La reLigione e L’immaginazione storica.
La tradizione esoterica come invenzione poetica1
Wouter J. Hanegraaff2
In this contribution, it is argued that the concept of ‘imagination’
should be restored to the status of a crucial key term in the study of
religion. More specifically, attention is focused here on the importance
of the historical imagination as an object of research (as distinct from
its importance as a factor in research) and its relation to strict historicity. The dynamics of the historical imagination can be analyzed in
terms of a double polarity: factuality versus non-factuality and poeticity
versus non-poeticity. Historical narratives with a high degree of poeticNota del traduttore. Tutto il saggio si basa su un confronto/opposizione
tra story (storia, racconto – come frutto dell’immaginazione individuale e/o
popolare) e history (esposizione e organizzazione concettuale di avvenimenti
che è il risultato del lavoro dello storico). Ho reso il primo termine con ‘storia’
(minuscolo) e il secondo con ‘Storia’ (iniziale maiuscola). La situazione dell’italiano, che non dispone di una coppia di termini con lo stesso etimo (come
appunto story vs. history in inglese), né di una coppia di termini di etimo diverso (come accade per esempio in francese, dove abbiamo histoire vs. récit),
richiede una soluzione di questo tipo, per non appesantire la lettura e consentire però al lettore di apprezzare i giochi di assonanza e le allusioni di cui
questo testo è costellato. L’aggettivo ‘storico’ (derivato da Storia, e non da storia), viene lasciato con la minuscola, perché non pone il rischio di ambiguità.
Ho tradotto le espressioni tedesche non tradotte da Hanegraaff. Ho lasciato
affordance in inglese, in quanto termine tecnico intraducibile (che passa dalla psicologia della percezione alla semiotica, e poi agli studi sulla religione),
ma mi sono curato di darne una definizione di massima (posta tra parentesi
quadre, così come le traduzioni dal tedesco) la prima volta che esso occorre.
Inversamente, ho tradotto narrative con ‘narrazione’, evitando di usare l’anglicismo ‘narrativa’, invalso come termine tecnico (mentre l’uso di Hanegraaff
è più plastico e aperto alle connotazioni). Pubblicato oiginalmente col titolo
Religion and the Historical Imagination: Esoteric Tradition as Poetic Invention in C.
Bochinger & J. Rüpke, in cooperation with E. Begemann (eds.), Dynamics of
Religion: Past and Present, de Gruyter, Berlin 2017, pp. 3-34.
2
Wouter Jacobus Hanegraaff è Full professor di Storia della filosofia ermetica nell’Università di Amsterdam. È stato presidente della European Society for the Study of Western Esotericism (ESSWE) dal 2005 al 2013. Tra le sue
opere più importanti: Esotericism and the Academy: Rejected Knowledge in Western Culture (Cambridge University Press 2012); Western Esotericism: A Guide for
the Perplexed (Bloomsbury 2013); Dictionary of Gnosis and Western Esotericism, 2
voll. (Brill: Leiden 2005).
1
Mondi 1-2019 (April 2019): 3-31 – ISSN 2533-1450 // ISBN 978-88-6496-463-8
© 2019 by Gruppo Editoriale Bonanno. All rights reserved
3
ity tend to be remembered and have an impact on readers even if they
are factually inaccurate, while narratives with a low degree of poeticity
tend to be disregarded or forgotten even if they are factually accurate.
Against this background, four influential historical ‘grand narratives’
are analyzed: (1) the Renaissance and predominantly Catholic story of
‘ancient wisdom’ through the ages; (2) its negative counterpart inspired
by Protestant polemics, referred to as the story of ‘pagan error’ through
the ages; (3) the Enlightenment story of progress through rational
‘Enlightenment’; and (4) its counterpart more congenial to Romantic
sentiments, the story of a progressive ‘education of Humanity.’ Such
imaginative narratives have a strong impact because they are able to
engage the emotions, and hence we need to analyze how specific narratives afford specific economies of emotionality. Because religious grand
narratives are the reflection of highly eclectic types of historiography,
they need to be countered by an anti-eclectic historiography that does
not sacrifice factuality to poeticity. And yet, it is at least as important for
historians to accept the task of telling new ‘true stories’ about religion
too: narratives that engage the imagination of their readers without sacrificing nuance, complexity, and factual accuracy.
4
Keywords: Imagination, Historicity, Poeticity, Ancient Wisdom Narrative, Paganism, Enlightment, Education of Humanity, Emotions,
Grand Narratives
L’anima non pensa mai senza un’immagine.
(Aristotele, De Anima III.7. 431 a 16)
Come recentemente argomentato da Lucia Traut e Annette Wilke, il concetto d’immaginazione è stato stranamente trascurato nei
moderni studi religiosi, e dovrebbe essere riportato con urgenza
allo status di parola chiave fondamentale per la nostra disciplina
(Traut & Wilke 2015, 19, 60). Queste studiose hanno giustamente
sottolineato come, sebbene gli studiosi della religione adoperino il termine molto frequente, e perfino nei titoli dei loro libri3,
1) esso tende ad essere trattato con una certa vaghezza, e senza
3
Il caso più noto è forse quello di Imagining Religion di Jonathan Z. Smith
(Smith 1982). Altri esempi menzionati da Traut e Wilke sono Imagining India
di Ronald Inden, la nozione di ‘patrie immaginate’ negli studi sulla diaspora,
e le ‘comunità immaginate’ di Benedict Anderson (Traut & Wilke 2015: 19).
Una ricerca veloce su Amazon per imagination/imagining e religion basta a dimostrare quanto spesso questa terminologia venga usata nei titoli delle opere
accademiche sulla religione.
troppa riflessione teorica4, 2) a oggi, non vi è in atto nessun dibattito teorico generale sull’immaginazione, la sua natura, o sulla
sua importanza relativamente alle dimensioni storica, sociale,
discorsiva e cognitiva della religione. Non troviamo alcuna voce
‘immaginazione’ in opere di riferimento generali come Critical
Terms for Religious Studies di Mark C. Taylor (1998), o Guide to the
Study of Religion di Willi Braun e Russell T. McCutcheon’s (2000);
il tema non è oggetto di discussione nei New Approaches to the
Study of Religion di Peter Antes, Armin Geertz e Randi Warne’s
(2005); ancora, esso non riveste un ruolo significativo nel più recente panorama di Michael Stausberg Contemporary Theories of
Religion (2009), ed è assente dalla lista di voci dell’Oxford Handbook for the Study of Religion curato dallo stesso Strausberg con
Steve Engler (2016). Con ogni evidenza, i moderni studiosi della
religione vedono l’immaginazione come un non-problema.
1. L’immaginazione, tra guardiani e critici
In questo articolo, argomenterò in favore dell’idea che l’immaginazione debba essere promossa al rango di istanza fondamentale negli studi sulla religione. Per illustrarne l’importanza, gettiamo anzitutto un rapido sguardo alla principale opposizione
teorica e metodologica tra gli studiosi “religionisti” e i loro critici. Per ‘religionisti’ io intendo gli studiosi della religione che si
inseriscono nella tradizione di Mircea Eliade e altri intellettuali
storicamente affiliati al circolo di Eranos (Hanegraaff 2012: 277314); quando parlo dei loro critici, intendo invece studiosi moderni associati con organizzazioni come la North American Association for the Study of Religion (NAASR), o riviste come Method and
Theory in the Study of Religion. I loro approcci fondamentali sono
in ultima analisi incompatibili, ma entrambi sono molto influenti sia per gli studi religiosi che per la comprensione popolare
dei fenomeni religiosi – specialmente negli Stati Uniti. Com’è
ben noto, i religionisti (i principali “guardiani” accademici della religione, secondo la nota terminologia di McCutcheon 2011)
tendono a pensare in termini di archetipi mitici, simboli universali, o a un mundus imaginalis, e tutto il loro apparato concettuale
Naturalmente, ci sono delle eccezioni. V. p. es. Herdt, Stephen (1989),
Shulman (2012), Pezzoli-Olgiati (2015), Wolfson (1994, 2011, 2014). Cfr. infra n. 7.
4
5
6
riposa sulla considerazione altamente positiva dell’immaginazione come facoltà conoscitiva che ci permette di comprendere
profonde realtà spirituali che sono al di là della portata della
mera razionalità o dell’esperienza sensoriale ordinaria. In breve,
essi assumono che l’immaginazione religiosa sia noetica, giacché
in qualche modo essa ci pone in contatto con i livelli ultimi o più
profondi della realtà. In netto contrasto, gli studiosi moderni
della tradizione critica tipicamente vogliono dimostrare – o si limitano ad assumere implicitamente – che dei, angeli, demoni, o
qualsiasi altra entità spirituale, ovviamente non sono reali, ed esistono solo nell’immaginazione degli uomini. Per loro, il compito
dello studioso consiste nello squarciare velo delle illusioni e delle fantasie immaginative, per giungere alle realtà più fondamentali – sociali, psicologiche, discorsive o politiche – che spiegano
per davvero la religione. Insomma, essi credono che l’immaginazione religiosa non sia noetica ma ingannevole: ci impedisce di
percepire la realtà.
Per quanto gli studiosi della tradizione critica sono in disaccordo coi religionisti su come l’immaginazione possa essere
costituita e valutata nel contesto della religione, ci si aspetterebbe da loro che concordino almeno sulla sua importanza.
Dopotutto, se l’immaginazione funziona così bene nel gettare
nella confusione i credenti sulla vera natura della realtà e li fa
credere in cose che non esistono, non dovrebbero allora cercare
di analizzare questo fenomeno un po’ più in profondità? Come
abbiamo già detto, però, questa aspettativa non è confermata
dalla pratica. Si tratta di un fatto notevole, giacché suggerisce
che, per quanto gli studiosi critici si ritengano ben inseriti in
una tradizione razionalista e secolarizzata, potrebbero non esser consci fino in fondo del ruolo centrale che l’immaginazione
ha giocato nel progetto filosofico dell’Illuminismo, da Thomas Hobbes e David Hume fino a Immanuel Kant. Come Mary
Warnock ha specificato nella sua analisi ormai classica di questo dibattito, Kant dovette trarre la conclusione che
Senza immaginazione, non potremmo mai applicare concetti all’esperienza sensoriale. Laddove una vita completamente
sensoriale non avrebbe alcuna regolarità o organizzazione,
una vita puramente intellettuale non avrebbe alcun contenuto
reale. E questo significa che, privati dei sensi o dell’intelletto,
non potremmo esperire il mondo come lo esperiamo. I due
elementi non sono automaticamente connessi tra loro nelle
loro funzioni. Hanno bisogno di un elemento ulteriore per
connetterli. Questo elemento di connessione è l’immaginazione (…) (Warnock 1976: 30).5
Le fondamenta intellettuali per questa conclusione si possono trovare già in Hobbes e Hume. Fu dunque l’Illuminismo
(e non il Romanticismo, come spesso viene assunto: cfr. Engell
1981) che scoprì l’immaginazione come facoltà della mente che
è cruciale per la nostra stessa capacità di apprensione della
realtà e di portare ordine al caos delle impressioni sensoriali
(Engell 1981: 3-10). Per quanto io ne so, queste conclusioni non
sono mai state confutate6. Ciò che avvenne, piuttosto, è che
esse furono espanse, reinterpretate, e condotte verso direzioni
completamente nuove da pensatori romantici come Schelling,
Wordsworth e specialmente Coleridge, il quale compì la famosa distinzione tra la ‘immaginazione primaria’ attraverso la
quale percepiamo il mondo intorno a noi e la ‘immaginazione
secondaria’ che è centrale per l’attività artistica e la definizione
del genio (Warnock 1976: 66-130, 1994: 22.44). Come risultato di
questo sviluppo, siamo giunti ad assumere, in modo sbagliato, che l’immaginazione si pone in contrasto con la razionalità
proprio come il Romanticismo si pone in contrasto con l’Illuminismo. Ma io mostrerò, invece, che se i religionisti prendono
ispirazione dalla speculazione romantica sull’immaginazione
secondaria e sui suoi poteri creativi simili a quelli divini7, gli
5
Questo non significa negare che Kant vedeva il ruolo dell’immaginazione nella cognizione umana come un grosso problema. Sui suoi tentativi ambivalenti di minimizzarne e oscurarne l’importanza tra la prima e la seconda
edizione della Critica della ragion pura, e sulle differenze significative nel modo
in cui discute dell’immaginazione nelle opere empiriche e in quelle critiche,
v. Böhme & Böhme (1983: 231-250), Kneller (2007: capp. 1, 5), e cfr. Wolfson
(2014: 1-2 n.3) per riferimenti ulteriori.
6
V. p. es. Clark (2013: 197-199).
7
Forse in parte per ragioni calviniste, le oscure meditazioni di Coleridge
sull’immaginazione hanno ricevuto parecchie attenzioni soprattutto dagli
studiosi britannici. Sarei d’accordo con Mary Warnock che, sebbene la teoria
romantica dell’immaginazione sia certamente di grande importanza culturale
e storica, da un punto di vista più tecnico e filosofico essa è di gran lunga inferiore a quella delle tradizioni kantiana e dell’empirismo inglese. Come Warnock ha notato, con un sottile tocco d’ironia, “invece che argomenti, ci vengono
presentate affermazioni ripetute, oscure, ombrose e forse profonde. La ragione
di questo cambiamento, questo tremendo deterioramento del clima razionale,
7
8
studiosi della tradizione critica dovrebbero rendersi più familiari almeno con gli argomenti illuministici sull’immaginazione
primaria e il suo ruolo centrale nella cognizione umana.
Ciò che possiamo imparare da Hume e Kant è che l’immaginazione è la prima realtà delle nostre vite mentali di animali
pensanti. È solo per mezzo della nostra facoltà immaginativa che
siamo capaci di avere a che fare con ‘concetti’ ed ‘idee’. Il mistero, per Kant, era proprio come l’immaginazione compisse questa sorta di miracolo, ed egli morì senza risolverlo: la chiamava
“un’arte celata nel profondo dell’anima umana, il cui vero maneggio noi difficilmente strapperemo mai alla natura per esporlo scopertamente innanzi agli occhi” (Kant 1787 B, 180-181 [trad.
it.: 194], Warnock 1976: 32). Questa potrebbe essere una posizione disfattista, vista almeno dalla prospettiva presente, giacché
sembrerebbe che gli scienziati cognitivi stiano oggi riscoprendo
i fondamentali che furono dapprima svelati da Hobbes, Hume e
Kant. Nella loro opera innovativa sul conceptual blending, Gilles
Fauconnier e Mark Turner osservano che gli studi cognitivi sono
stati a lungo fuorviati dall’insistenza dei filosofi analitici del ventesimo secolo sul fatto che i pensieri figurati dovessero essere
esclusi dal nucleo centrale del significato. Ciò li rese ciechi al fatto che, in effetti, “le operazioni immaginative di costruzione del
significato (…) lavorano a velocità altissima, al di sotto del livello
della coscienza” (Fauconnier & Turner 2002: 15). La loro conclusione è radicale, e io voglio sottolinearla nel modo più evidente:
Il prossimo passo nello studio della mente è lo studio scientifico
della natura e dei meccanismi dell’immaginazione. (Fauconnier
& Turner 2002: 8)
Se Fauconnier e Turner hanno ragione, allora è evidentemente
è che la netta distinzione che Kant aveva tracciato tra ciò che si può e ciò che
non si può conoscere, tra il pensiero legittimo e la speculazione metafisica, impossibile e vuota, era stata buttata dalla finestra.” (Warnock 1976: 63-64). Per una
discussione affascinante sul modo in cui la concezione dell’immaginazione da
parte di Coleridge cerchi di superare l’agnosticismo metodologico per creare il
fondamento di un nuovo tipo di “religione romantica” esemplificato dalla sofisticata filosofia esoterica di Owen Barfield, v. Reilly (2006). Incidentalmente, la
fondamentale influenza di Barfield su Tolkien, la cui notissima teoria sui mondi magici ha i medesimi fondamenti, rende questa filiazione importante per
le ricerche di Markus Altena Davidsen sulla religione fiction-based nel circolo
spirituale degli adepti di Tolkien (Davidsen 2014).
tempo che noi, come studiosi della religione, ci applichiamo
seriamente a far diventare l’immaginazione un termine chiave
anche nella nostra disciplina8.
2. L’immaginazione storica come oggetto di ricerca
L’immaginazione è ovviamente argomento vastissimo, con
svariate applicazioni potenziali allo studio della religione e
ad altri dominî culturali (cfr. Brann 1991). In quest’articolo io
andrò ad esplorare soltanto una delle possibili strade: quella
dell’immaginazione storica come oggetto di ricerca (e non, dunque, come fattore nella ricerca storica, per quanto anche questo
tema sia importante e interessante)9. Mi preoccuperò soltanto
di come gli attori religiosi immaginano la storia – questione
che, come vedremo, è inseparabile da quella del come essi vi
trovino un significato. Costruendo a partire dalla tradizione argomentativa di Hume e Kant, Mary Warnock ha spiegato com’è
che “senza immaginazione non potremmo avere idea di passato, presente e futuro (Warnock 1994: 88): cioè, nessuna idea
della continuità nel tempo. Noi diamo significato a tale continuità volgendo la successione degli eventi in una storia, una
narrazione con una trama. Tuttavia, questa operazione è una
semplificazione estremamente selettiva, che fa inevitabilmente
violenza all’infinita complessità degli eventi storici. Inoltre,
laddove ogni storia ha un inizio, uno svolgimento, una fine, la
Storia è diversa nel fatto che tutti ci troviamo nel bel mezzo di
uno svolgimento, e non conosciamo la fine (Warnock 1994: 108).
Ciò che mi interessa, in questo contributo, non è la storia in sé,
ma gli attori religiosi che trasformano la Storia in una storia, o
sovrappongono una storia alla Storia.
Per un’applicazione pionieristica del conceptual blending al corpus di Nag
Hammadi, v. Lundhaug (2010) e cfr. Davidsen (2016).
9
La ‘immaginazione storica’ è all’ordine del giorno per il metodo storico
e la filosofia della storia almeno dalla classica Metahistory di Hayden White
(1973), e presumibilmente già dal lavoro di R. G. Collingwood dopo la seconda guerra mondiale. La relazione tra finzionalità e storicità è stata oggetto di
dibattito vigoroso in riviste specializzate e media popolari; e seppure queste
discussioni accalorate potrebbero aver “prodotto più fumo che luce” (come
notato da Ann Rigney, Imperfect Histories, 2001: 5), se non altro l’importanza
della faccenda è generalmente compresa dagli storici.
8
9
10
Queste storie sono prodotti dell’immaginazione storica e,
più in particolare, della memoria storica. La memoria è generalmente considerata una sottoclasse dell’immaginazione, in quanto ci permette di figurare ciò che non è più o ciò che non stiamo più sperimentando. Proprio come il nostro senso individuale
dell’identità dipende da come ricordiamo la nostra vita (se perdiamo la memoria, noi non sappiamo più – letteralmente – chi siamo), così il nostro senso dell’identità collettiva dipende da come
ricordiamo la nostra storia comune. Tuttavia, la nostra memoria
non è una lastra fotografica. Come altre forme d’immaginazione,
è una facoltà attiva che ricrea continuamente il passato con lo
stesso processo con cui lo preserva. Proprio come percepiamo il
mondo “là fuori” solo attraverso il medium della nostra immaginazione, allo stesso modo percepiamo la storia “di allora” solo
attraverso il medium della nostra memoria individuale e collettiva. In entrambe le situazioni, il medium ci porta a vedere cose
che esibiscono gradi molto variabili di corrispondenza accurata
rispetto alle realtà “là fuori” o “di allora”.
Ciò mi conduce al concetto di Gedächtnisgeschichte, o mnemo-storia, elaborato da Jan Assmann (Assmann 1992; 1997: 6-22;
2000). Per spiegare il modo in cui io lo intendo – e che è in qualche modo differente da quello di Assmann medesimo (Hanegraaff 2007: 112; 2012: 375-378) – fatemi iniziare con un esempio
concreto. L’umanista cinquecentesco Cornelio Agrippa (14861535-36) è stato ricordato per varie generazioni come un esperto
di magia nera in rapporti con il diavolo, e, tra l’altro, ciò fece sì
ch’egli divenisse un modello per la figura del Faust nella famosa tragedia di Goethe. Di fatto, però, gli specialisti sanno che
Agrippa era non solo uno scettico in filosofia, ma un credente davvero pio, che vedeva la fede incrollabile nel Cristo come
l’unica fonte affidabile di vera conoscenza e salvezza (van der
Poel 1997). A prima vista, potremmo essere tentati di pensare
a queste immagini opposte come l’“Agrippa dell’immaginazione” contro l’ “Agrippa della storia”, ma ciò sarebbe corretto
solo in un senso piuttosto rozzo e impreciso. Più accurato è dire
che laddove ogni immagine di Agrippa esiste solo nella nostra
immaginazione storica, l’Agrippa della magia nera mostra un
grado relativamente alto di non-fattualità, mentre l’Agrippa
scettico e credente cristiano mostra un grado relativamente alto
di fattualità. Fattualità e non fattualità possono esser viste come
polarità teoriche tra le quali una narrazione può esser posta:
Immaginazione storica
“cristiano devoto”
“esperto di magia nera”
Fattualità----------------------------------------------------------Non-fattualità
Fig. 1
Il fatto preoccupante dalla prospettiva dello storico è che
l’Agrippa che viene tendenzialmente ricordato è quello relativamente non-fattuale, per la semplice ragione che si tratta di
una bella storia – una storia che mostra un grado relativamente
alto di poeticità10. Per contrasto, l’Agrippa (relativamente) storico tende ad esser dimenticato perché la sua storia presenta un
grado relativamente basso di poeticità. Il suo ricordo è preservato tipicamente solo da storici specialisti, che scrivono per un
ridotto pubblico accademico.
Ho scelto quest’esempio per illustrare il concetto di mnemo-storia, che potrebbe esser definito come “la storia di come
noi ricordiamo il passato” in quanto opposta alla storia di “cosa
è davvero successo nel passato”. La pertinenza di questa distinzione sta nel fatto che essa è in ultima analisi fondata sulla
paradossalità inerente all’immaginazione – una caratteristica
profondamente destabilizzante, che va al cuore di ciò a cui l’immaginazione serve, e potrebbe essere la ragione principale per
cui i filosofi tendono a ritenerla così problematica11. L’immaginazione non ci mostra mai il mondo “là fuori” o “di allora” altrimenti se non creandolo per noi nella nostra mente, il che è solo
un altro modo per dire che ci mostra le cose solo ingannandoci
su di esse, o le rivela solo celandole al nostro sguardo. Ora, se ci
concentriamo su un solo corno del dilemma e poniamo attenzione al lato ingannevole della immaginazione storica, questo
ci ispirerà a fare un buco nel velo delle fantasie storiche per
10
Sono grato a Markus Altena Davidsen per avermi convinto della necessità di scindere la mia vecchia nozione di finzionalità in due componenti.
Come mi ha fatto notare, finzionalità può significare tanto non-fattualità che
poeticità (cioè quelle caratteristiche che sono necessarie per fare una “buona storia”), e bisogna distinguere le due cose perché “la fattualità conduce
l’immaginazione storica verso la referenzialità/accuratezza assoluta, ma la
poeticità non conduce verso un’assoluta non referenzialità/non fattualità”
(Davidsen, comunicazione personale, 7 novembre 2015).
11
Per trovare analisi particolarmente profonde e complesse dell’immaginazione religiosa e della sua inerente paradossalità, v. l’opera di Elliott Wolfson,
p. es. Wolfson (1994: 204-214 e passim; 2011: 109-142 e passim; 2014: 1-13 e passim).
11
12
scoprire (per usare le parole famose di Leopold von Ranke) wie
es eigentlich gewesen, come le cose sono andate davvero. Questo è il progetto post-illuministico della critica storica classica,
o storiografia critica, che si concentra sull’investigare le fonti
primarie con meticoloso dettaglio ed è forzata a concludere (se
ci atteniamo al nostro esempio) che Agrippa non faceva affatto
magia nera, ma era un filosofo scettico e un cristiano devoto.
Qui abbiamo a che fare con la funzione classica della storiografia come strumento di Entmythologisierung [“demitizzazione”].
Non potrò mai sottolineare abbastanza come, a mio avviso, una tale storiografia critica sia indispensabile come fondamento di qualsiasi progetto serio di ricerca storica, nel campo
religioso come in qualunque altro. Senza di essa, costruiamo
case sulla sabbia. Ma per quanto sia essenziale, essa è strutturalmente incompleta: deve essere completata dalla pratica della
mnemo-storia, o, più precisamente, mnemo-storiografia (Hanegraaff 2012: 375-376). Qui siamo alle prese con l’altro corno del
dilemma. È vero che l’immaginazione (come la memoria) è alla
fine ingannevole: ma è, comunque, anche rivelatrice, giacché è
soltanto attraverso questi inganni che possiamo arrivare a un’apprensione della realtà! L’immaginazione ci dischiude il mondo
nella forma di invenzioni creative che devono essere studiati per
se; e questo è vero per il mondo delle realtà “la fuori” come per
quello delle realtà “di allora”. Ma forse più importante di tutto
è il fatto che sarebbe ingenuo assumere che i prodotti creativi
dell’immaginazione storica semplicemente si staglino contro i
fatti oggettivi della storia – al contrario, essi trovano posto tra
questi fatti, e possono essere studiati come tali. Per ritornare al
nostro esempio: le svariate distorsioni, travisamenti e invenzioni creative su Agrippa (insomma: tutto ciò – vero o falso – che
concerne il modo in cui Agrippa è stato percepito) sono assolutamente parte di wie es eigentlich gewesen [“come sono andate
le cose”]. Si potrebbe persino dire che, fin dove è in questione
l’impatto storico di Agrippa, queste fantasie sono alla fine più
pertinenti e importanti della sua “vera” identità, conosciuta solo
da un pugno di specialisti. Per riassumere, la mnemo-storia si
concentra su Agrippa in quanto immaginato e ricordato. Conseguentemente, un’analisi mnemo-storiografica di Agrippa descriverà con dettaglio meticoloso come la catena di ricostruzioni
immaginative si è sviluppata nel tempo. Laddove Jan Assmann
sembra pensare alla mnemo-storia come direzione di ricerca
indipendente, io insisterei sull’idea che storia e mnemo-storia
devono sempre esser praticate in interazione dialettica.
3. Esempio 1: La storia della sapienza antica
Nel resto di questo articolo, mi concentrerò sul ruolo dell’immaginazione storica nel mio campo di specializzazione, l’esoterismo
occidentale. Ciò che m’interessa è la longue durée di una serie di
correnti storiche, idee e pratiche dalla tarda antichità ad oggi,
che condividono una cosa: il semplice fatto che furono screditate
e marginalizzate nella ricerca dotta e accademica dall’Illuminismo in poi, per confluire quindi in una sorta di terra di nessuno
al di là delle discipline accademiche accreditate. In altre parole,
come ho cercato di spiegare altrove (Hanegraaff 2012), i materiali
che oggi noi poniamo sotto la rubrica di ‘Esoterismo occidentale’
possono essere caratterizzati come le vittime storiche del discorso
dell’Illuminismo: rappresentano tutto ciò (p. es. ‘magia’, ‘filosofia occulta’, ‘superstizione’, ‘irrazionale’ o anche semplicemente
‘stupidità’) che le élites intellettuali e l’accademia nascente percepirono come incompatibili con i propri programmi di scienza
moderna e razionalità e contro cui definirono la propria identità.
Ciò significa che il campo può essere definito l’Altro polemico
dell’Illuminismo, perché sta per l’insieme totale della conoscenza screditata o rifiutata che i pensatori illuministi sentirono di
dover marginalizzare, nell’interesse della scienza moderna, della
ragione e del progresso.
Questo tipo di programma venne espresso con particolare
chiarezza nella Storia della filosofia da quel pioniere dell’Illuminismo – oggi dimenticato – che fu Christoph August Heumann. Nei suoi Acta Philosophorum (la primissima rivista professionale dedicata alla storia della filosofia) egli scrisse nel 1715
che tutte queste finte filosofie, o pseudo-filosofie, andavano gettate “nel mare dell’oblio” (das Meer der Vergangnheit) per esser
dimenticate per sempre. Seguendo una logica argomentativa di
tipo distruttivo che ricorda quella dell’attacco recente del sedicente ‘Stato Islamico’ a Palmira e ad altri monumenti dell’antichità pagana (Hanegraaff 2015), egli argomentò che nessuna
fonte documentaria di tali “superstiziose idiozie” dovesse essere
preservata in librerie o archivi. Il loro semplice ricordo avrebbe
dovuto essere cancellato dalla coscienza collettiva (Heumann
13
14
1715: 209-211; v. Hanegraaff 2012: 132-133). Questo paragone con
la tragedia culturale umana che si svolge oggi in Medio Oriente
non è casuale, ma basato su un parallelo reale: queste polemiche illuministiche vennero costruite a partire dalla lotta delle
religioni monoteiste (in particolare il Cristianesimo, e ancor
più in particolare il Protestantesimo) con il precedente complesso ellenistico di una religione generalmente platonizzante
e di una filosofia cui ci si potrebbe convenientemente riferire
col nome di paganesimo, e che era intesa come profondamente
infetta dall’idolatria (cfr. Hanegraaff 2005; 2007). Per i pensatori
protestanti, in particolare, in modo fin troppo simile a come lo
‘Stato Islamico’ guarda alle rimanenze pagane, tali tradizioni
venivano dal demonio, e andavano distrutte.
Più specificamente, e in modo più fondamentale per l’argomento che sto sviluppando, la polemica illuminista era una
riformulazione secolarizzata dell’attacco condotto dai protestanti, nella prima modernità, contro una narrazione storica
molto influente che possiamo definire come orientalismo platonico (Walbridge 2011; Hanegraaff 2012: 12-17)12. Abbiamo a che
fare qui con una narrazione storica estremamente potente,
operativa nella coscienza occidentale sin dalla Patristica, e che
venne formulata in termini espliciti durante il Rinascimento
italiano. Qui essa mi servirà come primo esempio della immaginazione storica poetizzante e della costruzione della memoria culturale. Nel seguito, cercherò deliberatamente di non
presentarla come un argomento su eventi storici, ma come una
storia (per favore, leggete la nota prima di continuare)13.
12
Naturalmente, questa terminologia non può non evocare associazioni
nella mente dei lettori (o precisamente, nella loro immaginazione!) con Edward
Said e la teoria postcoloniale, ma per i miei scopi presenti converrà tenere tali
associazioni tra parentesi. A mio avviso, l’Orientalismo di Said andrebbe interpretato come un sottoinsieme ottocentesco di un fenomeno storico ben più
ampio, in cui l’Orientalismo platonico svolse un ruolo molto importante; ma
discutere ciò mi porterebbe molto oltre l’ambito di quest’articolo.
13
A questo punto, mi trovo a fare i conti con i limiti inerenti a un format accademico abituale. Questo articolo è basato su una lezione plenaria che ho fatto al Congresso dell’Associazione Internazionale per la Storia della Religione,
a Erfurt, in Germania, il 25 agosto del 2015. Dopo aver invitato il mio pubblico a
“rilassarsi e a godersi la storia”, ho deliberatamente abbandonato il tono di voce
“neutrale” che è consono a una conferenza accademica, e ho provato a fare del
mio meglio per assumere il tono drammatizzante di un cantastorie (provando
per esempio a imitare, qua e là, la voce di Galadriel all’inizio del Signore degli
C’era una volta, nei giorni antichi molto prima della nascita del Cristianesimo, la Luce della vera saggezza spirituale, che iniziò a splendere ad Oriente. Alcuni dicono che iniziò tutto in Egitto, con Ermete
Trismegisto; altri dicono che iniziò con Zoroastro in Persia; altri ancora
dicono che iniziò con Mosé, tra gli ebrei. Ma dovunque quest’inizio sia
avvenuto, la sua vera fonte fu Dio stesso, che fece nascere la Luce della
sapienza nell’oscurità dell’ignoranza umana. La Luce iniziò allora a
diffondersi, portata attraverso le generazioni da una lunga serie di maestri divinamente ispirati, e raggiunse infine Platone e la sua scuola,
ad Atene. Ora, Platone era molto più di un filosofo razionale: era un
maestro di sapienza, ispirato dalla divinità. I suoi dialoghi non presentano alcun messaggio nuovo e originale: essi si limitano a riformulare
la religione antica e universale della Verità e della Luce spirituali. Da
allora in poi, la vera sapienza fu portata avanti da una serie di maestri
e filosofi platonici, e questa tradizione ebbe finalmente culmine nella
religione di Gesù Cristo. Quando il Cristianesimo iniziò a conquistare
il mondo, ciò sarebbe dovuto essere il glorioso compimento dell’antica
rivelazione divina. Tuttavia avvenne qualcosa di terribilmente sbagliato. Il messaggio cristiano fu pervertito e mal compreso Con il trionfo della Chiesa sui propri nemici, i cristiani furono progressivamente
accecati dal potere e dalla ricerca dei piaceri mondani. E così, per la
loro impurità, lentamente iniziano a perdere contatto col nucleo antico
di ogni vera religione. Non comprendevano più che il vangelo voleva
essere il culmine e il compimento della sapienza pagana. Invece, iniziarono a vedere tutti i pagani come loro nemici mortali – idolatri e
adoratori di demoni, pericolosi agenti delle tenebre che dovevano essere
annientati in nome di Dio. Gli stessi filosofi platonici, e i loro antichi
predecessori orientali (coloro che furono i primi portatori di Luce) furono a quel punto percepiti invece come maestri delle arti oscure. E così
accadde che la sapienza antica declinò e la sua vera natura fu dimenticata. Venne un tempo in cui gli stessi capi della Chiesa si abbassarono
al livello di criminali comuni, e la stessa istituzione della Chiesa era
diventata imbarazzante per tutti i veri cristiani. Fu in questo momento
più oscuro della storia, quando tutto sembrava perduto, che Dio stesso
intervenne, e dopo la lunga oscurità dell’inverno, giunse una nuova
primavera. Per l’agire misterioso della Divina Provvidenza, i manoscritti di Platone e degli antichi maestri della sapienza orientale furono
riscoperti e riportati alla luce. Viaggiarono fino all’Italia, il cuore della
Chiesa, e furono tradotte in latino e nelle lingue volgari. Proprio quando c’era più bisogno di esse, grazie al miracolo della stampa, tutte le
fonti della sapienza antica potevano ora esser lette e studiate da moltisAnelli di Peter Jackson). Ho accompagnato la storia con una serie elaborata di
slides di PowerPoint, che erano solo immagini. Chi legge quest’articolo è gentilmente invitato a provare a leggere la storia in un modo simile.
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sime persone, più di quanto fosse anche soltanto immaginabile in ogni
tempo passato. E così fu che in quell’oscurissimo momento di declino
e dimenticanza, Dio ricordò all’umanità le vere fonti della Sapienza,
della Verità, e della Luce. Certamente questo è l’inizio di una nuova Riforma che purgherà la Chiesa dai suoi errori e inaugurerà una nuova
Età dello Spirito. Contempliamo il ritorno dei Tempi d’Oro!
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Questo è in sostanza la storia che umanisti italiani come Marsilio Ficino, e tanti suoi discepoli, raccontavano a sé stessi e ai loro
lettori verso la fine del quindicesimo secolo (Hanegraaff 2012:
5-53). È fondamentale per il mio argomento essere chiari rispetto
al forte appello drammatico ed emotivo di cui è capace una narrazione storica come questa – specialmente se non è raccontata
con un atteggiamento di distanza accademica e ironica, ma con
la forza morale e l’impegno di un narratore che mostra la propria
simpatia per i “portatori di luce” e il loro viaggio attraverso la storia. Nel discutere queste narrazioni come studiosi, talvolta rischiamo di dimenticarci che non abbiamo a che fare soltanto con una
teoria, una dottrina teologica, o un argomento intellettuale sulla
storia – insomma, con qualcosa che si adegua perfettamente alle
nostre preferenze sull’ordine del discorso accademico. La narrazione potrebbe contenere, o riferirsi a, tutti questi elementi; ma al
suo livello fondamentale abbiamo a che fare con una storia fatta
per parlare direttamente all’immaginazione e scatenare emozioni. Insisto sul fatto che questa non è un’osservazione banale. Il
nucleo narrativo della Sapienza Antica ha un impatto molto forte
sull’immaginazione storica degli intellettuali-tipo dal quindicesimo fino (almeno) al diciottesimo secolo e, dopo il suo declino nel
discorso accademico mainstream, ha continuato ad averlo in ambienti esoterici fino ad oggi. Il suo notevole potere di influenzare
il discorso non può certo essere spiegato solo con argomenti razionali o con le prove storiche che i suoi difensori hanno provato
a produrre in suo favore. In primo luogo e soprattutto, quel potere
sta nel fatto che si tratta di una buona storia, che fa appello all’immaginazione e scatena le emozioni. La sua poeticità è fondamentale per comprenderne l’attrattiva.
Ma cos’è dunque che rende questa una buona storia? O, detto
in modo più tecnico, quali sono le principali affordances (Davidsen 2014: 96-104) [cioè i caratteri “afferrabili” che vengono offerti
alla percezione/comprensione] che rendono possibile, o senz’altro probabile, che una storia sulla Sapienza Antica fatta in questo
modo possa essere accettata dai lettori come plausibile e persuasiva? Dovremmo qui distinguere tra plausibilità religiosa e storica.
Se ci riferiamo a questo esempio, se i lettori lo trovano plausibile
da un punto di vista religioso ciò significa che essi assumono che
la Luce spirituale è reale e preziosa, laddove se lo trovano plausibile da un punto di vista storico significa che essi sono propensi ad
assumere che gli eventi sono accaduti in fondo nel modo in cui la
storia ci racconta che sono accaduti. Mentre vi è un ordine logico
tra i due (la Luce potrebbe esistere senza quella storia, ma quella storia non potrebbe esistere senza la Luce), mi sembra che la
plausibilità della storia in oggetto dal punto di vista religioso non
dipenda da quella dal punto di vista storico (non si assume che vi
è una Luce spirituale a partire dal fatto che gli eventi sono accaduti in un certo modo), né che al contrario la plausibilità storica
dipenda da quella religiosa (non si assume che le cose siano andate così perché c’è una Luce spirituale). Piuttosto, sembrerebbe
che la plausibilità religiosa tanto quanto quella storica dipendano
dal potere della storia in quanto tale: uno è disposto ad assumere
che vi è una Luce spirituale, e che è stata portata avanti attraverso
la Storia, semplicemente perché quella storia ha una tale attrattiva. E
allora perché ce l’ha? Questa è domanda cui si dovrebbe infine
rispondere in sede di psicologia umana fondamentale; e per rispondere, avremmo bisogno di una psicologia empirica dell’immaginazione, delle emozioni, e della loro mutua interazione.
Fin dove arrivo a comprendere, la storia dell’Antica Sapienza ha due affordances principali relative alla sua plausibilità
religiosa e storica, le quali dovrebbero essere al centro di una
tale analisi psicologica:
1. è caratterizzata da un chiaro dualismo etico, formulato
non tanto nella terminologia (astratta, e sempre questionabile) del ‘bene’ contro il ‘male’, ma raffigurato icasticamente come battaglia della Luce contro le Tenebre. Se
la una tale storia funziona nel coinvolgere i suoi lettori,
essi si identificheranno con i portatori della luce che
hanno combattuto così duramente per tener viva la vera
conoscenza, e proveranno emozioni negative (tristezza,
diffidenza, rabbia) nei confronti delle forze dell’oscurità
e dell’ignoranza.
2. Gli eventi storici che si verificano uno dopo l’altro sono
inseriti nella cornice complessiva di un viaggio o avventura attraverso la Storia, in cui i protagonisti subiscono
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ogni tipo di battute d’arresto, ma sperimentano anche
inaspettati momenti di salvezza. Se questa storia ci “cattura”, allora siamo felici di osservare i saggi che portano
la Luce e la consegnano ai loro successori di generazione in generazione; siamo scioccati, delusi e preoccupati
quando la missione viene tradita da coloro che dovrebbero meglio conoscerne i fini; inorridiamo dinanzi alla
cecità di coloro che si oppongono alla Luce; sentiamo
di voler correre in aiuto dei portatori di luce che sono
così ingiustamente accusati; ci sentiamo davvero sollevati dell’arrivo di un aiuto dall’alto; e siamo ispirati dalla
speranza che le forze dell’oscurità e dell’ignoranza non
avranno l’ultima parola, ma sarà la Luce a prevalere.
4. Esempio 2: La storia dell’errore pagano
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Fornite queste indicazioni, andiamo ora a un secondo esempio
dell’immaginazione storica poetizzante e della costruzione di una
memoria culturale. Contro la narrazione rinascimentale della Sapienza Pagana troviamo una contro-narrazione, anch’essa influente, dell’Errore Pagano. Essa ebbe origine tra i cattolici romani
critici del platonismo, come Giovan Battista Pico della Mirandola,
e tra i polemisti contro la stregoneria, come Johann Weyer; prese
slancio con gli intellettuali controriformisti come Giovanni Battista Crispo, e divenne fondamentale per l’attacco frontale sferrato dai protestanti all’Orientalismo platonico nel diciassettesimo
e diciottesimo secolo (Hanegraaff 2012: 77-152). L’essenziale della
trama è come segue (e, ancora una volta, vi aiuterà cercare di immaginarla in modo il più possibile drammatico):
Lungi dall’essere maestri di sapienza, i saggi pagani dell’oriente antico (Zoroastro, Ermes, Pitagora, Platone e i suoi seguaci) erano maestri delle tenebre. Erano alleati con demoni malvagi, falsi dèi dei pagani, che gli avevano insegnato arti magiche e si facevano adorare in
orrendi riti idolatrici. Lungi dall’essere un profeta della sapienza egizia, Mosé fu scelto per liberare il popolo ebraico dalle tenebre del paganesimo egizio. La vera religione del Dio Unico ebbe inizio con lui, e
in fine sfociò nel Cristianesimo. Tuttavia [proprio come accade nella
narrazione della Sapienza Antica], a un certo punto qualcosa andò
terribilmente male. Nei loro sforzi di spiegare il Vangelo in termini
dottrinali, i Padri della Chiesa iniziarono a fare uso della cosiddetta
filosofia di Platone. Sedotti dall’eloquenza dei platonici, che sapevano
parlare in modo così bello di Dio come dell’Unica fonte dell’Essere
da cui tutto è scaturito, non compresero che stavano permettendo al
virus dell’Errore Pagano di infettare il messaggio cristiano; una religione dell’emanazione, che rifiutava la creazione dal nulla e minava
la necessità della fede in Gesù Cristo suggerendo che ciascuno potesse
trovare la verità in sé stesso. Così avvenne che il messaggio cristiano
finì per essere avvelenato dagli errori pagani, che lentamente trasformarono la Chiesa di Cristo nella Chiesa dell’Anticristo. Comunque,
in quel tempo di profondissime tenebre, quando la Chiesa era governata da criminali e per giunta i testi pagani originali circolavano
come mai era accaduto prima, Dio mandò Martin Lutero a ricordare
ai cristiani il vero messaggio e a purificare la Chiesa dai suoi errori pagani. Nella battaglia contro le gerarchie della Chiesa Cattolica
Romana, i riformatori stavano combattendo in realtà le forze demoniache dell’oscurità, che erano riuscite a spegnere la luce del Vangelo
e l’avevano sostituita con le false dottrine del paganesimo platonico e
dell’oriente antico. Solo quando la Cristianità sarà emendata dall’oscurità dell’idolatria pagana la luce del Vangelo potrà trionfare.
Chiaramente, la storia dei protestanti è un’immagine speculare perfetta di quell’altra. I maestri della luce sono diventati
maestri delle tenebre; la cosiddetta sapienza pagana è esposta
come errore pagano; la filosofia platonica non è la cura per la
Cristianità ma la causa del suo declino; la riscoperta degli antichi
manoscritti orientali e platonici nel Rinascimento italiano non
è un intervento divino, ma un tentativo definitivo, da parte del
demonio, di pervertire le menti dei cristiani; e la riforma della
Chiesa non implica una riscoperta della sapienza pagana antica,
ma, al contrario, necessita ch’essa sia distrutta per sempre.
Anche questa è un’ottima storia. Per quanto posso distinguere, le sue affordances più importanti sono le medesime: un netto dualismo etico tra oscurità e luce, e la nozione di un viaggio
o avventura attraverso la storia che ha molte battute d’arresto
ma culmina in un lieto fine. La differenza tra le due storie risiede con ogni evidenza nella valutazione radicalmente opposta
del paganesimo ellenistico in generale, e dell’Orientalismo platonico in particolare, ma anche nelle emozioni di base cui si fa
appello (punto su cui ritornerò in seguito). La narrazione della Sapienza Antica e la contro-narrazione protestante si sono
trasfigurate in una vasta gamma di narrazioni popolari, esoteriche o New Age, sull’antica tradizione della sapienza spirituale
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portata avanti lungo le generazioni da portatori di luce o agenti
della luce, maestri elevati o mahatma, che con pazienza continuano a tentare di svegliare gli uomini, per condurli alla ricerca della loro divinità interiore. Nel mondo dei fondamentalisti
cristiani ed evangelici, d’altra parte, troviamo infinite variazioni della contro-narrazione protestante sulla battaglia contro le
tremendamente reali forze demoniache dell’occulto.
Ho cercato di dimostrare come simili storie o racconti – invenzioni cariche di emozione dell’immaginazione storica – possano
essere in definitiva più fondamentali del discorso verbale per
spiegare il funzionamento della religione. I miei critici potrebbero controbattere che è possibile intendere le formazioni immaginative come rientranti all’interno del dominio del discorso, ma io
direi che è piuttosto il contrario: è il discorso umano che rientra
nel più vasto dominio dell’immaginazione storica. I segni linguistici, la comunicazione verbale, e così via, sono integrati nel
pensiero prelinguistico che opera attraverso immagini. Vediamo
le cose, prima di iniziare a parlarne. Non raccontiamo storie su
parole astratte o concetti, ma su come percepiamo la realtà nella
nostra mente. Tale realtà può corrispondere o al mondo che presentemente ci circonda (il mondo “là fuori”) o al mondo ricordato del passato (il mondo “di allora”), ma in ognuno dei due casi
noi percepiamo solo attraverso l’immaginazione.
5. Esempi 3 e 4: Le storie dell’illuminismo e dell’educazione dell’umanità
Per ampliare il raggio dell’analisi, procederò con altri due esempi di immaginazione storica poeticizzante e di costruzione
di memoria culturale. Il mio terzo esempio è la classica “grande
narrazione” della razionalità e del processo scientifico che sostiene i progetti dell’Illuminismo e della Modernità. In modo
interessante, essa si rivela essere un misto delle due narrazioni
precedenti. È piuttosto nota, e procede così:
Tanto tempo fa, nella Grecia antica, la luce della Ragione iniziò a
splendere. Invece che credere ciecamente in favole immaginarie sugli
dei, o di accettare i dettami di élites sacerdotali, i filosofi iniziarono a
pensare per conto loro e a tirare le loro conclusioni dall’osservazione
diretta del mondo fisico. Iniziarono a costruire una visione del mondo razionale in armonia con l’esperienza dei sensi. In questo modo,
cercavano di liberare i loro fratelli umani dalle forze reazionarie
dell’oscurantismo mistico, della superstizione magica e del pregiudizio religioso, insistendo sulla libera ricerca e sulla esigenza di una
comprensione razionale. Grazie ai loro sforzi, la Luce della Ragione
iniziò a diffondersi. Ma un nuovo potere religioso emerse per opporsi
a loro: il Cristianesimo e il suo discorso di salvezza attraverso il solo
Gesù Cristo, supportato da dottrine trinitarie irrazionali e assistito
da una potente gerarchia sacerdotale dedita a sopprimere la libertà
dello spirito umano. Il risultato fu una nuova Era dell’Oscurità, di
ignoranza e superstizione, che durò per molti secoli. Solo con il ritorno rinascimentale allo studio dei classici la Ragione iniziò a rifarsi
viva, e aiutata dalla Riforma segnò il suo successo nel rompere l’egemonia della Chiesa. Via via che gli scienziati iniziavano a scoprire
le vere leggi della natura, dimostrando l’assurdità dei pregiudizi religiosi, la Ragione trionfò alfine sulla superstizione, e la libertà umana
sul dispotismo. Furono allora create le fondamenta per una società
migliore, di Illuminismo e Progresso. Contro le forze reazionarie del
pregiudizio religioso e delle superstizioni magiche, la Ragione deve
prevalere – e prevarrà. Attraverso l’educazione razionale, la mente
umana può essere guarita dall’ignoranza e persuasa della verità.
Alla fine sono solo la stupidità e la cecità verso la ragione e i fatti ad
ostacolare la marcia in avanti della Scienza e della Ragione.
Proprio come nella narrazione dell’Antica Sapienza, la luce
è nata nell’antichità, ma subisce un serio declino per l’avvento
del Cristianesimo, per essere ravvivata solo con la reviviscenza
degli studi secolari (pagani) nel Rinascimento. Ma qui abbiamo ovviamente a che fare con la luce della ragione, non con
la luce mistica della sapienza spirituale. Ugualmente, il diffondersi della luce è ostacolato e contrastato non da una forza
maligna demoniaca, ma dal despotismo e dall’ignoranza umani, per non parlare della mera stupidità. Di nuovo, siamo alle
prese un’ottima storia, che si affida per funzionare alle stesse
affordances che abbiamo rilevato prima: un chiaro dualismo di
luce e oscurità, una storia o avventura ricca di avvenimenti, che
corre verso un auspicato lieto fine.
È interessante il fatto che essa sia differente rispetto al mio
quarto e ultimo esempio di immaginazione storica poetica e
di costruzione della memoria culturale. Abbiamo visto che la
narrazione, propria dell’Orientalismo platonico, sulla ‘sapienza pagana’ si oppone frontalmente alla contro-narrazione protestante del ‘paganesimo demoniaco’. In modo simile, contro
la narrazione illuministica del ‘paganesimo razionale’ si staglia
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una contro-narrazione romantica che punta su quello che si
potrebbe chiamare un ‘paganesimo esoterico’ (cfr. Hanegraaff
2012: 260-277). La trama principale è questa qui:
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La storia della coscienza umana inizia con l’innocenza dell’infanzia.
L’umanità viveva ancora in uno stato di sogno, in unione intima con
la Natura, sotto la guida benigna di caste sacerdotali di visionari e
guaritori. La voce della divinità parlava direttamente all’umanità,
attraverso un linguaggio primordiale poetico, fatto di immagini, simboli, segni e corrispondenze. Dottrine segrete venivano trasmesse alle
élites spirituali attraverso iniziazioni misteriche e narrazioni mitiche. Questa sapienza orientale originale raggiunse il suo culmine in
Egitto, ma fu attraverso il popolo d’Israele che la coscienza umana
iniziò a progredire e crebbe dall’adolescenza alla maturità, per aver
compimento con l’apparizione del Cristianesimo, religione universale
assoluta. Grazie alla tradizione platonica, l’antica sapienza dell’Oriente si riversò armoniosamente nel cuore della dottrina cristiana. Il
Medioevo, il tempo delle grandi cattedrali e del Sacro Romano Impero, fu la grande era dello splendore cristiano e dell’unità armoniosa.
Ma il progresso e l’evoluzione spirituali avevano bisogno di sforzo e
lotta per andare avanti, e così la mente umana doveva incontrare
nuove sfide per progredire. L’unità della Cristianità fu scossa dall’avvento della Riforma, che condusse a un’era di individualismo e ricerca razionale. Le scienze naturali tentarono di squarciare il velo
di Iside per scoprire i più intimi misteri della divinità, al punto che
la coscienza umana divenne così distante e alienata dalle fonti della
vera sapienza che i filosofi, e persino i teologi, iniziarono a dubitare
della stessa esistenza di Dio. In ogni modo, l’evoluzione della coscienza umana si svolgeva attraverso la storia sotto la guida misteriosa
della Divina Provvidenza, che sempre si curerà di riportare i suoi
figli al giusto sentiero, anche se dovessero perderlo. Quando la mente
umana raggiungerà la sua piena maturità, il Sé individuale sarà uno
con il Sé dell’universo, e gli uomini sceglieranno in libertà di vivere in
armonia con le leggi spirituali della divina sapienza.
Per quanto questa narrazione adotti alcuni aspetti fondamentali della narrazione dell’Antica Sapienza dell’orientalismo platonico, la sua struttura è visibilmente molto differente da quelle
che abbiamo visto finora. L’idea-base è evoluzionistica: ha a che
fare con il progresso costante della coscienza umana come totalità, compreso (nei termini di Gotthold Ephraim Lessing) come
“educazione della razza umana” (Lessing 1870) sotto la guida di
una forza divina benigna che con pazienza la conduce verso la
sua piena maturità. In contrasto con le tre narrazioni precedenti,
questa non è basata su un’opposizione binaria di luce vs. oscurità,
perché l’esito del processo finale non è mai messo in dubbio. Le
prove e le tragedie della storia umana sono infine soltanto esami
e sfide: non mettono davvero in pericolo il più vasto processo,
ma, all’opposto, sono ad esso necessarie per proseguire. Naturalmente, riconosciamo questa narrazione come ‘hegeliana’; ma
più corretto è dire che la filosofia della storia di Hegel è un esempio fondamentale di una più diffusa narrazione romantica.
6. Le emozioni
Ho richiamato l’attenzione intorno al ruolo delle emozioni lungo tutto l’articolo, perché il tema dell’immaginazione lo richiedeva. Il fatto che sensazioni, affezioni o passioni siano evocate
con più facilità attraverso immaginazioni rappresentative piuttosto che da argomenti strettamente razionali è luogo comune
dell’analisi filosofica, in questo dominio. Per esempio, David
Hume aveva già notato che “le passioni vivaci solitamente accompagnano un’immaginazione vivace” (Hume 1739: II.3.6) e
aveva osservato, nel contesto di una discussione sul discorso
politico, che “gli uomini sono potentamente governati dall’immaginazione, e proporziano i loro affetti più alla luce sotto cui
gli si presenta un oggetto, che non al suo valore reale e intrinseco” (Hume 1739: III.2.7; cfr. Warnock 1976: 38). Questo fenomeno
è così ben conosciuto dall’esperienza ordinaria che non credo
di dover portare alcuna prova ulteriore. Ovviamente, tali osservazioni possono essere applicate facilmente anche al tema
dell’immaginazione storica: non vi è dubbio (cfr. sopra l’esempio di Agrippa) che, al di là della ristretta cerchia degli storici
specialisti, il “valore reale ed intrinseco” dei dati storici tende a
passare in secondo piano paragonato al modo in cui essi sono
“fatti apparire” nella costruzione narrativa. Ogni volta che una
delle mie narrazioni storiche riesce a convincere un uditorio,
ciò non avviene, ovviamente, perché dà informazioni fattuali
che gli ascoltatori percepiscono esser corrette, ma perché la storia narrata scatena le emozioni.
L’immaginazione storica può giostrare su un registro emozionale vasto e complesso, e ovviamente ogni ricevente o partecipante risponderà differentemente alle sollecitazioni. Ciò no-
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nostante, potrebbe esser utile chiederci quali siano le emozioni
dominanti sulle quali ciascuna della quattro narrazioni si basa
per giungere al suo effetto. I miei suggerimenti sono in prima
istanza i seguenti.
1. La storia della Sapienza Antica si appoggia chiaramente
a simboli positivi d’identificazione. In primo luogo, e
soprattutto, essi sono fatti per ispirare amore per la luce
divina della Verità, uniti a sentimenti di gratitudine per
coloro che l’han portata avanti nel corso dei tempi. La
principale controparte negativa a tali emozioni positive
può esser descritta come una sorta di dolorosa e melanconica tristezza per l’ignoranza di troppe persone, e per
il loro tragico fallimento nel non vedere la luce.
2. La contro-narrazione protestante non ragiona in termini d’ignoranza, ma assume che il nemico sappia assai
bene quel che fa: esso è ispirato dal male radicale, e
agisce con le peggiori intenzioni. Conseguentemente, il
simbolismo narrativo è teso, in primo luogo e soprattutto, a ispirare emozioni come paura e repulsione. Per dare
solo un esempio: tra i più potenti simboli di questo tipo
che si incontrino nella letteratura vi è l’immagine orrifica del platonismo come ‘uovo avvelenato’ dal quale vien
fuori strisciando una laida razza di vermi (Colberg 1690:
91, 75; Bücher 1699: 9, Brucker 1731-6: III, 520-521; Hanegraaff 2012: 111, 115, 143-144, 151), o la connessa immagine
di un “baccello diabolico” da cui vien fuori uno sciame
infinito d’eresie per infettare il mondo (Weyer, in Mora
1998: 106; Hanegraaff 2012: 86, 111). La principale emozione positiva che consente comunque ai suoi aderenti di
fare fronte all’orrore può esser descritta come una giusta rabbia, e una coraggiosa sfiducia.
3. La narrazione illuministica ha un tono emozionale
piuttosto differente: in linea di principio non dà molta
fiducia alla semplice emozione e cerca di circoscriverla
con la ragione. Direi che le sensazioni ispirate da questa narrazione sono essenzialmente quelle legate all’orgoglio. Nella lor manifestazione più positiva, abbiamo a
che fare con l’orgoglio calmo, fiducioso e felice ispirato
dal conseguimento di un successo; ma giacché vi è sempre implicato un senso di superiorità intellettuale, esso
può volgersi in arroganza. La sua controparte negativa
consiste in sentimenti di profonda irritazione e disprezzo
per l’irrazionale, e la stupidità di coloro che si rifiutano
di ascoltare la ragione e riconoscere i fatti.
4. Da ultima, c’è la narrazione romantica, che descrive una
‘educazione della razza umana’ dalla beata innocenza
dell’infanzia alla piena maturità della conoscenza vera.
Se la storia dell’Illuminismo ispira orgoglio per i successi
umani, la sua controparte romantica è piuttosto segnata da profondi sentimenti di meraviglia per i grandiosi e
sublimi misteri dell’Essere, della Creazione, dell’Evoluzione, della Coscienza, della Libertà, e dell’Autocoscienza.
Una tale narrazione è fondata dialetticamente piuttosto
che dualisticamente, e dunque non lascia alcuno spazio
ad emozioni davvero negative. In ogni modo, quando chi
vi aderisce perde il senso della meraviglia, e con esso la
credenza in un disegno complessivo dell’esistenza, tipicamente li si vede scivolare in stati di depressione e disperazione. Il nichilismo esistenziale è il figlio di un Romanticismo tradito.
Naturalmente si tratta solo di un abbozzo piuttosto rozzo, senza grandi pretese. Il punto più importante della faccenda è che
l’immaginazione storica produce storie sul passato che derivano
molto del loro potere persuasivo dalla loro capacità di suscitare emozioni. Nei casi qui discussi, tali emozioni sono radicate in
profondi impegni esistenziali relativi a valori fondamentali che
poggiano su entrambi i versanti della principale faglia che attraversa la cultura occidentale: come abbiamo visto, le prime due
narrazioni riguardano conflitti tra il paganesimo ellenistico e il
monoteismo scritturale, laddove la terza e la quarta riguardano il
conflitto tra i valori illuministici e la religione tradizionale.
7. Storiografia anti-eclettica
Ho cercato di mostrare che i prodotti dell’immaginazione storica sono polarizzati tra i due estremi teorici della fattualità (wie
es eigentlich gewesen – come si sono svolti i fatti) e della poeticità (costruzione di una buona storia).Le quattro narrazioni che
ho discusso tendono chiaramente verso il lato poetico di questo
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spettro. La cosa importante da notare, qui, è che il loro potere
come storie è fondato su procedure di selezione di dati altamente
selettive. Sviluppi enormemente complicati e realtà intricate sono
semplificate per avere un effetto emozionale massimo. Aree grigie di ambiguità morale sono ridotte a opposizioni rigide di luce
e oscurità. Persino l’educazione della razza umana può condurre
soltanto a una luce sempre maggiore, e a un’ignoranza sempre
minore: un vero regresso, sconfitta o fallimento è semplicemente
impensabile. Questi sono tutti esempi di eclettismo storico: un approccio altamente selettivo ai dati storici, guidato da un plot che
privilegia la soddisfazione emotiva e l’effetto drammatico rispetto alla piena accuratezza empirica, alla valutazione razionale di
ogni prova disponibile e alla precisione storiografica.
Nel mio anteriore lavoro mi sono sforzato di dimostrare che
la storiografia sull’Illuminismo in domini come la storia della filosofia, la religione e la scienza era basata sulla scelta, deliberata,
esplicita ed autocosciente, per un metodo eclettico (Hanegraaf
2012: 129-130, 140, 149-152). Il lavoro degli storici non consiste nel
presentare ai lettori tutte le prove a loro disposizione e lasciar
loro il compito di farsi una convinzione: questo li confonderebbe.
Al contrario, ci si aspetta dagli storici che essi applichino il loto
giudizio razionale ai materiali storici per estrarre la farina dalla crusca. Gli storici dell’Illuminismo erano convinti che, applicando procedure selettive come queste, ci si mettesse al servizio
della verità. E però, in effetti, stavano facendo il contrario: col
promuovere l’eclettismo come principio metodologico centrale,
hanno offerto legittimazione a un tipo di storiografia che sacrificava la storicità/fattualità sull’altare della poeticità. Il risultato
è una trama soddisfacente, facile da capire, poggiata sull’idea di
una battaglia eroica della scienza contro la superstizione, della religione contro la magia, della filosofia contro l’irrazionale.
Da un punto di vista storico, in ogni modo, questo tipo di mnemo-storia dell’Illuminismo non è affatto superiore ad alcuna
delle narrazioni che ho discusso sopra: proprio come la narrazione dell’Antica Sapienza, o come quelle Protestante o Romantica, la narrazione illuministica è un’invenzione poetica con una
trama seducente che parla all’immaginazione e può avere una
forte attrattiva emozionale. È proprio ciò a renderla così efficace
nell’illuderci sul grado in cui è davvero fondata su argomenti razionali ed evidenze fattuali.
Di conseguenza, ciò di cui abbiamo bisogno negli studi
sulla religione è una storiografia anti-eclettica (Hanegraaff 2012:
152, 377-378). Una tale storiografia non può pensare d’emettere
giudizi sulla ‘verità’ o la ‘serietà’ dei prodotti culturali umani,
prendendo posizione in favore di certe tradizioni, e per sopprimerne altre. Deve invece essere fondata su un empirismo
radicale, che accoglie tutti i dati disponibili come egualmente degni di attenzione. Una tale prospettiva è stata “nell’aria”
accademica almeno dagli anni ’90. Essa riflette ovviamente le
critiche decostruzionista sul come le “grandi narrazioni” della
modernità abbiano guidato la nostra percezione della storia e
del mondo intorno a noi; ma, in modo piuttosto interessante, è
stata elucidata anche da una prospettiva influenzata dagli studi
cognitivi, in una cornice naturalista ed evoluzionista. Nel suo
messaggio presidenziale del 2010 all’American Academy of Religion, Ann Taves ha notato che durante tutto il ventesimo secolo,
gli studi sulla religione, così come discipline finitime, come la
psicologia, hanno operato con concetti artatamente ristretti di
‘religione’, basati sulla tacita esclusione e sul sistematico trascurare tutto ciò che fosse associato con la magia, l’esoterismo, il
paranormale e la metafisica (Taves 2011: 298-303).
Come siamo giunti ad adottare distinzioni così artificiali
e a permetter loro di governare la nostra comprensione concettuale della ‘religione’? Credo che la risposta sia semplice, e
radicata della psicologia umana elementare: la poeticità tende a
prevalere sulla fattualità nell’immaginazione storica. Siamo fatti in
modo da gradire una bella storia su ciò che avvenne nel passato e su come ciò ci abbia condotto dove siamo oggi, e il nostro
profondo bisogno emotivo di una trama chiara che soddisfa le
nostre preferenze personali tende a sopraffare la nostra attenzione, distogliendola dagli argomenti razionali e dalle prove
storiche ed empiriche. Stiamo attenti a ciò che ci interessa, e
trascuriamo ciò che non ci interessa, e per quanto si tratti di
una prospettiva limitata e selettiva, siamo più che propensi ad
accettarla come ‘vera’.
8. Osservazioni conclusive
Potrebbe sembrare una conclusione negativa, la mia. La polarizzazione di poeticità e fattualità nell’immaginazione storica potrebbe facilmente condurci a credere che per quanto le
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storie raccontate siano appassionanti esse sono semplicemente
false, mentre la Storia potrebbe certo essere più vera – e però è
così noiosa! Sospetto che sia per questo che così tanti studiosi
della religione finiscono per essere delusi e disincantati, una
volta che le implicazioni della ricerca storica e dell’analisi critica gli si parano dinanzi agli occhi: troppo spesso essi passano
dalla “classe della simpatia” degli studenti alle prime armi alla
“classe del dubbio” degli studenti esperti, e non riescono più a
ritrovare l’entusiasmo con cui erano partiti (Kripal 2007: 22; cfr.
Hanegraaff 2008: 262). Tuttavia mi sembra che vi sia luce all’orizzonte, perché, una volta che le grandi narrazioni sono state
decostruite come invenzioni poetiche, e riconosciamo il paradosso che è al cuore dell’immaginazione storica (il fatto che,
come abbiamo detto sopra, ci mostra la realtà creandola per
noi), ciò rende possibile raccontare una storia davvero storica, e
cioè: una che è storicamente accurata e insieme appassionante.
Il vero ‘eroe’ di questa storia sarebbe la stessa immaginazione
storica. Come storici, possiamo rinvenire e descrivere le mille
avventure che quest’eroe ha passato, nella sua ricerca per afferrare realtà che costantemente lo eludevano, mentre credeva in
narrazioni che sempre lo illudevano. La storia di questa ricerca
– insisto – non è un’illusione. È la storia vera di come gli uomini hanno davvero e sul serio cercato di acquistare conoscenze,
e di quanto tenacemente hanno continuato a provarci. Questa
storia non può mai esser raccontata per intero, e noi ci siamo
ancora dentro, ma io credo si possa raccontare con accuratezza.
Vale davvero la pena di provare a raccontarla – perché, naturalmente, è la nostra storia.
(traduzione di Emanuele Fadda)
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