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LA QUESTIONE DELL'IDENTITÁ PERSONALE IN E. HUSSERL:

2018, P.O.I. – RIVISTA DI INDAGINE FILOSOFICA E DI NUOVE PRATICHE DELLA CONOSCENZA N. 3, II/

https://doi.org/10.30443/POI2018-0021

The question of personal identity in Husserl's work: Husserl's analysis shows that the perceptual present always displays a train of retained impressions; retention motivates protention through a passive process of association, governed by essential laws of genesis. Intentionality changes over time and experience ; so we can say that intentionality is constituted by experience that pre-delineates horizons of possible experiences. In this conceptual framework the ego as an identical pole that accompanies every experience is investigated because , in constituting the object, the ego constitutes itself. Person is the conscious being in the fullest account of constitution, not just as psyche but a conscious and responsible agent living in a state of affects, emotions, etc. and as essentially embodied. Finally, the self-constitution of the ego through its own habitus is discussed focusing on the concept of monad and on Derrida's point of view. 1. Breve storia della persona n termini foucaultiani potremmo dire che il termine persona costituisce un dispositivo che articola una distinzione funzio-nale all'interno della società romana  o si è persona o si è nella di-sponibilità delle persone  e, attraverso la non aderenza della per-sona al corpo, una distinzione all'interno dello stesso individuo: si è persona fin quando, per colpa di alcune circostanze, non si diventa una cosa, mettendo il proprio corpo nella totale disponibilità di una persona, come accadeva ad un debitore insolvente. Mettendo da parte la filosofia cristiana e la distinzione ontologica che il disposi-tivo della persona comporta  si è persona nella misura in cui si riesce a padroneggiare l'altra parte, quella materiale , a noi interes-I P.O.I.-RIVISTA DI INDAGINE FILOSOFICA E DI NUOVE PRATICHE

P.O.I. – RIVISTA DI INDAGINE FILOSOFICA E DI NUOVE PRATICHE DELLA CONOSCENZA – N. 3, II/2018 ________________________________________________________ LA QUESTIONE DELL’IDENTITÁ PERSONALE IN E. HUSSERL di Mario Autieri Abstract The question of personal identity in Husserl's work: Husserl’s analysis shows that the perceptual present always displays a train of retained impressions; retention motivates protention through a passive process of association, governed by essential laws of genesis. Intentionality changes over time and experience; so we can say that intentionality is constituted by experience that predelineates horizons of possible experiences. In this conceptual framework the ego as an identical pole that accompanies every experience is investigated because, in constituting the object, the ego constitutes itself. Person is the conscious being in the fullest account of constitution, not just as psyche but a conscious and responsible agent living in a state of affects, emotions, etc. and as essentially embodied. Finally, the self-constitution of the ego through its own habitus is discussed focusing on the concept of monad and on Derrida’s point of view. Key-words: Intentionality, Ego, Person, Monad 1. Breve storia della persona I n termini foucaultiani potremmo dire che il termine persona costituisce un dispositivo che articola una distinzione funzionale all’interno della società romana  o si è persona o si è nella disponibilità delle persone  e, attraverso la non aderenza della persona al corpo, una distinzione all’interno dello stesso individuo: si è persona fin quando, per colpa di alcune circostanze, non si diventa una cosa, mettendo il proprio corpo nella totale disponibilità di una persona, come accadeva ad un debitore insolvente. Mettendo da parte la filosofia cristiana e la distinzione ontologica che il dispositivo della persona comporta  si è persona nella misura in cui si riesce a padroneggiare l’altra parte, quella materiale , a noi interes- 127 DOI 10.30443/POI2018-0021 P.O.I. – RIVISTA DI INDAGINE FILOSOFICA E DI NUOVE PRATICHE DELLA CONOSCENZA – N. 3, II/2018 ________________________________________________________ sa rilevare l’invenzione giuridica e ontologica della persona ficta1, la quale svincola completamente il concetto di persona da quello di corpo umano. Solo così possiamo capire perché Locke può definire persona colui che è capace di attribuire a sé pensieri ed azioni. In questo modo, però, invece di ricomporre la frattura propria sia del diritto romano che del cristianesimo, Locke articola la frattura su due nuovi piani non coincidenti; perché, dal suo punto di vista, una persona dovrebbe scindersi per poter vedere se stesso prima come agente e poi come oggetto di giudizio. Questa distinzione lockiana riceve un’articolata investitura metafisica da Kant, il quale attribuisce lo status di persona solo all’Io penso, alla nostra appercezione trascendentale, mentre il nostro io fenomenico, quello su cui ci fermiamo a riflettere quando, ad es., dobbiamo ricostruire una catena di azioni, è una cosa, una parte di noi che viene estromessa e su cui dobbiamo riacquistare padronanza; vediamola con le sue parole: io ho coscienza di me stesso […] nell’unità sintetica originaria dell’appercezione, non come io apparisco a me, né come io sono in me stesso, ma solo che sono. […] Per questo Io o egli o quello (la cosa), che pensa, non ci si rappresenta altro che un soggetto trascendentale dei pensieri = X, che non viene conosciuto se non per mezzo dei pensieri, […] e di cui non possiamo mai avere astrattamente il minimo concetto2. Come si evince da queste citazioni, l’atto dell’Io penso non è mai oggetto di un’esperienza interiore, visto che manca il minimo concetto; di conseguenza, se ho coscienza solo che sono, vuol dire che la forma che accompagna ogni mia rappresentazione, l’Io penso, è una forma vuota, è priva di ogni determinazione; a differenza di Cartesio, non accedo a me stesso come sostanza pensante, ma come X che è. E, come nel diritto romano, anche in Kant è il corpo che rende questa scissione interna funzionale anche al rapporto 1 Per il concetto di persona ficta vedi P. BOJANIC, “As”. Person as Corporation - Corporation as Person. What is (in)corporatio?, in «Phainomena», XXIII, 2 (2014), pp. 143-156. 2 I. KANT, Critica della ragion pura, Adelphi, Milano 1995, p. 399. 128 P.O.I. – RIVISTA DI INDAGINE FILOSOFICA E DI NUOVE PRATICHE DELLA CONOSCENZA – N. 3, II/2018 ________________________________________________________ con l’altro. Kant, infatti, quando passa ad analizzare i soggetti nella disponibilità di un padrone, riconosce anche alla moglie lo status di soggetto nelle mani del padrone tramite i suoi organi sessuali. Poiché Kant sa bene che questa caratterizzazione contrasta con la sua difesa della ragione come prerogativa universale di tutte le persone libere, finisce col trovare un compromesso che mostra tutto l’imbarazzo della contraddizione. Il compromesso consiste nel coniare l’espressione «diritto personale reale» – ricordiamo che in Kant il diritto reale si riferisce alle cose, quello personale alle persone , ovvero un ibrido che «consiste nel possedere un oggetto esterno come una cosa e nell’usarne come una persona»3; ancora una volta l’autoappropriazione diventa la dinamica per cui sono persona se riesco a possedermi come cosa, se dispongo di me come voglio, fino al punto, nel caso della moglie, di poter passare dallo status di persona a cosa con estrema disinvoltura. 2. Husserl e l’idea di Io nella modernità La prima domanda che si impone è da dove iniziare a praticare la fenomenologia; secondo Husserl l’esperienza è, nella sua ultima originarietà, percezione4, ed è in questa che noi troviamo le prime evidenze, escludendo tutto ciò che non è realmente percepito. Questo metodo, dice Husserl, è un ampliamento del metodo del dubbio cartesiano, ampliamento reso necessario dal difetto di fondo dell’impostazione del filosofo francese, ovvero la mancata esclusione delle trascendenze obiettive, in particolare la corporeità. La confusione tra fenomenologia e psicologia nasce proprio da questo, dal confondere l’evidenza della riflessione sul cogito con l’evidenza dell’esperienza psicologica di sé; infatti, anche nella sesta Ricerca Logica Husserl non manca di tornare su questo aspetto: 3 ID., Fondazione della metafisica dei costumi, in Scritti politici e di filosofia della storia e del diritto, Utet, Torino 1965, p. 452. Rimando, per questo percorso interpretativo, a R. ESPOSITO, Le persone e le cose, Einaudi, Torino 2014. 4 Cfr. E. HUSSERL, Idee per una fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica I, Einaudi, Torino 1950, p. 70. 129 P.O.I. – RIVISTA DI INDAGINE FILOSOFICA E DI NUOVE PRATICHE DELLA CONOSCENZA – N. 3, II/2018 ________________________________________________________ è una teoria molto ovvia e molto diffusa dai tempi di Locke in poi, ma anche fondamentalmente erronea quella che sostiene che […] le categorie logiche come essere e non essere, unità, pluralità […] sorgono dalla riflessione su certi atti psichici, quindi nel campo del senso interno, della ‘percezione interna’. […] Un sistema, ad esempio, è dato e può essere dato in una riunione attuale, quindi in un atto che perviene ad espressione nella forma del collegamento congiuntivo A e B e C… Ma il concetto di sistema non nasce dalla riflessione su questo atto; invece che all’atto che opera questa datità dobbiamo guardare piuttosto a ciò che esso dà, al sistema che esso porta in concreto a manifestazione, ed elevare la sua forma generale alla coscienza della generalità concettuale5. Il confronto di Husserl con la filosofia moderna, soprattutto con l’empirismo inglese, è costante e non privo di interessi anche per cogliere il suo distanziamento dalla psicologia, per molti aspetti debitrice di questa corrente filosofica. In effetti, è noto che Cartesio, nelle prime due Meditazioni, scopre il presupposto fondamentale di ogni filosofia trascendentale: l’idea di una soggettività chiusa in se stessa che può sempre, in una assoluta indubitabilità, prendere coscienza di sé. Ma sappiamo anche come le successive tre Meditazioni prendano una strada completamente diversa, con il loro riferimento a Dio per giungere alla conoscenza del mondo extrasoggettivo. Il merito di Locke è proprio quello di aver ripreso ciò che non era stato fatto da Cartesio, la tematizzazione diretta dell’ego. Senza dilungarci troppo, qual è il punto debole individuato da Husserl? Locke considera l’esistenza dei corpi come assoluta nelle loro componenti geometrico-meccaniche; queste componenti, o qualità primarie, hanno degli effetti sui nostri sensi, e di conseguenza noi abbiamo intuizioni empiriche di questi corpi, con la conseguente percezione di qualità secondarie  perché solo soggettive  come il suono, il caldo, il colore; il merito di queste qualità secondarie è quello di indicare le proprietà geometrico-meccaniche tramite leggi psico-fisiche (ad es. la percezione del suono indica la vibrazione dell’aria). Evidente, anche qui, il modello delle scienze della natura; alla base sia degli stati fisici che di quelli psichici, vi sa5 ID., Ricerche logiche, Il Saggiatore, Milano 1968, vol. II, pp. 442-444 [corsivo nel testo]. 130 P.O.I. – RIVISTA DI INDAGINE FILOSOFICA E DI NUOVE PRATICHE DELLA CONOSCENZA – N. 3, II/2018 ________________________________________________________ rebbe una sostanza sconosciuta di cui nulla si può sapere, responsabile delle azioni della natura e della trascrizione dei segni sulla tabula rasa. Il risultato è un circolo vizioso in cui si presuppone il modello delle sostanze della scienza naturale proprio quando ci si interroga sulla sua possibile validità. In tutto ciò, continua Husserl, è come se vi fosse di fronte alla coscienza qualcuno che interpreta i segni che vengono trascritti sulla nostra lavagna interna, e si presenta come sostanza inconoscibile; infatti Locke riduce l’Io al complesso dei vissuti di coscienza; e però non è affatto semplice negarlo come istanza indipendente, perché tutta la descrizione di Locke presuppone un Io come soggetto di attività, come polo identico in tutti quei vissuti che posso chiamare i miei vissuti. Questa è la contraddizione, dice Husserl, in cui si cade ogni qual volta si costruisce una psicologia che soggiace al pregiudizio naturalistico; e ciò finisce col renderci ciechi di fronte a tutto ciò che riguarda l’Io e la coscienza in quanto tale, perché siamo erroneamente indotti a trattare le sintesi di identità  quelle che appunto ci fanno parlare di cose come la mia coscienza  come delle connessioni reali. Berkeley coglie le «assurdità» implicite in Locke, confutando sia la distinzione tra qualità primarie e secondarie, quanto il passaggio dai dati sensibili immanenti alla coscienza ad una causa sostanziale esterna che produrrebbe gli effetti sui corpi: un’inferenza, osserva Berkeley, ingiustificabile. Da qui il tentativo di dispiegare la costituzione del mondo reale nella soggettività conoscitiva; solo che Berkeley, continua Husserl, resta prigioniero di un pregiudizio caratteristico di tutto l’empirismo, ovvero il fatto che solo «i momenti individuali» possono essere intuiti; ragion per cui la cosa percepita nell’evidenza è, di volta in volta, un corrispondente complesso di dati visivi, o tattili, etc.: «(Berkeley) è cieco nei confronti della coscienza della cosa come coscienza d’unità»6; chiaro che così è difficile spiegare il perdurare di un’identità personale. Berkeley, in altre parole, considera, come già Locke prima di lui, l’associazione come il principio che tiene insieme dei complessi di dati sensoriali che si presentano con una regolarità empirica; ma l’associazione è un principio psico6 ID., Storia critica delle Idee, a cura di G. Piana, Guerini, Milano 2013, p. 166. 131 P.O.I. – RIVISTA DI INDAGINE FILOSOFICA E DI NUOVE PRATICHE DELLA CONOSCENZA – N. 3, II/2018 ________________________________________________________ fisico che viene assunto come principio assoluto, quando l’unica regione assoluta dovrebbe essere la coscienza immanente; il riferimento husserliano alla «coscienza di unità» equivale a rimproverare Berkeley per non aver scoperto l’intenzionalità. Analogamente, scrive Husserl, in Hume si verifica il seguente paradosso; date certe «impressioni» come percezioni primitive e vivaci esse, fondendosi tra loro, dovrebbero darmi o una percezione attuale  mettiamo, di un colore , o il ricordo, o la semplice fantasia di un colore; in modo del tutto analogo ognuno di noi si percepisce come persona, anche se non esiste un’impressione corrispondente all’io; e tutto ciò non esprimerebbe altro che il carattere fittizio di ogni realtà in quanto prodotto dell’immaginazione che può produrre solo parvenze di realtà. Ma cosa autorizza queste distinzioni, si chiede Husserl? Il riferimento alla vivacità o alla fugacità di queste impressioni non autorizza delle distinzioni così radicali, a meno che «non si esamini l’unico grande tema dell’intenzionalità, che si sviluppa all’infinito in molteplici diramazioni»7. 3. L’intenzionalità come campo della conoscenza di sé Nelle Ricerche Logiche l’ideale della conoscenza, attraverso la percezione interna, è costituito dall’evidenza dei vissuti. La prima e fondamentale evidenza è quella connessa all’Io; eppure Husserl non considera questo punto di partenza come caratterizzato da un’esplicita determinabilità, nel senso che la rappresentazione connessa all’Io presenta una certa vaghezza concettuale. Ragion per cui, enunciati in prima persona come ‘Io odo, percepisco, etc.’ risultano allo stesso tempo un dominio assolutamente certo di quanto è connesso all’Io e, ugualmente, un vissuto in cui l’Io si confonde con la stessa sensazione. La mancata distanza tra Io e vissuto è solidale con un’immagine della temporalità  l’ora  identificata con un attimo effimero, puntuale, come il tempo della sensazione. Ovviamente Husserl sa bene che la sensazione può durare nel tempo, assumere la forma di un ricordo e, quindi, chiamare in causa l’unità del soggetto che la esperisce e la ricorda; ma questa unità, 7 Ivi, p. 180. 132 P.O.I. – RIVISTA DI INDAGINE FILOSOFICA E DI NUOVE PRATICHE DELLA CONOSCENZA – N. 3, II/2018 ________________________________________________________ proprio per quanto detto, non si distingue dai vissuti; è l’unità della connessione stessa dei vissuti e, in ultima analisi, fa affidamento su un meccanismo causale che tiene in piedi la connessione tra i vissuti. In effetti il campo d’indagine dell’intenzionalità è amplio, comprendendo tutto il campo dei significati verbali; al di fuori restano solo le indagini sulla costituzione del tempo immanente. Quando parliamo di significati verbali vogliamo dire che la comprensione delle parole  il suo significato  non è un’immagine associata alla percezione uditiva e visiva della stessa; noi non associamo due fatti psicologici  il suono e l’immagine appunto  ma nell’espressione noi miriamo ciò che pensiamo. L’unica forma di esteriorità che Husserl concede è esattamente la relazione tra il pensiero come attività e il pensato; la povertà dell’empirismo consiste nel partire dalla realtà dell’oggetto, mentre nella prospettiva husserliana l’oggetto è interno all’atto di dare un senso. Questa impostazione realizza una serie di implicazioni reciproche da verificare; se l’intenzionalità è posizione di un oggetto (il desiderato di un desiderio, il sentito di un sentimento, etc.) ne consegue che l’intenzionalità è indissolubilmente intrecciata alla rappresentazione? Ma se abbiamo associato il processo di comprensione all’evidenza, cioè ad un processo di identificazione, vuol dire che esso può anche essere indeterminato, come dotato di un senso, ma non oggettivo. Il pervenire ad una verità non implica il collegare due o tre concetti attraverso il giudizio; il modello che qui fa da riferimento è connesso alla visione, all’evidenza della percezione; anche su questo punto, però, attenzione a non restringere troppo il campo. Assumere come modello delle percezioni non significa limitare il campo della verità a dei con-tenuti materiali: «deve esserci un atto che svolge rispetto agli elementi significanti la stessa funzione assolta dalla percezione sensibile nei confronti degli elementi materiali»8. Esiste cioè un’intuizione categoriale oltre ad un’intuizione sensibile, e le due forme differiscono per il modo in cui l’oggetto viene raggiunto; il che, d’altro canto, non è da intendersi come un capriccio della coscienza. Se gli oggetti rivelano delle 8 ID., Ricerche Logiche, cit., vol. II, p. 445. 133 P.O.I. – RIVISTA DI INDAGINE FILOSOFICA E DI NUOVE PRATICHE DELLA CONOSCENZA – N. 3, II/2018 ________________________________________________________ strutture materiali e formali, vuol dire che l’intenzionalità assume forme specifiche a seconda degli oggetti: se osservo un colore, se provo una paura o percepisco una relazione, avrò differenti forme di intenzionalità e differenti intuizioni. Nel caso del colore avrò un’intuizione sensibile, ovvero l’immediata esposizione dell’oggetto allo sguardo; nel caso di un sentimento avremo una particolare forma di intensità che dovremo indagare; se percepisco una relazione –ad es. una similitudine tra due oggetti  ho un’intuizione categoriale, la quale non deriva direttamente dall’intuizione sensibile, ma si appoggia su di essa per costruire un’intenzione più generale. L’intenzionalità husserliana rivela degli aspetti decisamente originali. L’intenzionalità non è la caratteristica di una coscienza passiva che si mette in moto quando la realtà preme su di essa; al contrario, è la realtà ad essere subordinata alla coscienza come produzione di senso. Ancora una volta, però, anticipiamo una possibile lettura; questo non è un tipo di idealismo in cui tutta la realtà, comprese le forme logiche, sono costruite da noi; la produzione di senso è il modo originario in cui gli oggetti, secondo la loro struttura, vengono presi di mira dall’intenzionalità; e questo esser presi di mira ci offre un’immagine della coscienza in cui essa non è una realtà piena di contenuti psicologici che rispecchierebbero la realtà materiale, quanto un insieme di significati. Se noi abbiamo significati imperfetti, indeterminati, mutevoli, non è perché la nostra coscienza è limitata; le sue imperfezioni sono i diversi modi di accedere alle caratteristiche degli oggetti. Una coscienza che si identifica con la molteplicità dei suoi significati è una coscienza che è determinata in tutte le sue forme di identificazione, senza che nulla possa essere considerato irrilevante: ogni manifesta-zione della coscienza ha un senso. Su quanto mi viene dato dal mondo io posso certo avanzare dei dubbi, ma anche quando ho tutti gli strumenti per accedere ad un’intuizione adeguata di questo mondo, in modo da superare gli inganni della percezione, io sto pur sempre ricorrendo ad una scienza che presuppone l’esistenza del mondo a cui si applica; il mio pensiero, in altre parole, è completamente ignaro delle sintesi che l’hanno condotto a certe oggettualità e si comporta, invece, come un abituale modo di enunciare proposizioni su delle oggettualità abitualmente ammesse al commercio tra gli uomini e 134 P.O.I. – RIVISTA DI INDAGINE FILOSOFICA E DI NUOVE PRATICHE DELLA CONOSCENZA – N. 3, II/2018 ________________________________________________________ il mondo: l’atteggiamento naturale non è falso, è solo tremendamente ingenuo. Ed è questa ingenuità ad aver liquidato la coscienza attraverso la sua psicologizzazione9 e sostanzializzazione. Come se l’Io fosse un oggetto individuale e individuabile, e i contenuti di coscienza dei semplici oggetti rimpiccioliti ricavati dalla realtà. Applicare la «riduzione» significa dunque fare violenza contro la nostra naturale ingenuità, al fine di sospendere ogni tesi che contenga l’esistenza degli oggetti. Questa sospensione da un lato si esercita rilevando che la percezione del mondo presenta sempre delle anticipazioni – Io non osservo un oggetto nella sua totalità ma da punti di vista che mi fanno però presumere ciò che ancora manca alla mia percezione- ; ragion per cui l’esistenza del mondo non può essere considerata assoluta. Ma accanto a questa argomentazione, tutto sommato tradizionale, c’è un’altra direzione. Chi è che compie questa riduzione? Ovviamente un soggetto; ma non devo sospendere la tesi anche su di esso? Ora, mentre l’oggetto emerge nella continuità dei profili che si danno alla mia percezione, la corrente dei vissuti che è la mia, di colui che cogita, è corrente dei vissuti, e per quanto non venga afferrata che in ristretta misura […], appena dirigo lo sguardo sulla vita che fluisce nel suo vero presente e colgo me stesso quale puro soggetto di questa vita […], necessariamente e in maniera assoluta affermo: io sono, questo vivere è, io vivo: cogito10. Mentre una cosa spaziale, continua Husserl, può non esistere, un vissuto, invece, non può non esistere. Questo significa, e Husserl lo dice esplicitamente, che l’Io può esistere anche senza il mondo e quindi Io non devo applicare nessuna riduzione su di esso, perché assumere l’assolutezza dei vissuti non implica l’assunzione dell’io come res cogitans. Dal punto di vista husserliano la nostra libertà non consiste, a questo punto, nell’operare nel mondo e sul mondo, quanto nella possibilità di pervenire 9 Cfr. E. HUSSERL, Fenomenologia e Psicologia, a cura di A. Donise, Filema, Napoli 2003. 10 ID., Idee per una fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica I, cit., § 46, p. 111. 135 P.O.I. – RIVISTA DI INDAGINE FILOSOFICA E DI NUOVE PRATICHE DELLA CONOSCENZA – N. 3, II/2018 ________________________________________________________ all’evidenza della costituzione degli oggetti. Una volta sospesa l’evidenza degli oggetti, e una volta che ci si è concentrati sugli atti di conoscenza, l’atto ci appare come un intendere (Meinen) rivolto ad un elemento inteso (Gemeint); il suo carattere trascendentale è dato dal fatto che questa operazione di conferimento di un senso non è una necessità psicologica, ma una struttura ideale necessaria; rispetto all’illustre precedente, cioè il trascendentale kantiano, quello husserliano non conosce distinzioni tra intelletto e ragione. Quando intenziono l’Io, ciò che viene intenzionato è un’attività e il pensiero è questa stessa attività; anche se Io intenziono qualcosa di diverso dal mio pensare, il pensiero che si dirige sull’oggetto è sempre un pensiero presente a se stesso in questa attività. Dove si esplica la successione, l’identificazione, la duplicazione di questi contenuti? Esattamente nell’analisi della coscienza del tempo, a partire dall’ «impressione originaria». Husserl si accorge che le sintesi originarie del tempo avvengono nella sfera della passività e precedono, di fatto, la coscienza di queste stesse sintesi. In altri termini, solo quando l’Io è recettivo rispetto a se stesso in quanto atto che temporalizza l’appercezione, la coscienza può poi tematizzare se stessa come tempo, in virtù dell’essenziale temporalità dell’atto. Ma ciò ci induce a porre la seguente domanda: il presente si riduce alla sua fase di contenuto singolo, oppure non può prescindere da un orizzonte protenzionale e ritenzionale  disposizione verso il passato e il futuro  che ne costituisce la struttura? Quando intendo il presente in quest’ultimo modo non lo sto considerando più come impressione istantanea  frutto di un’astrazione , ma come un durare, cioè un fluire, un processo continuo; questo ovviamente apre un’ulteriore difficoltà, ovvero il fatto che la coscienza mi appare sia come un flusso che come una struttura portatrice di una forma di autoriflessione. Ora, tutto ciò che è per me è sempre nella situazione del «di fronte a»; posso avere anche me stesso in questa situazione. Nel cambiamento di vissuto, l’Io che prima era fungente  puro essere attivo , mi si pone ‘di fronte’: «la riflessione è la differenza e coincidenza dell’Io […], è perciò l’esplicitazione origi- 136 P.O.I. – RIVISTA DI INDAGINE FILOSOFICA E DI NUOVE PRATICHE DELLA CONOSCENZA – N. 3, II/2018 ________________________________________________________ naria del tempo e della temporalità»11; dunque la riflessione non produce la temporalità, ma solo la esplicita; e questo significa che la coscienza irriflessa non è esterna al tempo, perché la riflessione è sempre una possibilità attiva della coscienza irriflessa. Questa stessa distinzione appare ad Husserl il frutto di un’attività dell’Io, che si esercita su pre-datità passive  il flusso vivente  e solo in virtù di questa operazione riflessiva rendiamo oggettiva la temporalizzazione immanente. All’epoca non pochi neokantiani pensarono che, dopotutto, la questione di Husserl fosse la stessa di Kant, ma viziata da un pregiudizio empiristico  un soggetto originariamente presente a se stesso tramite un flusso di vissuti ; in realtà non è così. Come diverrà progressivamente chiaro a partire dagli anni ‘20, il problema di Husserl non è quello del criticismo. 4. La vita della coscienza: Io corporeo, Io personale In un manoscritto del 1911, facente parte delle annotazioni che Husserl conduce sul testo Motivi e motivazioni di Pfänder, si fa riferimento ad una tendenza come mero stimolo e ad una tendenza che può diventare un cogito attuale, cioè un’autentica intenzione dossica. Come esempio della prima tendenza troviamo il respiro, perché è un accadimento soggettivo nella forma di un cieco impulso; eppure lo stesso impulso, in questo caso, può diventare anche oggetto di una risoluzione intenzionale con la quale accelerare, rallentare o semplicemente ascoltare il proprio respiro. Tra questi due estremi troviamo una vasta gamma di tensioni. Se sono impegnato in un compito teoretico posso, contemporaneamente, pensare o no 11 G. BRAND, Mondo, Io e Tempo nei manoscritti inediti di Husserl, Bompiani, Milano 1960, p. 135. Brand fa notare che quando Sartre attribuisce ad Husserl l’idea della riflessione come coscienza istantanea, misconosce il fatto che per Husserl non si dà mai l’identità tra coscienza riflessa e irriflessa, perché al posto dell’io riflesso si presenta sempre e necessariamente un nuovo io anonimo e fluente: il flusso accade, non dipende da un’attività dell’io. Cosicché, il presente dell’io è nella costante disposizione verso il passato e il futuro; il che, come vedremo, mette Husserl nella necessità di sviluppare il concetto di monade. 137 P.O.I. – RIVISTA DI INDAGINE FILOSOFICA E DI NUOVE PRATICHE DELLA CONOSCENZA – N. 3, II/2018 ________________________________________________________ di assecondare la tendenza ad accendere una sigaretta. In un caso intermedio come questo, nota Husserl, la volontà di fumare è già presente anche se latente. Per questo, qui, il passaggio dall’atto latente a quello manifesto è diverso rispetto alla risoluzione dell’esempio precedente nei confronti del respiro. L’aspetto rilevante sta nel fatto che la tendenza viene assunta come dimensione della coscienza, arrivando a qualificare un tipo di intenzionalità appunto come tendenza. Ma cos’è questa intenzionalità non cosciente, non necessariamente diretta su un oggetto? Husserl riconosce nella sensibilità un’intenzionalità che è senza intreccio con una rappresentazione e comprende questa forma di intenzionalità come un sistema di impulsi (Triebsystem) originariamente sussistente. In altre parole, la coscienza è «affezione originaria»12. La funzione di questi impulsi o istinti è duplice: essi rendono possibile l’apertura del soggetto al mondo, per cui vengono denominati da Husserl «istinti diretti mondanamente» (Instinkte der Weltlichkeit); in secondo luogo, il dinamismo che impongono alla coscienza è volto al preservamento di sé da parte di quest’ultima (Selbsterhaltungs instinkte13). Ma allora come si dispiegano questi istinti? Gli istinti si dispiegano mediante i movimenti del corpo, i quali, pertanto, vanno considerati eventi intenzionali chiamati «cinestesi». Essi sono esplicazioni delle tendenze del percepire, in certo senso attività, sebbene non azioni volontarie. Cosa accade da un punto di vista noetico perché la mia intenzionalità si diriga verso qualcosa? Gli esempi più chiari ci vengono forniti nelle Lezioni sulle sintesi passive, dove Husserl si chiede esplicitamente: «quando emerge una serie di suoni come una melodia?»14. E risponde: «perché si formi un’unità sensibile debbono realizzarsi condizioni di somiglianza contenutistica e di contrasto, ma non sono sufficienti; è necessario che […] subentri un’altra forza; è necessaria una forza affettiva»15. Accade, insomma, che una melodia 12 E. PACI, Tempo e verità nella fenomenologia di Husserl, Laterza, Bari 1961, p.114. 13 Cfr. E. HUSSERL, cit. in I.A. BIANCHI, Fenomenologia della volontà. Desiderio, volontà, istinto nei manoscritti inediti di Husserl, Franco Angeli, Milano 2003, p. 157. 14 ID., Lezioni sulle Sintesi Passive, Guerini, Milano 1993, p. 209. 15 Ivi, p. 211. 138 P.O.I. – RIVISTA DI INDAGINE FILOSOFICA E DI NUOVE PRATICHE DELLA CONOSCENZA – N. 3, II/2018 ________________________________________________________ possa risuonare senza essere avvertita, fino al momento in cui un frammento mi colpisce e trascina con sé l’intera melodia; in questo caso la parte precede la manifestazione dell’intero. Dobbiamo forse considerare questa parte come indipendente dall’affezione, si chiede Husserl? In realtà, l’affezione è sempre presente e, benché la sua propagazione non contribuisca alla formazione dell’unità, tuttavia costituisce un incremento di intensità che determina il ridestarsi dell’attenzione: «un qualsiasi quid costitutivo è pre-dato se esercita uno stimolo affettivo, è dato se l’Io ha aderito allo stimolo»16. Quello che emerge nelle Analisi sulle sintesi passive, e che viene confermato anche nei testi successivi, è il concetto di predelineazione, cioè la direzione fornita all’intenzione nell’ambito di una intenzionalità fungente che la predispone a un possibile riempimento. La costituzione coscienziale degli oggetti rimanda alla costituzione di oggetti precedenti. È indubbia la centralità assunta dall’Io rispetto ad ogni ente in questo modo, e questo perché nel momento in cui cerco di risalire ai dati originari a partire dal mondo così come è costituito, non posso non ritrovare l’Io come ciò che pensa questa datità, che l’interroga, etc.; non c’è, insomma, alcuna caratteristica dell’oggetto che possa essere considerata senza un riferimento al soggetto. In che modo riesco a cogliere all’opera questo necessario ancoraggio al soggetto? È attraverso la sensibilità. In una serie di testi classificati (M III 3 II), di cui Langrebe ha tenuto conto nell’introduzione ad Esperienza e Giudizio17, Husserl prende in considerazione alcune particolari situazioni. Mettiamo il caso in cui io stia mangiando diverse parti di un dolce, e che ne riceva sensazioni di estrema gradevolezza; ad un certo punto, però, subentra un senso di sgradevolezza, come esito finale di una serie cospicua di pezzi dello stesso dolce; cosa è successo? È successo che il sentimento riferito al pezzo di dolce ha cambiato verso al termine della serie dei pezzi; ma se il primo pezzo procurava sentimenti gradevoli, cioè era lo stesso oggetto a suscitare determinati sentimenti di sensazione, non è possibile che sia lo stesso oggetto a causare poi sentimenti sgradevoli; dobbiamo ipotizzare, dice Husserl, sentimenti 16 17 Ivi, p. 220. E. HUSSERL, Esperienza e Giudizio, Bompiani, Milano 1995, pp.29-36. 139 P.O.I. – RIVISTA DI INDAGINE FILOSOFICA E DI NUOVE PRATICHE DELLA CONOSCENZA – N. 3, II/2018 ________________________________________________________ sensibili intenzionali, dove ad un certo «ritmo» della tendenza affettiva subentra un altro «ritmo» rivolto sempre verso il dolce. Un altro esempio considerato è quello dell’umore (Stimmung); se mi accade qualcosa di positivo  ad es. vedere un film che mi piace  succede che la sensazione piacevole mostri la capacità di propagarsi, colorando di sé altre sensazioni che, in altri momenti, sarebbero risultate sgradevoli, indifferenti, etc. Ma se una situazione sarebbe dovuta risultare sgradevole, e invece io la trovo addirittura divertente in virtù del mio umore felice, non posso certo dire che sia l’oggetto a suscitare questi sentimenti contrastanti; devo concludere che anche l’umore è intenzionale. Husserl sta dicendo, cioè, che esistono forme di intenzionalità affettive, non dirette oggettualmente  infatti, nel caso dell’umore, si suole dire ‘non so perché mi sento così’ , ovvero non supportate da una rappresentazione; ed è proprio per queste forme di intenzionalità che Husserl parla di «sistema di impulsi» di carattere originario; la vita della coscienza, nella sua essenza, è questa capacità di affezione originaria. In altre parole, la vita della coscienza appare ad Husserl come uno strato di sedimenti, alla cui base ci sono queste formazioni istintuali passive, e al cui vertice ci sono le formazioni coscienziali propriamente dette. Sono gli stessi istinti che, dotati di una precisa intenzionalità, si direzionano verso il livello logico-predicativo a partire da questa originaria condizione ante-predicativa. Su questo versante intervengono le cinestesi corporee. Come Husserl chiarisce nel § 76 di Esperienza e giudizio18, il corpo, anche senza alcuna consapevolezza, è sempre implicato in possibili movimenti di organi a cui corrispondono modificazioni del sistema di apparizione tattile, visivo, etc. È questa costitutiva attività a fare del nostro Korper qualcosa in rapporto cinestetico col mondo e, dunque, originariamente implicato in atti di costituzione; non esiste dato hyletico grezzo, poiché la possibilità stessa di un mondo di oggetti è una formazione egoica19. 18 Ivi., p.278 Cfr. J.-L. PETIT, La spazialità originaria del corpo proprio. Fenomenologia e Neuroscienze, in Neurofenomenologia. Le scienze della mente e l’esperienza cosciente; a cura di M. Cappuccio, Mondadori, Milano 2006, p. 169: «Husserl ha reinterpretato l’esperienza del corpo proprio come quella dell’intervento dell’io nel 19 140 P.O.I. – RIVISTA DI INDAGINE FILOSOFICA E DI NUOVE PRATICHE DELLA CONOSCENZA – N. 3, II/2018 ________________________________________________________ Fondamentale risulta, a tal fine, la considerazione che Husserl matura attorno all’idea di «polo egologico». Se, in conformità a quanto stabilito in Idee I20, Husserl ha concepito per molti anni l’Io come uno statico centro di irradiazione di atti che permane identico pur nella continuità dei vissuti, nel momento in cui si sofferma, come già accennato, sulla dimensione pre-predicativa della conoscenza, l’Io comincia ad essere valutato come la funzione di continuità che, mediante forme non oggettuali di intenzionalità, conduce dai «profili delle cose» alla determinazione predicativa dello «stato di cose», ossia allo sviluppo di quegli impulsi tendenziali della volontà verso la datità completa dell’oggetto; così Husserl focalizza il passaggio dalle oggettività ricettivamente date alle oggettività dell’intelletto: il fare dell’Io che motiva il flusso dei complessi molteplici di dati sensoriali può essere completamente involontario; i flussi si racchiudono anche passivamente in unità, senza che arrechi differenza il fatto che l’io si volga a ciò che in essi appare mediante una prensione ricettiva oppure no. In certo modo l’oggetto c’è anche così […]. Al contrario, l’oggettività dell’intelletto o lo stato di cose non può costituirsi se non essenzialmente nel fare spontaneamente produttivo e cioè a condizione di una compresenza dell’io. Se questa non ha luogo, si resta tutt’al più all’oggetto ricettivamente costituito che rimane nel campo come percepibile, ma nulla di nuovo si costituisce sulla base dell’oggetto21. Quello che Husserl chiama «Io personale», su cui a breve torneremo, si costituisce, appunto, attraverso la comprensione di sé e mette in atto, dunque, uno sdoppiamento, nel senso che il sé può diventare una «datità assoluta» solo sotto lo sguardo puro del pensiero; ovvero, di fronte ai tanti vissuti, «l’Io puro» non cambia mai. Questo non vuol dire che esso sia una puntualità cristallizzata, ma che è la perenne sedimentazione di una serie di habitus nelle forme mondo. Essendosi la concezione tradizionale delle cinestesie  ‘sensazioni di movimento’  rivelata incompatibile con questa interpretazione, egli ha osato ricollegare le sinestesie alla volontà, e ha cominciato a ripensarle sotto la categoria della praxis» [corsivo nel testo]. 20 Cfr. nota 10 21 E. HUSSERL, Esperienza e Giudizio, Bompiani, Milano 1995, pp. 229-230. 141 P.O.I. – RIVISTA DI INDAGINE FILOSOFICA E DI NUOVE PRATICHE DELLA CONOSCENZA – N. 3, II/2018 ________________________________________________________ dispiegate dalla struttura del tempo immanente alla coscienza, in modo tale, cioè, che Io possa sempre riconoscermi; l’unità del flusso temporale è la stessa unità dell’Io. 5. Dalla persona alla monade L’Io privo di qualità del flusso di coscienza, il primo ad affacciarsi nell’analisi fenomenologica, realizza solo il primo strato di un complesso che vede avvicendarsi un Io corporeo, psichico e infine spirituale, a cui è associato il tratto distintivo dell’essere umano: compiere atti liberi, cioè avere la capacità, accompagnando il flusso di coscienza, di deviare il corso dei vissuti verso altre possibilità presenti all’interno dell’esperienza. In altre parole, l’Io personale fa esperienza di sé prendendosi di mira, mostrandosi come un complesso di disposizioni che tendono a realizzare un’unità nel flusso di coscienza: Io sono il soggetto della mia vita, e vivendo il soggetto si sviluppa; primariamente, esso non esperisce se stesso, bensì costituisce oggetti naturali, cose di valore, strumenti, ecc. […]. L’Io si esercita, si abitua, nel comportamento successivo è determinato da quello precedente, la forza di certi motivi si accresce. L’Io conquista certe capacità, si pone certi scopi, e raggiungendo questi scopi attinge certe facoltà pratiche22. Questa unità si realizza nella figura dello «spettatore» che diviene consapevole delle pulsioni, delle inclinazioni caratterologiche, cioè di un habitus riconoscibile nei suoi modi di comportamento. E quando «prendo posizione» come soggetto di volontà, lo faccio sulla base di un ordine immanente di leggi, una forma di psichicità che Husserl chiama «sensibile» e «passiva», perché per poter essere motivato a i vissuti motivanti devono già poter agire così come essi si sono tra loro associati23. Esattamente, quali sono i rapporti tra questi strati? Originariamente, dice Husserl, sono il soggetto della mia 22 E. HUSSERL, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica. Libro secondo. Ricerche fenomenologiche sopra la costituzione, Einaudi, Torino 2002, pp. 253-254. 23 Ivi, pp. 272-279. 142 P.O.I. – RIVISTA DI INDAGINE FILOSOFICA E DI NUOVE PRATICHE DELLA CONOSCENZA – N. 3, II/2018 ________________________________________________________ vita, ma non sono oggetto per me stesso, quanto un soggetto che si sviluppa costituendo cose, strumenti, plasmando un mondo circostante, fin quando non comincio a conoscermi, a fare esperienza di me stesso in modo che certi insiemi di attività diventano scopi e con essi le facoltà corrispondenti, animato da un continuo esercizio di «autoconservazione»24. Quella che qui Husserl sta descrivendo è una forma di intenzionalità che non è solo coscienza di qualcosa, ma chiama in causa «un mondo posto con un suo particolare statuto di senso attraverso i vissuti intenzionali del soggetto stesso»25; ed è qualcosa che fa esplicito riferimento alla capacità di andare oltre la realtà attuale. In altre parole l’Io può scegliere, non solo abbandonarsi alla spontaneità dei vissuti, ma scegliere a quale decorso cinestetico abbandonarsi26, quale schema di esperienza adottare; in questo modo Io dispongo di me stesso al fine di rendere attuali dei mondi in cui si dispiegheranno determinati orizzonti inclusi nelle mie intenzioni pratiche non ancora realizzate. Husserl sembra dire che la vera libertà27 consiste non solo nel non farsi trascinare da alcun tipo di tendenza, ma scegliendo sempre in rapporto agli orizzonti di senso che le mie azioni manifesteranno. L’Io persona si riconosce, dunque, perché tutte le sue tendenze comportamentali sono sempre razionalmente motivate; il che implica che Io, spirito agente, posso riappropriarmi della mia vita nel corso di ogni rammemorazione. La continua riproposizione di certi valori rende la persona un’unità che non si limita ad autoconservarsi come corpovivo, ma si trascende nell’affermazione di un mondo che non coin24 Ivi, p. 254. Ivi, p. 190. 26 «L’essere sovrappensiero, oppure l’essere impegnato in qualche riflessione e imboccare passivamente la ‘solita strada’, senza che vi sia una scelta, senza una decisione volontaria diretta in modo particolare a ciò. Ma allo stesso tempo non contro la mia volontà, piuttosto nel senso di un’introduzione [ad essa]. […] Quindi non involontariamente, non senza una struttura volontaria. Ma si tratta di Willenspassivitä»; ancora: «L’agire conseguente è preceduto da una forma inferiore di volontà, una volontà passiva [Willenspassivität] in confronto all’attività dell’‘io voglio’»; E. HUSSERL, cit. in M. UBIALI, La fenomenologia del volere. Husserl, Pfänder e Geiger, «Lebenswelt», 2, 2012, p.75. 27 E. HUSSERL, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica. Libro secondo, cit., p. 273. 25 143 P.O.I. – RIVISTA DI INDAGINE FILOSOFICA E DI NUOVE PRATICHE DELLA CONOSCENZA – N. 3, II/2018 ________________________________________________________ cide con quello esistente. La questione per noi decisiva, a questo punto, è la seguente; se l’Io giunge al suo sviluppo massimo nella forma dell’autocoscienza rammemorante, nei precedenti stadi di sviluppo cosa assicura l’unità dei vissuti in quanto identità di un Io? Non possiamo dire che l’Io sia un semplice prodotto del flusso di coscienza, perché questo significherebbe che l’identità dura l’attualità del vissuto che riesce a dire Io. Se l’Io non è un polo vuoto, vuol dire che quando mi colgo in maniera apodittica, proprio perché non coincido con alcun vissuto in particolare, sono indotto a riappropriarmi della genesi di questa costituzione. Giunto a questo punto Husserl, però, insiste sempre più su un nuovo concetto che permette, appunto, di dare fenomenologicamente ragione dell’Unità temporale dell’Io: Io sono numericamente uno anche quando penso, da adulto, alla mia infanzia; com’è possibile? Nel § 27 di Idee II Husserl ci dice che tutti gli atti sono attuali, anche quelli latenti; solo che non sono al centro della coscienza, e questo li rende incompiuti: L’Io puro deve poter accompagnare tutte le mie rappresentazioni. Questa proposizione kantiana ha un senso se per rappresentazioni intendiamo la coscienza oscura. Per principio l’Io puro può penetrare e vivere entro tutti i vissuti intenzionali incompiuti (inconsci in un senso particolare, assopiti). Inoltre può gettare la luce della coscienza desta su quelli che sono sprofondati verso lo sfondo, che non vengono più attuati; l’Io agisce soltanto nell’attuazione, nelle vere e proprie cogitationes. Ma può inviare il suo sguardo verso tutto ciò che il raggio della funzione dell’Io può investire28. Ma come può l’Io essere un riferimento di vissuti non compiuti? È proprio il concetto di «monade» che risolve questa questione. Nel 1908 il filosofo aveva introdotto il concetto di monade, divenuto operativo a cavallo degli anni venti, in virtù dell’esigenza di reimpostare il problema della soggettività costituente; Io e coscienza hanno ormai un valore metaforico in quanto inadeguati a esprimere l’autocostituzione del flusso, la sua concretezza e genesi 28 Ivi, p. 113. 144 P.O.I. – RIVISTA DI INDAGINE FILOSOFICA E DI NUOVE PRATICHE DELLA CONOSCENZA – N. 3, II/2018 ________________________________________________________ spontanea. Husserl ci dice che solo la monade riesce a esprimere l’unificazione dei flussi in un’unica struttura genetica: la monade è un essere semplice, non spezzettabile, è ciò che è in quanto continuamente diveniente nel tempo, e tutto ciò che le appartiene è in un punto qualsiasi di questo divenire continuo e ha il suo essere come pienezza temporale in questo tempo immanente riempito, e non è nulla per sé, perché tale riempimento è continuo ed è riferito a uno stesso identico io polo29. La monade viene ad essere il campo dell’Io; ora, se quest’ultimo ha una vita solo nel contesto dei correlati intenzionali in cui si colloca, vuol dire che, tenendo insieme monade e sintesi passive, c’è anche quando non si manifesta, e a variare sono solo le intensità delle affezioni capaci di destarlo e il grado di sviluppo della monade; tutto è immanente alla monade che Io sono, in un senso per cui ogni elemento immanente è individuale ma non indipendente; ad avere quest’ultimo carattere è solo la monade. Poiché sappiamo che l’Io-sono non è un’evidenza eidetica, ma un fatto, vuol dire che esso ha la possibilità di trascendere un orizzonte temporale per attivare altre possibili conformazioni del contesto stesso, costruendo un’immagine concordante del sistema dei vissuti che lo attraversa; ed è proprio la costruzione di questa immagine che definisce il telos della monade e la definizione dell’Io come persona capace di scegliere quali vissuti assecondare: «come esito dell’esperienza, dapprima soggettiva e poi intersoggettiva, abbiamo sempre un’unità di molteplicità»30. 6. L’obiezione Derrida: solo tracce dell’Io Il discorso condotto da Husserl fin qui presenta alcune questioni inaggirabili. La questione che tenteremo di analizzare porta la firma di Derrida; attraverso La voce e il fenomeno il filosofo francese ci mostra come la delimitazione del campo intenzionale della pre29 ID., Metodo statico e genetico, Il Saggiatore, Milano 2003, p .67. ID., Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica. Libro secondo, cit., p. 494. 30 145 P.O.I. – RIVISTA DI INDAGINE FILOSOFICA E DI NUOVE PRATICHE DELLA CONOSCENZA – N. 3, II/2018 ________________________________________________________ senza e del presente, così come la possibilità di ottenere una presenza immediata, mettono Husserl di fronte a dei fenomeni non riducibili all’interiorità e alla presenza. Eppure lo sforzo di Husserl è proprio quello di chi reputa necessario dimostrare come il significato sia qualcosa di sempre presente, disponibile ad uno sguardo che sappia cogliere nel segno la distinzione tra indice ed espressione o tra comunicazione ed espressione. Per segni indicativi si intende un tipo di oggetti empirici o stati di cose il cui sussistere rimanda al sussistere di altri oggetti o stati di cose. Un segno significativo, invece, non necessita di fungere in questo modo; ad esso compete solo significare qualcosa in senso pregnante, anche se, all’interno di un discorso comunicativo, può anche indicare qualcosa. Prendendo in considerazione solo i segni significativi  o espressioni , noi distingueremo, dal lato oggettivo, tra segno e designato, e dal lato soggettivo tra la parte fisica dell’espressione (complesso fonetico) e parte psichica (cioè i vissuti psichici). Prendere in considerazione solo le espressioni autentiche significa prescindere dalla comunicazione e dai rapporti tra parlante e ciò di cui si discorre; cioè significa riferirsi, in modo paradigmatico, al pensare e al parlare solitari. Perché proprio il pensare e il parlare solitari? Perché da un punto di vista fenomenologico le relazioni significanti facenti riferimento all’indice e all’espressione non si trovano mai isolate l’una dall’altra: «il voler dire nel discorso comunicativo si trova sempre intrecciato in un certo rapporto con l’essere indice»31. A partire da quest’intreccio Husserl vuole elaborare la possibilità di una separazione d’essenza tra queste due funzioni. Se ciò non fosse possibile in base all’intreccio tra indice ed espressione, dovremmo concludere sull’assimilazione della parola al gesto, che è esattamente quanto Husserl vuole scongiurare, dimostrando l’estraneità dell’espressione alla specie dell’indicazione. Poiché è proprio nel discorso comunicativo che, secondo Husserl, espressione ed essere indice si trovano concatenati, dobbiamo risalire ad un linguaggio senza comunicazione, «alla vita solitaria dell’anima»32. L’intenzione di un soggetto che anima il segno si 31 32 ID., Ricerche Logiche, vol. I, cit., p. 291. J. DERRIDA, La voce e il fenomeno, Jaca Book, Milano 2010, p.64 146 P.O.I. – RIVISTA DI INDAGINE FILOSOFICA E DI NUOVE PRATICHE DELLA CONOSCENZA – N. 3, II/2018 ________________________________________________________ scontra, nel caso dell’indicazione, con la fisicità tanto del segno, quanto dell’indicato che esiste nel mondo, mentre nell’espressione l’intenzione mira un segno senza corpo (la voce interiore) e l’espresso è una idealità che non esiste nel mondo. L’espressione sembra procedere secondo il binario intenzionalità/coscienza volontaria, visto che dall’espressione sono esclusi «il gioco mimico e i gesti con i quali involontariamente […] accompagniamo il nostro discorrere»33. L’idealità, qui, è sinonimo della purezza dell’intenzionalità e dell’espressione; l’assenza della comunicazione, infatti, scongiura la presenza dell’indice  e quindi della realtà  perché non essendo presente il vissuto altrui, la cui assenza alla nostra intuizione originaria rende necessaria l’indicazione, l’espressione «sarà presente ad un’intuizione o ad una percezione interna»34. Ogni volta che la presenza piena è sottratta alla «percezione interna» noi non abbiamo un «essere vissuto», ma solo un «essere presupposto». L’espressività è dunque associata alla presenza immediata di un contenuto significato. Vivere nel significato, come dice Husserl, significa mirare al significato come unità ideale, senza alcun riferimento «all’avvenimento fisico del linguaggio»35. Nel pensare e nel parlare interiori si compie un flusso di rappresentazioni fantastiche, ma ai complessi fonetici in questo modo fantasticati non è assegnato alcun riferimento al mondo reale36. Tra la coscienza del complesso fonetico, o del segno scritto, e la coscienza del significato vi è una differenza fenomenologica; nel seguire con lo sguardo i segni scritti abbiamo di mira qualcosa di completamente diverso: le oggettualità del significato. Sulla parola «grava la tendenza» a dirigere la nostra attenzione all’oggettualità significata: «essa distoglie lo sguardo da sé»37. Qual è l’essere dell’idealità? Non è quello dell’esistenza sensibile, abbiamo visto; il suo essere è legato 33 E. HUSSERL, Ricerche Logiche, vol. I, cit., p. 298. J. DERRIDA, La voce e il fenomeno, cit., p. 72. 35 Ivi, p. 73. 36 Cfr. ivi, pp. 75-76: «dei segni non esistenti mostrano dei significati (bedeutungen) ideali, dunque non esistenti, e certi, perché presenti all’intuizione». 37 E. HUSSERL, La teoria del significato, Bompiani, Milano 2008, p. 205 34 147 P.O.I. – RIVISTA DI INDAGINE FILOSOFICA E DI NUOVE PRATICHE DELLA CONOSCENZA – N. 3, II/2018 ________________________________________________________ alla possibilità di rappresentazioni che si legano in vista di relazioni di identità38. Husserl si trova fin qui ad operare su più livelli. Innanzitutto, considerando il monologo, egli ha detto che in questo caso non ci si comunica nulla, non si fa altro che rappresentare se stessi come persone che parlano e che comunicano. Il che fa pensare alla comunicazione comune come alla circostanza in cui la rappresentazione non interviene in maniera essenziale. Ma Derrida fa notare che questa separazione tra rappresentazione e realtà non regge perché «un fonema o un grafema è sempre necessariamente altro, in una certa misura, ogni volta che si presenta in un’operazione o una percezione, ma può funzionare come segno o linguaggio soltanto se un’identità formale permette di riprenderlo e di riconoscerlo»39. La dinamica husserliana dell’espressione presente all’intuizione riceve nelle Idee I una precisa formulazione nei termini di «un vissuto presentemente vissuto»40; in questo modo l’essere come presenza viene a coincidere con la forma generale della prossimità ad una sguardo presente alla presenza di turno. Su questo aspetto Derrida fa incrociare il vissuto come originaria intenzione di significato e la genesi di ogni produzione, compresa quella dell’atto significante. L’idealità ha sempre la forma dell’oggetto preso di mira dall’atto di ripetizione; a sua volta la ripetizione, come decorso temporale, ha sempre un inizio, un «ora» da cui partire. Se la struttura del segno è originariamente ripetitiva, allora, nota Derrida, «la presenza del presente deriva dalla ripetizione e non il contrario»41: la presentazione, 38 Ivi, p. 261: «in ogni giudizio non è presente nient’altro che una certa rappresentazione in esso manifestantesi, e nel migliore dei casi, una seconda rappresentazione di contenuto diverso che si lega a essa nella sintesi di identità». Su questo aspetto ha insistito anche J.F. LYOTARD: Economia libidinale, Pgreco, Milano 2012, p. 60: «l’Io si costituisce in questa relazione di segno allo stesso tempo come destinatario e come decifratore e inventore di codici. Qui la ricettività non è che il momento costitutivo indispensabile dell’autoattività». 39 J. DERRIDA, La voce e il fenomeno, cit., p. 83. 40 E. HUSSERL, Idee per una fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica I, cit., p. 243. 41 J. DERRIDA, La voce e il fenomeno, cit., p. 85. 148 P.O.I. – RIVISTA DI INDAGINE FILOSOFICA E DI NUOVE PRATICHE DELLA CONOSCENZA – N. 3, II/2018 ________________________________________________________ la rappresentazione (sia quest’ultima quella del semiologo, quella dello psicologo etc.), non hanno il privilegio dell’unità, come vorrebbe Husserl. Su questa base Derrida opera l’assimilazione tra la necessità del segno e la necessità della ritenzione; perché proprio la ritenzione? Perché Husserl è costretto ad un’estensione della sfera dell’originarietà per salvaguardare la continuità del flusso temporale. Derrida fa notare che nel § 35 delle Lezioni sul tempo42 Husserl sostiene che non bisogna rappresentarsi il flusso come se ogni sua fase si estendesse in identità con se stessa. E, nonostante ciò, continua il filosofo francese, nel § 78 del primo libro di Idee si parla di validità assoluta della percezione e della ritenzione: «in tutte queste direzioni, la presenza del presente è pensata a partire dalla piega del ritorno, dal movimento della ripetizione, e non il contrario»43. Questo comporta conseguenze non in linea con le distinzioni husserliane; il primato fenomenologico del discorso interiore si basava sull’inutilità del segno nel rapporto a sé, visto che nel monologo ci sono rappresentazioni fantastiche e non comunicazioni effettive. Ma il costitutivo intreccio presenza/non presenza visto all’opera rende vano ogni tentativo di fare a meno dell’indice, perché la semplicità del presente è inattingibile visto il ruolo della ripetizione; e però è esattamente quello che Husserl si sforza di circoscrivere. Il primato della voce interiore si spiega esattamente in questo contesto. La voce, dice Derrida, è l’unico medium capace di preservare la presenza dell’oggetto ideale, in virtù del fatto che parlare implica ascoltarsi; non è certo il fatto di costituire un’auto-affezione a rendere peculiare questo fenomeno. La peculiarità della voce rispetto ad altre auto-affezioni descritte da Husserl  le due mani che si toccano  è che essa è pura: «le mie parole sono vive perché sembrano non lasciarmi: non cadere fuori di me, fuori dal mio respiro»44; in altre parole, qui non c’è esteriorità, mondo, come invece accade nel caso delle mani. L’espressione è «improduttiva» e «riflettente» proprio perché, secondo Husserl, qui non c’è scarto tra si42 E. HUSSERL, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, Angeli, Milano 1981. 43 J. DERRIDA, La voce e il fenomeno, cit., p. 104. 44 Ivi, p. 114. 149 P.O.I. – RIVISTA DI INDAGINE FILOSOFICA E DI NUOVE PRATICHE DELLA CONOSCENZA – N. 3, II/2018 ________________________________________________________ gnificante e significato. Abbiamo detto, però, che l’idealità non è fuori dal tempo; il suo essere è legato alla ripetizione senza limiti e poiché il movimento della temporalizzazione ha sempre una sorgente e quest’ultima è “genesi originaria”, noi possiamo parlare, secondo Husserl, solo nella temporalità costituita e non costituente. Il problema, nota Derrida, è che «si è sempre già deviato nella metafora ontica […]. Il presente vivente sgorga a partire dalla sua non identità a sé e dalla possibilità della traccia ritenzionale. […]. Il sé del presente vivente è originariamente una traccia»45. 45 Ivi, pp. 123-124. 150