rivista di
storia dell’architettura
università degli studi
di firenze
bianco
2016
forme e visioni di architetture senza colori
FIRENZE
UNIVERSITY
PRESS
rivista di
storia dell’architettura
università degli studi
di firenze
2016
Nuova Serie, anno II | 2016
Rivista del Dipartimento di Architettura
Sezione di Storia dell’Architettura e della Città
Università degli Studi di Firenze
Pubblicazione annuale
Registrazione al Tribunale di Firenze
n. 5426 del 28.05.2005
ISSN 2239-5660 (print) ISSN 2035-9217 (online)
Direttore responsabile
Saverio Mecca | Università degli Studi di Firenze
Direttore scientifico
Gianluca Belli | Università degli Studi di Firenze
Consiglio scientifico
Amedeo Belluzzi | Università degli Studi di Firenze
Mario Bevilacqua | Università degli Studi di Firenze
Joseph Connors | Harvard University
Francesco Paolo Di Teodoro | Politecnico di Torino
Roberto Gargiani | Ecole Polytechnique Fédérale de Lausanne
Alessandro Nova | Kusthistorisches Institut in Florenz
Riccardo Pacciani | Università degli Studi di Firenze
Susanna Pasquali | Università di Roma “La Sapienza”
Brenda Preyer | The University of Texas at Austin
Alessandro Rinaldi | Università degli Studi di Firenze
Redazione
Daniela Smalzi
Bianco.
Forme e visioni di architetture senza colori
a cura di Grazia Maria Fachechi
In copertina
Richard Meier, chiesa di Dio Padre Misericordioso, Roma 2003.
Referenze fotografiche
C. Albarello: p. 115.
E. Arborio Mella: p. 27.
Bibliotheca Hertziana, Max-Planck-Institut für Kunstgeschichte: p. 90.
Centro Internazionale di Storia dell’Architettura “Andrea Palladio”,
Vicenza: pp. 75, 79, 80, 81.
M. Di Marco: p. 86.
C. Marconi: p. 85, 92.
I. Mari: pp. 95, 97.
O. Muratore: pp. 100, 101, 102, 103.
A. Musacchio: p. 78.
D. Paternò: pp. 76, 77.
© Scala: pp. 59, 61.
D. Smalzi: pp. 7, 8, 9, 35, 37, 40, 43.
S. Sturm: pp. 87, 91.
M. Zammerini: pp. 119, 122, 123, 124, 125, 126.
https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Casale_Monferrato-duomofacciata4.jp: p. 27.
http://gliscritti.it: p. 89.
www.foliamagazine.it: p. 20.
Tutti i saggi sono sottoposti a un procedimento di revisione affidato
a specialisti disciplinari esterni al comitato scientifico, con il sistema
del ‘doppio cieco’.
Coordinatore editoriale e progetto grafico
Susanna Cerri
Caratteri albertiani della testata
Chiara Vignudini
Logo “Opus”
Grazia Sgrilli da Donatello
Copyright: © The Author(s) 2016
This is an open access journal distribuited under the Creative Commons
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L’opera è stata realizzata grazie al contributo del DIDA
Dipartimento di Architettura | Università degli Studi di Firenze
via della Mattonaia, 14 50121 Firenze
Con il sostegno del DISTUM | Dipartimento di Studi Umanistici
Università degli Studi di Urbino Carlo Bo
Con la collaborazione del CURAM
Centro Universitario per la Ricerca Avanzata
nella Metodologia storico-artistica
sommario
6 | Questioni di facciata? Il colore dello spazio, lo spazio del colore e la bellezza del bianco
Grazia Maria Fachechi
10 | Appunti per una semiotica storica del bianco in architettura
Giovanna Perini Folesani
18 | Senso del colore e assenza di colori nell’architettura sacra medievale e nelle sue ‘rivisitazioni’
in Italia: qualche considerazione sulla facies esterna
Grazia Maria Fachechi
34 | Mura di luce, facciate di diamanti. Metafore del bianco nell’architettura del Quattrocento
Mario Bevilacqua
48 | Bianco e colori. Sigismondo Malatesta, Alberti, e l’architettura del Tempio Malatestiano
Massimo Bulgarelli
58 | “Il bellissimo bianco” della Sacrestia Nuova: Michelangelo, Vasari, Borghini e la tradizione
fiorentina come nuova identità medicea
Eliana Carrara, Emanuela Ferretti
74 | Palladio a colori, Palladio in bianco e nero: il mito del bianco nell’architettura palladiana
Damiana Lucia Paternò
82 | Bianco come mimesi, allusione, fusione. Bernini, Borromini... Mies van der Rohe
Saverio Sturm
94 | L’uso del ‘bianco’ nel restauro architettonico a Roma nel XIX secolo
Oliva Muratore
104 | Costruzioni letterarie e valori cromatici nel Danteum di Pietro Lingeri e Giuseppe Terragni
Carlo Albarello
116 | Le radici del bianco nell’opera di Richard Meier
Massimo Zammerini
Carlo Albarello
Costruzioni letterarie e valori cromatici
nel Danteum di Pietro Lingeri
e Giuseppe Terragni
In 1938 Giuseppe Terragni and Pietro Lingeri designed the Danteum, a monument to be erected in the new via dei Fori Imperiali in
Rome. The project area, before the Basilica di Massenzio, is endowed with special symbolic value, since during the Fascist period this was
already considered a suitable site for the architectural competition for a Palazzo Littorio. Both in the 1934 competition and in the 1938
project the problems connected to the inclusion of new elements onto the ancient remains called into question the chromatic issue as one
which designers should take into far greater account. In this respect, the Danteum is the monument that more than others displays a quite
interesting sequence of spacial structures which parallel Dante’s work while, at the same time, offering a peculiar chromatic synthesis in
the ideal and material relationship with the various features of the historical period and the archaeological site. In this work the resulting
mix of literary and architectural language was to serve as a tool to promote the ideology of the Fascist regime, while making of Dante
Alighieri, through his work and thought, the interpreter of an autocratic view of political power.
Percosso da profonde tensioni culturali e metafisiche, il progetto per il Danteum è un momento
importante per valutare l’impatto dell’azione del
mito letterario nella progettazione di una porzione di spazio a Roma sull’angolo tra la via Cavour
e i Fori Imperiali, esempio di semantizzazione e
significazione dello spazio in consonanza con i
contenuti culturali e ideologici della propaganda mussoliniana. Si tratta di valutare un’azione
architettonica, decorativa, funzionale, formale,
amministrativa e politica di grande portata e organicità. Il Danteum potrebbe intendersi come
un edificio a grandi dimensioni e forte valenza
rappresentativa, che allo stesso tempo esplicita –
nel disegno, nell’ideazione, nei materiali, nel colore – l’impegno del Moderno nel fare riaffiorare
il mito nell’architettura e di una determinata architettura votata, secondo il manifesto della rivista «Valori Primordiali», fondata da Franco Ciliberti nel 1938 e firmato tra gli altri anche da Giuseppe Terragni e Cesare Cattaneo, alla riscoperta e alla riattualizzazione di contenuti primari,
di “un tempo e di uno spazio assoluti”, “di atmosfere mitiche e desertiche”, trascendenti il costume e le mode intellettuali, e che nella sua ambizione fu sopportata da Mario Sironi 1 (figg. 2-3).
I colori dell’Imperium
Devo subito avvertire che, nel tentativo di dare un contributo in un campo già affrontato da
molti studiosi e da molti osservatori, guardo non
senza trepidazione a talune insistenze critiche
intorno al Danteum di Pietro Lingeri e Giusep-
104
pe Terragni, con il primo sempre in margine nonostante l’incarico di progettazione fosse stato
commissionato a Lingeri, che a sua volta richiederà la presenza del secondo2. Eppure, recenti
analisi e interventi contribuiscono a ricondurre
con forza a Terragni la paternità progettuale di
questa idea architettonica, mai persa di vista da
Lingeri in ogni fase della vicenda e nel rapporto
con i committenti3. Insistenze che spingono l’architetto comasco verso Massimo Bontempelli in
un binomio artistico di architettura e letteratura,
e decisamente la Commedia dentro il Danteum:
quel Danteum di cui gli si attribuisce in ogni caso, con maggiore energia, un’ immediata, fondamentale paternità4. Realismo magico. Bontempelli spiega che il suo “realismo magico” tende
all’unità delle arti, “ad avvicinare tutte le altre arti all’architettura e alla musica; alle arti, cioè, in
cui il dualismo dei piani è abolito e il fondamento magico” – Terragni parlerà di ‘emozionarsi’
entrando nel Danteum – “non è nelle atmosfere
in cui si immerge il mondo reale, ma addirittura
nella invenzione di un mondo tutto nuovo”5. È
sufficiente la figura dell’intellettuale a tutto campo delineata da «Valori Primordiali» o l’aspirazione all’unità delle arti e una specie di poetica
che trascende le rigide demarcazioni tra musica, letteratura, pittura e architettura espressa, tra
il 1926 e il 1927, dagli esponenti del Gruppo 7
su «La Rassegna Italiana». O ancora meglio basti pensare a quella linea di tendenza sinestesica
di quegli anni, più volte ribadita sin dai manifesti
futuristi degli anni 1920-24: “le sintesi visive del-
la musica”, “le atmosfere cromatiche della musica”, “le inversioni scenico plastiche della musica”. Lo scambio intellettuale tra i diversi settori dell’arte è una costante programmatica nella
cultura dell’epoca6. E quindi possiamo assolvere Terragni da quell’accusa mossagli da Carlo Argan di aver commesso con il Danteum un “errore madornale”, perché la ricerca di un rapporto
fra monumento architettonico e opera letteraria
è un’idea “quasi comica”7. Spero di dimostrare
che non è così.
Il Danteum, progettato nel 1938, doveva sorgere su intenzione di Rino Valdameri, avvocato milanese e direttore della Reale Accademia di Brera a Milano ma anche presidente della Società
Dantesca Italiana, come edificio ma anche come associazione con statuto. In quanto edificio,
doveva essere un ‘tempio’ per celebrare “il massimo Poeta degli Italiani” – da costruirsi in tempo utile per l’Esposizione del 1942 – e come ente doveva coordinare e promuovere lo studio della opere dantesche (specie Commedia e Vita Nova) e “aiutare tutte quelle iniziative che attestino il carattere imperiale dell’Italia Fascista”8. Il
tutto su via dei Fori Imperiali, allora via dell’Impero, davanti alla basilica di Massenzio, ispirato
alla struttura narrativa della Divina Commedia,
tanto da prevedere complessivamente al suo interno uno spazio raffigurante la selva oscura, l’Inferno, il Purgatorio, il Paradiso ma anche la sala dell’impero e una biblioteca di studi danteschi
(fig. 4). L’area di progetto aveva un valore particolare, considerando che nel Ventennio era già
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Costruzioni letterarie e valori cromatici nel Danteum di Pietro Lingeri e Giuseppe Terragni Carlo Albarello
pagina 105
Fig. 1 P. Lingeri, G. Terragni, Progetto per il Danteum,
1938 (Archivio Pietro Lingeri, Milano). Il Modello (da
Pietro Lingeri 1894-1968… cit., 2004).
Fig. 2 P. Lingeri, G. Terragni, Progetto per il Danteum, 1938
(Archivio Pietro Lingeri, Milano). Veduta prospettica su via
dei Fori Imperiali (da Pietro Lingeri 1894-1968… cit., 2004).
Fig. 3 P. Lingeri, G. Terragni, Progetto per il Danteum, 1938
(Archivio Pietro Lingeri, Milano). Veduta prospettica angolo
via Cavour, via dei Fori Imperiali (da Pietro Lingeri 18941968… cit., 2004).
Fig. 4 P. Lingeri, G. Terragni, Progetto per il Danteum, 1938
(Archivio Pietro Lingeri, Milano). La selva oscura (sullo
sfondo) e la sala dell’Inferno (a destra), (da Schumacher, Il
Danteum di Terragni… cit., 1980).
1
F. Ciliberti, Sul primordiale, “Valori Primordiali”, I, 1938,
p. 25. Ringrazio Massimo Zammerini che mi ha fatto intuire
con rapidità quanto letteratura e architettura siano shifters appartenenti al discorso sociale, di cui rivelano talora lo scandalo.
2
P. Nicoloso, Lingeri e Terragni, in Pietro Lingeri 1894-1968,
a cura di C. Baglione, E. Susani, Milano 2004, pp. 59-71; S. Poretti, T. Iori, I progetti romani e l’autarchia, ivi, pp. 77-97; E.
Lingeri, Attraverso il Danteum: un percorso, ivi, pp. 141-147;
C. Baglione, 1938-40 Progetto per il Danteum, Roma con Giuseppe Terragni, ivi, pp. 262-267.
3
G. Mieli, Terragni a Roma. La vicenda incompiuta del Danteum, in Giuseppe Terragni a Roma con Antonio Carminati,
Cesare Cattaneo, Pietro Lingeri, Ernesto Saliva, Luigi Vietti e
la collaborazione di Marcello Nizzoli, Mario Radice e Mario Sironi, a cura di F. Magnione, L. Ribichini, A.A. Terragni, Roma
2015, pp. 62-63.
4
Nell’ordine: F. Tentori, Terragni e Bontempelli: architettura e
letteratura, in Giuseppe Terragni. Opera completa, a cura di G.
Ciucci, Milano 1996, pp. 207-215: 209; A. Cuomo, Terragni
ultimo, Napoli 1987. E poi: T.L. Schumacher, Il Danteum di
Terragni (1938), Roma 1980; A. Muntoni, Architetti e archeologi a Roma, in Il primo Novecento, a cura di G. Ciucci, G. Muratore, Milano 2004, pp. 260-293; S. Chiodi, Dante fascista e
i suoi disegni, in Atlante della letteratura italiana, a cura di S.
Luzzatto, G. Pedullà, III (Dal Romanticismo a oggi), a cura di
D. Scarpa, Torino 2012, pp. 671-675.
5
M. Bontempelli, L’avventura novecentista, a cura di R. Jacobbi, Firenze 1974, p. 299.
6
Cfr. Musica e architettura nell’età di Giuseppe Terragni (19041943), giornata di studi (Milano, 18 gennaio 2005), a cura di C.
Toscani, Milano 2005.
7
G. Ciucci, S. Pasquarelli, Un documento inedito. La ragione teorica del Danteum, “Casabella”, 522, 1986, pp. 40-41.
8
R. Valdameri, Statuto del Danteum, in Schumacher, Il
Danteum di Terragni… cit., p. 145.
9
Cfr. C. Ricci, A.M. Colini, V. Mariani, Via dell’Impero, Roma 1933; A. Cederna, Mussolini Urbanista. Lo sventramento di Roma negli anni del consenso, Venezia 2006, pp. 182-185;
Fori Imperiali. Demolizioni e scavi. Fotografie 1924/1940, a cura di R. Leone, A. Margiotta, Milano 2007.
10
Cederna, Mussolini Urbanista… cit., p. 173.
11
V. Cardarelli, Il destino di Roma, in Id., Il cielo sulle città,
Milano 1939, p. 88.
12
M. Tafuri, Il soggetto e la maschera. Una introduzione a Terragni, “Lotus International”, 20, 1978, pp. 5-29.
13
G. Ciucci, Introduzione, in Schumacher, Il Danteum di
Terragni… cit., pp. 9-14: 14.
14
Relazione sul Danteum [4], ivi, p. 135.
15
J.T. Shnapp, Un tempio moderno, in Giuseppe Terragni. Opera completa… cit., pp. 267-279; S. Paviol, Giuseppe Terragni:
l’invention d’un espace, Gollion 2006, pp. 103-123.
16
Valdameri, Statuto del Danteum… cit., p. 145.
17
Cfr. G. Genette, Soglie. I dintorni del testo, a cura di C.M.
Cederna, Torino 1989.
18
Relazione sul Danteum [4], in Schumacher, Il Danteum di
Terragni… cit., pp. 135-144.
106
stata oggetto di quella vasta operazione di liberazione dei Fori Imperiali, come amava definire l’impresa Corrado Ricci, avvenuta in tempi record dall’ottobre del 1931 all’ottobre del 1932, e
testimoniata con molte notizie sul «Giornale d’Italia»9. Tra ottobre e novembre del 1931 cadono
le case dalla parte della Torre delle Milizie e dei
Mercati Traianei: si scopre un gruppo di case medievali per cui, si assicura, si torna a respirare “l’aria del tempo di Dante”, ossia area di strumentalizzazione fascista di Dante10. È una specie di
caccia al tesoro: un grande enigma è cosa si troverà quando si dovrà tagliare la collina Velia alle spalle della basilica di Massenzio per raggiungere il Colosseo. È un momento di particolare
esaltazione e anche i poeti lo capiscono, se Vincenzo Cardarelli scrive che via dell’Impero “potrebbe anche dirsi via del Consenso”11 (fig. 5).
Quest’area era già stata per Terragni e Lingeri un
luogo di interesse nel 1934 in occasione del concorso di primo grado per il Palazzo Littorio, al
quale parteciparono assieme ai principali esponenti della cultura architettonica del momento.
Uno spazio che favorisce l’attitudine astratta del
comasco e la sua propensione per uno sradicamento delle sue architetture dal contesto fisico12.
E in questo l’architettura che comunica un mito,
nel caso imperialistico e pseudo-dantesco, è possibile solo in un non-luogo, «che è ou tòpos, utopia»13. Sì, perché – come si legge nella relazione
sul Danteum – “non poteva sfuggire alla nostra
preoccupazione di progettisti l’aggravarsi del problema di innestare […] il mito […], inteso come
una sintesi spirituale”14. Ma sia nel concorso del
1934 che nel progetto del 1938 le problematiche
d’inserimento del nuovo nell’antico chiamano
in causa la questione cromatica, come uno degli
elementi da tenere in maggior considerazione.
L’uso della materia – il marmo – e del colore – il
bianco – nel Danteum hanno un doppio ruolo:
da una parte si avvicinano al tema del valore assoluto, eterno, e dell’altra in quanto valore rela-
tivo, inscritto nelle problematiche d’inserimento del progetto moderno in un luogo storicizzato
e stratificato. Tra le opere del maestro comasco il
Danteum appare infatti una delle più controverse, se ci si riferisce al rapporto con il luogo romano, e una delle più chiare per ciò che riguarda le
logiche interne terragnesche.
Prima di addentrarmi sulle costruzioni letterarie di questo progetto, non posso non pensare in
concreto, e in dettaglio, a due documenti interpretativi singolarmente concordi nella sostanza
ultima dell’esegesi: un limpido esercizio didascalico, un raffronto fra quelle pareti che Terragni apre solo in nome di Dante e la luce dell’alba della via dell’Impero ben nota al comasco15.
Sì perché prima che una nuova Casa di Dante,
dove “attuare celebrazioni del verbo dantesco”,
prima che “centro vivo di ogni studio e ricerca
intorno all’Opera del Poeta”, questo tempio moderno deve attestare l’imperialismo dell’Italia fascista16. Del resto, a disorientare i primi lettori
del Danteum hanno anche provveduto, in misura non marginale, le modalità di presentazione
del monumento, quegli elementi liminari, di soglia, che determinano e delimitano a vari livelli
la comprensione di un’opera17.
Mi riferisco in particolare alla Relazione sul
Danteum, in cui sembra di poter rintracciare la
struttura genetica dell’impianto e la sua polarizzazione argomentativa estetica attorno alla Commedia. Si rischia però di innescare un processo
di riconoscimento di modelli letterari, possibili
generatori di corpi materici, e di non fare i conti
con la funzione politica e civile dell’Alighieri18.
Il rischio è quello evidenziato da Carlo Argan.
Prima che poeta Dante, per Terragni e la cultura
del suo tempo, è politico, è morale, è civile, può
essere declinato in senso anticattolico, può raccontare l’epopea dell’impero riconquistato. Assumendo, inoltre, la funzione di forgiare gli italiani, ricostruisce un nuovo canone di padri della patria e dell’impero recentemente proclama-
Costruzioni letterarie e valori cromatici nel Danteum di Pietro Lingeri e Giuseppe Terragni Carlo Albarello
to (9 maggio 1936) in un nuovo Pantheon delle
itale glorie (fig. 1). Se l’architettura è strumento
strategico della nuova identità imperialistica, come insegna la religione dei monumenti (nei dibatti, nei concorsi, nelle esposizioni), costruire il
Danteum non potrà per Terragni e Lingeri che
raccontare l’epopea del fascismo, riconoscendo e onorando il Duce e quel poeta che aveva
marcato un momento cruciale nella costruzione identitaria dell’Italia dopo la sua unificazione19. Il mito dà un’interpretazione assoluta della
realtà, è espressione simbolica di verità, di ordine
naturale o morale. Ecco, le pareti del Danteum
appaiono in quest’ottica, come un permanente
‘campo di tensioni’ e ‘campo semantico mobile’,
in cui si crea una ideologia e da cui nascono modelli sociali e modelli di lettura del mondo20.
In questo senso, la nuova Italia aveva già avuto
bisogno di monumenti a Dante e altri segni della memoria che esibissero monitoriamente i padri della patria21. Dopo i due centenari danteschi
del 1865 e del 1921 l’Italia sembra impazzire per
il suo nuovo padre ritrovato, tanto che nel 1903
Benedetto Croce aveva reagito verso il “monoteismo dantesco” e Rodolfo Renier aveva scritto
il saggio dal titolo significativo: Dantofilia, Dantologia, Dantomania22. Per ridurre al minimo le
necessarie indicazioni circa gli studi danteschi,
ci restringeremo alle lettura cursoria della Bibliografia dantesca: 1920-1930, per percepire anche solo visivamente come alla dottrina politica
fossero dedicate molte più attenzioni rispetto alla poesia, e ribadire che, per quante acrobazie di
lettura si possano fare per cercare passi danteschi
allusi o riferiti da Terragni nella costruzione del
Danteum, si è destinati ad essere defraudati dei
giusti elementi interpretativi23.
Chi invece voglia obbedire all’ordine impartito
19
G. Ciucci, Stili estetici nel regime fascista, in Modernità totalitaria. Il fascismo italiano, a cura di E. Gentile, Roma 2008, pp.
100-112: 108-109.
20
Cfr. J.M. Lotman, La struttura del testo poetico, a cura di E.
Bazzarelli, Milano 1990, pp. 67-69; M. Corti, Il viaggio testuale, Torino 1978, pp. 22-23.
21
B. Tobia, Una patria per gli Italiani. Spazi, itinerari, monumenti nell’Italia unita: 1870-1900, Roma-Bari 1991.
22
B. Croce, C. Ricci, Varietà: I. Il monoteismo dantesco. Due
lettere, “La Critica”, I, 1903, pp. 230-232; R. Renier, Dantofilia, Dantologia, Dantomania, “Fanfulla della Domenica”,
XXV, 12 aprile 1903, 15.
23
Cfr. N.D. Evola, Bibliografia dantesca: 1920-1930, Firenze
1932, pp. 51-56, 58-61.
107
Costruzioni letterarie e valori cromatici nel Danteum di Pietro Lingeri e Giuseppe Terragni Carlo Albarello
A. Solmi, Il pensiero politico di Dante. Studi storici, Firenze
1922; F. Ercole, Il pensiero politico di Dante, II, Milano 1928.
25
G. Pagano, Il concorso per il palazzo del Littorio, in G. Pagano, Architettura e città durante il fascismo, a cura di C. De Seta,
Milano 2008 (da “Casabella”, 82, 1934, pp. 20-29).
24
108
dai tempi, si troverà legato allo studio del pensiero politico di Dante, su cui non è ingiusto insistere24. Volgersi al De Monarchia significava già
collocare il disegno di una monarchia universale, avente al vertice l’imperatore romano, nel destino del popolo italiano. Un telaio narrativo, sotto l’apparenza dell’impalcatura di regime, completamente scollato dal programma politico e intellettuale di Dante, in cui la netta separazione
di potere temporale (dell’imperatore) e spirituale (del papa) si associa all’idea di una vasta unità culturale che agisce insieme al potere politico
per creare una società di uomini saggi e virtuosi. Legato a una problematica tipicamente medievale, il De Monarchia, composto dopo il 1318
per difendere i diritti dell’Impero contro le pretese della Chiesa, afferma la piena uguaglianza
fra l’imperatore e il papa per quanto riguarda l’origine del loro potere e la funzione che assolvono: hanno una pienezza del potere che proviene
direttamente da Dio ed entrambi sono indispensabili all’uomo per raggiungere la felicità terrena
e quella eterna. Tuttavia tale teoria viene piegata nel Ventennio fascista a giustificazione di un
impero che vede nel Duce una filiazione, giustificata dalla teologia medievale e dall’opera di
Dante che non esita a leggere l’impero romano
come evento provvidenziale, ben dettagliato nella lunga cronologia imperiale del canto VI del
Paradiso.
Mitografia fascista
A due architetti come Terragni e Lingeri, che
conoscevano bene il sito di fronte la basilica di
Massenzio e che non erano mai stati tentati di
aggiornare le loro linee con quelle della monumentalità esibita da altri loro contemporanei,
dopo il concorso di primo grado per il Palazzo
dei Ricevimenti e dei Congressi dell’E42 (1937),
non era ignota la posta in gioco di partecipare alla celebrazione di un “nuovo imperium, rinascita
di una coscienza romana universale, dominio sul
mondo antico. Atto, cioè, di conquista: vittoria
dei vivi sui morti”, come nel 1934 con il palazzo del Littorio e quattro anni dopo con il nuovo
progetto25. Se la manifattura del Danteum obbedisce, in ambito fascista e comasco, a una ‘grammatica razionalista’ che ne codifica in modo sostanzialmente uniforme le caratteristiche di fondo, le diverse cantiche e il De Monarchia danno
luogo a scelte individuali, dettate da ragioni contingenti di stile, ma anche leggibili come riflesso
mediato di fattori collettivi di ordine storico, culturale, psicologico e politico. All’interno del re-
Fig. 5 P. Lingeri, G. Terragni, Progetto per il Danteum,
1938 (Archivio Pietro Lingeri, Milano). Planimetria di
via dell’Impero, dopo lo sventramento, con la pianta del
Danteum a lato della Torre di Conti (in alto a sinistra),
(da Pietro Lingeri 1894-1968… cit., 2004).
Fig. 6 P. Lingeri, G. Terragni, Progetto per il
Danteum, 1938 (Archivio Giuseppe Terragni, Como).
Sovrapposizione dei quadrati nella pianta e sezioni auree
della Basilica di Massenzio (sopra); studio dei quadrati
e sovrapposizione dei quadrati prima dello slittamento e
sezioni auree del Danteum (da Schumacher, Il Danteum
di Terragni… cit., 1980).
vival dell’antichità classica si pone, nella cultura
del 1938, l’interesse per Dante, assurto a simbolo dell’Italia imperiale, anche se è bene ricordare la tesi di Bontempelli per cui tutta l’umanità e
quindi anche l’Italia fascista stavano vivendo l’inizio, il medioevo di una terza era dell’umanità:
dopo quella dell’antichità e del classicismo e dopo la seconda Era, che egli delimitava dalla nascita di Cristo alla fine della guerra mondiale26.
La persistenza dell’Alighieri durante il periodo
risorgimentale, nella produzione letteraria ed artistica, aveva generato un interesse verso il poema dantesco e avuto un ruolo fondamentale nel
fenomeno risorgimentale e nelle varie manifestazioni di rinascenze post-unitari, e per il valore allegorico e simbolico assunto dalla sua vita
e dal suo poema lungo l’ampia parabola temporale della cultura occidentale. La finalità essenzialmente identitaria del mito dantesco si arricchisce nel Ventennio fascista di contenuti attinti
alla tradizione della politica imperiale, che confluiranno anche nel Danteum, dove la relazione fra testo e immagine sarà molto accidentale
e si connoterà di contenuti sacralizzanti la politica dell’Italia fascista fondando una vera e propria
religione civile27. Le tracce dell’antico, rimosso
o sventrato, diventano protagoniste assieme alle
nuove architetture, popolano i cortili e i giardini
delle ville dove i nuovi esempi moderni convivono con la rovina, in una nuova Forma Urbis, dialogo serrato fra mito, natura, cultura e propaganda. La trasfigurazione allegorica del poema dantesco si fa portatrice di significati politici ed etici, finalizzati a celebrare il Signore del tempo e
a porsi come elaborazione concettuale all’interno di una coppia di architetti più sensibili ai valori primordiali.
Ma nella foresta labirintica, immensa, singolare dell’opera dantesca anche sul versante della
lingua il regime celebra Dante come l’inventore del ‘volgare’ e dunque della ‘razza’ e nemici
della razza italiana sono ovviamente tutti quelli
Costruzioni letterarie e valori cromatici nel Danteum di Pietro Lingeri e Giuseppe Terragni Carlo Albarello
che attentano alla purezza della lingua: l’Europa che non parla una lingua sola; la Francia portatrice di una lingua dettata solo dalla ragione; i
giudei, fautori di una letteratura borghese, riflessiva e psicologica nonché inventori dell’Esperanto. “Non saremmo nati senza Dante, non sarebbe il latino volgare diventato immaginazione
italiana”, tuonerà ad esempio tra qualche anno
dalle colonne della «Difesa della Razza», il giornalista e scrittore abruzzese Massimo Lej, ma il
mito è già attivo28.
Tentori, Terragni e Bontempelli… cit., pp. 207-215.
M. Marrazzi, Danteum. Studi sul Dante imperiale del Novecento, Firenze 2015, pp. 15-85.
28
F. Cassata, «La difesa della razza». Politica, ideologia e immagini del razzismo fascista, Torino 2008, pp. 329-330.
29
S. Poretti, Modernismi e autarchia, in Il primo Novecento…
cit., pp. 442-475: 471-473.
30
Schumacher, Il Danteum di Terragni… cit., p. 29.
26
27
Il volume dell’Imperium
Lungi dal voler tentare di fondare una teoria sui
rapporti tra architettura e letteratura e sull’ordine
delle due arti, voglio suggerire solo alcune riflessioni che mi sembrano provenire da quel margine così importante che fa pagina, fa corpo, secondo la felice intuizione di Jean-Luc Godard,
rappresentato dalla Relazione sul Danteum, redatta da Terragni. Non vi sono descritte la costruzione e la gestione dello spazio scritto, murario
e della letteratura, che concorrono all’attuazione di un progetto preliminarmente definito nelle sue articolazioni generali: solo un accenno alla predisposizione materiale degli spazi, tramite
la scelta delle dimensioni assolute del rettangolo aureo e la materializzazione della pagina dantesca sulla quinta monumentale in ingresso, che
determina equilibri interni fra zone piene e zone vuote, la disposizione più o meno ariosa delle rettrici29 (fig. 6). Ed ecco allora che l’edificio è
generato da due figure: un rettangolo aureo (il
lato maggiore del quale è uguale al minore della basilica di Massenzio) e due quadrati parzialmente sovrapposti, allo scopo di creare l’accesso
all’edificio30. Quel che Terragni ha l’improntitudine di approfondire e di patire, rappresentando al tavolino nell’atto di dire e di disegnare, è
la “costruzione filosofica” della Divina Commedia, il “riferimento spirituale”, “l’atmosfera che
suggestioni” e che deve provare il visitatore, per
109
Costruzioni letterarie e valori cromatici nel Danteum di Pietro Lingeri e Giuseppe Terragni Carlo Albarello
Fig. 7 P. Lingeri, G. Terragni, Progetto per il Danteum,
1938 (Archivio Pietro Lingeri, Milano). Prospettiva della
sala dell’Inferno (da Pietro Lingeri 1894-1968… cit.,
2004).
Fig. 8 P. Lingeri, G. Terragni, Progetto per il Danteum,
1938 (Archivio Pietro Lingeri, Milano). Prospettiva della
sala del Purgatorio (da Pietro Lingeri 1894-1968… cit.,
2004).
110
il quale si vuole allestire la scena e suscitare un
“dramma tutto interiore”31. Quel viator, che deve poter sperimentare in un percorso a spirale
una forte commozione, appoggiata non sulla parola poetica ma tradotta “con mezzi plastici, con
proporzioni di volumi e di architetture” viene infine scaraventato, entro gli spazi di un percorso
ascensionale adeguatamente segnalato, nella sala dell’Impero32. “L’impero Universale e Romano quale fu intravisto e preconizzato da Dante è
lo scopo ultimo e l’unico rimedio per salvare dal
disordine l’umanità e la Chiesa”, commenta Terragni, fulcro – sebbene angusto – di questo tempio al quale il visitatore può accedere al piano superiore, passando o no dalla sala del Paradiso33.
Qui soprattutto incombe il peso di finalità diverse dal mero tentativo di celebrare la Divina Commedia come fosse ‘opera viva’ e almeno in parte contraddittorie: da un canto, la necessità di
garantire la leggibilità del monumento/testo e
la durevolezza dell’oggetto34; dall’altro, esigenza di esprimere adeguatamente la connotazione iconica del libro, più o meno accentuata in
alcuni punti e orientata in senso ideologico, sacrale e anche puramente strumentale. Tutte le
tappe sono a loro volta scomponibili in sequen-
ze di operazioni solo sporadicamente documentate da specifiche fonti dantesche, la cui ricostruzione a posteriori è pertanto affidata, in massima
parte, all’interrogazione indiretta e alla divulgazione del tempo.
Basti pensare al fascino numerico e ritmico esercitato su Terragni dalla terzina dantesca35. L’organizzazione metrica del discorso versificato in
terzine di endacasillabi a rima incatenata è gravida di tensioni simbolico-numerologiche. Grazie al meccanismo dell’incatenamento ritmico
si innesta una catena potenzialmente infinita e
quanto mai adeguata alla dimensione narrativa
del poema, grazie allo schema metrico (ABA,
BCB, CDC … YZYZ), dove tutte le rime sono
ripetute tre volte, eccetto la prima e l’ultima del
canto36. Un fastidio per indagini così sottili da cui
non fu toccato il comasco, assai attento e in linea con i tempi ai dati del simbolo e del numero.
Il ritmo, come essenza costitutiva dell’architettura moderna e come parametro per una sua valutazione estetica, fa emergere tutta la consonanza tra Terragni e la musicalità del verso dantesco.
Armonie geometriche intese come trasposizioni
spaziali di armonie musicali affascinano artisti e
architetti di quel periodo.
Costruzioni letterarie e valori cromatici nel Danteum di Pietro Lingeri e Giuseppe Terragni Carlo Albarello
In quest’opera, collocata nello spazio atopico-utopico di fronte alla basilica di Massenzio vige
una rigorosa disciplina geometrica, definita in
base a quel numero d’oro, sezione aurea, rapporto armonico che, negli anni Trenta, esercitava altrettanta fascinazione su architetti e artisti. Lo testimonia il successo del Nombre d’or di
Matila Ghyka, un vademecum per architetti moderni, un tratto strutturale per controllare le diverse parti del progetto, un momento unificante
nella pluralità fenomenologica, dove ‘il numero
d’oro’ rappresentava la ragione matematica sottesa all’apparente ‘non ragione’ della materia37.
Qualcosa che, analogamente alla pittura astratta, era nell’aria e nella mente di Cesare Cattaneo, come una struttura profonda capace di dare unità alla diversità dell’esperienza, di comporre i conflitti e di mettere ordine nelle congiunture del progetto. Tale fiducia nella magia
del numero andrà in seguito sfumandosi, acquisendo un valore sempre più di tipo intellettuale
e sempre meno di tipo operativo, ma all’epoca
era ammantata dall’aura di un’affascinante trama di concordanze immanenti alla storia stessa
della civiltà e dell’arte occidentale: presenti nelle relazioni tra la gamma pitagorica e gli interco-
lunni del Partenone come nella legge del numero propria alla perfezione platonica, nei tracciati geometrici e astronomici stesi sulla pianta del
Pantheon come nella “geometria architettonica
latente” delle cattedrali gotiche e negli schemi
proporzionali “brutalmente evidenti” nelle opere di Le Corbusier38.
Così il reticolo, il telaio o se si vuole l’ordine architettonico che contraddistingue il Palazzo dei
Ricevimenti e dei Congressi, diventa una possibile impalcatura che, da un lato, dona all’immutabilità delle origini il valore della trasformazione e il dinamismo e, dall’altro, ne tramuta la sostanza effimera in modernità permanente. Basti
l’esempio della sala del Paradiso impaginata con
33 colonne di vetro che sorreggono un telaio trasparente aperto verso il cielo39. Nel Danteum il
muro e il trilite, principi della costruzione arcaica, sono assunti nella loro purezza primordiale.
La costruzione è interamente a secco: poderoso
massello di travertino bianco e blocchi di vetro.
Ma il principio costruttivo è trattato come pura
figura, come simbolo. Nulla impedisce allora di
segare i muri per far penetrare un’illuminazione
suggestiva e in una climax di intensità dall’Inferno al Paradiso – che è il regno della teologia del-
31
Relazione sul Danteum [9], in Schumacher, Il Danteum di
Terragni... cit., p. 137.
32
Nell’ordine, Relazione sul Danteum [8] e [9], ivi, p. 137.
33
Relazione sul Danteum [13], ivi, p. 139.
34
Relazione sul Danteum [21], ivi, p. 142.
35
Relazione sul Danteum [16], ivi, p. 141.
36
Un magistrale precedente in G. Contini, La forma di Dante:
il primo canto della Commedia, in Id., Postremi esercizi ed elzeviri, Torino 1998, pp. 63-82.
37
M.C. Ghyka, Le nombre d’or. Rites et Rythmes Pythagoriciens
dans le développement de la civilisation occidentale, Paris 1927;
O. Selvafolta, Giuseppe Terragni e il razionalismo comasco:
“ritmi antichi” nella modernità, in Musica e architettura… cit.,
pp. 1-35.
38
Ivi, p. 13.
39
Schumacher, Il Danteum di Terragni… cit., p. 41.
111
Costruzioni letterarie e valori cromatici nel Danteum di Pietro Lingeri e Giuseppe Terragni Carlo Albarello
Poretti, Modernismi e autarchia… cit., pp. 471-473.
Cfr. E. Gentile, Fascismo di pietra, Roma-Bari, 2008; la citazione è da B. Mussolini, Opera omnia, a cura di E. Susmel,
D. Susmel, XXVII (Dall’inaugurazione della Provincia di Littoria alla proclamazione dell’Impero: 19 dicembre 1934-9 maggio
1936), Firenze 1959, pp. 268-269.
42
“Quadrante”, 18, 1934 (da “Casabella”, 333, 1969, p. 52).
43
M. Zammerini, Progetto per il Palazzo Littorio, Torino 2002,
p. 27.
44
Per una derivazione dalle colonne vitree della Sala del Bacio di Jacopo Zanguidi detto il Bertoja è invece Schumacher,
Il Danteum di Terragni… cit., pp. 105-107; cfr. la ricostruzione
delle colonne vitree realizzate con mattoncini in Danteum con
Pietro Lingeri e Mario Sironi, in Giuseppe Terragni a Roma…
cit., p. 183. Ringrazio Alfonso Giancotti per la segnalazione.
40
41
la luce – e di affettare il colossale sistema trilitico; nulla impedisce, nell’astrazione assoluta, di
realizzare una sala ipostila in massello di travertino e un’altra sala ipostila interamente di vetro40.
Ebbene nell’astrazione assoluta delle sue forme, come un monolite collocato sui resti di un
passato modernizzato, sulla via di quell’Impero che trovava nell’erigendo quartiere dell’Eur
la più grande pietrificazione del mito fascista
della romanità e delle sue retoriche murarie, il
Danteum mantiene nelle parole, nelle pietre,
nel mito il modello di una nuova civiltà imperiale e universale, ora aleggiante “sui colli fatali di Roma” come quella romana nel mondo antico, e i tratti di un sogno irrealizzato mai uscito
dal tempo41. Sarà un po’ un’ossessione filologica
ma questione fondamentale: nel decifrare nulla
è simmetrico. Occorre attenzione, pazienza, rigore e poi, scegliere l’interpretazione: Imperium
dicasi e non più Danteum.
Una logica interna
Quando Terragni progetta il Danteum si è già cimentato con l’area di fronte alla basilica di Massenzio con i due progetti A e B per il concorso
di Palazzo Littorio del 1934, e dopo quattro anni
sembra affrancarsi da quel confronto con l’antico che aveva prodotto la soluzione A con il ‘muro incurvato’ in porfido rosso. Tale soluzione faceva presagire un setto di funzione parallela, che
consentiva a Terragni di costruire una scenografia prospettica. Ora, in una porzione di area più
ridotta, in angolo tra via Cavour e via dell’Impero posiziona un grande parallelepipedo in travertino bianco, di proporzioni auree modulate da
un’interpretazione della struttura muraria della
basilica antistante. “Un triangolaccio qualunque
[…] un’area a vanvera”, la definisce Pietro Maria Bardi nel leggere quel “bando infelice d’un
infelice urbanista”42. La quinta di ingresso per il
Danteum potrebbe, allora, essere spiegata nella
forma di uno studio percettivo, la cui strategia è
112
quella del controllo della visione del Colosseo in
presenza di un osservatore che attraversa questa
porzione di città. In questo modo ribadisce una
serie di relazioni gerarchiche con il contesto urbano circostante, che certamente rispecchiano
l’attenzione che Terragni pone al contesto dei
Fori Imperiali, non solo in riferimento quindi alla basilica di Massenzio.
In questo caso l’architetto comasco sembra accentuare con gli strumenti visivi a lui propri alcuni dettagli contenuti nel testo. L’ingresso al
Danteum segna un confronto più ravvicinato
con il viaggio della Commedia: il primo è la prospettiva della strada che mette in evidenza un angolo perfettamente ortogonale rispetto all’orizzonte, ovvero retto, che sembra visualizzare, una
volta entrati, il verso citato “ché la diritta via era
smarrita” (Inferno I, 3). Nell’interpretare la rettitudine morale con gli elementi della geometria
piana (linea e angoli retti), compie un’operazione di sofisticata traduzione da un codice all’altro
e la parola poetica attraversa un processo di elaborazione visiva, condotta con consapevole padronanza del linguaggio architettonico e intellettualismo.
Calato nell’arcipelago di forme passate, il Danteum si afferma come monumento che giganteggia isolato, immerso nel biancore della materia
classica. Terragni, sensibile al clima dell’epoca
e all’apice della sua carriera, si concentra dunque più sulle logiche interne al progetto che sulle questioni di ambientamento che avevano informato, fin nelle indicazioni cromatiche, le raccomandazioni del bando del Palazzo Littorio circa “l’armonizzarsi dei colori con gli edifici circostanti”43. La scelta della materia bianca del travertino, che ricopre tutte le superfici, l’uso classico della geometria e il tema stesso del progetto
rendono questa architettura controversa. Alla fine degli anni Trenta il dibattito sullo stile perde
vitalità e ancora non si è sviluppata una vera coscienza critica sui temi dell’archeologia, anche
T.L. Schumacher, Il Danteum di Terragni (1938), Roma
1980, p. 18 38 (fig. 3), pp. 100-101 (fig. 6) KHI: J° 9140 tp
ARK-POZZO 725.94092 TER001
Pietro Lingeri 1894-1968, a cura di C. Baglione, E. Susani,
Milano 2004, p. 143 (fig. 1), p. 142 (fig. 2), p. 263 (fig. 4),
p 92 (fig. 5), p. 140 (fig. 9), 146 (fig. 7), p. 147 (fig. 8) ARK720.92 LIN102 (anche REFERENCE) INDICE
F. Schulze, E. Windhorst, Mies van der Rohe: a Critical
Biography, Chicago 2012, p. 197 (fig. 10) ARK-720.92
MIE0046(ed. 2012) NOOOO!!nn c’è qs imagine!; ARK720.92 MIE009(ed. 1989) p. 203
se il Danteum fornisce una chiave di lettura del
sito archeologico e mette in scena un testo parallelo, una sorta di nuovo impero da porre accanto
a quello antico.
Al confine tra architettura e messinscena, la sequenza degli spazi di Inferno, Purgatorio e Paradiso è montata con una tecnica ‘cinematografica’ simile a quella con la quale Le Corbusier accompagna il visitatore di Villa Savoy lungo la promenade architecturale. Il progetto prevede una sequenza di ambienti inscritti all’interno di uno spazio rettangolare allungato, nel quale si distingueva (procedendo da sinistra a destra)
una piccola stanza rettangolare colonnata (selva oscura), la sala dell’Inferno (fig. 7), confinante con la sala della biblioteca. Da tale ambiente
poi si poteva accedere al Purgatorio (fig. 8), dalla calibrata conformazione planimetrica e infine, attraverso una scala, alla sala ‘vitrea’ del Paradiso (fig. 9).
La colonna vitrea
In Italia la metafora della ‘casa di vetro’ viene diffusa ai fini di una propaganda di regime che adopera di volta in volta gli slogan ad effetto, e Terragni, che non vede vincere il suo palazzo di vetro ideato per il secondo grado del Palazzo Lit-
torio sotto l’Aventino, progetta l’anno successivo per il Danteum una scatola chiusa, ermetica
e impenetrabile. Del resto nel Piano Regolatore dell’Esposizione Universale Marcello Piacentini presenta nell’aprile del 1937 una città moderna con edifici di vetro. Appena varcata la soglia su via dell’Impero tutto ciò che è all’esterno scompare. Dentro, nel nuovo impero creato
ad arte egli addomestica la costruzione letteraria dantesca alla machine à habiter. Fra le quinte lapidee, guida il visitatore-abitante con movimenti preordinati, lungo percorsi e stanze. Nella sala del Paradiso, la colonna, icona del classico, perde il suo valore portante e diventa fragile,
di cristallo44. Mies van der Rohe aveva già celebrato la trasparenza letterale del vetro e la sincerità della costruzione, sia nell’utilizzo dei materiali, sia nell’analitica scomposizione dell’organismo edilizio. Nel 1921 partecipa al concorso
per un grattacielo sulla Friedrichstrasse che, con
la sua pianta cristalliforme, può richiamare il sogno espressionista dell’architettura del vetro, primo di una serie di progetti mai realizzati, a cui si
aggiunge il grattacielo in vetro (1922). Ma nella totale permeabilità visiva del vetro cura nella
mostra di Berlino del 1934 Deutsches Volk-Deutsche Arbeit (Popolo Tedesco-Lavoro Tedesco),
Fig. 9 P. Lingeri, G. Terragni, Progetto per il Danteum,
1938 (Archivio Pietro Lingeri, Milano). Prospettiva della
sala del Paradiso (da Pietro Lingeri 1894-1968… cit.,
2004).
113
Costruzioni letterarie e valori cromatici nel Danteum di Pietro Lingeri e Giuseppe Terragni Carlo Albarello
Fig. 10 L. Mies van der Rohe, Lilly Reich, Allestimento
della sezione del vetro all’esposizione Deutsches VolkDeutsche Arbeit di Berlino,1934 (da Schulze, Windhorst,
Mies van der Rohe… cit., 1989).
Fig. 11 Basilica Ulpia, Roma.
F. Schulze, E. Windhorst, Mies van der Rohe: a Critical
Biography, Chicago 1989, p. 203.
46
Cfr. La città assente. La Via Alessandrina ai Fori Imperiali, a
cura di B. Toscano, Sarzana 2006.
47
Cfr. L. Barroero et al., Via dei Fori Imperiali. La zona archeologica di Roma: urbanistica, beni artistici e politica culturale,
Venezia 1983; R. Meneghini, I Fori imperiali e i mercati di Traiano. Storia e descrizione dei monumenti alla luce degli studi e
degli scavi, Roma 2010.
45
114
la sezione dedicata al vetro e minerali (Abteilungen Glas und Bergbau) con colonne vitree di forte impatto visivo (fig. 10), a confronto con quelle
progettate da Terragni45.
Se Terragni si muove in questo panorama di letture ed esempi con cui sta dialogando, il suo atteggiamento progettuale è conscio del fatto che
la qualità dell’edificio è dettata proprio dalle relazioni che esso riesce a instaurare anche con
lo spazio circostante. Punto di osservazione, distanza, percorso di avvicinamento, sono le suggestioni archeologiche della ‘via del consenso’
sulla quale da almeno un secolo si stagliavano
le colonne della basilica Ulpia, interessate nuovamente da operazioni di sterro e demolizioni,
spazio colonnato che Terragni riadattò in modo
ingegnoso, di cui possiamo testimoniare l’effettiva derivazione46. La basilica Ulpia era già stata scavata dai Francesi nell’Ottocento. Valadier
nel 1812 propone di presentare la Colonna Traiana all’estremità di un emiciclo in un piazzale ribassato che al lato opposto vede una fontana moderna senza nessun recupero dei ruderi traianei. Invece proprio nell’area della basilica Ulpia, seguendo un progetto di Pietro Bianchi del 1813 si iniziano i lavori che proseguono
dopo la restaurazione pontificia per rimettere
in luce una porzione di Roma antica47. Gli scavi nel Ventennio sembrano considerare il recupero dell’antico una priorità irrinunciabile, da
perseguire attraverso campagne di scavo per liberare il monumento. Eppure con la distruzione della Meta Sudante nel 1936 – tra il Colosseo e l’Arco di Costantino – il rapporto fra i resti dell’antica Roma e l’immagine mussoliniana della città ha compiuto il suo ciclo completo. Dall’isolamento e la valorizzazione dei resti
antichi, attraverso i quali recuperare lo spirito
dell’antica gloria, al loro uso come sfondo, alla
distruzione nel momento in cui il carattere dimesso, di struttura muraria non monumentale,
non sia più funzione dell’immagine della città
nuova (fig. 11). Roma deve fornire un’immagine completamente rivisitata come simbolo politico. Solamente l’architettura può dare questa nuova grandiosità e la sua progettazione.
Il Danteum ha una dimensione cromatica che
deriva dall’accostamento tra natura, il travertino,
e artificio, il vetro. La materia pesante del travertino estratto dalla cava è nobilitato con il lavoro,
con l’impresa umana che lo rende lastra sottile
dalle proporzioni auree. L’opera si compie nei
profili netti, bianchi contro un cielo cristallino
annunciato dalle colonne vitree azzurrine, come
mostrano i disegni a colori. Interviene così un
gioco mobile dei colori e delle trasparenze che,
amplificando il locale, lo rende pronto ad accogliere l’ineffabile divino. Gli elementi verticali
delle colonne traslucide e il reticolato orizzontale del telaio sovrapposto assieme al candore delle pareti di travertino diffondono un senso limpido di luce, allontanando le pareti in una prospettiva che aumenta lo spazio visivo della sala e
l’intensità della composizione. Si potrebbe trattare, azzardiamo, di una scenografia permanente costruita su un canovaccio, liberamente tratto dall’Alighieri. Il Dante di Terragni, che parla
per bocca di Terragni, è certo un eroe della retorica. Terragni retore, in questa scansione segnata dall’ideologia fascista, vuole collocarsi come
modello per esemplari realizzazioni monumentali. Scesa l’angusta scala al termine di questo
viaggio, superiamo nuovamente il varco stretto
della quinta e ritorniamo, dopo questa veloce incursione, nell’attuale contesto urbanistico di via
dei Fori Imperiali, le sue chiusure e le sue apparenti liberazioni, laddove si confrontano ancora
progetto e utopia.
Costruzioni letterarie e valori cromatici nel Danteum di Pietro Lingeri e Giuseppe Terragni Carlo Albarello
115
ISBN 978-88-6453-322-3
€ 14,00
Poste Italiane spa - Tassa pagata - Piego di libro
Aut. n. 072/DCB/FI1/VF del 31.03.2005
ISSN 2239-5660
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