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Balvano. 3 Marzo 1944. Una Tragedia dimenticata.

Corriere della Sera - Milano, 6 marzo 1944, pagina 1 Nell'Italia meridionale Cinquecento morti per soffocazione in una galleria...

Il Treno 8017 Una Tragedia Dimenticata Balvano, 3 marzo 1944 Salvatore Argenziano 1 Il 3 marzo 2004 ricorre il sessantesimo anniversario di una tragedia a suo tempo sottaciuta, è resa poco nota per ragioni diverse: le responsabilità, il clima di quegli anni ma anche l'indifferenza alla morte covata negli anni di guerra. Solo anni dopo, alcuni giornalisti riproposero quell'avvenimento terribile. Di Torre del Greco morirono più di trenta persone, anche giovanissimi e qualche donna. Oggi soltanto pochi torresi ricordano quella tragedia. Avevo dieci anni e il ricordo di quei giorni, vago, impreciso mi ha sempre accompagnato, pur senza alcun coinvolgimento di familiari o conoscenti. I miei scritti si contano sulle dita di una mano ma, in due di questi, avevo citato quella tragedia. Sabato, 24 gennaio 2004. Per caso sento alla radio ... galleria... 500 morti... , treno.... Un romanzo, "Treno 8017". La sollecita cortesia del curatore del programma, Luca Crovi e del prof. Alessandro Perissinotto, autore del romanzo, mi mette sulla strada giusta per conoscere una vicenda di cui nessuno mai aveva saputo darmi notizie. Balvano (Potenza), notte tra il 2 e il 3 marzo 1944 -Pieno carico questa notte!-Ogni volta è così: cominciano a salire 'ncopp' ’o treno a Portici e a Salerno ci sta già la folla; dopo sono assalti all'arma bianca ogni volta che rallenti-. -Bisognerebbe sbatterli giù tutti; 'stu treno è un merci, ci stanno dei regolamenti-. -Eh, hai voglia coi regolamenti; ma lo sai tu quanti treni passeggeri passano su questa linea?-No-. -Due la settimana. E ti pare che con due treni alla settimana tutti sti cristiani possono campare?-. -Hai ragione pure tu. Io scendo a buttare dentro un po' di carbone, che mo' arriviamo alla galleria in salita-. -Galleria Dell'Armi si chiama. Ecco, ci siamo dentro-. -Ih, 'cca sta già pieno 'e fumo, si fatica a respirare-. -Resisti che è ancora lunga. Due chilometri quasi-. -Perché caspita rallenti?-Non ce la fa, stiamo perdendo trazione. Spala, santo dio, spala-. -Qui il focolare è pieno, controlla 'a pressione-. -E' al massimo-. -Ma stiamo quasi fermi; qui si soffoca-. -Santa madonna quanto fumo. Torniamo indietro, dài il segnale a quelli della macchina davanti, fischia su-. -Speriamo che abbiano capito. Ehi, voi della 480, leva indietro! Si torna fuori, qui ci sta troppo fumo!-. -Leva indietro, forza-. -E' bloccato, pare frenato-. -Mi sento male, dammi una mano...-Arrivo, aspetta...Questo è l'incipit del romanzo "Treno 8017" di Alessandro Perissinotto, editore Sellerio, 2003. 2 Corriere della Sera - Milano, 6 marzo 1944, pagina 1 Nell'Italia meridionale Cinquecento morti per soffocazione in una galleria *** 20 ***. Dopo il sogno, la dura realtà. Lisbona 6 marzo. L'agenzia Reuter comunica da Napoli che cinquecento italiani sono periti venerdì mattina per asfissia in una galleria ferroviaria dell'Italia meridionale. Altre 49 persone sono attualmente degenti all'ospedale. Per mancanza di treni viaggiatori, un gran numero di persone era salito su un merci diretto verso oriente, stipando i carri aperti che lo componevano. Nell'attraversare una lunga galleria il treno, che già procedeva assai lentamente, rallentava ancora la marcia, sicchè il denso fumo che ingombrava la galleria stessa in seguito al passaggio di altri convogli provocava la soffocazione della maggior parte dei disgraziati viaggiatori. Mercato nero della ricchezza americana e di vitali alimenti dalla campagne. Treni stracolmi corpi appiattiti sul tetto delle carrozze tornano dalle campagne del sud anche i figli di zia Lena con olio carne e farina. Il lugubre acuto fischio la frenata abusiva fuori stazione tra lo stridio e lo scintillio sulle rotaie. ad evitare le guardie e la fuga tra i binari scavalcando le punte aguzze delle cancellate Centinaia di morti soffocati dal fumo nero della locomotiva groviglio di corpi calpestati dal panico nel buio della galleria di Balvano. da "Ricordi" di S. Argenziano. 1998 da "Storie Torresi" di S. Argenziano Balvano ...... Nt’â stazzione attaccaieno n’ata lucumutiva e ppo u treno partette pe Pputenza. Giruzzo s’addurmette e io me mettietti a gguardia r’i mmappate. Arrivaiemo â stazzione ’i Balvano e llà u treno se fermaie pe na cuincidenza. Era mezanotte e io già penzavo ’i m’appapagná nu poco. Sentevo ogni tanto i vvoci r’i machinisti ca se chiammavano nt’â nuttata. Nt’û vagone i rrunciate ’i chilli ca rurmevano. Era quasi l’una ’i notte quanno u treno s’avviaie p’a sagliuta. Giruzzo rurmeva e io penzavo r’u scetá a Pputenza. Trasiéttimo nt’a na gallaria e i pparpetule ’i l’uocchi mieie addeventavano sempe cchiù pesanti. Verévo già i ppalummella. sovraccaricarono il treno o inevitabile fato? "Spero che un giorno venga sollevato il velo su un fatto tanto grave. E forse alle famiglie delle vittime dopo tanto tempo basterebbe che le Ferrovie e il ministero della Difesa deponessero un mazzo di fiori. Basterebbe quello". Gennaro Francione cita Simone Navarra Oggi, 3 marzo 2002, ricorre l'anniversario del disastro ferroviario del '44 in cui morirono oltre 600 persone. E ancora ci sono dubbi sulle responsabilità. Colpa degli americani che 4 Balvano oggi Balvano, antico piccolo centro lucano notevolmente danneggiato dal sisma del 23 novembre 1980. L'effetto devastante del tremore della terra causò decine e decine di vittime e reso impossibile il recupero di molti antichi edifici andati irrimediabilmente distrutti. Tre interessanti strutture con sorti diverse oggi sopravvivono al terremoto/80: Notizie storiche e dati demografici Il Paese sorge lungo il bacino del Sele, alle falde Nord-Occidentale del monte La Rotonda e si concentra per la maggior parte alle pendici del castello costruito nei sec. XIXII. Balvano proviene dal nome di un feudatario normanno molto potente. Come la maggior parte dei Paesi lucani, il feudo passò nelle mani dei vari feudatari che dominarono l'Italia meridionale.In epoca moderna il Paese fu dominato da poche famiglie legate al clero che, sfruttarono la miseria e l'ignoranza della popolazione composta da contadini e pastori. Con la rivoluzione francese e gli ideali di fraternità e libertà, i balvanesi sperarono di migliorare le loro condizioni economiche ottenendo terre. Presto vennero delusi così divennero anti-borbonici con l'arrivo dei francesi a Napoli. Proprio Murat, infatti, nominò il parroco Don Fabrizio Pacelli, giudice di pace di Balvano. Nel 1799 la maggior parte del clero locale costituì il governo repubblicano, eleggendo presidente il sacerdote Michele di Jacovo, il quale organizzò insieme al popolo manifestazioni intorno all'albero della libertà. Nell' '800 Balvano divenne sede di riunioni settarie aderenti alla carboneria. Il malessere dei contadini sembrò placarsi con l'arrivo di Garibaldi. Successivamente, boicottata l'assegnazione delle terre da parte della borghesia, i balvanesi accolsero in trionfo l'arrivo del brigante Crocco nel 1861 e dei suoi luogotenenti, ma anche questo evento non portò miglioramenti. ABITANTI : 2030 (ultimo censimento) Altitudine : 425 MT s.l.m. Archivio Centrale dello Stato. Verbali del Consiglio dei Ministri. Luglio 1943 - maggio 1948. Edizione critica a cura di Aldo G. Ricci. Volume I Governo Badoglio 25 luglio 1943 - 22 aprile 1944 VERBALI DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI GOVERNO BADOGLIO SEDUTA DEL 9 MARZO 1944 SOMMARIO Sinistro ferroviario della linea di Potenza VERBALE Alle ore 16 si è riunito in Salerno, nel palazzo municipale, sotto la Presidenza del Capo del Governo, il Consiglio dei Ministri nelle persone di: Maresciallo Pietro Badoglio, Capo del Governo, Ministro degli Affari Esteri; Avv. Vito Reale, Ministro dell'Interno; Avv. Ettore Casati, Ministro di Grazia e Giustizia; S.E. Guido Jung, Ministro delle Finanze; Gen. Taddeo Orlando, Ministro della Guerra; Amm. Raffaele De Courten, Ministro della Marina; Gen. Renato Sandalli, Ministro dell'Aeronautica; Prof. Avv. Giovanni Cuomo, Ministro dell'Educazione Nazionale; Avv. Raffaele De Caro, Ministro dei Lavori Pubblici; Avv. Falcone Lucifero, Ministro dell'Agricoltura e Foreste; Prof. Avv. Tommaso Siciliani, Ministro delle Comunicazioni; Prof. Epicarmo Corbino, Ministro dell'Industria, Commercio e Lavoro. Esercita le funzioni di Segretario l'Avv. Dino Philipson, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il Ministro delle Comunicazioni riferisce sul sinistro ferroviario della linea di Potenza il quale è da attribuirsi alla pessima qualità di carbone fornito dagli Alleati. I morti sono 517. Tutto il personale ferroviario addetto al treno è deceduto, all'infuori di un fuochista. Tutti gli altri erano viaggiatori di frodo (5). Il Segretario PHILIPSON Il Capo del Governo BADOGLIO NOTE (5) Si allega la relazione: A seguito delle notizie sommarie già trasmesse per telefono, comunico all'E.V. le risultanze dei primi accertamenti eseguiti da alcuni funzionari di questo Sottosegretariato, subito inviati sul posto, circa il grave incidente in oggetto: I - ACCERTAMENTI 6 1) Il 2 corrente la stazione di Battipaglia effettuò il treno straordinario n. 8017 su Potenza, così costituito: a) veicoli: n. 47, dei quali n. 6 carichi con merci varie civili e n. 41 vuoti. b) destinazione: 2 veicoli (T. 55) per la stazione di Persano; 1 veicolo (T. 28) per la stazione di Sicignano; i rimanenti carri per Potenza e oltre. c) assi: n. 94. d) peso lordo complessivo: T. 520. e) doppia trazione: (due locomotive n. 476020 e n. 480016 appartenenti al deposito di Salerno - entrambe in testa al treno). Sul convoglio aveva preso posto, abusivamente, anche una massa di viaggiatori, valutata a circa 600, per lo più contrabbandieri, come devesi ritenere dal genere di colli e di merci raccolte nei carri e depositati nella stazione di Balvano. Partito da Battipaglia alle ore 19 del 2/3 il treno subì nella stazione di Balvano 37' di ritardo per accudienza locomotive riprendendo la marcia alle ore 0,50 del giorno 3. Alle ore 5,10, uno dei frenatori in servizio al treno comunicava al dirigente della stazione di Balvano la notizia che il convoglio era fermo nella galleria delle «Armi» con molti cadaveri a bordo. Servendosi della locomotiva del treno 8025 sopraggiunto, il capo stazione di Balvano dispose una ricognizione in galleria con l'ordine di far retrocedere il treno. Partita alle ore 5,25, la locomotiva rientrava però in stazione senza aver potuto muovere il materiale del treno stesso causa la presenza di molti cadaveri, oltre che nei carri, anche sulle banchine della galleria. Fu quindi organizzata ed inviata una squadra di soccorso. Raccolte le salme, il materiale del treno infortunato poteva in definitiva essere ricoverato a Balvano alle ore 8,40. Sul posto si recavano prontamente l'Ecc. il Prefetto [Mario De Goyzueta] ed il Questore con squadre di pompieri e CC.RR. di Potenza nonché i Capi Reparto Movimento e Trazione delle FF.SS. di Salerno. Le salme, in numero di 501, furono scaricate e successivamente trasportate nel cimitero di Balvano. Fra i colpiti è risultato tutto il personale in servizio al treno meno un fuochista ed un frenatore: complessivamente 7 agenti morti, le cui salme furono trasportate, con l'autorizzazione dell'Ecc. il Prefetto di Potenza, a Salerno. 2) La linea, nel senso della marcia del treno, da Battipaglia a Potenza, presenta i seguenti tronchi: a) Battipaglia-Sicignano, con pendenze variabili di limitata entità; b) Sicignano-Baragiano, con pendenza in salita variabile fino al massimo del 13‰ circa; c) Baragiano-Tito, con pendenza in salita massima del 25‰ circa. La galleria delle «Armi» trovasi nel tronco Sicignano-Baragiano, tra le stazioni di Balvano e di Bella Muro, e precisamente fra le progressive Km. 126+623 e Km. 128+409. Il suo sviluppo è quindi di m. 1692,22. La sua pendenza è del 12,80‰ ed il grado di prestazione è conseguentemente il 16º. L'asse del F.V. della stazione di Balvano (prog. Km. 124+482) dista dall'ingresso della galleria stessa m. 1791. 7 3) I funzionari, che hanno fatto gli accertamenti, non hanno potuto prendere contatto con alcun viaggiatore superstite, ad eccezione del fuochista che si è salvato e che apparteneva alla locomotiva di testa. Detto fuochista ha riferito che ad un certo momento si è sentito mancare il respiro ed è svenuto. Ricorda di avere visto il proprio macchinista nell'atto di manovrare la leva di inversione allo scopo, ritiene, di disporre la locomotiva a marcia indietro. L'infortunato non ha saputo precisare come sia giunto a Balvano. Che un tentativo di far retrocedere il treno verso Balvano ci sia stato si può arguire dal fatto che il veicolo di coda del convoglio fu trovato all'ingresso della galleria stessa - lato Balvano e la leva delle locomotive fu trovata realmente disposta nella posizione indicata dal fuochista II - CAUSE CHE HANNO ORIGINATO IL GRAVE INCIDENTE 1) La morte di un così elevato numero di vittime è da ritenersi dovuta ad asfissia e probabilmente all'azione dei gas tossici derivanti da incompleta combustione del carbone (ossido di carbonio). Salvo diverse conclusioni da parte della Commissione presieduta dal Capo Compartimento di Napoli, che, con l'intervento di ufficiali e di tecnici della Direzione Generale del «Military Railway Service», sta svolgendo regolare inchiesta, la sciagura devesi attribuire alla pessima qualità del carbone fornito dal Comando Militare Alleato, la cui combustione dà luogo alla produzione: a) di una forte percentuale di vapori di zolfo; b) di una elevata quantità di ceneri, scorie e di residui volatili. Ne consegue: - facile e continua ostruzione della griglia e quindi una insufficiente entrata di aria nel forno; - ostruzione dei tubi bollitori in caldaia con relativa difficoltà di tiraggio; - ritorno in cabina, ad ogni apertura del forno, di gas tossici che colpiscono il personale di macchina mettendolo in condizioni di non potere più fare servizio; - difficoltà nella condotta del fuoco; - depressione in caldaia e quindi diminuzione nello sforzo di trazione della locomotiva con conseguente lenta corsa e talvolta arresto del convoglio in piena linea là ove specialmente, come nelle gallerie, alle difficoltà di trazione si aggiunge lo slittamento delle ruote motrici per umidità esistente sulle rotaie. 8 Già in precedenza, lungo la galleria esistente nel tronco Baragiano-Tito, con pendenza di oltre il 22‰, erasi verificato un caso mortale di asfissia nel personale di macchina di un treno per conto dell'Autorità americana. La stessa Autorità Alleata, riconosciuta la fondatezza del rilievo aveva disposto che: a) il peso dei treni nel tratto di maggiore pendenza, fra Baragiano e Tito, non dovesse superare le 350 tonn.; b) la doppia trazione in detto tratto sarebbe stata effettuata impiegando locomotori americani Diesel-elettrici con spinta in coda data a mezzo di locomotiva a vapore italiana disposta con il fumaiolo nel senso contrario alla marcia dei treni così da convogliare i prodotti della combustione verso la coda dei treni stessi senza nuocere al personale di macchina. Allo scopo poi di evitare il dimezzamento dei treni, nella stazione di Baragiano, all'inizio, cioè, del tronco di maggiore acclività, fu disposto che i convogli in partenza da Battipaglia non superassero il peso prescritto delle 350 tonnellate. III - RESPONSABILITÀ DEL PERSONALE 1) Come si è detto, la sciagura si è verificata nella galleria delle «Armi» con pendenza massima del 13‰ circa, per la quale non era stato necessario emanare apposite disposizioni limitative del peso dei treni in circolazione. Sotto questo punto di vista, salvo eventuali ulteriori risultanze in contrasto, non si può fare carico al personale di stazione di una vera e propria responsabilità sull'accaduto. Tuttavia sono state rilevate le seguenti gravi infrazioni: a) il capostazione di Battipaglia non avrebbe dovuto consentire la effettuazione di un treno avente peso superiore alle 350 tonn., anche se la prestazione delle due locomotive ne consentiva il traino. Era noto infatti, e le disposizioni scritte lo confermano, che causa la cattiva qualità del carbone, la prestazione delle locomotive non poteva e non doveva calcolarsi secondo le norme fissate dalla Prefazione all'Orario Generale di Servizio, ma applicando ad essa un coefficiente di riduzione che dall'Autorità Alleata era stato fissato con criteri di un largo margine di sicurezza. Il capostazione di Battipaglia ha commesso quindi una grave mancanza in quanto può sorgere il dubbio che qualora il treno, invece di 600 tonn., come in realtà è risultato, avesse avuto il peso di 350 tonn. non si sarebbe probabilmente verificata la difficoltà di trazione e conseguente arresto del convoglio nella galleria ed asfissia dei viaggiatori; b) i Dirigenti delle stazioni di Balvano e di Bella Muro hanno commesso delle gravi infrazioni al regolamento sulla circolazione in quanto non si sono curati di accertare la posizione del treno partito da una stazione e non giunto in orario nella successiva. Forse il loro tempestivo interessamento, come del resto prescrivono le Norme di Circolazione, avrebbe potuto rendere meno grave e meno tragica la sciagura che ha causato tante vittime; c) non è del tutto da escludere che il personale di macchina abbia trascurato di assicurarsi, all'atto della partenza, del regolare funzionamento delle sabbiere e che ciò abbia impedito di superare, al momento opportuno, lo slittamento delle ruote. L'inchiesta in corso preciserà le singole responsabilità: tuttavia le mancanze accertate a carico dei Capi Stazione di Battipaglia, Balvano e Bella Muro vanno severamente punite, 9 indipendentemente dalla eventuale responsabilità penale, che potrà essere stabilita dalla Autorità giudiziaria. Ho disposto intanto che i tre agenti siano sospesi a norma dell'art. 101 del Regolamento del Personale. Faccio riserva di trasmettere il verbale di inchiesta, non appena compilato. (Salerno, Rel. per.). Galleria dele Armi Terry Allen 10 Galleria dele Armi (Terry Allen & Will Sexton, Green Shoes Pub./Jalapeño Cornbread, BMI) [I] During the time of the second World War A small town in Italy Death Came Aboard Train number 8017 It wasn’t strafing of bombing Clandestine de-railings It was just Some bad coal The stockyard was selling Climb aboard everybody To Galleria dele Armi Train 8017 to hell of to heaven Train 8017 climb aboard [II] All the allied forces Shut down the town Made rich men and poor men The same poor So they hid In the night Shivered Til the 8017 came Their families were starving In the village of Bovano They had to break The rules Just to try To find food Climb aboard everybody To Galleria dele Armi Train 8017 to hell of to heaven Train 8017 climb aboard Galleria dele Armi (Terry Allen & Will Sexton, Green Shoes Pub./Jalapeño Cornbread, BMI) [I] Era il tempo della seconda Guerra Mondiale Un paesino in Italia La morte Venne A bordo Treno numero 8017 Non fu attacco di bombardamento Né sabotante deragliamento Fu soltanto Quel cattivo carbone Che i depositi vendevano Montati a bordo tutti quanti Verso la Galleria delle Armi Treno 8017 all'inferno del cielo Treno 8017 montati a bordo [II] Tutto gli eserciti alleati Hanno occupato il Paese E ricchi e poveri hanno reso Indistintamente Poveri Così nascosti Nella notte Tremanti Finché l'8017 arrivò I familiari morivano di fame Nel paese di Balvano Infrangere toccò Le leggi Per cercare Trovar da mangiare Montati a bordo tutti quanti Verso la Galleria delle Armi Il treno 8017 all'inferno del cielo Treno 8017 montati a bordo 11 [III] Just through the mountains Is Galleria dele Armi A rich valley so fertile And full And only one train can get there there’s only one tunnel To pass through But the train It stopped In the middle Of the tunnel And smoke From bad coal Turned black The 500 From Bovano Who hungered But died Before They got through Climb aboard everybody To Galleria dele Armi Train 8017 Train 8017 climb aboard During the time of the 2° World War A small town in Italy Death Came Aboard III] Proprio tra quei monti La Galleria delle Armi Vallata ricca cosi fertile Abbondante Soltanto un treno ci può arrivare Là c'è solo un tunnel Che porta di là Ma il treno Si fermò Nel mezzo Del tunnel Ed il fumo Dal cattivo carbone Nero circondò I 500 Da Balvano Affamati Ma morti Già prima Di passare di là Montati a bordo tutti quanti Verso la Galleria delle Armi Il treno 8017 Treno 8017 montati a bordo Era il tempo della 2° Guerra Mondiale Un paesino in Italia La morte Venne A bordo 12 Marzo 1944. Avvenimenti in Italia. 01 - Sciopero generale in tutta l’Italia occupata 03 - Prato-deportati in Germania 400 operai (solo 9 sopravviveranno) 14 - L’Urss stabilisce rapporti diplomatici con il governo Badoglio. 19 - Cervarolo (Reggio Emilia) - fucilati 27 partigiani 20 - Poggiobustone-i nazisti saccheggiano e incendiano il paese 23 - Azione di Via Rasella 24 - Eccidio delle Fosse Ardeatine 27 - Palmiro Togliatti rientra in Italia dopo 18 anni di esilio 28 - Torino-arrestati gli 8 componenti del Comitato militare. Saranno fucilati al Martinetto il 5 aprile. Il Corriere - Salerno, 23 marzo 1944, La commissione ufficiale ha concluso la sua inchiesta sulla disgrazia ferroviaria avvenuta la notte del 3 marzo u. s. La catastrofe è stata determinata da una combinazione di cause materiali, quali densa nebbia, foschia atmosferica, mancanza completa di vento, che non ha mantenuto la naturale ventilazione della galleria, rotaie umide, ecc., cause che malauguratamente si sono presentate tutte insieme e in rapida successione. Il treno si è fermato a causa del fatto che scivolava sulle rotaie e il personale delle macchine era stato sopraffatto dall'avvelenamento prodotto dal gas, prima che avesse potuto agire per condurre il treno fuori del tunnel. A causa della presenza dell'acido carbonico, straordinariamente velenoso, si è prodotta l'asfissia dei passeggeri clandestini. L'azione di questo gas è così rapida, che la tragedia è avvenuta prima che alcun soccorso dall'esterno potesse essere portato. È stato constatato che nessun fattore ha contribuito più di un altro; quindi si può trovare giustificazione dell'avvenuto, classificandolo, con fraseologia legale, un «caso di forza maggiore» piuttosto che negligenza di personale e difetto di macchine. La cifra ufficiale mostra che invece di 509 morti, come precedentemente annunziato, si deplorano 426 vittime, per asfissia prodotta dall'acido carbonico. 13 Elenco delle vittime identificate di Torre del Greco Dai Registri di Morte del Comune di Torre del Greco, dell’anno 1944. Atti nr. 38/2/C registrato il 13.06.1944. Atti nr. 43/2/C registrato il 20.07.1944. Atti nr. 56/2/C registrato il 18.09.1944 Accardo Antonio, 24 anni, (23.10.1919) cantoniere, di Domenico (ferroviere) e di Lombardo Carolina. Amato Rosario, (13.09.1914) di Francesco e di Scognamiglio Concetta. Amitrano Giacomo, 29 anni, (12.07.1914) di Vito e di Sorrentino Rosa. Ascione Giovanni, 22 anni (25.04.1921) di Giacomo e di Pinto Vincenza Ascione Luigi (19.10.1910) di Michele e di Borriello Nunziatina. Avventurato Agostino, 49 anni, (04.06.1895) nato a Napoli. Avventurato Vincenzo, 17 anni, (06.02.1927) di Agostino e di Luna Nunziata. Balzano Luigi, 28 anni, (17.06.1915) di Pietro e di Visciano Libera. Brancaccio Giulia, in Francione. La signora Giulia era la nonna di Gennaro Francione, magistrato e artista. Castaldo Maria Teresa, 45 anni, (18.02.1899) di Giovanni e di Ginestra Maria Teresa. D'Aniello Carmela, 19 anni, (30.08.1924) di Nicola e di Castaldo Maria Teresa. De Luca Francesco Paolo, 17 anni, (09.06.1929) di Enrico e di Izzo Teresa. Di Cristo Domenico, 45 anni, (13.10.1998) di Luigi e di Di Cristo Rosa. Di Somma Armando, 22 anni, (24.09.1921) di Francesco e di Palomba Maria. Esposito Enrico, 52 anni, (06.02.1892) di Antonio e di Montella Giovanna Formisano Antonio, 19 anni, (09.10.1925) di Vincenzo e di Pernice Maddalena. Giocondo Tommaso, 35 anni, (04.08.1908) di Giovanni e di Nocerino Anna. Izzo Carmine, 24 anni, (27.03.1919) di Sebastiano e di Fiorello Colomba. Luna Antonio, cognato di Avventurato Agostino. Organista Gennaro, 21 anni, (09.10.1922) di Giuseppe e di Ciaravolo Maria Vittoria Paduano Aniello, 29 anni, (06.04.1915) di Pasquale e di Ascione Maria Giuseppa. Pernice Vincenzo, 16 anni, (20.05.1927) di Vincenzo e di D’Onofrio Lucia. Pierini Arturo, 51 anni, (10.11.1912) nato a Napoli. Pinto Natale, 17 anni, (01.11.1926) di Ciro e di Gargiulo Maria. Pontino Gerardo, 24 anni, (24.01.1920) di Giovanni e di Di Cristo Lucia. Tammaro Antonio, di Fabiano. Velardo Giuseppe, 52 anni (02.04.1892) di Gennaro e di Sorrentino Costanza. Versante Giuseppe, 14 anni, di Ciro. I nominativi dei Torresi sono tratti dall'Elenco dei Morti Identificati riportato nel libro di Mario Restaino "Un treno, un'epoca: storia dell'8017" (Melfi, Arti grafiche Vultur, 1994) pagine 102-122. I dati anagrafici sono stati corretti e completati dal sig. Mario Colamarino, dell'Ufficio Anagrafe, CED, di Torre del Greco. 14 IL DISASTRO DELL'8017 di Giulio Frisioli Articoli di Giulio Frisoli, pubblicati in "L'Europeo", 11 marzo 1956, pagine 12-15; 18 marzo 1956, pagine 52-55; 25 marzo 1956, pagine 37-41 Fu la più grande catastrofe ferroviaria del mondo. Pochi sanno che accadde in Italia dodici anni fa COMINCIA LA RICOSTRUZIONE DI UNA CATASTROFE IGNOTA Galleria di Balvano, 3 marzo 1944: la più grande tragedia ferroviaria di tutti i tempi Il ferroviere dice: «Accadde là sotto» Balvano. Alle 0,50 del 3 marzo 1944 un treno merci, dopo aver sostato trentotto minuti a Balvano, si inoltrò lentamente nella galleria delle Armi di là dalla quale a sette chilometri c'è la stazione di Bella-Muro. Doveva percorrere la distanza in venti minuti. Non arrivò: 521 persone morirono asfissiate sotto la galleria. Il manovale Angelo Caponegro, in servizio a Balvano nel '44, indica l'ingresso della galleria. 15 Prima puntata - 11 marzo 1956, pagine 12-15 IL CAPOSTAZIONE DÀ IL VIA AL LUGUBRE 8017 Si era in guerra. Sulla linea Battipaglia-Potenza un solo treno passeggeri alla settimana. Ai borsari neri ne occorrevano molti: quindi salivano sui «merci». Autorità e ferrovieri erano costretti a chiudere gli occhi. All'una circa della notte fra il 2 e il 3 marzo del 1944, un treno merci in servizio sulla linea Battipaglia-Potenza entrò in una galleria, e non riuscì a percorrerla. Il lunghissimo convoglio, composto di 47 carri trainati da due locomotive del tipo 476 di alta montagna, una delle quali era stata aggiunta alla stazione di Romagnano, a metà strada circa fra Eboli e Potenza, dato che il peso del treno appariva eccessivo (470 tonnellate), era giunto alla stazione di Balvano-Ricigliano alle 0,12. Qui aveva sostato per trentotto minuti. Alle 0,50, il capostazione Vincenzo Maglio dette il segnale di partenza. Il merci, che era contrassegnato dal numero convenzionale 8017, si avviò lentamente. La stazione di Balvano dista da Potenza 39 chilometri; la stazione immediatamente seguente, quella di Bella-Muro, 32; fra Balvano e Bella-Muro la distanza è quindi di soli sette chilometri, che un treno, per quanto vada lentamente, non dovrebbe percorrere in più di venti minuti. SOLO UN GIORNALE PARLÒ DELLA TRAGEDIA, IN POCHE RIGHE Il merci 8017 non riuscì a percorrere questo brevissimo tratto né in venti minuti né in un'ora; la coincidenza di due fattori (il primo, quello che esso era sovraccarico, il secondo, che il carbone bruciato dalle locomotive non era di buona qualità) concorse a farlo fermare, circa trecento metri dopo che esso aveva imboccato la galleria detta «delle Armi». Quasi tutti coloro che si trovavano sul convoglio morirono per asfissia: se si pensa al poco personale che di solito si trova sui treni merci, si potrebbe dedurne che persero la vita nel drammatico incidente solo alcuni individui. Se le cose stessero così, queste rievocazione del disastro di Balvano non avrebbe ragione di essere. Ma le cose stavano, invece, in tutt'altra maniera: perché a bordo del merci 8017 avevano preso abusivamente posto circa seicento passeggeri, dei quali 521 compirono 16 il quel treno l'estremo viaggio della loto vita, un viaggio la cui stazione d'arrivo aveva il nome «Morte». Quella di Balvano fu una tragedia allucinante e silenziosa; pur costituendo la più grave sciagura ferroviaria mai verificatasi nel mondo, la sua eco non giunse quasi all'orecchio del grosso pubblico; o, diremo meglio, vi giunse attenuata, tanto da non suscitare nessun moto sentimentale. Solo un giornale, il quotidiano napoletano Risorgimento, l'unico autorizzato dalle autorità alleate a vedere la luce, accennò vagamente al fatto, il 7 marzo del 1944, in poche righe della sua cronaca regionale, senza specificare né la località nella quale la tragedia era avvenuta né il numero delle vittime. La censura, in quel periodo, ostacolava il lavoro dei giornalisti; anche quando le cose tornarono normali, nessuno, per molto tempo, pensò di rievocare quel tragico accaduto. Fu solo nel 1951 che due giornalisti napoletani, i quali svolgevano quella forma di attività tipica di quei pubblicisti che nelle nazioni anglosassoni vengono definiti «free lance writers», vale a dire scrittori indipendenti, pubblicarono sulle catene di quotidiani italiani ai quali collaboravano un articolo sul disastro di Balvano, argomento che venne ripreso da alcuni settimanali. Ma anche stavolta i fatti furono narrati frettolosamente, senza entrare nei particolari, e quindi molti aspetti del tristissimo avvenimento rimasero oscuri. Che cosa accadde con precisione nella gallerie delle Armi? A chi doveva essere fatta risalire la responsabilità dell'accaduto? L'Europeo si è proposto di rispondere a questi interrogativi, al secondo dei quali, lo diciamo subito, non è possibile dare una risposta precisa, perché l'ingarbugliatissima vicenda giudiziaria che prese le mosse dalla tragedia di Balvano non giunse alla sua fine. Prima di inoltrarci nella cronache del disastro, sarà bene ricordare un po' ai lettori, specie a quelli che vivevano nel 1944 al di sopra della Linea gotica, quali erano le condizioni in cui si viaggiava nell'Italia meridionale. Le comunicazioni erano ovviamente mal servite, dato lo stato di guerra. I treni partivano, ma non sempre, in orario, e giungevano sempre con un elevato ritardo alle stazioni terminali. Quanto alla linea Battipaglia-Potenza, che tuttora non gode della trazione elettrica, e in molti tratti è ad un solo binario, essa era stata dichiarata di interesse militare, e il Governo Militare Alleato la gestiva in proprio, con l'aiuto del personale italiano delle Ferrovie dello Stato, consentendo che su di essa transitasse un solo treno la settimana per passeggeri. A questo punto, è necessario ricordare quel tipico fenomeno del tempo di guerra che fu la borsa nera. Fosse esercitata su vasta o su piccola scala, la borsa nera metteva in condizione gli abitanti delle grandi città di rifornirsi di quei viveri dei quali si avvertì la deficienza negli ultimi anni di guerra. Napoli specialmente, la grande città che soffrì, dal 1942 in poi, una grande fame, era un mercato che si presentava, per così dire, stimolante nei riguardi di chi se la sentiva di sottoporsi alla corvée di recarsi a reperire dove fosse possibile generi alimentari, per poi rivenderli con un certo margine di guadagno. Migliaia di individui dei paesi circostanti, sui quali si abbatté la disgrazia della disoccupazione, si orientarono quindi verso la borsa nera; poco per volta, essi giunsero alla convinzione, esatta, che la località in cui si sarebbero potuti più facilmente fornire di quei generi che mancavano a Napoli, come la carne, l'olio, il 17 grano, il tabacco, e perfino la verdura, oltre che i cereali e i legumi, era Potenza, il capoluogo di una provincia la cui economia si fonda proprio sull'agricoltura e sull'allevamento del bestiame. I RIFORNIMENTI PER IL MERCATO NERO DI NAPOLI Potenza dista da Napoli solo 166 chilometri; partendo la sera da Napoli era possibile giungervi all'alba, fare i propri acquisti, e tornare nella capitale della Campania nel pieno pomeriggio. Il piano di lavoro dei borsaneristi era semplice, se pur faticoso; ma, a stroncare la loro attività, venne la requisizione della linea ferroviaria Napoli-Potenza, effettuata dal Governo Militare Alleato subito dopo l'ingresso a Napoli delle truppe della 5ª armata americana, che avvenne alla fine del settembre del 1943. Come abbiamo detto, da allora fu autorizzato il transito di un solo treno settimanale per passeggeri, il mercoledì. Invece, i borsaneristi, specie quelli la cui attività potrebbe essere paragonata a quella dei commercianti al dettaglio, erano premuti dalla necessità di effettuare viaggi continui, e non potevano non servirsi delle ferrovie, data la requisizione di tutti i mezzi di trasporto azionati a benzina o anche a metano. Se davvero la militarizzazione della linea Napoli-Potenza avesse inferto un colpo mortale all'attività dei piccoli speculatori, non staremmo qui ora a stendere questa cronaca di un avvenimento di dodici anni fa; perché il merci 8017 non si sarebbe fermato nella galleria delle Armi, la cui pendenza, che non supera il 13 per mille, esso sarebbe riuscito a superare, tenuto conto del suo peso e della trazione effettuata da due locomotive. Invece, i borsaneristi non rinunziarono al loro lavoro; facendo giusto affidamento su certe qualità tipicamente meridionali, essi fecero in modo da adattare ai loro scopi la situazione, poiché non potevano adattarsi essi stessi alla situazione che l'ordinanza del GMA era venuta a creare; e nacque così una specie di «modus vivendi» sul quale, purtroppo, gli Alleati chiusero benevolmente gli occhi. In sostanza, avvenne questo: i borsaneristi trovarono rapidamente un accordo con il personale italiano di scorta ai treni merci che da Napoli si recavano ininterrottamente a Potenza; i conduttori dei treni, un po' per buon cuore, e qualcuno anche per speculare sulla situazione, consentivano che nei vagoni dei convogli, quando non erano stipati di merci, prendessero posto clandestinamente dei viaggiatori; quanto al 18 personale alleato di scorta al treno, aveva capito la situazione, e fingeva di non rilevarne l'irregolarità. ALMENO 320 QUINTALI DI VIAGGIATORI ABUSIVI Questa specie di compromesso, comprensibile sul piano umano, funzionò a perfezione fino all'alba del 3 marzo del 1944, fino al momento in cui, cioè, il merci 8017 si fermò nella galleria delle Armi. Nei carri scoperti, in quelli coperti, e perfino sugli imperiali di questi ultimi, avevano preso posto circa seicento persone, che viaggiavano certamente molto peggio dei quaranta militari che dovevano per regolamento, una volta, stiparsi nello spazio di un vagone. Un facile calcolo fa stimare il peso di quei seicento viaggiatori irregolari sui trecentoventi quintali almeno. Se si tiene conto del carbone adoperato, che veniva fornito dagli Alleati, e proveniva dalla Jugoslavia, ed era, notoriamente, dotato di un insufficiente potere calorifico, mentre abbondavano in esso le scorie che, bruciando nelle caldaie, si trasformavano in gas di scarico, costituiti per lo più da monossido di carbonio, un terribile veleno ad azione rapida; se si tiene conto del fatto che, con questo carbone, le due locomotive avrebbero potuto trainare, in salita, non più di cinquecento tonnellate; se si ricorda che il peso del merci 8017 era, a vuoto, di 479 tonnellate, basterà sommare a queste tonnellate le 32 del peso dei passeggeri per notare come, sia pure di poco, il limite si sicurezza era stato superato. Naturalmente, queste considerazioni non furono fatte a Napoli, la sera del 2 marzo, prima che il treno partisse; se il capostazione che gli dette via libera si fosse preso la briga, di fronte al brulicare, nei carri, di persone che egli non poté fare a meno di vedere, di ragionare un po' sulla faccenda, il merci 8017 non sarebbe partito se non dopo che ne fossero scesi coloro i quali vi erano abusivamente saliti. Ma quello dei treni merci diretti in Lucania stracarichi di clandestini era ormai uno spettacolo consueto, per i ferrovieri napoletani. Perciò, dopo aver superficialmente controllato il «foglio di viaggio» del convoglio, sul quale era detto che il merci 8017 era destinato a Catanzaro, dove avrebbe dovuto caricare legname che «serviva per esigenze determinate dalla guerra e di competenza del Governo Militare Alleato» , quel capostazione si assicurò che il personale di scorta al treno avesse preso posto sui vagoni; poi agitò la mano verso i macchinisti, che, sporgendosi dal finestrino, attendevano il suo segnale, emise i regolamentari tre trilli dal suo fischietto. Non sapeva che, espirando con una certa violenza una minima quantità di aria dai suoi polmoni, avrebbe avviati 521 persone verso il posto dove i loro polmoni sarebbero stati rapidamente saturati dal monossido di carbonio, e ne sarebbero rimasti paralizzati. 19 Seconda puntata - 18 marzo 1956, pagine 52-55.Il più grande disastro ferroviario del mondo OGNI VIAGGIATORE SEDEVA CADAVERE AL SUO POSTO Sotto la galleria delle Armi due locomotive emettevano fumo prodotto dalla combustione di cattivo carbone jugoslavo. Il treno 8017 si era appena fermato per insufficienze di calore. Un terribile errore: bisognava fare subito marcia indietro. Macchinisti e fuochisti asfissati per primi. Cinquecentoventuno persone passarono nel silenzio dalla vita alla morte I passeggeri «abusivi» del «merci» 8017 erano quasi tutti addormentati quando il convoglio si arrestò sotto la galleria. Le loro salme furono allineate sul marciapiede della stazione, a un centinaio di metri dalla galleria. L'identificazione delle vittime fu iniziato subito. Non fu un'impresa facile. Molte di esse, per lo più piccoli trafficanti in borsa nera, erano prive di documenti. Il treno fu rimorchiato all'aperto la mattina del 3 marzo 1944. Angelo Caponegro è un manovale delle Ferrovie dello Stato; veste quasi sempre in borghese; un berretto col fregio che rappresenta due ali d'oro poggiate su un cerchio nel quale le lettere F e S sono ricamate l'una sull'altra indica la sua appartenenza alle Ferrovie; la visiera copre di una strana ombra i suoi occhi piccoli e acuti, sotto i quali un gran naso spicca sul volto onesto dell'uomo. Guarda lontano; si vede che, con la mente, si sforza di tornare indietro negli anni, che tenta di mettere a fuoco certi ricordi che vanno ormai, col trascorrere del tempo, diventando labili, imprecisi. La notte fra il 2 e il 3 marzo 1944 era di servizio alla stazione di BalvanoRicigliano, insieme all'operaio di prima classe Vincenzo Biondi, il cui grado è rappresentato da una striscetta verticale d'oro che si trova ai due lati del sottogola del suo berretto. Quella notte, i due non avevano nessun motivo particolare per interessarsi più del consueto al treno merci 8017, giunto da Napoli alle 0,12. Per i ferrovieri, un treno non rappresenta, naturalmente, un fatto umano; esso è solo un convoglio, contraddistinto da un numero convenzionale, dalla sua qualifica di treno rapido o diretto o accelerato o merci, dal numero dei suoi vagoni, dall'orario di arrivo e di partenza. Nessun treno attrae in modo particolare la loro attenzione, e a questa regola non sfuggì il merci 8017. Il fatto che fosse gremito di passeggeri abusivi faceva parte anch'esso di una consuetudine che durava da più di un anno. Quando esso giunse alla stazione di Balvano, il suo carico umano era profondamente addormentato, in gran maggioranza. Adesso, può riuscirci difficile capire come si possa sprofondare nel sonno stando ammucchiati nei vagoni di un merci, nell'interno dei quali non v'è che il pavimento per adagiarvisi. Ma dodici anni fa la cosa era normale, o quasi,; ognuno di noi ricorderà di essersi addormentato in un rifugio, quando un allarme aereo si protraeva per lungo tempo: un fatto che oggi ci sembra impossibile. Nel treno merci che giunse, quella tale notte, a Balvano, tutti dormivano, meno i macchinisti delle due locomotive, i due fuochisti, e il frenatore del vagone di coda, Michele Palo. In questo fatto, è un altro segno della strana fatalità che si accanì sul lunghissimo convoglio. Se esso avesse dovuto percorrere di giorno i trentanove chilometri che separano Balvano da Potenza, senza dubbio il disastro non avrebbe 20 assunto proporzioni tali da renderlo assolutamente eccezionale nella storia di tutte le ferrovie del mondo. In tal caso, quasi tutti avrebbero avvertito l'acre odore del monossido di carbonio che si sprigionava dai fumaioli delle due locomotive che trainavano i quarantasette carri; e avrebbero potuto tentare di raggiungere lo sbocco della galleria, che non distava più di duecento metri (quando il merci 8017 si fermò per sempre) dalla locomotiva di testa. Invece, i passeggeri del treno, che avevano abusivamente occupato i vagoni, dormivano della grossa. Quando, con il tipico sferragliare dei freni, l'8017 si fermò, dodici minuti dopo la mezzanotte, nella stazione di Balvano, il tenebroso silenzio della campagna circostante, punteggiata da colline sulla cui vetta si poteva distinguere, grigiastra nel lividore della notte, la neve dello scorso inverno che ancora non si era sciolta, non fu rotto dunque dal caratteristico vocio che contraddistingue i treni che viaggiano di giorno, nei quali i passeggeri chiedono che ora è, a che ora si arriverà; e molti di essi approfittano della fermata per scendere a procurarsi dell'acqua, o per sgranchire le gambe. Ruppero quel silenzio di morte (già una specie di sintomo, di premonizione) solo le voci dei macchinisti, del capostazione, del manovale e dell'operaio, che si avvertivano appena, sullo sfondo del collettivo, pesante respiro della gente che dormiva nel treno; uno strano, grosso rumore, anch'esso silenzioso paradossalmente. Il ricordo di questo singolare rumore fa rabbrividire ancora oggi Angelo Caponegro e Vincenzo Biondi; perché esso assunse, dopo la sciagura, il lugubre significato di una introduzione alla morte, una specie di drammatica ouverture. A questo non pensarono i due allora, né lo pensò il capostazione Vincenzo Maglio, che sbrigò la pratica del merci 8017, e dette alle 0,50 il segnale di via libera verso Potenza, dove il lunghissimo convoglio non sarebbe mai giunto. A questo punto, prima che il treno si avvii, sarà bene vedere come esso è composto con esattezza, chi lo aveva fatto comporre, e perché; tutte cose che, dato l'allora vigente regime di occupazione militare da parte degli Alleati, non erano a conoscenza nemmeno di tutti i ferrovieri italiani, e si appresero solo in seguito, nel corso del procedimento giudiziario che venne provocato dai parenti delle 521 vittime. Come gli altri treni circolanti sulla linea Battipaglia-Potenza, l'8017 veniva effettuato su ordini delle autorità alleate che specificavano il numero dei carri che dovevano comporlo. Le Ferrovie italiane, del materiale a loro disposizione, sceglievano quello adatto a quel percorso e al tipo di trasporto che doveva essere effettuato. L'8017 del giorno 2 marzo venne costituito con 47 carri e due locomotive in testa, del tipo a quattro assi accoppiati. Dai calcoli effettuati prima di comporre il treno, venne rilevato, come dicemmo nella scorsa puntata, che esso poteva «tirare», tenuto conto del carbone scadente, che veniva fornito dalle autorità alleate, 600 tonnellate e non più (e abbiamo anche visto che questo margine di sicurezza fu superato, se pure di poco, dato il peso complessivo dei seicento viaggiatori abusivi). Il carbone era di provenienza iugoslava. Esso non sviluppava un calore sufficiente per il tipo di locomotive di cui disponevano le Ferrovie italiane; ed emanava dalla combustione gas tossici che spesso stordivano i macchinisti. 21 IL TRAFFICO SULLE LINEE REQUISITE DAGLI ALLEATI Questo inconveniente fu fatto rilevare alcune volte agli Alleati dal capo del deposito del personale viaggiante di Salerno, Francesco Mittiga, come egli stesso dichiarò in una deposizione resa il 25 maggio 1948; ma, per esprimerci con le sue parole, «senza nulla ottenere, perché gli Alleati si rifiutarono di prendere qualsiasi provvedimento». Lo stesso Mittiga ci fornisce preziose indicazioni sul come si svolgeva, nel 1944, il traffico sulle linee requisite dagli Alleati. Formalmente, la direzione del movimento nelle stazioni era tenuta da funzionari italiani; in realtà, le disposizioni erano impartite dagli Alleati, che stabilivano la composizione dei treni e l'orario di partenza; per cui l'attività dei capistazione era solamente esecutiva, diretta a rendere possibile l'adempimento di quanto veniva stabilito dagli Alleati, i quali si servivano di un loro personale tecnico composto di capistazione, capitreno e deviatori, che impartivano gli ordini. Il personale viaggiante dei treni era, però, italiano. Il merci 8017 del 2 marzo 1944 venne costituito in tal modo. Esso avrebbe dovuto viaggiare vuoto: solo un ufficiale italiano e sette soldati, regolarmente autorizzati dal Comando alleato, avrebbero dovuto prendervi posto. Ma abbiamo visto invece che il convoglio era gremito di passeggeri abusivi, per lo più piccoli borsaneristi, dei quali il personale italiano e gli stessi Alleati fingevano di non accorgersi, essendosi compenetrati dei bisogni di tanta povera gente per la quale era necessario, per i loro piccoli traffici, raggiungere quelle località dove potevano rifornirsi di generi richiesti in città. Formalmente vuoto, in realtà pieno zeppo di gente, il merci 8017, scortato dal regolamentare «foglio veicoli» che gli Alleati redigevano in duplice copia, partì da Napoli diretto a Potenza; e di qui, come già dicemmo, doveva proseguire per Catanzaro a caricarvi del legname. Pesava più delle seicento tonnellate che le locomotive potevano in teoria trainare. Giunse a Balvano poco dopo mezzanotte, e ne ripartì dieci minuti prima dell'una, con il suo carico di passeggeri (tutti abusivi, meno l'ufficiale e i sette soldati autorizzati) che dormivano. 22 LE RUOTE GIRARONO A VUOTO SUI BINARI UMIDI Il capostazione Vincenzo Maglio, l'operaio Vincenzo Biondi e il manovale Angelo Caponegro lo videro avviarsi lentamente, mentre dai fumaioli delle locomotive si levavano alti bioccoli di candido fumo, e imboccare la prima galleria che si trova sul tratto da Balvano a Bella Muro, che dista non più di duecento metri dalla stazione di Balvano. Il buio della galleria lo inghiottì; per un po', si vide brillare il fanalino di coda, sito all'esterno della garitta dove si trovava il frenatore Michele Palo; poi, anche quel lume sparì dietro la prima curva. Nella stazione di Balvano, il telegrafista dette al suo collega di Bella Muro il segnale di «partito». Subito dopo Balvano, il terreno incomincia a salire. Il merci 8017 superò facilmente la prima, breve galleria; anche la seconda fu attraversata senza che, evidentemente, i macchinisti si rendessero conto di qualche difficoltà. Il convoglio procedeva lentamente, in un paesaggio orrido, fatto di rocce che assumono strane forme per la nebbia. Dopo l'uscita dalla seconda galleria, i binari fanno una curva, su un viadotto lungo un trecento metri, prima di inoltrarsi nella galleria delle Armi, che si profila a sinistra, e il cui imbocco è contraddistinto da una S segnata sulla parete di sinistra. I macchinisti forse notarono (nessuno poté raccogliere le loro disposizioni, perché furono i primi a morire) che la velocità dell'8017 non corrispondeva alla pressione delle caldaie; ma dovettero pensare di potercela fare, e proseguirono la corsa. Forse le loro supposizioni non erano del tutto errate. Nonostante il limite massimo di peso fosse stato superato, però non di molto, essi dovettero avere la netta sensazione di poter superare anche la pendenza che presenta il terreno nella galleria delle Armi, pendenza che raggiunge il 13 per mille. Ma un altro imprevisto coefficiente si coalizzò con il peso, con il sonno dei passeggeri e con la cattiva qualità del carbone, per trasformare in una lunga bara il merci. Durante tutto il giorno 2, in Lucania aveva piovuto, una di quelle fastidiose pioggerelle che scendono monotone, come costrette, da uno spesso banco di nubi basse. Alle ventidue circa aveva smesso di piovere; ma l'aria era rimasta impregnata di umidità, una umidità che era penetrata nelle gallerie fra Balvano e Bella Muro, e aveva steso sui binari una specie di micidiale, viscido manto scivoloso. Il dramma avvenne rapidamente. Le locomotive avevano percorso di slancio non più di duecento metri all'interno della galleria delle Armi, quando i macchinisti si avvidero che le ruote trovandosi a dover girare proprio nel posto dove la pendenza raggiunge il suo massimo valore, non «mordevano» più i binari, e cominciavano a girare a vuoto, con una velocità sempre maggiore, mentre il convoglio non avanzava più di un metro. I due macchinisti ed i due fuochisti del merci 8017 del 2 marzo furono i primi a morire, lo abbiamo detto. Di fronte alla morte, un senso di pietà dovrebbe sommergere ogni altra considerazione. Ma noi stiamo facendo una rievocazione di un fatto, e la commozione non deve velarci gli occhi. È indubbio (bisogna dirlo, se pure con rammarico) che il personale di macchina commise un grave errore. Risultò dalle perizie condotto dopo il disastro, che le caldaie, quando i macchinisti ed i fuochisti si abbatterono, esanimi, sulle leve di comando, erano al massimo della loro pressione. 23 Dal fatto si può dedurre che essi, invece di invertire immediatamente la marcia, e tentare di portare il treno all'aperto, manovra che avrebbe richiesto non più di tre o quattro minuti, commisero invece la grave imprudenza di aumentare la pressione delle caldaie, nella speranza di riuscire forse a scuotere il pesante convoglio dalla sua mortale inerzia. In quei tremendi attimi, essi dovettero dimenticare o trascurare il gravissimo pericolo costituito dal monossido di carbonio che si sprigionava dal carbone combusto, e la tragedia si compì, sotto il segno di una fatalità tale dal lasciare increduli, stupefatti. Il monossido di carbonio è un veleno ad azione rapida. I macchinisti ne aumentarono, certo senza volerlo, la produzione, alzando la pressione. L'ovattato fumo che usciva dai fumaioli entrò nel loro abitacolo; il veleno li prese alla gola, penetrò nei loro polmoni, li strozzò in qualche minuto. Poi la nube mortale cominciò a stendersi, come una specie di mostruoso serpente, nella galleria delle Armi, e si insinuò nei carri dove i passeggeri dormivano; qui entrò a far parte del meccanismo della loro respirazione, e li avvelenò senza scampo. «LÀ SONO TUTTI MORTI» RIUSCÌ A DIRE IL FRENATORE La drammaticità della tragedia è adesso acuita, ai nostri occhi, da un altro elemento: il silenzio. Un naufragio, uno scontro, un crollo, una battaglia sono rumorosi. La gente grida, impazzisce, si lamenta. Nella galleria delle Armi questo pathos che precede di solito un dramma fu del tutto assente. Nemmeno una voce commentò l'accaduto. Tutti passarono dal sonno alla morte, tutti quelli che morirono, perché non morirono tutti. L'ultimo vagone, infatti, non fu sommerso anch'esso dalla nuvola di fumo, per fortuna; non lo fu, perché rimase per metà all'aperto, come in bilico fra la vita e la morte, in parte dentro e in parte fuori della galleria. 24 Che cosa avvenne dei suoi passeggeri, che quando si svegliarono, più tardi, quasi impazzirono per il terrore, non siamo riusciti a saperlo. Essi rientrarono nella vita di ogni giorno, con quel pesante ricordo nel cuore; poiché non esisteva ovviamente una lista di nomi che potesse metterci in condizioni di rintracciarli, non abbiamo potuto raccoglierne le testimonianze. Abbiamo tentato di metterci in contatto con chi visse, magari in uno stupefatto dormiveglia, quegli attimi in cui stavano per varcare la soglia dell'ignoto; ma inutilmente; ci deve essere, in costoro, un sentimento che deve portarli a fuggire quanto più è possibile dal ricordo di quei momenti di incubo. L'unico degli occupanti l'ultimo vagone che non poteva estraniarsi alla tragedia, per la sua funzione, fu il frenatore Michele Palo. Egli non aveva certo azionato i freni, cosa che viene effettuata quando, con una richiesta convenzionale, espressa con un fischio dai macchinisti, i frenatori vengono avvertiti della necessità di manovrare la ruota che serve a bloccare la vettura in cui si trovano. Michele Palo stava riscaldandosi, quando avvenne il disastro, con un fuocherello fatto accendendo alcuni giornali strettamente strizzati, un artifizio messo in atto di solito dai frenatori per far durare il fuoco più a lungo. Non pensava assolutamente a niente, tranne che a combattere il freddo umido della notte con quel fuocherello sul quale si era come accartocciato. Non pensò nemmeno a guardare l'orologio, quando si avvide che il treno si era fermato, e perciò non possiamo conoscere l'ora esatta in cui la tragedia ebbe inizio. Egli rimase tanto stupefatto dell'inconsueto accaduto (non si era potuto rendere conto di quello che era avvenuto nelle due locomotive) che non pensò ad altro se non a scendere per vedere che diamine era successo, perché fosse stato necessario arrestare, senza chiedere la sua opera, il treno. Si avviò, quindi, verso l'interno della galleria. Percorso che ebbe qualche metro, si sentì aggredire alla gola dall'aspro odore del monossido di carbonio. Barcollò per un attimo, sopraffatto dalla nausea e dalla tremenda rivelazione, si voltò verso l'imbocco del budello, e si mise a correre. Tornato all'aria aperta, le gambe gli si paralizzarono sotto. Rimase, così, fermo, per qualche istante, mentre una massa di confusi pensieri gli sconvolgeva la mente. Il tremendo silenzio di morte che gli era alle spalle gli parve dovesse raggiungere, implacabile, anche lui. Il pensiero della morte evocò per contrasto subito, nella sua mente, quello della vita: a Balvano era la vita, qui alla galleria delle Armi, la morte; doveva raggiungere al più presto Balvano. Michele Palo riuscì a scuotersi dal torpore che lo aveva come irrigidito. Emise un terribile grido, e si precipitò, seguendo i binari, verso Balvano. Nel 1944, Michele Palo era ancora giovane: dalla galleria delle Armi, non doveva percorrere, per raggiungere Balvano, più di quattro chilometri e per di più in discesa. In meno di un'ora di marcia, a buon passo, la cosa è possibile. Invece, di ore egli ne impiegò due: pure, gli parve di correre, di volare. È chiaro che il povero frenatore doveva essere tanto sconvolto, quasi privo di sensi, che credeva di correre, ed invece si trascinava. Esausto, con gli abiti a brandelli (non capì mai come avesse potuto lacerarseli), alle tre del 3 marzo 1944 Michele Palo vide finalmente, uscito che fu dalla prima galleria, quella che dista un duecento metri da Balvano, le luci della stazione. 25 Come attraverso un'ombra, i suoi occhi videro che sul binario stava, sotto pressione, una locomotiva; capì che a Balvano avevano saputo, se non proprio del disastro, qualcosa. Percorse gli ultimi metri carponi, con una stanchezza nelle membra quale mai aveva avvertito; quando giunse vicino a Vincenzo Biondi e ad Angelo Caponegro, non ebbe la forza di pronunciare una frase compiuta. Tremava, emetteva suoni sconnessi dalle labbra. «Che è successo, che è stato?» gli gridarono l'operaio e il manovale. Prima di venir meno Michele Palo riuscì a proferire: «Là, là, sono tutti morti, tutti morti». Poi, cadde sul marciapiede mentre l'eco delle sue parole giungeva all'orecchio del capostazione Vincenzo Maglio e del vice capostazione Giuseppe Colonia. 26 Terza puntata - 25 marzo 1956, pagine 37-41 Il più grande disastro ferroviario del mondo IN PUNTA DI PIEDI I FERROVIERI SI AVVICINARONO AL TRENO DEI MORTI * Nessuno si preoccupò del ritardo: in quei tempi accadeva spesso che per percorrere sette chilometri fossero necessarie più di due ore * Cosa succedeva nelle stazioni di partenza e di arrivo mentre 521 persone morivano sotto la galleria delle Armi * Il «merci» fu raggiunto alle quattro del mattino, tre ore dopo la sua partenza da Balvano. Del gas omicida non rimaneva alcuna traccia * Soltanto sull'ultimo vagone, fermo a metà fuori della galleria, qualche viaggiatore respirava ancora. Il resto del treno era immerso nel silenzio * Abbiamo potuto rintracciare due superstiti. Uno ha perso la ragione, l'altro, da allora, ha i capelli bianchi. Domenico Miele è uno dei superstiti. Deve la vita alla sciarpa di lana, che porta sempre al collo, come un portafortuna. E' un giovane: nella notte della tragedia i suoi capelli incanutirono. Che cosa accadeva nelle stazioni di Balvano-Ricigliano e di Bella-Muro mentre il merci 8017 era fermo sotto la galleria delle Armi, dove il monossido di carbonio sprigionato dal carbone iugoslavo stava asfissiando quasi tutti i viaggiatori che avevano preso irregolarmente posto nel convoglio? Alle 0,50 del 3 marzo del 1944, subito dopo la sua partenza, il telegrafista della stazione di Balvano trasmise a Bella-Muro il regolamentare avviso di «partito» relativo al treno 8017. Esso avrebbe dovuto giungere a Bella-Muro al più tardi in una mezz'ora: non vi giunse, abbiamo già visto perché. Nonostante questo fatto, BellaMuro non entrò in allarme; e nemmeno entrò in allarme la stazione di Balvano, che non ebbe da Bella-Muro il segnale di «giunto». Un giornale che, nel 1951, fece una breve cronaca del disastro scrisse che questo fu, in un certo senso, l'aspetto più fosco ed inspiegabile della sciagura; e asserì che il personale delle due stazioni non si preoccupò di chiedere in qualche modo notizia del «convoglio fantasma». Un fatto gravissimo, secondo quel giornale. E davvero lo sarebbe, se non ci fosse una qualche spiegazione della cosa; davvero il fatto getterebbe una luce sinistra sui ferrovieri delle due stazioni, i quali avrebbero preferito andarsene tranquillamente a riposare, senza pensare, dato il grave ritardo, alla possibilità di un disastro. Ma in realtà, come ricordammo nella prima puntata di questa nostra rievocazione, dodici anni fa, nell'Italia meridionale, i treni partivano forse in orario, ma per la strada perdevano di vista questo orario, e accumulavano ritardi assolutamente incredibili. Come risultò durante il procedimento giudiziario che seguì la tristissima vicenda, il tratto Balvano-Bella-Muro, benché la distanza fra le due stazioni fosse solo di sette chilometri, veniva compiuto talvolta, dai treni che lo percorrevano, anche in 120 minuti. 27 Questo è un dato di fatto che può spiegare l'apparente disinteresse dei funzionari delle due stazioni, un disinteresse che solo per un caso assunse, più tardi, l'aspetto di una trascuratezza colpevole. A Balvano, la notte fra il 2 e il 3 marzo 1944, il capostazione titolare Vincenzo Maglio, dopo aver dato il segnale di partenza al merci 8017, se ne andò a casa a dormire, nella massima tranquillità di spirito. Non v'era motivo perché fosse turbato; non ebbe nessuna premonizione. Si accertò che il capostazione Giuseppe Salonia sarebbe rimasto al suo posto, per assicurare il regolare svolgimento del servizio; salutò tutti, e se ne andò a casa. Il capostazione Salonia si sedette dietro la sua scrivania, e si mise ad attendere: da Battipaglia doveva giungere, alle 2,40, un altro treno diretto a Potenza; egli doveva aspettarne l'arrivo, e «istradarlo». L'8025 giunse stranamente in orario. E fu allora che, dovendolo avviare, Giuseppe Salonia incominciò a pensare che bisognava sapere qualcosa circa l'eccessivo ritardo del merci 8017; infatti, essendo la linea Battipaglia-Potenza servita in quasi tutto il suo percorso da un solo binario, non poteva far partire l'8025 se non quando avesse accertato che la linea era sgombra. Quasi contemporaneamente, anche il capostazione di Bella-Muro pensò le stesse cose: perché potesse entrare in stazione il treno 8025 occorreva che, prima di esso, il merci 8017 continuasse la sua corsa. Dopo aver atteso anche lui senza troppo preoccuparsi fino alle 2,50 (da dieci minuti l'8025 era giunto, intanto, a Balvano), telefonò al collega Giuseppe Salonia. 28 FINALMENTE SI DECIDE DI ISPEZIONARE LA LINEA Attualmente i due funzionari non lo ricordano, perché i loro ricordi furono sommersi dalla terribile realtà alla quale si trovarono di fronte in seguito: ma forse, nel corso di quella telefonata, mentre gli occupanti dell'8017 erano già freddi cadaveri, essi scherzarono sull'inefficienza del materiale rotabile allora in funzione, attribuendo il ritardo a qualche guasto. In ogni caso, poiché del merci non si erano avute notizie, si rendeva necessaria una ispezione della linea, per vedere se, dove e perché l'8017 si era fermato; perciò Giuseppe Salonia disse al collega che avrebbe provveduto lui ad un sopraluogo; e, per effettuarlo, dette ordine ad Angelo Caponegro e a Vincenzo Biondi, rispettivamente manovale ed operaio di prima classe, di staccare dal treno 8025, giunto alle 0,40, la locomotiva, sulla quale sarebbe salito per una ricognizione. Poiché ancora non sapevano niente del disastro, i ferrovieri di Balvano apparvero più seccati che altro per il fatto che li costringeva ad un lavoro straordinario piuttosto noioso. Brontolando, essi staccarono la locomotiva del treno 8025, e si dettero alla ricerca di attrezzi e di lanterne. Sulla locomotiva salì il capostazione Salonia. Già la macchina stava per avviarsi, e Angelo Caponegro e Vincenzo Biondi si erano un po' scostati da essa, sul marciapiede della stazione, quando dall'ombra emerse, come una specie di fantasma lacero, Michele Palo, il frenatore della vettura di coda dell'8017, il quale partito dalla galleria delle Armi a piedi, verso l'una, aveva impiegato due ore per giungere a Balvano. La sua apparizione fece capire che qualcosa di drammatico era avvenuto; le sue parole: «Là, là, sono tutti morti!» lo confermarono. Giuseppe Salonia scese dalla locomotiva. Con una freddezza della quale lui stesso si stupì in seguito, prese in mano la situazione; ordinò ad un guardasala di svegliare il capostazione titolare Maglio, e di recarsi subito dopo in paese (Balvano dista tre chilometri dalla stazione) per avvertire i carabinieri, il pretore ed il sindaco ingegner Alessandro di Stasio, che adesso vive a Potenza. Poi risalì sulla locomotiva, mentre Angelo Caponegro e Vincenzo Biondi si prodigavano per soccorrere Michele Palo; e si avviò verso il posto (che ancora non si sapeva quale fosse) dove avrebbe dovuto trovare i morti di cui il frenatore aveva parlato. L'8017 stava fermo lì, all'imbocco della galleria delle Armi, in un innaturale silenzio. Dei suoi 47 vagoni, solo l'ultimo era fermo a metà fuori dalla galleria; di essi, 41 erano vuoti, perché chiusi con un catenaccio applicato alle serrande scorrevoli; gli altri sei erano quelli in cui si erano ammucchiati circa seicento passeggeri in un certo senso clandestini, più un ufficiale e sette soldati autorizzati a viaggiare sul merci. Come scrivemmo in un'altra puntata, quasi tutti i viaggiatori erano piccoli borsaneristi che si recavano in Lucania per rifornirsi di generi alimentari che poi vendevano a Napoli. Ma c'era anche chi non aveva niente a che fare con l'ambiguo mondo dei piccoli trafficanti, tipico di quel periodo. Molte persone le quali, per la loro attività, dovevano forzatamente spostarsi fra Potenza e i centri della Campania si vedevano costrette a servirsi anch'esse di qualsiasi mezzo pur di non trascurare i propri interessi. 29 Si trattava di commercianti, di studenti, di professori, di medici; tutta gente munita magari di regolare biglietto, o anche di un abbonamento settimanale, come ad esempio il professor Vincenzo Iura, dell'università di Bari. Il professor Iura si trovava in un carro di cui divideva le scomodità con novanta studenti della sua facoltà, costretti, per recarsi a Bari dal centro della Campania dove risiedevano, a raggiungere la città presso la cui università erano iscritti per la via di Potenza. Il professor Vincenzo Iura, un noto chirurgo, era con loro perché non aveva voluto, durante quei difficili anni, benché vivesse nella capitale della Puglia, abbandonare il suo lavoro di consulente dell'ospedale San Carlo di Potenza e dell'ospedale Sant'Anna di Eboli. Alle spalle di Vincenzo Iura era tutta una carriera in cui l'attività scientifica si era sposata ad un profondo senso di umanità. Ad Eboli, dove ci siamo recati per raccogliere qualche testimonianza, tutti lo ricordano ancora con commozione. Le suore dell'ospedale, i dottori Imperato, Cassese e Paesano ricordano che il più delle volte operava gratuitamente. Dopo quel 3 marzo del 1944 l'università di Bari, dov'era ordinario di patologia chirurgica e di propedeutica clinica, promise ai suoi familiari che egli sarebbe stato ricordato con una lapide di marmo, lapide che sia detto per inciso non fu eseguita. Quando il capostazione Giuseppe Salonia giunse, con la locomotiva dell'8025, sul viadotto che precede di poche centinaia di metri l'imbocco della galleria delle Armi, erano le quattro circa del 3 marzo 1944. Una luce livida, quella dell'alba grigiastra, incominciava a rischiarare il paesaggio lunare, denso di rocce e di cespugli che ancora l'ultima neve screziava di bianco. L'ultimo vagone del merci 8017 si intravedeva a stento. In punta di piedi, religiosamente, Giuseppe Salonia, il macchinista ed il fuochista della macchina che li aveva portati sul luogo della sciagura si avvicinarono al treno. 30 IL TRENO RITORNA A BALVANO CON I MORTI A tre ore di distanza dal momento in cui si era compiuto il tragico destino dei viaggiatori dell'8017, nessuna traccia rimaneva dell'accaduto. Il fumo saturo di veleno che aveva ucciso 521 viaggiatori si era ormai diradato. Giuseppe Salonia ripeteva tra sé, in una specie di monotona cantilena: «Ma è impossibile, ma è impossibile». Come tre automi, lui, il macchinista ed il fuochista sbloccarono i freni del merci, lo agganciarono in coda con la loro locomotiva, lo rimorchiarono alla stazione di Balvano. Qui trovarono ad attenderli il titolare Maglio, il pretore, il sindaco ed i carabinieri. Qualcuno salì sui carri gremiti di «abusivi»; nei primi cinque giacevano morti compostamente, come se ancora dormissero, tutti i loro occupanti; nell'ultimo, il silenzio non era così completo ed agghiacciante: i viaggiatori stipati in esso erano rimasti fra la vita e la morte; qualcuno aveva ceduto; i più, invece, erano rimasti semiasfissiati, per la benefica azione esercitata dall'aria pura che si respirava all'ingresso della galleria delle Armi. I morti vennero scaricati sui marciapiedi della stazione di Balvano; i vivi furono ammucchiati nella piccola sala d'aspetto e nelle stanze degli uffici. Si tentò in ogni modo di rianimare questi ultimi, ma lo stato di stupefatto torpore nel quale si trovavano non sparì che qualche ora più tardi, quando grossi autocarri giunti da Potenza li trasportarono nell'ospedale civile di quella città. Coloro che sopravvissero al disastro non riuscirono, negli anni seguenti, a ricostruirlo nella loro memoria. Prima di cadere in quella specie di torpore quasi mortale, Luigi Cozzolino, un piccolo trafficante di Resina, dovette accorgersi che un suo figlioletto di otto anni, che viaggiava con lui, era morto, perché lo ritrovarono abbracciato al corpo esanime del bambino. Forse, come tutti gli altri, Luigi Cozzolino dormiva. Si svegliò quando si sentì aggredire alla gola da un sapore aspro; e vide che già suo figlio era morto. In quell'attimo terribile, il suo cervello si svuotò di ogni pensiero ragionevole, e divenne preda di una benigna follia. Lo rinvennero abbracciato al bimbo, dimentico di tutto. Tornò a casa, a Resina, e qui lo abbiamo rintracciato e fotografato. È rimasto, di lui, un uomo incapace di fare un discorso coerente; nei suoi occhi è una pena inenarrabile, della quale per fortuna lui stesso non si rende conto. 31 UNO CHE DEVE LA VITA A UNA SCIARPA DI LANA Abbiamo scritto, nella scorsa puntata, che non eravamo riusciti a rintracciare nessuno dei superstiti del disastro ferroviario più impressionante del mondo; dobbiamo modificare questa affermazione. Infatti, abbiamo potuto vedere Luigi Cozzolino; e dopo una lunga e difficile indagine siamo anche entrati in contatto con Domenico Miele, di Roccarainola. Guardatene la fotografia, quella che lo riproduce mentre, seduto al bordo del suo campiello con quattro suoi conoscenti, racconta quello che avvenne. Vedrete l'immagine di un uomo anziano, dai capelli bianchi, con una sciarpa alla gola e una sigaretta fra le dita della mano sinistra. È senz'altro, all'apparenza, il più vecchio dei cinque individui ritratti. Invece, ha la stessa età del giovane coi baffi che si trova alla sua destra. I capelli bianchi di Domenico Miele sono un ricordo del merci 8017. Egli si recava sistematicamente, nel 1944, a Potenza, dove comperava olio, che rivendeva nei dintorni di Napoli. Avrebbe dovuto morire, perché prese posto nel quinto carro del merci 8017. Per un puro caso, era però ben sveglio, quando il monossido di carbonio si sparse all'interno della galleria delle Armi. A Balvano scese un momento dal vagone ed ebbe salva la vita. La sciarpa che si è messa al collo prima di essere fotografato, gli fu anche d'aiuto. Appena il monossido di carbonio lo aggredì, Domenico Miele si fasciò la bocca con la sciarpa. Barcollando, col fiato mozzo, scese dal suo vagone, e si diresse verso l'uscita della galleria delle Armi. Quando giunse all'ultimo carro, le forze gli vennero meno. Sentì dei lamenti, e invece di compiere altri pochi metri, e mettersi definitivamente in salvo allo scoperto, salì su quel carro, e cadde svenuto sui corpi abbandonati di chi l'occupava. Quando si riebbe, dopo qualche ora, gli capitò di trovarsi, per ravviarsi nervosamente i capelli, davanti ad uno specchio. Guardò esterrefatto la sua immagine riflessa. I suoi capelli erano diventati tutti bianchi come la neve. Anche lui venne deposto sui marciapiedi della stazione di Balvano con gli altri occupanti dell'8017. Mentre alcuni autocarri si dirigevano velocemente verso quella stazione, da Potenza, ferrovieri e carabinieri effettuavano il macabro lavoro di separare i morti dai vivi, e di identificare tutti i colpiti. Nell'orgasmo con cui questa operazione vene compiuta, non fu fatto nemmeno un esatto calcolo numerico dei viaggiatori dell'8017. Possiamo però affermare, in contrasto con quanto sostiene qualcuno, che i morti furono 521, dei quali 193 non identificati. Era pieno mattino quando giunsero gli autocarri da Potenza. Dopo le constatazioni di rito, il pretore dispose per il seppellimento dei morti. Il cimitero di Balvano è piccolo; venne perciò scavata una grande fossa comune, e qui furono ammucchiati i cadaveri, sui quali fu gettato uno strato di calce. Più tardi, per l'intervento di qualche parente alcune salme furono sistemate in una tomba a parte. Gli scampati vennero avviati all'ospedale di Potenza: ne furono dimessi dopo pochi giorni. Trascorse qualche anno. A un certo momento, ci fu chi pensò di citar per i danni le Ferrovie dello Stato. Un certo numero di vedove, di orfani, di genitori privati dei figli si rivolsero ad alcuni avvocati napoletani; ed ebbe così inizio una lunga vertenza giudiziaria, che non giunse alla sua conclusione. 32 Nel corso di essa, le Ferrovie dello Stato sostennero che, dato l'allora vigente regime di occupazione militare da parte del governo alleato, e dato il fatto che agli occupanti dell'8017 non poteva essere riconosciuta la qualifica di viaggiatori regolari, nessuna responsabilità poteva essere addebitata alla amministrazione. Il governo alleato aveva condotto intanto un'inchiesta sull'accaduto, concludendola con l'esclusione di ogni responsabilità da parte del personale delle Ferrovie. I giudici italiani, però, non espressero recisamente lo stesso pensiero. Se era vero che i viaggiatori dell'8017 erano tutti «abusivi», come la cosa poteva conciliarsi con l'esibizione, da parte degli avvocati, di alcuni biglietti rilasciati dal personale di scorta al treno? D'altra parte, si affermò nel corso della vertenza, non è vero che un viaggiatore non possa assolutamente prendere posto su un merci. Se la cosa accade, egli deve pagare il biglietto ed una penale, e scendere alla prima stazione. Però può risalire sullo stesso merci, pagare ancora un biglietto ed una penale, scendere alla stazione seguente; e poi ancora risalire e pagare biglietto e penale e così via fino alla fine del viaggio. Non si può dire, però, che la cosa si sia verificata sul «treno della morte» di Balvano. Così come non si poté provare che l'esercizio della linea NapoliPotenza era stato affidato alle Ferrovie italiane il 15 febbraio del 1944. Una circolare in tal senso venne diramata effettivamente dal compartimento di Napoli. Ma forse essa non era ancora entrata in fase di esecuzione al tempo della sciagura. MOLTE OMBRE CHE NON SONO STATE DIRADATE In sostanza, sul piano giudiziario il disastro ferroviario di Balvano rimase avvolto da alcune ombre, che non si son potute diradare; perché, a un certo momento, nella questione intervenne, con un senso di umanità raro nella burocrazia, il ministero del Tesoro, che propose di risarcire le famiglie dei morti in base alla legge sui danni di guerra. Il procedimento giudiziario venne così sospeso. Ma la burocrazia riscattò la sua precedente benemerenza con il ritardo nelle liquidazioni. Esse, infatti, non sono ancora state versate a coloro i quali debbono godere di questo beneficio, che è un fatto materiale, non sufficiente in ogni caso a compensare quel terribile fatto che è la morte. Intanto, il ministero dei Trasporti ha ordinato, per la modernizzazione della linea Battipaglia-Taranto, la costruzione di venticinque locomotive Diesel di tipo americano. Quando esse entreranno in esercizio, disastri come quello che abbiamo rievocato non ne potranno più accadere. È da sperare che la loro immissione sulla linea non preceda la liquidazione dei danni alle famiglie delle vittime. Se così sarà, in un certo senso potremo dire che la tragedia di Balvano sarà finalmente un fatto definitivamente compiuto. Giulio Frisoli 33 Finirono di vivere tutti alla stessa ora e nello stesso buio L'8017 fu rimorchiato fino a Balvano da una locomotiva di soccorso. I cadaveri furono deposti sulla banchina della stazione e accanto ai binari. Con gli autocarri arrivati da Potenza, le salme furono trasportate al cimitero di Balvano, che dista tre chilometri dalla stazione, e subito sepolte. I 521 morti dell'8017 furono sepolti in una fossa comune, che fu ricoperta di calce viva. Soltanto più tardi, per desiderio dei parenti, alcune salme furono riesumate e sepolte più decorosam Articolo di Gordon Gaskill, pubblicato in "Selezione dal Reader's Digest", Luglio 1962, pagine 11-16 La misteriosa catastrofe del treno 8017 Quasi nessuno sapeva allora che cosa stesse accadendo e ancor oggi nessuno sa con esattezza che cosa sia avvenuto; eppure quel disastro ha fatto più vittime d'ogni altra sciagura ferroviaria. Quando il treno 8017 transitò per i binari di smistamento della stazione di Salerno, nella fredda e piovosa sera del 2 marzo 1944, nulla poteva far pensare che fosse avviato a una catastrofe. Infatti l'8017 non ebbe uno scontro, non deragliò, non s'incendiò né fu altrimenti sinistrato. Eppure causò un numero di morti forse superiore a quello d'ogni altro disastro ferroviario. Sul treno 8017 c'era infatti un assassino: il carbone per la locomotiva. Era di qualità scadente (c'era la guerra e il carbone scarseggiava) e la sua imperfetta combustione dava talvolta origine a quantità anormali d'ossido di carbonio, gas tossico e inodoro. Il treno non avrebbe dovuto trasportare passeggeri. Ma, come molti altri merci 35 nella zona di Napoli lo faceva, perché a Napoli c'era poco da mangiare. L'occupazione alleata, cinque mesi prima, aveva interrotto i traffici tra la città e la campagna ed era sorta un'attivissima borsa nera. Uomini, donne e bambini compravano (spesso dalle truppe alleate) merci rare come sigarette e cioccolata e le portavano nelle campagne per scambiarle con uova, olio, carne e simili che poi rivendevano a Napoli con forte guadagno. Una delle zone più battute dai trafficanti della borsa nera era la ricca campagna intorno a Potenza, a 110 chilometri da Salerno, e siccome quasi tutti gli automezzi civili erano stati requisiti o erano immobilizzati per mancanza di carburante, l'unico modo d'arrivarci era il treno: di solito un merci. Naturalmente non tutti i passeggeri abusivi dell'8017 erano borsisti neri. Alcuni erano uomini o donne che andavano a cercare viveri per la loro famiglia. Alcuni erano persone costrette a viaggiare e che non avevano trovato altri mezzi. L'8017 era un lungo convoglio di 47 vagoni, una ventina dei quali scoperti. Ma soltanto 12 erano carichi; gli altri erano vuoti, aggiunti per riportare indietro merci e materiale militare. Al nodo di Battipaglia, la polizia militare americana fece scendere molti passeggeri abusivi che protestarono... ma che in seguito avrebbero ringraziato la Provvidenza. Alle 19.12 il treno arrivò a Eboli dove salirono circa altri l00 abusivi. Poi a Persano ne montarono almeno altri 400, pigiandosi nei carri vuoti e riempiendo ogni più piccolo spazio dei vagoni carichi di merci. A quel punto l'8017 aveva a bordo tra 600 e 650 viaggiatori abusivi. E a Romagnano - tra le montagne e a soli 43 chilometri dalla meta - fu agganciata in testa una seconda locomotiva. Alle 23.40 il treno partì faticosamente da Romagnano. Dopo soli sei chilometri e mezzo si fermò in una sperduta stazioncina il cui nome doveva divenire tristemente famoso negli annali delle ferrovie: Balvano. Il treno che precedeva sull'unico binario aveva noie alla locomotiva e mentre l'8017 aspettava d'aver via libera il suo personale di macchina provvide ad aumentare la pressione delle caldaie nelle due locomotive in vista della prossima salita. Cominciò a profilarsi a quel punto l'ombra del disastro. La stazione di Balvano (il paese è lontano circa tre chilometri e mezzo) è situata in un breve tratto fra due gallerie. 36 L'8017 era tanto lungo che la metà dei vagoni era rimasta dentro la galleria in discesa dove stagnava ancora il fumo delle due locomotive. Non tirava neppure un alito di vento che lo disperdesse. Così, per tutti i 38 minuti della fermata, la metà dei passeggeri respirarono fumo e gas. Ma i più dormivano, ignari del pericolo. Infine alle 0.50, i due macchinisti allentarono i freni, spinsero le leve dell'acceleratore e l'8017 s'infilò nella galleria in salita. Il capostazione di Balvano batté al telegrafo il segnale di partito al suo collega della stazione successiva, Bella-Muro. L'8017 sarebbe dovuto arrivare a Bella-Muro, lontana meno d'otto chilometri, in circa 20 minuti dopo di che il capostazione avrebbe telegrafato a Balvano il segnale giunto. Ma il giunto non arrivò dopo 20 minuti né dopo 60... né mai. Il territorio tra Balvano e Bella-Muro è aspro e selvaggio, solcato dalla gola di un tortuoso torrente, il Platano. Tra le due stazioni non ci sono strade; l'intero tratto è un seguito di gallerie e di viadotti. Il Monte delle Armi è forato dal più lungo tunnel della linea, la Galleria delle Armi, rettilinea, lunga poco più di un chilometro e mezzo, e in forte pendenza. Era passata da poco l'una quando il treno entrò nella Galleria delle Armi. Quel che avvenne di preciso nella galleria nessuno lo sa né lo saprà mai. Tutt'e due i macchinisti morirono al loro posto di guida. Nell'orrore e nella confusione, i superstiti ricordarono ben poco d'importante. I soli fatti accertati sono questi: quando le due locomotive giunsero a metà galleria, le ruote motrici della macchina di testa cominciarono a slittare. Il macchinista sparse sabbia sulle rotaie, ma senza risultato. Le ruote non esercitavano più trazione: il treno si fermò. Poi arretrò di qualche metro (quanto bastò perché gli ultimi tre vagoni uscissero all'aria aperta all'imbocco più basso della galleria) e si fermò di nuovo, questa volta definitivamente. Tutto il resto è congettura. I soli indizi esistenti lasciano perplessi. La locomotiva di testa fu trovata non frenata, con la leva di comando sulla retromarcia. La seconda locomotiva, invece, fu trovata frenata, con la leva di comando tutta spinta in avanti. A quanto pare, quando il treno si fermò, i due macchinisti la pensavano in modo fatalmente diverso sul da farsi. Dai fumaioli delle locomotive, con il personale di macchina morto o moribondo, il fumo continuò senza dubbio a venir fuori. Man mano che nell'aria della galleria diminuiva l'ossigeno, il fumo conteneva una quantità sempre maggiore d'ossido di carbonio. Come un rettile mostruoso, il fumo e il gas serpeggiarono a ritroso nella galleria, uccidendo silenziosamente centinaia di persone. Molto addietro alle locomotive che si sforzavano invano di rimettersi in moto, i pochi viaggiatori ancora svegli si resero conto della fermata. Come i passeggeri di qualsiasi treno, i più pensarono che i ferrovieri sapessero quel che facevano e attesero pazientemente. Ma un giovanotto, certo Francesco Imperato, quando cominciò a tossire e a soffocare, propose al cugino d'avviarsi a piedi verso l'uscita della galleria. Il cugino obiettò: «Come facciamo a sapere qual è l'uscita più vicina? Aspettiamo a vedere quel che avviene.» Francesco decise d'andare da solo. S'alzò... e da quel momento non ricorda più nulla fino a quando riprese i sensi qualche ora dopo alla stazione di Balvano. Probabilmente era arrivato tanto vicino all'aria fresca da potersi salvare. Il cugino morì. 37 Domenico Miele era in un vagone vicino alla coda del treno, ma ancora dentro alla galleria. Quando il fumo divenne eccessivo, s'avvolse la sciarpa intorno alla bocca e al naso, scese dal vagone e cominciò a camminare verso la coda. Era appena arrivato allo sbocco del tunnel quando si sentì mancare. Temendo di rimanere a terra se il treno fosse ripartito, salì semistordito sul vagone più vicino, un carro merci scoperto, il terzo dalla coda del treno, metà dentro e metà fuori la galleria. Miele non s'accorse più di nulla finché anche lui rinvenne la mattina dopo a Balvano e scoprì che i capelli da neri gli erano diventati grigi. In quello stesso carro scoperto, il terzo dalla coda, c'era Luigi Cozzolino. Questi dormiva e così il suo figliuolo dodicenne. A un certo momento di quella terribile notte Cozzolino si svegliò e s'avvide che il figlio era morto. Per un bel pezzo rimase inebetito dall'orrore... incapace di pronunziar parola. I viaggiatori degli ultimi due vagoni erano rimasti completamente fuori della galleria. Sebbene indeboliti e semisvenuti per la fermata di 38 minuti entro la galleria di Balvano, soltanto pochi morirono; gli altri dormirono un sonno profondo, quasi ipnotico. Sull'undicesimo vagone dalla coda, ben addentro la micidiale galleria, viaggiava Giuseppe De Venuto, un operaio delle ferrovie che faceva da frenatore. Si stupì nel sentire il treno fermarsi, arretrare a scossoni e fermarsi di nuovo. Quando il fumo divenne insopportabile, scese dal treno e si diresse verso l'uscita della galleria dove trovò il frenatore Roberto Masullo steso a terra, stordito e colto da malore. De Venuto aveva capito ormai quale sorte fosse toccata a quasi tutte le centinaia di persone rimaste nella galleria. Masullo, che era un suo superiore, disse a De Venuto di correre subito a Balvano per dar notizia dell'accaduto. Arrivare fin lì fu un incubo. Era buio pesto e De Venuto non aveva lampadina: l'unica strada era quella sui viadotti e attraverso le gallerie che puzzavano ancora di fumo. Trascinandosi carponi, semisvenuto, nauseato dal fumo e dall'orrore, procedé metro per metro verso Balvano. Di tutte le cose incredibili di quella notte incredibile, nulla lo é più del tempo che occorse ai capistazione di Balvano e di Bella-Muro per chiedersi che cosa facesse ritardare tanto l'8017. Soltanto alle 2.40 - quasi due ore dopo che il treno era ripartito da 38 Balvano - i capistazione conclusero che ci dovesse essere qualcosa d'anormale. Ma poi si dissero che avrebbero potuto fare ben poco in merito: ci sarebbe voluta una buona ora di cammino per arrivare al treno e un'altra ora per tornare indietro. Alle 5.10 De Venuto entrò barcollando nella stazione di Balvano, agitò un braccio in direzione dei binari e disse con voce rotta: «Là, là, sono tutti morti, tutti morti!». Poi svenne. Sgomento, il capostazione di Balvano spedì dispacci a tutte le autorità possibili e immaginabili: alla Croce Rossa, ai carabinieri, al municipio di Balvano, alla sede del Governo Militare Alleato a Potenza. I primi carabinieri e funzionari che arrivarono dal paese di Balvano fecero staccare una locomotiva da un altro merci e si diressero al treno della sciagura. I fanali di testa della loro macchina illuminarono una macabra scena: corpi senza vita stesi sulle rotaie. Li trassero da parte, agganciarono l'8017 e lo rimorchiarono a Balvano. Qui, finalmente, videro quali fossero le proporzioni spaventose del disastro. In un vagone i corpi delle vittime erano talmente ammassati che non si riusciva a far scorrere lo sportello. Bisognò squarciarlo. I volti dei morti erano per lo più sereni. Un colonnello dell'esercito americano, giunto sul posto poco dopo, raccontò in seguito: «Non mostravano il minimo segno di sofferenza. Molti erano seduti con il busto eretto o nella posizione che si assume quando si dorme normalmente». Parecchi avevano tracce di sangue rosso vivo intorno alle narici. Questo colore rosso vivo del sangue è un segno sicuro dell'avvelenamento da ossido di carbonio. A poco a poco, il macabro carico di cadaveri fu tolto dai vagoni e deposto sul marciapiede della stazione. Autocarri militari alleati venuti da Potenza aiutarono a trasportare d'urgenza i superstiti agli ospedali, e più tardi compirono il più penoso servizio di portare i cadaveri al cimitero di Balvano per la sepoltura in tre fosse comuni, due per gli uomini e una per le donne. 39 Delle centinaia di morti che vi furono sepolti, quasi 200 non furono mai identificati. Quante furono le vittime della sciagura di Balvano? La cifra più probabile è 425, benché alcuni l'abbiano fatta salire a oltre 600. Tuttavia, nonostante il numero dei morti, il tremendo disastro passò quasi inosservato a quell'epoca. A Napoli c'era un solo giornale autorizzato dagli Alleati e i censori permisero di pubblicare soltanto una vaga notizia in cui si diceva che un numero non specificato di persone era morto per asfissia «in una località dell'Italia Meridionale». I giornali degli Stati Uniti menzionarono brevemente il fatto il 23 marzo, quando una commissione militare d'inchiesta americana presentò la sua relazione. Funzionari militari delle ferrovie la definirono «la più insolita e spaventosa catastrofe nella storia delle ferrovie». Quanti furono i superstiti? Probabilmente da 100 a 200: molti non dichiararono d'essere scampati al disastro per timore delle pene previste per i viaggiatori abusivi. Dopo la sciagura, le ferrovie alleggerirono di molto i treni che attraversavano la Galleria delle Armi. Fu stabilito un servizio di vigilanza diurno e notturno allo sbocco in discesa della galleria, con un collegamento telefonico per Balvano. Al passaggio d'ogni treno, ogni altro traffico su quel tratto di linea era sospeso finché la guardia comunicava per telefono che, guardando attraverso la galleria, vedeva la luce all'altra estremità: il che significava che il fumo si era disperso a sufficienza per lasciar passare altri treni. Nel 1959 questa precauzione fu abolita perché le ferrovie provvidero a mettere in servizio su quella linea locomotive diesel-elettriche. Il governo ha indennizzato le famiglie delle vittime. E tutti gli anni, il 2 novembre, giorno dei Morti, ci sono famiglie napoletane che vanno a deporre fiori sulle fosse comuni di Balvano. Una madre mi ha detto: “Non so di preciso dov'è sepolto mio figlio, ma so che è vicino ai miei fiori” Questo articolo ci riporta nel clima storico di quel 1944, quando l'Italia era divisa in due. 40 Articolo di Cenzino Mussa, pubblicato in "Famiglia Cristiana", 4 marzo 1979, pagine 40-46 Nel marzo del 1944 più di 500 persone che erano salite su un convoglio merci perirono avvelenate dall'ossido di carbonio in una galleria tra Balvano e Bella-Muro in Lucania. Le circostanze in cui avvenne questa sciagura non sono state mai chiarite completamente. Le responsabilità del comando d'occupazione Alleato.Rievochiamo la più spaventosa sciagura ferroviaria italiana E la morte scese sul treno di Cenzino Mussa "L'agenzia Reuter comunica da Napoli che 500 italiani sono periti venerdì mattina per asfissia in una galleria ferroviaria dell'Italia meridionale. Altre 49 persone sono degenti all'ospedale. Per mancanza di treni viaggiatori un gran numero di persone era salito su un merci diretto a oriente, stipando i carri aperti che lo componevano. Nell'attraversare una galleria, il treno che già procedeva assai lentamente, rallentava ancora la marcia, sicché il denso fumo che ingombrava la galleria stessa in seguito al passaggio di altri convogli provocava la soffocazione della maggior parte dei disgraziati viaggiatori". (Dal Corriere della Sera, 6 marzo 1944). Un titolo in colonna, ventidue righe di giornale per cinquecento morti. Poi il silenzio. È la più grave sciagura ferroviaria italiana, ma ancora oggi sfugge ad ogni statistica. Nessuno sa con esattezza il numero delle vittime, nessuno potrebbe giurare sulle responsabilità. Le montagne della Lucania e "ordini superiori" si accordarono per seppellire nel silenzio una storia fatta di fame e di paura. A trentacinque anni di distanza riaffiorano frammenti di testimonianze e indiscrezioni sulle inchieste che allora furono condotte cautamente e poi archiviate. Abbiamo sfogliato documenti "segreti" quasi consunti dal tempo, abbiano ascoltato superstiti e soccorritori di quel treno maledetto. 1944. La guerra continua È un giallo angoscioso che comincia una sera piovosa del '44, l'anno più nero del secolo. Gli alleati sono fermi a Cassino e combattono sul fronte di Nettuno. Non si canta più "Vincere" da quando in montagna "fischia il vento", ma si continua a morire di qua e di là della Linea gotica. Scontri, bombardamenti, fame, crudeltà: sono gli spettri di questi mesi. Ha l'aria di essere uno spettro anche Mussolini. Abita a Villa Feltrinelli, a Gargnano. Il primo marzo, nel sesto anniversario della morte di D'Annunzio, va a rendere omaggio alla tomba del "compagno d'arme". I giornali del Nord gli dedicano un titolo a cinque colonne. Bastano cinque righe per "un altro bombardamento su Roma". Il giorno dopo, Goebbels lancia un proclama: "La vittoria tedesca rappresenta una certezza". Altre notizie sul Corriere (30 centesimi, due pagine) del 2 marzo: pioggia di bombe su Londra, "infruttuosi attacchi dei bolscevichi sul fronte orientale", catturati due ladri di biciclette, si autorizza ad attingere l'acqua salsa del mare per usi alimentari. Sugli annunci pubblicitari si legge: bar centralissimo, forti incassi, cedesi, un milione; sinistrato acquista armadio occasione; privato vende scarpe seminuove. Le scarpe hanno suole vibram, a "carro armato"; molti devono ricorrere a ritagli di copertone. Al posto della lana, è in commercio un tessuto autarchico che punge come le ortiche; la biancheria è di rayon. Con le tessere annonarie è quasi impossibile vivere. Si deve ricorrere alla "borsa nera". Così i fagioli da 5,24 lire al chilo salgono a 20 lire; un litro d'olio costa cento lire contro le 14 del prezzo ufficiale. I borsari neri fanno la spola tra la campagna e la città. Qualcuno ha l'autocarro a carbonella. I tendoni nascondono a fatica sacchi di farina e damigiane di vino. Gli italiani del Nord dormono male per le incursioni di "Pippo", un monomotore che sgancia bombe e mitraglia a bassa quota. C'è chi preferisce il cinema ai rifugi antiaerei e va a vedere Luisa Ferida e Gino Cervi in Tristi amori, oppure Alida Valli e Amedeo Nazzari in Apparizione. L'insonnia è provocata anche dalla fame. A Napoli, il Vesuvio fuma. I1 15 febbraio è distrutta l'abbazia di Montecassino. Agli inizi di marzo scatta l'operazione Strangle, che intende spezzare i collegamenti tra il Nord e il Sud dell'Italia. Gli scali ferroviari di Roma, Padova, Verona, Bologna, Vicenza, Milano e Bolzano sono fra gli obiettivi più colpiti. Le ferrovie al Sud sono uno sfacelo. Dal primo ottobre dell'anno precedente, quelle del compartimento di Napoli sono state assunte direttamente dal Governo militare alleato (A.M.G.) che le terrà in gestione sino a luglio del '44. La direzione è affidata al 727º battaglione ferroviario. La guerra in Italia ***** Il treno merci n. 8017, su ordine del Comando alleato, era diretto a Potenza per caricare legname già preparato dall'American Corps of Engineers, necessario per la ricostruzione di ponti nella zona di combattimento. È il tramonto, quando si muove dal piazzale Garibaldi. Un convoglio lunghissimo: 47 carri, una ventina dei quali scoperti. Borsari neri, impiegati e studenti lo prendono subito d'assalto. È proibito salire sui merci, ma i tempi sono quelli che sappiamo: si chiude un occhio, anche due. Il mercato nero, visto con lo stomaco pieno, è deprecabile; visto con il terrore della farne, lo è molto meno. E poi la maggior parte dei viaggiatori non sono "borsari neri", ma poveretti che vanno a cercare cibo per le loro famiglie. 43 Alcuni sono persone costrette a viaggiare e che non hanno trovato altri mezzi. Napoli scompare in una schiuma di luci riflesse nel mare color lavagna. Stazione per stazione l'8017 calamita e risucchia file pazienti di viaggiatori, ai quali nessuno si oppone, neppure la scorta militare, composta da un ufficiale e sette soldati italiani. I fuochisti buttano a palate il carbone sotto la caldaia, e la corsa affannosa riprende. Nocera, Salerno, Battipaglia. Alle 19.12 il treno arriva a Eboli, dove salgono cento abusivi, tra gli altri il professor Vincenzo Iuta, dell'Università di Bari, con una decina di studenti. E via arrancando nella notte umida e fredda. Sicignano, Buccino, Romagnano al Monte, sotto il suo pugno di case inchiodato alla roccia nella paurosa fenditura che s'apre sull'ultima valle del Salernitano, tredici chilometri prima della "galleria delle armi" che diventerà la "galleria della morte". A Romagnano il treno ha almeno 650 viaggiatori clandestini. Qui viene agganciata in testa una seconda locomotiva, del tipo 476. di alta montagna, uguale a quella di spinta. Entrambe sono alimentate da carbone iugoslavo, fornito dagli stessi Alleati, di scarso potere calorifico (carbone non maturo) con alta percentuale di scorie. È un tipo di carbone che nella combustione sprigiona gas letali, come l'ossido di carbonio. Alle 23.40 il treno lascia Romagnano. Alle 0.12 si ferma sotto la galleria, cento metri prima d'una sperduta stazioncina di montagna, Balvano. Un treno che precede il merci sull'unico binario lamenta un guasto alla locomotiva, così l'8017 aspetta d'aver via libera per metà ancora nella galleria dove stagna il fumo. Non tira un alito di vento, comincia a nevicare. Per i trentotto minuti di attesa, i passeggeri respirano fumo e gas. I più dormono, ignari del pericolo, vinti dalla stanchezza. Finalmente, alle 0.50, i due macchinisti allentano i freni, spingono le leve dell'acceleratore e il convoglio, superata la stazione, si infila nella galleria in salita. Il capostazione di Balvano, Vincenzo Maglio, batte al telegrafo il segnale di "partito" al suo collega della stazione successiva, Bella-Muro. Tra Balvano e Bella-Muro ci sono otto chilometri. I binari s'insinuano fra gole aspre, solcate da un torrente tortuoso, il Platano. L'intero tratto è un susseguirsi di gallerie e viadotti. Il merci supera la prima galleria, poi la seconda, quindi un tratto all'aperto, in una forra, e infine ecco la "galleria delle armi", lunga 1692 metri, con una pendenza che raggiunge il 13 per mille. Il treno percorre i primi duecento metri, poi le ruote non mordono più le rotaie, girano a vuoto. Altro carbone, altra pressione nelle caldaie, ma sui binari viscidi di neve, le ruote vorticano come girandole. L'8017 arretra di qualche metro (quanto basta perché gli ultimi tre vagoni escano all'aria aperta all'imbocco della galleria) e si ferma di nuovo, definitivamente. Tutto il resto è congettura. Molti indizi lasciano perplessi. La locomotiva di testa viene trovata con la leva di comando sulla retromarcia, la seconda con la leva di comando spinta in avanti. Evidentemente quando il treno s'era fermato, i due macchinisti, che non potevano comunicare fra di loro, la pensavano in modo fatalmente diverso sul da farsi. Facile immaginare la scena. Come un rettile mostruoso, il fumo e il gas serpeggiano a ritroso nella galleria e uccidono silenziosamente centinaia di persone. Un terrore senza bombe, senza grida, con cinque, sei cori di rantoli soffocati. La maggior parte dei viaggiatori passa dal sonno alla morte.Restano alcune testimonianze. 44 In un carro c'è Luigi Cozzolino. Dorme accanto al figlio dodicenne. Ad un tratto si sveglia e s'accorge che il bambino è morto. Rimane inebetito dall'orrore, incapace di aprir bocca, poi si lascia cadere dal treno e si trascina all'aria aperta. Ciro Pernice aveva 19 anni e faceva il contadino a Torre del Greco. Su quel treno era salito a Salerno. Andava a Bella-Muro in cerca di farina, o di «qualsiasi altra cosa da mettere sotto i denti». Racconta: «Eravamo cinque fratelli, la fame ci faceva sragionare, avevamo mangiato tutto quello che c'era, persino i semi. Su quel treno m'ero addormentato con una mantellina militare avvolta sulla testa. Mi sono svegliato all'ospedale di Potenza. Mi dissero che la mantellina aveva fatto da filtro. Non ricordo altro. Da allora la capa non funziona più». Sull'undicesimo vagone, ben dentro la galleria, viaggiava Giuseppe De Venuto, un operaio delle ferrovie che faceva da frenatore. Si stupì nel sentire il treno fermarsi, arretrare a scossoni e fermarsi di nuovo. Scese dal treno, si diresse verso l'imbocco del tunnel dove trovò il frenatore Roberto Masullo, stordito dal gas. Capì che doveva avvertire subito il capostazione di Balvano. Semisvenuto, nauseato dal fumo, l'operaio cominciò ad avanzare carponi lungo i binari. Un altro ferroviere lo aveva preceduto: Michele Palo. Nella cabina di coda stava bruciando stoppie e giornali per scaldarsi, quando si sentì soffocare. Si rese conto della tragedia, chiamò qualche nome e corse. Ma le forze non gli bastarono, e soltanto dopo due ore poté scorgere le luci della stazione di Balvano. Stava annaspando un'altra locomotiva in pressione. Avevano già saputo. Prima di svenire disse: «Là sono tutti morti». Erano le tre passate. La locomotiva sotto pressione, staccata per ordine di Giuseppe Salonia, il vicecapostazione, apparteneva ad un altro merci (8025) che era giunto in orario, ma aspettava il permesso di proseguire per Bella-Muro. Di tutte le cose incredibili di quella notte incredibile nulla lo è di più del tempo che occorse ai capistazione di Balvano e di Bella-Muro per chiedersi che fine avesse fatto il merci n. 8017. Soltanto intorno alle 2.50 Salonia aveva ricevuto una telefonata dal collega che chiedeva spiegazioni. Aveva risposto che sarebbe andato di persona a rendersi conto dell'accaduto. Alle 5.10 il merci 8017, diventato un'immensa bara, era rimorchiato a Balvano. In un vagone i corpi delle vittime erano talmente ammassati che non si riuscì a far scorrere lo sportello. Bisognò squarciarlo. I volti erano sereni. Un colonnello dell'esercito americano raccontò in seguito: «Non mostravano il minimo segno di sofferenza. Molti erano seduto con il busto eretto o nella posizione di chi dorme tranquillo». Balvano, 2480 abitanti, 32 chilometri da Potenza, 425 metri d'altitudine, è un paesino povero e bello, fra querce e ulivi, incassato fra le montagne. Un paese di emigranti (più di mille persone se ne sono andate dal '44) e di gente generosa. Quel mattino di marzo don Pacelli, il vecchio parroco, suonò le campane e uomini e donne scesero di corsa verso la stazione. Allinearono i cadaveri sulla pensilina, portarono i primi soccorsi a quelli che erano ancora in vita. C'era il medico condotto, Orazio Pacella, che adesso ha ottant'anni ed è malato, ma non può dimenticare quel giorno. Racconta: «Un silenzio irreale, la neve e tutti quei poveretti. Mostrai ai ferrovieri e ai contadini come si fa la respirazione bocca a bocca. 45 Avevo solo cento fiale di adrenalina, non potevo permettermi di sbagliare. Saltavo da una vettura all'altra, cercavo un cenno di vita nei riflessi oculari, poi facevo l'iniezione al cuore. Nessun altro medico per tutta la mattinata. Poi arrivarono le autorità da Potenza con una dottoressa americana. Allontanarono tutti, anche me. Ne avevo salvati 51, mi restavano 49 fiale, avrei potuto salvarne altri. Protestai, Dio mio, fatemi salvare altre vite. Mi cacciarono. E questo è il tormento che mi accompagna da quel giorno. Dissero che qualche vittima era stata spogliata delle poche cose che aveva. Non è vero, non c'erano sciacalli fra di noi. C'era soltanto brava gente che dava una prova di solidarietà umana". Le vittime furono dapprima trasportate nella ex casa del fascio, poi sepolte in tre fosse comuni nel piccolo cimitero del paese. Quanti i morti? Su alcuni documenti si legge: 425. Su altri, 521. Su un vecchio registro comunale c'è l'elenco dei corpi identificati: 429. La cifra più probabile è quella scolpita su una lapide al cimitero di Balvano: 509, e cioè 408 uomini e 101 donne. Fu ritenuto un evento bellico. Dopo una tortuosa e lunga vicenda giudiziaria, i parenti delle vittime hanno ottenuto un risarcimento (circa trecentomila lire) con una sentenza che ha inserito la vicenda del treno n. 8017 tra gli "eventi bellici" e ha fatto valere la legge speciale (N. 10, del 9 gennaio 1951) di cui è competente il Tesoro e in base alla quale "viene concessa un'indennità per danni immediati e diretti causati da atti non di combattimento, dolosi o colposi, delle Forze armate alleate". È dunque agli Alleati che si deve attribuire l'intera responsabilità della tragedia? In una pratica ingiallita dell'Avvocatura di Stato è riportata la deposizione di un funzionario in carriera all'epoca della Amgot, dove si dice: "Tutti gli ordini relativi all'organizzazione, al movimento e ai servizi giungevano direttamente dal MRS (Military Railways Service), ossia dal generale Gray e dal col. Horek". Nella stessa pratica è riportata la deposizione dell'allora sindaco di Balvano. Nella sua qualità di ufficiale di pubblica sicurezza, il sindaco aveva iniziato un'inchiesta per accertare le responsabilità del disastro: ne fu distolto da un perentorio ordine delle autorità alleate. Ci furono altre indagini, l'ultima condotta dal giudice del tribunale di Potenza. Ma nel '46 l'intera pratica veniva archiviata, non "essendo stati riconosciuti gli estremi del reato". Se una donna, Luisa Cozzolino vedova Palombo, non avesse iniziato un'azione per risarcimento danni, citando le Ferrovie dello Stato, forse nessuno avrebbe più sentito parlare dei 500 morti nella "galleria delle armi". Luisa Cozzolino fu la prima. Poi presso il tribunale di Napoli, alla sua si aggiunsero le citazioni di trecento famiglie: per la perdita del marito, del fratello, della sorella, della madre, del padre, del figlio, della figlia. Tutti deceduti sul treno n. 8017. L'assassino fu il carbone? In una relazione inviata dal ministro dei Trasporti a quello del Tesoro, nel gennaio del 1952, si legge: "Il treno si fermò perché il macchinista fu colpito dalle tossiche esalazioni dei prodotti gassosi della combustione del carbone, particolarmente ricco di ossido di carbone. In proposito vale notare che, da parte del Comando alleato, venne imposto l'uso di tale carbone, assolutamente inadatto per le locomotive allora in esercizio". Anche gli Alleati condussero una inchiesta (affidata ai capitani Osborn e Gilberston dell'armata francese), ma i risultati non furono mai resi noti. Della tragedia si occupò il Times nel '51, e scrisse che "il Governo alleato si sforzò di occultare l'incidente per evitare l'effetto deprimente sul morale degli italiani". 46 La storia del treno maledetto non finisce qui. Per molti anni vedove e orfani non hanno avuto neppure una tomba sulla quale piangere. Adesso nel cimitero di Balvano c'è una cappella di marmo fatta costruire, per tutte le vittime, da un uomo generoso. Si chiama Salvatore Avventurato, ha 49 anni, gestisce un distributore di benzina a San Giorgio a Cremano, abita a Torre del Greco insieme con la moglie e tre figli. Su quel treno, Avventurato ha perso il padre Agostino, il fratello Vincenzo e uno zio, Antonio Luna. Anche loro erano saliti sul merci 8017 per sfamare le famiglie. Salvatore Avventurato è uno che la fame l'ha sofferta davvero. E dopo la guerra ha fatto mille mestieri, lavorando giorno e notte. A sua madre aveva promesso la tomba per quei poveretti. L'ha costruita un po' per volta, fra mille difficoltà. "Si posavano i fiori in terra, si camminava sui morti, era straziante. Almeno riposino in pace...". Cenzino Mussa Articolo di Nicola Raimo, pubblicato in "Strade Ferrate", Novembre 1980, pagine 33-37 Quella lunga notte del '44 Sono trascorsi circa quarant'anni dalla spaventosa catastrofe del treno 8017, che ebbe il suo epilogo nella Galleria delle Armi, sulla Sicignano degli Alburni-Potenza. Lungi da ogni morboso compiacimento nell'indugiare su un così doloroso episodio, la Redazione di «Strade Ferrate» ha ritenuto opportuno contribuire a ristabilire la verità storica su un avvenimento, che, complice anche la censura del periodo bellico, è rimasto per lungo tempo avvolto nel mistero. Il treno 8017 non deragliò, non ebbe uno scontro, non subì incendi: eppure sotto quella che ancor oggi i ferrovieri chiamano la «galleria della morte» perì un numero di persone superiore a quello di ogni altra sciagura ferroviaria mai avvenuta: oltre cinquecento. Un potenziale assassino c'era, in verità, ma assolutamente insospettabile: viaggiava sul tender stesso delle locomotive, ed era lo scadente carbone utilizzato in quegli anni. Il caso fece il resto, provocando una fatale divergenza di vedute fra i macchinisti delle due locomotive nel momento cruciale di quella notte del '44. Il nostro collaboratore Nicola Raimo, avvalendosi anche della sua personale conoscenza degli unici due ferrovieri sopravvissuti, ha ripercorso per noi con competenza e cognizione di causa il succedersi dei fatti che determinarono l'immane tragedia. Pubblichiamo il suo racconto, così come egli l'ha raccolto dalla viva voce dei superstiti...Era il 2 marzo del 1944. La guerra era da poco finita nel Sud della penisola, ed anche in Campania. Da Napoli, quasi tutti i giorni si formava un treno merci il cui numero di identificazione era 8017: era un treno dispari itinerante, con destinazione Potenza. Quel giorno, era formato da quarantasette carri, in parte chiusi, in parte pianali, in parte alte sponde. Alcuni erano carichi, ma la gran parte erano vuoti, tanto che ben presto vi si stiparono centinaia di persone: tutti viaggiatori abusivi, che si recavano in quel di Potenza e provincia per acquisti di derrate alimentari, per lo più da barattare con merci di provenienza americana che a Napoli non mancavano, quali sigarette, caffè, indumenti. 47 L'8 Settembre. L'8 settembre 1943 non era lontano, e nonostante gli aiuti americani, a Napoli e in tutta la Campania non c'era praticamente di che sfamarsi, mentre in Lucania vi era scarsezza di generi di conforto, vestiti, ecc. Mezzi pubblici e privati non ne esistevano più o quasi, perché requisiti nel corso della guerra, e l'unico mezzo di trasporto rimaneva il treno: merci o viaggiatori che fosse, qualunque convoglio era preso d'assalto. Il governo alleato aveva fatto espresso divieto di servirsi dei treni merci, ma la necessità era tale che molti rischiavano anche severi provvedimenti. Il treno 8017 giunse a Salerno con in testa un E. 626: qui si provvide al cambio di trazione, essendo la linea Battipaglia-Potenza-Taranto non elettrificata. Il Deposito Locomotive di Salerno si incaricava allora del servizio fino a Potenza e sulla diramazione Sicignano degli Alburni-Lagonegro. Locomotiva 476. La locomotiva titolare dell'8017 era quella sera del 2 marzo la 476.038, una delle trentuno unità di stanza a Salerno a partire dagli anni venti. L'8017 partì da Salerno già carico di viaggiatori abusivi: a Battipaglia la polizia militare americana ne fece scendere alcuni (che avrebbero poi ringraziato la loro buona stella), ma nelle stazioni seguenti (Eboli, Persano, ecc.) molti altri salirono sul convoglio. 48 Frattanto era giunta a Battipaglia, poco prima dell'arrivo dell'8017, un'altra locomotiva diretta a Potenza come O. L. («orario libero») per effettuare un altro merci di ritorno a Napoli: era la 480.016. Locomotiva 480. Le locomotive del gruppo 480 avevano prestato servizio dapprima sulla Porrettana: quando questa linea fu elettrificata in trifase, esse furono inviate ovunque servissero macchine di potenza ragguardevole (Brennero, Sicilia, ecc.). A Salerno ce n'erano sei unità, e precisamente la 001, 003, 006, 007, 008 e 016. Il Dirigente Centrale di Battipaglia pensò allora, per non effettuare due treni sullo stesso itinerario e ben sapendo che l'8017, data la pesante composizione, avrebbe richiesto da Baragiano il rinforzo in coda, di disporre la 480 in doppia trazione in testa all'8017. Il convoglio ripartì dunque alla volta di Eboli con in testa la 480.016, su cui viaggiavano il macchinista Espedito Senatore («un grande macchinista», per unanime ricordo di chi lo conobbe) e il fuochista Luigi Ronga. Alla guida della 476.038 vi era invece il macchinista Matteo Gigliano, coadiuvato dal fuochista Rosario Barbaro. Da calcoli postumi si può presumere che il convoglio ospitasse oltre cinquecento viaggiatori abusivi. Era da poco passata la mezzanotte, quando il convoglio si fermò in una sperduta stazioncina fra le montagne, il cui nome è destinato a rimanere negli annali ferroviari: Balvano La stazione sorge in posizione estremamente isolata proprio fra due gallerie (quella di Romagnano e quella delle Armi): il centro abitato di Balvano dista oltre tre chilometri. Subito dopo Balvano, la linea corre a mezza costa lungo la valle del Platano, e la Galleria delle Armi segue lo stesso tortuoso percorso: lungo i 1500 metri del tunnel non vi è un solo rettifilo. Solo alla fine, essa presenta per una lunghezza di poche decine di metri una serie di fornici che si affacciano sul Platano. Non essendovi pozzi di areazione, la galleria, lunga e tortuosa, non aveva (e non ha ancor oggi, anche con la trazione Diesel) una sufficiente ventilazione. Alle 0.50 il convoglio ripartì da Balvano. Il capostazione telegrafò il segnale di partito al collega della stazione successiva, Bella-Muro, che l'8017 avrebbe dovuto raggiungere in circa 20 minuti. Ma da Bella-Muro il giunto non arrivò mai. L'8017 imboccò la galleria a circa 15-20 km/h (secondo i ricordi del mio amico Ronga), procedendo su una livelletta del 13 per mille, quando inspiegabilmente le ruote delle due locomotive cominciarono a perdere aderenza, nonostante i due macchinisti scaricassero abbondantemente sabbia sulle rotaie. 49 A questo punto, una parentesi è d'obbligo. Prima dell'8 settembre 1943 il carbone utilizzato era di provenienza tedesca; poi, per la ben nota situazione bellica, cominciò ad essere fornito dagli americani, che lo facevano giungere a Salerno con la navi Liberty. Era un carbone di piccola pezzatura contenente molto zolfo: ad avviso dell'amico Ronga la sciagura deve appunto imputarsi alla pessima qualità del carbone. Ma torniamo agli avvenimenti. I gas di combustione avevano saturato l'aria della galleria a tal punto - ricorda Ronga - che la fiaccola ad olio vegetale posta sugli strumenti si spense, e tutto piombò nel buio. Il treno era giunto a circa metà della galleria delle Armi: le sale delle locomotive, complice anche la forte umidità di quella notte di marzo, continuavano a slittare, mentre i colpi di scappamento, sempre più ravvicinati, risuonavano sotto la volta della galleria come cannonate. Ronga fu preso da un senso di nausea: sportosi dalla piattaforma nell'intento di trovare una boccata d'aria ancora respirabile in quell'inferno di fumo e di gas, perdette di colpo i sensi e precipitò dalla locomotiva nella sottostante cunetta di scolo dell'acqua, che fiancheggiava il binario. Rimase lì, svenuto, perdendo sangue da ferite alla testa e alle braccia. Il macchinista Senatore si trovò improvvisamente solo: colpito dai gas venefici, si accasciò sul posto di guida - dove poi fu trovato - lasciando il regolatore aperto e la leva d'inversione tutta avanti: di fronte all'imprevista emergenza, aveva cercato di richiedere alla macchina il massimo sforzo. Appena un mese prima, un incidente mortale era occorso al macchinista Vincenzo Abbate nella galleria tra Picerno e Tito, sempre sulla stessa linea. Trovandosi con la sua 476 in servizio di spinta a un treno merci già in doppia trazione, l'Abbate, nell'intento di respirare aria pulita, aveva alzato la ribalta esistente tra macchina e tender e si era steso bocconi: ma, colto da improvviso svenimento, era caduto riverso e aveva trovato orribile morte col capo schiacciato tra macchina e tender; il tutto sotto lo sguardo atterrito del suo fuochista, Giovanni Ariano, che nulla aveva potuto fare data la fulmineità dell'accaduto. 1943. Forse perché memore di quell'incidente, il macchinista della 476, Gigliano (anch'egli macchinista di grande esperienza, un «big» della trazione a vapore) cercò invece disperatamente di retrocedere. Rovesciò la leva d'inversione «tutta indietro», e questo fu il momento culminante della tragedia. Data la potenza della 476 e con l'aiuto del peso stesso del treno, Gigliano sarebbe sicuramente riuscito a portare fuori della galleria il treno, anche se la 480 era rimasta disposta per la marcia avanti e col regolatore 50 aperto: ma non ne ebbe il tempo, forse per pochi, decisivi secondi. Sopraffatto dai gas, non riuscì ad aprire il regolatore e perì anche lui al posto di comando insieme al suo fuochista. Come ben ricordo per avervi più volte viaggiato, i comandi della 476 erano a destra: il regolatore aveva la leva a sciabola e l'asta di comando scorreva in due grossi anelli, la leva d'inversione era a vite senza fine, ma a manovella. È bene anche dire che la valvola del regolatore non era la «Zara», ma aveva invece due aperture, la prima e la seconda, con due piastre a slitta scorrenti l'una sull'altra in modo tale che aprendo la prima, restava chiusa la seconda e viceversa. Questa valvola veniva continuamente lubrificata da un oliatore funzionante a vapore, posto nel duomo, che era assai poco capiente, tanto da dover essere rifornito molto frequentemente. Nonostante tale lubrificazione, il comando - lo ricordo bene - era quanto mai duro sia per l'apertura che per la chiusura: un particolare questo che, con il macchinista allo stremo delle forze, ebbe forse la sua importanza in quella tragica notte. Col personale di condotta ormai impotente, l'ossido di carbonio contenuto nei gas di combustione saturò completamente la galleria, conducendo silenziosamente all'asfissia i viaggiatori, per lo più addormentati. Dei ferrovieri, insieme a Ronga si salvò soltanto il frenatore di coda Roberto Masullo. L'8017 aveva infatti frenatura mista: metà col freno continuo Westinghouse e metà a mano. Masullo occupava appunto la garitta del carro di coda, rimasta per fortunata coincidenza, insieme ad altri due carri, fuori della galleria. Quando la sosta si prolungò al di là del normale, Masullo scese e risalì per qualche decina di metri il tunnel e, resosi immediatamente conto della tragedia, fu l'unico a mettersi in marcia verso Balvano per chiedere soccorsi. Ma la sua fu un'autentica odissea: in piena oscurità, correndo a fatica sulla massicciata, egli dovette riattraversare le due più brevi gallerie che precedano quella delle Armi, ancora sature di fumo e di gas. Quando finalmente, verso le due di quella notte, giunse in stazione di Balvano, riuscì soltanto a gridare «Laggiù sono tutti morti, tutti morti!» prima di cadere a terra svenuto. Locomotiva a carbone 640 Da Balvano partirono immediatamente i soccorsi. «Quando cominciai a riprendere i sensi - ricorda ancora Luigi Ronga - vidi una luce venirmi incontro: era il capostazione di Balvano, Ugo Gentile (oggi Capo Stazione sovrintendente a Battipaglia), che, presomi quasi in braccio, mi trascinò fino alla stazione, dove la moglie dell'allora capostazione 51 titolare - non ne ricordo il nome - mi fece bere più di una bottiglia di latte, cosa di cui le sarò sempre grato perché cominciai quasi subito a sentirmi meglio». «La notizia della sciagura - continua Ronga - volò attraverso i fili del telegrafo e del telefono e giunse anche a mio padre, anch'egli macchinista a Salerno. Disperato, egli si precipitò a Balvano col treno soccorso condotto dal signor Cicalese, per cercarmi tra i morti. Fortunatamente mi trovò vivo: avevo appena vent'anni e vivevo ancora con lui...». L'8017 fu trainato a ritroso fino a Balvano. Fu spento il fuoco sulle locomotive, e iniziò la pietosa opera di composizione dei morti, che furono allineati sulla banchina tra il primo e il secondo binario. Erano 517. Gran parte delle vittime non fu mai identificata, anche se è noto che molti di essi provenivano da grossi comuni napoletani: Torre del Greco, Portici, Torre Annunziata. Molti erano anche i salernitani. Tutti furono sepolti in fosse comuni presso il locale cimitero. Si ha notizia di alcuni superstiti, che però si affrettarono ad allontanarsi dal luogo della sciagura per timore di denunce da parte della polizia militare. Quanto ho scritto mi è stato raccontato con precisione di dettagli dal superstite e amico Luigi Ronga, in presenza dell'ancor lucidissimo padre, ormai da tempo in pensione. Conferme mi sono giunte anche dall'altro carissimo amico ed ex macchinista Eduardo Durso, che il giorno dell'incidente si trovava a Taranto con l'incarico di acquistare delle derrate alimentari per la Cooperativa ferrovieri dl Salerno. «Viaggiavo sulla locomotiva gruppo 735 del Deposito Locomotive di Taranto ricorda Durso - come ospite, diretto a Potenza. Da Taranto avevo telefonato a Salerno per richiedere del denaro, in quanto a Ferrandina stavo contrattando una partita di olive nere. Ricordo che a Salerno costavano 30 lire al chilo a »borsa nera», mentre a Ferrandina potevo acquistarle per sole 8 lire. Da Salerno mi rispose il macchinista Rispoli, allora presidente della Cooperativa, assicurandomi che mi avrebbe fatto pervenire a Potenza la somma di 30.000 lire, affidandola al macchinista dell'8017. Giunto a Potenza, appresi della sciagura e col primo treno disponibile mi recai a Balvano. Non mi soffermo sul tragico spettacolo, già descritto da Ronga. Il povero Gigliano non aveva mancato all'impegno: la somma che avrebbe dovuto consegnarmi fu infatti trovata tra le sua biancheria di ricambio, in una delle casse armadio poste sul tender della 476...». Il Comando alleato che aveva sede a Potenza aprì immediatamente un'inchiesta. Furono eseguite delle prove sullo stesso percorso e con lo stesso carbone, con personale fornito di maschere a facciale: anche in tale occasione si svilupparono rilevanti quantità di ossido di carbonio. L'inchiesta fu quindi chiusa, attribuendo alla cattiva qualità del carbone ogni responsabilità, anche se la pesante composizione del treno e la poco felice ubicazione delle due locomotive, entrambe in testa al treno, contribuirono senza dubbio alla sciagura. In seguito all'incidente, la prestazione sulla linea delle 476 fu ridotta da 420 tonnellate a 370 tonnellate con tassativo divieto della doppia trazione e della spinta in coda: si stabilì un servizio di vigilanza ai due imbocchi della galleria delle Armi, per la riconosciuta inefficienza della ventilazione naturale, fissando altresì in sessanta minuti l'intervallo minimo fra convogli con trazione a vapore. Dal 1959 queste precauzioni sono state abolite con l'entrata in servizio di nuove locomotive Diesel. 52 Articolo di Pietro Spirito, pubblicato in "Linea Treno", Febbraio 1995, pagina 29 Cronaca di un disastro annunciato Mario Restaino, in un libro di grande interesse storico, Un treno, un'epoca: storia dell'8017 (Melfi, 1994), si cimenta nella ricostruzione delle fasi della tragedia di Balvano, inquadrandola nel periodo in cui si svolge, restituendo al lettore, attraverso ricordi ed immagini, la precarietà di quegli anni difficili. La tragedia matura nelle condizioni di viaggio di un Paese devastato dalla occupazione e dalla guerra. Due settimane prima dei fatti, il sottosegretario di Stato alle comunicazioni per le ferrovie, la motorizzazione ed i trasporti in concessione, Giovanni Di Raimondo (nel dopoguerra diventerà direttore generale delle Ferrovie) segnalava che il treno bisettimanale per viaggiatori civili Bari-Napoli "si è dimostrato assolutamente insufficiente rispetto alle esigenze della numerosa popolazione delle regioni attraversate". Sulla stessa tratta, il 10 gennaio 1944, si era verificato un incidente mortale, costato due vite e sei feriti. Così racconta questo episodio, nel suo rapporto, il capitano dei carabinieri Aldo Giannone: "Sportello aperto vettura treno viaggiatori 7144 Polignano-Bari per forte urto contro carro merce fermo, staccavansi ed alcuni viaggiatori, che causa affollamento trovavansi sul predellino, cadevano". C'erano quindi i segnali di una situazione precaria nei collegamenti ferroviari lungo la linea. Ma, in un clima difficile come quello della guerra, era estremamente complesso attivare meccanismi di prevenzione e di intervento. Cosi si arrivò alla tragedia del treno 8017. La notizia della tragedia rimbalza in Italia da Lisbona soltanto alcuni giorni dopo, con un comunicato della Reuters ripreso dai giornali nazionali. Anche questo dato sta a testimoniare la precarietà dei tempi e la difficoltà con la quale le informazioni circolavano. Mario Restaino, nel suo sforzo di ricostruzione degli eventi, riporta anche brani dall'elenco degli oggetti rinvenuti da persone sconosciute sul treno, dopo la tragedia. Bambino e soldato. È uno spaccato della povertà di un'Italia divisa, dedita al commercio per la sopravvivenza, largamente condizionata dal mercato nero che era diventato la forma principale di transazione. Negli oggetti sequestrati dai carabinieri dopo l'incidente si leggono in filigrana le microstorie di quel tempo: 28 kg di salsa sfusa, 25 kg di salsa in lattine, 50 kg di frutta, 15 scatolette di salsa, 15 kg di tabacco in foglie, 22,7 kg di sigari toscani, 3 kg di sigari di Roma, 19 kg di sigari toscani e mezzi sigari, 6,25 kg di fiammiferi di zolfo. In una notte di marzo del 1944 l'incidente di Balvano spezzò quel commercio e tante vite umane. Ne rimane oggi, anche grazie al pregevole lavoro di Restaino, la memoria. Al libro mancano le relazioni tecniche delle Ferrovie dello Stato e i documenti del governo alleato. L'autore ha cercato, senza riuscirvi, di consultarli. È una ricerca che varrebbe la pena di continuare. Locomotiva 370 Risposta a una lettera pubblicata in "iTreni oggi", Dicembre 1992, pagina 12 il più grave disastro "Gradirei avere notizie su un incidente occorso in una galleria ferroviaria dell'Italia del sud nel 1944, dove per le esalazioni della combustione di una locomotiva a vapore, ferma in galleria, morirono diverse centinaia di passeggeri. Avete notizie di questo incidente? È possibile conoscere il luogo, la linea e l'eventuale vaporiera?" (M. Lussana). È il più tragico incidente ferroviario della storia. Avvenne intorno all'una del mattino del 3 marzo 1944. La presenza di viaggiatori sul treno 8017, che era un merci, era abusiva e fu una delle cause del disastro. Il treno, partito da Salerno verso Potenza, viaggiava in doppia trazione (le locomotive pare che fossero due 476), composto da 47 carri e sovraccaricato dalla presenza abusiva di centinaia di persone, cosa peraltro abituale in quell'oscuro periodo della seconda guerra mondiale; all'interno della lunga e acclive galleria dell'Armi, poco oltre la stazione di Balvano-Ricigliano, incominciò a slittare e non riuscì più a procedere. Sentendosi venir meno, i macchinisti purtroppo 54 presero misure opposte: una delle due locomotive fu trovata con la leva d'inversione disposta per la marcia avanti, l'altra a marcia indietro. L'incidente avvenne in piena notte e l'allarme fu dato con ore di ritardo. Le fonti discordano circa il numero dei morti, intossicati dai gas della combustione: furono sicuramente non meno di 425, compresi i macchinisti, ma probabilmente più di cinquecento: si salvarono solo le persone che si trovavano sui carri di coda, fermatisi presso l'imbocco della galleria. La galleria stessa da quel momento fu presenziata e la memoria di quella sciagura fu probabilmente una delle ragioni che indusse le FS a dieselizzare la linea Battipaglia-Potenza prima di ogni altra. Mario Restaino Un treno, un'epoca: storia dell'8017 Aprile 1944, "Arti Grafiche Vultur" Melfi. L'affascinante saggio del giornalista Mario Restaino è già da anni esaurito in libreria. I contenuti del libro sono stati esplorati da Pietro Spirito in un articolo del 1995 su "Linea Treno" (vedi pag. 10). La squisita cortesia del dottore Mario Restaino mi ha consentito di riceverne una copia fotostatica del libro, dalla quale ho tratto alcuni brani che riporto qui di seguito. L'accurata ricerca dei documenti e la passione profusa in questa lavoro meriterebbero, per il piacere dei lettori, la ripubblicazione del libro "Un treno, un'epoca: storia dell'8017- CHISSÀ QUANTE STORIE La lettura degli atti redatti nei giorni successivi all'incidente e emozionante. Cinquant'anni dopo, quelle carte ingiallite "parlano" ancora e raccontano storie che non conosceremo mai del tutto. Ci vorrebbe un romanziere -e non uno che tenta una ricerca storica - per prendere un particolare ed esaltarlo ad "affresco" di un epoca. Una delle cose che mi hanno colpito di più si trova nell' "Elenco degli oggetti rinvenuti su persone rimaste sconosciute". Ad un certo punto si dice: "Sesso femminile, sconosciuta. Eta apparente anni 28 circa, capelli castani, abito bleu con camicetta fiorata. Stato interessante. Oggetti rinvenuti: un fazzoletto grande con bandiera e croce uncinata ed una fotografia". Nient'altro, nemmeno una lira. Che ci faceva questa donna su quel treno? E' impossibile credere che volesse scambiare una bandiera nazista con del cibo, una volta giunta a Potenza. Ma allora? Era insieme a qualcuno? Ma perché, visto che era incinta? Tutte domande alle quali non sono riuscito a rispondere. Ma è meglio procedere con ordine, nella consultazione delle carte relative alle vittime -identificate e non identificate - e agli oggetti trovati sul treno. In un documento figura "uno sconosciuto soprannominato Peppe il contrabbandiere". A matita, e stato scritto successivamente: "Identificato", senza altre indicazioni. Poi c'e "un ragazzo dall'apparente età di anni 15, con pantaloni neri, probabilmente figlio di ferroviere. Rinvenuta la somma di L. 570". 55 Sempre fra le persone non identificate, figura un "uomo apparente età anni 16, con biglietto ferroviario recapito Scafati. Ha indosso fotografia non somigliante allo stesso". Piu avanti si trova una "donna vestita abito maschile color blu, anni 30 circa, capelli castani", seguita da una "donna età 60 anni circa, vestito nero, capelli bianchi, ha indosso un medaglione di ragazza che non rassomiglia ad essa. L. 143/10". E' poi la volta di un "uomo età apparente anni 30, vestito cappotto militare. Portafoglio contenente figurine religiose". Viene trovato anche un "uomo sconosciuto vestito da marinaio apparente età anni 24. Ha indosso L. 1 antica, due boccette di « nero folletto », un coltello", ma a matita si avverte che e stato poi "identificato". Palumbo Michele di Giulio fu identificato attraverso "una tessera partito comunista di Napoli n° 03295. Oggetti rinvenuti lire 35,50" Fra gli sconosciuti si trova: "Sesso femminile, sconosciuta. Età apparente anni 15 circa veste sottana e giacca blue con sciarpa strisciata rosso nero al collo, capelli castani, statura normale. Oggetti rinvenuti una penna stilografica". Segue, subito dopo: "Sesso maschile, sconosciuto. Eta apparente anni 40 circa, mano destra paralizzata, sciarpa nera al collo. Oggetti rinvenuti N.N.". Locomotiva 480 Piu avanti: "Sesso maschile, sconosciuto. Età apparente anni 25 circa. Veste cappotto militare g. v. un secondo cappotto americano, sciarpa bianca di lana al collo scarpe militari pantalone grigio scuro. Oggetti rinvenuti lire 600.00" .E' certo che uno dei due cappotti, se non entrambi, sarebbe rimasto a Potenza. Cosa certissima per uno sconosciuto elencato poco piu avanti, trovato coperto da due giacche e senza soldi. In questa lista, vi sono anche due uomini in possesso di biglietti ferroviari, da Battipaglia a Potenza e da Salemo a Potenza. Apre un altro documento "Pepe Salvatore di Pasquale di anni 17, contadino, da Muro Lucano oggetti rinvenuti, lire 5,50, un portafoglio di tela cerata, un permesso per viaggiare, un pettine, 11 pacchetti di tinta nera" Dopo di lui si trova Forte Antonietta che, oltre a 1.806,00 lire, ha "un portafogli di tela cerata con una fotografia, ed un notes, due fedi una di oro e una di argento". 56 Non meglio di Scarano Luigi, che possedeva "lire 3.309,00 con portafogli di pelle ed una fede di ottone". Fra gli sconosciuti -poco prima de1la donna incinta -si legge ad un certo punto : "Sesso maschile, sconosciuto. Età apparente anni 35 circa, ………… (Si tratta di un elenco di povere cose, di persone diverse, di miseria e di mistero. Ma quanta commozione può nascere dalla lettura di un elenco burocratico, il sesso, l'identità, l'età, un vestito, ecc.ecc. Eppure quanta importanza assumono quei freddi dati per la ricostruzione di un modo d'essere, di una realtà sociale provvisoria nella nostra storia. "...11 pacchetti di tinta nera" l'occorrente per mimetizzare la provenienza militare americana della lana. "...fede di ottone" ricordo della campagna "l'oro alla patria" ecc. ). L'ingresso della Galleria di Balvano. FOSSE COMUNI Nelle quattro fosse communi scavate nel cimitero di Balvano nei giorni immediatamente successivi all'incidente furono sepolte 402 persone: 324 uomini e 78 donne. Questo risulta ma non si riesce a stabilire con esattezza il numero delle vittime della sciagura. Il sistema usato fu il seguente: ad ogni cadavere fu applicato un cartellino numerato, che rimanda all'elenco delle vittime. A seconda della fossa nella quale veniva adagiata la salma, il numero veniva riportato su uno schema. Il numero piu alto fra quelli inseriti negli schemi e 422, fossa numero 4, dove furono seppelliti -si legge nella "legenda" -anche "numero 6 uomini sconosciuti 57 rinvenuti in seguito a ricognizione effettuata alla fine della tumulazione nelle immediate adiacenze del cimitero di cui tre senza cartellino". Ecco il dettaglio fossa per fossa. Fossa numero 1: lunghezza metri 16, larghezza 2,50. Sepolti 86 uomini identificati di cui cinque senza numero essendosi smarrito il cartellino. Fossa numero 2: lunghezza metri 21, larghezza 2,50. Sono state seppellite 159 persone di cui 111 uomini identificati e 6 donne di cui 2 identificate, il resto 42 uomini sconosciuti. Fossa numero 3: lunghezza metri 21, larghezza 2,50. Seppelliti 79 uomini sconosciuti -8 persone indicate con la lettera x nello schema perché senza numero andato smarrito a causa di ripetuti trasporti. Fossa numero 4: Iunghezza metri 18, Iarghezza 2,50, seppellite 72 donne di cui 16 identificate e 6 uomini sconosciuti dei quali abbiamo detto in precedenza. Pare quasi che scopo principale fosse che quei morti invadenti scomparissero quanto prima dalla vista delle autorità. La cruda elencazione mette angoscia per la poca considerazione avuta per le vittime. La Lapide INDIMENTICATI Quando si va a Balvano, da una curva, la prima cosa che appare è il cimitero: è posto a mezza collina, alla sinistra del paese. L'hanno allargato due volte: nel 1944 e nel 1980. Troppi morti da seppellire in entrambe le occasioni. Fra le cappelle del camposanto, quella costruita per le vittime dell'incidente ferroviario spicca decisamente sulle altre. Bisogna vederla. Su una targa, a destra della porta, c'e scritto: In memoria della sciagura ferroviaria accaduta nella notte dal 3 al 4 marzo 1944 Sotto la galleria delle armi ove furono presi da gas carbonici e persero la vita 509 persone di cui 408 uomini e 101 donne in virtu del Signor SALVATORE AVVENTURATO in memoria degli stessi 58 al ricordo dei posteri fece ereggere questo asilo di pace ove ricompose i miseri resti tra i quali giace il suo caro padre e il fratello Vincenzo Anno 1972 A Salvatore Avventurato va riservato un posto speciale in questa storia. A Balvano, intanto, chi lo ha conosciuto parla semplicemnte di "don Salvatore". Ne ricordano la generosità, l'attaccamento al paese, la tenacia con la quale decise di costruire un "asilo di pace" per quelle povere vittime e l'ostinazione con la quale portò a termine il progetto. Visto in un primo tempo con comprensibile sospetto (altri, infatti, avevano cercato di speculare su quella tragedia e sul dolore dei parenti delle vittime), piano piano don Salvatore si conquistò la fiducia dei cittadini di Balvano e la loro amicizia. Ora una sua foto, che lo ritrae sorridente, l'espressione sincera e aperta, sta sull'altare del1a cappel1a. Don Salvatore non la considerò mai un'opera conclusa perché -mi hanno raccontato Ciro e Agostino, due suoi figli -non gli piaceva che il prete, per dire messa, dovesse indossare i paramenti sacri davanti ai fedeli. Perciò stava studiando per realizzare una piccola sacrestia. La morte glielo ha impedito. La cappella dedicata ai morti dell'8017 è meta di un continuo pellegrinaggio: i fiori freschi non mancano mai. E ciò, cinquant'anni dopo la sciagura, è un fatto straordinario. Vengono da ogni dove, specialmente a novernbre e a marzo: vecchi, giovani, ragazzi, bambini, persino qualche neonato in braccio ai genitori. Un culto dei morti che si tramanda di generazione in generazione, senza incertezze. Così si tiene vivo un ricordo che, altrimenti, sarebbe gia stato cancellato. Due articoli di Renzo Pocaterra. La notte tra il 2 e il 3 marzo 1944, il treno 8017 partì da Balvano e, tragicamente, non arrivò mai alla stazione successiva. Uno dei più gravi e misteriosi disastri ferroviari della storia, ma anche un drammatico fascio di luce gettato sulle condizioni di vita di un paese sconvolto dalla guerra. Balvano: anatomia di un mistero di Renzo Pocaterra Pubblicato in "Linea Treno", Febbraio 1995, pagina 26-29 La Battipaglia-Potenza ha un triste primato. Cinquanta anni fa, nella notte fra il 2 e il 3 marzo 1944, fra le stazioni di Balvano e Bella-Muro, ebbe luogo il più tragico incidente della storia delle Ferrovie italiane e uno dei più gravi nel mondo. Con precisione non si è mai saputo cosa sia realmente avvenuto né il numero delle vittime che certamente furono più di cinquecento. La vicenda è stata ricordata in alcuni articoli di giornali e riviste e, quest'anno, in un libro di Mario Restaino che merita una segnalazione soprattutto perché, forse per la prima volta, mette in luce le vere cause della tragedia. 59 Cerchiamo ora di rievocare quei fatti con un'attenzione particolare agli aspetti ferroviari, rimandando i lettori interessati agli aspetti umani della tragedia, alla lettura del libro. Il 1944 fu il peggiore dei cinque terribili anni della seconda guerra mondiale. Se al nord la popolazione era nella morsa della guerra e della fame, al sud si combatteva solo la fame che però era tanta. Il valore dei beni era quotato alla borsa nera secondo la logica della sopravvivenza. A Napoli venivano sbarcati gli approvvigionamenti delle Forze Armate Alleate: un fiume di ricchezza che passava sotto gli occhi di una popolazione che non aveva più nulla. Quello che successe sconfina nella leggenda ed è già stato raccontato. Meno noto è il traffico che potremmo definire indotto, fra la costa e l'interno dove alcuni beni erano introvabili a causa delle difficoltà di comunicazione. Le ferrovie, unico mezzo di trasporto, erano in mano al Servizio Ferroviario Militare delle Forze Armate Alleate che se ne servivano principalmente per le necessità belliche. Per i civili vi erano pochissimi treni e per salirvi era necessaria una speciale autorizzazione. Fra Bari e Napoli, ad esempio, erano stati concessi due treni la settimana con un massimo di 600 persone per ogni treno. Tutti i treni venivano presi sistematicamente d'assalto e ben poco potevano fare i militari di scorta ai convogli o di guardia nelle stazioni. Ecco perché il treno 8017, merci Napoli-BattipagliaPotenza, partì da Balvano alle 0,50 del 3 marzo 1944, trainato da due locomotive e composto da 12 vagoni carichi e 35 vuoti nei quali si era introdotto un numero imprecisato di persone, probabilmente attorno alle 600. Non arrivò mai a Bella-Muro. E qui si affaccia il primo mistero della vicenda. 60 L'esercizio della linea era a dirigenza locale. La distanza fra le due stazioni è di 8 chilometri. Soltanto alle 2,40, dopo quasi due ore, i dirigenti movimento delle due stazioni si misero in contatto telegrafico perché mancava il "giunto", il prescritto dispaccio da parte di Bella-Muro a Balvano che il treno 8017 era arrivato regolarmente. Alla constatazione che il treno era ancora in linea non seguì nulla. Tutte le rievocazioni concordano sull'assoluto disinteresse delle due stazioni ad accertare i fatti. Nessuno diede l'allarme, nessuno andò a vedere. Soltanto dopo le 6 venne inviata da Balvano una locomotiva di soccorso. Il treno 8017 venne trovato sotto la galleria "delle Armi", lunga 1966 metri. Soltanto i tre carri di coda erano fuori. Nelle locomotive vi era ancora fuoco, tanto che la galleria era ancora piena di un fumo molto denso che ne impediva l'accesso. I soccorritori poterono entrare solo perché muniti di maschere. Il treno venne riportato a Balvano con il suo carico di morte. Secondo un testimone una cinquantina di viaggiatori erano ancora vivi, per quanto svenuti, e la cosa, dopo sette ore, ha dell'incredibile. Le vittime identificate furono 429, si ritiene però che fossero più di 500. Vennero sepolte in quattro fosse comuni e anche per questo non è stato possibile accertarne il numero preciso. L'inchiesta sul disastro non venne resa nota. Di ufficiale è stata ritrovata solo una relazione, inviata dal Ministero dei Trasporti a quello del Tesoro, nel 1952, a causa delle richieste di risarcimento (poi accolte) avanzate da alcuni familiari delle vittime. Secondo questa relazione, che riprendiamo da un articolo di Cenzino Mussa su Famiglia Cristiana (1979), "il treno si fermò perché il macchinista fu colpito dalle tossiche esalazioni dei prodotti gassosi delle esalazioni del carbone, particolarmente ricco di ossido di carbonio". Tentiamo ora di approfondire le caratteristiche tecniche del convoglio. Composto da 47 carri e lungo circa 500 metri il treno era trainato da due locomotive, ambedue poste in testa. Le locomotive erano del tipo cosiddetto "da montagna": la 480.016 e la 476.038, ambedue dotate di cinque assi motori accoppiati. La 480 era stata creata negli anni '20 per il servizio sulla linea del Brennero, passata all'Italia dopo il 1918. Era considerata un'arrampicatrice veloce, forse la più potente locomotiva del parco ferroviario italiano. La 476 era una locomotiva di costruzione austriaca, passata all'Italia dopo il 1918 in conto riparazione danni di guerra, ottima per i tracciati di montagna anche se meno potente della 480. Il peso del treno è stato calcolato sulle 500/550 tonnellate, tenuto conto anche delle persone trasportate. La galleria "delle Armi" ha una pendenza massima del 13 per mille, tutto sommato non eccezionale anche rispetto alla tratta rimanente. Non avendo a disposizione una planimetria della linea andiamo per approssimazione. Nei 19 chilometri successivi, da Baragiano a Tito la pendenza media dovrebbe essere superiore al 17 per mille con punte certamente oltre il 20. 61 Si può quindi, d'accordo con Mario Restaino, ritenere quanto meno strano, per quanto pessima possa essere stata la qualità del carbone, che il treno si sia arrestato per insufficiente potenza di trazione, viste anche le prestazioni delle locomotive. Da rilevare che il treno, provenendo da Napoli aveva affrontato in semplice trazione la salita che da Nocera Inferiore porta a Cava dei Tirreni: 5 chilometri con pendenza media del 13 per mille. A questo punto Mario Restaino trova un testimone che offre alcuni illuminanti e inediti particolari. Si tratta di Mario Motta, in servizio a Balvano in qualità di Deviatore il mattino del 3 marzo 1944. Faceva parte del gruppo inviato con la locomotiva di soccorso, Motta ricorda con precisione che 13 veicoli erano frenati e, per poter far retrocedere il treno, fu necessario sfrenarli. Non precisa se si trattava di veicoli dotati di freno a mano o di freno continuo, ma dobbiamo ritenere si trattasse di freni a mano perché il freno continuo, se non viene mantenuto carico dal compressore della locomotiva, si esaurisce entro breve tempo. Motta ricorda anche di avere udito, molto evidente, durante il viaggio di rientro, quel battito caratteristico che indica una sfaccettatura delle ruote dei carri. Questo avviene quando le ruote sono state serrate a fondo dai ceppi dei freni mentre il treno continua la sua corsa. Il pattinamento delle ruote sulle rotaie si mangia letteralmente i cerchioni. Ecco quindi la più importante, se non l'unica, causa della tragedia: i freni. E qui ci soccorrono altri due ricordi di Mario Motta. 62 Egli ricorda che il macchinista del treno di soccorso andò a controllare la posizione delle leve di comando delle due locomotive. Ambedue erano nella posizione di retromarcia. Ricorda anche che alcuni superstiti hanno riferito che il treno, dopo una prima fermata, aveva avuto un breve spostamento in avanti. Poi era retrocesso "a scossoni" per fermarsi definitivamente dopo pochi metri. Sembra anche che, in quei momenti, dalle locomotive fossero partiti alcuni fischi e questo starebbe ad indicare un ordine ai frenatori circa la chiusura o l'apertura, dei freni. In base a questa testimonianza, comunque molto importante, le possibilità sono due e dipendono dal sistema di frenatura di cui il treno era dotato. Molto probabilmente si trattava di frenatura parzialmente continua. Ciò significa che in composizione al treno vi erano carri dotati di freno continuo e freno a mano. Al momento di formare il treno, sulla base del peso complessivo, della percentuale di peso frenato con freno continuo e delle caratteristiche della linea veniva stabilita la quantità di frenatori necessaria alla scorta. Nel tratto in questione, tutto in salita da Battipaglia a Potenza, si doveva assicurare la sola frenatura necessaria in caso di fermata in linea, o di spezzamento del treno, per evitare la retrocessione. Abbiamo sottoposto la questione al parere di un esperto. Date le caratteristiche del treno e della linea era possibile la presenza di una decina di frenatori. Mario Restaino ritiene che vi sia stato, alla base della tragedia, un equivoco fra macchinisti e frenatori e che questi ultimi abbiano chiuso i freni ritenendo che il treno si fosse spezzato o avendo male interpretato gli ordini impartiti col fischio. È una ipotesi attendibile. La chiusura dei freni veniva ordinata dai macchinisti con "tre fischi brevi e vibrati" mentre per il completo allentamento veniva emesso "un fischio lungo seguito da un altro breve". Più che un equivoco però la causa può essere stata l'improvviso svenimento dei frenatori, dovuto al fumo, dopo aver chiuso i freni. Sembra abbastanza chiaro che, quando fu fatto il tentativo di retrocedere, il treno era frenato. La domanda che ci facciamo, ricordando che le ruote dei carri erano fortemente sfaccettate, è se, per motivi non accertabili, i freni non fossero bloccati ben prima della fatale fermata della galleria "delle Armi". La potenza delle locomotive in doppia trazione può aver reso possibile la marcia fino all'imbocco della galleria dove la pendenza era più accentuata. È stato accertato inoltre che in galleria le locomotive a vapore hanno sempre un calo di rendimento. Dopo il tentativo di retrocessione, la fine. Una tragedia tenuta nascosta a causa della guerra in corso. Dei ferrovieri di scorta al treno si salvarono solo tre frenatori di coda e il fuochista della locomotiva di testa perché caddero dal treno e trovarono a livello della massicciata un minimo di aria respirabile. 63 Locomotiva 910 Balvano. L'inchiesta continua Articolo di Renzo Pocaterra, pubblicato in "Linea Treno", Maggio 1995, pagine 30-31 Il libro "Un treno, un'epoca: storia dell'8017" di Mario Restaino sull'incidente di Balvano è andato subito esaurito. E anche l'articolo con cui "Linea treno" rievocava l'oscura tragedia avvenuta nel marzo 1944 sulla linea Battipaglia-Potenza ha sollevato un grande interesse nei lettori. Torniamo quindi sull'argomento arricchendo di particolari e di approfondimenti l'analisi di una delle più gravi e più misteriose tragedie ferroviarie della storia. 64 Ha suscitato l'interesse di numerosi lettori la rievocazione del tragico incidente di Balvano, pubblicata lo scorso febbraio da questa rivista. L'oscura tragedia in cui trovarono la morte oltre 500 persone, per asfissia, nel marzo 1944 sulla linea Battipaglia-Potenza è avvolta in un mistero che difficilmente potrà essere del tutto chiarito. La nostra rievocazione si basava essenzialmente sul libro recentemente pubblicato da Mario Restaino (Un treno, un'epoca: storia dell'8017) frutto di un'attenta inchiesta condotta su documenti e testimonianze inedite e la consultazione dei pochi resoconti pubblicati in epoche varie, da giornali e riviste. L'inchiesta condotta dalle Ferrovie e dalle Forze Armate Alleate non è mai stata ritrovata. Speravamo nell'intervento di qualche nostro lettore con ulteriori notizie. Un contributo molto interessante ci è venuto da Nicola Raimo, che ringraziamo, autore di un articolo sulla vicenda, pubblicato nel novembre 1980 su Strade ferrate, una rivista edita a Frosinone fino a dieci anni fa a cura di appassionati di storia delle ferrovie. Nicola Raimo ha raccolto l'importante testimonianza di Luigi Ronga, allora fuochista sulla locomotiva di testa dell'8017, l'unico sopravvissuto del personale di macchina perché, colpito da malore, svenne e cadde dalla macchina trovando a livello del suolo un po' d'aria respirabile. Secondo questa testimonianza vi sono alcuni elementi discordanti rispetto alla versione di Restaino, da noi ripresa: il numero delle vittime, la posizione delle leve per la marcia avanti o indietro delle due locomotive e il numero dei ferrovieri sopravvissuti. Sul numero delle vittime, Raimo sostiene che furono 521 e forse è la verità, ma non è dimostrabile. C'era una guerra in corso e gli interventi di soccorso furono affrettati e approssimativi. Sulla questione della posizione delle leve di comando, la maggior parte delle versioni pubblicate concorda con la tesi di Raimo, nell'affermare che la prima locomotiva era disposta per la marcia avanti mentre nella seconda la valvola d'inversione era disposta per la marcia indietro. Secondo la testimonianza raccolta recentemente da Mario Restaino, ambedue le locomotive invece erano disposte per la marcia indietro. 65 Per la verità vi sono altre discordanze nei pochi racconti di chi ha avuto parte nella vicenda, ma se consideriamo il tempo trascorso e la forte tensione di quei momenti, la cosa non può destare meraviglia. Preferiamo soffermarci sui fatti, che tutte le versioni sembrano accreditare: - il treno si arrestò in galleria perché le ruote delle locomotive - ambedue a cinque assi accoppiati - slittavano (inspiegabilmente, dice Ronga) sulle rotaie, malgrado le sabbiere fossero normalmente in funzione e la pendenza (13 per mille) non fosse proibitiva, fino a che il treno fu costretto ad arrestarsi; - dopo l'arresto il treno fece un tentativo di retrocessione di pochi metri, per poi arrestarsi definitivamente. Quasi certamente il treno era, in quel momento, frenato; - la cattiva qualità del carbone, indubitabile, non influì quindi tanto sulla capacità di trazione delle macchine, ma sui tempi a disposizione dei macchinisti per affrontare l'emergenza. La galleria era quasi certamente ancora satura del fumo lasciato dal treno precedente; - il treno era dotato di frenatura parzialmente continua. Ciò significa che alcuni carri erano dotati di freno continuo, il rimanente di frenatura a mano. Oltre a questi pochi elementi sui quali tutte le versioni sembrano concordare, vanno tenute presenti alcune disposizioni regolamentari: - la retrocessione, nel tratto in questione, non avrebbe costituito infrazione al regolamento. Come "estrema ratio" non era infrequente. Lo vedremo più avanti; 66 - i frenatori erano tenuti, per regolamento, a chiudere i freni d'iniziativa solo in caso di spezzamento del treno. Tale ipotesi è assai improbabile; - il regolamento segnali prevedeva che l'ordine ai frenatori per la chiusura dei treni veniva dato con "tre o più di tre, fischi brevi e vibrati", l'allentamento con "un fischio lungo seguito da un altro breve". È abbastanza inverosimile che tutti i frenatori abbiano potuto confondere questi messaggi ai quali erano abituati. Secondo la testimonianza di Mario Motta, il manovratore che provvide ad allentare i freni, i carri trovati frenati erano ben tredici: - oltre ai fischi di segnalazione rivolti ai frenatori esisteva anche un codice di comunicazione, per mezzo del fischio, fra gli equipaggi delle locomotive in doppia trazione. Non è da escludere che, nella concitazione del momento, i frenatori abbiano male interpretato i fischi di segnalazione emessi da una locomotiva per attirare l'attenzione dell'altro equipaggio. L'ultimo dubbio riguarda il numero dei ferrovieri sopravvissuti. Secondo Restaino e Raimo, oltre al fuochista Luigi Ronga si salvò solo il frenatore di coda Roberto Masullo, il primo a raggiungere la stazione di Balvano e a dare l'allarme. Secondo la versione di Cenzino Mussa ("E la morte scese sul treno", Famiglia cristiana 1979) si salvarono anche Giuseppe De Venuto "operaio delle ferrovie che faceva da frenatore che viaggiava sull'undicesimo carro" e Michele Palo, frenatore che, secondo Mussa, raggiunse per primo Balvano e diede l'allarme. Il racconto di Cenzino Mussa riguardo ai tre frenatori è molto particolareggiato, sembra attendibile e di prima mano, ma nulla dice in merito ai freni e nessuno, a quanto sembra, ha raccolto la versione di questi importanti testimoni. 67 Un'ultima notizia vogliamo proporre ai nostri lettori. Si tratta di una cartolina scritta dieci anni dopo, nel 1954, ad un collega bolognese, da un macchinista di Bologna trasferito al Deposito Locomotive di Catanzaro Marina. A quel tempo i ferrovieri al sud scarseggiavano e le carenze venivano compensate con trasferimenti obbligati dal nord. Il macchinista (si chiamava Ettore Soverini) così scriveva dando sue notizie: "... come servizio non c'è male ma con certe macchinacce che a noi ce le serbano, le 625 Caprotti non c'è neanche male, una macchina leggera e si fa un buon servizio, ma le 476 a 5 assi accoppiati, una leva (del regolatore, ndr) che vuole in due a girare, e si fanno dei trenacci per Crotone dove passiamo una galleria lunga un 3 km in salita che trovi il 20 per mille, e con quei rubiconi si fa la spinta alle volte: spesso capita di retrocedere, come è capitata a tanti, se si comincia a slittare è già persa". E fu persa davvero per il disgraziato equipaggio dell'8017. Tentarono di retrocedere ma non ci riuscirono. Il treno era frenato, i perché sono solo congetture. E fu la morte per oltre 500 persone. 68 Ricordi Cinquecento italiani sono periti venerdì mattina per asfissia in una galleria ferroviaria dell'Italia meridionale. I morti sono 517. Tutto il personale ferroviario addetto al treno è deceduto, all'infuori di un fuochista. Tutti gli altri erano viaggiatori di frodo, contrabbandieri. Accadde là sotto Balvano alle 0,50 del 3 marzo ’44 seicento passeggeri il merci 8017, abusivi, per miseria e fame spinti alla borsa nera nell’ultimo viaggio verso la morte. Nel sonno arrivò il muto letale monossido con la nera fumeta di carbone nella lugubre notte di Balvano, la buia Galleria delle Armi, a cinquecentoventuno dare morte. Cinquecentoventuno i corpi stesi sulla banchina tra i binari bianco sudario la neve i militi nella conta per un cartello, un numero ai morti Né li destò a Balvano nell’ultima tappa del treno, lo stridulo sferragliare in frenata nel silenzio tenebroso della campagna tra colline fatte bianche dalla neve ad infrangere il lividore notturno, i seicento abusivi dormienti nel pesante respiro ignaro di morte. 69 L’8017 riparte ansimante in salita tra gole aspre a scavalcare il serpeggiante torrente Platano la stretta valle, di viadotti e gallerie ecco la prima, siam fuori, e la seconda, ora usciamo in un passo all'aperto, una forra profonda, ed infine un lungo serpente nel nero la "galleria delle armi" tanto basta per dare a cinquecentoventuno e più, nel sonno la morte. Solo un giornale, il quotidiano napoletano Risorgimento, l'unico autorizzato dalle autorità alleate a vedere la luce, accennò vagamente al fatto, il 7 marzo del 1944, in poche righe della sua cronaca regionale, senza specificare né la località nella quale la tragedia era avvenuta né il numero delle vittime. A Torre del Greco la notizia arriva nella mattinata del giorno 3 di marzo. Qualcosa hanno saputo alla Ferrovia ma non dicono o non sanno. 70 Corrono in tanti affannanti alla stazione da vasciammare e da capotorre da santamarialabruna e dai cappuccini di parenti e di amici a domandare ieri sera partiti col merci diretti ai paesi del sud. Forse uno è tornato dei tanti torresi partiti. L'avite visto a ffráteme Tatonno? Iammo a ssèntere a Rresina, nu cristiano è tturnato, sul'isso s’è ssarvato. 71 Rusario chi l’ha visto? Steva cu Ggiacumino. Pietose si rincorrono domande e nomi e nomi si ripetono ma già senza speranza. Me chiagno a ffigliome Giuvannino vintitrè l'anni ca teneva. E ffrateme Giggino l'avite visto? Páteme Austino e zzizì Tatonno stevano cu ffrateme Vicienzo na brutta fine, nu criaturo, sultanto riciassett’anni, ancora nu uaglione troppo priésto pe mmurì. 72 L'agenzia Reuter comunica da Napoli che 500 italiani sono periti venerdì mattina per asfissia in una galleria ferroviaria dell'Italia meridionale. Altre 49 persone sono degenti all'ospedale. "Su quel treno m'ero addormentato con una mantellina militare avvolta sulla testa. Mi sono svegliato all'ospedale di Potenza. Mi dissero che la mantellina aveva fatto da filtro. Non ricordo altro." Ancora un filo sottile di pietosa speranza è rimasta. Iammo a vveré û spitale. Partimmo, pure a ppere, ma io u vulesse veré a mmaritome Giggino " I’ vaco a Bbalvano. Voglio ì a spiá â ggente S'è salvata na certa Giulia? Verite bbuono capità, fosse û spitale? Tra cadaveri ammassati si cerca. E poi: "Addi' donna Giulia. Addio". 73 A zi' Teresina, e ffigliama Carmilina, teneva sulo riciannov'anni, e ffrateme Ciccillo riciassette puvuriéllo e ddon Mimì, zi' Armando, u nonno Errico, e ffigliome Tatunniello, manco vint'anni Tummaso, Carminiello, Gennarino, tutti amici 'i vasciupontajatta, pe nnu' murì ’i famme a ffá sta vita 'i mmerda. Che brutta fine sta notte spierti. 74 Torre piange gli amici, i parenti, stu lutto ce attocca mparanza E cche brav'ommo ronn'Aniello. E mmo cumme pozzo cchiù campá senza a ffigliome Vicenziello, sirici anni sulamente troppo priésto p’a nicissità s'è ffatto ommo. Zi' Arturo cinquant'anni e Nnatalino riciassette. Gerardo, cu nnammurato mio Tatonno sti poveri giuvani scampati â uerra, ’a r’a morte sotto û sole all'Africa, opure nfunno û mare affugati, fuiuti ’a mano î teteschi, pe mmuri' rurmenno, e sparpetianno ’a r’u ggass strafucati. 75 Aieri era u juorno ca faceva cinquantaruianni maritome Peppeniello e a festa ce ha fatta u ggass r’u treno a Bbalvano. Chill'era ancora na criatura ancora n'anema 'i Ddio quattuordici anni Pinuccio mio puvuriello. Nun c'è misericordia e cch'aveva fatto? Nu mme pozzo rassigná. 76 77