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La religione e l'immaginazione storica (2019)

Italian translation of "Religion and the Historical Imagination" (2017)

La reLigione e L’immaginazione storica. La tradizione esoterica come invenzione poetica1 Wouter J. Hanegraaff2 In this contribution, it is argued that the concept of ‘imagination’ should be restored to the status of a crucial key term in the study of religion. More specifically, attention is focused here on the importance of the historical imagination as an object of research (as distinct from its importance as a factor in research) and its relation to strict historicity. The dynamics of the historical imagination can be analyzed in terms of a double polarity: factuality versus non-factuality and poeticity versus non-poeticity. Historical narratives with a high degree of poeticNota del traduttore. Tutto il saggio si basa su un confronto/opposizione tra story (storia, racconto – come frutto dell’immaginazione individuale e/o popolare) e history (esposizione e organizzazione concettuale di avvenimenti che è il risultato del lavoro dello storico). Ho reso il primo termine con ‘storia’ (minuscolo) e il secondo con ‘Storia’ (iniziale maiuscola). La situazione dell’italiano, che non dispone di una coppia di termini con lo stesso etimo (come appunto story vs. history in inglese), né di una coppia di termini di etimo diverso (come accade per esempio in francese, dove abbiamo histoire vs. récit), richiede una soluzione di questo tipo, per non appesantire la lettura e consentire però al lettore di apprezzare i giochi di assonanza e le allusioni di cui questo testo è costellato. L’aggettivo ‘storico’ (derivato da Storia, e non da storia), viene lasciato con la minuscola, perché non pone il rischio di ambiguità. Ho tradotto le espressioni tedesche non tradotte da Hanegraaff. Ho lasciato affordance in inglese, in quanto termine tecnico intraducibile (che passa dalla psicologia della percezione alla semiotica, e poi agli studi sulla religione), ma mi sono curato di darne una definizione di massima (posta tra parentesi quadre, così come le traduzioni dal tedesco) la prima volta che esso occorre. Inversamente, ho tradotto narrative con ‘narrazione’, evitando di usare l’anglicismo ‘narrativa’, invalso come termine tecnico (mentre l’uso di Hanegraaff è più plastico e aperto alle connotazioni). Pubblicato oiginalmente col titolo Religion and the Historical Imagination: Esoteric Tradition as Poetic Invention in C. Bochinger & J. Rüpke, in cooperation with E. Begemann (eds.), Dynamics of Religion: Past and Present, de Gruyter, Berlin 2017, pp. 3-34. 2 Wouter Jacobus Hanegraaff è Full professor di Storia della filosofia ermetica nell’Università di Amsterdam. È stato presidente della European Society for the Study of Western Esotericism (ESSWE) dal 2005 al 2013. Tra le sue opere più importanti: Esotericism and the Academy: Rejected Knowledge in Western Culture (Cambridge University Press 2012); Western Esotericism: A Guide for the Perplexed (Bloomsbury 2013); Dictionary of Gnosis and Western Esotericism, 2 voll. (Brill: Leiden 2005). 1 Mondi 1-2019 (April 2019): 3-31 – ISSN 2533-1450 // ISBN 978-88-6496-463-8 © 2019 by Gruppo Editoriale Bonanno. All rights reserved 3 ity tend to be remembered and have an impact on readers even if they are factually inaccurate, while narratives with a low degree of poeticity tend to be disregarded or forgotten even if they are factually accurate. Against this background, four influential historical ‘grand narratives’ are analyzed: (1) the Renaissance and predominantly Catholic story of ‘ancient wisdom’ through the ages; (2) its negative counterpart inspired by Protestant polemics, referred to as the story of ‘pagan error’ through the ages; (3) the Enlightenment story of progress through rational ‘Enlightenment’; and (4) its counterpart more congenial to Romantic sentiments, the story of a progressive ‘education of Humanity.’ Such imaginative narratives have a strong impact because they are able to engage the emotions, and hence we need to analyze how specific narratives afford specific economies of emotionality. Because religious grand narratives are the reflection of highly eclectic types of historiography, they need to be countered by an anti-eclectic historiography that does not sacrifice factuality to poeticity. And yet, it is at least as important for historians to accept the task of telling new ‘true stories’ about religion too: narratives that engage the imagination of their readers without sacrificing nuance, complexity, and factual accuracy. 4 Keywords: Imagination, Historicity, Poeticity, Ancient Wisdom Narrative, Paganism, Enlightment, Education of Humanity, Emotions, Grand Narratives L’anima non pensa mai senza un’immagine. (Aristotele, De Anima III.7. 431 a 16) Come recentemente argomentato da Lucia Traut e Annette Wilke, il concetto d’immaginazione è stato stranamente trascurato nei moderni studi religiosi, e dovrebbe essere riportato con urgenza allo status di parola chiave fondamentale per la nostra disciplina (Traut & Wilke 2015, 19, 60). Queste studiose hanno giustamente sottolineato come, sebbene gli studiosi della religione adoperino il termine molto frequente, e perfino nei titoli dei loro libri3, 1) esso tende ad essere trattato con una certa vaghezza, e senza 3 Il caso più noto è forse quello di Imagining Religion di Jonathan Z. Smith (Smith 1982). Altri esempi menzionati da Traut e Wilke sono Imagining India di Ronald Inden, la nozione di ‘patrie immaginate’ negli studi sulla diaspora, e le ‘comunità immaginate’ di Benedict Anderson (Traut & Wilke 2015: 19). Una ricerca veloce su Amazon per imagination/imagining e religion basta a dimostrare quanto spesso questa terminologia venga usata nei titoli delle opere accademiche sulla religione. troppa riflessione teorica4, 2) a oggi, non vi è in atto nessun dibattito teorico generale sull’immaginazione, la sua natura, o sulla sua importanza relativamente alle dimensioni storica, sociale, discorsiva e cognitiva della religione. Non troviamo alcuna voce ‘immaginazione’ in opere di riferimento generali come Critical Terms for Religious Studies di Mark C. Taylor (1998), o Guide to the Study of Religion di Willi Braun e Russell T. McCutcheon’s (2000); il tema non è oggetto di discussione nei New Approaches to the Study of Religion di Peter Antes, Armin Geertz e Randi Warne’s (2005); ancora, esso non riveste un ruolo significativo nel più recente panorama di Michael Stausberg Contemporary Theories of Religion (2009), ed è assente dalla lista di voci dell’Oxford Handbook for the Study of Religion curato dallo stesso Strausberg con Steve Engler (2016). Con ogni evidenza, i moderni studiosi della religione vedono l’immaginazione come un non-problema. 1. L’immaginazione, tra guardiani e critici In questo articolo, argomenterò in favore dell’idea che l’immaginazione debba essere promossa al rango di istanza fondamentale negli studi sulla religione. Per illustrarne l’importanza, gettiamo anzitutto un rapido sguardo alla principale opposizione teorica e metodologica tra gli studiosi “religionisti” e i loro critici. Per ‘religionisti’ io intendo gli studiosi della religione che si inseriscono nella tradizione di Mircea Eliade e altri intellettuali storicamente affiliati al circolo di Eranos (Hanegraaff 2012: 277314); quando parlo dei loro critici, intendo invece studiosi moderni associati con organizzazioni come la North American Association for the Study of Religion (NAASR), o riviste come Method and Theory in the Study of Religion. I loro approcci fondamentali sono in ultima analisi incompatibili, ma entrambi sono molto influenti sia per gli studi religiosi che per la comprensione popolare dei fenomeni religiosi – specialmente negli Stati Uniti. Com’è ben noto, i religionisti (i principali “guardiani” accademici della religione, secondo la nota terminologia di McCutcheon 2011) tendono a pensare in termini di archetipi mitici, simboli universali, o a un mundus imaginalis, e tutto il loro apparato concettuale Naturalmente, ci sono delle eccezioni. V. p. es. Herdt, Stephen (1989), Shulman (2012), Pezzoli-Olgiati (2015), Wolfson (1994, 2011, 2014). Cfr. infra n. 7. 4 5 6 riposa sulla considerazione altamente positiva dell’immaginazione come facoltà conoscitiva che ci permette di comprendere profonde realtà spirituali che sono al di là della portata della mera razionalità o dell’esperienza sensoriale ordinaria. In breve, essi assumono che l’immaginazione religiosa sia noetica, giacché in qualche modo essa ci pone in contatto con i livelli ultimi o più profondi della realtà. In netto contrasto, gli studiosi moderni della tradizione critica tipicamente vogliono dimostrare – o si limitano ad assumere implicitamente – che dei, angeli, demoni, o qualsiasi altra entità spirituale, ovviamente non sono reali, ed esistono solo nell’immaginazione degli uomini. Per loro, il compito dello studioso consiste nello squarciare velo delle illusioni e delle fantasie immaginative, per giungere alle realtà più fondamentali – sociali, psicologiche, discorsive o politiche – che spiegano per davvero la religione. Insomma, essi credono che l’immaginazione religiosa non sia noetica ma ingannevole: ci impedisce di percepire la realtà. Per quanto gli studiosi della tradizione critica sono in disaccordo coi religionisti su come l’immaginazione possa essere costituita e valutata nel contesto della religione, ci si aspetterebbe da loro che concordino almeno sulla sua importanza. Dopotutto, se l’immaginazione funziona così bene nel gettare nella confusione i credenti sulla vera natura della realtà e li fa credere in cose che non esistono, non dovrebbero allora cercare di analizzare questo fenomeno un po’ più in profondità? Come abbiamo già detto, però, questa aspettativa non è confermata dalla pratica. Si tratta di un fatto notevole, giacché suggerisce che, per quanto gli studiosi critici si ritengano ben inseriti in una tradizione razionalista e secolarizzata, potrebbero non esser consci fino in fondo del ruolo centrale che l’immaginazione ha giocato nel progetto filosofico dell’Illuminismo, da Thomas Hobbes e David Hume fino a Immanuel Kant. Come Mary Warnock ha specificato nella sua analisi ormai classica di questo dibattito, Kant dovette trarre la conclusione che Senza immaginazione, non potremmo mai applicare concetti all’esperienza sensoriale. Laddove una vita completamente sensoriale non avrebbe alcuna regolarità o organizzazione, una vita puramente intellettuale non avrebbe alcun contenuto reale. E questo significa che, privati dei sensi o dell’intelletto, non potremmo esperire il mondo come lo esperiamo. I due elementi non sono automaticamente connessi tra loro nelle loro funzioni. Hanno bisogno di un elemento ulteriore per connetterli. Questo elemento di connessione è l’immaginazione (…) (Warnock 1976: 30).5 Le fondamenta intellettuali per questa conclusione si possono trovare già in Hobbes e Hume. Fu dunque l’Illuminismo (e non il Romanticismo, come spesso viene assunto: cfr. Engell 1981) che scoprì l’immaginazione come facoltà della mente che è cruciale per la nostra stessa capacità di apprensione della realtà e di portare ordine al caos delle impressioni sensoriali (Engell 1981: 3-10). Per quanto io ne so, queste conclusioni non sono mai state confutate6. Ciò che avvenne, piuttosto, è che esse furono espanse, reinterpretate, e condotte verso direzioni completamente nuove da pensatori romantici come Schelling, Wordsworth e specialmente Coleridge, il quale compì la famosa distinzione tra la ‘immaginazione primaria’ attraverso la quale percepiamo il mondo intorno a noi e la ‘immaginazione secondaria’ che è centrale per l’attività artistica e la definizione del genio (Warnock 1976: 66-130, 1994: 22.44). Come risultato di questo sviluppo, siamo giunti ad assumere, in modo sbagliato, che l’immaginazione si pone in contrasto con la razionalità proprio come il Romanticismo si pone in contrasto con l’Illuminismo. Ma io mostrerò, invece, che se i religionisti prendono ispirazione dalla speculazione romantica sull’immaginazione secondaria e sui suoi poteri creativi simili a quelli divini7, gli 5 Questo non significa negare che Kant vedeva il ruolo dell’immaginazione nella cognizione umana come un grosso problema. Sui suoi tentativi ambivalenti di minimizzarne e oscurarne l’importanza tra la prima e la seconda edizione della Critica della ragion pura, e sulle differenze significative nel modo in cui discute dell’immaginazione nelle opere empiriche e in quelle critiche, v. Böhme & Böhme (1983: 231-250), Kneller (2007: capp. 1, 5), e cfr. Wolfson (2014: 1-2 n.3) per riferimenti ulteriori. 6 V. p. es. Clark (2013: 197-199). 7 Forse in parte per ragioni calviniste, le oscure meditazioni di Coleridge sull’immaginazione hanno ricevuto parecchie attenzioni soprattutto dagli studiosi britannici. Sarei d’accordo con Mary Warnock che, sebbene la teoria romantica dell’immaginazione sia certamente di grande importanza culturale e storica, da un punto di vista più tecnico e filosofico essa è di gran lunga inferiore a quella delle tradizioni kantiana e dell’empirismo inglese. Come Warnock ha notato, con un sottile tocco d’ironia, “invece che argomenti, ci vengono presentate affermazioni ripetute, oscure, ombrose e forse profonde. La ragione di questo cambiamento, questo tremendo deterioramento del clima razionale, 7 8 studiosi della tradizione critica dovrebbero rendersi più familiari almeno con gli argomenti illuministici sull’immaginazione primaria e il suo ruolo centrale nella cognizione umana. Ciò che possiamo imparare da Hume e Kant è che l’immaginazione è la prima realtà delle nostre vite mentali di animali pensanti. È solo per mezzo della nostra facoltà immaginativa che siamo capaci di avere a che fare con ‘concetti’ ed ‘idee’. Il mistero, per Kant, era proprio come l’immaginazione compisse questa sorta di miracolo, ed egli morì senza risolverlo: la chiamava “un’arte celata nel profondo dell’anima umana, il cui vero maneggio noi difficilmente strapperemo mai alla natura per esporlo scopertamente innanzi agli occhi” (Kant 1787 B, 180-181 [trad. it.: 194], Warnock 1976: 32). Questa potrebbe essere una posizione disfattista, vista almeno dalla prospettiva presente, giacché sembrerebbe che gli scienziati cognitivi stiano oggi riscoprendo i fondamentali che furono dapprima svelati da Hobbes, Hume e Kant. Nella loro opera innovativa sul conceptual blending, Gilles Fauconnier e Mark Turner osservano che gli studi cognitivi sono stati a lungo fuorviati dall’insistenza dei filosofi analitici del ventesimo secolo sul fatto che i pensieri figurati dovessero essere esclusi dal nucleo centrale del significato. Ciò li rese ciechi al fatto che, in effetti, “le operazioni immaginative di costruzione del significato (…) lavorano a velocità altissima, al di sotto del livello della coscienza” (Fauconnier & Turner 2002: 15). La loro conclusione è radicale, e io voglio sottolinearla nel modo più evidente: Il prossimo passo nello studio della mente è lo studio scientifico della natura e dei meccanismi dell’immaginazione. (Fauconnier & Turner 2002: 8) Se Fauconnier e Turner hanno ragione, allora è evidentemente è che la netta distinzione che Kant aveva tracciato tra ciò che si può e ciò che non si può conoscere, tra il pensiero legittimo e la speculazione metafisica, impossibile e vuota, era stata buttata dalla finestra.” (Warnock 1976: 63-64). Per una discussione affascinante sul modo in cui la concezione dell’immaginazione da parte di Coleridge cerchi di superare l’agnosticismo metodologico per creare il fondamento di un nuovo tipo di “religione romantica” esemplificato dalla sofisticata filosofia esoterica di Owen Barfield, v. Reilly (2006). Incidentalmente, la fondamentale influenza di Barfield su Tolkien, la cui notissima teoria sui mondi magici ha i medesimi fondamenti, rende questa filiazione importante per le ricerche di Markus Altena Davidsen sulla religione fiction-based nel circolo spirituale degli adepti di Tolkien (Davidsen 2014). tempo che noi, come studiosi della religione, ci applichiamo seriamente a far diventare l’immaginazione un termine chiave anche nella nostra disciplina8. 2. L’immaginazione storica come oggetto di ricerca L’immaginazione è ovviamente argomento vastissimo, con svariate applicazioni potenziali allo studio della religione e ad altri dominî culturali (cfr. Brann 1991). In quest’articolo io andrò ad esplorare soltanto una delle possibili strade: quella dell’immaginazione storica come oggetto di ricerca (e non, dunque, come fattore nella ricerca storica, per quanto anche questo tema sia importante e interessante)9. Mi preoccuperò soltanto di come gli attori religiosi immaginano la storia – questione che, come vedremo, è inseparabile da quella del come essi vi trovino un significato. Costruendo a partire dalla tradizione argomentativa di Hume e Kant, Mary Warnock ha spiegato com’è che “senza immaginazione non potremmo avere idea di passato, presente e futuro (Warnock 1994: 88): cioè, nessuna idea della continuità nel tempo. Noi diamo significato a tale continuità volgendo la successione degli eventi in una storia, una narrazione con una trama. Tuttavia, questa operazione è una semplificazione estremamente selettiva, che fa inevitabilmente violenza all’infinita complessità degli eventi storici. Inoltre, laddove ogni storia ha un inizio, uno svolgimento, una fine, la Storia è diversa nel fatto che tutti ci troviamo nel bel mezzo di uno svolgimento, e non conosciamo la fine (Warnock 1994: 108). Ciò che mi interessa, in questo contributo, non è la storia in sé, ma gli attori religiosi che trasformano la Storia in una storia, o sovrappongono una storia alla Storia. Per un’applicazione pionieristica del conceptual blending al corpus di Nag Hammadi, v. Lundhaug (2010) e cfr. Davidsen (2016). 9 La ‘immaginazione storica’ è all’ordine del giorno per il metodo storico e la filosofia della storia almeno dalla classica Metahistory di Hayden White (1973), e presumibilmente già dal lavoro di R. G. Collingwood dopo la seconda guerra mondiale. La relazione tra finzionalità e storicità è stata oggetto di dibattito vigoroso in riviste specializzate e media popolari; e seppure queste discussioni accalorate potrebbero aver “prodotto più fumo che luce” (come notato da Ann Rigney, Imperfect Histories, 2001: 5), se non altro l’importanza della faccenda è generalmente compresa dagli storici. 8 9 10 Queste storie sono prodotti dell’immaginazione storica e, più in particolare, della memoria storica. La memoria è generalmente considerata una sottoclasse dell’immaginazione, in quanto ci permette di figurare ciò che non è più o ciò che non stiamo più sperimentando. Proprio come il nostro senso individuale dell’identità dipende da come ricordiamo la nostra vita (se perdiamo la memoria, noi non sappiamo più – letteralmente – chi siamo), così il nostro senso dell’identità collettiva dipende da come ricordiamo la nostra storia comune. Tuttavia, la nostra memoria non è una lastra fotografica. Come altre forme d’immaginazione, è una facoltà attiva che ricrea continuamente il passato con lo stesso processo con cui lo preserva. Proprio come percepiamo il mondo “là fuori” solo attraverso il medium della nostra immaginazione, allo stesso modo percepiamo la storia “di allora” solo attraverso il medium della nostra memoria individuale e collettiva. In entrambe le situazioni, il medium ci porta a vedere cose che esibiscono gradi molto variabili di corrispondenza accurata rispetto alle realtà “là fuori” o “di allora”. Ciò mi conduce al concetto di Gedächtnisgeschichte, o mnemo-storia, elaborato da Jan Assmann (Assmann 1992; 1997: 6-22; 2000). Per spiegare il modo in cui io lo intendo – e che è in qualche modo differente da quello di Assmann medesimo (Hanegraaff 2007: 112; 2012: 375-378) – fatemi iniziare con un esempio concreto. L’umanista cinquecentesco Cornelio Agrippa (14861535-36) è stato ricordato per varie generazioni come un esperto di magia nera in rapporti con il diavolo, e, tra l’altro, ciò fece sì ch’egli divenisse un modello per la figura del Faust nella famosa tragedia di Goethe. Di fatto, però, gli specialisti sanno che Agrippa era non solo uno scettico in filosofia, ma un credente davvero pio, che vedeva la fede incrollabile nel Cristo come l’unica fonte affidabile di vera conoscenza e salvezza (van der Poel 1997). A prima vista, potremmo essere tentati di pensare a queste immagini opposte come l’“Agrippa dell’immaginazione” contro l’ “Agrippa della storia”, ma ciò sarebbe corretto solo in un senso piuttosto rozzo e impreciso. Più accurato è dire che laddove ogni immagine di Agrippa esiste solo nella nostra immaginazione storica, l’Agrippa della magia nera mostra un grado relativamente alto di non-fattualità, mentre l’Agrippa scettico e credente cristiano mostra un grado relativamente alto di fattualità. Fattualità e non fattualità possono esser viste come polarità teoriche tra le quali una narrazione può esser posta: Immaginazione storica “cristiano devoto” “esperto di magia nera” Fattualità----------------------------------------------------------Non-fattualità Fig. 1 Il fatto preoccupante dalla prospettiva dello storico è che l’Agrippa che viene tendenzialmente ricordato è quello relativamente non-fattuale, per la semplice ragione che si tratta di una bella storia – una storia che mostra un grado relativamente alto di poeticità10. Per contrasto, l’Agrippa (relativamente) storico tende ad esser dimenticato perché la sua storia presenta un grado relativamente basso di poeticità. Il suo ricordo è preservato tipicamente solo da storici specialisti, che scrivono per un ridotto pubblico accademico. Ho scelto quest’esempio per illustrare il concetto di mnemo-storia, che potrebbe esser definito come “la storia di come noi ricordiamo il passato” in quanto opposta alla storia di “cosa è davvero successo nel passato”. La pertinenza di questa distinzione sta nel fatto che essa è in ultima analisi fondata sulla paradossalità inerente all’immaginazione – una caratteristica profondamente destabilizzante, che va al cuore di ciò a cui l’immaginazione serve, e potrebbe essere la ragione principale per cui i filosofi tendono a ritenerla così problematica11. L’immaginazione non ci mostra mai il mondo “là fuori” o “di allora” altrimenti se non creandolo per noi nella nostra mente, il che è solo un altro modo per dire che ci mostra le cose solo ingannandoci su di esse, o le rivela solo celandole al nostro sguardo. Ora, se ci concentriamo su un solo corno del dilemma e poniamo attenzione al lato ingannevole della immaginazione storica, questo ci ispirerà a fare un buco nel velo delle fantasie storiche per 10 Sono grato a Markus Altena Davidsen per avermi convinto della necessità di scindere la mia vecchia nozione di finzionalità in due componenti. Come mi ha fatto notare, finzionalità può significare tanto non-fattualità che poeticità (cioè quelle caratteristiche che sono necessarie per fare una “buona storia”), e bisogna distinguere le due cose perché “la fattualità conduce l’immaginazione storica verso la referenzialità/accuratezza assoluta, ma la poeticità non conduce verso un’assoluta non referenzialità/non fattualità” (Davidsen, comunicazione personale, 7 novembre 2015). 11 Per trovare analisi particolarmente profonde e complesse dell’immaginazione religiosa e della sua inerente paradossalità, v. l’opera di Elliott Wolfson, p. es. Wolfson (1994: 204-214 e passim; 2011: 109-142 e passim; 2014: 1-13 e passim). 11 12 scoprire (per usare le parole famose di Leopold von Ranke) wie es eigentlich gewesen, come le cose sono andate davvero. Questo è il progetto post-illuministico della critica storica classica, o storiografia critica, che si concentra sull’investigare le fonti primarie con meticoloso dettaglio ed è forzata a concludere (se ci atteniamo al nostro esempio) che Agrippa non faceva affatto magia nera, ma era un filosofo scettico e un cristiano devoto. Qui abbiamo a che fare con la funzione classica della storiografia come strumento di Entmythologisierung [“demitizzazione”]. Non potrò mai sottolineare abbastanza come, a mio avviso, una tale storiografia critica sia indispensabile come fondamento di qualsiasi progetto serio di ricerca storica, nel campo religioso come in qualunque altro. Senza di essa, costruiamo case sulla sabbia. Ma per quanto sia essenziale, essa è strutturalmente incompleta: deve essere completata dalla pratica della mnemo-storia, o, più precisamente, mnemo-storiografia (Hanegraaff 2012: 375-376). Qui siamo alle prese con l’altro corno del dilemma. È vero che l’immaginazione (come la memoria) è alla fine ingannevole: ma è, comunque, anche rivelatrice, giacché è soltanto attraverso questi inganni che possiamo arrivare a un’apprensione della realtà! L’immaginazione ci dischiude il mondo nella forma di invenzioni creative che devono essere studiati per se; e questo è vero per il mondo delle realtà “la fuori” come per quello delle realtà “di allora”. Ma forse più importante di tutto è il fatto che sarebbe ingenuo assumere che i prodotti creativi dell’immaginazione storica semplicemente si staglino contro i fatti oggettivi della storia – al contrario, essi trovano posto tra questi fatti, e possono essere studiati come tali. Per ritornare al nostro esempio: le svariate distorsioni, travisamenti e invenzioni creative su Agrippa (insomma: tutto ciò – vero o falso – che concerne il modo in cui Agrippa è stato percepito) sono assolutamente parte di wie es eigentlich gewesen [“come sono andate le cose”]. Si potrebbe persino dire che, fin dove è in questione l’impatto storico di Agrippa, queste fantasie sono alla fine più pertinenti e importanti della sua “vera” identità, conosciuta solo da un pugno di specialisti. Per riassumere, la mnemo-storia si concentra su Agrippa in quanto immaginato e ricordato. Conseguentemente, un’analisi mnemo-storiografica di Agrippa descriverà con dettaglio meticoloso come la catena di ricostruzioni immaginative si è sviluppata nel tempo. Laddove Jan Assmann sembra pensare alla mnemo-storia come direzione di ricerca indipendente, io insisterei sull’idea che storia e mnemo-storia devono sempre esser praticate in interazione dialettica. 3. Esempio 1: La storia della sapienza antica Nel resto di questo articolo, mi concentrerò sul ruolo dell’immaginazione storica nel mio campo di specializzazione, l’esoterismo occidentale. Ciò che m’interessa è la longue durée di una serie di correnti storiche, idee e pratiche dalla tarda antichità ad oggi, che condividono una cosa: il semplice fatto che furono screditate e marginalizzate nella ricerca dotta e accademica dall’Illuminismo in poi, per confluire quindi in una sorta di terra di nessuno al di là delle discipline accademiche accreditate. In altre parole, come ho cercato di spiegare altrove (Hanegraaff 2012), i materiali che oggi noi poniamo sotto la rubrica di ‘Esoterismo occidentale’ possono essere caratterizzati come le vittime storiche del discorso dell’Illuminismo: rappresentano tutto ciò (p. es. ‘magia’, ‘filosofia occulta’, ‘superstizione’, ‘irrazionale’ o anche semplicemente ‘stupidità’) che le élites intellettuali e l’accademia nascente percepirono come incompatibili con i propri programmi di scienza moderna e razionalità e contro cui definirono la propria identità. Ciò significa che il campo può essere definito l’Altro polemico dell’Illuminismo, perché sta per l’insieme totale della conoscenza screditata o rifiutata che i pensatori illuministi sentirono di dover marginalizzare, nell’interesse della scienza moderna, della ragione e del progresso. Questo tipo di programma venne espresso con particolare chiarezza nella Storia della filosofia da quel pioniere dell’Illuminismo – oggi dimenticato – che fu Christoph August Heumann. Nei suoi Acta Philosophorum (la primissima rivista professionale dedicata alla storia della filosofia) egli scrisse nel 1715 che tutte queste finte filosofie, o pseudo-filosofie, andavano gettate “nel mare dell’oblio” (das Meer der Vergangnheit) per esser dimenticate per sempre. Seguendo una logica argomentativa di tipo distruttivo che ricorda quella dell’attacco recente del sedicente ‘Stato Islamico’ a Palmira e ad altri monumenti dell’antichità pagana (Hanegraaff 2015), egli argomentò che nessuna fonte documentaria di tali “superstiziose idiozie” dovesse essere preservata in librerie o archivi. Il loro semplice ricordo avrebbe dovuto essere cancellato dalla coscienza collettiva (Heumann 13 14 1715: 209-211; v. Hanegraaff 2012: 132-133). Questo paragone con la tragedia culturale umana che si svolge oggi in Medio Oriente non è casuale, ma basato su un parallelo reale: queste polemiche illuministiche vennero costruite a partire dalla lotta delle religioni monoteiste (in particolare il Cristianesimo, e ancor più in particolare il Protestantesimo) con il precedente complesso ellenistico di una religione generalmente platonizzante e di una filosofia cui ci si potrebbe convenientemente riferire col nome di paganesimo, e che era intesa come profondamente infetta dall’idolatria (cfr. Hanegraaff 2005; 2007). Per i pensatori protestanti, in particolare, in modo fin troppo simile a come lo ‘Stato Islamico’ guarda alle rimanenze pagane, tali tradizioni venivano dal demonio, e andavano distrutte. Più specificamente, e in modo più fondamentale per l’argomento che sto sviluppando, la polemica illuminista era una riformulazione secolarizzata dell’attacco condotto dai protestanti, nella prima modernità, contro una narrazione storica molto influente che possiamo definire come orientalismo platonico (Walbridge 2011; Hanegraaff 2012: 12-17)12. Abbiamo a che fare qui con una narrazione storica estremamente potente, operativa nella coscienza occidentale sin dalla Patristica, e che venne formulata in termini espliciti durante il Rinascimento italiano. Qui essa mi servirà come primo esempio della immaginazione storica poetizzante e della costruzione della memoria culturale. Nel seguito, cercherò deliberatamente di non presentarla come un argomento su eventi storici, ma come una storia (per favore, leggete la nota prima di continuare)13. 12 Naturalmente, questa terminologia non può non evocare associazioni nella mente dei lettori (o precisamente, nella loro immaginazione!) con Edward Said e la teoria postcoloniale, ma per i miei scopi presenti converrà tenere tali associazioni tra parentesi. A mio avviso, l’Orientalismo di Said andrebbe interpretato come un sottoinsieme ottocentesco di un fenomeno storico ben più ampio, in cui l’Orientalismo platonico svolse un ruolo molto importante; ma discutere ciò mi porterebbe molto oltre l’ambito di quest’articolo. 13 A questo punto, mi trovo a fare i conti con i limiti inerenti a un format accademico abituale. Questo articolo è basato su una lezione plenaria che ho fatto al Congresso dell’Associazione Internazionale per la Storia della Religione, a Erfurt, in Germania, il 25 agosto del 2015. Dopo aver invitato il mio pubblico a “rilassarsi e a godersi la storia”, ho deliberatamente abbandonato il tono di voce “neutrale” che è consono a una conferenza accademica, e ho provato a fare del mio meglio per assumere il tono drammatizzante di un cantastorie (provando per esempio a imitare, qua e là, la voce di Galadriel all’inizio del Signore degli C’era una volta, nei giorni antichi molto prima della nascita del Cristianesimo, la Luce della vera saggezza spirituale, che iniziò a splendere ad Oriente. Alcuni dicono che iniziò tutto in Egitto, con Ermete Trismegisto; altri dicono che iniziò con Zoroastro in Persia; altri ancora dicono che iniziò con Mosé, tra gli ebrei. Ma dovunque quest’inizio sia avvenuto, la sua vera fonte fu Dio stesso, che fece nascere la Luce della sapienza nell’oscurità dell’ignoranza umana. La Luce iniziò allora a diffondersi, portata attraverso le generazioni da una lunga serie di maestri divinamente ispirati, e raggiunse infine Platone e la sua scuola, ad Atene. Ora, Platone era molto più di un filosofo razionale: era un maestro di sapienza, ispirato dalla divinità. I suoi dialoghi non presentano alcun messaggio nuovo e originale: essi si limitano a riformulare la religione antica e universale della Verità e della Luce spirituali. Da allora in poi, la vera sapienza fu portata avanti da una serie di maestri e filosofi platonici, e questa tradizione ebbe finalmente culmine nella religione di Gesù Cristo. Quando il Cristianesimo iniziò a conquistare il mondo, ciò sarebbe dovuto essere il glorioso compimento dell’antica rivelazione divina. Tuttavia avvenne qualcosa di terribilmente sbagliato. Il messaggio cristiano fu pervertito e mal compreso Con il trionfo della Chiesa sui propri nemici, i cristiani furono progressivamente accecati dal potere e dalla ricerca dei piaceri mondani. E così, per la loro impurità, lentamente iniziano a perdere contatto col nucleo antico di ogni vera religione. Non comprendevano più che il vangelo voleva essere il culmine e il compimento della sapienza pagana. Invece, iniziarono a vedere tutti i pagani come loro nemici mortali – idolatri e adoratori di demoni, pericolosi agenti delle tenebre che dovevano essere annientati in nome di Dio. Gli stessi filosofi platonici, e i loro antichi predecessori orientali (coloro che furono i primi portatori di Luce) furono a quel punto percepiti invece come maestri delle arti oscure. E così accadde che la sapienza antica declinò e la sua vera natura fu dimenticata. Venne un tempo in cui gli stessi capi della Chiesa si abbassarono al livello di criminali comuni, e la stessa istituzione della Chiesa era diventata imbarazzante per tutti i veri cristiani. Fu in questo momento più oscuro della storia, quando tutto sembrava perduto, che Dio stesso intervenne, e dopo la lunga oscurità dell’inverno, giunse una nuova primavera. Per l’agire misterioso della Divina Provvidenza, i manoscritti di Platone e degli antichi maestri della sapienza orientale furono riscoperti e riportati alla luce. Viaggiarono fino all’Italia, il cuore della Chiesa, e furono tradotte in latino e nelle lingue volgari. Proprio quando c’era più bisogno di esse, grazie al miracolo della stampa, tutte le fonti della sapienza antica potevano ora esser lette e studiate da moltisAnelli di Peter Jackson). Ho accompagnato la storia con una serie elaborata di slides di PowerPoint, che erano solo immagini. Chi legge quest’articolo è gentilmente invitato a provare a leggere la storia in un modo simile. 15 sime persone, più di quanto fosse anche soltanto immaginabile in ogni tempo passato. E così fu che in quell’oscurissimo momento di declino e dimenticanza, Dio ricordò all’umanità le vere fonti della Sapienza, della Verità, e della Luce. Certamente questo è l’inizio di una nuova Riforma che purgherà la Chiesa dai suoi errori e inaugurerà una nuova Età dello Spirito. Contempliamo il ritorno dei Tempi d’Oro! 16 Questo è in sostanza la storia che umanisti italiani come Marsilio Ficino, e tanti suoi discepoli, raccontavano a sé stessi e ai loro lettori verso la fine del quindicesimo secolo (Hanegraaff 2012: 5-53). È fondamentale per il mio argomento essere chiari rispetto al forte appello drammatico ed emotivo di cui è capace una narrazione storica come questa – specialmente se non è raccontata con un atteggiamento di distanza accademica e ironica, ma con la forza morale e l’impegno di un narratore che mostra la propria simpatia per i “portatori di luce” e il loro viaggio attraverso la storia. Nel discutere queste narrazioni come studiosi, talvolta rischiamo di dimenticarci che non abbiamo a che fare soltanto con una teoria, una dottrina teologica, o un argomento intellettuale sulla storia – insomma, con qualcosa che si adegua perfettamente alle nostre preferenze sull’ordine del discorso accademico. La narrazione potrebbe contenere, o riferirsi a, tutti questi elementi; ma al suo livello fondamentale abbiamo a che fare con una storia fatta per parlare direttamente all’immaginazione e scatenare emozioni. Insisto sul fatto che questa non è un’osservazione banale. Il nucleo narrativo della Sapienza Antica ha un impatto molto forte sull’immaginazione storica degli intellettuali-tipo dal quindicesimo fino (almeno) al diciottesimo secolo e, dopo il suo declino nel discorso accademico mainstream, ha continuato ad averlo in ambienti esoterici fino ad oggi. Il suo notevole potere di influenzare il discorso non può certo essere spiegato solo con argomenti razionali o con le prove storiche che i suoi difensori hanno provato a produrre in suo favore. In primo luogo e soprattutto, quel potere sta nel fatto che si tratta di una buona storia, che fa appello all’immaginazione e scatena le emozioni. La sua poeticità è fondamentale per comprenderne l’attrattiva. Ma cos’è dunque che rende questa una buona storia? O, detto in modo più tecnico, quali sono le principali affordances (Davidsen 2014: 96-104) [cioè i caratteri “afferrabili” che vengono offerti alla percezione/comprensione] che rendono possibile, o senz’altro probabile, che una storia sulla Sapienza Antica fatta in questo modo possa essere accettata dai lettori come plausibile e persuasiva? Dovremmo qui distinguere tra plausibilità religiosa e storica. Se ci riferiamo a questo esempio, se i lettori lo trovano plausibile da un punto di vista religioso ciò significa che essi assumono che la Luce spirituale è reale e preziosa, laddove se lo trovano plausibile da un punto di vista storico significa che essi sono propensi ad assumere che gli eventi sono accaduti in fondo nel modo in cui la storia ci racconta che sono accaduti. Mentre vi è un ordine logico tra i due (la Luce potrebbe esistere senza quella storia, ma quella storia non potrebbe esistere senza la Luce), mi sembra che la plausibilità della storia in oggetto dal punto di vista religioso non dipenda da quella dal punto di vista storico (non si assume che vi è una Luce spirituale a partire dal fatto che gli eventi sono accaduti in un certo modo), né che al contrario la plausibilità storica dipenda da quella religiosa (non si assume che le cose siano andate così perché c’è una Luce spirituale). Piuttosto, sembrerebbe che la plausibilità religiosa tanto quanto quella storica dipendano dal potere della storia in quanto tale: uno è disposto ad assumere che vi è una Luce spirituale, e che è stata portata avanti attraverso la Storia, semplicemente perché quella storia ha una tale attrattiva. E allora perché ce l’ha? Questa è domanda cui si dovrebbe infine rispondere in sede di psicologia umana fondamentale; e per rispondere, avremmo bisogno di una psicologia empirica dell’immaginazione, delle emozioni, e della loro mutua interazione. Fin dove arrivo a comprendere, la storia dell’Antica Sapienza ha due affordances principali relative alla sua plausibilità religiosa e storica, le quali dovrebbero essere al centro di una tale analisi psicologica: 1. è caratterizzata da un chiaro dualismo etico, formulato non tanto nella terminologia (astratta, e sempre questionabile) del ‘bene’ contro il ‘male’, ma raffigurato icasticamente come battaglia della Luce contro le Tenebre. Se la una tale storia funziona nel coinvolgere i suoi lettori, essi si identificheranno con i portatori della luce che hanno combattuto così duramente per tener viva la vera conoscenza, e proveranno emozioni negative (tristezza, diffidenza, rabbia) nei confronti delle forze dell’oscurità e dell’ignoranza. 2. Gli eventi storici che si verificano uno dopo l’altro sono inseriti nella cornice complessiva di un viaggio o avventura attraverso la Storia, in cui i protagonisti subiscono 17 ogni tipo di battute d’arresto, ma sperimentano anche inaspettati momenti di salvezza. Se questa storia ci “cattura”, allora siamo felici di osservare i saggi che portano la Luce e la consegnano ai loro successori di generazione in generazione; siamo scioccati, delusi e preoccupati quando la missione viene tradita da coloro che dovrebbero meglio conoscerne i fini; inorridiamo dinanzi alla cecità di coloro che si oppongono alla Luce; sentiamo di voler correre in aiuto dei portatori di luce che sono così ingiustamente accusati; ci sentiamo davvero sollevati dell’arrivo di un aiuto dall’alto; e siamo ispirati dalla speranza che le forze dell’oscurità e dell’ignoranza non avranno l’ultima parola, ma sarà la Luce a prevalere. 4. Esempio 2: La storia dell’errore pagano 18 Fornite queste indicazioni, andiamo ora a un secondo esempio dell’immaginazione storica poetizzante e della costruzione di una memoria culturale. Contro la narrazione rinascimentale della Sapienza Pagana troviamo una contro-narrazione, anch’essa influente, dell’Errore Pagano. Essa ebbe origine tra i cattolici romani critici del platonismo, come Giovan Battista Pico della Mirandola, e tra i polemisti contro la stregoneria, come Johann Weyer; prese slancio con gli intellettuali controriformisti come Giovanni Battista Crispo, e divenne fondamentale per l’attacco frontale sferrato dai protestanti all’Orientalismo platonico nel diciassettesimo e diciottesimo secolo (Hanegraaff 2012: 77-152). L’essenziale della trama è come segue (e, ancora una volta, vi aiuterà cercare di immaginarla in modo il più possibile drammatico): Lungi dall’essere maestri di sapienza, i saggi pagani dell’oriente antico (Zoroastro, Ermes, Pitagora, Platone e i suoi seguaci) erano maestri delle tenebre. Erano alleati con demoni malvagi, falsi dèi dei pagani, che gli avevano insegnato arti magiche e si facevano adorare in orrendi riti idolatrici. Lungi dall’essere un profeta della sapienza egizia, Mosé fu scelto per liberare il popolo ebraico dalle tenebre del paganesimo egizio. La vera religione del Dio Unico ebbe inizio con lui, e in fine sfociò nel Cristianesimo. Tuttavia [proprio come accade nella narrazione della Sapienza Antica], a un certo punto qualcosa andò terribilmente male. Nei loro sforzi di spiegare il Vangelo in termini dottrinali, i Padri della Chiesa iniziarono a fare uso della cosiddetta filosofia di Platone. Sedotti dall’eloquenza dei platonici, che sapevano parlare in modo così bello di Dio come dell’Unica fonte dell’Essere da cui tutto è scaturito, non compresero che stavano permettendo al virus dell’Errore Pagano di infettare il messaggio cristiano; una religione dell’emanazione, che rifiutava la creazione dal nulla e minava la necessità della fede in Gesù Cristo suggerendo che ciascuno potesse trovare la verità in sé stesso. Così avvenne che il messaggio cristiano finì per essere avvelenato dagli errori pagani, che lentamente trasformarono la Chiesa di Cristo nella Chiesa dell’Anticristo. Comunque, in quel tempo di profondissime tenebre, quando la Chiesa era governata da criminali e per giunta i testi pagani originali circolavano come mai era accaduto prima, Dio mandò Martin Lutero a ricordare ai cristiani il vero messaggio e a purificare la Chiesa dai suoi errori pagani. Nella battaglia contro le gerarchie della Chiesa Cattolica Romana, i riformatori stavano combattendo in realtà le forze demoniache dell’oscurità, che erano riuscite a spegnere la luce del Vangelo e l’avevano sostituita con le false dottrine del paganesimo platonico e dell’oriente antico. Solo quando la Cristianità sarà emendata dall’oscurità dell’idolatria pagana la luce del Vangelo potrà trionfare. Chiaramente, la storia dei protestanti è un’immagine speculare perfetta di quell’altra. I maestri della luce sono diventati maestri delle tenebre; la cosiddetta sapienza pagana è esposta come errore pagano; la filosofia platonica non è la cura per la Cristianità ma la causa del suo declino; la riscoperta degli antichi manoscritti orientali e platonici nel Rinascimento italiano non è un intervento divino, ma un tentativo definitivo, da parte del demonio, di pervertire le menti dei cristiani; e la riforma della Chiesa non implica una riscoperta della sapienza pagana antica, ma, al contrario, necessita ch’essa sia distrutta per sempre. Anche questa è un’ottima storia. Per quanto posso distinguere, le sue affordances più importanti sono le medesime: un netto dualismo etico tra oscurità e luce, e la nozione di un viaggio o avventura attraverso la storia che ha molte battute d’arresto ma culmina in un lieto fine. La differenza tra le due storie risiede con ogni evidenza nella valutazione radicalmente opposta del paganesimo ellenistico in generale, e dell’Orientalismo platonico in particolare, ma anche nelle emozioni di base cui si fa appello (punto su cui ritornerò in seguito). La narrazione della Sapienza Antica e la contro-narrazione protestante si sono trasfigurate in una vasta gamma di narrazioni popolari, esoteriche o New Age, sull’antica tradizione della sapienza spirituale 19 20 portata avanti lungo le generazioni da portatori di luce o agenti della luce, maestri elevati o mahatma, che con pazienza continuano a tentare di svegliare gli uomini, per condurli alla ricerca della loro divinità interiore. Nel mondo dei fondamentalisti cristiani ed evangelici, d’altra parte, troviamo infinite variazioni della contro-narrazione protestante sulla battaglia contro le tremendamente reali forze demoniache dell’occulto. Ho cercato di dimostrare come simili storie o racconti – invenzioni cariche di emozione dell’immaginazione storica – possano essere in definitiva più fondamentali del discorso verbale per spiegare il funzionamento della religione. I miei critici potrebbero controbattere che è possibile intendere le formazioni immaginative come rientranti all’interno del dominio del discorso, ma io direi che è piuttosto il contrario: è il discorso umano che rientra nel più vasto dominio dell’immaginazione storica. I segni linguistici, la comunicazione verbale, e così via, sono integrati nel pensiero prelinguistico che opera attraverso immagini. Vediamo le cose, prima di iniziare a parlarne. Non raccontiamo storie su parole astratte o concetti, ma su come percepiamo la realtà nella nostra mente. Tale realtà può corrispondere o al mondo che presentemente ci circonda (il mondo “là fuori”) o al mondo ricordato del passato (il mondo “di allora”), ma in ognuno dei due casi noi percepiamo solo attraverso l’immaginazione. 5. Esempi 3 e 4: Le storie dell’illuminismo e dell’educazione dell’umanità Per ampliare il raggio dell’analisi, procederò con altri due esempi di immaginazione storica poeticizzante e di costruzione di memoria culturale. Il mio terzo esempio è la classica “grande narrazione” della razionalità e del processo scientifico che sostiene i progetti dell’Illuminismo e della Modernità. In modo interessante, essa si rivela essere un misto delle due narrazioni precedenti. È piuttosto nota, e procede così: Tanto tempo fa, nella Grecia antica, la luce della Ragione iniziò a splendere. Invece che credere ciecamente in favole immaginarie sugli dei, o di accettare i dettami di élites sacerdotali, i filosofi iniziarono a pensare per conto loro e a tirare le loro conclusioni dall’osservazione diretta del mondo fisico. Iniziarono a costruire una visione del mondo razionale in armonia con l’esperienza dei sensi. In questo modo, cercavano di liberare i loro fratelli umani dalle forze reazionarie dell’oscurantismo mistico, della superstizione magica e del pregiudizio religioso, insistendo sulla libera ricerca e sulla esigenza di una comprensione razionale. Grazie ai loro sforzi, la Luce della Ragione iniziò a diffondersi. Ma un nuovo potere religioso emerse per opporsi a loro: il Cristianesimo e il suo discorso di salvezza attraverso il solo Gesù Cristo, supportato da dottrine trinitarie irrazionali e assistito da una potente gerarchia sacerdotale dedita a sopprimere la libertà dello spirito umano. Il risultato fu una nuova Era dell’Oscurità, di ignoranza e superstizione, che durò per molti secoli. Solo con il ritorno rinascimentale allo studio dei classici la Ragione iniziò a rifarsi viva, e aiutata dalla Riforma segnò il suo successo nel rompere l’egemonia della Chiesa. Via via che gli scienziati iniziavano a scoprire le vere leggi della natura, dimostrando l’assurdità dei pregiudizi religiosi, la Ragione trionfò alfine sulla superstizione, e la libertà umana sul dispotismo. Furono allora create le fondamenta per una società migliore, di Illuminismo e Progresso. Contro le forze reazionarie del pregiudizio religioso e delle superstizioni magiche, la Ragione deve prevalere – e prevarrà. Attraverso l’educazione razionale, la mente umana può essere guarita dall’ignoranza e persuasa della verità. Alla fine sono solo la stupidità e la cecità verso la ragione e i fatti ad ostacolare la marcia in avanti della Scienza e della Ragione. Proprio come nella narrazione dell’Antica Sapienza, la luce è nata nell’antichità, ma subisce un serio declino per l’avvento del Cristianesimo, per essere ravvivata solo con la reviviscenza degli studi secolari (pagani) nel Rinascimento. Ma qui abbiamo ovviamente a che fare con la luce della ragione, non con la luce mistica della sapienza spirituale. Ugualmente, il diffondersi della luce è ostacolato e contrastato non da una forza maligna demoniaca, ma dal despotismo e dall’ignoranza umani, per non parlare della mera stupidità. Di nuovo, siamo alle prese un’ottima storia, che si affida per funzionare alle stesse affordances che abbiamo rilevato prima: un chiaro dualismo di luce e oscurità, una storia o avventura ricca di avvenimenti, che corre verso un auspicato lieto fine. È interessante il fatto che essa sia differente rispetto al mio quarto e ultimo esempio di immaginazione storica poetica e di costruzione della memoria culturale. Abbiamo visto che la narrazione, propria dell’Orientalismo platonico, sulla ‘sapienza pagana’ si oppone frontalmente alla contro-narrazione protestante del ‘paganesimo demoniaco’. In modo simile, contro la narrazione illuministica del ‘paganesimo razionale’ si staglia 21 una contro-narrazione romantica che punta su quello che si potrebbe chiamare un ‘paganesimo esoterico’ (cfr. Hanegraaff 2012: 260-277). La trama principale è questa qui: 22 La storia della coscienza umana inizia con l’innocenza dell’infanzia. L’umanità viveva ancora in uno stato di sogno, in unione intima con la Natura, sotto la guida benigna di caste sacerdotali di visionari e guaritori. La voce della divinità parlava direttamente all’umanità, attraverso un linguaggio primordiale poetico, fatto di immagini, simboli, segni e corrispondenze. Dottrine segrete venivano trasmesse alle élites spirituali attraverso iniziazioni misteriche e narrazioni mitiche. Questa sapienza orientale originale raggiunse il suo culmine in Egitto, ma fu attraverso il popolo d’Israele che la coscienza umana iniziò a progredire e crebbe dall’adolescenza alla maturità, per aver compimento con l’apparizione del Cristianesimo, religione universale assoluta. Grazie alla tradizione platonica, l’antica sapienza dell’Oriente si riversò armoniosamente nel cuore della dottrina cristiana. Il Medioevo, il tempo delle grandi cattedrali e del Sacro Romano Impero, fu la grande era dello splendore cristiano e dell’unità armoniosa. Ma il progresso e l’evoluzione spirituali avevano bisogno di sforzo e lotta per andare avanti, e così la mente umana doveva incontrare nuove sfide per progredire. L’unità della Cristianità fu scossa dall’avvento della Riforma, che condusse a un’era di individualismo e ricerca razionale. Le scienze naturali tentarono di squarciare il velo di Iside per scoprire i più intimi misteri della divinità, al punto che la coscienza umana divenne così distante e alienata dalle fonti della vera sapienza che i filosofi, e persino i teologi, iniziarono a dubitare della stessa esistenza di Dio. In ogni modo, l’evoluzione della coscienza umana si svolgeva attraverso la storia sotto la guida misteriosa della Divina Provvidenza, che sempre si curerà di riportare i suoi figli al giusto sentiero, anche se dovessero perderlo. Quando la mente umana raggiungerà la sua piena maturità, il Sé individuale sarà uno con il Sé dell’universo, e gli uomini sceglieranno in libertà di vivere in armonia con le leggi spirituali della divina sapienza. Per quanto questa narrazione adotti alcuni aspetti fondamentali della narrazione dell’Antica Sapienza dell’orientalismo platonico, la sua struttura è visibilmente molto differente da quelle che abbiamo visto finora. L’idea-base è evoluzionistica: ha a che fare con il progresso costante della coscienza umana come totalità, compreso (nei termini di Gotthold Ephraim Lessing) come “educazione della razza umana” (Lessing 1870) sotto la guida di una forza divina benigna che con pazienza la conduce verso la sua piena maturità. In contrasto con le tre narrazioni precedenti, questa non è basata su un’opposizione binaria di luce vs. oscurità, perché l’esito del processo finale non è mai messo in dubbio. Le prove e le tragedie della storia umana sono infine soltanto esami e sfide: non mettono davvero in pericolo il più vasto processo, ma, all’opposto, sono ad esso necessarie per proseguire. Naturalmente, riconosciamo questa narrazione come ‘hegeliana’; ma più corretto è dire che la filosofia della storia di Hegel è un esempio fondamentale di una più diffusa narrazione romantica. 6. Le emozioni Ho richiamato l’attenzione intorno al ruolo delle emozioni lungo tutto l’articolo, perché il tema dell’immaginazione lo richiedeva. Il fatto che sensazioni, affezioni o passioni siano evocate con più facilità attraverso immaginazioni rappresentative piuttosto che da argomenti strettamente razionali è luogo comune dell’analisi filosofica, in questo dominio. Per esempio, David Hume aveva già notato che “le passioni vivaci solitamente accompagnano un’immaginazione vivace” (Hume 1739: II.3.6) e aveva osservato, nel contesto di una discussione sul discorso politico, che “gli uomini sono potentamente governati dall’immaginazione, e proporziano i loro affetti più alla luce sotto cui gli si presenta un oggetto, che non al suo valore reale e intrinseco” (Hume 1739: III.2.7; cfr. Warnock 1976: 38). Questo fenomeno è così ben conosciuto dall’esperienza ordinaria che non credo di dover portare alcuna prova ulteriore. Ovviamente, tali osservazioni possono essere applicate facilmente anche al tema dell’immaginazione storica: non vi è dubbio (cfr. sopra l’esempio di Agrippa) che, al di là della ristretta cerchia degli storici specialisti, il “valore reale ed intrinseco” dei dati storici tende a passare in secondo piano paragonato al modo in cui essi sono “fatti apparire” nella costruzione narrativa. Ogni volta che una delle mie narrazioni storiche riesce a convincere un uditorio, ciò non avviene, ovviamente, perché dà informazioni fattuali che gli ascoltatori percepiscono esser corrette, ma perché la storia narrata scatena le emozioni. L’immaginazione storica può giostrare su un registro emozionale vasto e complesso, e ovviamente ogni ricevente o partecipante risponderà differentemente alle sollecitazioni. Ciò no- 23 24 nostante, potrebbe esser utile chiederci quali siano le emozioni dominanti sulle quali ciascuna della quattro narrazioni si basa per giungere al suo effetto. I miei suggerimenti sono in prima istanza i seguenti. 1. La storia della Sapienza Antica si appoggia chiaramente a simboli positivi d’identificazione. In primo luogo, e soprattutto, essi sono fatti per ispirare amore per la luce divina della Verità, uniti a sentimenti di gratitudine per coloro che l’han portata avanti nel corso dei tempi. La principale controparte negativa a tali emozioni positive può esser descritta come una sorta di dolorosa e melanconica tristezza per l’ignoranza di troppe persone, e per il loro tragico fallimento nel non vedere la luce. 2. La contro-narrazione protestante non ragiona in termini d’ignoranza, ma assume che il nemico sappia assai bene quel che fa: esso è ispirato dal male radicale, e agisce con le peggiori intenzioni. Conseguentemente, il simbolismo narrativo è teso, in primo luogo e soprattutto, a ispirare emozioni come paura e repulsione. Per dare solo un esempio: tra i più potenti simboli di questo tipo che si incontrino nella letteratura vi è l’immagine orrifica del platonismo come ‘uovo avvelenato’ dal quale vien fuori strisciando una laida razza di vermi (Colberg 1690: 91, 75; Bücher 1699: 9, Brucker 1731-6: III, 520-521; Hanegraaff 2012: 111, 115, 143-144, 151), o la connessa immagine di un “baccello diabolico” da cui vien fuori uno sciame infinito d’eresie per infettare il mondo (Weyer, in Mora 1998: 106; Hanegraaff 2012: 86, 111). La principale emozione positiva che consente comunque ai suoi aderenti di fare fronte all’orrore può esser descritta come una giusta rabbia, e una coraggiosa sfiducia. 3. La narrazione illuministica ha un tono emozionale piuttosto differente: in linea di principio non dà molta fiducia alla semplice emozione e cerca di circoscriverla con la ragione. Direi che le sensazioni ispirate da questa narrazione sono essenzialmente quelle legate all’orgoglio. Nella lor manifestazione più positiva, abbiamo a che fare con l’orgoglio calmo, fiducioso e felice ispirato dal conseguimento di un successo; ma giacché vi è sempre implicato un senso di superiorità intellettuale, esso può volgersi in arroganza. La sua controparte negativa consiste in sentimenti di profonda irritazione e disprezzo per l’irrazionale, e la stupidità di coloro che si rifiutano di ascoltare la ragione e riconoscere i fatti. 4. Da ultima, c’è la narrazione romantica, che descrive una ‘educazione della razza umana’ dalla beata innocenza dell’infanzia alla piena maturità della conoscenza vera. Se la storia dell’Illuminismo ispira orgoglio per i successi umani, la sua controparte romantica è piuttosto segnata da profondi sentimenti di meraviglia per i grandiosi e sublimi misteri dell’Essere, della Creazione, dell’Evoluzione, della Coscienza, della Libertà, e dell’Autocoscienza. Una tale narrazione è fondata dialetticamente piuttosto che dualisticamente, e dunque non lascia alcuno spazio ad emozioni davvero negative. In ogni modo, quando chi vi aderisce perde il senso della meraviglia, e con esso la credenza in un disegno complessivo dell’esistenza, tipicamente li si vede scivolare in stati di depressione e disperazione. Il nichilismo esistenziale è il figlio di un Romanticismo tradito. Naturalmente si tratta solo di un abbozzo piuttosto rozzo, senza grandi pretese. Il punto più importante della faccenda è che l’immaginazione storica produce storie sul passato che derivano molto del loro potere persuasivo dalla loro capacità di suscitare emozioni. Nei casi qui discussi, tali emozioni sono radicate in profondi impegni esistenziali relativi a valori fondamentali che poggiano su entrambi i versanti della principale faglia che attraversa la cultura occidentale: come abbiamo visto, le prime due narrazioni riguardano conflitti tra il paganesimo ellenistico e il monoteismo scritturale, laddove la terza e la quarta riguardano il conflitto tra i valori illuministici e la religione tradizionale. 7. Storiografia anti-eclettica Ho cercato di mostrare che i prodotti dell’immaginazione storica sono polarizzati tra i due estremi teorici della fattualità (wie es eigentlich gewesen – come si sono svolti i fatti) e della poeticità (costruzione di una buona storia).Le quattro narrazioni che ho discusso tendono chiaramente verso il lato poetico di questo 25 26 spettro. La cosa importante da notare, qui, è che il loro potere come storie è fondato su procedure di selezione di dati altamente selettive. Sviluppi enormemente complicati e realtà intricate sono semplificate per avere un effetto emozionale massimo. Aree grigie di ambiguità morale sono ridotte a opposizioni rigide di luce e oscurità. Persino l’educazione della razza umana può condurre soltanto a una luce sempre maggiore, e a un’ignoranza sempre minore: un vero regresso, sconfitta o fallimento è semplicemente impensabile. Questi sono tutti esempi di eclettismo storico: un approccio altamente selettivo ai dati storici, guidato da un plot che privilegia la soddisfazione emotiva e l’effetto drammatico rispetto alla piena accuratezza empirica, alla valutazione razionale di ogni prova disponibile e alla precisione storiografica. Nel mio anteriore lavoro mi sono sforzato di dimostrare che la storiografia sull’Illuminismo in domini come la storia della filosofia, la religione e la scienza era basata sulla scelta, deliberata, esplicita ed autocosciente, per un metodo eclettico (Hanegraaf 2012: 129-130, 140, 149-152). Il lavoro degli storici non consiste nel presentare ai lettori tutte le prove a loro disposizione e lasciar loro il compito di farsi una convinzione: questo li confonderebbe. Al contrario, ci si aspetta dagli storici che essi applichino il loto giudizio razionale ai materiali storici per estrarre la farina dalla crusca. Gli storici dell’Illuminismo erano convinti che, applicando procedure selettive come queste, ci si mettesse al servizio della verità. E però, in effetti, stavano facendo il contrario: col promuovere l’eclettismo come principio metodologico centrale, hanno offerto legittimazione a un tipo di storiografia che sacrificava la storicità/fattualità sull’altare della poeticità. Il risultato è una trama soddisfacente, facile da capire, poggiata sull’idea di una battaglia eroica della scienza contro la superstizione, della religione contro la magia, della filosofia contro l’irrazionale. Da un punto di vista storico, in ogni modo, questo tipo di mnemo-storia dell’Illuminismo non è affatto superiore ad alcuna delle narrazioni che ho discusso sopra: proprio come la narrazione dell’Antica Sapienza, o come quelle Protestante o Romantica, la narrazione illuministica è un’invenzione poetica con una trama seducente che parla all’immaginazione e può avere una forte attrattiva emozionale. È proprio ciò a renderla così efficace nell’illuderci sul grado in cui è davvero fondata su argomenti razionali ed evidenze fattuali. Di conseguenza, ciò di cui abbiamo bisogno negli studi sulla religione è una storiografia anti-eclettica (Hanegraaff 2012: 152, 377-378). Una tale storiografia non può pensare d’emettere giudizi sulla ‘verità’ o la ‘serietà’ dei prodotti culturali umani, prendendo posizione in favore di certe tradizioni, e per sopprimerne altre. Deve invece essere fondata su un empirismo radicale, che accoglie tutti i dati disponibili come egualmente degni di attenzione. Una tale prospettiva è stata “nell’aria” accademica almeno dagli anni ’90. Essa riflette ovviamente le critiche decostruzionista sul come le “grandi narrazioni” della modernità abbiano guidato la nostra percezione della storia e del mondo intorno a noi; ma, in modo piuttosto interessante, è stata elucidata anche da una prospettiva influenzata dagli studi cognitivi, in una cornice naturalista ed evoluzionista. Nel suo messaggio presidenziale del 2010 all’American Academy of Religion, Ann Taves ha notato che durante tutto il ventesimo secolo, gli studi sulla religione, così come discipline finitime, come la psicologia, hanno operato con concetti artatamente ristretti di ‘religione’, basati sulla tacita esclusione e sul sistematico trascurare tutto ciò che fosse associato con la magia, l’esoterismo, il paranormale e la metafisica (Taves 2011: 298-303). Come siamo giunti ad adottare distinzioni così artificiali e a permetter loro di governare la nostra comprensione concettuale della ‘religione’? Credo che la risposta sia semplice, e radicata della psicologia umana elementare: la poeticità tende a prevalere sulla fattualità nell’immaginazione storica. Siamo fatti in modo da gradire una bella storia su ciò che avvenne nel passato e su come ciò ci abbia condotto dove siamo oggi, e il nostro profondo bisogno emotivo di una trama chiara che soddisfa le nostre preferenze personali tende a sopraffare la nostra attenzione, distogliendola dagli argomenti razionali e dalle prove storiche ed empiriche. Stiamo attenti a ciò che ci interessa, e trascuriamo ciò che non ci interessa, e per quanto si tratti di una prospettiva limitata e selettiva, siamo più che propensi ad accettarla come ‘vera’. 8. Osservazioni conclusive Potrebbe sembrare una conclusione negativa, la mia. La polarizzazione di poeticità e fattualità nell’immaginazione storica potrebbe facilmente condurci a credere che per quanto le 27 28 storie raccontate siano appassionanti esse sono semplicemente false, mentre la Storia potrebbe certo essere più vera – e però è così noiosa! Sospetto che sia per questo che così tanti studiosi della religione finiscono per essere delusi e disincantati, una volta che le implicazioni della ricerca storica e dell’analisi critica gli si parano dinanzi agli occhi: troppo spesso essi passano dalla “classe della simpatia” degli studenti alle prime armi alla “classe del dubbio” degli studenti esperti, e non riescono più a ritrovare l’entusiasmo con cui erano partiti (Kripal 2007: 22; cfr. Hanegraaff 2008: 262). Tuttavia mi sembra che vi sia luce all’orizzonte, perché, una volta che le grandi narrazioni sono state decostruite come invenzioni poetiche, e riconosciamo il paradosso che è al cuore dell’immaginazione storica (il fatto che, come abbiamo detto sopra, ci mostra la realtà creandola per noi), ciò rende possibile raccontare una storia davvero storica, e cioè: una che è storicamente accurata e insieme appassionante. Il vero ‘eroe’ di questa storia sarebbe la stessa immaginazione storica. Come storici, possiamo rinvenire e descrivere le mille avventure che quest’eroe ha passato, nella sua ricerca per afferrare realtà che costantemente lo eludevano, mentre credeva in narrazioni che sempre lo illudevano. La storia di questa ricerca – insisto – non è un’illusione. È la storia vera di come gli uomini hanno davvero e sul serio cercato di acquistare conoscenze, e di quanto tenacemente hanno continuato a provarci. Questa storia non può mai esser raccontata per intero, e noi ci siamo ancora dentro, ma io credo si possa raccontare con accuratezza. Vale davvero la pena di provare a raccontarla – perché, naturalmente, è la nostra storia. (traduzione di Emanuele Fadda) Bibliografia Antes, Peter; Geertz, Armin W.; Warne Randi R. (eds.) 2005. New Approaches to the Study of Religion. 2 volumi. Berlin. Assmann, Jan 1992. Das kulturelle Gedächtnis: Schrift, Erinnerung und politische Identität in frühen Hochkulturen. Munich. — 1997. Moses the Egyptian: The Memory of Egypt in Western Monotheism. Cambridge, MA. — 2000. Religion und kulturelles Gedächtnis: Zehn Studien. Munich. Böhme, Hartmut; Böhme, Gernot 1983. Das Andere der Vernunft: Zur Entwicklung von Rationalitätsstrukturen am Beispiel Kants. Frankfurt a.M. Brann, Eva T.H. 1991. The World of the Imagination: Sum and Substance. Lanham. Braun, Willi; McCutcheon, Russell T. (eds.) 2000. Guide to the Study of Religion. London. Brucker, Jacob 1731–36. 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