16/7/2019
La partecipazione dei lavoratori nell'era del digital work | Salvis Juribus
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La partecipazione dei lavoratori nell’era del digital work
Pubblicato 24 minutes ago | by Marina Capobianco | in Lavoro
LA
PARTECIPAZI
ONE DEI
LAVORATORI
NELL’ERA DEL DIGITAL WORK
Sommario: 1. Fordismo, post-fordismo e nuova organizzazione del lavoro – 2.
Il digital work come chiave di volta per lo sviluppo del modello partecipativo?
– 3. Ildidibattito
italiano
– 4. Spunti
di riflessione
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1. Fordismo, post-fordismo e nuova organizzazione del lavoro
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Per quasi tutta la metà del secolo scorso, il modello economicoproduttivo dominante è stato quello dell’organizzazione
scientifica del lavoro (Scientific Management Organization 1 ) o
“taylorismo” al quale è affiancato il paradigma del “fordismo” 2 .
Questo modello fonda il proprio successo sull’accentramento dei
poteri di controllo e gestione, sulla rigida ripartizione di funzioni
secondo una gerarchia e regole prestabilite, routine e prassi
consolidate per perseguire l’efficienza e la massima produttività
con la logica del salario adeguato al rendimento 3 .
Con il fordismo si apre una nuova fase nell’organizzazione del
lavoro in fabbrica: l’automazione, l’introduzione di forme di
partecipazione dei lavoratori ai risultati d’azienda, i salari più
elevati e la previsione di un orario di lavoro minimo unitamente
alla nascita della produzione di massa i quali rompono lo schema
organizzativo del periodo precedente 4 .
Il modello fordista entra in crisi quando si affermano sullo
scenario nazionale e internazionale alcuni fattori di complessità
e di incertezza a livello competitivo ai quali, conseguentemente,
si affianca la nascita di nuove figure professionali e, con essa,
una forte diversificazione del lavoro (la c.d. “società dei
lavori”) 5 .
Il capitalismo “maturo” modifica le forme del lavoro
aumentando la flessibilità del lavoro a causa di una più accesa
competizione globale. Ciò conduce verso una “pluralizzazione
del lavoro” per cui la struttura del mercato tende a
“frammentarsi” 6 .
Da un lato, si assiste all’ampliamento delle professioni con
frazionamento delle carriere che sono “discontinue” 7 ; dall’altro,
si amplifica il disincontro tra domanda e offerta di per
l’inadeguatezza dei tradizionali canali di selezione delle risorse
umane. Il risvolto più immediato è la deregolazione del mercato
del lavoro 8 .
Il modello fordista, caratterizzato dal forte incremento di
produttività del lavoro, da efficace sistema di regolazione delle
relazioni industriali e di contenimento del conflitto capitalelavoro, cede il passo ad altri modelli basati sull’intensificazione
della competitività a livello globale, la diversificazione dei
prodotti, il cambiamento delle forme di consumismo ed il
progressivo abbandono della logica del one best way 9 .
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Nasce da questi e Informativa
elementi sui
il Cookie
“post-fordismo”
l’imperativo per la sopravvivenza delle aziende consiste
nell’assicurare flessibilità, snellezza e capacità di adattamento al
contesto esterno, soggetto a continue variazioni. In questo
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modello (inizialmente definito “toyotismo” 11 ) muta la logica
sottostante alle scelte aziendali (che non è più quella della mera
massimizzazione dei profitti e l’orientamento ai volumi) e alle
tecniche organizzative (che non è più legata alla rigidità del
lavoro) 12 .
La maggiore competitività dell’azienda dipende, in parte, dalla
riduzione dei costi (secondo la logica giapponese
dell’eliminazione degli sprechi) e, in parte, dell’adattamento
dell’offerta alla domanda secondo una relazione “invertita” 13 .
Queste
trasformazioni
hanno
avuto
un
impatto
sull’organizzazione del lavoro: la tendenza è stata quella di “desizare” le imprese vale a dire abbandonare il paradigma della
grande dimensione verso forme organizzative più piccole (“small
is better” 14 ) e di creare di reti di imprese, integrate e fortemente
orientate all’eccellenza produttiva e alla professionalità 15 .
La grande impresa capitalistica ha cercato di adattarsi al nuovo
scenario decentrando parte della propria catena del valore presso
Paesi a basso costo del lavoro, creando imprese di minori
dimensioni e localizzandosi in aree meno evolute per sfruttare le
economie da agglomerazione 16 .
Oltre alla riduzione dei costi del lavoro, l’outsourcing ha
permesso alle imprese di impiegare forme di lavoro specializzato
il quale, unitamente alla diversificazione della domanda e a una
maggiore flessibilità del capitale, ha fatto emergere, prima, il
modello della “specializzazione flessibile” e, dopo, quello della
fabbrica “modulare”, tipico delle grandi companies del settore
automobilistico 17 .
Un punto critico è rappresentato dalla difficile conciliazione tra
variabilità della domanda e stabilità del lavoro: il post-fordismo
è considerato come «fine dell’egemonia del lavoro salariato» 18
verso forme di lavoro autonomo in cui la maggiore elasticità
della prestazione lavorativa e delle condizioni di lavoro deriva
dalla nascita di nuovi lavori.
La maggiore flessibilità organizzativa ha imposto – oltre al
cambiamento “quantitativo” legato alla riduzione della forza
lavoro a causa della tecnologia – un cambiamento “qualitativo”
legato all’abbattimento delle tutele dei lavoratori 19 , alla
progressiva sostituzione del lavoro atipico al tradizionale posto
fisso cui corrispondono, però, forme di alienazione nel lavoro 20 .
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Per altri versi, il post-fordismo
è Cookie
stato definito
che assume il fordismo dopo la fine dello sviluppo» 21 e cioè
quale modello caratterizzato da alta intensità di flessibilità volto
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a recuperare produttività e velocizzare la crescita economica. La
flessibilità se, da un lato, tende a indebolire la forza contrattuale
del lavoratore 22 , dall’altro, valorizza il lavoro riducendo le
routine legate al contratto a tempo indeterminato.
Ancora, il post-fordismo è stato definito quale «riclassificazione
dell’antico conflitto sociale in forma di competizione
territoriale» 23 per l’assenza di confini tra aziende e lavoratori.
La territorialità, se da un lato, comporta benefici in termini di
costo del lavoro, dall’altro, può generare disparità di trattamento
tra lavoratori interni a un’impresa e lavoratori “prestati” da
un’impresa fornitrice 24 .
Questo fenomeno si è palesato ancor di più con la nascita della
“industria 4.0” e la digitalizzazione dell’economia 25 in cui
l’accelerazione tecnologica, l’automazione e la virtualizzazione
della catena del valore se, da un lato, hanno permesso un
aumento del sapere e della conoscenza, dall’altro, hanno indotto
alla creazione di «pratiche neo-schiavistiche e/o forme di
caporalato digitale» 26 e l’emersione di lavori discontinui,
provocando una “atomizzazione” della prestazione lavorativa e
l’invisibilità dei lavoratori 27 .
Si è passati, dunque, dall’economia di massa – connotata dal
lavoro in fabbrica, tipico della seconda rivoluzione industriale,
con salari e tutele legate al lavoro subordinato – alla “gig
economy” 28 in cui i nuovi workers – sulla scia della quarta
rivoluzione industriale – prestano l’attività lavorativa anche al di
fuori dal luogo di lavoro grazie all’uso di piattaforme digitali in
modo frammentato e discontinuo (“globalizzazione della
precarietà) 29 .
2. Il digital work come chiave di volta per lo sviluppo del
modello partecipativo?
A fronte delle criticità legate al paradigma post-fordista, con i
recenti sviluppi dell’economia, rintracciabili nel passaggio
all’era della “condivisione” (sharing economy), sono state
gettate le basi per la revisione del modello conflittuale su cui,
storicamente, si sono rette le relazioni industriali 30 .
Invero, il passaggio da una gestione “hard” delle mansioni e dei
risultati, tipiche del modello taylorista, al maggior
coinvolgimento del lavoratore nella definizione delle politiche
aziendali, d’impostazione post-fordista 31 , rappresenta uno dei
temidi terze
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in campo giuridico ed economico, con sostituzione della
competizione con la cooperazione 32 .
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Con l’avvento della quarta rivoluzione industriale e la nascita
dell’economia della conoscenza, uno degli effetti più rilevanti è
stato quello di considerare non più la mera manualità delle
prestazioni ma l’intellettualità dei lavoratori in termini di
competenze e conoscenze (lavoro cognitivo) 33 .
Non più collaborazione passiva, strettamente legata alle
mansioni, bensì partecipazione attiva nella generazione del
valore e della sua distribuzione 34 . Questo fenomeno, noto come
“cooperazione intelligente” 35 , unitamente alla “rivoluzione
cognitiva” dell’economia e alla diversa relazione tra capitale e
lavoro, deriva dal mutamento del concetto di rischio 36 .
Storicamente, la giustificazione dell’asimmetria tra potere
direttivo e dovere di collaborazione è stata fondata sulla
prerogativa esclusiva, dell’imprenditore, di dirigere l’azienda in
coerenza al principio di libertà di iniziativa economica privata,
anche a causa dei rischi posti a suo carico 37 .
Oggi, la possibilità di partecipazione dei lavoratori alle vicende
d’impresa sembra essere in grado, da un lato, di attenuare gli
effetti del disequilibrio in termini di condizioni di lavoro 38 e,
dall’altro, di modificare l’esercizio del potere direttivo in chiave
collaborativa, tenuto conto della “metamorfosi” della
subordinazione 39 .
Si assiste, così, alla coesistenza di due prospettive: la prima,
tradizionale, volta a «correggere qualitativamente l’intrinseca
asimmetria del rapporto di lavoro salariato» (“partecipazione dei
diritti”); la seconda, legata all’approccio dell’Human Resource
Management, volta a «sviluppare politiche di gestione delle
risorse umane che innovano i criteri tipici di utilizzo del lavoro
con il coinvolgimento dei suoi portatori» ( “partecipazione
dell’offerta”) 40 .
Esistono diversi modelli di partecipazione a seconda se l’istituto
è utilizzato, in primo luogo, quale strumento “complementare”
oppure “sostitutivo” alla contrattazione collettiva 41 . Si distingue
la partecipazione in due tipologie: l’una in cui prevale la
sostituzione della rappresentanza del sindacato verso forme di
gestione integrata in azienda; l’altra in cui prevale la
complementarietà tra contratto collettivo e partecipazione,
ognuna delle quali svolge funzioni ed ha compiti differenti e non
sovrapposti 42 .
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sindacali 43 e “debole” o “forte” in base al grado di formalità dei
processi partecipativi 44 .
Infine, la partecipazione può essere “decisionale” o “economica”
a seconda del modo in cui il lavoratore è coinvolto in azienda: la
partecipazione economica permette ai lavoratori di partecipare
solo ai risultati d’impresa condividendo con il datoreimprenditore il rischio d’impresa 45 .
La partecipazione decisionale coinvolge i lavoratori in modo
organico circa le scelte aziendali da porre in essere e gli obiettivi
da realizzare. In base all’intensità con cui si manifesta, la
partecipazione decisionale può essere distinta in quattro tipi:
“consultazione”,
“informazione”,
“co-determinazione”
e
“cogestione”. I primi due tipi di partecipazione esprimono la
portata di interessi diversi tra imprese e lavoratori 46 ; l’ultima
tipologia rappresenta la massima espressione del coinvolgimento
dei lavoratori poiché il frutto comune della relazione capitalelavoro riguarda le scelte “strategiche” dell’impresa 47 .
A seconda del “come” la partecipazione evolve è possibile
distinguere tra canale “doppio” (rappresentanze sindacali
affiancati da un organismo eletto dai lavoratori) o “unico”
(rappresentanze aziendali come controparte esclusiva) 48 .
A seconda del “chi”, vale a dire dei soggetti che partecipano alle
decisioni d’azienda, la partecipazione può essere “interna” (con
votazione dei lavoratori e loro presenza nell’organo
amministrativo nonché con ripartizione dei seggi tra azionisti e
rappresentanti lavoratori) o “esterna” (con procedure bilaterali di
negoziazione tra rappresentanti dei lavoratori ed impresa) 49 .
La partecipazione economica può essere distinta in due forme:
“azionaria” (profit sharing) o “proprietaria” (ownership
sharing) 50 . A sua volta, la prima forma può essere “esterna”
(fondi pensioni complementari) o “interna” (controllo azionario).
In questo caso, la partecipazione si realizza mediante strumenti
finanziari e simili (azioni di risparmio o ordinarie) sulla base dei
diritti attribuiti al lavoratore in assemblea 51 .
3. Il dibattito italiano
In Italia, il tema della partecipazione dei lavoratori in azienda è
stato frutto, per tanti anni, di un dibattito scevro da qualsiasi
intervento normativo 52 ; ciò in quanto la gestione aziendale è
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concerto con i lavoratori.
Continua,
gerarchia di interessi, l’interesse tipicamente imprenditoriale 53 .
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In passato, sono stati effettuati alcuni tentativi di intervento
normativo in materia volti a combinare elementi del modello
della cogestione con aspetti della co-determinazione 54 . Nessuna
delle proposte presentate in Parlamento 55 è andata a buon fine;
l‘unico strumento rimasto a fondamento della democrazia
sindacale continua ad essere la contrattazione collettiva cui la
legge affida il compito di regolare gli aspetti cardine della
disciplina sindacale 56 .
Il dibattito sulla partecipazione dei lavoratori in azienda è stato
riacceso di recente: dopo anni di vuoto legislativo, gli ultimi
interventi normativi 57 fanno ben sperare circa l’introduzione di
uno schema partecipativo nelle relazioni industriali italiane
anche tenuto conto della normativa europea 58 .
Molti paesi europei hanno già adottato modelli partecipativi di
tipo economico. Basti pensare a Francia e Germania che, sin
dagli inizi del secolo scorso, hanno realizzato forme di
partecipazione economica fondate sui piani aziendali di
risparmio e sull’azionariato dei dipendenti (anche attraverso il
workers buy-out, i pacchetti azionari e i fondi previdenziali) 59 .
Tra le ragioni che hanno spinto i vari paesi all’adozione di forme
di partecipazione fondata sulla condivisione del rischio
rientrano, anzitutto, la logica della fidelizzazione dei lavoratori e
la continuità nei passaggi generazionali; inoltre, la
partecipazione economica consente di incrementare la
produttività del lavoro e motivare il lavoratore che assume la
veste di azionista 60 .
Delle forme di partecipazione adottabili a livello nazionale, si è
optato per la partecipazione decisionale e per le tecniche
partecipative sperimentate sin dagli anni ’80 e regolate da scarne
disposizioni contenute nel Codice Civile 61 e in alcune leggi 62 .
All’adozione di forme più incisive di partecipazione non osta il
dettato costituzionale il quale riconosce espressamente il
principio di partecipazione dei lavoratori in azienda quale valore
della società e come forma di tutela del risparmio 63 .
Il sistema realizzato dai padri Costituenti è uno strumento di
democrazia progressiva che tende a realizzare una forma di
“socialismo moderno” coniugando la libertà economica con
l’autonomia sindacale e con i diritti fondamentali della
persona 64 .
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Sono note le ragionie per
cui la norma
costituzionale
è rimasta, ad
oggi, lettera morta 65 : la scelta di non predisporre tecniche
partecipative di natura finanziaria va rintracciata nelle forti
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remore a trattare il rapporto di lavoro in modo rigido, visto il
periodo precedente in cui essa è stata emanata (fascista) 66 .
A ciò si aggiungono i rischi legati ad uno schema imposto
dall’alto che riguardano tanto l’impresa (che incorre in tempi più
lunghi per le decisioni oggetto di troppi passaggi e di maggiori
incertezze collegate alle diversità di interessi) quanto il
lavoratore (che potrebbe entrare in conflitto con i lavoratori non
proprietari) 67 .
4. Spunti conclusivi di riflessione
Sebbene il principio della partecipazione dei lavoratori in
azienda sia espressamente sancito dalla Carta costituzionale,
persistono degli ostacoli alla piena realizzazione dell’istituto
della democrazia sindacale, tutti limiti derivanti dalla prevalente
logica della partecipazione conflittuale ancora fortemente
radicata nella cultura sindacale italiana 68 .
Il contesto attuale potrebbe essere terreno per sperimentare
forme di partecipazione. Anzi, è proprio dalla partecipazione che
si dovrebbe ripartire per aumentare la competitività complessiva
e per disporre di un’alternativa al ridimensionamento altrimenti
imposto dalla difficile situazione economica e dal mutato
scenario delle relazioni industriali 69 .
Per anni, il diritto di proprietà è stato il criterio cardine con cui
conferire al datore di lavoro un potere sovraordinato nel decidere
tutti gli aspetti legati alla organizzazione, alla gestione e al
controllo produttivo. Oggi, tale motivazione cede il passo
dinanzi a questioni di maggiore complessità (instabilità dei
mercati, competizione pressante su scala globale, disoccupazione
galoppante, alto tasso di povertà) 70 .
L’idea di integrare gli strumenti di democrazia sindacale
(contratto collettivo e partecipazione) potrebbe condurre verso
una minore conflittualità 71 . Inoltre, l’introduzione di un modello
di partecipazione economica potrebbe recare un vantaggio
competitivo sostenibile alle imprese, nell’ottica del Corporate
Social Responsability, e attenuare gli effetti negativi del
mercato 72 .
Dunque, la partecipazione potrebbe servire come strumento per
ripensare le tutele dei lavoratori in vista di una loro maggiore
valorizzazione: il rilancio del capitale umano, considerato fattore
di acceleratore della crescita economica, e la riscoperta della
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“dimensione qualitativa del lavoro” 73 con la “partecipazione
progettuale” 74 .
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Questo approccio auspica, da un lato, la partecipazione attiva dei
lavoratori, che risultano valorizzati nelle loro esperienze, nella
creatività e nella capacità di risolvere i problemi, e, dall’altro, un
atteggiamento proattivo delle aziende che possono migliorare la
produttività e le condizioni di lavoro e sviluppare nuovi sistemi
socio-tecnici e di lavoro 75 .
La partecipazione dei lavoratori in azienda rappresenta, oggi,
uno strumento non alternativo ma “integrativo” alla
contrattazione collettiva: entrambi gli strumenti di democrazia
sindacale consentono di “co-determinare” strategie e modi di
regolazione sociale e di organizzazione del lavoro 76 .
Va certamente in questa direzione l’ultima proposta normativa
ancora in fase di discussione in aula che ha lo scopo di
“colmare” il ritardo italiano rispetto agli altri paesi europei
rendendo obbligatorie alcune procedure già previste dalla
contrattazione collettiva ed estendendo, a tutti i settori
produttivi, la partecipazione economica 77 .
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lavoratori: dalla teoria alla pratica, in «Adapt», (6): 1.
dei
Tiddi A. (2001), Precari: percorsi di vita tra lavoro e non
lavoro, Derive Approdi, Roma.
Tiraboschi M. (2002), Partecipazione finanziaria, qualità del
lavoro e nuove relazioni industriali: il caso italiano in una
prospettiva comparata. «Diritto Relazioni Industriali», (1): 258268.
Treu T. (1988), La partecipazione dei lavoratori alla economia
delle imprese. «Giurisprudenza Commentata», (1): 785-788.
Treu T. (2017), Partecipazione dei lavoratori alla gestione delle
imprese, Voce. «Enciclopedia delle Scienze Sociali – Treccani»,
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Treu T. (2018), Trasformazioni del lavoro: sfide per i sistemi
nazionali di diritto del lavoro e di sicurezza sociale. «WP
C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT», (371): 8-12.
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La partecipazione dei lavoratori nell'era del digital work | Salvis Juribus
Tullini
P.
(2016),
Digitalizzazione
dell’economia
e
frammentazione
dell’occupazione.
Il
lavoro
instabile,
discontinuo, informale: tendenze in atto e proposte d’intervento.
«Rivista Giuridica del Lavoro», (1): 748-749.
Usai G. (2005), L’impresa minore nei processi di sviluppo
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Voza R. (2017), Il lavoro e le piattaforme digitali: the same old
story?. «WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT», (336): 1-21.
Zoppoli L. (2005), Rappresentanza collettiva dei lavoratori e
diritti di partecipazione alla gestione delle imprese. «Aidlass»,
(11): 1-63.
1Il cui massimo esponente è F.W. Taylor che nel suo saggio, L’organizzazione
scientifica del lavoro, Etas, Milano, 1967, elenca i punti chiave per velocizzare e
rendere efficiente il sistema produttivo dell’economia di massa.
2Dal nome dell’inventore della catena di montaggio, Henry Ford. Per V.
Castronovo, Dal fordismo al postfordismo, in AA.VV., Postfordismo e nuova
composizione sociale, Rapporto Cnel, 2000, pag. 81, «per quasi ottant’anni il
Novecento è stato il secolo, potremmo dire del fordismo [caratterizzato dalla]
comparsa dei precetti dell’ingegnere americano Frederick Taylor e l’esordio a
Detroit della prima liena di montaggio».
3Così E. Rullani, Dal Fordismo al post-fordismo: alla scoperta di nuove
possibilità, in AA.VV, Postfordismo e nuova composizione sociale, Rapporto
Cnel, 2000, pag. 108.
4Cfr P. Barbieri, Mercato e politiche del lavoro; transizione postfordista e nuove
forme di occupazione: modifiche del modello occupazionale italiano e problemi
di regolazione, in AA.VV., Postfordismo e nuova composizione sociale,
Rapporto Cnel, 2000, pag. 149.
5Così A. Accornero, Dal fordismo al post-fordismo: il lavoro e i lavori, in
«Quaderni Rassegna Sindacale», n. 1, 2001, pag. 1. L’Autrice parla di “società
dei lavori” anziché di “società del lavoro” perché lo scenario moderno è
centrato «su un’idea e su un profilo di pienezza e di stabilità quale
l’Occidente capitalistico aveva avuto nel secolo scorso».
6Sul punto, A. Bonomi, Le dinamiche del post-fordismo in AA.VV,
Postfordismo e nuova composizione sociale, Rapporto Cnel, 2000, pag. 62.
7Cfr U. Carabelli, Organizzazione del lavoro e professionalità: una riflessione
su contratto di lavoro e postfordismo, in «WP C.S.D.L.E. “Massimo
D’Antona”.IT», n. 5, 2003, pag. 9.
8Cfr A. Accornero, Dal fordismo, cit.; P. Barbieri, Mercato e politiche.., cit, pag.
149.
9Per E. Rullani, Dal fordismo, cit, pag. 108, «l’idea di passare dal lavoro
(fordista) ai lavori [..]è in realtà un passaggio dalla teoria all’empiria dove il
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10Termine coniato, tra gli altri, da A. Tiddi, Precari: percorsi di vita tra
lavoro e non lavoro, Derive Approdi, Roma, 2001, pag. 10 per intendere
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«l’avvento della soggettività nell’economia, e del cyborg nella produzione».
Per U. Carabelli, Organizzazione, cit, pag. 3 con l’affermarsi della società
post-industriale, si sono trasformati i «sistemi di tutela e sicurezza del lavoro
conosciuti e praticati negli anni che ci separano dall’emanazione della
costituzione, al fine di fronteggiare, nel nome della flessibilità, i mutamenti
profondi causati dalla trasformazione degli stessi modi di impiego della forza
lavoro».
11Dal sistema giapponese che introduce tecniche di flessibilità del lavoro
quali il just in time, la lean production e la qualità totale. Sul punto, U.
Carabelli, Organizzazione, cit., pag. 8, secondo il quale l’introduzione di
queste tecniche organizzative ha prodotto due effetti: lo sfruttamento del
lavoratore (in base al modello insider-outsider, si produce una divisione
fondata sulla professionalità) e la necessità di un maggior coinvolgimento del
lavoratore alla vita d’impresa. Quest’ultimo effetto si pone, però, in contrasto
con la flessibilizzazione “illimitata” della forza lavoro.
12Si ribalta cioè la logica della scala verso lo scopo ai fini della creazione del
valore per tutti i partecipanti. Così A. Chandler, P. Kocka J. Payne P.
Yamamura., Evoluzione della grande impresa e management, Einaudi, Torino,
1986.
13Per il modello fordista occorre prima produrre poi provvedere agli stock e
dopo vendere; per il toyotismo, invece, è la domanda a stabilire la quantità
e le caratteristiche delle vendite. Sul punto, M. Marzano, L’alienazione nel
lavoro in epoca post-fordista, in «Italiani Europei», n. 4, pagg. 1-2.
14Per citare la frase impiegata da E. F. Schumacher, Piccolo è bello. Uno
studio di economia come se la gente contasse qualcosa, trad. it., Ugo Mursia
editore, Venezia, 2011, per descrivere l’economia sostenibile e la necessità di
un uso razionale e consapevole delle risorse da parte di piccole organizzazioni.
15G. Usai, L’impresa minore nei processi di sviluppo locale, in «Sinergie», n.
5, pag. 1. Secondo A. Bonomi, Le dinamiche, cit., pag. 65, «non più il capitale
fisso che incorpora gli uomini nelle proprie strutture meccaniche ma, al
contrario, gli uomini che incorporano i mezzi di produzione, sotto forma di
software nella propria mente».
16Sul tema si vedano, tra gli altri, i contributi di R. Camagni, Principi di
economia urbana e territoriale, Carocci ed., Roma, 2009 e A. Salento,
Postfordismo e ideologie giuridiche: nuove forme d’impresa e crisi del diritto
del lavoro, Franco Angeli, Milano, 2003.
17Così F. Barca, M. Magnani, L’industria fra capitale e lavoro. Piccole e
grandi imprese dall’autunno caldo alla ristrutturazione, Il Mulino, Bologna,
1989.
18Sul legame tra flessibilità, precarietà e nuovi lavori, si vedano P. Barbieri,
Mercato e politiche, cit., pag. 158 che considera il lavoro autonomo quale
«forma ideal-tipica del lavoro postfordista» con precarizzazione del rapporto
di impiego, U. Carabelli, Organizzazione,cit., pag. 9 che parla di crisi del
modello tipico del lavoro subordinato a tempo indeterminato in concomitanza
all’emergere di nuovi lavori atipici, flessibili, collaborazioni con
“mercificazione” del lavoratore. Parla di scenario di “precarizzazione” anche
A. Accornero,
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verticali») e E. Betti, Storicizzare la precarietà del lavoro tra fordismo e postfordismo: una prospettiva di genere, sintesi del saggio su La precarietà del
lavoro come fenomeno storico: un approccio di genere. Prime riflessioni
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metodologico-storiografiche, in «Memoria e Ricerca», n. 3, pag. 103 secondo
la quale i due concetti (flessibilità e precarietà) «stentano tanto ad assumere
una loro autonomia scientifica nel dibattito quanto a essere impiegati come
categorie analitiche fino ai tardi anni novanta – primi anni duemila» periodo
in cui «l’utilizzo del concetto di flessibilità del lavoro inizia a ridursi a favore
di quello di precarietà» e, dopo, a quello di globalizzazione.
19Flessibilizzare implica rendere il lavoro «modulabile sulle oscillazioni dei
mercati, mercati segnati sempre più dall’instabilità e dall’incertezza» e ad
assumere forza lavoro «non direttamente dipendente dall’impresa con contratti
legati, non a una prestazione lavorativa continuata, ma a progetti temporanei
per la realizzazione di un prodotto finito». Così A. Tiddi, Precari, cit, pag. 15.
Dello stesso parere, A. Accornero, Dal fordismo, cit., pag. 3: «mentre la natura
della prestazione tende [..] a cambiare in meglio perché è soggetta a minori
vincoli e consente maggiore discrezionalità, i termini della prestazione
tendono a cambiare in peggio perché la tutela tradizionale non può coprire
impieghi più instabili e tragitti più discontinui. Per questo il mercato può
apparire oggi minaccioso come la tecnologia nel secolo scorso: allora ci si
interrogava sulle conseguenze umane del macchinismo industriale, e adesso
del lavoro flessibile».
20Per M. Marzano, L’alienazione, cit., pag. 1, «la logica di cui sono prigionieri
i lavoratori è sempre più perversa: la responsabilità viene abilmente trasferita
dall’alto verso il basso; i dipendenti devono anche dar prova di iniziativa e
inventiva, ma non possono autonomamente fissarsi alcun obiettivo; se gli
obiettivi assegnati non sono raggiunti, la colpa non è mai attribuita al fatto che
gli obiettivi erano oggettivamente irraggiungibili, ma alla mancanza di
motivazione e di valore del dipendente».
21Così M. Revelli, Fine, cit, pag. 97 secondo il quale «il fordismo del dopo
sviluppo» è il modello che prevale «nell’epoca in cui le promesse di uno
sviluppo intenso, travolgente e illimitato vengono meno».
22Così U. Carabelli, Organizzazione cit., pag. 9, secondo il quale con la
flessibilità si corre il rischio che ad un indebolimento della posizione del
lavoratore non corrisponda alcun miglioramento delle sue condizioni
lavorative.
23Cfr M. Revelli, Fine, cit., pag 97.
24Così M. Gaddi, N. Garbellini, Le delocalizzazioni e il lavoro, in «Granello
di Sabbia», n. 31, 2017, pag. 2 secondo i quali la mancanza di informazioni, i
diversi costi del lavoro, lo squilibrio tra la libertà di fornitura di servizi delle
imprese e i diritti dei lavoratori nonché le differenze nell’applicazione delle
leggi e la scarsa chiarezza dei termini e delle condizioni di impiego dei
lavoratori distaccati, rappresentano le principali criticità del fenomeno
dell’outsourcing e dell’offshoring.
25Per approfondimenti sul rapporto tra economia virtuale, lavoro e
piattaforme digitali si veda, tra gli altri, il contributo di R. Voza, Il lavoro e le
piattaforme digitali: the same old story?, in «WP C.S.D.L.E. “Massimo
D’Antona”.IT», n. 336,2017, pagg. 1-21. Per l’Autore, la sharing economy
può implicare lo scambio di beni e servizi (mediante internet e la rete) «senza
che assuma alcun rilievo l’attività lavorativa presupposta». Tuttavia, «la
smaterializzazione della figura del capo in un algoritmo può finire per
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26Così M. Forlivesi, Alla ricerca di tutele collettive per i lavoratori digitali:
organizzazione, rappresentanza, contrattazione, in «Labour & Law Issue», n.
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1, 2018, pagg. 37-43. dello stesso parere, M. Birgillito, Lavoro e nuova
economia: un approccio critico. I molti vizi e le poche virtù dell’impresa
Uber, in «Labour & Law Issue», n. 2, 2016, pag. 57.
27Cfr P. Tullini,, Digitalizzazione dell’economia e frammentazione
dell’occupazione. Il lavoro instabile, discontinuo, informale: tendenze in atto
e proposte d’intervento, in RGL, n.1/2016, pag. 748 che auspica un intervento
regolatore in materia. Della stessa idea, Treu T., Trasformazioni del lavoro:
sfide per i sistemi nazionali di diritto del lavoro e di sicurezza sociale, in «WP
C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT», n. 371, 2018, pagg. 8-12. Per l’Autore,
il cambiamento avvenuto nel mercato del lavoro è tale da manifestare una
forte inadeguatezza sia del diritto che delle «stesse categorie fondative del
diritto del lavoro, a cominciare da quella di lavoro subordinato».
28Per R. Voza, Il lavoro e le piattaforme digitali, cit., pag. 7, la storia si
ripete: «ai primi del Novecento c’erano i barrocciai, negli anni Ottanta
circolavano i pony-express [..]. Oggi c’è Uber [..]». Per l’Autore, «la stessa
vecchia storia si presenta – di volta in volta – in relazione alle nuove figure
professionali e/o alle nuove modalità di lavoro, che compaiono all’orizzonte».
29Termine coniato da L. Gallino, Il lavoro non è una merce. Contro la
flessibilità, Laterza, Roma-Bari 2007, per rimarcare il fatto che la flessibilità
globale del lavoro sia, in realtà, «una condizione sociale più pesante e diffusa
di quanto non dicano ogni giorno gli articoli rassicuranti sulla modesta
consistenza e stabilità nel tempo» di tale fenomeno.
30Sul conflitto industriale e la relazione tra capitale e lavoro si veda, tra gli
altri, il contributo di D. A. Hibbs, D.B. Hibbs, Il conflitto industriale nelle
società avanzate, in «Rivista Internazionale di Scienze Sociali», n. 4, 1977,
pagg. 440-481. Per un approccio recente al tema, A. Negri, C. Vercellone, Il
rapporto capitale/lavoro nel capitalismo cognitivo, in «Posse», n. 3, 2007,
pagg. 46-56; S. Bellucci, Capitale, Lavoro e Conflitto nel capitalismo digitale,
in AA.VV., Trasformazioni del lavoro nell’economia della conoscenza,
Edizioni conoscenza, Roma, 2013, pagg. 55-68.
31Per S. Leonardi, Modelli e forme della partecipazione dei lavoratori: le
promesse non mantenute dalla democrazia industriale?, Atti del Seminario su
Partecipazione e diritti, Informia/Ires, 2010, pag. 1, se il fordismo ha avuto il
merito di “disintegrare” il lavoratore nel potere di controllare e di “integrare”
il lavoratore socialmente (tra la massa operaia), il post-fordismo ha avuto il
merito opposto vale a dire di mobilitare il lavoro disintegrando la
partecipazione sociale.
32Secondo A. Negri, C. Vercellone, Il rapporto capitale/lavoro nel
capitalismo cognitivo, in «Posse», n. 3, 2007, pag. 46, «ne risulta l’apertura di
una nuova fase storica nel rapporto capitale/lavoro, segnata dal ritorno in forze
della dimensione cognitiva del lavoro e dalla costruzione di una intellettualità
diffusa».
33Cfr E. Grazzini, L’economia, cit, pag. 3. L’autore evidenzia come, rispetto al
fordismo in cui l’intelligenza era concentrata ai vertici, oggi, essa si diffonde
su tutta l’organizzazione. Per tale ragione, il lavoro c.d cognitivo necessità
sempre più di collaborazione orizzontale divenendo fattore di successo
aziendale grazie ai knowledge workers.
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Quale futuro si prospetta?,
in «Salvis sui
Juribus»,
2018, pag. 1, il lavoro è
oggi collegato «sia a chi lavora, sia a chi gode i frutti di questo lavoro, sia alle
forme di interazione fra produttore, distributore e consumatore».
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35Per A. Accornero, Dal fordismo, cit., pag. 2, «nel secolo scorso i sociologi
studiavano l’oppressione dovuta alla monotonia e alla ripetitività [..] adesso
devono studiare l’ansia generata da variabilità e incertezze che stressano il
lavoratore anziché abbatterlo. Ieri il sintomo era la noia, oggi la frenesia. Ieri
il problema era la rigidità, oggi la flessibilità. Molti lavoratori soffrivano
l’uniformità, il livellamento e la massificazione dei compiti mentre oggi
soffrono perché i loro compiti cambiano in fretta, crescono in fretta, evolvono
in fretta».
36Sul punto, U. Carabelli, Organizzazione, cit., pag. 37. Per l’Autore, il fatto
che il lavoratore sia posto “sotto la direzione” del datore-imprenditore, lo
sottrae dall’area del rischio derivante dall’esercizio dell’attività economica.
37Così S. Leonardi, Ideologie giuridiche e politiche sindacali nel dibattito
costituente sulla partecipazione operaia. L’art. 46, Rapporto Ires, 2005, pag.
90. Per l’Autore, «dall’ontologica asimmetria di poteri determinati dalla
proprietà dei mezzi produttivi e dall’appropriazione privata dei risultati del
lavoro altrui, si avvia storicamente il discorso sulla democrazia industriale».
Così anche M. Marazza, Saggio sull’organizzazione del lavoro, Cedam,
Padova, 2002, pagg. 125-131 secondo cui l’esistenza di un’impresa non può
essere giustificazione del godimento (da parte dell’imprenditore) di poteri
diversi e maggiori rispetto a quelli che derivano dalla titolarità di rapporti
giuridici.
38Per P. Olivelli, Rappresentanza collettiva dei lavoratori e diritti di
partecipazione alla gestione delle imprese, Atti delle Giornate di studio,
Aidlass, Lecce, 27-28 maggio 2005, pag. 54, con la collaborazione il
lavoratore sviluppa la propria personalità (art. 2 Cost) e concorre così al
progresso materiale e spirituale della società, (art. 4 Cost) e riesce ad
elevare economicamente e socialmente il lavoro (art. 46 Cost).
39In questo senso, U. Carabelli, Organizzazione, cit., pag. 57 che spiega
come il potere direttivo non sia altro che l’insieme di regole che incidono
sulla parte obbligatoria del contratto di lavoro quale strumento di
organizzazione (interna ed esterna) alla prestazione; inoltre, la natura
“aperta” del potere direttivo deriva dall’impossibilità di ricondurre a schemi
precisi e preordinati gli atti con cui si esercita tale potere.
40Così G. Baglioni, In tema di partecipazione dei lavoratori alle decisioni
d’impresa AA.VV, Studi in onore di Gino Giugni, Cacucci, Roma, 1999, pag. 66.
41Cfr M. D’Antona, Partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese.
Temi per un diritto sindacale possibile, in «Rivista Giuridica del Lavoro», n. 1,
1992, pag. 85. Per l’Autore «non necessariamente antagonismo tra
partecipazione e contrattazione [ma] netta contrapposizione tra sistemi in cui
la partecipazione nell’impresa invade il terreno della contrattazione collettiva,
con effetti ostitutivi o perfino espropriativi dell’azione sindacale e sistemi in
cui piuttosto la partecipazione è una forma di azione collettiva, differenziata
ma complementare[..] rispetto alla contrattazione collettiva esercitata dai
sindacati». Ancora, per l’Autore, «il ruolo del sindacato nell’impresa dipende
dalla funzione assegnata al livello aziendale nel sistema di contrattazione
collettiva» e viceversa. Così, il primo, porta ad una “differenziazione” tra i
due strumenti (contrattazione, partecipazione) assicurando ai soggetti «una
legittimazione non meramente sindacale» tuttavia favorendo il “dualismo” tra
«organismo partecipativo e rappresentanze sindacali».
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42Per P. Olivelli, Rappresentanza,
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“binario” in cui coesistano entrambe le tipologie di strumenti «contratti o tipi
e parti di contratti, regolanti il rapporto o versante conflittuale, individuale o
collettivo, ed altri quello partecipativo, con le relative istruzioni».
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43Cfr P. Olivelli, Rappresentanza, ult. cit., pag. 23. L’Autrice distingue il
coinvolgimento dalla partecipazione in senso stretto: il primo termine
corrisponde alla partecipazione forte, la partecipazione è quella
rappresentativa.
44Così T. Treu, La partecipazione dei lavoratori all’economia delle imprese,
in «Giurisprudenza Commentata», n. 1, 1988, pag. 785. Si veda anche M.
D’Antona, Partecipazione, cit., pag. 89, secondo cui nel primo caso, la
partecipazione ha carattere “eteronomo” poichè è la legge a definire ogni
aspetto in termini di procedure, soggetti.
45Sul punto, M. Biagi, M. Tiraboschi, La partecipazione finanziaria dei
lavoratori in Italia, Modena, 2001, pag. 5, secondo i quali il concetto di
democrazia economica è stato uno dei temi più «travagliati e ambigui nel
confronto tra gli attori del sistema delle relazioni industrilali italiano». Si veda
anche A. Fici, La partecipazione, cit., pag. 3, tale strumento si pone come
«rimedio alla strutturale incapacità del mercato di dar vita, da solo, ad una
società coesa».
46Per P. Olivelli, Rappresentanza, cit., pag. 25, l’informazione è la «apertura
di un dialogo[…] tra l’organo di rappresentanza dei lavoratori […] e l’organo
competente della società [al fine di] esprimere un parere di cui si può tener
conto nel processo decisionale della società» mentre la consultazione è
«quella dell’organo di rappresentanza dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti
[…] su problemi che riguardano la [società] con tempi, modalità e contenuti
che consentano ai rappresnetanti dei lavoratori di procedere ad una
valutazione». Entrambe le forme si distinguono per il fatto che la prima ha
come obiettivo la mera valutazione; la seconda ha come scopo la
emanazione di un parere che può essere tenuto in considerazione
dall’azienda come no.
47Sul punto, G. Baglioni, In tema, cit., pag. 66. L’Autore classifica le forme di
partecipazione sulla base del grado di efficacia con cui la partecipazione
incide sul top management ritenendo il livello organizzativo quello più
significativo. Per approfondimenti sul tema e, in particolare, sul sistema
partecipativo basato sulla cogestione, si rimanda a R. Caragnano, Il codice
della partecipazione. Contributo allo studio della partecipazione dei
lavoratori, in «Adapt» n. 3, 2010, pagg. 14-19.
48Così M. D’Antona, La partecipazione, cit., pag. 91.
49Cfr M. D’Antona, La partecipazione, ult. cit., pag. 91.
50Così A. Fici, La partecipazione, cit., pag. 2. L’Autore postula l’esistenza di
differenze tra i due modelli: nel primo caso, alla remunerazione fissa si
collega una variabile a titolo di “componente partecipativa”. In tal senso, egli
parla di partecipazione con benefici diretti; nel secondo caso, non esiste
una reale partecipazione trattandosi di mera condivisione proprietaria. In
tale ultimo caso, l’Autore parla di partecipazione con benefici indiretti.
51Sulle tipologie di partecipazione finanziaria, Y., Parpinchee, F. Sammarco,
Partecipazione dei lavoratori: dalla teoria alla pratica, in «Adapt», n. 6,
2010. Si veda anche A. Alaimo, A., L’eterno ritorno della partecipazione: il
coinvolgimento dei lavoratori al tempo delle nuove regole sindacali, in «WP
C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT», n. 219, 2014, pagg. 1-15.
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52Per M. Biagi, M. Tiraboschi,
La partecipazione,
cit,
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OK pag. 3, non si è mai
arrivati ad un progetto concreto in tema di partecipazione per la mancanza
di un «moderno quadro normativo di sostegno alla sua effettiva diffusione e al
suo radicamento nel Paese», disattendendosi, peraltro, le indicazioni contenute
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La partecipazione dei lavoratori nell'era del digital work | Salvis Juribus
nel Libro Bianco sul Welfare del 2011. Così A. Fici, La partecipazione, cit.,
pag. 1.
53Sul punto, G.P. Cella, Più teoria nelle relazioni industriali, in AA.VV, Scritti in
onore di Gino Giugni, Cacucci, Roma, 1999, pag. 262 secondo il quale
«l’impresa, lungo tutta la sua storia, ha quasi sempre tentato di imporre una
cultura “monistica” per sconfiggere o ridimensionare qualunque pretesa di
competizione pluralistica al suo interno, e sui suoi obiettivi. Lo ha tentato con
la one bast way di ascendenza ford-taylorista, con l’utilizzazione strumentale
della organizzazione informale scoperta dalle Human relations, con il
richiamo alla razionalità imposta dalle esigenze di massimizzazione dei
profitti».
54Ci si riferisce alle varie proposte di legge presentate in Parlamento dagli
anni ’70, con i protocolli Iri e il TU Zanussi, sino alle più recenti iniziative
legislative: la proposta di legge n. 3926/2003 («disposizioni per favorire la
partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese in attuazione dell’art.
46 della Costituzione»); la proposta di legge n. 803/2008 («misure a favore
della partecipazione dei lavoratori»); la proposta di legge n. 964/2008
(«disposizioni in materia di informazione e consultazione dei lavoratori
nonchè di partecipazione azionaria dei dipendenti»); il disegno di legge n.
1531/2009 («norme per l’attuazione dell’articolo 46 della Costituzione sulla
collaborazione dei lavoratori alla gestione delle aziende»); il disegno di legge
n. 1307/2008 («delega al Governo per la promozione della partecipazione dei
lavoratori alla proprietà e alla gestione delle imprese»). Sul punto, Y.
Parpinchee, F. Sammarco, Partecipazione dei lavoratori: dalla teoria alla
pratica, in «Adapt», n. 6, 2010, pag. 1.
55Si veda l’art. 8, co.1, della legge n. 148/2011 che riconosce alle
associazioni aziendali o territoriali, la possibilità di realizzare «specifiche
intese con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori […] finalizzate […]
all’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori». Sul punto, A. Garilli,
L’art. 8 della legge n. 148/2011 nel sistema delle relazioni sindacali, in «WP
C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT», n. 139, 2012, pag. 4.
56E in effetti, la contrattazione collettiva rappresenta storicamente «il
principale metodo di azione sindacale» nonché “anello di congiunzione” dei
paesi europei che differiscono per struttura, livello e grado di sindacalismo.
Così H.A. Clegg, Sindacato e contrattazione collettiva, Franco Angeli,
Milano, 1986.
57Ci si riferisce alla legge n. 92/2012 che contiene principi per la
valorizzazione della democrazia partecipativa, rinviando alla contrattazione
collettiva ai fini della definizione di misure per la partecipazione, comprese
quelle relative alla partecipazione finanziaria e alla legge n. 208/2015, come
ripresa dalla legge n. 232/2016, che subordina la concessione di premi di
risultato e altri incentivi di welfare aziendale alla realizzazione di modalità
partecipative. Sul punto, T. Treu, Partecipazione dei lavoratori alla gestione
delle imprese, Voce, in «Enciclopedia delle Scienze Sociali – Treccani», 2017,
pag. 1.
58Di cui alla Direttiva CE n. 45/1980 e alla Raccomandazione CEE n.
443/1992 sulla partecipazione dei lavoratori ai profitti e ai risultati
dell’impresa, alla Direttiva UE n. 86/2001 sull’involvement dei lavoratori, alla
Direttiva CE n. 86/2001 che completa lo statuto delle società europee per
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all’informazione e alla consultazione dei lavoratori, alla direttiva CE n.
72/2003 che integra lo statuto delle società cooperative europee per quanto
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riguarda il coinvolgimento dei lavoratori, alla Direttiva CE n. 25/2004 ai sensi
della quale ai dipendenti delle società o ai loro rappresentanti dev’essere data
la possibilità di esprimere il proprio parere sulle ripercussioni prevedibili di
un acquisto pubblico, alla Direttiva CE n. 56/2005 che contiene norme sulla
determinazione del regime di partecipazione dei lavoratori che deve essere
applicato all’impresa oggetto della fusione, alla Risoluzione UE n. 23/2018
per lo sviluppo di sistemi di partecipazione finanziaria dei lavoratori
dipendenti. Per approfondimenti, Caragnano R., Il codice della
partecipazione. Contributo allo studio della partecipazione dei lavoratori, in
«Adapt» n. 3, 2010, pagg. 14-17; F. Frate, Il lavoro tra fordismo, post
fordismo e rivoluzione digitale. Quale futuro si prospetta?, in «Salvis
Juribus», n. 3, 2018, pagg. 1-5.
59Così G. Baglioni, In tema, cit. pag. 73. Sul tema si veda anche G. Arrigo,
La partecipazione dei lavoratori nel diritto comunitario tra armonizzazione
normativa e competizione dei modelli, in «Diritto del Lavoro», n. 1, 2000,
pagg. 390-395; M. Tiraboschi, Partecipazione finanziaria, qualità del lavoro e
nuove relazioni industriali: il caso italiano in una prospettiva comparata, in
«Diritto Relazioni Industriali», n.1, 2002, pagg. 258-268.
60Come già emerso nel lavoro di A. Cessari, Fedeltà, lavoro, impresa,
Giuffrè, Milano 1969.
61E, in particolare, all’art. 2099 c.c. sulla retribuzione variabile come forme
di remunerazione ai dipendenti, all’art. 2349 c.c., sugli utili ai dipendenti;
all’art. 2441, ult. co., c.c. in materia di sottoscrizione dei dipendenti di nuove
azioni emesse dalla società. Per approfondimenti, A. Fici, La partecipazione,
cit., pag. 1.
62E, in particolare, all’art. 114-bis del d.lgs. n. 58/1998 (Testo Unico Finanza)
in base al quale i piani di compensi basati su strumenti finanziari a favore di
membri del Consiglio di amministrazione, di dipendenti o di collaboratori non
legati alla società da rapporti di lavoro subordinato sono approvati
dall’assemblea ordinaria dei soci. Sul punto, M. Grandi G. Pera, Commentario
breve alle leggi sul lavoro, Vol. IV, Cedam, Padova, 2008.
63L’art. 46 Cost. sancisce il diritto di collaborazione dei lavoratori al fine
della «elevazione economica e sociale del lavoro»; inoltre, l’art. 47 Cost.
prevede che la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio «in tutte le sue
forme», compreso «l’accesso al risparmio popolare [volto al] diretto e
indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese».
Per G. Ghezzi, Commento all’art. 46, in G. Branca, Commentario della
Costituzione, Il Mulino, Bologna, 1980, le due disposizioni non si spingono
oltre la mera partecipazione decisionale.
64Così P. Olivelli, Rappresentanza, cit, pag. 39. L’autrice fa un parallelismo
tra autonomia colletttiva (art. 39 Cost.) e partecipazione (art. 46 Cost)
affermando che l’art. 46 Cost. si ponga quale norma intermedia tra l’art. 39
Cost (libertà sindacale) e l’art. 41 (libertà di iniziativa economica privata),
oltre ad avere una collocazione ed un collegamento con l’art. 3 Cost. (al cui
secondo comma sancisce la effettiva partecipazione alla vita economica,
politica e sociale), e con l’art. 2 (nelle formazioni ove si svolge la personalità
umana).
65Per T. Treu, La partecipazione, cit., pag. 790, l’art. 46 Cost. ha una
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l’altra norma rimasta inattuata (l’art. 39 Cost).
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66E cioè il «passaggio dall’autoritarismo corporativo alla libertà sindacale ed
al pluralismo». Così P. Olivelli, Rappresentanza, cit, pag. 39.
67Per A. Fici, La partecipazione, cit, pag. 1, le parti sono restìe nell’utilizzo di
tale strumento di democrazia economica: gli imprenditori temono di vedere
compresso il loro storico potere direttivo e gestionale; i sindacati temono di
perdere il potere di rappresentanza nei confronti dei lavoratori così coinvolti
direttamente alle vicende d’impresa senza il bisogno di alcuna mediazione.
Per tali ragioni, si è scelto di non introdurre modelli di partecipazione di tipo
strettamente finanziario.
68Così S. Leonardi, Ideologie giuridiche e politiche sindacali nel dibattito
costituente sulla partecipazione operaia. L’art. 46, Rapporto Ires, 2005.
69Così S. Leonardi, Modelli, cit., pag.1. Per l’Autore «se c’è un’ epoca nella
quale il tema della democrazia sindacale e della partecipazione appare quanto
più cruciale ed ineludibile […] questa è proprio la nostra». Dello stesso
autore, si veda Trasformazioni del lavoro: sfide per i sistemi nazionali di
diritto del lavoro e di sicurezza sociale, in «WP C.S.D.L.E. “Massimo
D’Antona”.IT», n. 371, 2018, pagg. 8-12.
70Sul punto, M. Forlivesi, Alla ricerca di tutele collettive per i lavoratori
digitali: organizzazione, rappresentanza, contrattazione, in «Labour & Law
Issue», n. 1, 2018, pagg. 37-43; P. Tullini, Digitalizzazione dell’economia e
frammentazione dell’occupazione. Il lavoro instabile, discontinuo, informale:
tendenze in atto e proposte d’intervento, in «Rivista Giuridica del Lavoro», n.
1, 2016, pagg. 748-749; A. Alaimo, L’eterno ritorno della partecipazione: il
coinvolgimento dei lavoratori al tempo delle nuove regole sindacali, in «WP
C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT», n. 219, 2014, pagg. 1-15.
71Per T. Treu, Partecipazione.,cit., pag. 9, le due forme partecipative non
sono alternative ma integrative degli strumenti utilizzati per risolvere i
conflitti
(contratto
collettivo
in
primis):
esse
servono
per
corresponsabilizzare e migliorare la qualità dei rapporti di lavoro in un
contesto mutato dalla globalizzazione e dalla competizione globale. Per
l’Autore, quindi, l’integrazione sarebbe utile «sia per controbilanciare le
incertezze cui sono esposti i lavoratori, subordinati e non, a causa della
variabilità dei mercati e della flessibilità dei lavori, sia per dare stabilità alle
imprese». Parlava di “compatibilità” tra livelli della struttura contrattuale e
meccanismi di partecipazione in tempi non sospetti anche M. D’Antona,
Partecipazione, cit., pag. 85.
72Sul punto, A. Fici, La partecipazione, cit., pag. 1. Per l’Autore, la
partecipazione economica dei lavoratori – divenendo parte integrante del
sistema di responsabilità sociale dell’azienda – risulta in grado di recare
benefici in ambito competitivo e produttivo rispetto ai rivali ponedosi come
fattore critico di successo aziendale soprattutto in un contesto globale.
73Così M. Brollo, Il tempo di nuove tutele e dei «diritti 4.0», in Il Sole 24 Ore,
Milano, 2017, pag. 1.
74E cioè la “modellizzazione” di un percorso, condiviso tra le parti (azienda,
sindacato e istituzioni), che ha lo scopo di ridisegnare e migliorare
l’organizzazione del lavoro. Così F. Butera, La partecipazione progettuale, atti
del Seminario su La co-determinazione, Cigl, Roma, 22 marzo 2018.
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75Cfr F. Butera, La partecipazione,
cit.,
1.
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76Così T. Treu, Partecipazione, cit., pag. 758. Per l’Autore, l’apertura a
schemi partecipativi può «rispondere a bisogni profondi di valorizzazione del
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lavoro e di autorealizzazione dei lavoratori»
77Ci si riferisce al D.D.L. S. n. 338/2018 («Disposizioni in materia di
partecipazione dei lavoratori alla gestione e ai risultati dell’impresa») il quale,
all’art. 5, stabilisce che i piani di partecipazione finanziaria dei lavoratori
dipendenti assicurano «l’attribuzione ai lavoratori, anche attraverso la
distribuzione di utili, di strumenti finanziari emessi dalle imprese» nelle forme
e nei limiti previsti dal testo e la costituzione di «libere associazioni di
lavoratori che abbiano tra i propri scopi l’utilizzo non speculativo degli
strumenti finanziari e l’esercizio delle rappresentanze collettive a livello
societario»: in alternativa, è prevista la costituzione di un «fondo comune di
impresa cui assegnare collettivamente gli strumenti finanziari. La norma
prevede altresì l’adesione volontaria dei lavoratori al piano».
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