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Appunti per ricerche archeologiche nel castello di Casertavecchia

2015, Insediamenti e cultura materiale fra tarda antichità e medioevo

Excavations and restorations has been led at Casertavecchia’s castle during the last century, showing his historical main phases from the Lombard age to the last Middle Age, as the hilltop settlement was being reducing and the ground town was growing up. In any case, the lack of archaeological approaches have caused the lost of every knowledge about the local material culture concerning the pottery uses and a lot of data about domestic life in the castle and in the surroundings. What if the modern archaeological methodologies could be applied to the castle studies? What if archaeologists could investigate the still numerous rooms and underground chambers of the monumental complex?

COMUNE DI CASTEL CAMPAGNANO SECONDA UNIVERSITÀ DI NAPOLI DIPARTIMENTO DI LETTERE E BENI CULTURALI INSEDIAMENTI E CULTURA MATERIALE FRA TARDA ANTICHITÀ E MEDIOEVO Atti del Convegno di studi Insediamenti tardoantichi e medievali lungo l’Appia e la Traiana Nuovi dati sulle produzioni ceramiche Santa Maria Capua Vetere, 23-24 marzo 2011 Atti del I Seminario Esperienze di archeologia postclassica in Campania Santa Maria Capua Vetere, 18 maggio 2011 a cura di Nicola BusiNo e Marcello rotili TAVOLARIO EDIZIONI 2015 in memoria di Tiziano Mannoni e Graziella Berti Enti Promotori Comune di Castel Campagnano Seconda Università di Napoli Dipartimento di Lettere e Beni culturali Impaginazione: Laura Iodice In copertina: Ceramica da Benevento, Montella e Torella dei Lombardi. A pagina 1: Piatto (XV-inizi del XVI secolo) dal castello Candriano di Torella dei Lombardi (Avellino). In quarta di copertina: Boccale in ceramica graffita (XV secolo) dal castello Candriano di Torella dei Lombardi. © 2015 by Tavolario Edizioni San Vitaliano (NA) tel. 0815198818 - [email protected] ISBN 978-88-906742-8-0 NICOLA BUSINO APPUNTI PER RICERCHE ARCHEOLOGICHE NEL CASTELLO DI CASERTAVECCHIA* Excavations and restorations has been led at Casertavecchia’s castle during the last century, showing his historical main phases from the Lombard age to the last Middle Age, as the hilltop settlement was being reducing and the ground town was growing up. In any case, the lack of archaeological approaches have caused the lost of every knowledge about the local material culture concerning the pottery uses and a lot of data about domestic life in the castle and in the surroundings. What if the modern archaeological methodologies could be applied to the castle studies? What if archaeologists could investigate the still numerous rooms and underground chambers of the monumental complex? 1. Introduzione Affacciato sul podio centrale della quinta tifatina che abbraccia a nord-est la piana di Caserta, l’attuale centro di Casertavecchia non si differenzia molto nella sua configurazione topografica dall’abitato altomedievale cui si riferisce la cronaca di Erchemperto1, in occasione della presa dell’allora Carta Irta da parte di Landolfus, gastaldo di Suessola nel quadro delle faide longobarde che funestavano l’area capuana negli anni ’60 del IX secolo2: pur risultando sconosciuta l’origine del centro, essa è comunque riconducibile ai nuovi processi poleogenetici innescati dai ben noti fenomeni di spopolamento del fondovalle alla fine dell’età antica3. N. Busino, Seconda Università di Napoli. * Sento il bisogno di rivolgere al prof. Marcello Rotili vivi ringraziamenti per avermi proposto nell’ambito del I Seminario di Archeologia postclassica questo tema di ricerca e per i suggerimenti offerti. Ringrazio altresì gli architetti Paola Raffaella David e Flavia Belardelli, rispettivamente Soprintendente ai Beni Architettonici, Paesaggistici, Storico-artistici ed Etnoantropologici e funzionario del Settore tecnico della stessa Soprintendenza, per aver autorizzato la consultazione degli archivi correnti. 1 HLB, 30, p. 246. Lo stesso impianto viario attuale rispecchia abbastanza da vicino quello medievale (D’oNoFrio 1993b, p. 371), organizzato su due arterie tra esse parallele che si dipartono perpendicolarmente dalla strada che fiancheggia il castello. Sull’asse più settentrionale (costituito da via dell’Annunziata e via San Michele Arcangelo) si snoda il complesso della cattedrale, nonché altri edifici religiosi tra cui la piccola chiesa dell’Annunziata; quello meridionale doveva essere occupato dalle attività artigianali e dalle abitazioni private ed era l’elemento di connessione con l’area suburbana. 2 cileNto 1966, pp. 81-113. 3 Sul fenomeno in generale, cfr. rotili 2009, pp. 345-353. Per Casertavecchia, già vultaggio 1993, pp. 342 NICOLA BUSINO Pur non menzionato da subito come civitas o come urbs, a differenza di altri coevi centri campani quali Neapolis, Salernum, Capua, Nuceria, Beneventum, Sicopolis e Teanum, l’abitato divenne presto sede di un distretto amministrativo tra l’inizio del X e la metà dell’XI secolo4 con funzioni di caposaldo territoriale e di presidio militare nel controllo del valico che, attraverso il massiccio del Tifata, metteva in collegamento la piana campana con le direttrici viarie del medio Volturno e con Benevento. L’abitato attuale si disponeva ai piedi di un imponente fortilizio che spicca sul lembo orientale del poggio tifatino: l’impianto fortificato5 si compone di una corte esagonale con asse maggiore orientato nord-sud e allungato rispetto a quello estovest. Potenziata da torri a pianta sub-rettangolare disposte sui muri perimetrali, la corte è definita a oriente dai resti del palatium e sui lati occidentale e settentrionale da altri annessi: la porzione meridionale è dominata dal grosso torrione cilindrico6 di tipo residenziale svincolato dal resto della fabbrica palaziale, nonché dai resti di un piccolo complesso termale. Oltre al castello, l’altro perno urbano è rappresentato dalla cattedrale e dall’antico complesso episcopale, edificati sul lembo settentrionale di Casertavecchia: il nucleo architettonico dell’edificio di culto, risalente alla prima metà del XII secolo, ne sostituisce uno più antico, riferibile ad epoca longobarda7. Dall’istituzione della contea normanna intorno alla metà del XII8, Casertavecchia svolse le sue funzioni amministrative e politiche fino agli inizi del XV secolo, allorché 31-32. Ai fini dell’origine del centro altomedievale non costituisce prova certa l’esame della documentazione scritta inerente la nascita della diocesi di Casertavecchia, al cui riguardo resta l’ipotesi di Kehr (It. Pont., Caserta, pp. 276-278) secondo cui la cattedra vescovile si sarebbe generata in continuità con la fine della diocesi altomedievale di Calatia (nel territorio di Maddaloni, in provincia di Caserta), di cui era stato vescovo Alderico (966-979). Del tutto infondata è poi la tradizione che faceva risalire la diocesi calatina alla metà del V secolo, in ragione della controversa figura del protovescovo Augusto, di origine africana (vultaggio 2010, pp. 258-259; circa la figura di Augusto nella Passio S. Castrensis, testo noto entro la fine del XII secolo, cfr. otraNto 2009, pp. 299-303). 4 vultaggio 1993, pp. 31-33, confermato da guaDagNo 2001, pp. 99-100 nota 48. Sul nesso tra il sito d’altura e la contea longobarda di Capua, cfr. tescioNe 1990, pp. 24-30. 5 Cospicua bibliografia è stata prodotta sul castello di Casertavecchia, in larga parte citata da Pistilli 2003. 6 Il torrione circolare è noto anche con il toponimo torre dei Falchi (ben sottolineato dalla guida di F. FleetWooD 1977), evidentemente connesso ad una tradizione tarda, ma che evoca felici suggestioni federiciane: toponimi analoghi, seppur non direttamente connessi alla fase federiciana, sono attestati in Irpinia come nel caso del castellum Girifalci nel territorio di Torella dei Lombardi (di cui rimane la sola torre principale), citato in una donazione al monastero di San Salvatore di Goleto alla metà del XII secolo (rotili 1996 p. 348, nota 3). 7 cecchelli 2003, p. 139. La notizia di un precedente edificio privo di transetto, a tre navate ed altrettante absidi è contenuta nella Relazione manoscritta sugli ultimi lavori di restauro della cattedrale (1950-54 c.), pubblicata nell’appendice documentaria di D’oNoFrio 1993, doc. n. 2, pp. 221-222: dall’edificio altomedievale proviene con ogni evidenza una lastra ad arco, pertinente ad un ciborio o ad un ambone (segnalata da D’oNoFrio 1993, p. 96 nota 42 nella sacrestia. Attualmente è conservata nei locali messi a disposizione della Pro Loco): è decorata da un pavone simbolico nell’atto della adoratio crucis, affiancato da motivi nastriformi (aceto 1990, pp. 323-324). 8 Con l’estinzione della dinastia capuana con Atenolfo nel 1065 (vultaggio 1993, pp. 32-33; cecchelli 2003, p. 129), il comitatus Caserte venne concesso da Ruggero II a Robbertus de Caserta negli anni tra il 1150 e il 1159, dopo che ne era stato titolare Nicolaus Fraynella (CBComm., pp. 268-269 n. 961; p. 271 n. 964; tescioNe 1990, pp. 38-46; vultaggio 1993, pp. 62-63). Oltre che da Caserta (feudum XI militum), la vasta contea era altresì composta da Castel Morrone (Morrone, feudum IIII militum), Melizzano (Melliczano, feudum I militum) e da una località minore (Bublano, identificata da tescioNe 1990, p. 38 con Pugliano, vicino Telese). Il comes Roberto era altresì concessionario di altri territori (CB, p. 172 n. 964; CBComm., p. 271 n. 964) in area beneventana (Thelesia et Surupato) e nel Frusinate, ovvero il territorio della valle del Comino con i centri di Fontana Liri, Arpino e Monte Nigro, località quest’ultima che tescioNe 1990, pp. 38-39, nota 162 identifica fra Arpino e Santopadre, oltre che dai centri nell’Avellinese di Mandra e Pulcarinum (Villanova del Battista). APPUNTI PER RICERCHE ARCHEOLOGICHE NEL CASTELLO DI CASERTAVECCHIA 343 esse furono via via trasferite in località Torre9, nella sottostante piana campana, operando la scelta insediativa che costituì il nucleo embrionale dell’attuale città di Caserta: pur privato della centralità amministrativa, il centro medievale continuò tuttavia la sua funzione di presidio militare fino al primo trentennio del XVI secolo10. 2. Scavi e restauri: una breve rassegna Benché il recente contributo di Francesco Pio Pistilli sul castello di Casertavecchia11 costituisca un esauriente ed aggiornato esame del complesso monumentale (fig. 1), va sottolineato che il monumento non è mai stato fatto oggetto di scavi puntuali e sistematici: al contrario e in virtù della suggestione da sempre esercitata sulla tradizione locale, il fortilizio è stato interessato da attività edilizie (talvolta consistenti) finalizzate in primo luogo al recupero e al ripristino degli spazi, ma del tutto prive di qualsiasi metodologia archeologica, circostanza che spiega in parte la mancanza di una complessiva lettura stratigrafica degli alzati. È pur vero che la sensibilità delle istituzioni verso il significato storico-artistico del monumento e in particolare verso la torre principale, in virtù della sua valenza simbolica connessa all’identità civica di Caserta12, si percepisce chiaramente in una lettera del 1960 inviata dall’allora Soprintendente Riccardo Pacini al Commissario Prefettizio, in cui si constatano le «gravi manomissioni delle strutture di sommità della Torre demaniale del castello in relazione alla costruzione dell’acquedotto»13: l’impiego di questo tipo di strutture per l’allestimento di vasche e di infrastrutture connesse ad acquedotti era purtroppo una prassi abbastanza frequente negli anni a ridosso della metà del secolo scorso, in ragione della collocazione delle fortezze nei settori più elevati degli abitati cui si intendeva rivolgere l’infrastruttura idrica14. Tra le operazioni di recupero e valorizzazione del monumento vanno citate le attività del 1972 per un campo internazionale promosso da una sezione ausiliaria della protezione civile15: si trattò essenzialmente di attività di rimozione crolli e si concentrarono nell’ala orientale del castello (il cosiddetto palatium), nell’area meridionale e (in parte) in quella occidentale. Oltre alla documentazione fotografica delle operazioni effettuate, depositata presso l’archivio corrente della competente Soprintendenza per i Beni Architettonici, Paesaggistici, Storico-artistici ed Etnoantropologici 9 I della Ratta, che detenevano la signoria della Caserta medievale, trasferirono la corte comitale in località Torre entro il 1483 (vultaggio 1993, p. 25). 10 Pistilli 2003, p. 158 e bibliogr. ivi citata. 11 Pistilli 2003, pp. 152-187. 12 È stato opportunamente sottolineata la valenza semantica della torre nell’araldica di Caserta (vultaggio 1993, p. 25). 13 ArchSop, CE/M/704, b. 6. 14 I lavori svolti al castello richiamano quelli svolti a partire dagli anni ’20 del secolo scorso nel fortilizio di Ariano Irpino, alterando profondamente il settore residenziale prospiciente la magna turris (rotili 2008, p.131). 15 Un preciso riferimento bibliografico è in tescioNe 1990, pp. 154-155, nota 789. A questa prima esperienza ne sono seguite altre, da ultimo un campo organizzato nel luglio del 2000 (ArchSop, CE/M/704, b. 1). 344 NICOLA BUSINO Fig. 1. Planimetria del complesso monumentale (I livello). APPUNTI PER RICERCHE ARCHEOLOGICHE NEL CASTELLO DI CASERTAVECCHIA 345 delle province di Benevento e Caserta16, fu realizzata in quell’occasione una planimetria del complesso monumentale, con indicazione delle aree d’intervento e rilevando alcune strutture emerse nella porzione occidentale della corte: da quest’ultimo settore erano altresì emerse alcune «sfere di pietra», interpretabili verosimilmente come proietti17. Nell’occasione furono altresì rinvenuti manufatti ceramici, schedati e conservati in un ambiente appositamente chiuso e riadattato come sala di esposizione18. Tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 del secolo scorso il settore orientale è stato fatto oggetto di un complesso restauro che ha comportato anche rilevanti (e talvolta opinabili) integrazioni degli alzati mediante tufo peperino grigio di tonalità diversa da quella originaria19: gli scavi condotti in quell’occasione hanno evidenziato alcuni elementi che costituivano l’arredo architettonico interno del palatium, Fig. 2. Torre nord-orientale vista dall’esterno. quali pilastri in pietra piperina, nonché una scala esterna che conduceva agli ambienti superiori (soluzione quest’ultima constatata anche per il palatium castri di Montella, nell’Avellinese20) ed una loggia a sbalzo; l’allora disponibilità economica ArchSop, CE/M/704, bb. 1-3. L’esame preliminare della documentazione d’archivio inerente l’intervento del 1972 è stata condotta da Fabio Rossi nella sua tesi Archeologia dell’architettura a Casertavecchia (a.a. 2003-2004), relatore Prof. Marcello Rotili. 18 ArchSop, CE/M/704, b. 3. Relazione dell’arch. G. Zampino al Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione Generale Antichità e Belle Arti (prot. 21147, in risp. a 1494 del 03.02.1972), in cui si riferiva tra l’altro che era «stato eseguito il diserbamento dei ruderi, lo scavo e la rimessa in luce di alcune strutture del castello, alcuni rilievi e una sistemazione generale sia del viottolo di accesso al monumento, sia dell’area del cortile e di gran parte delle strutture superstiti». Tra il 5 e il 22 luglio 1973 furono svolte altre attività, documentate da sintetiche relazioni sprovviste di documentazione fotografia o grafica: tra i risultati conseguiti «si sono portati alla luce i muri perimetrali di una stanza con nicchia, i resti di un probabile camino ornato da fregi a foglie e gigli; nella zona 2 [è stata effettuata] una grande asportazione di terreno con ritrovamento di reperti archeologici. [Sono stati altresì] evidenziati due forni» (ArchSop, CE/M/704, b. 3, relazione tecnica trasmessa da R. Forlani, Direttore del Centro Servizio Volontario giovanile, Caserta alla Soprintendenza prot. 016118 del 30 luglio 1973). 19 I dettagli del progetto di restauro sono esplicitati in caraFa 1991, pp. 147-157. Le integrazioni vennero eseguite secondo le indicazioni dell’art. 15 della Carta del Restauro di Venezia (1964). 20 Si tratta della residenza signorile a due piani realizzata nel XIII-XIV, riadattando un precedente edificio costruito entro il XII secolo: il nuovo impianto si articolò su due livelli, destinati rispettivamente a funzioni di servizio (magazzino, scuderia, alloggio per la guarnigione o la servitù) e di rappresentanza. Reso confortevole da finestre, servizio igienico, lavabo e camino, questo secondo livello era impreziosito da 16 17 346 NICOLA BUSINO consentì il solo ripristino della spazialità interna del primo livello. Malgrado qualche criticità metodologica, nell’ambito dell’orizzonte culturale maturato in quell’occasione non mancò qualche riflessione circa la necessità di un approccio archeologico al monumento21, opinione purtroppo rimasta sinora inascoltata. Altri interventi eseguiti alla fine del secolo scorso hanno riguardato gli ambienti posti a sud-ovest, nonché due torri disposte rispettivamente sui lati nord-est e orientale (quest’ultima definita torre intermedia)22: in particolare, nel 1997 sono stati effettuati dei restauri alla torre nord-orientale23 (fig. 2) dell’anello castrale e negli annessi ambienti, nonché sistemazioni del bastione intermedio in connessione con il palatium. Caratterizzata da una pianta rettangolare, il cui margine esterno non è coerente all’orientamento della parete perimetrale, la torre presenta un piccolo barbacane ed è conservata per un’altezza massima di oltre 19 m; la cortina muraria è realizzata in bozze di tufo con grossi conci pseudoisodomi disposti negli angoli. L’interno si articola su tre livelli, di cui quello più in basso è allacciato ad alcuni ambienti a loro volta connessi con la corte interna. Al di sotto di essi (e non sulla verticale della torre) sono state riconosciute due cisterne con volta a botte e pianta rettangolare, collegate tra loro da un canale adduttore: il fondo dei due invasi si trova quasi 2 m al di sotto del piano di campagna attuale. L’ambiente di base della torre connesso con la corte intera, interpretabile come ambiente di servizio (deposito, magazzino), riceveva luce da un unico sbocco a bocca di lupo aperto sulla parete esterna: poco al di sopra si impostavano gli alloggiamenti delle travi per il solaio del livello superiore. Quest’ultimo era dotato di un ingresso autonomo sul cortile interno e prendeva luce da una piccola apertura a bocca di lupo posta anch’essa sulla parete esterna, nonché da una grande finestra con arco a sesto acuto aperta sul lato nord, in seguito ridotta. L’ultimo livello, pesantemente rimaneggiato dall’assenza della copertura, doveva avere funzioni di avvistamento, com’è arguibile dall’ampio vano-finestra (di cui rimane solo il davanzale) aperto verso l’esterno, nonché da un altro piccolo varco con arco a tutto sesto, affacciato sul versante nord: non è chiaro il meccanismo di accesso a quest’ultimo ambiente. 3. Fonti storiche In assenza di espliciti riferimenti alla turris Caserte nella documentazione scritta che precede l’età angioina, momento in cui Carlo I d’Angiò ne assegnò la custodia a Bertrando del Balzo nel 127724, l’edificazione del mastio circolare che connota il castello di Casertavecchia è tradizionalmente legata alla committenza di Riccardo de Lauro25 alla metà del secolo, anche in ragione delle strette consonanze architettoniche affreschi e decorazioni architettoniche in marmo (eBaNista 2011, p. 154). 21 PeDuto 1988, pp. 17-19. 22 ArchSop, CE/Ch 704, bb. 1-3. 23 ArchSop, CE/Ch 704, b. 2. Si tratta del baluardo riferito ad epoca normanna (Pistilli 2003, p. 163). 24 Reg. Canc. XVI, nn. 59 (p. 19), 97 (p. 32). Bertrando del Balzo era probabilmente il concergius del Castrum Caserte, inserito nella tabella delle guarnigioni di stanza nei castelli d’amministrazione curiale a partire dal 1278 (sthaMer 19962, p. 60, tab. A Terra Laboris et comitatus Molisii). 25 cecchelli 2003, pp. 129, 136-137. APPUNTI PER RICERCHE ARCHEOLOGICHE NEL CASTELLO DI CASERTAVECCHIA 347 più volte citate tra l’apparato basamentale in travertino della torre e l’analoga soluzione messa in pratica per il basamento della porta federiciana di Capua26. L’assenza di scavi stratigrafici rende tuttavia ancora incompleta la definizione delle pregresse fasi edilizie del complesso monumentale: non ben definita è infatti la questione circa la plausibile erezione della fabbrica sveva su un precedente impianto normanno, molto sfuggente nelle sue componenti strutturali27. Altrettanto aperta è la discussione circa l’esistenza di elementi murari riconducibili ad epoca longobarda, eventualità plausibile in ragione del distretto amministrativo citato dalle fonti scritte28; inoltre, l’esistenza di una sede amministrativa per l’alto medioevo appare ragionevole in quanto nel tessuto urbano si registrava già la presenza di un edificio di culto (pubblico o privato), ovvero quello emerso al di sotto del transetto della cattedrale normanna. Dalla rassegna delle fonti bassomedievali si può dedurre che la prima fabbrica di una certa consistenza è da porre tuttavia in relazione con la crescita politica del nucleo abitato che divenne il perno della nuova contea normanna, in parallelo all’istituzione della diocesi e all’edificazione della relativa cattedrale29. Come già detto, il comitatus Caserte fu concesso alla famiglia dei de Lauro30 che ne detenne la titolarità fino alla seconda metà del XIII secolo, allorché sia il castrum che la contea furono assegnati ai Beaumont31, per volere di Carlo d’Angiò che volle punire i de Lauro per aver abbracciato la causa antiangioina: durata pochi mesi, la signoria dei Beaumont segnò con ogni probabilità l’inizio dell’abbandono del palatium duecentesco, se nel citato documento del 1277 in cui si conferisce l’incarico di custodia alla famiglia del Balzo è esplicitamente menzionata la sola torre circolare. Neppure la signoria dei Caetani sul finire del XIII, né quella dei della Ratta all’inizio del secolo successivo intesero rivitalizzare il settore palatino del castello: anzi, fu probabilmente Diego della Ratta che promosse la costruzione di una nuova residenza nel villaggio Torre, sorto nell’area attualmente occupata dall’attuale abitato di Caserta32; essa accoglierà la sede comitale però solo dal 148333. La lenta decadenza del complesso fortificato riguardò solo parzialmente la torre circolare, le cui funzioni di presidio territoriale per il controllo di Terra di Lavoro dovettero essere ancora valorizzate nel primo quarto del XVI secolo, allorché Andrea Matteo Acquaviva, duca d’Atri e conte di Caserta, ne fece il perno principale delle difese dell’abitato insieme ad una nuova cinta muraria, nel quadro del conflitto francospagnolo innescato dalla fallimentare spedizione del Lautrec del 152834. Pistilli 2003, pp. 152-153, 176-177 e bibliografia ivi citata. Pistilli ne evidenzia alcune parti della cinta muraria (Pistilli 2003, pp. 162-164). 28 Alla fine del IX secolo Caserta è presumibilmente un gastaldato dipendente dalla contea di Capua (HLB, 40, p. 250); la circoscrizione diventerà una signoria comitale nel 963 (cileNto 1966, pp. 35, 155 nota 6). 29 La più antica definizione della diocesi di Caserta è quella contenuta nella concessio al vescovo di Caserta Rainulfo, da parte del metropolita capuano Sennete del 1113 (vultaggio 1993, pp. 40-41; 2010, pp. 260-261): l’atto è da porre in relazione con la cattedrale di San Michele Arcangelo, edificata tra il 1113 e il 1153 (D’oNoFrio 1993a, pp. 63-64). 30 Cfr. supra, nota 8. 31 Reg. Canc. II, n. 571 (p. 148). Anni 1268-69. 32 L’ ipotetica attribuzione a Diego della Ratta è in Pistilli 2003, p. 157 e nota 27. La sede del villaggio Torre è tradizionalmente localizzata nella zona dell’attuale piazza Vanvitelli a Caserta. 33 vultaggio 1993, p. 25; 2010, p. 264. 34 tescioNe 1990, pp. 133-134. 26 27 348 NICOLA BUSINO Fig. 3. I vani sud-occidentali identificati come balneum. 4. Le principali fasi edilizie La recente analisi degli elevati ha evidenziato almeno tre principali fasi, collocabili tra la fine dell’XI e la seconda metà del XIII secolo: non sarebbero emerse strutture murarie riconducibili all’altomedioevo35. Il nucleo primitivo sarebbe riconducibile ad epoca normanna e sarebbe stato costituito da un recinto fortificato di forma esagonale, munito di almeno tre torri a pianta quadrangolare i cui resti sono attualmente visibili rispettivamente in prossimità dei muri occidentale, sud-occidentale e nord-orientale36: dei tre bastioni, è ben conservato quello occidentale con probabili funzioni abitative, 35 L’identificazione delle fasi edilizie è basata sull’analisi delle tecniche murarie degli elevati (Pistilli 2003, pp. 160-162), certamente non esaustiva. Certo, l’analisi corregge a ragione la datazione del palatium all’età longobarda, ipotesi formulata senza alcun presupposto dall’erudizione storico-topografica di fine XVIII secolo (esPerti 1775, p. 71; giustiNiaNi 1797, p. 244); inoltre, è pur vero che la recente attribuzione al IX-X secolo delle torri quadrangolari (vultaggio 1993, p. 34) o di altri corpi di fabbrica (tescioNe 1990, p. 153) richiede ulteriori conferme archeologiche. In generale tuttavia va detto che escludere a priori l’esistenza di strutture murarie altomedievali (Pistilli 2003, p. 153) potrebbe essere avventato, soprattutto se si considera che molti livelli ipogei delle torri e di altri settori del cassero sono ancora inesplorati. 36 La tecnica muraria che contraddistingue la fase normanna è la muratura a sacco con paramento costituito da bozze e scapoli di calcare: ammettendo la datazione alla seconda metà del XII secolo, è stato giustamente notato (Pistilli 2003, pp. 162, 180) che la configurazione con cinta poligonale, torri di fiancheggiamento e braccio porticato con funzioni residenziali si discosta chiaramente da quello più comune costituito dal donjon disposto al centro o ai margini di un’area fortificata. APPUNTI PER RICERCHE ARCHEOLOGICHE NEL CASTELLO DI CASERTAVECCHIA 349 Fig. 4. La facciata del palatium. Sulla sinistra si intravede la torre nord-orientale. nonché quello che in origine copriva l’angolo nord-orientale dell’esagono, citato in occasione dei restauri svolti nel 1997 (supra); scarsi i resti della torre meridionale. La riformulazione del complesso in età sveva37 determinò un allungamento dell’esagono verso nord, nonché un innalzamento dei piani di frequentazione normanni: la tecnica muraria impiegata era costituita da un massiccio impiego di tufo di colore grigio-scuro, tagliato in conci squadrati. I nuovi adeguamenti rispondevano alla volontà di accentuare la fisionomia residenziale, anche grazie alla edificazione di un piccolo ambiente, identificato come balneum (fig. 3), nel quadrante sud-occidentale che occupò una campata del braccio occidentale e obliterò la precedente torre. La configurazione del fortilizio in questa fase è poco chiara per i settori ovest e nord, in parte ancora obliterate dalle macerie: specie per il settore settentrionale una mirata indagine archeologica apporterebbe significativi contributi alla conoscenza del monumento. La fase sveva è tuttavia contraddistinta dall’allestimento del palatium nel braccio orientale38, che ingloba i resti della precedente murazione (fig. 4): strutturato su due livelli, esso mostra una planimetria a rettangolo allungato a gomito; tre ingressi di diversa grandezza si aprivano nel livello inferiore, caratterizzato da sei campate con volte a crociera e illuminato da piccole monofore a differenza dell’aula soprastante, monumentalizzata da un imponente sistema finestrato. All’esterno il piano superiore 37 38 Pistilli 2003, pp. 164-172. cecchelli 2003, pp. 140-141; Pistilli 2003, pp. 168-172. 350 NICOLA BUSINO era rimarcato da una cornice orizzontale su cui s’impiantavano tre ampie bifore ad archi intrecciati, oltre ad una porta-finestra che metteva in comunicazione la sala interna con una originaria balconata, di cui sopravvivono le buche rettangolari per l’alloggiamento delle travi di sostegno. Sul lato orientale, il salone superiore era direttamente in contatto con la torre mediana a pianta quadrangolare, eretta anch’essa in età sveva: è probabile che qui potesse aprirsi uno dei due ingressi, mentre è probabile che l’altro dovesse trovarsi in prossimità del basamento del mastio, in ragione della inaccessibilità all’interno della corte dal lato settentrionale e da quello occidentale39. Il torrione circolare (fig. 5), o probabilmente la sua ricostituzione ex novo, sarebbe tuttavia da riferire ad una seconda fase sveva, a ridosso della metà del XIII secolo40, in quanto esso venne realizzato indiFig. 5. Il mastio circolare. L’apertura più in basso pendentemente dall’anello castrale, (restaurata) è alla quota del livello superiore del palatium. a cui era comunque collegato mediante due ponti mobili a quote differenti, congiunti rispettivamente al palatium a est e al camminamento del braccio orientale del castello. Rimaneggiato dai lavori di allestimento dell’acquedotto alla metà del secolo scorso, l’imponente impianto della torre presenta un basamento di forma poligonale con muratura in travertino che si sviluppa nel registro superiore con un impianto a pianta circolare, paramento in tufo e ordito murario in tecnica pseudoisodoma: l’allestimento della parte basale è correttamente ritenuto una citazione dello zoccolo della porta di Capua, anch’essa fatta allestire da Federico II con numerosi elementi di reimpiego. L’interno si articolava in tre livelli41, oltre alla terrazza superiore: di essi, il primo era un’enorme cisterna a pianta circolare, posta in corrispondenza del 39 Circa i due ingressi al fortilizio, se ne ipotizza uno sul lato orientale, l’altro sul lato meridionale (Pistilli 2003, pp. 171-172). 40 La torre è alta circa 30 m e ha un diametro di oltre 19 m (cecchelli 2003, pp. 142-147; Pistilli 2003, pp. 173, 175-178). 41 cecchelli 2003, p. 143. Un confronto attendibile circa l’articolazione degli spazi interni è con il donjon cilindrico di Montella, struttura edificata nella prima metà del XII e quindi rimodulata tra XIII e XIV secolo (rotili 2011, pp. 67-103). APPUNTI PER RICERCHE ARCHEOLOGICHE NEL CASTELLO DI CASERTAVECCHIA 351 basamento; era alimentata da un sistema di canalizzazioni che vi convogliava l’acqua piovana dalla terrazza superiore. Una botola rettangolare posta in prossimità del centro della copertura collegava la cisterna con un piccolo vano soprastante, con ogni evidenza un locale di servizio42, coperto da una cupola a sezione ogivale ed illuminato da tre aperture a bocca di lupo; il vano era altresì provvisto di una latrina ricavata nello spessore della muratura. Imponente nel suo allestimento con alta volta ad ogiva, il secondo piano aveva certo funzioni residenziali ed era collegato con il braccio orientale del castello, nonché con il vano sottostante e con la terrazza superiore. L’allestimento interno comportava un camino e tre finestroni gradonati con sedili in muratura43: in alcune porzioni delle pareti, originariamente rivestite da intonaco, si intravede la tecnica muraria, costituita da bozze regolari di tufo poco lavorate e da materiale di scarto costipato. La terrazza doveva essere circondata in origine da una bertesca in legno che non aveva solo compiti di difesa piombante, ma anche di controllo dei meccanismi di azionamento dei due ponti levatoi. Oltre al mastio circolare, le intraprese edilizie avrebbero riguardato mirati interventi al palatium e l’edificazione di due baluardi difensivi rispettivamente sui lati ovest ed est (fig. 1), caratterizzati dalla medesima tecnica muraria in conci di tufo paglierino disposti secondo moduli regolari e con spigoli in opera pseudoisodoma44. La torre occidentale, a pianta quadrata, si articolava su due livelli con copertura a botte: il livello inferiore è interpretabile come cisterna, quello superiore come livello abitativo data la presenza di vani-finestra sulle pareti sud e ovest e di una canna fumaria di un camino nell’angolo nord-orientale del vano. L’altra torre, suddivisa in tre livelli indipendenti di cui i primi due con volta a botte, è probabilmente interpretabile come corpo di guardia: il primo piano era direttamente collegato al livello inferiore del palatium; gli altri due erano connessi al salone superiore. Sempre riferibili al periodo svevo sono le strutture relative identificate come bagno di tipo arabo (fig. 3) di cui è distinguibile la zona riscaldata45: situata nel settore sud-ovest del castello, della struttura sono stati riconosciuti almeno due ambienti contigui, un calidarium e un tepidarium, caratterizzati dal pavimento sopraelevato su suspensurae. Ad esso era collegato un piccolo vano poligonale, ov’era forse situata una cabina o una vasca; un’ala del bagno doveva essere collegata al mastio in quanto una delle due porte di accesso alla torre è rivolta proprio al bagno e conserva ancora le mensole sporgenti alla base per l’attacco di un ponte elevatoio. Il mancanza di dati archeologici, la struttura potrebbe essere datata entro la prima metà del XIII secolo, momento in cui questo tipo di strutture, mutuate dal mondo arabo46 e descritte nel piccolo trattato di Pietro da Eboli47, appaiono alla moda. 42 Anche a Montella il livello soprastante la cisterna aveva funzioni di magazzino prima di essere impiegato come discarica (rotili 2011, pp. 84-85). 43 Ampie aperture con gradoni si rilevano nel donjon montellese (rotili 2011, fig. 27c, pp. 84-85). 44 Pistilli 2003, pp. 173-175. 45 cecchelli 2003, pp. 141-142; Pistilli 2003, p. 166. L’esame archeologico potrebbe approfondire oltremodo l’identità dei vani. 46 Un accurato esame di questo tipo di strutture tra le più caratteristiche dell’architettura civile musulmana è in veNtroNe vassallo 1992. 47 De balneis Puteolorum et Baiarum; MaDDalo (a cura di) 2003. 352 NICOLA BUSINO 5. Prospettive di ricerca Pur rappresentando un’adeguata e doverosa premessa all’indagine archeologica del complesso monumentale, l’analisi degli elevati non ne costituisce tuttavia l’alternativa, in ragione delle enormi potenzialità conoscitive offerte ad esempio anche dallo studio dei reperti (ceramica, metalli, vetro, ecc.) provenienti dallo scavo, a cui possono associarsi i dati delle analisi paleobotaniche, osteologiche, chimico-fisiche, ecc.; senza contare che l’attuale stato di conoscenze del fortilizio prescinde quasi del tutto dall’esplorazione completa degli ambienti ipogei rinvenuti al di sotto delle torri secondarie e del palatium. Recenti esperienze in ambito casertano hanno del resto provato l’effettiva crescita di informazioni provenienti da mirate campagne di scavo, come nel caso della chiesa di San Pietro apostolo di Aldifreda, ubicata in prossimità del centro dell’attuale città di Caserta. Di questo edificio si conoscevano sporadiche menzioni tra età medievale e moderna, a partire dal riferimento contenuto nella nota bolla di Sennete del 1113: dalla campagna di scavo condotta alla fine del 2011 è emersa un’articolata stratificazione che va dagli ultimi secoli dell’altomedioevo al primo ventennio del Settecento, allorché l’edificio di culto venne sostituito da quello attuale48. Inoltre, com’è stato constatato per numerosi contesti dell’Irpinia e del Beneventano49, le moderne metodologie di scavo si sono rivelate degli ottimi strumenti d’indagine non solo per la conoscenza di questo tipo di monumenti, ma anche orientando le successive scelte nell’allestimento di progetti di conservazione e restauro. aBBreviazioNi e BiBliograFia aceto F. 1990, scheda VII.36 (La scultura), in MeNis G. (a cura di) 1990, I Longobardi. Catalogo della mostra (Passariano-Cividale del Friuli, 2 giugno-30 settembre 1990), Milano, pp. 323-324. ArchSop = Archivio storico della Soprintendenza per i Beni Architettonici, Paesaggistici, Storicoartistici ed Etnoantropologici delle province di Benevento e Caserta, Caserta - Palazzo Reale. BusiNo N. 2012, La chiesa di San Pietro apostolo di Aldifreda (Caserta), in reDi F.-ForgioNe A. 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