ostilità contro le minoranze, i migranti e le persone immigrate di origine. 29
Nella Raccomandazione citata venivano, altresì, emanati dei principi che gli Stati
erano chiamati a tenere in considerazione, tra i quali spiccano le enunciazioni
riguardanti il bilanciamento tra la necessità di perseguire gli autori degli hate speeches,
in modo differente rispetto ai professionisti e agli altri soggetti che partecipavano alla
dell'UE e di continuare ad adoperarsi per una società complessivamente più coesa. Un'integrazione
efficace dei cittadini di paesi terzi è nell'interesse comune di tutti gli Stati membri”.
26
“Oggi gli immigrati offrono un contributo molto importante al finanziamento del nostro sistema di
protezione sociale e questa loro funzione è destinata a crescere nei prossimi decenni man mano che le
generazioni di lavoratori nativi che entrano nel mercato del lavoro diventeranno più piccole. Più donne
che lavorano e più contribuenti immigrati ci permetteranno di migliorare sia oggi che in prospettiva i
conti dell’Inps e ci permetteranno di avere un sistema di protezione sociale capace di offrire copertura
assicurativa ai nuovi rischi associati a globalizzazione e progresso tecnologico”. Prefazione alla Relazione
del Presidente Inps Tito Boeri contenuta nel XVI Rapporto annuale Inps del luglio 2017.
27
Per un approfondimento sul punto in relazione alla condizione dello straniero, si rinvia a A. GIORGIS, E.
GROSSO, M. LOSANA, Diritti uguali per tutti? Gli stranieri e la garanzia dell’uguaglianza formale,
FrancoAngeli editore, 2017
28
Raccomandazione n. (97)20 del Consiglio dei Ministri agli Stati membri sui “hate speech”, adottata dal
Consiglio dei Ministri il 30 ottobre 1997, in occasione del 607esimo incontro dei Delegati dei Ministri.
29
Cfr. Raccomandazione n. 97(20): “…all forms of expression which spread, incite, promote or justify
racial hatred, xenophobia, anti-Semitism or other forms of hatred based on intolerance, including:
intolerance expressed by aggressive nationalism and ethnocentrism, discrimination and hostility against
minorities, migrants and people of immigrant origin”.
180
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
loro diffusione attraverso i media (Principio n. 6); ma ancora di più, nell’atto veniva
sottolineata l’importanza di circoscrivere le interferenze alla libertà di espressione
derivanti dalla lotta al fenomeno degli hate speeches a misure adottate in conformità
alla legge e secondo criteri obiettivi e assoggettabili a un controllo di un’autorità
giudiziaria indipendente (Principio n. 3). 30
In un Rapporto pubblicato nel 201731, nuovamente in seno al Consiglio d’Europa,
si discute di hate speech in termini di “inquinamento dell’informazione” (information
pollution) e viene riportato un dato davvero importante che riguarda l’azione della
Russia nell’incitazione all’odio nei confronti dei migranti e destinata solo agli utenti
negli USA. 32
L’Unione europea ha, poi, manifestato, nel 2008, la necessità che gli Stati
rendessero punibili le condotte d’incitazione all’odio, intese come istigazioni pubbliche
«alla violenza o all’odio nei confronti di un gruppo di persone, o di un suo membro,
definito in riferimento alla razza, al colore, alla religione, all’ascendenza o all’origine
nazionale o etnica»33. Già in quella sede, è emersa una delle problematiche più
importanti legate ai discorsi di odio e cioè l’esigenza di perseguire tali atti criminosi
tenendo conto del bilanciamento con i diritti fondamentali riguardanti «la libertà di
30
La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo ha chiaramente fatto rientrare nell’ambito
di applicazione dell’art. 10 della CEDU, anche i discorsi di odio, come espressione del pluralismo e come
esplicazione di una società democratica. [“Subject to paragraph 2 of Article 10, it is applicable not only to
‘information’ or ‘ideas’ that are favourably received or regarded as inoffensive or as a matter of
indifference, but also to those that offend, shock or disturb. Such are the demands of pluralism, tolerance
and broadmindedness without which there is no ‘democratic society’”]. Cfr. sentenza della Corte europea
dei diritti dell’Uomo del 22.04.2013, Caso Animal Defenders International v. the United Kingdom
(Ricorso n. 48876/08); sentenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo del 13.07.2012, caso
Mouvement raëlien suisse v. Switzerland (Ricorso n. 16354/06).
31
C. WARDLE, H. DERAKHSHAN, “Information disorder: Toward an interdisciplinary framework for
research and policy making”, pubblicato nel settembre 2017 dal Consiglio d’Europa, consultabile al link
https://www.rcmediafreedom.eu/Publications/Reports/Information-disorder-Toward-an-interdisciplinaryframework-for-research-and-policy-making
32
Report cit., pag. 61, “In September 2017, Facebook admitted that they had found evidence that ‘dark
ads’ (ads that are only visible to the intended audience, rather than publicly viewable on a page) had been
purchased by a Russian organization and directed at US citizens. Facebook explained, “[T]he ads and
accounts appeared to focus on amplifying divisive social and political messages across the ideological
spectrum — touching on topics from LGBT matters to race issues to immigration to gun rights.”184 A
few days later, an investigation by the Daily Beast found inauthentic accounts, seemingly located in
Russia, had used the Facebook events function to organize anti-immigration protests in the US”.
33
Decisione quadro 2008/913/GAI del Consiglio, del 28 novembre 2008, sulla lotta contro talune forme
ed espressioni di razzismo e xenofobia mediante il diritto penale, in GU L 328 del 6.12.2008, pag. 55–58
181
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
associazione e la libertà di espressione, in particolare la libertà di stampa e la libertà di
espressione in altri mezzi di comunicazione, quali risultano dalle tradizioni
costituzionali o dalle norme che disciplinano i diritti e le responsabilità della stampa o
di altri mezzi di comunicazione, nonché le relative garanzie procedurali…». 34
Quest’ultimo profilo, riapre un dibattito di lunga data su quali siano effettivamente i
confini entro i quali si possa considerare un contenuto o una notizia o un’opinione come
coperta dall’esercizio della libertà di espressione. 35
In molti casi, questo che ci occupa non fa eccezione, le pronunce della
giurisprudenza della CORTE EDU possono venire in aiuto al fine di delineare al meglio
alcuni istituti giuridici nonché a dirimere alcuni conflitti tra norme o principi.
In particolare, la CORTE EDU ha avuto modo di pronunciarsi, per la prima volta
nel 201536, su un caso di hate speech su Internet, nel quale sono state affrontate le
tematiche relative ai doveri e alle responsabilità di una piattaforma giornalistica online
che esercita attività in via professionale e a scopo di lucro, nonché relative ai limiti in
cui possa essere ammessa, ai sensi della Convenzione, un’ingerenza dello Stato nella
libertà di espressione di tali soggetti. Ferme restando le particolari circostanze del caso
concreto, per le quali si rinvia alla sentenza, è importante sottolineare in questa sede i
principi affermati dalla Corte e che possono aiutare a tracciare i confini del fenomeno di
cui si parla.
Per quanto attiene alla definizione di hate speech, la Corte non si discosta da
quanto già affermato negli atti delle organizzazioni internazionali fin qui richiamate. Al
contrario, un’attenzione particolare la Corte l’ha prestata alla possibilità di ammettere
una differenza, al fine di qualificare un ipotesi di hate speech, nel tono di alcune
dichiarazioni o, come nel caso di specie, di alcuni commenti, a seconda che l’autore
34
Art. 7, Decisione quadro 2008/913/GAI, cit.
«Hate Speech isn’t free speech, it is racism», citazione dal discorso di apertura di María Fernanda
Espinosa, Presidente dell’Assemblea Generale ONU, in occasione dell’incontro dell’Assemblea Generale
sul tema “Combating Anti-Semitism and Other Forms of Racism and Hate – The Challenges of Teaching
Tolerance and Respect in the Digital Age“, tenutosi il 26.06.2019.
36
Sentenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo del 16.06.2015, Caso DELFI AS c. ESTONIA
(Ricorso no. 64569/09)
35
182
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
degli stessi sia un giornalista, ovvero un politico, rispetto ad un privato cittadino37; allo
stesso modo la Corte ammette che, alla luce delle specificità della Rete, vi possano
essere differenti doveri e responsabilità tra una piattaforma d’informazione online
rispetto a un giornale tradizionale, per quanto attiene i contenuti illeciti di terzi soggetti.
38
In ogni caso, vi è da valutare il ruolo delle piattaforme online, grandi o piccole
che siano, nella rimozione dei contenuti e nel monitoraggio delle pubblicazioni
offensive, poiché non vi è da dimenticare che la previsione di obbligo di rimozione dei
contenuti può, in alcuni casi, rappresentare una vera e propria forma di censura. 39
D’altra parte, nel valutare l’ampiezza dell’obbligo di rimozione del contenuto da
parte della piattaforma online ospitante, non può non tenersi conto che le vittime del
messaggio di odio, siano esse un gruppo di persone40, ovvero un soggetto determinato,
non hanno la stessa “capacità di monitorare” la rete quotidianamente. E pertanto, può
essere considerato come una forma adeguata di tutela. 41
37
Sentenza Delfi As c. Estonia, cit., punto 132
Sentenza Delfi As c. Estonia, cit., punto 113
39
Report of the Special Rapporteur on the promotion and protection of the right to freedom of opinion
and expression, del 16.05.2011, nel quale mr. Frank La Rue ha dichiarato che: «Intermediaries play a
fundamental role in enabling Internet users to enjoy their right to freedom of expression and access to
information. Given their unprecedented influence over how and what is circulated on the Internet, States
have increasingly sought to exert control over them and to hold them legally liable for failing to prevent
access to content deemed to be illegal.
The Special Rapporteur emphasizes that censorship measures should never be delegated to private
entities, and that intermediaries should not be held liable for refusing to take action that infringes
individuals’ human rights. Any requests submitted to intermediaries to prevent access to certain content,
or to disclose private information for strictly limited purposes such as administration of criminal justice,
should be done through an order issued by a court or a competent body which is independent of any
political, commercial or other unwarranted influences».
40
Per un approfondimento sul rapporto tra mezzi di comunicazione, discorsi di odio contro le comunità
religiose, si rinvia a C. MORINI, La tutela dei diritti dei gruppi religiosi nel contesto regionale europeo,
Cacucci editore, 2018.
41
Come sottolineato dalla Corte nella sentenza citata, al punto 158, “The Court attaches weight to the
consideration that the ability of a potential victim of hate speech to continuously monitor the Internet is
more limited than the ability of a large commercial Internet news portal to prevent or rapidly remove such
comments”.
38
183
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
4. Le iniziative per combattere le discriminazioni e promuovere l’inclusione dei
migranti e il ruolo della soft law.
Al fine di meglio comprendere il ruolo delle informazioni «inquinate», quali
possono essere le fake news, nella formazione del pensiero democratico dei cittadini e
nella qualità e quantità della loro partecipazione alla vita sociale e politica, potrebbe
essere utile fare riferimento a quattro possibili relazioni tra la società e l’innovazione
tecnologica42: i due estremi di tali relazioni sono la «trasformazione», vale a dire la
trasformazione del processo decisionale e del modello di democrazia rappresentativa
dovute alla sempre maggiore conoscenza e partecipazione dei rappresentati nella vita
politica attraverso Internet, e la «sostituzione», vale a dire la teoria secondo la quale ci
saranno algoritmi in grado di prendere decisioni nella maniera più oggettiva possibile
riducendo tutte le problematiche sociali e politiche ad una valutazione algoritmica43;
mitigati da «ottimizzazione», cioè l’idea che la tecnologia possa fungere da supporto nel
processo decisionale senza tuttavia modificarne il modello, e «controllo», ossia la
crescente partecipazione politica della cittadinanza grazie alle nuove tecnologie che
permettono un controllo più o meno costante sulle persone dei rappresentanti, sul loro
impegno politico quotidiano, sulle loro finanze, sui loro rapporti con i gruppi di
interesse, ecc….
Ciò che accomuna tutte queste possibili relazioni tra tecnologia e partecipazione
alla vita sociale è che nessuna di esse è immune dall’influenza negativa che può essere
rappresentata dalla circolazione indisturbata di informazioni false e non verificate,
utilizzate per “alterare” il pensiero sociale e politico.
Le problematiche alle quali entrambi i fenomeni oggetto della presente analisi
danno origine consistono nel difficile equilibrio tra la tutela della libertà di espressione e
42
G. VILELLA, “E-Democracy, On Participation in the Digital Age”, Nomos Verlagsgesellschaft, BadenBaden, 2019
43
Con riferimento a una tale relazione, l’Autore esprime forti dubbi dovuti al fatto che tali algoritmi
hanno bisogno di essere creati e scritti, così come i fattori su cui i risultati dovranno essere calcolati, con
il rischio che vi sia totale mancanza di trasparenza e che tali operazioni siano fonte di discriminazioni,
senza contare che “delegare” il processo di formazione democratica della società ad una macchina,
creerebbe un forte rischio di assenza del dibattito politico così come dell’opposizione e delle minoranze e
de pluralismo informativo.
184
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
la necessità di promuovere la democrazia nonché di reprimere e combattere gli illeciti
su Internet.
Negli ultimi anni si è assistito al proliferare nel mondo della rete di codici di
buona condotta44 dai quali emerge sempre di più il ruolo centrale affidato a soggetti
diversi dalle autorità statali nella gestione di problematiche legate a Internet 45 e, da
ultimo, per quel che qui interessa, nella lotta contro la disinformazione online e
l’illegalità sulla rete. 46
Il 26 settembre 2018 è stato pubblicato il Codice di buone pratiche sulla
disinformazione, al quale i firmatari iniziali hanno aderito formalmente il 16 ottobre
successivo. Lo stesso presenta, tuttavia, alcune evidenti criticità. In particolare, si
potrebbe definire una “raccolta di intenti” presentata da alcuni fornitori del servizio,
poiché il codice si riferisce «al singolo firmatario che ha accettato determinati impegni
[…] senza impegnare tutti i firmatari del codice a sottoscrivere ogni impegno». Infatti,
«i firmatari hanno redatto il presente codice e i relativi allegati, che costituiscono parte
integrante del codice, e si impegnano ad aderire agli impegni pertinenti elencati accanto
al rispettivo nome».47
Inoltre, per espressa previsione, «l’applicazione del codice si limita per ciascun
firmatario ai servizi forniti negli Stati che sono parti contraenti dello Spazio economico
europeo», limitando la portata geografica dello strumento. Tale circostanza, in qualche
modo, svuota di contenuto l’intero codice, poiché, come si è già avuto modo di
44
L’Unione ha incoraggiato in varie occasioni l’emanazione di tali atti di soft law al fine di tutelare
alcune particolari situazioni che riguardano Internet. Un esempio è dato dall’art. 16 della Direttiva
2000/31/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio dell'8 giugno 2000 relativa a taluni aspetti giuridici
dei servizi della società dell'informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno
(«Direttiva sul commercio elettronico»), GU L 178 del 17.7.2000, pag. 1–16.
45
Si pensi, tra gli altri, al Codice di condotta relativo alle pratiche di “Telehealth” e e-health, adottato in
seno alla Conferenza europea di Telemedicina tenutasi il 29 ottobre 2013 a Edimburgo; ovvero il Codice
di deontologia e di buona condotta per il trattamento dei dati personali effettuato ai fini di informazione
commerciale adottato dal Garante Privacy italiano nel 2015.
46
Questo tipo di politica è promossa soprattutto a livello europeo: sempre rimanendo nel settore oggetto
della presente analisi, si può menzionare il «Piano di azione contro la disinformazione» del 5.12.2018,
JOIN(2018)36final, nel quale la mobilizzazione del settore privato è stato inserita tra i pilastri dell’azione
coordinata per combattere la disinformazione per la lotta alla disinformazione.
47
Entrambe le citazioni sono riprese dal contenuto del Preambolo al Codice di buone pratiche sulla
disinformazione cit.
185
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
precisare, fino a oggi, i più grossi attacchi e, quindi, il maggiore pericolo di diffusione
della disinformazione e dei discorsi di odio deriva da paesi terzi.
Coerentemente con una tale tendenza di “autotutela” delle piattaforme online,
twitter ha recentemente annunciato sul proprio sito ufficiale48 che la compagnia diversamente dal passato, quando veniva tollerata la permanenza di alcuni tweet
nonostante violassero le regole della piattaforma, perché considerati di pubblico
interesse-, avrebbe lanciato un nuovo avviso/notifica (visibile come finestra sul tweet ed
eliminabile con un click), che dovrebbe precedere la lettura di alcuni tweet da parte
degli utenti, nel quale viene chiarito che il contenuto vìola le regole della piattaforma,
ma che lo stesso non viene eliminato poiché l’accesso allo stesso è ritenuto di pubblico
interesse. 49 Tale avviso, secondo quanto annunciato da Twitter, sarà apposto a seguito
di una valutazione che categoricamente non sarà eseguita da un algoritmo e che
riguarderà, per adesso, solo determinati account, i quali, per specifiche caratteristiche
(gestione da parte di politici o rappresentanti di governi o soggetti che rivestono o
stanno per rivestire cariche pubbliche; esistenza di più di 100000 followers), possono
avere un’influenza di gran lunga maggiore di altri. 50
Con riferimento al fenomeno hate speech, inoltre, l’esempio della tendenza alla
creazione di strumenti di soft law per la gestione delle problematiche di Internet è
fornito dal «Codice di condotta per combattere le forme illegali di incitazione all’odio
online», adottato dalla Commissione europea e da facebook, microsoft, twitter e
youtube il 31 maggio 2016.
A livello internazionale, recentemente, in seno alle Nazioni Unite si è discusso di
discorsi di odio e di come le piattaforme online abbiano agevolato la proliferazione di
idee estremiste, antisemite e xenofobe, contesti discriminatori, questi, che hanno, poi,
un nesso causale con l’aumento dei casi di violenza e di esclusione sociale. Il Segretario
48
Post del 27 giugno 2019, «Defining public interest on Twitter», consultabile al link
https://blog.twitter.com/en_us/topics/company/2019/publicinterest.html
49
Per ulteriori approfondimenti sulla nozione di “pubblico interesse” secondo Twitter, consultare il link
https://help.twitter.com/it/rules-and-policies/enforcement-philosophy
50
Per quanto riguarda gli altri casi, la piattaforma detta alcune regole e principi, tra i quali, quelli
specificati
al
seguente
link:
https://blog.twitter.com/en_us/topics/company/2019/hatefulconductupdate.html
186
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha affermato che i discorsi di odio
sono da considerare come un attacco alla tolleranza, all’inclusione e all’essenza stessa
delle norme e dei principi che fondano i diritti umani. 51
Poiché i canali offerti dalla rete amplificano i mezzi e le occasioni in cui i diritti
umani dei migranti possono essere oggetto di attacco e poiché vi è un collegamento52 tra
la diffusione di informazioni negative su Internet e l’aumento dei c.d. hate crimes53, la
risposta manifesta in seno alle organizzazioni internazionali è quella di promuovere
politiche di contrasto a questi fenomeni fondate sulla promozione dell’educazione e sul
rispetto dei diritti umani54.
Una di queste iniziative è contenuta nel Global Compact for Migration 55, accordo
intergovernativo concluso nel dicembre 2018 per la protezione dei migranti, il quale
enumera tra gli obiettivi per il raggiungimento di una migrazione sicura e ordinata,
quello di eliminare ogni forma di discriminazione e promuovere una percezione diffusa
51
Discorso di apertura del Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, nell’incontro che si
è svolto lo scorso 18 giugno 2019, nel quale si è lanciata la Strategia delle Nazioni Unite e il Piano
d’azione contro i discorsi d’odio. La registrazione della conferenza è visibile al seguente link:
http://webtv.un.org/search/launch-of-the-un-strategy-and-plan-of-action-on-hate-speech-openingspeeches-un-secretary-general-antónio-guterres-and-special-adviser-on-the-prevention-of-genocideadama-dieng/6049614294001/?term=Antonio%20Guterres&lan=English&sort=date#t=34s
52
Cfr. Comparative Report, «Legal framework, societal responses and good practices to counter online
hate speech against migrants and refugees», del 2017, citato.
53
I c.d. Hate crimes (crimini d’odio) sono definiti come atti criminosi fondati su discriminazione e
pregiudizio nei confronti di un gruppo di persone, che condividono determinate caratteristiche quali
orientamento sessuale, razza o etnia, orientamento religioso, disabilità. Una definizione esaustiva del
fenomeno è fornita dall’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), e
consultabile al seguente link http://hatecrime.osce.org/what-hate-crime
54
Dichiarazione di New York sui rifugiati e i migranti del 13.09.2016, p. 14.
55
Il «Global Compact For Safe, Orderly And Regular Migration, Intergovernmentally Negotiated and
Agreed Outcome» del 13 luglio 2018, adottato il 10 dicembre 2018, è un accordo negoziato a livello
intergovernativo in seguito all’adozione della Dichiarazione di New York del 2016. L’allegato II della
Dichiarazione, infatti, promuoveva l’avvio di un processo di negoziazione finalizzato all’adozione del
global compact fissando gli obiettivi ai quali la negoziazione doveva mirare, prevedendo che «The global
compact would set out a range of principles, commitments and understandings among Member States
regarding international migration in all its dimensions. It would make an important contribution to global
governance and enhance coordination on international migration. It would present a framework for
comprehensive international cooperation on migrants and human mobility. It would deal with all aspects
of international migration, including the humanitarian, developmental, human rights-related and other
aspects of migration. It would be guided by the 2030 Agenda for Sustainable Development and the Addis
Ababa Action Agenda of the Third International Conference on Financing for Development and informed
by the Declaration of the High-level Dialogue on International Migration and Development adopted in
October 2013».
187
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
dei migranti basata su dati e fatti, ma anche su un dibattito aperto nel rispetto della
libertà di espressione. Un tale obiettivo dovrebbe essere raggiunto attraverso la
promozione dell’indipendenza degli organi di stampa e della qualità dell’informazione
anche su Internet, tra l’altro, incentivando la sensibilizzazione e l’educazione dei
professionisti al tema e alle problematiche collegate ai migranti56.
Sul piano internazionale, le iniziative intraprese che promuovono la cultura e
l’educazione sul tema della migrazione si scontrano con le incertezze dovute, tra l’altro,
alla mancanza di strumenti universali e unitari sui migranti che non fanno che dare più
spazio alla diffusione della disinformazione che a sua volta alimenta i sentimenti
negativi nei confronti degli stessi migranti.
Nella lotta contro fake news e hate speech in relazione ai migranti è stata rilevata
l’importanza di un approccio olistico del fenomeno migratorio e la necessità che la
società, a tutti i livelli57 (dalla classe politica alla comunità economica e alla società
civile), sia interessata dalla politica di contrasto alla xenofobia che è all’origine
dell’esclusione e della diffusione di odio58. Infatti, è pacifico tra gli esperti che, affinché
56
«Global Compact For Safe, Orderly And Regular Migration» cit., obiettivo n. 17, p. 33, lett. c).
A. MIKULSKA , Who does what in the field of migration & integration in Poland – a Stakeholder
Analysis, «In order to pursue a progressive migrant and integration policy, understood as the involvement
of both migrants and members of the host society in the process of integration, the political will of
decisionmakers (at central and local level) needs to be complemented by social support. And to build this
support, a friendly attitude towards refugees and migration needs to be created. Various agents might be
involved in the process, such as politicians, journalists, teachers, educators, artists and celebrities that
inspire authority and are popular with various social groups. However, creating a positive narrative must
go hand in hand with combating fake news regarding migration in Western European countries as well as
around the drivers of the refugee problem».
58
L’allora Segretario Generale ONU Ban Ki-Moon nel 2013, nel Rapporto «Promotion And Protection Of
Human Rights, Including Ways And Means To promote the human rights of Migrantsm», A/68/292, 9
agosto 2013, citato da IMPERATORE L., Migrazioni e diritti umani. Lo straniero nella giurisprudenza
CEDU, Key editore, 2019, ha evidenziato 58 come sia sempre più difficile distinguere, nella situazione
contemporanea di rapida crescita e frequenza degli spostamenti migratori, i motivi all’origine della
decisione di migrare: se sia su base volontaria o forzata, regolare o irregolare, temporanea o stagionale o a
lungo termine. A ciò si aggiunga l’inclinazione della comunità internazionale a fornire tutele ai migranti
per categoria (Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (2006),
Convenzione del 1949 sui lavoratori migranti, Convenzione sui diritti dell’infanzia (1989), Convenzione
relativa allo statuto dei rifugiati (1951), ecc…), tendenza che, tuttavia, può comportare dei problemi in
termini di tutela effettiva, poiché la vaghezza delle categorie nonché la circostanza che ogni migrante può
passare facilmente da una categoria all’altra, fa aumentare in maniera importante l’incertezza delle tutele
previste e le difficoltà in termini di controllo da parte degli Stati e della comunità internazionale
sull’operato di questi ultimi, come chiaramente espresso dal documento dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite
per i diritti umani, intitolato «Améliorer la Gouvernance de la migration internationale fondée sur les
57
188
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
vi sia una vera inclusione, occorre che l’azione abbia origine dalle istituzioni politiche
ma che sia condivisa dalla società civile: l’integrazione non è il risultato unicamente di
politiche che offrono opportunità di educazione e di lavoro per i migranti ma riguarda
anche la possibilità che questi hanno partecipare alla vita sociale nella realtà in cui
vivono e, perché ciò avvenga è necessario che vi sia consapevolezza e conoscenza da
parte della comunità intera.59 Per questa ragione, la lotta alle fake news e agli hate
speeches contro i migranti è di fondamentale importanza perché vi sia una vera
inclusione.
Una delle soluzioni più incisive per combattere le problematiche legate alla
circolazione di informazioni su Internet che più spesso emergono a livello
internazionale è quella di rafforzare le iniziative che mirano ad una maggiore e più
ampia formazione della società60.
Recentemente, l’importanza dell’educazione è stata esaltata dalla Presidente
dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Maria Fernanda Espinoza, nel discorso di
apertura al summit che si è tenuto nel giugno 2019 con riferimento alla lotta contro il
fenomeno degli hate speeches.61
Tutte le iniziative appena elencate evidenziano in maniera chiara l’importanza
ormai acquisita dal fenomeno della disinformazione e della diffusione dell’odio sulla
droits de l’homme», Migration et Droit de l’Homme, consultabile al seguente link:
https://l.facebook.com/l.php?u=https%3A%2F%2Fwww.ohchr.org%2FDocuments%2FIssues%2FMigrati
on%2FMigrationHR_improvingHR_ReportFR.pdf%3Ffbclid%3DIwAR2ZUFTdlUpmwEcc4aef9I4yLQo
BjJl5MCLw92rsKGkhVEX1KvxFUZOSvnM&h=AT1zwr64P65wepSmSYXYP9KZf-gzdxSTlUJs55P9Dce6p2eXfCMDG4exe7bN411xHJN9Vjx8ytqNShFobLayngnKnEEryKbxgx9gv2KJndO_VgbRjQ1ew2c5RNM4j3TEAwMSjo.
59
Report del febbraio 2018 «Hate Speech Against Migrants And Refugees In The Media» citato.
60
«Hate Crime and Hate Speech in Europe: Comprehensive Analysis of International Law Principles,
EU-wide Study and National Assessments», Report redatto nell’ambito del progetto PRISM - Preventing,
Redressing and Inhibiting hate speech in new Media, co-finanziato dall’Unione europea e coordinato
dall’Associazione
Arci,
consultabile
al
seguente
link:
http://www.unicri.it/special_topics/hate_crimes/Hate_Crime_and_Hate_Speech_in_Europe_Comprehensi
ve_Analysis_of_International_Law_Principles_EU-wide_Study_and_National_Assessments.pdf
61
In questa direzione si muoveva Mr. Frank La Rue nel noto report del 2011, che si concludeva con la
seguente raccomandazione: “States should include Internet literacy skills in school curricula, and support
similar learning modules outside of schools. In addition to basic skills training, modules should clarify
the benefits of accessing information online, and of responsibly contributing information. Training can
also help individuals learn how to protect themselves against harmful content, and explain the potential
consequences of revealing private information on the Internet”.
189
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
rete nei confronti dei migranti. Tuttavia, benché il ruolo fondamentale svolto dalle
piattaforme online nella lotta a questi fenomeni sia innegabile, non è sufficiente che le
politiche di contrasto siano affidate unicamente a questi soggetti, soprattutto in virtù
della norma, sancita dal diritto dell’Unione europea, 62 secondo la quale gli intermediari,
in linea di principio, non sono ritenuti responsabili di quello che accade sulle loro
piattaforme e non sono soggetti un obbligo generale di sorveglianza né di ricerca attiva
dei contenuti illeciti63.
Invero, promuovere l’inclusione dei migranti attraverso iniziative volte ad
assicurare una tutela ex post dei contenuti illeciti non è sufficiente, poiché, di fatto, esse
si fondano su un comportamento attivo di denuncia della vittima di hate speech o fake
news diffusi sulla rete e questo può non assicurare una tutela effettiva, soprattutto nei
casi in cui si tratta di contenuti diretti, come spesso avviene, a un gruppo indeterminato
di soggetti. D’altro canto, anche le numerose iniziative che mirano alla diffusione di
notizie positive sui migranti possono non sortire alcun effetto se non si combattono in
maniera efficace, individuandole64 e rimuovendole, le notizie false e le incitazioni
all’odio.
In conclusione, le discussioni sulle problematiche legate agli ostacoli
all’inclusione dei migranti passano inevitabilmente dall’analisi dell’impatto della
disinformazione e della confusione che essa genera nell’opinione pubblica. A livello
politico sul tema dei migranti non esistono dibattiti chiari e politiche programmatiche
ma solo estremismi e slogan. La relazione tra la crescita dei flussi migratori degli ultimi
anni e l’aumento dei casi di hate speech e di condotte integranti crimini di odio è al
centro del dibattito politico, europeo e internazionale.
62
Cfr. art. 12 e ss. Direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell'8 giugno 2000
relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell'informazione, in particolare il commercio
elettronico, nel mercato interno («Direttiva sul commercio elettronico»), GU L 178 del 17.7.2000, pag. da
1 a 16.
63
Secondo una giurisprudenza consolidata della Corte di Giustizia (Cfr. sentenza del 12.07.2011, C324/09, L’Oréal SA e altri contro eBay International AG e altri., Racc. giurispr. 2011 I-06011), l’assenza
di responsabilità in capo agli intermediari non comporta che essi non possano essere destinatari di
ingiunzioni che prevedano obblighi specifici di sorveglianza finalizzati a prevenire una nuova violazione.
64
Alcuni intermediari online, tra cui anche facebook, hanno attivato filtri di monitoraggio che ricorrono
all’Intelligenza Artificiale.
190
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
Tutto ciò che circola liberamente su Internet e, in particolare, sui social network è
la sintesi di tutte le considerazioni fin qui svolte. Essi sono le sedi ove maggiormente si
diffondono le fake news e dove si possono riscontrare casi in cui accanto a post relativi
al tema dei migranti si ritrovano commenti offensivi e dichiarazioni di odio.
Questa carenza di contenuti nel dibattito politico passa anche attraverso un uso
distorto della rete. Un chiaro esempio ne è la questione portata all’attenzione della Corte
di Giustizia dell’Unione europea, conclusasi con una sentenza emessa il 3 ottobre
scorso65. In particolare, si trattava della condivisione su facebook di notizie relative ai
migranti e alle posizioni politiche assunte sul tema dagli esponenti dei partiti politici,
per questi motivi messi sotto attacco da alcuni utenti di facebook mediante commenti
offensivi e diffamanti66 dei quali veniva richiesta la rimozione mediante ingiunzione del
giudice
65
Cfr. Corte di Giustizia dell’Unione europea, sentenza del 3.10.2019, Eva Glawischnig-Piesczek contro
Facebook Ireland Limited, C-18/18.
66
La Corte di Giustizia nella detta sentenza ha statuito, in particolare, che, nonostante il divieto di sancire
in capo agli intermediari obblighi di sorveglianza o di ricerca dei contenuti illeciti sui propri spazi virtuali
(Il caso portato dinanzi alla Corte riguardava prestatori di servizi di hosting, definiti all’art. 14 della
Direttiva 2000/31/Ce, come prestatori “di un servizio della società dell'informazione consistente nella
memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio”), il diritto europeo permette ai
giudici nazionali di ingiungere la rimozione di contenuti illeciti anche a livello mondiale, nonché di
informazioni di contenuto identico, ovvero equivalente, a quelli dichiarati illeciti anche se successivi
all’ingiunzione stessa, sempre nel rispetto della libertà di espressione.
191
192
CLAUDIA MORINI
Il Forum europeo della migrazione: brevi osservazioni
‘A truly united, European migration policy also means that we need to look into opening legal
channels for migration […] if there are more, safe and controlled roads opened to Europe, we can
manage migration better and make the illegal work of human traffickers less attractive.’
(J.-C. Juncker, SOTEU 2015, https://ec.europa.eu/commission/sites/betapolitical/files/state_of_the_union_2015_en.pdf)
Abstract Il Forum europeo della migrazione è un’importante piattaforma per il dialogo tra la società
civile e le Istituzioni europee su questioni relative alle migrazioni, all’asilo e all’integrazione dei cittadini
di Paesi terzi nell’Unione europea. L’ultimo incontro è avvenuto lo scorso aprile e sono state adottate
dieci importanti raccomandazioni.
Keywords: Unione europea; Comitato economico e sociale (CESE); fenomeno migratorio; società civile
1. Premessa.
Nel gennaio del 2015 il Comitato economico e sociale europeo (CESE)1, in
collaborazione con la Commissione europea, ha organizzato la prima edizione del
Forum europeo della migrazione, il quale traeva origine dall’esperienza del Forum
europeo dell’integrazione che aveva avuto luogo 11 volte tra il 2009 e il 20142.
1
In quanto organo consultivo dell’Unione europea che rappresenta la società civile organizzata, il
Comitato economico e sociale europeo, istituito con il Trattato di Roma del 1957, è prevalentemente
dedicato alla tutela e promozione di quella che potremmo definire ‘la dimensione umana della politica
europea’. Si tratta di un forum, unico nel suo genere, di consultazione, dialogo e consenso fra i
rappresentanti della c.d. ‘società civile organizzata’, che include, tra gli altri, datori di lavoro, sindacalisti,
organizzazioni di categoria, organizzazioni giovanili, associazioni delle donne, rappresentanti dei
consumatori e organizzazioni per la tutela dell’ambiente. Le sue funzioni principali sono essenzialmente
tre, ovvero fare in modo che le politiche e gli atti legislativi dell’Unione siano in linea con le condizioni
socioeconomiche; attivarsi per la promozione della partecipazione nell’UE, garantendo a tal fine che le
organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro e gli altri gruppi di interesse abbiano la possibilità di
esprimersi e, infine, farsi portavoce e promotore dei valori dell’integrazione europea, sostenendo in
particolar modo la causa della democrazia partecipativa e la partecipazione delle organizzazioni della
società civile. Il filo conduttore di questa azioni è la ricerca un consenso proficuo per il bene comune
attraverso un dialogo costruttivo con tutti gli interlocutori coinvolti.
2
Questo forum è nato su impulso della Commissione europea per permettere ai rappresentanti delle
organizzazioni della società civile di esprimersi sulle questioni rilevanti, in particolare con riferimento
alla c.d. ‘agenda UE per l’integrazione’, e per consentire allo stesso tempo alle Istituzioni europee di
193
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
Il Forum europeo della migrazione è oggi un’importante piattaforma per il
dialogo tra la società civile e le Istituzioni europee su questioni relative alle migrazioni,
all’asilo e all’integrazione dei cittadini di Paesi terzi nell’Unione europea. Con cadenza
almeno annuale, esso riunisce i rappresentanti delle organizzazioni della società civile,
degli enti locali e regionali, degli Stati membri e delle Istituzioni dell’UE.
Il più rilevante scopo del Forum è quello di migliorare il coordinamento e la
cooperazione tra i principali attori coinvolti nella governance europea del fenomeno
migratorio, che è caratterizzata da una struttura multilivello. Esso ha tra i suoi obiettivi
la diffusione di maggiori informazioni sugli esiti recenti delle politiche in materia, la
raccolta di informazioni sulle diverse modalità di attuazione delle politiche europee sia a
livello regionale che locale, nell’ottica di una sempre maggiore prossimità ai cittadini
europei.
Inoltre, il Forum mira anche a contribuire, con la sua attività, a migliorare la
percezione e la conoscenza delle maggiori difficoltà affrontate dalle organizzazioni
della società civile e dalle parti sociali attive nel settore delle migrazioni, e a individuare
i metodi per sostenere al meglio gli sforzi messi in atto al fine di rispondere
adeguatamente alle diverse esigenze dei migranti.
2. La posizione del Comitato economico e sociale in tema di migrazioni.
Il V incontro del Forum europeo, il cui tema è stato From global to local governance of
migration: the role of local authorities and civil society in managing migration and
ensuring safe and regular pathways to the EU, ha avuto luogo lo scorso aprile a
Bruxelles (3-4 aprile 2019). Un importante punto di riferimento per capire la posizione
del CESE sul tema delle migrazioni è stato proprio il discorso tenuto dal suo Presidente,
Luca Jahier, in apertura del Forum 2019.
Bisogna evidenziare, in primo luogo, che già nel 2015, anno della sua prima
edizione, nelle conclusioni del Forum ci si era preoccupati di sottolineare che le
politiche dell’Unione europea in materia migratoria avrebbero dovuto avere tra le loro
svolgere un ruolo di impulso in quel settore. Anche questa piattaforma di dialogo nasceva in cooperazione
con il Comitato economico e sociale europeo.
194
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
priorità la garanzia di percorsi e accessi legali verso l’UE. Ciò, non solo per le persone
potenzialmente beneficiarie di protezione internazionale, ma anche per coloro che
avessero avuto il desiderio di lavorare, studiare o unirsi ai loro familiari all’interno dei
confini dell’Unione.
Come è noto, dopo quasi cinque anni da quei propositi, la situazione è in uno
stato di grave stallo politico, mentre è sensibilmente peggiorata la condizione dei
migranti, che continuano a morire nel Mediterraneo e lungo la rotta balcanica, e la
pressione migratoria è ancora elevata. Se ancora oggi molte persone intraprendono
viaggi estremamente pericolosi via mare, mettendo seriamente a rischio la propria vita e
quella dei propri cari, è chiaramente perché mancano alternative legali.
Solo nel 2018 sono stati rilevati circa 150.000 attraversamenti irregolari delle
frontiere esterne dell’Unione. Sebbene di fatto si tratti di un calo significativo rispetto ai
numeri del 2015, è ancora un numero troppo elevato, soprattutto in virtù della
pericolosità dei suddetti attraversamenti. Fonti attendibili parlano di circa 1000 morti
nel Mediterraneo centrale nel solo 20193.
Come evidenziato dal Presidente Jahier, poi, l’UE deve ormai porsi nell’ottica
che il fenomeno migratorio continuerà e dovrà, pertanto, attivarsi di conseguenza. A tal
fine risulta ormai sempre più pressante la necessità di sviluppare strumenti efficaci per
affrontare futuri arrivi su larga scala e realtà socio-economico-culturali in continua
evoluzione. La via di una politica migratoria comune ed efficace, basata sul principio di
solidarietà sia tra gli Stati membri che nei confronti di Paesi terzi in grave difficoltà, è
ormai l’unica percorribile.
Infine, la predisposizione di rotte sicure e legali, ad avviso del Presidente, non
solo ridurrebbe gli arrivi irregolari, ma potrebbe anche alleviare - nel medio e lungo
periodo - la pressione sul sistema di asilo dell’Unione.
3
La fonte è lo United Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR). Dal 2014 al 2019 i morti sono
stati 15.000 circa. Inoltre, il rapporto tra partenze e morti in mare è drammaticamente aumentato: mentre
nel 2018 si verificava una morte ogni 29 partenze; nel 2019 siamo arrivati a una morte ogni 6 partenze.
Vedi il documento del 5 novembre 2019 di Amnesty International, dal titolo “La strage silenziosa dei
rifugiati
nel
Mar Mediterraneo: le nostre
colpe”, reperibile al seguente
link:
https://www.amnesty.it/giornata-mondiale-rifugiato-strage-mediterraneo/.
195
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
3. Il V incontro del Forum europeo.
L’esito concreto dell’incontro dello scorso aprile è stata l’adozione di 10
raccomandazioni indirizzate a tutti gli attori coinvolti nella gestione della crisi
migratoria di questi ultimi anni.
Per quanto riguarda nello specifico il tema del governo multilivello delle
migrazioni, dal globale al locale, si è messo in evidenza il ruolo centrale delle autorità
locali nella gestione della migrazione.
Sul punto il Forum si è espresso, innanzitutto, nel senso di favorire l’inclusione
di una clausola di coesione sociale nei fondi UE/nazionali destinati ai migranti e di
rendere obbligatorio il coinvolgimento anche degli individui appartenenti alla comunità
ospitante.
Inoltre, si è raccomandato di sviluppare piattaforme multi-stakeholder
istituzionalizzate a livello locale che possano riunire, tra gli altri, autorità locali,
organizzazioni non governative e organizzazioni di migranti, al fine di garantire ai
migranti servizi accessibili, inclusivi e pertinenti, indipendentemente dal loro status.
Quanto alle prospettive future della politica di migrazione legale dell’Unione
europea, invece, nell’ottica di un sempre più stretto coinvolgimento ‘dal basso’ e
dell’attuazione del principio di prossimità, il Forum si è espresso favorevolmente
affinché venga avviato un processo strutturato per la consultazione di organizzazioni
non governative, autorità locali e parti sociali nella gestione della migrazione legale.
Inoltre, ad avviso dei partecipanti all’incontro, è ormai necessario adottare una
direttiva che armonizzi le condizioni e i diritti di ammissione per tutte le categorie di
cittadini di Paesi terzi, e che includa in sé diritti quali la parità di trattamento, il diritto di
libera circolazione entro i confini dell’Unione e il diritto al ricongiungimento familiare.
Un ruolo di primaria importanza in questo scenario deve essere rivestito dalle
organizzazioni della società civile, con l’obiettivo di sviluppare e migliorare canali
sicuri di arrivo nell’Unione per motivi umanitari e di protezione internazionale. A tal
fine sarebbe opportuno che i programmi di ricongiungimento familiare nell’UE
divenissero percorsi complementari per ottenere la protezione internazionale.
196
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
Anche alla Commissione europea è riconosciuto un compito di rilievo, ovvero
l’adozione di misure per armonizzare i percorsi di accoglienza e integrazione dei
migranti tra i vari Paesi dell’Unione, indipendentemente da quelle che siano le modalità
di arrivo o il Paese di origine.
Un’attenzione specifica dovrà senz’altro essere riconosciuta e garantita ai c.d.
gruppi vulnerabili (donne, bambini, anziani, malati, etc.), alle cui esigenze specifiche
bisognerà prontamente e adeguatamente rispondere.
L’azione della società civile, poi, viene vista non solo nell’ottica interna, come
contributo alla gestione della crisi entro i confini dell’UE, ma altresì come fondamentale
nel rafforzare la cooperazione con i Paesi terzi nella gestione del fenomeno migratorio.
Ciò, ad esempio, si potrebbe fare rafforzando la cooperazione tra la società civile e le
organizzazioni della diaspora affinché vengano adeguatamente sostenuti gli sforzi per
fornire informazioni e incentivi volti a facilitare il reinserimento dei migranti nei Paesi
di origine.
Di importanza non secondaria è poi la promozione del dialogo e delle
piattaforme regionali al fine di creare partenariati pubblico-privato per la mobilità dei
migranti.
Da ultimo, ma non meno importante per la riuscita delle politiche di integrazione
dei migranti giunti attraverso vie sicure e legali nell’Unione europea, è la
responsabilizzazione dei migranti stessi. A tale fine, si potrebbero sviluppare progettipilota nelle autorità locali in tutta l’Unione europea finalizzati a garantire l’accesso ai
diritti umani per tutti, ivi compresi i migranti privi di documenti, al fine di sostenere e
promuovere la coesione sociale nei territori interessati.
Importante sarà poi finanziare e sostenere quelle organizzazioni locali attive e
impegnate con gruppi vulnerabili, al fine di sviluppare ad esempio azioni e politiche “di
genere” sia multilivello (locale/regionale/nazionale/UE), che attraverso un approccio
che veda coinvolti i diversi stakeholders.
197
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
4. Considerazioni conclusive.
Da quanto detto emerge che, oggi più che mai, le organizzazioni della società civile
svolgono un ruolo estremamente significativo nel rendere più sicuri e umani il
reinsediamento, i viaggi e l’accoglienza di migranti e dei rifugiati. Da ciò deriva che
esse, in un’ottica partecipativa e inclusiva, dovrebbero pertanto essere coinvolte nella
progettazione, attuazione, monitoraggio e valutazione delle azioni di tutte le autorità
competenti coinvolte nella gestione del fenomeno migratorio.
In un recente parere del CESE intitolato «I costi della non immigrazione e della
non integrazione», è stato prefigurato uno scenario in cui un giorno l’Unione europea si
risveglia senza migrazione4.
Ne emerge un quadro davvero poco rassicurante: i dati disponibili suggeriscono,
infatti, che i mercati del lavoro sarebbero sotto pressione, le industrie andrebbero in
rovina, la produzione agricola calerebbe drasticamente e il settore edilizio non sarebbe
più in grado di tenere il passo con la domanda. Inoltre, i sistemi pensionistici potrebbero
diventare insostenibili, il settore sanitario e assistenziale potrebbe collassare e lo
spopolamento di alcune aree procederebbe a un ritmo molto più rapido che oggi.
Di conseguenza, la stessa coesione sociale verrebbe indebolita e sarebbe più
facile assistere in futuro a un aumento di episodi di razzismo e xenofobia nelle nostre
società.
L’Unione, si sa, ha una popolazione che invecchia e spesso non la manodopera
interna non riesce a fornire adeguata risposta alla richiesta di alcune specifiche
competenze professionali.
Qui non si vuole certo affermare che l’immigrazione in sé sia la soluzione
definitiva per affrontare le conseguenze dell’invecchiamento demografico in Europa,
ma se regolamentata adeguatamente potrebbe essere certamente un rimedio alla carenza
di manodopera e competenze in settori quali, ad esempio, l’assistenza agli anziani o alle
persone non autosufficienti o il lavoro domestico.
4
Vedi Parere del Comitato economico e sociale europeo su «I costi della non immigrazione e non
integrazione», adottato nel corso della 539a sessione plenaria del CESE, 12.12.2018 – 13.12.2018, in GU,
C 110/1, del 22 marzo 2019.
198
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
Il fenomeno migratorio, controllato attraverso un sistema di governance
multilivello che veda riconosciuto un ruolo di prim’ordine alle organizzazioni della
società civile impegnate sul campo, in futuro potrebbe finalmente non costituire più un
elemento sociale tanto divisivo e intriso di stereotipi e fobie, ma potrebbe porsi come un
sano investimento per il futuro delle nostre società, ormai irreversibilmente multietniche
e multireligiose.
La chiave di volta di questo sistema deve essere e restare la tutela dei diritti
fondamentali di tutti gli individui, in particolare di quelli più vulnerabili e la
promozione di modelli sociali inclusivi e pluralisti.
199
200
SIMONE DE MICHELE
La tutela dell’interesse legittimo al visto ed il diritto di migrare
Abstract In questo scritto ci si chiede, provando anche a dare una risposta a tale quesito, se il diritto
“umano” alla liberà di movimento dentro e fuori i confini di uno Stato, nonché di residenza entro i
confini dello stesso, sia un diritto universalmente riconosciuto, garantito e tutelato dagli Stati sovrani.
Keywords: immigrazione; diritto di migrare; visto d’ingresso
1. Introduzione.
Il diritto alla libertà di movimento, rectius diritto di migrare, è pacificamente collocato
all’interno della sfera dei diritti umani. Diritti, quindi, che per loro essenza preesistono a
qualsiasi formazione di potere statale e sono innati nell’individuo in quanto tale. In virtù
del suo essere classificato come diritto umano, il diritto di migrare, dunque, dovrebbe
essere garantito pacificamente all’interno di ogni ordinamento giuridico e, i suoi
eventuali limiti, dovrebbero essere previsti dalla legge, nonché giustificati da esigenze
legate alla tutela dello Stato in sé.
Il quesito che ci si pone è il seguente: il diritto “umano” alla liberà di movimento
dentro e fuori i confini di uno Stato, nonché di residenza entro i confini dello stesso, è
un diritto universalmente riconosciuto, garantito e tutelato dagli Stati sovrani? Questa è
la prima domanda da porsi nel momento in cui ci si accinge ad affrontare il tema dei
visti consolari e fin da subito è possibile notare alcuni punti di frizioni in relazione
all’istituto in oggetto.
Prima di provare a dare una risposta al quesito posto, è bene però analizzare le
ragioni che stanno alla base di tale diritto e quindi l’origine del fenomeno migratorio.
2. Le origini del fenomeno migratorio.
Per fenomeno migratorio deve intendersi quel flusso di individui che da una determinata
201
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
area geografica si sposta verso un’altra area geografica con la volontà di stanziarvisi in
maniera temporanea o permanente.
Dall’analisi del fenomeno è possibile distinguere due tipi di flussi migratori: quello
interno e quello esterno.
Per flusso migratorio interno deve intendersi quel movimento che avviene
all’interno dello stesso stato, mentre, per flusso migratorio esterno, si intende quel
flusso che travalica i confini nazionali per giungere all’interno di un altro stato.
Le ragioni alla base della migrazione umana sono determinate da fattori di varia
natura: economica, politica, sociale ed ambientale. Questo fa sì che, spostando il focus
sul migrante, è possibile classificarne vari tipi in relazione alla motivazione che è alla
base del flusso.
Le persone possono migrare da un luogo ad un altro in ragione della domanda di
ricongiungimento familiare posta in essere da un famigliare residente in uno stato
estero. Il “ricongiungimento familiare” è quell’istituto riconosciuto a favore dei cittadini
stranieri, regolarmente soggiornanti sul territorio di uno stato diverso da quello di
provenienza, attraverso il quale lo straniero (già titolare di un permesso di soggiorno di
lunga durata o di un permesso di soggiorno con durata inferiore ad un anno rilasciato
per svolgere attività di lavoro subordinato/autonomo o rilasciato a seguito di richiesta di
asilo, studio o protezione sussidiaria) chiede allo stato di permanenza l’ingresso dei
familiari residenti all’estero al fine di ristabilire in modo continuativo l’unità della
propria famiglia.1
Per “migrante ambientale”, invece, deve intendersi quella persona che è costretta
a lasciare il proprio habitat tradizionale, temporaneamente o permanentemente, a causa
di un fenomeno ambientale di origine naturale o causato dall’attività umana il quale
1
È bene ribadire che l’unità familiare è un diritto fondamentale riconosciuto e tutelato sia
dall’ordinamento italiano che europeo. Il ricongiungimento familiare è uno strumento essenziale per
permettere la vita familiare, in quanto contribuisce a creare una stabilità socioculturale che facilita
l’integrazione nello stato, permettendo quindi di promuovere la coesione economica e sociale. Tale
diritto si ricava in particolar modo dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo la quale afferma
al comma 3 dell’articolo 16 <<che la famiglia è il nucleo fondamentale della società ed ha diritto ad
essere protetta nella società e nello Stato>>.
202
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
mette in pericolo la sua stessa esistenza e/o influisce in maniera rilevante sulla qualità
della sua vita.2
Continuando, si ha il “migrante economico” e cioè quella persona che per motivi
legati alla sua attività lavorativa si reca in un paese estero e vi risiede per un determinato
periodo di tempo o quella persona che è costretta a migrare in un paese straniero per
cercare una posizione lavorativa, posizione la quale non è possibile riscontrare nel paese
di provenienza.
Si ha, inoltre, il “migrante richiedente asilo” e cioè quella persona che fuori dal
proprio paese presenta, in un altro stato, domanda di asilo per il riconoscimento dello
status di rifugiato così come inteso in base alla convenzione di Ginevra sui rifugiati del
1951, o richiesta per ottenere altre forme di protezione internazionale. Lo status di
richiedente asilo permane fintanto che le autorità competenti dello stato in cui viene
presentata la domanda non decidono in merito alla questione.
Infine, c’è il “migrante rifugiato” e per tale deve intendersi, in base all’articolo 1
della convenzione di Ginevra del 1951, quella persona che «temendo a ragione di essere
perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato
gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del paese di cui è cittadino e
non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo
Paese; oppure che, non avendo cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva
residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il
timore di cui sopra».3
Da questa breve classificazione, ben si comprende la complessità del fenomeno
2
In base a quanto riportato dall’International panel on climate change, il cambiamento climatico ha
un’importanza crescente tra i fattori determinanti il flusso migratorio. Una vasta gamma di eventi, fattori
e processi, inducono a migrare. Persone o intere comunità sono costrette a spostarsi a causa di eventi
climatici improvvisi e distruttivi, quali ad esempio terremoti, alluvioni, tsunami. Inoltre, il flusso
migratorio è fortemente condizionato dalle effettive condizioni di vita rese insostenibili dallo stress
ambientale che interessano determinate aeree geografiche a seguito di siccità lenta e progressiva
desertificazione. Tra l’altro, secondo una ricerca pubblicata dalla rivista science nel 2017, vi è un
rapporto direttamente proporzionale tra l’aumento delle richieste d’asilo e le variazioni climatiche: nel
recente passato (2000-2014) i cambiamenti climatici in 143 paesi hanno comportato 351.000 richieste
d’asilo in più. E’ possibile sul punto consultare il sito internet dell’IPCC al seguente link
https://ipccitalia.cmcc.it/ipcc-special-report-global-warming-of-1-5-c/.
3
È bene precisare che lo status di rifugiato si ottiene solo a seguito di esito positivo della procedura di
richiesta di riconoscimento dello stesso.
203
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
migratorio. È innegabile che negli ultimi anni tale fenomeno ha assunto una portata e
rilevanza tale da porsi come punto inevitabile nell’agenda di governo degli stati e come
focus di dialogo tra gli stati stessi, in particolare tra quelli membri dell’Unione
Europea.
Infatti, secondo i dati relativi all’anno 2018 dell’Alto Commissariato delle Nazioni
Unite per i rifugiati sono circa 70 milioni le persone costrette a mettersi in viaggio. Di
queste, 40 milioni vivono sfollate nel proprio paese, circa 27 milioni sono rifugiati
fuggiti all’estero e 3 milioni sono richiedenti asilo.
Secondo tali dati, oltre il 50% dei rifugiati totali arriva da tre paesi: in particolare, un
rifugiato su tre proviene dalla Siria, cui segue l’Afghanistan ed il Sud Sudan.
Consistenti risultano essere anche i flussi continui di rifugiati somali ed eritrei, i quali si
trovano costretti a lasciare il corno d’Africa a causa dalla precaria stabilità politica di
tali paesi originata da conflitti perenni o instaurazione di regimi dittatoriali
particolarmente violenti.
Analizzando ulteriormente i dati così come elaborati dall’UNHCR4 si nota, in
aggiunta, che i paesi i quali hanno accolto il maggior numero di migranti rifugiati, in
relazione alla propria popolazione, sono il Libano4, la Turchia, l’Uganda, cui seguono
l’Iran ed il Pakistan. Tali risultati fanno ben comprendere come il numero di migranti
che arriva in Europa che presentano domanda di riconoscimento dello status di rifugiato
è ben più esiguo rispetto al totale dei migranti accolti dai paesi citati.5
L’assunto che il fenomeno migratorio coinvolga un’area geografica così ampia,
interessando un numero di stati nazionali sempre maggiore, porta all’inevitabile
conclusione che, affinché si possa trovare una soluzione adeguata allo stesso,
quest’ultima non deve ricercarsi all’interno dei confini nazionali, ma a livello
transnazionale, preferibilmente in seno ad organizzazioni internazionali come le Nazioni
Unite.
4
Nel dettaglio in Libano trovano rifugio oltre 300mila palestinesi ed oltre 1 milione di siriani.
Dati consultabili sul sito istituzionale dell’UNHCR al seguente link:
https://www.unhcr.it/risorse/statistiche.
5
204
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
3. La regolamentazione giuridica in tema di migrazioni.
Spostando la ricerca della soluzione dal piano nazionale a quello internazionale si
incontrano i primi deficit e limiti.
A livello internazionale non è possibile trovare alcuna normativa pattizia
sull’immigrazione, anche se è bene precisare che la stessa viene lambita nel momento in
cui si affrontano altri temi.6
Ciò nonostante, è possibile ricavare un diritto di migrare (rectius diritto alla liberà di
movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato, nonché diritto di lasciare
qualsiasi paese, incluso il proprio e di ritornarci) all’interno di alcuni atti internazionali.
Nello specifico, l’articolo 13 della Dichiarazione universale dei diritti umani del
1948, al primo comma, afferma che «ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento
e di residenza entro i confini di ogni Stato», per poi proseguire al secondo comma
affermando che «ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio,
e di ritornare nel proprio paese».
Tuttavia, la Dichiarazione universale non ha efficacia vincolante in quanto è una
dichiarazione di principi. L’importanza, nondimeno, della stessa, è che essa mette in
luce la volontà comune degli stati membri della comunità internazionale di voler
riconoscere come diritto proprio di ogni essere umano quello di spostarsi liberamente
sulla “Terra casa comune”.
Analizzando il diritto internazionale pattizio, si nota come il diritto di migrare è
disciplinato all’interno del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966 in
particolare all’articolo 12 primo comma.7
Il diritto di migrare è possibile rinvenirlo, inoltre, all’interno della Convenzione
ONU sui diritti dei lavoratori migranti, nella quale si specifica all’articolo 8 che «i
lavoratori migranti e i membri della loro famiglia sono liberi di lasciare tutti gli Stati, ivi
compreso il loro Stato di origine. Questo diritto non può essere oggetto di restrizioni se
6
Esempio emblematico è la trattazione del diritto di migrare in relazione al migrante lavoratore sancita
nella Convenzione internazionale sui diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie.
7
L’analisi dell’articolo in questione verrà effettuata nelle pagine successive del presente lavoro.
205
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
non quelle previste dalla legge, necessarie alla protezione della sicurezza nazionale,
dell’ordine pubblico, della salute o della moralità pubblica, o del diritto e libertà degli
altri, e compatibili con gli altri diritti riconosciuti dalla presente parte della
convenzione».8
Come sopra meglio specificato, è possibile rinvenire all’interno della normativa
internazionale pattizia il diritto di migrare; tuttavia, sarebbe auspicabile porre in essere
una normativa ad hoc che abbia come unico soggetto il migrante e come oggetto il
flusso migratorio. Sul punto è bene dare risalto che nella conferenza di Marrakech del
10 e 11 dicembre 2018 è stato ufficialmente adottato il Global compact on safe, orderly
and regular migration.
La conferenza, che si è svolta sotto l’egida delle Nazioni Unite, ha avuto come
protagonisti non solo gli stati membri della comunità internazionale, ma anche la
partecipazione di vari attori non governativi. Il testo ufficiale del patto, così come
definito nel luglio del 2018, è stato successivamente accluso a una risoluzione
dell’Assemblea generale.
Il Patto globale sulle migrazioni è stato elaborato insieme al Patto globale sui
rifugiati, quest’ultimo sviluppato in seno all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite
per i Rifugiati.
Tuttavia, è doveroso sottolineare come in relazione al Patto sulle migrazioni molti
dei paesi membri dell’Unione Europea, tra i quali l’Italia, 9 hanno deciso di non aderire
allo stesso, nonostante si tratti di uno strumento meramente politico e programmatico
anche se ricco di significato intrinseco. Infatti il Patto globale sulle migrazioni
rappresenta il primo tentativo di definizione di un quadro di riferimento in materia
d’immigrazione a livello mondiale, anche in considerazione del fatto che la disciplina
sulla gestione dei flussi migratori è definita a livello nazionale o tuttalpiù regionale.
8
Si precisa tuttavia che L’Italia non ha ancora ratificato la Convenzione ONU in oggetto.
In particolare, nonostante l’Italia abbia votato a favore del patto globale sui rifugiati, come tutti gli altri
stati membri dell’Unione Europea, esclusa l’Ungheria, in relazione al patto sulle migrazioni, l’Italia
stessa, insieme ad altri paesi membri dell’UE, ha deciso di non aderire al patto prefato adducendo come
motivazione (pretestuosa a mio modesto avviso) il fatto che il patto in questione potrebbe far sorgere in
capo anche ai migranti irregolari tutta una serie di diritti nuovi andando a rafforzare o rendendo
“legittimo” il loro status giuridico di immigrato irregolare.
9
206
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
Sebbene la tutela delle frontiere nazionali è una delle principali materie su cui si
fonda la sovranità statale, è innegabile che un’azione coordinata tra i vari stati è
auspicabile per la ricerca di soluzioni efficaci alla problematica in esame.
4. La tutela del diritto di migrare.
Come specificato nella premessa, il diritto di migrare dovrebbe essere garantito
pacificamente all’interno di ogni ordinamento giuridico e i suoi eventuali limiti devono
essere previsti dalla legge, nonché giustificati da esigenze legate alla tutela dello stato in
sé. La legge in quanto tale è strumento ortodosso attraverso il quale lo stato esercita la
propria sovranità in maniera legittima. Quindi, tra le funzioni della stessa, rientra
pacificamente anche la garanzia e la tutela dei diritti umani.10
Di diritto di migrare, come ut supra anticipato, si parla all’interno del Patto
internazionale sui diritti civili e politici del 1966. Infatti, l’articolo 12 comma 2
specifica che «ogni individuo è libero di lasciare qualsiasi Paese incluso il proprio».
Così facendo, la Convenzione riconosce il diritto di qualsiasi persona di migrare da
uno stato all’altro.
Tuttavia, il comma 3 precisa che, il diritto di migrare, può essere limitato nel
momento in cui entra in conflitto con interessi considerati di vitale importanza per la
sopravvivenza dello stato, specificando – opportunamente – che tali intessi devono
essere individuati prontamente dalla legge nonché sorretti da congrua motivazione. Il
citato comma sancisce che «i suddetti diritti11 non possono essere sottoposti ad alcuna
restrizione, tranne quelle che siano previste dalla legge e che siano necessarie per
proteggere la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, la sanità o la moralità pubbliche».
È legittimo chiedersi a questo punto cosa si intenda per sanità pubblica, ordine
10
Volontariamente si è omesso il verbo “riconoscere” in quanto in diritti umani, essendo preesistenti a
qualsiasi formazione di potere pubblico non necessitano del riconoscimento in quanto tale, essendo gli
stessi già riconosciuti in re ipsa ma, necessitano degli strumenti normativi affinché siano al massimo
attuati tutelati e garantiti effettivamente.
11
Fra i suddetti diritti è compreso anche il diritto di cui al comma 1 articolo 12 del Patto internazionale
sui diritti civili e politici secondo cui <<ogni individuo che si trovi legalmente nel territorio di uno stato
ha diritto alla libertà di movimento e alla libertà di scelta della residenza in quel territorio>>.
207
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
pubblico e sicurezza. La specificazione di tali espressioni risulta essere necessaria in
quanto esse sono connotate da una natura elastica ed in virtù di ciò, si riempiono di
significato nel momento in cui vengono applicate al caso concreto o interpretate.
Tenendo presente la loro intrinseca natura dinamica, non si è quindi immuni dal
rischio che uno stato, nel momento in cui si trova ad applicare tali concetti, per ragioni
politiche, ideologiche o di mera convenienza, decida di adottare un criterio
interpretativo espansivo che arrivi ad allargare talmente tanto le maglie delle citate
nozioni giungendo ad una compressione ingiustificata del diritto di migrare fino a
limitarne la tutela.
Dunque, sarebbe pericoloso la prospettiva che l’interpretazione dei concetti di
ordine pubblico, sanità e sicurezza fosse lasciata al mero arbitrio degli stati.
Sul punto, occorre precisare che la Corte di giustizia dell’Unione Europea più
volte si è pronunciata su cosa deve intendersi per sanità pubblica o sicurezza.
Con la sentenza numero C-601/15 PPU del 15 febbraio 2016 la Corte ha specificato
che la nozione di “ordine pubblico” presuppone, in ogni caso, oltre alla perturbazione
dell’ordine sociale insita in qualsiasi infrazione della legge, anche e soprattutto
l’esistenza di una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave nei confronti di un
interesse fondamentale della società.
Mentre, in relazione alla “pubblica sicurezza”, dalla costante giurisprudenza della
Corte si ricava che tale nozione comprende «la sicurezza interna di uno stato membro e
la sua sicurezza esterna, quindi, di conseguenza, il pregiudizio al funzionamento delle
istituzioni e dei servizi pubblici essenziali nonché la sopravvivenza della popolazione,
intesa come il rischio di perturbazioni gravi dei rapporti internazionali o della
coesistenza pacifica dei popoli, o ancora il pregiudizio agli interessi militari, che
possono ledere la pubblica sicurezza».12
Con la sentenza suddetta, la Corte sottolinea come la tutela della sicurezza nazionale
e dell’ordine pubblico contribuiscono parimenti alla tutela dei diritti e delle libertà
altrui, così come anche specificati all’interno della Carta dei diritti fondamentali
12
Il testo integrale della sentenza è consultabile sul sito istituzionale della Corte di giustizia
dell’Unione Europea al seguente link: http://curia.europa.eu/juris/documents.jsf?num=C-601/15.
208
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
dell’Unione Europea, la quale enuncia il diritto di ogni persona non solo alla libertà, ma
altresì alla sicurezza. Per tanto, le restrizioni all’esercizio dei diritti di libertà (tra i quali
rientra il diritto di migrare) devono operare entro i limiti dello stretto necessario alla
stregua dei principi di proporzionalità e adeguatezza. Altro punto di frizione da
sottolineare è la circostanza che il diritto di migrare13 (supponendo che non ci siano
ragioni a negarlo legate alla sicurezza della nazione, saluta e incolumità pubblica) non è
azionabile e quindi usufruibile immediatamente dalla persona, ma è subordinato al
rilascio di un atto amministrativo che prende il nome di visto.
5. Il visto consolare d’ingresso.
Il visto d’ingresso è quell’autorizzazione (quindi un atto amministrativo) attraverso il
quale viene concesso ad un cittadino il travalicamento delle frontiere. Tale atto deve
essere richiesto dal soggetto interessato alle rappresentanze diplomatiche o consolari
del paese di destinazione che sono presenti nel paese di provenienza.
È bene precisare che la persona non ha un diritto a richiedere il visto, ma un
interesse legittimo e per tale deve intendersi, così come specificato dalla Corte di
cassazione con la sentenza numero 500 del 1999, quella «posizione di vantaggio
riservata ad un soggetto in relazione ad un bene della vita oggetto di un provvedimento
amministrativo e consistente nell’attribuzione a tale soggetto di poteri idonei ad influire
sul corretto esercizio del potere, in modo da rendere possibile la realizzazione
dell’interesse al bene della vita».14
L’interesse legittimo al visto, per quanto possa essere tutelato quale posizione
giuridica soggettiva, in particolare – nel nostro ordinamento – in virtù dell’articolo 24
della Costituzione italiana, non è equiparabile alla posizione giuridica di diritto
soggettivo.
La subordinazione del diritto di migrare al rilascio del visto, fa sì che, non solo il
diritto di migrare viene attuato attraverso la legge dello stato, la quale può limitarlo per i
13
Si precisa che l’analisi è incentrata sul diritto di migrare azionato nelle modalità previste dalla legge,
quindi la migrazione regolare.
14
Su punto Cassazione civile, Sezioni unite – sentenza numero 500 del 22 luglio 1999.
209
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
motivi sopra citati, ma la fruibilità dello stesso è possibile solo a seguito
dell’ottenimento
di
un
atto
amministrativo
che
autorizza
il
richiedente
all’attraversamento delle frontiere e cioè del visto d’ingresso.
In realtà, la ragione di questo doppio filtro del diritto di migrare è ben spiegabile
in virtù del fatto che il controllo delle frontiere esterne è materia fondamentale sulla
quale si fonda la sovranità statale e come tale gli stati sono restii a far sì che tale aspetto
venga regolato da normativa internazionale pattizia, piuttosto che nazionale. A livello
dell’Unione Europea si assiste ad una controtendenza del fenomeno, ma la singolarità
risiede nel modello ibrido stesso d’integrazione europeo frutto di un processo lungo e
complicato nel tempo, non ancora giunto al termine.
La materia dei visti è regolata, all’interno dell’U.E., dal regolamento numero 810
del parlamento e del consiglio. La base giuridica dello stesso è individuata negli articoli
61 e 62 paragrafo 2 del TUE e l’obiettivo principale è quello di fissare le procedure e le
condizioni comuni per il rilascio del visto sia in relazione ai soggiorni di breve durata
(non più di 90 giorni su un periodo di 180 giorni) sia per il transito nel territorio dei
paesi dell’Unione Europea e negli altri Stati che applicano interamente l’Accordo di
Schengen.
La domanda di visto viene esaminata nel merito dalle autorità consolari del paese
di destinazione, presenti nel paese di provenienza. L’autorità competente, dopo
l’accertamento del possesso e la valutazione dei requisiti necessari per l’ottenimento del
visto, rilascia lo stesso al richiedente. Si specifica inoltre, all’articolo 9 del regolamento
810/2009, che «le domande vanno presentate non prima di tre mesi dall’inizio del
viaggio previsto» e la domanda di applicazione si concretizza nella compilazione di un
modulo predeterminato già predisposto dall’autorità competente.
Il rifiuto del visto è regolato dall’articolo 32, il quale prevede tutte una serie di
situazioni in cui l’autorità competente può rifiutarsi di concedere il visto. Tra queste
rientrano i seguenti casi:
-
presenta un documento di viaggio falso, contraffatto o alterato;
-
non fornisce la giustificazione riguardo allo scopo e alle condizioni del
soggiorno previsto;
210
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
-
non dimostra di disporre di mezzi di sussistenza sufficienti, sia per la durata
prevista del soggiorno sia per il ritorno nel paese di origine o di residenza
oppure per il transito verso un paese terzo nel quale la sua ammissione è
garantita, ovvero non è in grado di ottenere legalmente detti mezzi;
-
ha già soggiornato per tre mesi, nell’arco del periodo di sei mesi in corso, sul
territorio degli Stati membri in virtù di un visto uniforme o di un visto con
validità territoriale limitata;
-
è segnalato nel S.I.S. al fine della non ammissione.15
Occorre precisare come, in relazione ai motivi di rifiuto, ampi margini di
discrezionalità vengono lasciati agli stati nel momento in cui si demanda agli stessi di
verificare la sussistenza dei requisiti e dei presupposti per concedere il visto.
In considerazione di quanto detto, è lecito chiedersi che tipo di tutela ha il
cittadino straniero nel momento in cui si vede rifiutato un visto d’ingresso e se l’attività
amministrativa dello stato in relazione al rilascio degli stessi è di tipo discrezionale,
vincolata o parzialmente vincolata.
Parte della risposta è fornita direttamente dal regolamento sui visti. Infatti, al
paragrafo 3 dell’articolo 32 è previsto che «il richiedente cui sia stato rifiutato il visto
ha il diritto di presentare ricorso. I ricorsi sono proposti nei confronti dello stato
membro che ha adottato la decisione definitiva in merito alla domanda e disciplinati
conformemente alla legislazione nazionale di tale stato». Il paragrafo rimanda poi
all’allegato VI del regolamento nel quale si specifica che «il ricorso avverso la decisione
di rifiuto, annullamento e revoca del visto va presentato secondo quanto stabilito dalla
legislazione nazionale».
Nell’ordinamento italiano, la competenza a giudicare sul diniego di visto spetta al
TAR della regione Lazio. Tuttavia, essendo la concessione stessa del visto espressione
della sovranità statale (e cioè del potere dello stato di negare l’ingresso agli stranieri nel
proprio territorio sulla base di ragioni predeterminate e motivate), il rifiuto stesso è
15
Art. 32 del regolamento numero 810 del parlamento e del consiglio del 13 luglio 2009.
211
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
espressione di un potere discrezionale dell’autorità pubblica e, come tale, soffre del
sindacato di merito del giudice amministrativo se non, quest’ultimo, espressamente
previsto dalla legge, mentre, è soggetto al sindacato di legittimità del medesimo.
Per questo si comprende la ragione per la quale, restando impregiudicato il potere di
verificare la legittimità16 del diniego di visto, l’autorità amministrativa competente non
può esimersi dal fornire spiegazioni in merito alle ragioni che hanno condotto alla
mancata adozione del provvedimento.
Dalla lettura dell’articolo 32 del regolamento 810/09, nonché dell’allegato VI del
medesimo, non può non notarsi come sia affidata alla legislazione nazionale la
previsione di rimedi volti a garantire una tutela in caso di diniego.
In caso di lesione di situazioni giuridiche soggettive provenienti da una pubblica
autorità, solitamente al cittadino vengono forniti due mezzi di tutela: una di tipo
giurisdizionale e l’altra di tipo amministrativo.
Per quanto le due offrano la possibilità di poter far sì che la medesima questione
sia affrontata per una seconda volta almeno, è bene sottolineare che i due meccanismi di
tutela non sono uguali e non sempre rispettano il diritto ad avere una tutela effettiva e
concreta delle proprie situazioni giuridiche che venga giudicata da un organo
indipendente e imparziale così come prescritto dalla Convenzione europea dei diritti
dell’uomo e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
La problematica è giunta all’attenzione della Corte di giustizia dell’Unione Europea,
ad es., con la sentenza numero 403 del 2016 avente ad oggetto una questione
pregiudiziale e nello specifico se alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione Europea,17 il paragrafo 3 dell’articolo 32 del regolamento 810
del 2009 deve interpretarsi nel senso che la tutela da apprestarsi in caso di diniego di
visto consolare sia di tipo giurisdizionale o se risulta essere sufficiente quella di tipo
amministrativo.
16
Nel senso di legittima formale e quindi verifica dell’esistenza dei presupposti che hanno portato al
diniego ma non esamina degli stessi nel merito.
17
Nonché alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in relazione
all’articolo 13 della C.E.D.U..
212
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
Prima di procedere all’analisi della sentenza, sia in fatto che in diritto, è bene
chiarire la differenza che intercorre tra i rimedi giurisdizionali ed i rimedi
amministrativi.
La tutela di tipo giurisdizionale è la forma più importante di tutela azionabile a fronte
di atti della pubblica amministrazione che ledano situazioni giuridiche soggettive. Essa,
viene garantita nell’ordinamento italiano, in virtù dell’articolo 113 della nostra
Costituzione.
La tutela di tipo amministrativo è quella forma di tutela, disciplinata nel nostro
ordinamento dal DPR del 24 novembre 1971 numero 1199, la quale prevede che gli atti
della PA (tra i quali rientra il riconoscimento al visto) possono essere impugnati innanzi
agli organi stessi della amministrazione pubblica in via, per l’appunto, amministrativa.18
Quest’ultimo rimedio, quindi, è azionabile di fronte ad organi, individuati
secondo la legge degli stati, facenti parte della pubblica amministrazione. Organi,
quindi, che in quanto facenti parte dell’apparato amministrativo dello stato, nel
momento in cui agiscono, seppur devono seguire il canone dell’imparzialità, perseguono
comunque l’interesse pubblico generale del bene della collettività.
Nel momento in cui la pubblica amministrazione agisce, la stessa persegue,
attraverso la sua azione, il fine pubblico di cui è portatrice, seppur tutta la sua attività
amministrativa è pervasa dal canone dell’imparzialità.
Se alla medesima autorità viene richiesto, attraverso un ricorso amministrativo, il
riesame di una medesima situazione sulla quale si è già espressa, le viene demandato di
riesaminare la questione in maniera imparziale e decidere quale dei due interessi (tra
quello pubblico e privato) risulta prevalente in relazione al caso concreto.
Ma sul piatto della bilancia è presente un interesse che alla stessa autorità viene
chiesto dalla legge di perseguire e tutelare, seppur in maniera imparziale.
Invece, la tutela giurisdizionale è impregnata non dal principio di imparzialità,
ma dal principio della neutralità.
Infatti, mentre l’imparzialità comporta il trattare interessi opposti in maniera
18
R. GAROFOLI , Manuale di diritto amministrativo, Nel diritto editore, IV edizione, 2017, p. 643 e ss.
213
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
equidistante, non richiedendo come condizione necessaria la totale estraneità di chi
giudica rispetto ad uno dei due interessi contrapposti,19 la neutralità presuppone la
totale indifferenza del soggetto giudicante in relazione agli interessi in conflitto, in
quanto il soggetto giudicante stesso non persegue nessuno dei due interessi
contrapposti: è terzo rispetto agli stessi.
Solo il giudice pertanto, e non la P.A., è l’unico in grado di giudicare in maniera
neutrale (concetto quindi differente dal termine imparziale) una situazione di conflitto e
quindi, di conseguenza, solo la tutela di tipo giurisdizionale è in grado di fornire una
tutela effettiva, concreta ed efficace in caso di lesione di posizioni giuridiche soggettive.
Questa precisazione risulta necessaria per poter analizzare nello specifico la
questione pregiudiziale alla base della sentenza numero 403 del 2016 della Corte di
giustizia.
In merito al fatto, il Sig. Soufiane El Hassani, cittadino marocchino, volendo fare
visita alla moglie ed al figlio, entrambi cittadini polacchi e residenti in Polonia, presenta
al console della repubblica di Polonia in Rabat domanda di rilascio di un visto
Schengen.
Ricevuta la domanda, il console la respinge, specificando che la stessa non veniva
accolta in quanto non vi sono certezze che il Sig. El Hassani, avrebbe lasciato il
territorio polacco prima della scadenza del visto.20
La normativa polacca, in attuazione dell’articolo 32 paragrafo 3 del regolamento
810/09, prevede che in caso di rifiuto al visto, il soggetto interessato può presentar
domanda di riesame (quindi un ricorso di tipo amministrativo) di fronte alla medesima
autorità che non ha concesso il visto.
Il Sig. El Hassani propone riesame ai sensi dell’articolo 76 comma 1 della legge
19
Basti pensare che, nel riesame, all’autorità competente (solitamente la stessa che ha emanato l’atto)
viene richiesto di rivalutare tra l’interesse pubblico e quello privato quale è prevalente, in maniera
imparziale, anche se all’autorità competente è demandato per legge il perseguimento di quel fine
pubblico che nel giudizio di riesame si trova a confronto con l’interesse privato.
20
In merito si veda la sentenza C-406/16 – Fatti all’origine della controversia e questione
pregiudiziale, punto 11.
214
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
sugli stranieri del 12 dicembre 2013 (ustawa o cudzoziemcach),21 ma, in data 27
gennaio 2015 si vede nuovamente rifiutato il visto consolare.
È bene precisare che la legge polacca, non prevede la possibilità di poter
impugnare il rifiuto di un visto consolare di fronte ad un’autorità giurisdizionale. A tal
proposito, il codice di procedura giurisdizionale amministrativa, all’articolo 5 punto 4,
prevede espressamente che non rientra nella competenza del giudice amministrativo la
materia del rilascio dei visti consolari, precludendo di fatto una tutela di tipo
giurisdizionale in relazione a tale problematica.
Nonostante il limite della competenza del giudice amministrativo nel poter
decidere in tema di visti, il Sig. El Hassani propone comunque ricorso di fronte al
tribunale amministrativo polacco del voivodato di Varsavia, specificando che l’articolo
76 della legge sugli stranieri polacca non garantisce un livello di tutela conforme a
quanto prescritto all’articolo 13 della CEDU, nonché dell’articolo 47 della carta dei
diritti fondamentali dell’Unione Europea. Nel proporre ricorso sottolineava come
l’unico rimedio previsto in caso di diniego del visto consolare è di tipo amministrativo,
mentre la legislazione degli altri stati membri dell’Unione Europea prevedano un
rimedio di tipo giurisdizionale. Sulla base di tali dichiarazioni, il Sig. El Hassani chiede
quindi al tribunale amministrativo di Varsavia di deferire alla Corte di giustizia una
domanda di pronuncia pregiudiziale riguardo all’interpretazione dell’articolo 32,
paragrafo 3, del regolamento sui visti, per stabilire se tale disposizione includesse nel
suo ambito di applicazione altresì il diritto di proporre ricorso giurisdizionale contro le
decisioni di diniego di visto o lasciava ampia libertà agli Stati membri nella scelta dello
strumento di tutela ritenuto più idoneo.
Il tribunale amministrativo di Varsavia con ordinanza respinge il ricorso
affermando che l’articolo 5, punto 4, del codice di procedura giurisdizionale
amministrativa polacco, afferma che il giudice amministrativo non è competente nel
decidere avverso il diniego di un visto Schengen. Conseguentemente, il medesimo
21
In particolare al punto primo del comma uno della legge sugli stranieri polacca si prevede che avverso
la decisione di rifiuto di un visto Schengen adottata da un console, al soggetto interessato spetta il diritto
di chiedere il riesame dinanzi alla stessa autorità.
215
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
tribunale, si rifiuta di deferire domanda di pronuncia pregiudiziale alla corte di
giustizia.
In risposta, il Sig. El Hassani propone ricorso dinanzi alla corte suprema
amministrativa della Polonia, adducendo i motivi pregressi e quindi anche la questione
pregiudiziale.
Sul punto, la corte suprema amministrativa Polacca, ritenendo fondato il dubbio
interpretativo, decide di deferire questione pregiudiziale alla corte di giustizia.22
In particolare, la suprema corte precisa che, ai sensi della normativa polacca in
tema di giurisdizione amministrativa, un rimedio giurisdizionale avverso il diniego di
visto viene garantito esclusivamente ad un cittadino di un paese terzo che sia familiare
di un cittadino di uno stato membro dell’Unione o di un paese membro
dell’associazione europea di libero scambio che è parte all’accordo sul SEE o della
confederazione svizzera. Ogni altro cittadino di paese terzo beneficia unicamente di un
rimedio amministrativo, ossia di una domanda di riesame da parte della medesima
autorità.
Inoltre, nell’ordinanza di rinvio, la suprema corte evidenzia l’assenza di
competenza dei giudici amministrativi per le cause relative ai visti rilasciati dai consoli,
come previsto dall’articolo 5, punto 4, del codice di procedura giurisdizionale
amministrativa e che, tale carenza, può violare l’articolo 32, paragrafo 3, del
regolamento sui visti, in combinato disposto con l’articolo 47, primo comma, della carta
dei diritti fondamentali dell’U.E., che garantisce il diritto a un ricorso effettivo dinanzi a
un giudice.
È bene precisare che, attraverso il rinvio pregiudiziale, la Corte di giustizia è
competente a pronunciarsi sull’esatta interpretazione dei trattati, degli atti compiuti
dalle istituzioni europee o dagli organismi dell’Unione.23
Tramite tale strumento, la Corte di giustizia collabora con gli organismi
22
Si precisa che il giudice di ultima istanza, ai sensi dell’articolo 267 del TFUE ha l’obbligo, in caso di
dubbio interpretativo vertente su una disposizione del diritto dell’Unione Europea, di deferire questione
pregiudiziale alla stessa.
23
Sul punto art 267 paragrafo 1 del TFUE.
216
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
giurisdizionali degli stati membri, al fine di garantire la corretta applicazione, effettiva
ed omogenea, del diritto europeo. Il rinvio pregiudiziale ha quindi come oggetto di
causa non la risoluzione di una controversia, infatti quest’ultima spetterà esclusivamente
al giudice nazionale del rinvio, ma, invece, oggetto del ricorso è il dubbio interpretativo
di una normativa europea.
Sempre in virtù del rinvio pregiudiziale, alla Corte di giustizia è chiesto di
interpretare anche le disposizioni del diritto dell’Unione Europea che sono oggetto di
rinvio diretto da parte della normativa nazionale. Qui, si ha che il diritto dell’Unione
trova applicazione non in vigore proprio, ma in virtù della disposizione di diritto interno
che contiene il rinvio alla normativa europea. Si viene così a creare una situazione che
può o deve costringere il giudice nazionale ad adire la Corte di giustizia affinché
quest'ultima interpreti in via pregiudiziale una disposizione di diritto interno, seppur
contenente il rinvio ad una disposizione europea.
È bene precisare che una simile situazione, che trova ragione d’essere nella sua
eccezionalità, non può far pensare che il giudice europeo possa essere adito, seppur
indirettamente, ad interpretare una disposizione di diritto interno, anche se, non può
dubitarsi, di come il rinvio pregiudiziale possa essere strumento utile alla Corte che le
permette di azionare un controllo indiretto della compatibilità delle norme interne con
quelle dell'ordinamento dell'Unione Europea.
Di tale avviso è anche la Corte di cassazione, la quale infatti precisa che lo
strumento del rinvio pregiudiziale svolge l’importante funzione di verifica della
legittimità di una norma nazionale, di un atto emesso dalla autorità amministrativa o una
prassi amministrativa in relazione al diritto europeo.24
In merito al diritto della questione, la corte di giustizia risolve il dubbio
interpretativo affermando che «l’articolo 32, paragrafo 3, del regolamento n. 810/2009
del parlamento europeo e del consiglio, del 13 luglio 2009, che istituisce un codice
comunitario dei visti, come modificato dal regolamento (UE) n. 610/2013 del
parlamento europeo e del consiglio, del 26 giugno 2013, letto alla luce dell’articolo 47
24
Si guardi, sul punto, Cassazione. n. 13603/2011.
217
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel
senso che esso fa obbligo agli stati membri di prevedere una procedura di ricorso contro
le decisioni di diniego di visto, le cui modalità siano definite dall’ordinamento giuridico
del singolo Stato membro nel rispetto dei principi di equivalenza e di effettività. Tale
procedura deve garantire, a un dato stadio del procedimento, un ricorso
giurisdizionale».25
A conferma di tale conclusione, la Corte afferma che l’articolo 47 della Carta, che
ribadisce il principio della tutela giurisdizionale effettiva, richiede, al suo primo comma,
che ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati
violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice indipendente e imparziale.26
Il rispetto di tali requisiti, non sempre può essere soddisfatto dal rinvio della decisione
demandata ad un’autorità amministrativa.27
L’unico organo idoneo a garantire il rispetto di tali principi è quello giurisdizionale.
Infatti, la nozione di indipendenza, intrinseca alla funzione giurisdizionale, implica
innanzitutto che l’organo interessato si trovi in posizione di terzietà rispetto all’autorità
che ha adottato la decisione oggetto del ricorso.28
6. Conclusioni.
Il diritto “umano” alla liberà di movimento dentro e fuori i confini di uno stato, nonché
di residenza entro i confini dello stesso è universalmente riconosciuto, garantito e
tutelato dagli Stati sovrani?
Si è potuto notare come il diritto di migrare, nonostante la sua elevazione a diritto
umano, nel momento in cui entra in contrasto con interessi ritenuti rilevanti per la
sopravvivenza dello stato, quale la sicurezza pubblica o l’incolumità della nazione,
subisce una compressione tale da parte della stessa entità (lo stato) che è chiamata a
25
Sul punto si vedano le conclusioni della sentenza della Corte di giustizia numero 403 del 2016.
In merito a ciò si veda il punto 38 della sentenza C403/16, nonché sentenza del 19 settembre 2006,
Wilson, C506/04 punto 49 e sentenza del 17 dicembre 2015, Tall, C239/14, punto 51.
27
Seppur la stessa, nel momento in cui si trova a riesaminare la richiesta agisca rispettando il principio
di imparzialità.
28
Si precisa, che la Corte usa l’espressione “terzietà”, ma che ben può sostituirsi la stessa con
l’espressione neutralità.
26
218
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
garantirlo ed attuarlo.
Tale situazione apparentemente paradossale deve essere letta anche alla luce del
lento mutamento che la comunità internazionale sta subendo. L’emersione
dell’individuo, all’interno della stessa, seppur non come soggetto di diritto, ma come
centro d’imputazione di diritti, inevitabilmente erode il concetto di sovranità statale
facendolo quasi apparire obsoleto.
Inoltre, l’emersione di alcune problematiche quali i flussi migratori, i cambiamenti
climatici, ma ancor di più la tutela effettiva ed universale dei diritti umani, hanno
mostrato come i confini statali siano labili.
Tali problematiche, lungi dall’essere risolte con azioni plurime prese univocamente
dai singoli stati, necessitano di soluzioni all’interno di strutture in grado di canalizzare
le pretese statali e di mettere a confronto le stesse non solo fra di esse ma, anche, con le
pretese avanzate da altri soggetti che non siano i singoli stati, quali le parti private, le
organizzazioni non governative, la comunità scientifica e perché no, l’individuo persona
come tale.
Seppur l’ONU sembra essere la sede adatta nella quale attuare questo (o, perlomeno,
sotto la sua egida), la conferenza di Marrakech del 10 e 11 dicembre 2018, dove è stato
ufficialmente adottato il Global compact on safe, orderly and regular migration (nella
quale, tra l’altro, hanno preso parte anche le parti private), ha mostrato come gli stati
siano ancora restii a scendere a compromessi sulla tutela effettiva di alcuni diritti che
possono entrare in conflitto con la propria sovranità.
Sarebbe auspicabile, quindi, che sul piano internazionale venga adottata una
normativa pattizia che riesca a tutelare e garantire in maniera effettiva ed uniforme il
diritto di migrare, che spesso risulta essere il presupposto per la tutela del diritto alla
vita e l’integrità psico-fisica: basti pensare al migrante richiedente asilo o altra forma di
protezione cui viene negato il visto d’ingresso.
Tale obiettivo, seppur lontano nel tempo, può essere perseguito nel breve periodo
attraverso la buona volontà politica degli stati, incanalando la stessa in atti di soft law.
Strumenti quest’ultimi che, seppur non vincolanti dal punto di vista giuridico, possono
vincolare ideologicamente e politicamente l’agire politico degli stati membri della
219
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
comunità internazionale ed i governi interni ad essi presenti, nonché tracciare una strada
da percorrere per quelli futuri.
220
LUCA DE SANTIS
Crisi immigratoria: limite confine e tolleranza.
Abstract Siamo consapevoli di non appartenere ad una cultura concettualmente univoca, ed è stato
proprio questo elemento a differenziarci dagli altri popoli. La globalizzazione in se stessa contiene ciò che
è opposto, per questo abbiamo bisogno sia di limen che di limes, di locum e di topos senza protendere né
per l’una, né per l’altra. La nostra forza culturale consiste proprio nella capacità di saperci fortificare nel
tollerare tali contraddizioni, non dimenticando però che come esseri animati procediamo verso il
nostro eskaton (fine) divenendo in questo procedimento affini con gli altri che sono in cammino come
noi, quegli altri che noi nemmeno immaginiamo e non conosciamo, ma con cui si condivide un cammino.
Keywords: identità plurale, globalizzazione, limes, limen, locum, topus, l’eskaton dell’uomo
Introduzione.
Il tema delle migrazioni può essere ritenuto uno degli aspetti della grande crisi che si è
manifestata dall’inizio di questo millennio. Sarebbe un grave errore infatti, considerare
la medesima crisi solo dal punto di vista economico, poiché essa riguarda globalmente
varie componenti della società con ricadute di vario genere su ogni persona. Proprio per
questo motivo diviene necessario prendere in considerazione il fatto che stiamo
attraversando un cambiamento d’epoca, il quale richiede per un processo di risoluzione
un dialogo continuo e costruttivo di tutte le forze sociali così come il confronto e
l’utilizzo delle scienze.
1. Le cause delle migrazioni.
Il tema delle migrazioni dunque non può essere declinato come una semplice
emergenza, esso è piuttosto una conseguenza di eventi dalle chiare e rintracciabili radici
storiche. Le guerre, la sete di potere, lo sfruttamento iniquo delle risorse, la mancanza di
politiche lavorative, sono le generatrici di quanto oggi è sotto i nostri occhi. Vi è un
principio vecchio come le montagne che ci ricorda come la fame va sempre verso il
pane, ed essa non potrà essere fermata né dal mare, né dai monti, né dai porti chiusi, né
dai muri. Siamo d’altro canto sicuri che se una persona avesse una minima possibilità di
sussistenza a casa sua, non si metterebbe nelle braccia della morte. Riflettere su quanto
sta accadendo riguardo agli spostamenti dai Paesi più poveri verso l’Europa, non deve
farci dimenticare una migrazione interna alla nostra stessa Nazione, fatta di giovani e
221
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
intere famiglie in cerca di realizzazione professionale o lavorativa in altri Paesi; una
migrazione certamente diversa nei modi e nelle motivazioni rispetto alla prima, ma che
porta con sé l’identico carico di sentimenti e di dolore nell’animo dell’essere umano.
Basterebbe la semplice osservazione di questi fenomeni per far scaturire concretamente
una programmazione politica che sia risolutiva per quelle terre e il nostro Paese. La
problematica delle migrazioni si presenta dunque come un fenomeno mondiale che non
riguarda solo i barconi che arrivano in Italia, essa è piuttosto una rete che coinvolge
l’interno e l’esterno dei continenti come l’Africa e l’Asia, ma nello stesso tempo anche
l’Europa e l’America.
2. Il confine: limes e limen.
Un primo passo da compiere per affrontare questo tempo di cambiamento consiste nel
riprendere il giusto significato delle parole per meglio comprendere la nostra identità
culturale. La tematica delle migrazioni è legata a doppio filo con un termine che la
caratterizza: confine1. La lingua latina ci ha consegnato due parole diverse per
esprimere il significato di confine: limes e limen2. Il primo termine dal punto di vista
concettuale è affine alla parola terminus, indica la barriera ciò che non deve essere
trasgredito, mentre il secondo è più affine a principium, richiama la soglia di casa
collocata tra l’interno e l’esterno dell’abitazione. A differenza del limes, essa viene
continuamente trasgredita per entrare e uscire; è da precisare però che se c’è una soglia
vi è pure una casa un luogo che comunque segna uno spazio intimo. Come suddetto la
nostra tradizione linguistica ci ha consegnato due termini che noi traduciamo con
confine i quali però hanno significati totalmente opposti3.
3. Il luogo: locum, topus. eskaton dell’uomo.
1
Cfr. GENTILE A., Filosofia del limite, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2012.
Cfr. MELZI D’ERRIL C. E VIGEVANI G., La dialettica sui confini, in «Il Sole 24 ore», 18 settembre
2016.
3
Cfr. AA.VV. Mediterraneo. Un dialogo fra le due sponde, a cura di Horchani F. e Zolo D., Jouvence
ed., Sesto San Giovanni, 2005.
2
222
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
Una medesima contrapposizione la si riscontra non solo in quanto è stato appena
espresso, ma anche riguardo a cosa chiude una linea di confine. Spinti da tale
provocazione risponderemmo che un confine delimita un luogo che sempre a livello
concettuale, si presenta essere diverso da uno spazio. Questo termine richiama l’idea
dell’apertura, di un qualcosa che non può essere contenuto, che è sempre aperto (open
space, spazio cosmico…)4, ad esso si oppone appunto l’idea di luogo5. Lo spazio
manifesta una categoria prettamente geografica, mentre il luogo richiama la dimensione
socio – culturale, o di un qualcosa legato alla memoria rispetto a un evento vissuto da
una singola persona: essere particolarmente legato all’angolo di una piazza (spazio –
Kora) poiché punto di ritrovo con i miei amici, i ricordi legati alla cucina in casa della
nonna o a quell’angolo di spiaggia. Uno spazio diviene luogo quando richiama alla
memoria un evento importante, quando in quella parte di spazio è accaduto qualcosa di
fondamentale per chi ricorda6. Diviene perciò interessante riflettere sulla radice
etimologica di luogo (locum). Il termine richiama qualcosa di chiuso, come anche una
cavità (loculo, lucchetto, in inglese lock), nonostante ciò il termine suggerisce un'altra
idea in quanto la radice di locum è la medesima di lux – lucis: un luogo chiuso, ma dove
comunque arriva luce (pensiamo al Mito della caverna di Platone). In greco il termine
luogo viene invece tradotto con topos. Su questo termine riflette in modo approfondito
Aristotele, nella sua più grande opera filosofica, esattamente il IV libro della Fisica.
Definire il concetto di luogo per il grande filosofo è ritenuta cosa complicata, in quanto
risulta impossibile evidenziare da che cosa un luogo sia limitato. Superando tutte le
contraddizioni di definizione in cui erano caduti i filosofi naturalistici prima di lui,
Aristotele sostiene che il limite del luogo è determinato dall’uomo stesso7. Il luogo è
l’eskaton dell’uomo, il fine ultimo che la persona raggiunge nel suo movimento. Il
luogo dunque non ci è dato a-priori come lo spazio, ma esso viene ad essere edificato da
me stesso, dal mio essere per natura animato. Il luogo, continua ancora Aristotele, non è
statico, fisso, come l’acquario in cui vengono collocati i pesci, esso invece è in continua
4
Cfr. SIMPLICIO, Physika, 467,26.
Cfr. DEI F., Antropologia culturale, Il Mulino, Bologna, p. 239.
6
Cfr. Ibidem, p. 243.
7
Cfr. ARISTOTELE, Opere, vol. 3, Fisica, Del Cielo, Roma: Editori Laterza, 1991, p.73
5
223
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
costruzione poiché è definito dal movimento dell’essere umano, dalla finalità da esso
perseguita e raggiunta. L’essere umano essendo animato e in perenne cammino si
indirizza sempre verso un oltre che una volta raggiunto diviene suo luogo:
«Sembra poi che sia una questione grave e difficile comprendere il concetto di luogo,
non solo perché esso presenta l’apparenza della materia e della forma, ma anche perché
lo spostamento della cosa trasportata ha luogo nell’interno dello stesso contenente, che
resta in riposo; appare infatti che il luogo possa essere un intervallo intermedio diverso
dalle grandezze che si muovono. Vi contribuisce in qualche modo anche l’aria, che
sembra essere incorporea; appare infatti che il luogo sia costituito non soltanto dai limiti
del vaso, ma anche dall’intermedio fra questi limiti, come se fosse un vuoto. D’altronde,
come il vaso è un luogo trasportabile, cosí anche il luogo è un vaso immobile; perciò
quando ciò che è all’interno si muove e muta di posto in un contenente a sua volta in
movimento, ad esempio una nave in un fiume, si serve di questo contenente come di un
vaso, piuttosto che come di un luogo; il luogo, invece, vuol essere immobile; perciò il
fiume tutto intero è piuttosto un luogo, poiché tutto intero è immobile.»8.
L’uomo non può fare a meno di un luogo perché è nella sua natura sia l’abitare come
anche il camminare. Il luogo dunque non potrà mai essere delimitabile.
Odiernamente nella nostra cultura è contenuto, rispetto al termine luogo, sia il
significato di locus che quello di topos. Una possibile tentazione consisterebbe nel
preferire come veritiero un concetto rispetto all’altro. Credo invece che sia necessario
tollerare entrambi. Viviamo nel tempo delle semplificazioni e ciò che necessariamente
deve essere evitato, soprattutto dinanzi a un problema dalle profonde radici come è
quello delle emigrazioni, il definire veritiero un significato rispetto ad un altro. Siamo
chiamati dunque a tollerare tale contraddizione di significato, ma nel senso etimologico
e nobile del termine. Esso infatti non va assunto nel modo comune con il suo significato
di sopportare, ma facendo propria la sua radice che è tollere: sollevare, tenere in alto. La
nostra cultura ha proprio questo compito, quello di sostenere entrambi queste
8
ARISTOTELE, La Fisica, 212a.
224
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
contraddizioni considerandole tutte e due veritiere e per questo devono essere
necessariamente tollerate.
4. Identità plurale: tollerare le contraddizioni.
L’epoca della globalizzazione trova le sue basi nella tradizione culturale che ci è stata
trasmessa. Proprio per questo motivo siamo consapevoli di non appartenere ad una
cultura concettualmente univoca, ed è stato proprio questo elemento a differenziarci
dagli altri popoli. La globalizzazione in se stessa contiene ciò che è opposto, per questo
abbiamo bisogno sia di limen che di limes, di locum e di topos senza protendere né per
l’una, né per l’altra. La nostra forza culturale consiste proprio nella capacità di saperci
fortificare nel tollerare tali contraddizioni, non dimenticando però che come esseri
animati procediamo verso il nostro eskaton (fine) divenendo in questo procedimento
affini con gli altri che sono in cammino come noi, quegli altri che noi nemmeno
immaginiamo e non conosciamo, ma con cui si condivide un cammino.
Quanto sinora espresso esclude il ritenere la nostra identità come esclusiva e unica,
poiché essa è sempre plurale e costituita da molte dimensioni. La crisi da questo punto
di vista può essere intravista nel pretendere l’altro uguale a me, nel ritorno ad un sistema
sovranista e chiuso9. La paura non si innesta solo in me che accolgo lo straniero, ma
anche nello straniero che entra nella nostra società, per questo le paure possono essere
risolte solo confrontandole, mai mettendole nelle mani dei professionisti della paura. La
paura determinata dall’incontro esiste ed è reale, per questo dall’altra parte sarebbe
totalmente sbagliato far finta che non ci sia, poiché tale atteggiamento otterrebbe di far
ritenere l’altro perennemente diverso da me.
9
Cfr. ADORNO TH. W., Minima Moralia, Einaudi, Torino, 1994, p. 114-115.
225
226
STEFANIA MANZO
Per altre vie, per altri porti! Noi e gli altri da noi: tra paure ed empatia, l’àncora della
cultura.
Abstract L’articolo illustra le attività e i progetti di educazione alla cittadinanza dell’Istituto comprensivo
stata di Racale, che ha aderito come partner al progetto del Centro Culturale San Martino Pace e diritti
umani nel Mediterraneo. Il tema delle migrazioni fa parte della proposta culturale della scuola che ha
sempre posto sempre al centro della sua programmazione didattica ed educativa il dialogo interculturale,
l’educazione alle emozioni e l’empatia. Infatti, solo attraverso questa strada è possibile promuovere
un’educazione di qualità ed inclusiva.
Keywords: migrazioni, empatia, dialogo interculturale, educazione alla cittadinanza globale, umanità
Introduzione.
Volendo affrontare infatti la complessa ma non nuova tematica delle “migrazioni”
nell’ottica educativa e formativa della cittadinanza attiva, con un atteggiamento scevro
da qualsivoglia posizione politica, giacché la politica è per sua natura “risoluzione di
problemi” che evidentemente non compete all’istituzione scuola, ci si ritrova in un
mondo assai intricato di storie, di vite, di culture che proprio non possono non
coinvolgere la sfera emotiva, ma che necessitano, per essere sviscerate al meglio e
realmente comprese, dell’analisi apparentemente fredda, tecnica, di dati matematici che
parlano di distanze percorse, di uomini che si sottraggono da una sponda per
aggiungersi ad altri, di uomini, e su altre sponde. I dati, insomma, al servizio delle
emozioni perché non ci si lasci guidare dal solo cuore in un viaggio che chiama a gran
voce anche la mente affinché si informi, elabori, comprenda, illumini di senso
corrispondente al vero espressioni che fanno presto a diventare convinzioni, ma che
rischiano di scivolare in luoghi comuni, in stereotipi, certo comodi perché rapidi e in
quanto tali adattissimi ai tempi sempre più ristretti e zippati della società globale, ma
spesso forieri di visioni parziali, deformate, “prese in prestito” da altri e mai davvero
consapevolmente fatte proprie.
1. Il macro-progetto dell’Istituto statale comprensivo di Racale.
227
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
Nell’anno scolastico 2018-2019, l’Istituto Comprensivo di Racale ha attivato il Macroprogetto “Per altre vie, per altri porti! Noi e gli altri da noi: tra paure ed empatia,
l’àncora della cultura. Diventare cittadini attivi e responsabili non è roba da poco. Il
cittadino attivo non è un ripetitore acritico della voce più convinta, dell’idea più diffusa.
La cittadinanza attiva richiede sforzo ed impegno a capire, e da più punti di vista, un
dato fenomeno; chiede perché e li cerca autonomamente, chiama a raccolta ogni facoltà
dell’uomo in quanto essere integrale per costruire un suo pensiero e su quello ispirare la
sua azione. In questa complessità che ci circonda è doveroso, da parte della scuola,
accompagnare la sua comunità sui sentieri della consapevolezza perché sarebbe davvero
curioso, in nome della “difesa” della nostra cultura, seppellirne le fondamenta e senza
nemmeno rendersene conto. Non si può, pensando di salvare l’albero, tagliare le sue
radici.
2. Finalità e obiettivi educativi.
La finalità, piuttosto articolata, del Macro-progetto si può esprimere in questi termini:
promuovere un approccio significativo alla complessità della società globale e al
fenomeno migratorio in particolare, attraverso l’esercizio delle otto competenze chiave
di cittadinanza attiva per acquisire l’abitudine alla curiosità, alla ricerca e alla
costruzione di una propria interpretazione dei fenomeni, basata su informazioni
verificate provenienti da più fonti. Gli obiettivi educativi, in effetti, sono stati agganciati
e riferiti alle competenze che definiscono il “cittadino attivo”:
Comunicazione nella madrelingua:
- Letture di storie («Nel mare ci sono i coccodrilli» di Fabio Geda; «Io sto con te.
Storia di Brigitte», di Melania Mazzuzzo; «Non dirmi che hai paura» di
Giuseppe Catozzella) ed ascolto di letture animate («Ama il tuo sogno. Vita e
rivolta nella terra dell’oro rosso» di Yvan Sagnet; «Immagina di essere in
guerra», di Jeanne Teller e Vibeke Jensen) sul tema delle migrazioni,
nell’ambito del Progetto #IOLEGGOPERCHÉ.
- Analisi e comprensione dei testi letti, produzione di riflessioni, rappresentazioni
grafiche e presentazioni multimediali individuali e collettive.
228
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
Comunicazione nelle lingue straniere
- Letture, analisi, traduzioni di discorsi di grandi operatori di pace e di testi di
canzoni in lingua inglese.
Competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia
- Raccolta di dati e tabulazioni in schemi e grafici sul fenomeno migratorio degli
italiani all’estero e delle nuove migrazioni.
- I settori della produzione nel mondo globalizzato.
Competenza digitale:
- ricerche sul web in piccolo gruppo per reperire informazioni, interviste, video,
testimonianze e quant’altro occorra per approfondire la tematica delle
migrazioni e la conoscenza delle radici della cultura occidentale, a partire dai
documenti internazionali e dalla Costituzione italiana;
- preparare video o testi interattivi per presentare il percorso effettuato.
Imparare ad imparare:
- acquisire la metodologia dell’indagine e della ricerca-azione per reperire
informazioni utilizzando diversi canali (lettura di libri, atlanti storicogeografici, cartine tematiche, grafici, testimonianze, interviste, video, film…)
per affrontare autonomamente argomenti di studio e di analisi complesse,
organizzando il proprio apprendimento.
Competenze sociali e civiche:
- collaborare e partecipare comprendendo i diversi punti di vista;
- sviluppare empatia nei riguardi di storie e vite “altre”;
- imparare a valorizzare la propria cultura, conoscendone le fondamenta
legislative nazionali ed internazionali;
- sviluppare curiosità e rispetto per l’altro da sé.
Spirito di iniziativa e imprenditorialità:
- risolvere problemi che si incontrano nel percorso progettuale e proporre
soluzioni;
- valutare rischi e opportunità di situazioni analizzate;
- scegliere tra opzioni diverse e prendere decisioni;
229
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
- collaborare alla progettazione del percorso di studio, alla pianificazione delle
attività e della socializzazione di quanto prodotto.
Consapevolezza ed espressione culturale:
- stabilire collegamenti tra le proprie tradizioni culturali nazionali e quelle
internazionali, in una prospettiva interculturale;
- riconoscere gli aspetti geografici, ecologici, territoriali di vari ambienti naturali
ed antropici e le connessioni con le corrispondenti strutture demografiche,
economiche, sociali, culturali.
3. Progetti e iniziative per un’educazione alla cittadinanza globale.
I Temi/Argomenti sono stati definiti in modo da coinvolgere tutte le fasce d’età dei tre
ordini di scuola:
educazione all’Affettività: Emozioni: riconoscerle e gestirle. Il valore umano
dell’empatia;
educazione alla Cittadinanza Globale: “Diffusori di pace”;
i fondamenti giuridici dei Diritti umani e il valore della Dignità L’àncora della
cultura:
Salento: terra di incontri tra popoli e culture: L’integrazione possibile: visita al
Museo della Shoah di Santa Maria al Bagno;
lessico e consapevolezza: Il colore delle parole, dall’explicatio terminorum alle
parole ponte;
La storia ci guarda. Nei panni del rifugiato: quando gli stranieri eravamo noi
Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui: esiliati e rifugiati in Aiutiamoli a casa
loro: sfruttamento e sostenibilità ambientale. La responsabilità sociale delle
multinazionali;
Stiamo tutti bene: le nuove schiavitù.
Giusti, non eroi: Educazione alla legalità. Da Nardò (Renata Fonte) a Pollica
(Angelo Vassallo, il Sindaco pescatore) in occasione del Premio “Angelo Vassallo”
assegnato al Sindaco di Racale Donato Metallo).
230
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
Un lavoro così articolato non poteva non prevedere di avvalersi di importanti
collaborazioni, le più rilevanti delle quali sono state indubbiamente quelle stabilite con:
Il Centro Culturale San Martino (Prof. Silvio Spiri): Pace e diritti umani nel
Mediterraneo. Migranti, rifugiati e richiedenti asilo
L’Associazione “Gli InDisciplinati”
Don Tony Drazza, Assistente nazionale giovani ACR
Donatella Ferrario, scrittrice
I CRIFIU (gruppo musicale salentino)
Don Giuseppe Venneri (Direttore della Caritas diocesana)
Stefania Gualtieri (Segretario della Fondazione Emmanuel)
Casa Francesco (Comunità Emmanuel)
Di particolare impatto, per alunni e genitori, sono state le testimonianze di giovani
immigrati e di associazioni che lavorano per l’accoglienza e promuovono il rispetto e la
dignità umana: La Crisalide, Comunità Emmanuel, Comunità Giovanni XXIII.
Tra le iniziative di formazione proposte anche ai genitori, da ricordare: gli incontri
organizzati dal Centro Culturale San Martino: La sfida delle migrazioni, Accoglienza,
Integrazione e Sviluppo Sostenibile e La convivialità delle differenze e la solidarietà
internazionale; tra gli incontri con l’autore, di particolare successo quello con Donatella
Ferrario che ha presentato il suo lavoro, Sconfinare. Viaggio alla ricerca dell’altro e
dell’altrove.
Tutto ciò ha nutrito il Piano dei Percorsi didattici per i tre ordini di scuola dell’Istituto,
“Tutti noi compresi”,
La scuola dell’infanzia è stata impegnata nei seguenti progetti:
il valore dell’accoglienza: I diritti non sono fiabe (adozione a distanza a Natale);
partecipazione al Concorso del Centro Culturale S. Martino: rappresentazioni
grafiche e poesie sul fenomeno dell’immigrazione;
#IO LEGGO PERCHÉ (per favorire l’approccio affettivo ed emozionale del
bambino al libro come mezzo per veicolare tematiche sociali. Le diversità
culturali, etniche, religiose, fisiche);
231
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
progetto Cittadinanza: “IO SONO…” (per promuovere la convivenza civile
imparando a gestire le emozioni e i primi conflitti sviluppando il rispetto per gli
altri e per l’ambiente, il senso della solidarietà, dell’amicizia e dell’aiuto
reciproco);
Qui si crea! (laboratorio orientato all’incontro tra più generazioni con la
partecipazione dei genitori, pensato sviluppare il bisogno di vivere in pace ed
essere felici in famiglia);
Scuola in festa (per scoprire il vero senso dell’amicizia, della collaborazione,
della disponibilità favorendo il senso di cittadinanza attraverso la conoscenza del
patrimonio culturale del territorio);
Cittadini si diventa (sapersi prendere cura di sé, degli altri, dell’ambiente
favorendo forme di collaborazione e solidarietà soprattutto per i diversi da sé)
In viaggio (l’importanza e centralità dell’essere persona-conoscere i principali
diritti dei bambini- avviare al senso della cittadinanza);
…e lessero felici ce contenti (educare all’ascolto, al coinvolgimento emozionale
e alla comunicazione per favorire l’accettazione e il rispetto delle culture “altre”.
La scuola primaria è stata protagonista di queste iniziative:
#IO LEGGO PERCHE’: Musical “Il Piccolo Principe”;
partecipazione al Concorso del Centro Culturale S. Martino: rappresentazioni
grafiche e poesie sul fenomeno dell’immigrazione;
Il coro delle mani bianche (classi IVe – Ve primaria e Ie - IIe -IIIe Sec.1°grado);
Buon viaggio (Progetto Teatro per scoprire sé stessi e gli altri con il linguaggio
e i gesti del corpo tramite la danza, la musica e il canto per gestire le proprie
emozioni e per comunicare con gli altri);
E quindi uscimmo a riveder le stelle (Recital classi Ve Scuola Primaria e classi
1e, 2e e 33 Secondaria di 1° grado: il viaggio dell’uomo di ogni tempo, dalla
profondità dell’anima alla consapevolezza della propria umanità).
Infine, la scuola secondaria di 1° grado ha partecipato:
232
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
al Concorso del Centro Culturale S. Martino: rappresentazioni grafiche e poesie
sul fenomeno dell’immigrazione;
al progetto I diritti umani a scuola: Amnesty kids;
al Progetto Giornalino (documentazione e diffusione delle esperienze più
significative);
al progetto #IO LEGGOPERCHE’: Letture di storie di migranti. Classi prime:
Nel mare ci sono i coccodrilli di Fabio Geda; Classi seconde: Io sto con te.
Storia di Brigitte, di Melania Mazzuzzo; Classi terze Non dirmi che hai paura di
Giuseppe Catozzella. Ascolto di letture animate (Classi terze: Ama il tuo sogno.
Vita e rivolta nella terra dell’oro rosso di Yvan Sagnet; Classi prime e seconde
Immagina di essere in guerra, di Jeanne Teller e Vibeke Jensen);
all’iniziativa Dalla loro viva voce: Incontro con ragazzi richiedenti asilo;
al progetto Moviereading: La nave dolce, Cose di questo mondo, Terraferma;
AMCM (associazione multiculturale viaggio studio a Malta);
al Progetto AIESEC (The world in my classroom);
Viaggio nell’universo: MY SKY, MY SPACE;
Il mare e i visionari (Renata Fonte e Porto Selvaggio; Angelo Vassallo e
Pollica: come i sogni dei GIUSTI diventano realtà, nonostante tutto, morte
compresa.
Il coro delle mani bianche (classi IVe – Ve primaria e Ie - IIe -IIIe Sec.1°grado.
4. Riflessioni conclusive.
«Non ci fidiamo più l'uno dell'altro. Vediamo agguati dappertutto. Il sospetto è divenuto
organico nei rapporti col prossimo. Il terrore di essere ingannati ha preso il sopravvento
sugli istinti di solidarietà che pure ci portiamo dentro. E il cuore se ne va a pezzi dietro i
cancelli dei nostri recinti».
Sembra che, da qualunque sia “l’altrove” in cui si trova, don Tonino Bello osservi e
commenti ciò che accade... Riteniamo che la contemporaneità sia il bacino di fatti e di
esperienze da cui attingere per selezionare ciò che, come Scuola, intendiamo sottoporre
all’attenzione e alla riflessione dei nostri “utenti”, bambini, ragazzi e genitori compresi.
233
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
Nell’ovvia consapevolezza che quanto realizzato non possa in alcun modo aver pretese
di esaustività, pure crediamo fermamente che un qualche “segno” debba essere
comunque impresso, dei dubbi che stimolino all’approfondimento e alla definizione di
una propria posizione debbano comunque essere sollevati, perché non si può negare che
quelli in cui ci è toccato in sorte di vivere siano tempi contrassegnati dall’esclusione, dal
rifiuto e spesso dall’umiliazione della dignità altrui. Noi partiamo da qui: dal nostro
dovere istituzionale di “educare all’umanità”, sollecitare all’approfondimento vero, con
metodo, tempi ed impegno adeguati all’opera articolata e complessa del “crescere”. E lo
facciamo con fiducia, con ottimismo e con passione.
234
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
I Curatori
Vitantonio Gioia. Ordinario di Storia del Pensiero economico (Unisalento), già Preside Fac.
Scienze Politiche (Un. Macerata), Coordinatore del Dottorato Internazionale “La tradizione europea
nella storia del pensiero economico” e Direttore del Department of History, Society and Human
Studies (Unisalento).
Ricerche: German Historical School, Economia classica, Pensiero utopico, Marx. Globalizzazione,
diseguaglianze e migrazioni
Alcuni contributi recenti: Capitalism and Judaism in Werner Sombart: a contribution to the
analysis of capitalist rationality and its limits, in RHETM, V. 32; The German Historical School of
Economics in the Italian Debate (1870 – 1890), J.L. Cardoso (ed.), Routledge 2016; Diseguaglianze
e sviluppo. Le radici antiche di un problema attuale, in Giovanola B., Etica pubblica e giustizia
sociale, Carocci Editore, 2016; Economics and Sociology Meet Socialism: Sombart, Durkheim and
Pareto, in Soliani (ed.), Springer 2017; Protectionnisme et laissez-faire. L’économie politique en
question, in A. Tiran - D. Uzunidis (eds.), Protectionnisme, libre-échange, compétitivité et
développement économique : quelle réalité ?, Peter Lang, Bruxelles, 2019 ; From « prudent man »
to homo oeconomicus : Does historicity matter for the category of individualism ? in International
Review of Economics, August 2019.
Attilio Pisanò. Dottore di Ricerca in Scienze Bioetico-giuridiche presso l’Università del Salento, è
Prof. Associato di Filosofia del Diritto e di Teoria e Pratica dei Diritti umani presso il CdLM in
Giurisprudenza (Dip. di Scienze Giuridiche) ed il CdLM in Studi Geopolitici e Internazionali (Dip.
di Storia, Società e Studi sull'Uomo), nonché Principal Researcher del Political Terror Scale (North
Carolina University). Già Presidente dei Corsi di Laurea di Area Politologica, è Componente del
Centro di Bioetica e Diritti umani e dell’International Center of Interdisciplinary Studies on
Migrations, nonché referente dell’Università del Salento per il network delle Università per la pace
della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI). Autore di diverse monografie (da
ultimo Crisi della legge e Litigation Strategy. Corti, Diritti e Bioetica, Giuffrè, Milano, 2016) e di
contributi pubblicati sulle maggiori riviste di filosofia del diritto italiane (Rivista di Filosofia del
Diritto, Politica del Diritto, Ragion Pratica) e di diritti umani (Diritti umani e diritto internazionale,
Human Rights Review, The International Journal of Human Rights).
235
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
Silvio Spiri. Dottore di ricerca in Filosofia (Università di Roma Tor Vergata, 2006), docente presso la
Scuola Secondaria Superiore, è Presidente dell’associazione “Centro Culturale San Martino”. Ha
pubblicato monografie (Essere e sentimento. La persona nella filosofia di A. Rosmini, Città Nuova, Roma
2004 – Premio Nazionale Gentile da Fabriano, IX Edizione, Sezione “Opera prima”; La sapienza
dell'essere. Ontologia triadica e trinitaria, metafisica della creazione e dialettica nella Teosofia di Antonio
Rosmini, Aracne, Roma 2013) e curatele (con T. Valentini, Allargare gli orizzonti della razionalità.
Prospettive per la filosofia, Editori Riuniti, Roma 2010; Antonio Rosmini, Vincenzo Gioberti e Gustavo di
Cavour. Cristianesimo, filosofia e politica nel Risorgimento, Limina Mentis, 2012, vol.1; Antonio Rosmini,
Vincenzo Gioberti e Gustavo di Cavour. Cristianesimo, filosofia e politica nel Risorgimento, Limina
Mentis, 2012, vol. 2) e ha scritto diversi voci (Ecologia e religione; Etologia e bioetica; Legge morale e
Bioetica; Neuroscienze e Bioetica; Neuroscienze e persona; Umanità e Shoah) nell’Enciclopedia di
Bioetica e Scienza giuridica (a cura di Antonio Tarantino e Elio Sgreccia, ESI, Napoli).
Gli autori
Roberto Tanisi, di anni 66. Laureatosi a pieni voti presso l’Università “La Sapienza” di Roma, è
entrato in Magistratura nel 1981. Pretore a Santhià e Vercelli fino al 1991, poi giudice del lavoro a
Lecce per 3 anni. Giudice penale presso la Pretura e poi presso il Tribunale di Lecce, nel 2004 è
divenuto Consigliere presso la Corte d’Appello territoriale. Nominato Presidente di Sezione, ha
presieduto per sette anni la seconda Sezione penale del Tribunale e la Corte d’Assise di Lecce. Nel
2017 è stato nominato Presidente della Corte d’Appello, che ha retto per quasi due anni, lasciando
l’incarico in seguito ad un contenzioso amministrativo. Attualmente presiede la prima Sezione
penale e svolge le funzioni di Presidente f.f. del Tribunale di Lecce. Nella sua carriera è stato
impegnato in delicati e complessi processi, anche per fatti di mafia, ed estensore di importanti
Sentenze, quale quella sui c.d. “schiavi di Nardò”. Per otto anni Presidente della giunta distrettuale
dell’A.N.M., si è fatto promotore di numerose iniziative sui temi della legalità, all’interno del
Palazzo di Giustizia e nelle scuole, in collaborazione con l’Università e con Associazioni del
territorio.
Giuseppe Gioffredi. Dottore di ricerca in Scienze Bioetico-giuridiche presso l’Università del
Salento, è ricercatore confermato presso l’Università del Salento e Prof. Aggregato di Diritto
internazionale, Tutela internazionale dei diritti umani, Diritto europeo e internazionale
236
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
dell’immigrazione e dell’asilo. Tra le sue pubblicazioni: La condizione internazionale del minore
nei conflitti armati, Giuffrè, Milano, 2006; Globalizzazione, nuove guerre e diritto internazionale,
Trento, Tangram Edizioni Scientifiche, 2012.
Luigi Perrone. Già Professore Associato di Sociologia delle migrazioni presso l’Università del
Salento, ha diretto il Dottorato di ricerca in Sociologia delle migrazioni e delle culture, ha fondato e
diretto l’OPI (Osservatorio provinciale sull’immigrazione) e l’ICISMI (International Centre of
Interdisciplanary Studies on Migration), di cui oggi è coordinatore scientifico. Autore di saggi sul
fenomeno migratorio e sulle comunità, collabora con riviste nazionali e internazionali.
Mastrorocco Nunzio. Senior Researcher in Analisi e programmazione territoriale presso IPRES
(Istituto Pugliese di Ricerche Economiche e Sociali), Dottore di Ricerca in Economia della
Popolazione e dello Sviluppo, Perfezionato in Migrazioni internazionali, Academic Visitor
Università di Oxford. Aree di ricerca: Analisi statistica e valutazione, Ricerca sociale e welfare
regionale, Programmazione territoriale e sviluppo locale, Europrogettazione Bandi dell’UE. Autore
di circa 150 pubblicazioni scientifiche attinenti materie demografiche, statistiche, economiche,
sociali, territoriali.
Calò Elisa. Junior Researcher in Analisi e programmazione territoriale presso IPRES (Istituto
Pugliese di Ricerche Economiche e Sociali), Laurea in Scienze Economiche, con Specializzazione
in Diritti e Politiche Euromediterranee, Master di II livello in Economia dell’Ambiente e del
Territorio. Aree di ricerca: ricerca in ambito socio-economico; programmazione, monitoraggio e
valutazione di politiche pubbliche con particolare riferimento a servizi pubblici locali e politiche di
coesione (cicli 2007-2013, 2014-2020, 2021-2027), europrogettazione e gestione di progetti
europei.
Mauro Spedicati. Dottore di ricerca in Storia del Diritto presso l’Università di Macerata, collabora
stabilmente con le cattedre di Storia del Diritto Moderno e Contemporaneo e di Diritto dell’Unione
Europea presso il Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università del Salento. Borsista del MaxPlanck-Institut für europäische Rechtsgeschichte di Frankfurt am Main, ha collaborato anche con
l’Institut für Rechts- und Verfassungsgeschichte dell'Universität Wien. È avvocato del Foro di
Lecce.
237
Pace e diritti umani nel Mediterraneo
Stefania Attolini. Dottoranda di ricerca presso il Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Università
del Salento. Nel 2015 ha conseguito il Master complémentaire en droit européen (Advanced
Master in European Law) presso l’Université Libre de Bruxelles (ULB). È coautrice del
volume Come difendere il contribuente dagli studi di settore (Maggioli Editore, 2012).
Claudia Morini. Senior Researcher in Diritto dell’Unione Europea presso il Dipartimento di
Scienze giuridiche dell’Università del Salento, è dottore di ricerca in Diritto internazionale e
dell’Unione Europea presso l’Università di Bari. Tra le sue pubblicazioni la monografia La tutela
dei diritti dei gruppi religiosi nel contesto regionale europeo (Cacucci, 2018).
Simone De Michele. Laureato in Giurisprudenza, iscritto alla SIOI di Roma, ha conseguito nel
2017 un master in studi diplomatici. Collabora attivamente con le cattedre di Diritto dell'Unione
Europea e di Diritto internazionale presso il Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università del
Salento.
Luca De Santis. Licenza in Sacra Teologia con indirizzo in Dottrina Sociale della Chiesa Roma e
Dottorato in Sacra Teologia con indirizzo in Dottrina Sociale della Chiesa presso la Pontificia
Università Lateranense. Insegna presso l’ISSR “Don Tonino Bello” di Lecce e presso l’Università
Cattolica di Roma. Ha pubblicato il volume Autonomismo e persona. Federalismo, autonomia e
sociologia del soprannaturale nel pensiero di don Luigi Sturzo, Effatà Editrice, Febbraio 2018 (III
ristampa).
Stefania Manzo. Laurea in Lingue e Letterature Straniere (Inglese e Russo) conseguita nel 1994
presso l’Università degli Studi di Lecce. Dal 1995 al 2014 è stata docente specialista di Lingua
inglese nella scuola primaria di Taviano. Vincitrice del Concorso per il Reclutamento di Dirigenti
Scolastici in Puglia – D.D.G. del 13/07/2011. Dal 2014 è Dirigente Scolastico dell’Istituto
Comprensivo Statale di Racale (LE). Nel 2015 ha ricevuto il primo Premio al Concorso Nazionale
“PREPARATION CENTRE CAMBRIDGE AWARDS 2015” in qualità di docente referente del
progetto “Cambridge Esol” cat. Scuola Primaria.
238
Atti della Rassegna
PACE E DIRITTI UMANI NEL MEDITERRANEO.
Migranti, rifugiati e richiedenti asilo
© 2019 Università del Salento
eISBN 978-88-8305-158-6 (electronic version)
http://siba-ese.unisalento.it