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Haṭha-yoga & yantra-yoga: una nota preliminare

2022

Attualmente il manoscritto tibetano dell'Amṛtasiddhi è considerato la più antica fonte dell'haṭha-yoga; in realtà, la tradizione buddhista dello yoga fisico risale a un'epoca precedente quella di Virūpa. Non è stato rinvenuto nessun documento sanscrito che la attesti, ma fino all’occupazione cinese era praticata segretamente. Essa ha una fonte scritta composta dal maestro tibetano Pagor Vairocana (sec. VIII-IX), la quale fissa in versi l'insegnamento trasmesso da Hūṃkāra e Padmasambhava.

Giuseppe Baroetto Haṭha-yoga & yantra-yoga: una nota preliminare 2018 (rev. 2022) Il sistema di yoga attualmente conosciuto come haṭha-yoga deriva da interpretazioni e adattamenti moderni di fonti induiste; tuttavia, secondo James Mallinson, il maggiore studioso contemporaneo di questa tradizione, il più antico manoscritto contenente istruzioni sulle tecniche fondamentali dell’haṭha-yoga sarebbe un testo buddhista dell'XI secolo.11 Esso è stato ritrovato in Tibet e include, oltre ad una versione dell'originale sanscrito, anche la traslitterazione e la traduzione tibetana. L’insegnamento dell’Amṛtasiddhi è fatto risalire a Virūpa (Virūpākṣa), un importante maestro indiano del buddhismo vajrayāna. Il suo nome, però, compare anche nell’Haṭha-pradīpikā del XV secolo, una delle fonti del moderno haṭha-yoga induista, la quale include pure alcuni passi del suddetto testo. Com’è possibile? Dallo studio dell’Amṛtasiddhi emerge che questo insegnamento, originariamente buddhista, ad un certo punto confluì nella scuola Śaiva dei nātha, ma la fonte sanscrita fu adattata al differente contesto religioso e culturale. Di conseguenza, accadde che termini e nozioni specifici del vajrayāna vennero travisati o alterati, come si evince dal confronto tra l'edizione tibetana del testo e le posteriori edizioni indiane e nepalesi. Attualmente il manoscritto tibetano dell’Amṛtasiddhi è considerato la più antica fonte dell’haṭha-yoga; in realtà, la tradizione buddhista dello yoga fisico risale a un’epoca precedente quella di Virūpa. Non è stato rinvenuto nessun documento sanscrito che la attesti, ma fino all’occupazione cinese era praticata segretamente. Essa ha una fonte scritta composta dal maestro tibetano Pagor Vairocana (sec. VIII-IX), la quale fissa in versi l'insegnamento trasmesso da Hūṃkāra e Padmasambhava. Grazie a Chögyal Namkhai Norbu, primo divulgatore dello yoga fisico di Hūṃkāra e Padmasambhava, oggi è possibile apprendere integralmente questo antico insegnamento, che include le tecniche fondamentali del posteriore haṭha-yoga.2 Esso è conosciuto come yantra-yoga, perché nel buddhismo vajrayāna gli esercizi fisici sono chiamati in sanscrito yantra. Namkhai Norbu a sua volta l’ha definito “yoga del movimento”, in quanto ogni postura fa parte di un ciclo di movimenti. Tale definizione potrebbe far pensare che “movimento” sia il significato comune di yantra, invece è un significato derivato della traduzione tibetana che suona trülkor ('phrul 'khor), letteralmente “ruota magica”. Il senso comune di yantra e di 'phrul 'khor è “macchina”. Però, a differenza del corrispondente termine tibetano, yantra ha James Mallinson, “The Amṛtasiddhi: Haṭhayoga’s tantric Buddhist source text”, in Śaivism and the Tantric Traditions: Essays in Honour of Alexis G.J.S. Sanderson, Edited by Dominic Goodall, Shaman Hatley, Harunaga Isaacson, Srilata Raman, Leiden, Brill, 2020, pp. 409-425. Cfr. James Mallinson, Mark Singleton, Roots of Yoga, London, Penguin Classics, 2017 (trad. it. Le radici dello yoga, Roma, Ubaldini Editore, 2016). 2 Chögyal Namkhai Norbu, Yantra Yoga: the Tibetan Yoga of Movement, Ithaca, Snow Lion Publications, 2008 (trad. it. Lo yoga tibetano del movimento, Arcidosso, Shang Shung Edizioni, 2010). 1 1 anche altri significati, la cui conoscenza può aiutare a capire perché i maestri buddhisti indiani scelsero questa parola per indicare gli esercizi fisici del vajrayāna. Siccome la radice verbale yam significa “controllare” e “trattenere”, la definizione basilare di yantra potrebbe essere “uno strumento per controllare o trattenere con forza”; quindi, il termine sanscrito ha altresì i significati di “controllo”, “trattenimento” e “forza”, i quali non sono espressi dal tibetano 'phrul 'khor. Nel contesto dello yoga fisico il corpo può essere paragonato ad una macchina: essa è guidata dalla mente tramite l’energia sottile che scorre nei canali sottili laterali, solare e lunare, a causa del karma positivo e negativo. Al centro del corpo, però, c’è un canale sottile libero dalla dualità e quando l’energia vi penetra, la mente accede ad uno stato non condizionato dal karma. Quindi, l’esercizio fisico è chiamato yantra in quanto costituisce uno strumento per far entrare e trattenere “con forza” (yantreṇa) l'energia dei canali laterali nel canale centrale. Ciò è possibile grazie al controllo ritmico e coordinato dei movimenti fisici e della respirazione e, soprattutto, trattenendo il respiro mentre si mantiene stabilmente la postura con la mente concentrata. Tali implicazioni del vocabolo yantra consentono di comprendere perché l’espressione haṭha-yoga è attestata anche nella letteratura vajrayāna. Infatti, la parola haṭha,in tibetano tsentap (btsan thabs), significa “forza” o “potenza” ed è associata alla parola yoga per indicare certe discipline psicofisiche analoghe a quelle dell'antico yantra-yoga e finalizzate ugualmente a unire “con forza” (haṭhena) l’energia dei canali solare e lunare nel canale centrale. Questa spiegazione di haṭha si trova pure nelle fonti dello yoga induista, ma l'uso del termine yantra per designare gli esercizi fisici sembra specifico dello yoga buddhista. A questo punto potremmo chiederci: qual è la differenza principale tra l’haṭhayoga della tradizione induista e lo yantra-yoga divulgato da Namkhai Norbu? Chiaramente nel primo sistema non è indicato il collegamento tra le posture (āsana) e gli esercizi di respirazione (prāṇāyāma); invece, nel sistema di Hūṃkāra e Padmasambhava ogni postura richiede una determinata forma di apnea, la cui padronanza permette poi di praticare correttamente gli esercizi più avanzati. Se è così importante mantenere tutte le posture in apnea, perché queste vitali istruzioni non sono presenti anche nelle fonti induiste dell’haṭha-yoga? Ipotizzando che la trasmissione di tali istruzioni sia stata soltanto orale, dovremmo concludere che è venuta meno, oppure che è continuata segretamente. 2