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Verso l’insegnante autorevole: ragioni e modalità

2018, Revista de Italianística

https://doi.org/10.11606/issn.2238-8281.v0i36p96-110

Il presente contributo vuol fare luce su alcune pratiche che permettano all’insegnante di far esprimere al meglio le potenzialità di ogni singolo studente. Dopo la presentazione di alcune possibili cause che spingono certi studenti a comportasi in modo poco edificante, seguono un’esposizione delle ragioni che dovrebbero spin-gere i docenti a preferire uno stile educativo autorevole a uno autoritario, permissivo e perfino democratico, e una definizione di insegnante amorevole. Lo scritto raccoglie, inoltre, considerazioni sulla tecnica del convincimento razionale, l’ambiente di apprendimento, la figura dello studente ricercatore e il sistema dei premi e dei castighi, da sostituire auspicabilmente con il sistema delle conseguenze. Nel lavoro più volte sono stati inseriti suggerimenti che provengono dalle neuroscienze. In particolare, si ragiona sull’attenzione che il docente dovrebbe riservare all’amigdala degli allievi, dal momento che riveste un ruolo importante nelle emozioni: un’inadeguata considerazione potrebbe perfino indurre lo studente a rifiutarsi di imparare con un determinato insegnante. È stato affrontato anche il discorso della peculiarità del cervello dell’adolescente, valido anche, come nel caso dello scrivente, se si ha a che fare con studenti universitari perché biologicamente il cervello, anche alla loro età, non è ancora maturo.

Verso L’insegnante autoreVoLe: ragioni e ModaLità Francesco diodato* ABSTRACT: Il presente contributo vuol fare luce su alcune pratiche che permettano all’insegnante di far esprimere al meglio le potenzialità di ogni singolo studente. Dopo la presentazione di alcune possibili cause che spingono certi studenti a comportarsi in modo poco edificante, seguono un’esposizione delle ragioni che dovrebbero spingere i docenti a preferire uno stile educativo autorevole a uno autoritario, permissivo e perfino democratico, e una definizione di insegnante amorevole. Lo scritto raccoglie, inoltre, considerazioni sulla tecnica del convincimento razionale, l’ambiente di apprendimento, la figura dello studente ricercatore e il sistema dei premi e dei castighi, da sostituire auspicabilmente con il sistema delle conseguenze. Nel lavoro più volte sono stati inseriti suggerimenti che provengono dalle neuroscienze. In particolare, si ragiona sull’attenzione che il docente dovrebbe riservare all’amigdala degli allievi, dal momento che riveste un ruolo importante nelle emozioni: un’inadeguata considerazione potrebbe perfino indurre lo studente a rifiutarsi di imparare con un determinato insegnante. È stato affrontato anche il discorso della peculiarità del cervello dell’adolescente, valido anche, come nel caso dello scrivente, se si ha a che fare con studenti universitari perché biologicamente il cervello, anche alla loro età, non è ancora maturo. PAROLE CHIAVE: insegnante autorevole; neuroscienze; adolescenti; insegnante amorevole; ambiente di apprendimento; studente ricercatore; premi e castighi. RESUMO: O presente artigo pretende lançar luz sobre algumas práticas que permitem ao professor expressar melhor as potencialidades de cada aluno. Após a apresentação de algumas possíveis causas que levam certos alunos a comportar-se de forma pouco edificante, o trabalho segue com uma exposição das razões que deveriam incentivar os professores a preferir um estilo educativo autorizante, a um estilo autoritário, permissivo e mesmo democrático, e uma definição de professor amoroso. O artigo traz, ainda, considerações sobre a técnica do convencimento racional, sobre o ambiente de aprendizagem, sobre a figura do estudante-pesquisador e sobre o sistema de recompensas e punições, a ser substituído preferencialmente pelo sistema de consequências. Foram inseridas no trabalho, várias vezes, sugestões que provêm das neurociências. Em particular, reflete-se sobre a atenção que o professor deveria reservar à amídala dos *Kyoto Sangyo University, Kyoto (Japão) — [email protected] DOI: http://dx.doi.org/10.11606/issn.2238-8281.v0i36p96-110 alunos, uma vez que desempenha um papel importante nas emoções: uma consideração inadequada poderia induzir o aluno até a recusar-se a aprender com um determinado professor. Abordou-se, ainda, o discurso da peculiaridade do cérebro do adolescente, válido também, como no caso do escritor, quando se trata de estudantes universitários porque, biologicamente, o cérebro, mesmo naquela idade, ainda não está maduro. PALAVRAS-CHAVE: professor autorizante; neurociências; adolescentes; professor amoroso; ambiente de aprendizagem; aluno-pesquisador; recompensas e punições. ABSTRACT: This paper aims to shed light on some practices that can help teachers enable every student to reach his or her full potential. After a review of some possible reasons why some students behave in a non-edifying way, an exposition of the reasons why teachers should prefer an authoritative educational style to an authoritarian, permissive, and even democratic one and a definition of loving teacher follow. The paper also contains a consideration of the rational persuasion technique, the learning environment, the figure of the research student, and the reward and punishment system, which should, ideally, be replaced with a consequences system. In this paper, numerous suggestions from neuroscience have also been added. In particular, we discuss the care teachers should reserve for the students’ amygdala, since it plays an important role in students’ emotions. Inadequate consideration of this aspect of students’ physiology could lead students to refuse to learn with a particular teacher. The issue of the peculiarity of the adolescent brain is also addressed. This is even valid if, as in the case of the writer, one is dealing with university students, because, biologically speaking, their brains, even at their age, are not yet mature. KEYWORDS: authoritative teacher; neuroscience; adolescents; loving teacher; learning environment; research student; rewards and punishments. 1. Introduzione I n questo lavoro verranno esposte le ragioni per cui un docente non possa esimersi dal gestire la classe con rigore, instaurando nello stesso tempo un buon rapporto con gli studenti. Del resto, come sottolineano Whitman e Kelleher (2016), è impensabile separare insegnamento, apprendimento ed emozioni. L’importanza di salvaguardare un buon rapporto è giustificata, dal punto di vista neurobiologico, in particolare dalla presenza dell’amigdala, una struttura sita in entrambi gli emisferi cerebrali che “gioca un ruolo importante nelle emozioni”1 e “regola le interazioni dell’individuo con l’ambiente” con l’intento di garantirgli la sopravvivenza (SOUSA, 2017, p. 19). La vicinanza dell’amigdala all’ippocampo, la struttura deputata all’immagazzinamento delle informazioni nella memoria a lungo termine, fa sì che riusciamo a ricordare per molto tempo informazioni importanti e cariche di emozioni (SOUSA, 2017). L’assenza o un basso livello di stress consente al sistema limbico, un circuito nervoso di cui fa parte anche l’amigdala, di attivare la corteccia prefrontale2, deputata a comportamenti cognitivi complessi: è questa, dunque, la condizione necessaria a imparare. Contrariamente, alti livelli di stress, oltre a non permettere l’attivazione di questa corteccia, inducono l’organismo a produrre il cortisolo, un ormone che impedisce il corretto funzionamento dell’ippocampo: pertanto i ricordi non vengono consolidati nella memoria a lungo termine. In altre parole, se c’è stress, non c’è apprendimento (WHITMAN; KELLEHER, 2016). Dopo tali considerazioni, risulta evidente il peso che rivestirebbe per gli insegnanti la dimestichezza con i fattori che causano e con quelli che riducono lo stress degli apprendenti. Tra i primi si annoverano la noia, la mancanza di attinenza tra il proprio vissuto e quanto studiato, la frustrazione generata da fallimenti precedenti, la paura di sbagliare, l’ansia da esami e il sentirsi soffocati dal carico di lavoro richiesto (WHITMAN; KELLEHER, 2016). Difficilmente si sarà in grado di seguire proficuamente se non sono soddisfatti i bisogni fisiologici (per es., oltre a quelli più immediati, è importante anche un’adeguata temperatura dell’aula), di sicurezza (fisica e mentale), di appartenenza e di autostima (MASLOW, s.d. apud PRODROMOU; CLANDFIELD, 2007). I fattori che riducono lo stress includono, invece, la possibilità di scelta, la novità, l’umorismo, la musica, le interazioni positive con i propri pari, gli atteggiamenti gentili, il movimento, l’ottimismo, l’espressione di gratitudine, il superamento delle sfide (WHITMAN; KELLEHER, 2016). Non stupisce, pertanto, che, secondo le ricerche, i discenti considerino capaci i docenti che “sanno adottare uno stile amichevole, attento, rilassato e aperto 1 Tutte le traduzioni sono nostre. 2 La parte dei lobi frontali situata dietro la fronte. 98 Revista de italianística XXXVI | 2018 alla comunicazione” (D’ALONZO, 2012, p. 20). Gli elementi appena elencati forniscono, inoltre, indicazioni sul tipo di attività da proporre in classe: devono essere in grado di emozionare e, aggiunge d’Alonzo (2012), di attrarre, di stimolare e di gratificare. È compito dell’educatore, continua, fare in modo che la noia non prenda il sopravvento, trasmettendo l’entusiasmo e il piacere di imparare: in questo modo gli allievi accetteranno con più facilità la fatica e lo sforzo richiesti dalle attività. Una pianificazione dell’intera lezione evita infine che si creino tempi morti (HUMPHRIS, 2004). Il docente dovrà trovare il modo di eliminare, o almeno ridurre, i fattori di stress, facendo attenzione a non commettere l’errore di annoverare tra questi anche le regole (WHITMAN; KELLEHER, 2016). Limitare la libertà d’azione degli studenti, infatti, è un’azione necessaria a creare l’ambiente adatto all’apprendimento. 2. I comportamenti problematici degli studenti Un problema di disciplina “può essere definito come ogni azione, manifesta o velata, che mini l’unità o la coesione della classe” (PRODROMOU; CLANDFIELD, 2007, p. 39): fra le prime si annoverano il gridare, il chiedere frequentemente di uscire dall’aula, il rifiutarsi di svolgere le attività, il rivolgere al docente commenti sfrontati. Tra le seconde, spesso trascurate dagli insegnanti, la mancanza di attenzione, i ritardi, le assenze, o azioni come far scattare le penne e far cadere oggetti, mettere tutto via prima della fine della lezione e chiedere di cambiare attività. 2.1. Alcune possibili cause Non è sempre facile determinare le ragioni dietro una cattiva condotta perché possono essere innumerevoli. D’Alonzo (2012) le suddivide in quattro tipi: ragioni personali, familiari, sociali e scolastiche: queste ultime, in particolare, sono l’oggetto di questo contributo. Tra gli elementi da evitare a questo riguardo, accanto a un inadeguato rapporto tra insegnante e studente, si individua il rischio di insuccesso: qualora l’impegno non porti ai risultati attesi, potrebbero infatti nascere negli studenti atteggiamenti inappropriati: ad es. comportamenti aggressivi, tentativi di infrangere le regole, demotivazione, sotterfugi, ecc. Anche la paura dei voti e l’uso della didattica tradizionale potrebbero essere annoverati all’interno di queste condizioni: la centralità dell’allievo emerge nelle ricerche più recenti, insieme al favorire un apprendimento che avvenga a scuola e non a casa. Ulteriori fattori che deteriorano il legame educativo sono la scarsa fiducia che il docente può mostrare verso le capacità dell’allievo e l’eccessiva tolleranza nei suoi confronti, l’aggressività se il docente compie azioni disciplinari autoritarie. Sono, inoltre, da evitare contrasti tra allievi e docente, i quali hanno come risultato solo quello di inasprire gli animi e di demotivare. 99 Revista de italianística XXXVI | 2018 Per Gordon (1991) i comportamenti inadeguati sono meccanismi di difesa in reazione all’autorità dell’insegnante. Per es., se questi ordina di fare qualcosa, sentendo la propria libertà minacciata, gli studenti potrebbero provare risentimento, rabbia e ostilità. Di conseguenza, opporranno resistenza o faranno esattamente l’opposto, probabilmente deridendo o provocando. L’odio, invece, può portare a mentire3, la vergogna, ad accusare gli altri e a sparlare. L’imbarazzo, a ingannare e a copiare. L’amarezza e il desiderio di rivalsa, a coalizzarsi. L’umiliazione e l’apatia, a fuggire. Altre forme di ribellione, stando a Dörnyei e Murphey (2003), potrebbero essere azioni come il parlare francamente, la contestazione, i ritardi, le assenze e la perdita della motivazione. Anche secondo Cozolino (2013) gli studenti potrebbero assumere comportamenti difensivi per proteggersi dal dolore scaturito dalle critiche. Queste, minandone l’autostima, possono trasformare i discenti in soggetti non ricettivi all’insegnamento. L’opinione che spesso la bassa autostima, unita a sentimenti come la paura e l’insicurezza, sia all’origine della cattiva condotta è accreditata anche da McCombs e Pope (1994 apud DÖRNYEI; MURPHEY, 2003). Per poter restituire l’autostima sottratta, saranno necessari “protezione, compassione, dedizione e amore” (COZOLINO, 2013, p. 99). Poiché i discenti giudicano i docenti in base all’apparenza, ma probabilmente anche in base alla reputazione (MCMANUS, 1995), è dunque importante, seguendo Saitō (2016), fare una buona prima impressione: se questa dovesse essere negativa, dopo sarà più difficile conquistare la loro stima. Milani (2014) conferma l’importanza di costruire una buona reputazione: se, per es., abbiamo la reputazione di essere permissivi, ridicoli, noiosi o ingiusti, faremo fatica a ottenere attenzione e rispetto. A volte è la mancanza di convinzione dell’insegnante a causare il comportamento inappropriato: gli studenti sentono il bisogno di esplorare i limiti di ciò che è permesso. In questo caso i problemi di disciplina si manifestano prevalentemente all’inizio dell’anno scolastico (MCMANUS, 1995). Alcuni studenti, sostiene Brophy (2003), sono più ostinati di altri perché sono abituati a prevalere con l’andare del tempo: l’insegnante dovrà essere paziente e determinato. Lo studioso suggerisce inoltre di considerare gli studenti persone buone e responsabili, che si comportano male senza averne l’intenzione. Un atteggiamento indisponente nei confronti dell’insegnante è spesso un attacco al suo ruolo, non alla sua persona. Essere stati costretti a studiare in un istituto piuttosto che in un altro e sentirsi ingannati dagli adulti sono esempi di possibili cause (DOGLIO, 2009). Inoltre lo stress, la stanchezza e la rabbia potrebbero essere stati trasmessi dall’insegnante stesso tramite i neuroni specchio4 (COZOLINO, 2013). Perfino convinzioni diverse circa l’insegnamento e l’apprendimento, e convinzioni dell’insegnante riguardo agli studenti e degli studenti riguardo all’insegnante possono dar vita a conflitti e influenzare i comportamenti in classe. Per es., se un insegnante considera uno studente pigro, potrebbe esimersi dall’intraprendere qualsiasi azione volta a migliorare la situazione perché sicuro del fatto che non produrrebbe risultati. Se gli studenti, d’altra parte, reputano 3 Yūki (2016) ritiene che siano quattro i motivi per cui le persone mentono: per difendere se stesse, per sembrare migliori di ciò che sono, per ottenere vantaggi e per difendere qualcuno. 4 Si tratta di un tipo di neuroni che si attiva come se fossimo noi a compiere delle azioni, quando in realtà stiamo solo osservando altre persone compierle; questo ci permetterebbe anche di provarne le stesse emozioni (SOUSA, 2017). 100 Revista de italianística XXXVI | 2018 l’insegnante poco competente o ritengono che questi non sia ben disposto nei loro confronti, potrebbero decidere di non imparare (WILLIAM et al., 2015)5. Talvolta il comportamento scorretto è dettato dalla necessità: per es., arrivano tardi perché hanno altri impegni, parlano con i compagni perché hanno qualcosa da riferire, ecc. Altre volte è dettato dalla noia, dal desiderio di attirare l’attenzione del docente o dei compagni o di evitare un’attività. Altre volte ancora, dall’avversione verso l’insegnante o verso il sistema e dalla difficoltà di socializzare con i compagni (NATION, 2013). Alcuni atteggiamenti possono essere giustificati dal fatto che il cervello matura intorno ai 20-25 anni. Nel cervello di un “adolescente”, infatti, sono in corso due grandi mutamenti. Uno è il pruning6 dei lobi frontali, il quale consente una maggiore efficienza. L’altro è la mielinizzazione7, la quale permette di trasmettere le informazioni con maggiore velocità (WOLFE, 2010): nei lobi frontali, l’ultima parte del cervello a maturare, termina intorno ai 30 anni (GIEDD, 2007 apud WOLFE, 2010). I lobi frontali, in particolare la corteccia prefrontale, sono responsabili di molte funzioni cognitive e comportamentali in cui generalmente gli adolescenti non eccellono: l’autocontrollo, l’inibizione di impulsi, la moderazione della condotta sociale, la pianificazione, ecc. È probabile, dunque, che le ragioni neurobiologiche appena esposte contribuiscano al manifestarsi dei comportamenti tipici degli adolescenti (WOLFE, 2010). 2.2. Stili educativi I metodi di solito usati per gestire la classe sono quello autoritario e quello permissivo. Nel primo caso, poiché il docente ricorre alle imposizioni, lo studente potrebbe nutrire astio verso di lui (GORDON, 1991). Per la stessa ragione, probabilmente assumerà anche “le posture e gli atteggiamenti tipici della sfida” (ZULL, 2002, p. 64). Infatti, se vengono minati valori considerati importanti, per es. l’orgoglio e la sensazione di controllo, l’amigdala potrebbe chiedere al sistema subconscio di controllo dei movimenti di intervenire per proteggere lo studente dalla minaccia. Decidere di non imparare con un determinato insegnante è un’altra possibile conseguenza di questo meccanismo di difesa (ZULL, 2002). Lo studente, per di più, si sente poco stimolato a eseguire gli ordini: se lo fa, lo fa solo in presenza dell’insegnante. L’autoritarismo è, dunque, un controllo esercitato dall’insegnante che “[i]nibisce la crescita in responsabilità e autonomia, genera dipendenza e mancanza di iniziativa [...] e inibisce lo sviluppo di spirito di collaborazione e considerazione per le necessità degli altri. Non si incoraggia uno studente alla collaborazione facendogli fare le cose per forza” (GORDON, 1991, p. 168). Nel secondo caso il docente sceglie di ignorare il comportamento problematico. Questo metodo non provoca nessun risentimento nello studente, ma nell’insegnante potrebbe generare sentimenti negativi nei riguardi dello studente e della professione. Il permissivismo, come se non bastasse, crea discenti egoisti, poco propensi a collaborare e a rispettare gli altri: diventano 5 Per ulteriori ragguagli sulle convinzioni degli studenti di lingue e sulle modalità di intervento, si rimanda a DIODATO, F. Beliefs in Foreign Language Learning: Research on Japanese University Students Studying Italian. In Teaching Italian Language and Culture Annual. 2017, 13-33, <http://tilca.qc.cuny.edu/wp-content/uploads/2017/Diodato%20 articel%20Final%202017_TILCA.pdf >. 6 La potatura delle connessioni neurali, chiamate “sinapsi”. 7 Consiste nella copertura degli assoni dei neuroni con la guaina mielinica, un rivestimento che ha la proprietà di isolante elettrico. 101 Revista de italianística XXXVI | 2018 ingestibili e, pertanto, si rischia di avere classi caotiche. I primi a essere scontenti della situazione sono gli studenti stessi perché in questo clima non è possibile apprendere molto. Infine, il docente permissivo, passando per debole e incapace, difficilmente riuscirà a conquistare la stima degli allievi (GORDON, 1991). Gli insegnanti spesso non seguono un unico metodo, ma li alternano, suscitando smarrimento negli studenti. Questa incoerenza costringe gli studenti a essere sempre cauti e a domandarsi di continuo quali siano i limiti d’azione. Anche la mancanza di uniformità tra i docenti rischia di confondere gli allievi: non è facile destreggiarsi tra un insegnante permissivo e uno autoritario (GORDON, 1991). Gordon (1991), in alternativa ai due metodi sopra esposti, propone un metodo democratico, secondo il quale docente e discenti cooperano alla ricerca di una soluzione che soddisfi ambo le parti. Tuttavia, lo scrivente ritiene che la direzione da seguire sia quella della “dominanza” (MARZANO, 2003 apud D’ALONZO, 2012), fatta di “sicurezza, autorevolezza, determinazione senza prevaricazione né eccesso di controllo”. Si tratta di “guidare le relazioni in classe con mano ferma, attraverso le proposte didattiche” (D’ALONZO, 2012, p. 41). Il docente, in questo modo, dimostra di essere consapevole del proprio ruolo perché diventa una guida e un punto di riferimento. Il tutto si realizza “non attraverso imposizioni ma come conseguenza di un’alleanza educativa bas[a]ta sul rispetto di ciascuno e dei diversi ruoli” (D’ALONZO, 2012, p. 97). In definitiva, le lezioni sono efficaci se il docente riesce a meritare lo stato di leader del gruppo classe. Per la maggior parte degli ultimi 100.000 anni gli esseri umani, per poter sopravvivere, sono stati probabilmente organizzati in piccole tribù di 50-75 persone, in cui tutti collaboravano e condividevano le loro conoscenze. Il rispetto e lo stato di leader venivano acquistati dagli individui che si comportavano con riguardo verso gli altri membri, i quali, poi, dovevano vigilare sull’operato dei primi. Anche oggi le istituzioni in cui questi istinti tribali vengono incoraggiati, come gli sport a squadre, sono quelle che riscuotono più successo perché dal punto di vista neurobiologico siamo rimasti uguali. Pertanto, gli insegnanti in grado di sfruttare questi istinti, possono ottenere risultati apprezzabili anche in classi difficili (COZOLINO, 2013). Il problema, secondo Doglio (2009), non sta, dunque, nel fatto che il docente detenga il potere, ma nel come questi lo gestisca. Poiché ha la facoltà di effettuare scelte metodologiche, di ammonire e di valutare, l’insegnante si trova inevitabilmente in una posizione di superiorità rispetto agli allievi. Questa distribuzione diseguale del potere non è ingiusta, ma necessaria allo svolgimento delle lezioni. Ad es., se gli studenti ritengono l’insegnante incompetente, si rifiuteranno di imparare. Milani (2014) sembra concordare quando afferma che in questo “rapporto asimmetrico” il discente “sta più in basso perché sta imparando, non perché è meno importante” (MILANI, 2014, p. 26). Doglio (2009) mette in guardia dai due rischi che si corrono quando si esercita un potere su qualcun altro: il primo è di “esagerare per difetto” e il secondo, di “esagerare per eccesso”. Nel primo caso “ci sono insegnanti che non tengono sufficientemente conto dell’importanza 102 Revista de italianística XXXVI | 2018 del dislivello di potere tra loro e gli studenti e assumono un atteggiamento troppo amichevole” (DOGLIO, 2009, p. 61). Per creare un buon rapporto con gli studenti, va bene darsi del tu e scherzare, ma non bisogna per questo dimenticarsi di “mettere dei limiti alle possibilità di azione degli studenti” (DOGLIO, 2009, p. 62). Un insegnante, in altre parole, deve essere amichevole, ma non un amico; se un insegnante si comporta da amico, precisano Rosenblum-Lowden e Lowden Kimmel (2008), gli studenti potrebbero confondersi e comportarsi in modo scortese. Opinione, anche questa, condivisa da Milani (2014). Nel secondo caso il docente abusa del potere per es. umiliando gli studenti, probabilmente senza neanche rendersene conto: il rischio è di erigere una barriera (DOGLIO, 2009). Anche una buona autostima è fondamentale per essere riconosciuti come leader: gli studenti vedono gli insegnanti come questi ultimi vedono se stessi. Se si vedono come insegnanti confusi, noiosi o timorosi, è esattamente così che li vedranno gli allievi, i quali agiranno di conseguenza (MILANI, 2014). In conclusione, per svolgere bene il nostro lavoro, dobbiamo prima di tutto ottenere rispetto, un atteggiamento di stima verso una persona che è, o viene ritenuta, superiore o particolarmente degna, ed è anche un sentimento di riguardo e di attenzione, che ci trattiene dall’offenderla, dal trattarla bruscamente o in modo inadeguato. È evidente che se noi abbiamo una bassa stima di noi stessi e di quello che vogliamo insegnare, se noi per primi non riconosciamo il nostro ruolo di insegnanti, difficilmente riusciremo a conquistare il rispetto e la stima degli alunni (MILANI, 2014, p. 24). Rispettare noi stessi e gli studenti, in altre parole, è indispensabile per essere rispettati. 2.2.1. L’insegnante amorevole Daffi (2011) osserva che “[s]i potrebbe erroneamente far coincidere la severità con la cattiveria, con la crudeltà e la durezza di cuore: in realtà essere severi e insieme giusti testimonia un atteggiamento attento, amorevole e comprensivo” (DAFFI, 2011, p. 54). Osserva anche che “[l]’adulto comprensivo non è un adulto che non interviene” e che “[c]orreggere non è indice di poco amore, di scarsa pazienza, ma, al contrario, è attenzione all’educazione del bambino/ ragazzo che non può svilupparsi nel vuoto di una presunta libertà” (DAFFI, 2011, p. 81). Permettere ai discenti di fare ciò che desiderano non significa lasciarli liberi, ma abbandonarli e non soddisfare il loro “bisogno di attenzione, sicurezza e protezione” (DAFFI, 2011, p. 82). Lo studente non corretto potrebbe considerarsi indegno e mostrare la sua delusione manifestando comportamenti sempre più negativi. L’assenza di intervento non è tolleranza, ma privazione 103 Revista de italianística XXXVI | 2018 dell’opportunità di comprendere le conseguenze delle proprie azioni (DAFFI, 2011). Spesso all’inizio il docente autorevole non viene apprezzato dai discenti non abituati alle regole e dai genitori permissivi (MILANI, 2014): l’importante è non demordere. In realtà, con gli insegnanti autorevoli gli studenti si sentiranno più protetti: gli insegnanti permissivi che assecondano ogni richiesta, che instaurano un rapporto alla pari perché considerano le regole dannose, possono far nascere sentimenti negativi come la paura. L’educazione non può essere democratica: le regole sono necessarie in tutte le relazioni educative positive (MARIANI; SCHIRALLI, 2014). 2.2.2. L’abolizione del convincimento razionale La gestione della classe, così come le proposte didattiche, deve essere il risultato di scelte e azioni ben mirate, le quali però non necessitano dell’approvazione dei discenti: eventuali delucidazioni probabilmente non sarebbero neanche comprese (DAFFI, 2011). Anche Mariani e Schiralli (2014) sono di questo avviso, pur constatando che il convincimento razionale è una pratica molto diffusa. Zull (2002) spiega che la conoscenza è costituita da reti neurali e che a ogni modifica della conoscenza corrisponde una modifica di queste reti. Tutti, inclusi i neonati, hanno delle preconoscenze, di cui alcune corrette e altre errate. Le connessioni neurali delle preconoscenze sono durevoli e non scompaiono con delle spiegazioni: solo quelle inutili non verranno più usate o addirittura spariranno; quelle invece consolidate dalle esperienze e dalla cultura continueranno a essere attive (EDELMAN, 1992 apud ZULL, 2002). Dunque, i docenti, invece di spiegare, dovrebbero dare agli studenti la possibilità di usare le informazioni di cui dispongono: si impara “selezionando le connessioni neurali corrette tra quelle già esistenti” (ZULL, 2002, p. 122). Con l’aumentare delle esperienze, su queste connessioni potranno essere costruite nuove conoscenze (ZULL, 2002). Inoltre, l’uso reiterato di connessioni corrette, che consiste nell’ignorare gli errori8 e concentrarsi sulle informazioni corrette, garantirebbe risultati migliori rispetto alla correzione (YLVISAKER; FEENEY, 1998 apud ZULL, 2002). Un’attenzione particolare andrebbe rivolta alla formulazione delle richieste. Collins (2016) evidenzia che non devono contenere la negazione perché richiederebbe al cervello uno sforzo maggiore. Inoltre, con una frase negativa, aumenterebbe la possibilità che l’azione che desideriamo scoraggiare venga compiuta (EARP et al., 2001 apud COLLINS, 2016). Pertanto la frase “Mettete via gli smartphone” sembrerebbe più efficace di “Non lasciate gli smartphone sul banco”9. 2.2.3. L’ambiente di apprendimento e lo studente ricercatore La rinuncia al metodo autoritario richiede, a nostro avviso, anche l’abolizione di tutti quegli elementi che lo ricordano: la cattedra con l’eventuale predella, la disposizione tradizionale dei 8 A volte le connessioni errate sono connessioni incomplete che hanno bisogno di maggiore esperienza per essere completate. 9 L’esempio è nostro. 104 Revista de italianística XXXVI | 2018 banchi che prevede che tutti gli studenti siano rivolti verso l’insegnante, azioni come alzarsi in piedi all’entrata e all’uscita dell’insegnante10, dargli del lei, ecc. La ragione è che ci sono due tipi di memoria: una esplicita, che fa riferimento a ricordi che siamo in grado di verbalizzare, e un’altra implicita, di cui non siamo consapevoli. In una situazione ansiogena, benché le informazioni potrebbero non essere immagazzinate dalla memoria esplicita, più efficiente quando non è sotto stress, potrebbero essere immagazzinate dalla memoria implicita, più efficiente quando è sotto stress. Quando si incontra nuovamente uno stimolo simile a quello presente nel momento dell’esperienza di apprendimento ansiogena, la memoria implicita fa in modo che il corpo reagisca allo stimolo. Senza un ricordo esplicito della stessa esperienza, però, non saremmo in grado di capire la ragione del nostro stress (LEDOUX, 1998). In sintesi, i ricordi di precedenti esperienze di apprendimento ansiogene, provocate da un metodo autoritario, potrebbero risvegliarsi inconsciamente in presenza di un ambiente simile a quello dell’esperienza ansiogena, con ricadute negative sull’apprendimento. Abbandonare il metodo autoritario significa, per lo scrivente, anche trattare gli studenti come ricercatori e non come scolari addestrati. Lo studente ricercatore “esplicita ciò che vuole sapere”, “ipotizza possibili soluzioni” e “confronta le proprie ipotesi con quelle dei colleghi”. “Lo ‘scolaro addestrato’, invece, non chiede mai: risponde soltanto. E quando risponde lo fa sotto interrogazione: rispondere significa essere esaminato”. Inoltre “vede nell’insegnante il depositario della verità” e “vede i colleghi come rivali o non li considera affatto” (HUMPHRIS, 1997). Alcune tecniche che i docenti in genere usano per realizzare questo addestramento sono: “[v]alutare le risposte degli scolari in termini di giusto o sbagliato, e non come ipotesi intelligenti”; “[n]on dare mai l’ultima parola allo studente”; “[s]e uno studente chiede qualcosa, dare più informazioni di quante siano state richieste”; “[n]on ammettere mai di non sapere tutto”; “[n]on ammettere che lo studente possa iniziare un nuovo scambio all’interno di un percorso didattico già avviato dall’insegnante” (HUMPHRIS, 1997). 2.2.4. Il sistema dei premi e dei castighi e il sistema delle conseguenze Il sistema più spesso usato dagli insegnanti autoritari per ottenere il comportamento desiderato è quello dei premi e dei castighi, due tipi di motivazione estrinseca11. Lo strumento più spesso usato, sia come premio sia come castigo, è la valutazione: se i voti non sono buoni, si può essere esclusi da alcuni privilegi (borse di studio, vacanze studio all’estero, ecc.) o perfino essere respinti. Anche i compiti a casa talvolta sono punitivi, accentuando l’avversione nei confronti dello studio: se si usano gli strumenti di apprendimento come punizione, però, si manda il messaggio che l’apprendimento è un castigo. Si sortisce lo stesso effetto quando, come premio, si concede di lasciare l’aula prima della fine della lezione. 10 In Giappone, generalmente fino alle scuole secondarie di secondo grado, gli studenti eseguono, con delle varianti, le seguenti istruzioni, pronunciate a gran voce da un compagno: “In piedi! Attenti! Inchino!” 11 Sulla necessità di promuovere la motivazione intrinseca in alternativa a quella estrinseca e sulle modalità per incentivarla, v. DIODATO, F. Un’analisi dei fattori legati alla motivazione degli studenti d’italiano della Kyoto Sangyo University (Giappone). Matices en Lenguas Extranjeras. 2018, 11, 173-202. Disponível em: <https://revistas.unal.edu. co/index.php/male/article/view/71860/65825>. 105 Revista de italianística XXXVI | 2018 “[P]remi e castighi non sono per niente opposti; sono due facce della stessa medaglia” (KOHN, 1993, p. 50): entrambi perseguono il fine di manipolare un comportamento. Non insegnano che cosa fare e che cosa non fare né il motivo: i premi insegnano a desiderare i premi e i castighi insegnano a desiderare di evitare i castighi (KOHN, 1993). I castighi, inoltre, allontanano i discenti da chi dovrebbe educarli e li trasformano in soggetti “più molesti, aggressivi e ostili” (KOHN, 1993, p. 168). I premi, però, sono da evitare quanto i castighi perché analogamente esercitano un controllo: la differenza risiede nel fatto che i primi sono allettanti. Inoltre, i premi sono tali quando si ottengono: in caso contrario, diventano castighi. Deteriorano i rapporti perché incitano alla competizione e, dunque, all’individualismo, più che alla cooperazione, indispensabile per ottenere risultati qualitativamente migliori. L’enfasi sull’agonismo potrebbe anche essere un deterrente per coloro che pensano di non avere alcuna possibilità. I premi trascurano i motivi che spingono i discenti ad assumere certi comportamenti. Per es., se uno studente è poco motivato a studiare, una ricompensa non risolverà il problema alla base, sebbene dovesse sortire qualche effetto positivo nell’immediato. Come se non bastasse, i premi scoraggiano l’assunzione dei rischi: gli allievi faranno solo ciò che gli altri si aspettano che facciano, per ottenere benefici. Si limiteranno a quello, eviteranno di esplorare, di spingersi oltre: i premi abbassano il livello di interesse e la qualità del lavoro svolto (KOHN, 1993). Tra i premi sono da annoverare anche gli elogi. Kohn (1993) evidenzia alcuni problemi che emergono da questa pratica. Il primo è che, se si elogia qualcuno per essere riuscito a completare un compito non molto complicato, questi potrebbe pensare di essere ottuso. Il secondo, che, se si elogia qualcuno dicendogli che è bravo12, in futuro potrebbe sperimentare l’ansia da prestazione, con conseguenze sul rendimento. Nello stesso modo, se commentiamo con “Ottima domanda!” una richiesta di chiarimento, nell’immediato il discente sarà probabilmente compiaciuto dell’apprezzamento ricevuto; in seguito, però, potrebbe decide di non formulare 12 Il significato della parola “bravo” cambia a seconda delle convinzioni. Chi scrive concorda con Humphris, il quale ritiene che le abilità siano più importanti delle conoscenze: “Che cosa significa dire che uno studente è bravo o meno bravo nella lingua straniera che sta studiando? Tuttora esistono insegnanti che applicano un criterio del tipo ‘sa, o non sa, costruire il periodo ipotetico’. Ancor peggio, questo ‘sa, o non sa costruire’ viene affermato in base ad un test in cui allo studente è richiesto non di elaborare per intero un periodo ipotetico, ma di inserire in una frase incompleta le forme corrette di verbi forniti all’infinito. Dire che uno studente è ad un buon punto del suo apprendimento in base a prove così esili non è molto attendibile. Che dire, ad esempio, di uno studente che, pur avendo fallito nel test citato, riesce ad ottenere conversazioni lunghe quando incontra persone di madrelingua? È più o meno bravo di un altro studente che, pur essendo riuscito nel medesimo test, si trova davanti persone di madrelingua che sfuggono dopo pochi minuti di conversazione? C’è chi dirà che questa differenza non ha a che fare con abilità linguistiche, bensì con il carattere o con la personalità dello studente. Ora, se da un lato è innegabile che fattori come questi ultimi abbiano un peso considerevole, è proprio vero, dall’altro, che le abilità linguistiche non esercitino alcuna incidenza? Il parlante nativo che si sottrae alla conversazione lo fa perché non la trova un’esperienza piacevole. Spesso, ciò è dovuto al fatto che si sforza troppo per seguire; magari è anche un po’ irritato. Osservando bene conversazioni del genere si può notare che errori tipo la forma del verbo nel periodo ipotetico hanno sull’interlocutore un effetto negativo minore rispetto ad altre caratteristiche del modo di parlare dello studente” (HUMPHRIS, 1984). Dello stesso avviso sembrano i ragazzi della Scuola di Barbiana, guidati da don Lorenzo Milani, i quali, già nel 1967, a proposito del test scritto di francese all’esame di terza media, scrivevano: “Passò con nove un ragazzo che in Francia non saprebbe chiedere nemmeno del gabinetto. Sapeva solo chiedere gufi, ciottoli e ventagli sia al plurale che al singolare8 [la nota è presente nell’originale]. Avrà saputo in tutto duecento vocaboli e scelti con il metro di essere eccezioni, non d’essere frequenti. Il risultato è che odiava anche il francese come si potrebbe odiare la matematica. gufi, ciottoli e ventagli = queste tre parole in francese sono più difficili delle altre. I professori all’antica le fanno imparare a mente fin dai primi giorni di scuola” (SCUOLA DI BARBIANA, 2007, pp. 21-22). 106 Revista de italianística XXXVI | 2018 domande, perdendo occasioni di arricchimento preziose: ora sa che c’è la possibilità che l’insegnante le giudichi negativamente. Lo stesso discorso vale per i compagni che hanno assistito alla scena13. Il terzo, di nuovo, che gli studenti potrebbero evitare di cimentarsi in compiti più impegnativi per essere sicuri di continuare a ottenere elogi. L’ultimo, che l’elogio, come gli altri tipi di premi, può contribuire a ridurre la motivazione intrinseca: il fatto è preoccupante se consideriamo che è questo il tipo di motivazione che induce a impegnarsi al massimo delle proprie possibilità. Dweck (2008) afferma che, se si elogiano l’intelligenza e il talento, gli studenti si avviliscono davanti al primo ostacolo e la motivazione cala di pari passo. Infatti, se, quando portano a termine un compito brillantemente, li elogiamo per essere stati bravi, quando non ci riescono, penseranno, di conseguenza, di essere stupidi. Ciò che invece dovremmo insegnare ai nostri studenti è “amare le sfide, essere incuriositi dagli errori” e “apprezzare lo sforzo” (DWECK, 2008, p. 177): in questo modo continueranno a imparare. Per questo motivo, bisogna elogiare lo sforzo e non la bravura14. Per le ragioni esposte, al sistema dei premi e dei castighi si deve preferire quello delle conseguenze. Queste sono il risultato, positivo o negativo, delle azioni di un individuo. Le persone sono spinte naturalmente a ottenere conseguenze positive, pertanto la volontà di agire per conquistarle nascerà dentro se stessi, non da una coercizione (FIORE MONTESSORI SCHOOL, 2012). Esistono due tipi di conseguenze: naturali e logiche (FIORE MONTESSORI SCHOOL, 2012). Una conseguenza naturale è, per es., quella che si verifica quando uno studente dimentica il dizionario: sperimenterà una difficoltà maggiore nello svolgere l’attività. Dopo questo inconveniente, lo studente avrà più chiara l’importanza di avere sempre con sé il dizionario e probabilmente la volta successiva farà più attenzione15. Ci sono, tuttavia, azioni prive di conseguenze naturali immediate, azioni con conseguenze naturali pericolose e azioni completamente sprovviste di conseguenze naturali. In tal caso, sarà necessario creare delle conseguenze ad hoc: le conseguenze logiche (FIORE MONTESSORI SCHOOL, 2012). Una conseguenza logica è, per es., quella che si verifica quando uno studente non svolge i compiti a casa: la volta successiva dovrà svolgere sia i vecchi sia i nuovi16. La cosa importante, in sintesi, è dare agli allievi molte occasioni di sperimentare per permettere loro di ricordare più facilmente quanto appreso. In questo modo trasmetteremo loro anche un maggior senso di responsabilità. È fondamentale, dunque, non proteggere i discenti dalle conseguenze delle loro azioni, per evitare “un aumento del livello di irresponsabilità e una drastica diminuzione del senso civico” (DAFFI, 2011, p. 93). Solo se si dà agli allievi la possibilità di affrontare le conseguenze delle loro scelte, si può sperare in una vera crescita. Uno dei compiti del docente, in altre parole, è quello di favorire l’integrazione degli studenti nella società: devono imparare che gli errori possono provocare danni relazionali (DAFFI, 2011). 13 L’esempio è nostro. Lo scrivente è inoltre dell’opinione che tutte le domande siano ottime e che, dunque, meritino lo stesso rispetto: nascono tutte dal desiderio dello studente di ottenere un’informazione che in quel momento non possiede. 14 Un ottimo esempio è quello di Catizone, a proposito della Produzione libera orale, attività in cui gli studenti stranieri parlano liberamente in italiano senza essere corretti, per “aumentare la scorrevolezza, la fluenza, la confidenza con la lingua orale”. L’autore spiega, infatti, che l’insegnante può lodare “gli studenti dopo che hanno finito facendo notare loro lo straordinario risultato raggiunto: aver comunicato in italiano per x minuti” (CATIZONE, 2004). 15 L’esempio è nostro. 16 L’esempio è nostro. 107 Revista de italianística XXXVI | 2018 Conclusioni Questo lavoro si è avvalso, in parte, del contributo delle ricerche neuroscientifiche, in particolare per quanto concerne il ruolo dell’amigdala. Ciò permette di spiegare alcuni atteggiamenti e di definire delle modalità d’azione. Inoltre, sapere che alcuni comportamenti sono del tutto naturali potrebbe aiutare a vedere i discenti con un occhio più benevolo e, di conseguenza, a concentrarsi con maggior serenità sul lavoro. In particolare, a proposito degli adolescenti, si è discusso delle origini neurobiologiche di fattori come la mancanza di autocontrollo, di inibizione di impulsi, di moderazione della condotta sociale e di pianificazione. Uno dei risultati è che questo tipo di apprendenti in genere non è in grado di proteggersi dalle distrazioni e pertanto è necessario l’intervento dell’insegnante. Per es., si potrebbe chiedere di disattivare la suoneria dello smartphone e di riporlo: in questo modo non saranno colti dalla tentazione di usarlo per scopi che esulino dall’attività didattica. Se sono studenti di italiano come lingua straniera, si potrebbe ricordare di usare questo e non altri idiomi ogni volta che la situazione lo richieda. Infine, si potrebbero formare coppie di studenti compatibili, cioè di studenti che non esercitino un’influenza negativa l’uno sull’altro. Le origini neurobiologiche, tuttavia, non devono essere addotte a pretesto per giustificare i discenti e non intervenire. Al contrario, l’intervento è indispensabile per sostenerli nel delicato passaggio verso l’età adulta. Come affermano Mariani e Schiralli (2014), gli insegnanti hanno il potere di agire sulle sinapsi e di placare l’amigdala incoraggiando comportamenti migliori. Inoltre, le vie nervose utili alla migliore gestione delle pulsioni vengono costruite con le regole e la loro introiezione. In assenza di regole, non si sviluppano adeguatamente i neuroni deputati al controllo e alla valutazione delle situazioni contingenti, rimanendo funzionalmente insufficienti per il resto della vita (MARIANI; SCHIRALLI, 2014, p. 23). A questo proposito, si ribadisce anche l’alto valore formativo del sistema delle conseguenze, il quale aiuta a responsabilizzarsi permettendo di imparare dalle esperienze. Il docente deve avere la capacità di creare le condizioni ottimali: solo così le lezioni possono essere vere occasioni di arricchimento. A tal fine, è necessario che questi si ponga come una guida autorevole, capace di guadagnarsi la stima dei suoi discenti ed esercitare su di loro un’influenza positiva. Non si diventa, però, autorevoli con la forza, ma con una fermezza fondata su motivi didattici precisi; questi, però, non devono essere spiegati: se il docente è convinto e tratta gli studenti con riguardo, questi ne soddisfaranno le richieste, anche in caso di disaccordo. Anche l’ambiente di apprendimento, per quanto possibile, deve essere curato; per es. sarebbe utile modificare la disposizione dei banchi sia per garantire una maggiore interazione in 108 Revista de italianística XXXVI | 2018 classe, sia per impedire il riaffiorare di ricordi legati a eventuali situazioni ansiogene vissute in altri contesti didattici. Naturalmente ciò sottrae del tempo, ma i vantaggi superano gli svantaggi: si avranno studenti meno ansiosi e dunque più ricettivi e in grado di trarre maggior beneficio dalle attività. Per una maggiore efficacia dell’azione didattica, sarebbe auspicabile un alto grado di accordo rispetto al modo di educare tra i docenti di uno stesso istituto; a seconda dell’età dei discenti, anche tra i docenti e i genitori. L’organizzazione di frequenti incontri formativi rivolti a entrambe le categorie è indispensabile per il raggiungimento dell’obiettivo. Al docente intenzionato a percorrere la strada prospettata in questo lavoro saranno necessari un grande coraggio e una profonda convinzione nelle scelte didattiche: il cambiamento richiesto è radicale. Per cominciare, bisogna colmare la distanza tra docente e studenti, senza però commettere l’errore di diventare permissivi o democratici e di trattare i discenti come dei pari. Riferimenti bibliografici BROPHY, J. Teaching Problem Students (Edizione paperback. Originariamente pubblicato nel 1996). New York, NY: The Guilford Press, 2003. CATIZONE, P. Produzione libera orale: un’attività comunicativa. In: Bollettino Itals. 2004, 5. 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