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Modellazione tridimensionale e modelli digitali 3D in Archeologia

2012, Atti del 2° Seminario di Archeologia Virtuale: la Metodologia prima del Software

Lo studio e la comunicazione in digitale del bene culturale è una operazione che non può prescindere da una solida ricerca archeologica di base di tipo tradizionale. Il flusso di lavoro che unisce questa ricerca con i workflow tipici della computer grafica è importante per determinare una metodologia scientifica di indagine: ogni singolo passaggio richiede cura e pianificazione, ogni dato va raccolto ed analizzato con perizia, tradotto in linguaggio digitale con puntualità e precisione. L’archeologo deve riappropriarsi del suo ruolo fondamentale di “studioso/curatore dell’antico” senza lasciare che l’informazione di qualità sia quella prodotta al di fuori della ricerca archeologica. Per fare questo, la conoscenza di tutti i processi con i loro pro e contro è di vitale importanza, senza necessariamente voler trasformare la preparazione archeologica in una preparazione tecnico-informatica.

archeologia virtuale: la metodologia prima del software Comitato Scientifico: Simone Gianolio, Sofia Pescarin, Davide Borra, Andrea D’Andrea, Fabio Remondino Redazione: Simone Gianolio Realizzazione grafica della sovracoperta: Alfredo Corrao L’edizione cartacea del volume è pubblicata da: © 2012 – Espera s.r.l. Editoria e Servizi per Archeologi Via Fulvio Palmieri, 4 00151 Roma [email protected] www.archeologica.com Contattare la Libreria Archeologica di Roma per l’acquisto del volume al prezzo di €26 1° edizione ISBN 9788890644313 Il volume viene distribuito in versione cartacea ed elettronica secondo la licenza Creative Commons, Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 3.0 Unported. Il lettore è libero di: riprodurre, distribuire, comunicare ed esporre in pubblico quest’opera, a condizione che il suo contenuto non venga alterato o trasformato, che venga attribuita la paternità dell’opera al curatore del volume e ai singoli autori dei contributi, e che l’opera non venga utilizzata per fini commerciali. 2 ARCHEOLOGIA VIRTUALE LA METODOLOGIA PRIMA DEL SOFTWARE Atti del II Seminario Palazzo Massimo alle Terme (Roma, 5-6 aprile 2011) a cura di SIMONE GIANOLIO 3 MODELLAZIONE TRIDIMENSIONALE E MODELLI DIGITALI 3D IN ARCHEOLOGIA La conoscenza archeologica, sia essa di tipo scientifico o divulgativo, è il frutto di una piena e precisa comprensione del Bene oggetto di indagine. La ricerca archeologica “tradizionale”, con l’analisi bibliografica, l’analisi iconografica, l’analisi ed il rilievo del manufatto, lo studio del contesto storico prodotto da dati epigrafici, numismatici, documentali, storico-artistici, lo studio del contesto spaziale prodotto da dati antropici ed ambientali (paleobotanica, paleontologia, ecc.), è la base di partenza imprescindibile, incontestabile ed improrogabile per costruire le fondamenta solide di un progetto di Archeologia Virtuale. Lo studio del mondo antico non significa ricostuire la sua realtà talis et qualis, ma formulare una ipotesi la più aderente possibile ad essa, basandosi su quanto la documentazione archeologica ha finora restituito, avendo sempre presente che le testimonianze dell’antico sono soltanto una piccola parte dell’espressione culturale di un popolo, dipendenti dalla geografia1, dal tempo trascorso, o più semplicemente dall’interesse finora mostrato dagli archeologi per un particolare territorio. Sotto questo assunto è deludente constatare che le numerose applicazioni digitali legate ai Beni Culturali siano state prodotte fin dal principio da agenti terzi spesso senza alcun contatto con i protagonisti dell’archeologia, ovvero gli archeologi ed i reperti, in un trend che lentamente e con grandi difficoltà accenna ad essere invertito. “Roma non è stata costruita in un giorno” recita un antico adagio cantato anche dai Morcheeba, eppure il digitale ha fornito l’opportunità che questo potesse accadere, e che questo compito potesse essere portato a termine a prescindere dall’archeologia, se non nella sua vulgata conosciuta da tutti. 1 Si intende con questo termine sia la posizione fisica di un manufatto (ad esempio è possibile ipotizzare che l’urbanizzazione moderna ad ogni latitudine abbia per sempre sepolto l’antico), sia il contesto territoriale nel quale giace (torbiere, terreni umidi, terreni secchi, sono tipologie di suolo che influenzano fortemente la conservazione di un reperto, soprattutto se di natura organica). DALLA CARTA ALLO SCHERMO Il computer da qualche decennio ha “liberato” i ricercatori dalla computazione manuale e dalla necessità di dover selezionare il dato da registrare onde evitare ingestibili raccolte di informazioni; inoltre ha permesso una nuova consapevolezza nella formulazione del dato, costruita sull’esigenza di riportare in modo fedele, oggettivo e puntuale ogni azione ed ogni processo portato a termine durante uno scavo o durante uno studio. La disponibilità di supporti di registrazione sempre più efficienti e ridotti nelle loro dimensioni e l’avanzamento tecnologico nella gestione delle informazioni su server cloud hanno liberato i ricercatori dalla necessità di selezionare i dati, consentendo loro di annotare e catalogare lo scibile: però, solo se questa operazione viene condotta con metodo sarà poi possibile formulare nuove domande per ricevere nuove risposte in grado di aprire ulteriori canali di conoscenza e comprensione del passato. Così come ogni processo di conoscenza archeologica non può prescindere dalla ricerca archeologica “tradizionale”, se si vuole anche ampliata attraverso moderne tecnologie di indagine, allo stesso modo ogni progetto di archeologia virtuale non può prescindere da questa ricerca. Bisogna combattere il proliferare di applicazioni non scientifiche, invitando gli operatori terzi a lavorare nel campo dei Beni Culturali come expertises in tecnologie digitali, secondo l’accezione moderna del termine, sempre al fianco di expertises in archeologia, nella convinzione che la cultura merita quel rispetto che non la squalifichi a mero dato economico. È lo stesso pubblico che, riscoprendo il turismo culturale, chiede una informazione di qualità, ovvero una informazione scientificamente corretta oltre che visivamente coinvolgente. Ancora, l’utilizzo scorretto e/o incoerente della strumentazione elettronica, lungi dal fornire maggiore “scientificità” o maggiore “oggettività” ad un progetto di ricerca, rende più demistificatorio il processo di ricostruzione per mezzo del virtuale, il quale invece dovrebbe rappresentare la massima espressione nella divulgazione odierna della conoscenza scientifica, altrimenti confinata nelle Accademie e nelle pubblicazioni specialistiche. 179 L’archeologo inoltre non dovrebbe limitarsi ad un uso esclusivamente scientifico del virtuale ma aprirlo fin dalla fase iniziale a progetti di comunicazione. Per quanto tradurre l’archeologia scritta in archeologia visuale sia un compito per lo più destinato ai comunicatori ed ai divulgatori che meglio di uno scienziato conoscono il linguaggio adatto per rapportarsi con il pubblico, bisogna essere consapevoli che anche nella formazione dell’archeologo è indispensabile una preparazione che gli consenta di comunicare in modo divulgativo liberandolo dalla necessità di improvvisare. Di conseguenza, se si vuole progettare una applicazione virtuale, di tipo statico o interattivo, alcune linee guida sono imprescindibili per rimanere nel campo della scientificità e della ricerca archeologica così come nel campo della qualità del prodotto finale da realizzare. Altro aspetto da non sottovalutare è infatti la qualità digitale dell’informazione, troppo spesso squalificata da una sua traduzione scadente in formato virtuale: se l’impegno delle software house è quello di fornire prodotti commerciali sempre più ad alto impatto visivo, bisogna adeguarsi allo standard della qualità attuale. Quando la comunicazione archeologica è rivolta alle nuove generazioni è necessario ricordare che quest’ultime sono abituate ad utilizzare PC, console e mobile device in grado di far “girare” prodotti dall’impressionante riproduzione fotorealistica di una ambientazione (reale o di fantasia non importa, ciò che conta è l’aspetto di realtà che imprime in chi la guarda), o dall’elevata qualità artistica dello stile tipo cartoon adottato: se il prodotto digitale legato al patrimonio non è in linea con questo livello qualitativo, terminato l’impatto emotivo dovuto alla novità e/o all’interattività, si rischia che il visitatore-fruitore si fermi al primo stadio della conoscenza. D’altra parte è ancora forte l’impressione che un eccessivo fotorealismo porti il visitatorefruitore ad immaginare che quella rappresentazione sia in realtà la riproduzione del mondo antico, un errore quest’ultimo per certi aspetti perfino più grave. È possibile tuttavia coniugare entrambe le esigenze grazie proprio agli strumenti interattivi che la tecnologia oggi fornisce attraverso l’uso di layer ad attivazione automatica temporizzata o manuale in grado di fornire all’utente la qualità necessaria nella ricostruzione proposta ma al contempo la qualità necessaria nell’informazione scientifica fornita. 180 Infine una riflessione: l’esperienza di videogame e mondi virtuali induce ad inserire nelle nostre ricostruzioni avatar volanti in grado di viaggiare attraverso muri, telecamere a volo d’uccello et similia, ritenendo in tal modo di aggiungere qualità interattiva nelle nostre applicazioni. In questo modo tuttavia si riproduce un’esperienza irreale per un uomo “del passato”, e fornire una visione attualizzata del suo pensiero significa alterare l’urbanistica di una città antica nei vari contesti culturali in cui si è sviluppata la riflessione legata all’organizzazione dello spazio. Entrando nel tema del contributo un ideale workflow per l’impostazione di un progetto virtuale teso alla ricostruzione archeologica si può enunciare come segue, senza la pretesa che questo flusso di lavoro sia adattabile ad ogni contesto archeologico, cosa evidentemente impossibile. Conoscenza del contesto: sono stati sopra menzionati i principali campi di studio della ricerca archeologica, che vanno dall’epigrafia alla numismatica, dalla ceramica ai reperti organici, dal microterritorio al macroterritorio con la sua fauna e la sua flora, le vie di comunicazione, l’orografia, i corsi d’acqua, le risorse naturali, l’iconografia e l’arte, ecc., a partire dalle ricerche geofisiche ove possibili e praticabili. Studiare l’antico è come prevedere il tempo: come non si può conoscere l’andamento metereologico su Roma senza studiare le celle atmosferiche che ricoprono centinaia di chilometri quadrati intorno alla capitale, così non si può conoscere nella sua completezza un contesto antico se non viene messo in relazione con il suo mondo circostante, fatto di scambi culturali, commerciali, religiosi, ecc. che ne influenzavano la visione del mondo. Organizzazione dei dati: la mole di dati generata dalla ricerca archeologica, immensa per ogni contesto antico (enciclopedica per l’insieme di tutti i contesti antichi), non può non avvalersi oggi di tecnologie di gestione adeguate. I database, prodotti con qualsivoglia tecnologia, consentono di organizzare e studiare i dati sotto ottiche differenziate, ma soltanto se opportunamente organizzati: bisogna aver chiaro fin dall’inizio a quali domande (query) si vuole che i database rispondano, “mappando” tutti i campi con specifici metadati. Un errore comune infatti può essere 181 quello di creare tabelle che nel nostro intento vanno compilate con determinati criteri, però se nel metterle a disposizione di terzi (come dovuto) mancano di specifiche indicazioni, potrebbero essere compilate con un differente sistema, soprattutto se queste tabelle sono nominate in maniera “esotica”. Le norme dell’ICCD, almeno in Italia, sono la base di partenza fondamentale per la redazione di schede tecniche, utilizzando anche i vocabolari tematici standardizzati messi a disposizione. Divulgazione del dato scientifico: i dati scientifici che l’archeologo produce non dovrebbero rimanere appannaggio, come proprietà esclusiva, del suo studio, ma essere con il tempo condivisi con la comunità. Oggi questa operazione può essere fatta a partire dai dati grezzi (e non soltanto dai dati elaborati e pubblicati): l’importanza di condividere i dati grezzi è stratosferica nella convinzione che noi archeologi necessitiamo che colleghi qualificati verifichino le nostre intuizioni, processo possibile solo se tali colleghi hanno accesso alle informazioni di base, certamente più oggettive di quelle filtrate nel nostro studio. Piattaforme Web con MySQL, PHP ed AJAX consentono la creazione e la diffusione controllata di database scientifici in tutto il mondo e a costi irrisori. In futuro il progetto SIGEC Web dell’ICCD, di prossima attivazione, diventerà il collettore nazionale per la tutela e l’amministrazione del nostro patrimonio culturale, e cominciare a progettare con specifici formati XML dovrebbe essere un imperativo per tutti (immaginate un Bene che viene immediatamente inserito nel database dove accedono le Soprintendenze, il Nucleo Tutela del Patrimonio dei Carabinieri, la Guardia di Finanza e tutte le istituzioni deputate a conoscere quel Bene, e lo stesso Bene che viene inserito in quella base dati a distanza di anni, perché i compilatori del Ministero non sono robot). Ogni database può diventare la colonna portante di un sistema GIS, che necessita per ogni voce di campi di geolocalizzazione da prevedere già in fase di progettazione, indipendentemente se saremmo noi in futuro a realizzare quel GIS (potrebbero farlo altri studiosi interessati a particolari contesti che non rivestono il nostro campo d’indagine: pensare sempre dunque al futuro). 182 Il rilievo in archeologia: l’operazione di rilievo in archeologia non dovrebbe essere propedeutica all’analisi ma susseguente alla stessa, come ricorda un maestro del calibro di F. Giuliani. Se l’obiettivo è un asettico rilievo strumentale indiretto, registrando in maniera oggettiva l’esistente attraverso laser scanner, fotogrammetria, stazione totale, GNSS RTK, strumenti che devono preventivamente essere calibrati e posizionati prima di ogni sessione di lavoro, si può parlare di semplice acquisizione di una mole di dati grezzi da trattare; in caso contrario, poiché il rilievo manuale diretto è già una forma di interpretazione, come scritto non si può interpretare qualcosa senza averla prima studiata e compresa. Il rilievo strumentale va inoltre pianificato in quelli che sono i limiti tecnici degli strumenti, da conoscere in modo completo per non procedere in lavori errati2. Nell’ottica di un progetto di ricerca archeologica la fase di acquisizione digitale non elimina assolutamente la fase di rilievo manuale, che andrebbe nei limiti del possibile e del praticabile sempre prevista. Comunque si intenda procedere, il modus operandi va pianificato a monte ed ogni ricerca deve preventivamente stabilire il proprio standard e scegliere i propri mezzi di rilievo, così da generare un dataset unico per l’intero progetto uniformando l’errore insito in ogni sistema di misura. Altrimenti al termine del lavoro verrebbero messe insieme situazioni che non possono stare insieme, unificando in modo non strutturato dati generati con strumentazione dalla differente risoluzione. Inoltre se il nostro fine è generare cartografia 1:50.000, è un errore pensare che il rilievo 1:10 del basolato stradale abbia un senso. È auspicabile che ogni singolo passo della ricerca archeologica si attenga ai massimi criteri della conoscenza, ma è necessario calcolare tempi e fondi economici a disposizione. Altra scelta iniziale è il sistema di capisaldi su cui realizzare le sessioni di ripresa, non solo per facilitare il lavoro di collazione dei dati dentro un sistema omogeneo ma anche per comprendere come studiare il Bene (sia esso territorio o manufatto) evitando una inutile perdita di tempo. Il proprio standard andrebbe poi sempre dichiarato, magari attraverso una delle 2 Cfr. alcuni dei più diffusi problemi riscontrati sul campo in BENEDETTI-GAIANIREMONDINO 2010 e bibliografia ivi segnalata. 183 tante piattaforme wiki open source a disposizione, all’interno delle quali inserire i dati tecnici delle attrezzature, le metodologie di rilievo utilizzate, ecc., così da rendere trasparente il nostro lavoro e consentire un miglior interscambio dei dati grezzi generati. Sistemi geografici: propedeutico alla comprensione del territorio per una sua fedele ricostruzione è la creazione di un GIS, che eleva il semplice database alla potenza della creazione di cartografie tematiche con query in grado di restituire il dato geolocalizzato oltre che informazioni alfanumeriche. Oggi è possibile gestire in modo unificato dati raster per lo studio del suolo con dati vettoriali facilmente interrogabili3. Come sopra, il progredire della tecnologia semplifica la creazione di piattaforme GIS per il web, opportunità questa da cogliere sempre, nei limiti del possibile. LA RICOSTRUZIONE 3D IN ARCHEOLOGIA Terminata la fase di studio e di strutturazione dei dati, operazione che può richiedere un tempo che non va lesinato per la qualità finale della ricerca, si può passare alla traduzione digitale. La realtà virtuale apre vastissime opportunità per la ricerca, per la rappresentazione, per la didattica, per la valorizzazione, per la divulgazione, per la salvaguardia, per la fruizione del Bene Culturale, ovvero per il “sistema della tutela”. Queste differenti possibilità implicano finalità diverse, quindi strumenti diversi ed output diversi: vi sono tuttavia dei dati di base indispensabili, come le planimetrie e le sezioni, i prospetti ed i particolari, le fotografie scientifiche ed i confronti, che devono essere assolutamente realizzati. Il modello 3D: anche in questa fase, prima di procedere alla modellazione vera e propria è importante determinare l’output finale. Generare modelli per immagini statiche, per animazioni o per la realtà virtuale im3 Cfr. MEDRI 2003, p. 208, fig. 3.22. 184 plica differenti modalità di approccio che possono cambiare radicalmente la struttura di un progetto. Nel caso di immagini statiche è necessario modellare soltanto ciò che sarà visibile dalla visuale delle telecamere le cui posizioni vanno scelte preventivamente, renderizzando per canali da montare in postproduzione; nel caso delle animazioni è necessario modellare soltanto ciò che sarà visibile dalla visuale della telecamera lungo il suo percorso, che andrà scelto preventivamente, renderizzando in formato statico tipo PNG: la sequenza generata andrà montata in postproduzione; nel caso di realtà virtuale4 interattiva va invece modellata l’intera scena secondo il criterio dei Levels of Detail da gestire tramite dei game engine. Nel caso delle immagini statiche è poi possibile scegliere tra rendering biased, con simulazione approssimata della luce (ideale per sequenze video), e rendering unbiased con simulazione fisicamente corretta della luce (ideale per immagini ad alto impatto visivo): questa seconda scelta implica tuttavia una grande padronanza nella creazione di texture, shader, materiali e nella modellazione dei particolari, per non indurre il software a simulare in modo fisico cose che nella fisica reale non esistono. La creazione di texture fotografiche prevede l’utilizzo corretto e scientifico della fotografia e dell’elaborazione dell’immagine, avendo sempre ben presente che la texture deve avere assolutamente una dimensione maggiore dell’output finale del rendering, onde evitare sgradevoli artefatti e sgranature. Il workflow nel 3D: il flusso di lavoro di questa fase viene ripreso dall’esperienza operativa maturata nella Computer Grafica, il campo di applicazione che più di altri fa uso del 3D ed al quale è dunque necessario fare riferimento per non “arrangiarsi” applicandosi nella CGI. I passi sono semplici ma utili per avere un solido background di lavoro alle spalle: in CAD si determinano misure e ingombri dei volumi, eventualmente gli alzati, evitando i dettagli; nel software 3D si importa il CAD e si aggiungono dettagli, materiali, luci e camere per il rendering: nell’am4 Si usa qui il termine nel senso semplicistico di “ambiente digitale navigabile sia interattivamente sia attraverso la fruizione video”. Per la definizione scientifica del termine si rimanda alla bibliografia specialistica. 185 biente 3D si aggiungeranno anche tutti quegli elementi utili ad una migliore ricostruzione del contesto, come la vegetazione e gli ecosistemi, le simulazioni fluidodinamiche, la cinematica dei personaggi ed il controllo delle masse, ecc. Si passa poi alla generazione dell’output: inizialmente si stabilisce il tonemap della scena, ovvero l’esposizione con l’illuminazione diretta, la global illumination con l’illuminazione indiretta e l’ambient occlusion, operazioni da eseguire attraverso l’uso generalizzato del c.d. “materiale neutro”. Solo in seguito si potrà procedere alla mappatura con texture, materiali e shader; l’output sarà poi facilmente gestibile per mezzo di appositi programmi di image editing. Nel caso di sequenze video si passa a lavorare sulle bitmap con l’aggiunta di effetti speciali, infine il montaggio per la generazione del filmato. Qualora invece l’obiettivo è il rendering statico, si può procedere ad una elaborazione artistica dell’immagine finale secondo modelli tipici di varie arti: dallo stile antiquario modello École des Beaux Arts di Parigi, a quello vignettistico tipico dei fumetti, allo stile realistico tipico della fotografia, oppure secondo un proprio stile personale. Nel primo e nel secondo caso il risultato si può raggiungere con relativa facilità attraverso l’applicazione di appositi filtri sulle immagini ed un ritocco manuale per mezzo delle tavolette grafiche; nel secondo caso è necessaria una certa perizia nell’uso dei materiali, delle texture, delle luci e nella modellazione. Rimando alla presentazione proposta durante il Seminario per la slide riassuntiva legata al “Vademecum del renderman”. UN WORKFLOW IDEALE PER L’ARCHEOLOGIA DIGITALE Giunti al termine del progetto, ritengo sia utile proporre un elenco puntato di questo lungo processo. · Approfondita analisi bibliografica e documentale del contesto · Raccolta e analisi del materiale cartografico · Ricerca e analisi del materiale iconografico · Digitalizzazione e vettorializzazione del materiale cartaceo 186 · Compilazione di un database informatico e gestione di un sistema GIS per l’indagine georeferenziata sui dati (consigliato) · Impostazione in ambiente CAD della pianta ed eventualmente delle volumetrie e degli ingombri, attraverso l’uso sapiente e ragionato dei layer · Importazione in ambiente 3D degli elementi generati in CAD, con predefinito livello di approssimazione per ogni oggetto (ad esempio le sfere per apparire tali richiedono più poligoni di un cubo) · Decisione sulla tipologia di modello 3D da realizzare: posizionamento delle viste e dei percorsi delle camere, scelta della tipologia di rendering, scelta dello stile artistico per la postproduzione · Impostazione in ambiente 3D dell’output finale della scena (immagini statiche, animazione, realtà virtuale) e modellazione dei dettagli; generazione dei rendering · Creazione delle tavole finali di presentazione, del video (che può alternare sequenze animate ed immagini statiche), dell’applicazione per la gestione interattiva dell’ambiente virtuale Questo connubio tra processi di ricerca archeologica “tradizionali” e flussi di lavoro tipici dell’informatica e della Computer Grafica, come già detto, non va considerato come il migliore in assoluto o come l’unico possibile, ma come un flusso metodologicamente corretto, ed una solida metodologia è la base di ogni processo di ricerca scientifica. Da questo percorso teorico-pratico emerge che l’archeologo è in grado di andare oltre la definizione di archeoinformatico5 data da Vannini un decennio fa: sostantivo che rischia di apparire oltremodo tecnicistico e forse fuorviante. Acquisire competenze informatiche non rende l’archeologo necessariamente –informatico: si può rimanere ontologicamente archeologi anche conoscendo i processi tipici dell’informatica. Un archeologo potrà diventare autosufficiente nel gestire il processo di traduzione digitale delle informazioni archeologiche: questo non implica una 5 VANNINI G.: “Informatica per l'archeologia o archeologia per l'informatica?”, in Archeologia e Calcolatori 11 (2000), pp. 311-315. 187 contrarietà al concetto di “multi-disciplinarietà” (termine eccessivamente abusato ed ideologizzato nella sua accezione “politica”), ma esprime la convinzione che la figura dell’archeologo “tradizionale” rappresenta oggi una figura professionale incompleta, mentre l’archeologo con competenze informatiche, lungi dal dover essere considerato un tecnico, rimane lo specialista del suo campo in grado di facilitare il lavoro all’expertise informatico che lo affianca, riducendo durata e costi della ricerca, temi particolarmente caldi nel nostro tempo. SIMONE GIANOLIO Università di Roma “La Sapienza” ABSTRACT Lo studio e la comunicazione in digitale del bene culturale è una operazione che non può prescindere da una solida ricerca archeologica di base di tipo tradizionale. Il flusso di lavoro che unisce questa ricerca con i workflow tipici della computer grafica è importante per determinare una metodologia scientifica di indagine: ogni singolo passaggio richiede cura e pianificazione, ogni dato va raccolto ed analizzato con perizia, tradotto in linguaggio digitale con puntualità e precisione. L’archeologo deve riappropriarsi del suo ruolo fondamentale di “studioso/curatore dell’antico” senza lasciare che l’informazione di qualità sia quella prodotta al di fuori della ricerca archeologica. Per fare questo, la conoscenza di tutti i processi con i loro pro e contro è di vitale importanza, senza necessariamente voler trasformare la preparazione archeologica in una preparazione tecnico-informatica. 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Mogorovich, P. Mussio, Automazione del Sistema Informativo territoriale. Elaborazione Automatica dei Dati Geografici, Masson, Milano 1988. PESCARIN 2009: S. Pescarin, Reconstructing ancient landscape, Budapest 2009. Più che singoli manuali tra i quali sono stati segnalati quelli che si ritengono fondamentali da conoscere, per rimanere aggiornati su metodologie, tecniche e tecnologie è importante seguire convegni e workshop internazionali: tra i principali appuntamenti si segnalano il CAA, il VAST-VSMM, il CIPA, il DMARCH, il CHNT, il VIA, 3D-Arch, ArcheoVirtual, ArcheoFOSS, oltre alla lettura di riviste italiane come Archeologia e Calcolatori e ArcheoMedia. In relazione ai principali software in uso nelle applicazioni di computer grafica, si rimanda alla folta manualistica esistente in lingua inglese ed italiana. 189