1949
La lotta di Marx non è contro la miseria e per la ricchezza del lavoratore, equilibrio da ristabilire con le grassazioni per la via ai panciuti borghesi. Miseria dell'operaio non è il basso livello del salario e l'alto costo dei generi che consuma. La vittoria del capitalista nella lotta di classe non è la riduzione, la resezione del tenore reale del salario, che indiscutibilmente si eleva nella storia in senso generale, a cavallo dei periodi progressivi pacifici guerrieri ed imperialisti. Miseria nel nostro dizionario economico marxista non significa "bassa remunerazione del tempo di lavoro". Si capisce che il capitalismo se monopolizza forze produttive tali - fregate allo sforzo di tutti - da avere lo stesso prodotto con dieci volte di meno operai, può a cuor leggero vantare di aver raddoppiato i salari. Il plusvalore relativo e assoluto è enormemente cresciuto e cresce l'accumulazione in massa; ma di ciò al suo luogo. Miseria significa invece "nessuna disposizione di riserve economiche destinabili al consumo in caso di emergenza". Il diffondersi "progressivo" nelle popolazioni di tali condizioni è la caratteristica fondamentale storica del tempo capitalistico. In epoca preborghese l'artigiano il contadino lo stesso servo della gleba non erano in stato di pauperismo, anche quelli a più basso tenore di vita. Tanto meno vi erano i costituenti il ceto medio, piccoli proprietari, piccoli esercenti, funzionari, etc. Il risparmio non era stato inventato, ed era meno facile ridurli al verde. Buona parte della moneta era ancora in oro e argento. Con la sua accumulazione primitiva il capitalismo vuota le borse le case i campi le botteghe di tutti questi, e in numero sempre maggiore e ne fa dei pauperes, dei miseri, dei senza-riserva, dei nullatenenti, li riduce ad essere "schiavi salariati" nel senso di Marx. Cresce la miseria e si concentra la ricchezza perché cresce a dismisura il numero assoluto e relativo dei proletari nullatenenti, che devono mangiare ogni giorno ciò che quel giorno hanno guadagnato.