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Luigi Nono e La Fabbrica Illuminata

2016

Analisi de "La fabbrica Illuminata" di Luigi Nono, con un'introduzione alla situazione storico-culturale legata all'autore. Tesina per l'esame del corso di Storia e analisi del repertorio elettroacustico, tenuto da Marco Ligabue presso il Conservatorio Luigi Cherubini di Firenze.

Conservatorio Luigi Cherubini di Firenze Biennio Specialistico di Musica e Nuove Tecnologie Storia e analisi del repertorio elettroacustico I A.a. 2015/2016 Luigi Nono & La Fabbrica Illuminata di Matteo Tundo Relatore Marco Ligabue Indice PARTE I: Luigi Nono e il contesto storico……………………………. pag 2 -Darmstadt e la serialità integrale………………………………………pag 2 -Consapevolezza storica, attivismo politico e teatro musicale…………pag 4 -Live electronics e ricerca prometeica………………………………….pag 8 PARTE II: Analisi su La fabbrica illuminata………………………..…pag 11 -Contestualizzazione storica e problematiche………………………….pag 11 -Forma e struttura………………………………………………………pag 15 -Nastro Magnetico ed interazione con la voce…………………………pag 19 -Timbro e spettrogramma………………………………………………pag 22 PARTE III: Conclusioni………………………………………………..pag 28 Bibliografia…………………………………………………………….pag 29 Sitografia…………………………………………………………….…pag 29 1 PARTE I: Luigi Nono e il contesto storico Darmstadt e la serialità integrale Per poter riuscire ad analizzare opere e vita di Luigi Nono, una particolare attenzione va prestata al contesto storico-sociale-musicale nel quale questo illustre compositore si inserisce e in che modo esso vi interagisce. Nato a Venezia il 24 gennaio 1924, Luigi Nono mostrò subito interesse nei confronti della musica, guidato inizialmente da Gian Francesco Malipiero, che Nono ha sempre considerato uno dei personaggi più importanti nell’ambito della sua formazione musicale. Nel 1946 conobbe un altro musicista veneziano: Bruno Maderna, con il quale per diversi anni si cimentò nell’analisi approfondita di autori rinascimentali (i fratelli Garbieli, Carlo Gesualdo, Nicola Vicentino e molti altri) in comparazione ad opere di musica contemporanea (Webern, Schönberg, Stravinsky,…). Questo fu senz’altro fondamentale per la sua preparazione ed in particolare per lo sviluppo di un pensiero musicale molto profondo, legato indissolubilmente all’aspetto storico della composizione. Nel 1948 sia Nono che Maderna divennero discepoli di Herman Scherchen, che li inserì nel panorama musicale europeo di quegli anni, che era in fermento e molto attivo soprattutto nei Ferienkurse di Darmstadt, dove Nono presentò nel 1950 la sua prima composizione: Variazioni Canoniche sulla serie dell’opera 41 di A. Schönberg. Questo fu un ingresso tumultuoso ai corsi di Darmstadt, ai quali partecipò prima come studente e poi come docente. Nono ebbe modo di distinguersi profondamente dagli altri compositori che in quegli anni frequentavano con lui i Ferienkurse, fino ad arrivare a pesanti critiche a quelle che erano le tecniche compositive che molti compositori utilizzavano negli anni ’50. Sicuramente è possibile inserire Nono tra gli autori che hanno utilizzato la tecnica di serialità integrale, ma facendo attenzione a fare le dovute precisazioni. Vi erano infatti differenze sostanziali tra le concezioni compositive di personaggi come Stockhausen o Boulez e quelle di Nono, il quale si indignava di fronte al tentativo di condurre la composizione verso una organizzazione dei suoni di carattere puramente matematica ed un’analisi solamente scientifica delle opere di Webern. Nonostante molte composizioni di Nono si possano ricondurre alla tecnica seriale, non ne seguiva rigorosamente le proprietà, cercando di utilizzarla come un mezzo di espressione libera. La tecnica 2 compositiva in Nono viene posta al servizio di un pensiero più umanistico che scientifico, e già andava sviluppandosi in quegli anni quella consapevolezza politica e sociale che fu dirompente nelle sue opere degli anni ’60. Iscritto al partito comunista fin dal 1952, Nono è sempre stato sensibile all’aspetto funzionale della musica nei confronti della società e del presente storico. Questo aspetto è innegabile già da opere come Epitaffio per Garcia Lorca (1951-53) e per quello che viene considerato uno dei suoi capolavori: Il canto sospeso (1955-56). Proprio quest’ultima opera lo portò al successo internazionale e fu apprezzata e criticata da molti suoi colleghi compositori. Per quanto riguarda l’aspetto musicale, Il canto sospeso è un’opera corale che utilizza lettere di condannati a morte della resistenza europea, si avvale soprattutto di tecniche dodecafoniche, partendo da una serie “Allintervallrehie”, ovvero che utilizza tutti gli undici intervalli, dalla seconda minore alla settima maggiore. Nonostante la dodecafonia non sia rispettata in maniera scolastica, l’organizzazione strutturale di quest’opera (e di quasi tutte le opere di Nono), si basa su un estremo rigore compositivo, anche molto più “severo” della tecnica seriale. Karlheinz Stockhausen criticò, nel suo saggio Sprache und Musik (1958), l’aspetto corale di quest’opera, sottolineandone l’incomprensibilità assoluta del testo dovuta alla frammentazione che il compositore ha attuato a causa di una presunta vergogna nei confronti del materiale scelto. Le risposte di Nono furono varie, una delle quali fu esposta nel 1960 a Darmstadt in un testo intitolato Testo-Musica-Canto, nel quale contestò a Stockhausen un’analisi superficiale dell’opera, sottolineando che «a partire da questo rapporto tra la parola come totalità fonetico-semantica e la musica come espressione composta della parola sono da comprendere tutte le mie composizioni corali posteriori». Ecco quindi che la parola assume significato semantico musicale e viene trattato in quanto tale, ma non per questo perde il valore del suo contenuto, che è implicito nell’atto compositivo e nella scelta di quei testi. Il testo diventa materiale musicale quindi anche nelle sue opere successive, nelle quali sempre più spesso troviamo la presenza del coro. Dalla prima opera di Nono del 1950, avvicinandosi agli anni ’60, si nota oltre alla maturazione di una tecnica compositiva personale, anche quella legata ad un pensiero politico-storico, infatti l’utilizzo del coro e quindi una scelta di determinati testi, gli dava la possibilità di esprimere in modo più diretto questa sua coscienza. Possiamo comunque notare come l’elemento corale sia sempre stato per lui d’interesse, anche la musica strumentale poteva assumere caratteristiche corali, ad esempio nei Canti per 13 (1954), dove non a caso viene utilizzata la parola “canti” nonostante si tratti di musica strumentale. La musica assume per Nono una valenza del tutto funzionale e che lentamente inizia ad uscire dalle sale da concerto, che 3 rappresentano oltre che ad un vecchio modo di ascoltare la musica, anche un modo per incatenarla da parte delle organizzazioni istituzionalizzate legate al potere. Avviene così nelle sue opere un tentativo di recuperare la funzionalità che la musica anticamente aveva avuto, rifacendosi soprattutto ai compositori rinascimentali come Giovanni Gabrieli o Josquin Desprez, i quali componevano musica che aveva un rapporto diretto con le necessità della società di allora. Oltretutto l’utilizzo del coro lo distingueva ancor di più dalla maggior parte dei compositori che frequentavano Darmstadt, i quali erano maggiormente interessati alla musica strumentale. Significativi in questo senso sono i testi utilizzati per La terra e la compagna (1957) di Cesare Pavese e quelli di Giuseppe Ungaretti per I cori di Didone (1958), che anticipano le sonorità che negli anni ’60 si andranno profilando nelle composizioni di Nono e che lo caratterizzeranno come “compositore impegnato”, ma dove possiamo notare importanti elementi musicali che saranno “riscoperti” dalla critica nelle sue opere degli anni ’80. Possiamo comunque sottolineare il legame di Nono con la musica dodecafonica di Schönberg, che studiò profondamente traendone insegnamenti importanti, e di cui tra l’altro sposò la figlia Nuria nel 1955, inoltre è necessario notare che anche nelle opere di Nono, come in quelle di molti altri compositori dell’epoca, vi è una importante influenza della musica di Edgard Varése. Consapevolezza storica, attivismo politico e teatro musicale Alle porte degli anni ’60 Luigi Nono scrisse, per una conferenza da tenere a Darmstadt il 1 settembre 1959, un testo fondamentale intitolato Presenza storica nella musica d’oggi. Con questo scritto Nono prese posizioni molto forti ed espresse il suo parere negativo nei confronti di quelle tecniche compositive che andavano diffondendosi in Europa grazie al successo di John Cage. Nono esprime un rifiuto categorico nei confronti delle tecniche aleatorie e giustifica il suo pensiero con un’approfondita riflessione sulla situazione musicale contemporanea. Innanzi tutto salta subito all’occhio come il titolo ricordi quello di Nicola Vicentino: L’antica musica ridotta alla moderna prattica (1555), che Nono conosceva molto bene ed aveva studiato a fondo, pur essendoci tra i due testi sostanziali differenze. Presenza storica nella musica d’oggi è un testo fondamentale per comprendere il pensiero di Nono riguardo alla composizione ed all’atteggiamento del musicista. Il compositore deve necessariamente possedere una consapevolezza storica sia musicale che sociale, per riuscire ad 4 esprimere nella propria musica le esigenze del mondo contemporaneo. Questo comporta uno studio approfondito del passato, capire che rapporto ci fosse stato tra musica e società, mentre molti compositori contemporanei, John Cage in primis, cercavano una “destoricizzazione” della musica illudendosi «di poter iniziare ex abrupto una nuova era, in cui tutto debba essere programmaticamente nuovo, e vorrebbero crearsi così una possibilità assai comoda di porre automaticamente se stessi come principio e fine, come verbo evangelico». Ci si rende conto dunque dell’importanza che avesse il passato per Nono, che pensa alla storia della musica in termini evolutivi pure nella rivoluzione. Quello di Nono è un pensiero maturo e consapevole, che pone se stesso nella contemporaneità del presente storico, mettendosi al servizio della società in quanto essere umano coinvolto nelle vicende di quel momento preciso. Questo tipo di ragionamento può nascere solo da uno studio approfondito dei rapporti di compositori come Mozart, Beethoven, Bach o i madrigalisti del ‘500 nei confronti della società nella quale essi operavano. Da questo punto di vista possiamo considerare Nono un compositore che opera nel suo presente storico, dopo aver studiato il passato, proiettato verso il futuro. Le opere di Nono, soprattutto quelle degli anni ’60, sono dei veri “diari” di quella società, testimonianze storiche molto precise, opere scritte appositamente per avere una valenza contemporanea. Nono si sentiva dunque coinvolto intensamente nella società dell’epoca e questo lo dimostra anche il suo crescente attivismo politico. Lo si può riconoscere in tutto quello che Nono fa in quegli anni dalle composizioni alle testimonianze scritte, dalle interviste ai viaggi nei più importanti stati socialisti (Russia, ma soprattutto Cuba e i paesi dell’America latina, ai quali era molto legato), fino alla candidatura in una lista elettorale veneziana del Pci. Gli scritti interessanti in questo ambito sono moltissimi, innanzi tutto Luigi Nono candidato del Pci con i lavoratori (1963), in cui esso spiega le motivazioni che lo spingono all’impegno politico, ci tiene inoltre a sottolineare che nel programma del Pci per il rinnovamento culturale v’è scritto che «il partito s’è ispirato, con sempre più rigoroso rispetto, al principio della libertà della ricerca». Altra testimonianza fortissima dell’interesse di Nono nei confronti dei temi sociali a lui contemporanei è data dallo scritto Nella Sierra e in parlamento (1971), un racconto minuzioso e straordinario sulla situazione politica dei paesi dell’America latina (le cui lotte di liberazione sono contestualizzate nel brano del 1966 A floresta è jovem e cheja de vida), in particolare sul processo rivoluzionario cileno di quegli anni. Ci si rende conto dalle parole di Nono, di come realmente vivesse il momento storico in modo attivo, non solo come un osservatore interessato, ma come parte di un movimento mondiale che stava vivendo un momento vulcanico. Nono si sentiva parte di quella rivoluzione socialista ed era 5 infervorato, come molti, dal desiderio di rincorrere l’utopia marxista della società proletaria, anche testimoniandolo attraverso la sua musica, nella quale l’etica assume più importanza dell’estetica. I viaggi frequenti di Nono verso l’est Europeo lo portarono in contatto con le realtà molto importanti delle avanguardie teatrali russe, in particolare con la tecnica scenica della “Lanterna magica”, inventata dall’architetto Josef Svoboda e il regista Radok. Siccome era stata commissionata a Nono la realizzazione di uno spettacolo per la Biennale di Venezia, pensò immediatamente di coinvolgerli nel progetto, al quale prese poi parte, dopo infinite difficoltà burocratiche di dialoghi fra governi, il solo Svoboda, accompagnato dal regista Kaslik. Fu così che nacque Intolleranza 1960, terminata nel 1961 su testi di Ripellino, un’opera scenica a cui ha partecipato anche Emilio Vedova, al quale Nono fu molto legato nel corso della sua intera vita. Quest’opera ha una grande importanza storica tra i lavori di Nono, perché inaugura una serie di opere tra le più rivoluzionarie della produzione del compositore veneziano. Intolleranza 1960 rappresentava una presa di coscienza attraverso lo sviluppo di due idee: l’intolleranza e l’opposizione ad essa, che si materializzano nella successione del manifestarsi dei personaggi. Importanti delucidazioni su come è nato questo spettacolo, sulla sua realizzazione e sulla profondità del pensiero che vi è dietro, viene descritto nel testo del 1962 Alcune precisazioni su Intolleranza 1960. Nono sente quindi l’esigenza di andare oltre la pura composizione musicale, per avvicinarsi ad una espressione più diretta del proprio pensiero, che coinvolge tutti i sensi, ovvero quella del teatro musicale. Sempre del 1962 è il suo scritto Possibilità e necessità di un nuovo teatro musicale, nel quale viene subito dichiarato che si affronteranno i punti «1.possibilità di un teatro musicale come teatro di idee; 2.evoluzione della concezione teatrale; 3.valutazione degli elementi di autentica novità nel teatro del’900; 4.formulazione di una nuova esperienza teatrale oggi». Si percepisce in questo testo la necessità che Nono prova nel dover rappresentare le proprie idee attraverso la messa in scena e la creazione di un nuovo teatro musicale d’avanguardia che, come dice Giulio Carlo Argan, “s’inserisce in una situazione rivoluzionaria e la promuove”. È dunque l’atto rivoluzionario nei confronti dell’arte addormentata, che mira a svegliare sentimenti ed attivismi del popolo attraverso di esso e non da una posizione superiore. Da questo momento in poi Nono sarà molto legato a quello che è il teatro musicale, aggiungere un aspetto visivo alla scena, pur trattandolo sempre come materiale musicale. Un decennio più tardi comporrà Al gran sole carico d’amore, altra azione scenica molto importante tra le sue opere e che deve altrettanto al mondo teatrale dell’avanguardia russa. 6 Di primo interesse per Nono, nella realizzazione di opere sceniche, era il movimento nello spazio dell’azione visiva, ma anche in quella acustica. Più volte infatti aveva già sottolineato in precedenza di quanto fosse importante per lui il creare un ambiente sonoro non statico, ma continuamente in evoluzione e quindi la composizione di materiale musicale appositamente per determinati ambienti con particolari caratteristiche acustiche. Ecco dunque che si può entrare in un altro argomento importante dell’evoluzione compositiva di Luigi Nono, ovvero la concezione spaziale della musica e l’utilizzo della tecnologia come atto realizzativo. Innanzi tutto va ricordato che a partire dall’inizio degli anni ’60 Nono entrò nello Studio di Fonologia di Milano, sostituendo le figure di Bruno Maderna e Luciano Berio, fu qui che poté avvicinarsi allo studio dell’elettronica, grazie soprattutto al grande Marino Zuccheri, tecnico dello studio, per il quale Nono, e non solo, ha avuto sempre il massimo rispetto e grande stima. L’elemento elettronico diventerà poi fondamentale nelle musiche di Nono, soprattutto negli anni successivi, quando approfondirà lo studio e le possibilità tecniche del live electronics. Non ci sorprende comunque l’avvicinamento del compositore all’elettronica, in quanto già nelle opere subito precedenti agli anni ’60 potevamo scorgere un uso dell’orchestrazione con caratteristiche quasi sintetiche, un esempio lampante sono I cori di Didone, dove lo stesso Nono sottolinea «le oscillazioni dei piatti differentemente intonati agiscono praticamente come generatori di frequenze, e con le voci pare talvolta siano modulabili con modulatore ad anello, filtrate, sommate, sottratte». Il primo vero brano per nastro magnetico è datato 1960 e si intitola Omaggio a Emilio Vedova, un primo approccio all’elettronica che non possiamo certamente annoverare tra le sue opere più importanti, ma che comunque testimonia la voglia di ricerca e di innovazione. Il nastro magnetico sarà anche usato in Intolleranza 1960, ma in modo più consapevole e con uno specifico ruolo in La fabbrica illuminata, opera fondamentale scritta nel 1964, che analizzeremo dopo. La ricerca tecnologica dunque affianca e si mette al servizio della contestualizzazione storica e della funzionalità musicale nelle opere di Nono. Titoli particolarmente importanti per questo rapporto sono Ricorda cosa ti hanno fatto ad Aushwits, per nastro magnetico e la seconda parte di Musicamanifesto n.1: Non consumiamo Marx, sempre per nastro magnetico e che a mio parere chiude un periodo della sua produzione, raggiungendo il punto limite dove l’impegno dell’autore è fin troppo dichiarato, fin dal titolo. Dopo quest’opera infatti Nono compirà un’evoluzione, pur mantenendo lo spirito impegnato, senza sentire l’esigenza però di una mera dichiarazione frontale come quella attuata in Non consumiamo Marx. 7 Live electronics e ricerca prometeica Negli anni immediatamente successivi a Al gran sole carico d’amore, la produzione di Nono rallentò visibilmente, questo a causa di una necessità di ricostruire un proprio pensiero musicale e di comprendere l’evoluta posizione che la figura del musicista aveva nella società. Questa riflessione lo portò alla genesi di uno dei suoi capolavori, che destabilizzò molto chi per anni aveva visto in lui solo l’impegno politico, sottovalutando l’aspetto puramente artistico della sua produzione. Si tratta del quartetto Fragmente-Stille, an Diotima, un’opera dal linguaggio nuovo, che nel 1979 creò sia consensi che dissensi tra i critici musicali ed anche tra i suoi collaboratori più stretti. Questo lavoro per quartetto d’archi presenta un nuovo modo di comporre di Nono, che sarà poi utilizzato in tutta la sua produzione successiva. Innanzi tutto lo stile frammentato del materiale (fragmente) e la grande importanza data ai silenzi (stille), trattati come momenti sonori e non di pausa. Il linguaggio si fa misterioso e sommesso, l’opera racchiude significati intimi e non si pone più come manifesto rivoluzionario, ma come riflessione interiore di un pensiero incerto. Proprio l’incertezza, il dubbio, è ciò a cui mira Nono nelle sue opere degli anni ’80, quello che possiamo definire un “pensiero debole”, ma quindi costantemente aperto a rinnovamenti e ricerca, influenzato anche dal rapporto che aveva in quegli anni con vari esponenti della cultura italiana, tra cui il filosofo veneziano Massimo Cacciari, il quale fu suo amico e collaboratore. La ricerca tecnologica di Nono continuò anche dopo la chiusura dello Studio di Fonologia di Milano, iniziò a lavorare infatti nello “Experimentalstudio” della Heinrich Strobel-Stiftung di Friburgo, alle porte della foresta nera, luogo che lo affascinava molto e che lo ispirò per diversi suoi lavori. Nello studio elettronico Nono trovava la sua tranquillità, nella ricerca di nuovi metodi per la diffusione sonora, ad esempio attraverso l’utilizzo dell’ “Halaphon”, che permetteva un movimento continuo del materiale sonoro attraverso la spazializzazione, oppure il “Sonoscop” che era in grado di analizzare il segnale ricevuto in tre dimensioni: altezza-tempo-intensità. Fu proprio in questo studio dove iniziò ad approfondire la tecnica del live electronics, che divenne fondamentale per quasi tutte le sue opere degli anni ’80. Interessante è anche l’evoluzione del rapporto testo-musica, che assume caratteristiche molto particolari, prendiamo per esempio proprio Fragmente-Stille, an Diotima, pur essendo questa un’opera strumentale, sono inseriti in partitura dei frammenti di testo tratti interamente da svariate poesie di Hölderlin. Interessante è la dicitura in partitura «in nessun caso da essere detti durante l’esecuzione / in nessun caso indicazione naturalistica programmatica per l’esecuzione»; assumono 8 quindi un ruolo quasi intimo tra compositore ed esecutore, e l’intero brano dunque acquisisce il valore di una riflessione multidimensionale, quasi eterea. Il profilo del Luigi Nono degli anni ’80, che si raffigura all’interno delle sue partiture, è sorprendentemente calmo e silenzioso, contrapponendosi fortemente all’aspetto irruento che poteva far notare nei lavori dei decenni precedenti. L’attenzione si rivolge più all’aspetto sonoro, timbrico ed estetico, allontanandosi dall’etica funzionale che tanto aveva professato, ma questo a mio parere solo all’apparenza. Chi critica a Nono una perdita di valori nelle sue ultime composizioni, dimentica forse la necessità che questo compositore sente nel vivere il presente della sua epoca, lavorare in rapporto alla società ed evolvere il proprio pensiero con essa. Possiamo ben capire dunque che la trasformazione dello stile di Nono è dovuto soprattutto alla trasformazione della società che lo circondava e nella quale lui viveva attivamente, ecco quindi che possiamo riscoprire un lato funzionale anche nelle opere di Nono degli anni ’80, che si rifanno alle necessità della società di quegli anni. Nella ricerca giustifichiamo tutta l’ultima musica di Nono, il desiderio inesauribile degli infiniti possibili e di considerare il ricercare più importante del trovare. Come sottolinea Jürg Stenzl: «Una delle caratteristiche più evidenti della evoluzione di Nono negli anni Ottanta è una tendenza a rovesciare l’importanza dei differenti parametri del fatto musicale». Viene data, ad esempio, massima importanza al timbro e al movimento, il che causa un quasi annullamento delle altezze delle note; si percepisce una trasformazione sonora continua, volutamente imperscrutabile diventa il riconoscere il timbro dei diversi strumenti, che Nono vuole unire, far trasformare, facendo perdere totalmente le loro caratteristiche strumentali tipiche. Uno dei lavori più significativi dell’intera produzione di Nono e probabilmente quello che più rappresenta il suo pensiero rinnovato è certamente il Prometeo: tragedia dell’ascolto (prima versione a Venezia nel 1984). Quest’opera esprime tutta la concezione musicale di Nono, la ricerca inarrestabile verso il progresso, il legame indissolubile delle persone con il proprio presente in movimento, l’attenzione all’ascolto ed una sua rinascita, l’attenzione al suono e al silenzio inteso come suono, la multidimensionalità spaziale del materiale sonoro e l’uso dello spazio come strumento, l’esprimersi vivo di un suono che nasce dal nulla. Bisogna innanzi tutto notare che il Prometeo ha subito continue variazioni nel tempo, a seconda dell’avanzamento delle tecnologie utilizzate, come anche dei luoghi in cui sarebbe andato in scena, la prima versione di Venezia fu infatti per oltre i 2/3 interamente riscritta. Si tratta di un “work in progress” continuativo, che ben rappresenta il suo pensiero evolutivo nel tempo e la sua necessità 9 dell’essere “contemporaneo”, così come anche l’utilizzo del live electronics, strumento adatto alla realizzazione di un’evoluzione musicale in tempo reale, in quel momento e in quel luogo. L’autore è alla ricerca di una verità frammentata, volutamente parziale, poiché trovare una risposta totalizzante è, oltre che impossibile, controproducente, in quanto arresterebbe l’esigenza della ricerca, che tiene vivo l’uomo e che lo spinge a migliorarsi. Il pensiero di Nono può essere davvero visto in termini “prometeici”, che a mio parere racchiude in tutta la sua produzione la fiducia nell’essere umano; la ricerca degli infiniti possibili si traduce nella speranza rasserenante dell’incertezza. 10 PARTE II: Analisi su La fabbrica illuminata Contestualizzazione storica e problematiche Abbiamo già analizzato come a partire dagli anni ’60 e in particolare dall’opera Intolleranza 1960, la musica di Luigi Nono si andava facendo sempre più strumento di sensibilizzazione e diario storico-sociale di una particolare epoca e dei suoi avvenimenti. In tale contesto si inserisce una delle opere più importanti dell’intera produzione di Nono e certamente una delle più celebri: La fabbrica illuminata, per soprano e nastro magnetico a quattro piste, terminata nell’estate del 1964, fu presentata al XVII Festival di musica contemporanea nell’ambito della Biennale di Venezia, in quello stesso anno. Interessante è sapere che quest’opera era stata commissionata al compositore veneziano per il concerto inaugurale del Prix Italia, ma dopo aver tentato una censura dei testi (senza successo), non fu poi accettata perché ritenuta offensiva nei confronti del Governo. Abbiamo precedentemente analizzato come in questo periodo Nono stesse approfondendo una poetica compositiva che abbracciasse più dimensioni nel teatro musicale, inizialmente infatti questa doveva essere la sua seconda opera scenica dopo Intolleranza 1960; l’autore stava di fatto lavorando assieme a Giuliano Scabia ad un’opera dal titolo Un diario italiano, che poi però prese forma in La fabbrica illuminata, una composizione di carattere puramente musicale. Possiamo considerare questo lavoro il primo di Nono nel quale l’utilizzo del nastro magnetico ha una certa importanza per la struttura formale, nei precedenti esperimenti infatti l’elettronica ricopriva un ruolo marginale (Intolleranza 1960), o comunque era sviluppata in modo piuttosto grossolano e poco interessante (Omaggio a Emilio Vedova). La fabbrica illuminata è stata dedicata agli operai dell’Italsider di Genova, i quali ricoprono un ruolo fondamentale per quest’opera, sia da un punto di vista emozionale che compositivo. Il nastro magnetico presenta diversi elementi: -Registrazioni effettuate presso l’Italsider che comprendono rumori tipici della fabbrica e grida di protesta da parte degli operai. -Registrazione del coro della Rai di Milano diretto da Giulio Bertola. -Registrazione filtrata di parti vocali improvvisate, partendo da un canovaccio, da Carla Henius, soprano che per prima canterà l’opera. 11 -Suoni di carattere elettronico La versione definitiva del nastro è stata realizzata e sviluppata presso lo Studio di Fonologia della RAI di Milano, dove all’epoca Nono lavorava. I testi de La fabbrica illuminata risalgono a tre fonti principali: 1. Parole e frasi dette dagli operai dell’Italsider di Genova o tratte da contratti sindacali, il tutto ordinato e sviluppato da Giuliano Scabia. 2.Sviluppo di un frammento, scritto da Scabia, tratto da una scena dell’opera incompiuta Un diario italiano. 3.Frammento da Due poesie a T. di Cesare Pavese. La fabbrica illuminata non è un’opera facilmente analizzabile per svariati motivi che adesso andremo vedere. Innanzi tutto vi sono delle problematiche relative alla registrazione che noi abbiamo a disposizione e il rapporto conflittuale con la partitura. Sono state rinvenute infatti diverse versioni autografe che presentano disposizioni diverse nei confronti di quella ufficiale che Nono inviò a Ricordi per la stampa nel 1967, quest’ultima presenta una estrema semplificazione delle note testuali che Nono aveva usato nelle versioni precedenti, chiaramente per non cadere in problematiche di tipo esecutivo, questo però rischia di diventare un pretesto di eccessiva libertà per l’interprete della parte vocale e il regista del suono. Ecco perché lo studio di questa partitura va fatto accuratamente e soprattutto considerando il periodo storico e le motivazioni di alcune scelte stilistiche che l’autore ha seguito nella composizione. Spesso la parte vocale non coincide con la partitura, così come alcuni eventi segnati per il nastro magnetico, questo dovuto anche ad alcune problematiche di carattere puramente tecnico che sia il compositore che Carla Henius potrebbero aver riscontrato. Ad esempio nella parte Finale sono segnate in partitura, per la parte corale, tre note, l’ultima dovrebbe essere un Fa#, la soprano in concomitanza dovrebbe cantare, secondo partitura, un Fa naturale. Ascoltando il nastro però si può subito notare che il coro intona un Fa naturale, a questo punto se la soprano avesse seguito la partitura avrebbe cantato un intervallo di ottava, questo avrebbe prodotto un effetto statico decisamente diverso da quello di ottava eccedente che l’autore desiderava. Come le interpreti di questo lavoro spiegano, nel caso di questi errori vanno considerati gli intervalli che Nono ha scritto, a sfavore delle note reali. 12 Vi sono molte problematiche di questo tipo, le quali rendono difficile affrontare l’analisi del brano partendo dalla registrazione per poi confrontarla con lo spartito. Bisogna però considerare diversi fattori che rendono giustizia a questo tipo errori, pur essendo questi spesso decisamente rilevanti. Innanzi tutto va considerato che Nono seguiva da vicino le interpreti delle proprie opere, poteva così avere un rapporto diretto con loro e guidarle verso un risultato finale che poteva tranquillamente allontanarsi dalla partitura, a seconda delle situazioni nelle quali doveva essere rappresentato il lavoro. Ecco quindi che Nono preferiva approfondire l’aspetto della prassi esecutiva, piuttosto che una stesura perfetta del testo, che lo avrebbe ingabbiato in una versione definitiva dell’opera. La fabbrica illuminata, come molte composizioni di questi anni, era stata pensata appositamente per essere eseguita dal vivo e soprattutto nei luoghi più disparati. Nono mirava ad uscire dalle sale da concerto, per portare la sua musica nelle fabbriche, nelle assemblee, ovvero in posti più adatti ad una esecuzione che rispettasse le esigenze funzionali della sua poetica musicale. Proprio per questo motivo, l’opera necessitava di essere malleabile per ogni circostanza, e si doveva pensare volta per volta a come far fronte a determinate problematiche tecniche. 13 Inoltre credo sia di particolare importanza una parola che viene scritta sovente in partitura, ma che forse passa inosservata: “ca” che sta per “circa”. Non è un’annotazione da sottovalutare proprio per il ruolo che questa può avere nello spartito e quindi sulla sua diretta interpretazione, il “circa” viene utilizzato per lo più per la parte cronometrica del nastro magnetico, ma questo va considerato indissolubile dal rapporto con la parte vocale, considerando che a volte il soprano deve fermarsi fino “a ripresa nastro” o comunque è facilmente udibile uno stretto collegamento tra le due dimensioni, ecco quindi che il “circa” va considerato in merito a questo rapporto, il che lascia un certo spazio di “improvvisazione-interpretazione” della partitura da parte dell’esecutore. Chiaramente sarebbe un errore esagerare nella libertà, in quanto Nono si è sempre tenuto ben distante da tecniche aleatorie o da improvvisazioni libere, ma ciò nonostante è riscontrabile in quel “circa” un’elasticità del suo pensiero nel rapporto spartito-esecuzione, necessaria per lo sviluppo di un’opera scritta e pensata per essere eseguita dal vivo e non per la registrazione su supporto, o trasmissione radiofonica. Questo tipo di problematiche si possono riscontrare anche in opere successive e forse in modo ancora maggiore, in quanto viene a mancare totalmente la parte scritta dell’elettronica. Intervistato da Leonardo Pinzaiuti, proprio su questo tipo di scelta (in questo caso per l’opera Y entonces comprendiò), che possiamo considerare come un destinare le proprie opere ad un facile oblio futuro, il compositore risponde: «ma fra trenta o quarant’anni ci sarà altra musica. Io lavoro per oggi, nei problemi di oggi: non penso mai alla musica del futuro, che credo sia un concetto ottocentesco, di quando si scoprì la “storia” della musica. Questo della musica del futuro è un concetto che lascio volentieri ai visionari musicisti tedeschi; allo stesso modo credo che il continuo ritorno al passato, imposto dal consumismo di oggi e dall’industria culturale, sia una sorta di bloccaggio per tentar di farci perdere il senso dei problemi della nostra epoca». Possiamo concludere dunque che tutte le problematiche legate allo spartito messo in rapporto con la registrazione, sono ben giustificate dal pensiero musicale di Luigi Nono e dal suo scarso interessamento nel porre la sua musica come una verità assoluta, a favore di un’immagine evoluzionistica e in grado di cambiare e adattarsi a seconda di situazioni e contesti diversi. Considerando tutte queste caratteristiche, possiamo dedurre che sarebbe complesso tracciare un’analisi complessiva di quest’opera, dovendo considerare diversi parametri e affrontarli a partire dalle diverse versioni dello spartito a noi pervenute, a causa di queste problematiche mi limiterò ad analizzarne solo alcuni aspetti: la forma e la struttura, il rapporto nastro magnetico-voce ed infine il timbro prendendo come riferimento lo spettrogramma. 14 Forma e struttura Prima di affrontare in modo approfondito il rapporto tra nastro e voce, che abbiamo già iniziato a prendere in esame, è bene andare ad analizzare la forma dell’opera e il modo in cui Nono ha voluto strutturare il materiale, prendendo in considerazioni dinamica ed eventi sonori. Iniziamo con una tabella che delinea la forma generale dell’opera, così come segnato in partitura: PARTE I: CORALI PARTE II: GIRO DEL LETTO PARTE III: TUTTA LA CITTA’ PARTE IV: FINALE (0’ - ca.31’) CORALE I (ca.6’44’’ - ca.12’15’’) (ca.12’15’’ - 14’14’’) (ca.14’44 - fine) (ca.31’ - ca. 2’04’’) CORALE II (ca.2’04’’ - ca.3’11’’) CORALE III (ca.3’12’’ - ca.6’44’’) CORALE IV (ca.3’30 - ca.6’44’’) Nastro solo L’opera è suddivisa in quattro Parti, di cui la prima ha a sua volta quattro sottodivisioni. Tuttavia andrebbe segnalata anche un’altra parte, per nastro solo, non scritta nello spartito, alla fine del Corale IV (Parte I), precisamente da 3’30’’ a 6’44’’, importante per la celebre parte della “colata”. In tutto lo spartito è segnalato lo scorrere cronometrico per la parte del nastro, eccetto che per il Finale, dove il soprano non è più accompagnato dall’elettronica e non ha quindi più necessità di riferimenti di tempo. Ho riportato nella tabella i tempi segnati in partitura, che come abbiamo già detto sono approssimativi rispetto a quelli che si ascoltano in registrazione, troviamo delle diversità problematiche in particolare nella Parte II: Giro del letto. La durata totale del brano è di circa 16’36’’, quella del nastro magnetico di circa 14’44’’. Analizziamo adesso l’utilizzo dei materiali messo in relazione con la struttura: 15 PARTE I: CORALI PARTE II: GIRO DEL LETTO PARTE III: TUTTA LA CITTA’ PARTE IV: FINALE CORALE I: Soprano + Registrazioni corali Soprano + Registrazione soprano filtrata + Rumori fabbrica + elettronica Soprano + Registrazioni corali + Elettronica + Rumori di fabbrica Soprano CORALE II: Soprano + Registrazioni corali + Rumori fabbrica/ voci di operai CORALE III: Soprano + Rumori fabbrica/voci di operai CORALE IV: Soprano + Registrazioni corali + Rumori fabbrica/ voci di operai Nastro solo Rumori fabbrica + Elettronica Possiamo notare come i materiali siano saggiamente utilizzati, in quanto ogni Parte contiene una “orchestrazione” leggermente diversa, questo dà una certa dinamicità al brano creando momenti differenti. Per creare questo movimento Nono fa un ottimo utilizzo anche della dinamica, che a breve andremo ad analizzare. Interessante è notare come si distinguano molto rispetto alle altre parti proprio l’inizio e la fine dell’intera opera: l’inizio totalmente corale, con la dinamica del soprano che si muove tra p e ppp quasi a confondersi con il nastro, e il finale dove la voce viene lasciata esprimersi da sola; inizio e fine dunque sono momenti unici e caratterizzanti, l’inizio richiama l’attenzione e la fine lentamente chiude in modo poetico l’opera. Proprio il Finale si distingue dal resto del lavoro di Nono anche per un utilizzo diverso del testo, la soprano canta infatti le parole di Cesare Pavese: passeranno i mattini passeranno le angosce non sarà così sempre ritroverai qualcosa Nono chiude la fabbrica con un messaggio speranzoso, che dopo la violenza esplosiva di rumori di macchinari e grida di proteste, dona all’opera un sapore del tutto diverso, si può raggiungere 16 l’obiettivo, si può trovare pace, lo sfruttamento dell’operaio potrà cessare, ma prima è necessaria la rivoluzione e una presa di coscienza collettiva. Nel Finale è racchiusa tutta l’essenza di questo brano, la protesta come azione costruttiva per una società migliore. Interessante è notare che in questa parte conclusiva tutta la struttura delle note è stata tratta da un “quadrato latino” che si sviluppa dagli intervalli 2 - 2 + 3 - 3 + 4, l’errore che abbiamo però già rinvenuto nella parte del nastro (il coro canta un fa naturale invece del fa# scritto in partitura), causa una grave problematica per l’interprete, che è costretta a trasporre tutti gli intervalli del Finale un semitono sotto, per mantenere intatto il sistema vincolante espresso da Nono per questa parte. Possiamo analizzare ancora più a fondo il brano, cercando una forma strutturale nella dinamica complessiva, che si evolve in modo costante. Ho costruito un grafico considerando il il numero di f e quelli di p scritti in partitura e ho aggiunto anche il numero dei picchi particolarmente significativi che ho rinvenuto analizzando il segnale, pur non essendo essi scritti (ad esempio per quanto riguarda le parti di nastro solo), in modo tale da cercare di coniugare la volontà espressa dall’autore e l’effettiva resa nell’esecuzione. Il grafico che ne risulta fa notare un movimento delle dinamiche, ma comunque una tendenza complessiva a decrescere dopo i “fortissimo” della parte corale. Ho suddiviso il brano in dodici parti uguali, la durata complessiva è di 16’36’’, ogni frammento analizzato ha una durata di 1’23’’, che mi sembrava una buona durata di rifermento né troppo breve, presentando quindi poche dinamiche espresse, né troppo lunga, che avrebbe causato il problema opposto. Inizialmente ho pensato di suddividere l’opera in quattro parti come da spartito, ma sarebbero nate problematiche inerenti alle durate differenti di ogni singola parte: la Parte I avrebbe presentato un numero superiore di f rispetto alla Parte III o alla Parte IV. 17 Dividere in tempi uguali mi è sembrata quindi la soluzione migliore e che avrebbe portato i risultati più realistici. Come possiamo notare, fino a 5’32’’ Nono ha progettato un inizio di forte impatto dinamico, che avrebbe scosso l’ascoltatore richiamandone l’attenzione. Dopo questa prima parte, la descrizione può assumere toni più pacati, non rinunciando comunque a dei momenti concitati. Paragonando il grafico con l’immagine del segnale complessivo dell’opera possiamo notare come quest’ultimo sia più articolato, ma comunque contenga una tendenza generale al decrescere, dopo aver raggiunto un picco significativo. 18 Bisogna comunque fare una precisazione, il grafico della dinamica non tiene conto della diversa percezione psicoacustica che possiamo avere di un fff prodotto dal soprano e di uno prodotto dal nastro magnetico. Le differenze sono sostanziali, nella parte Finale ad esempio, nonostante vi siano scritti anche dei ff, la percezione in quei punti rimane sul p, questo dovuto al fatto che per tutta la durata del brano siamo stati abituati a “forti” ben più presenti soprattutto per le loro caratteristiche spettrali e timbriche. Prendendo due eventi sonori che esprimono pari volume, un rumore di fabbrica ed una parte vocale del soprano, entrambi segnati con f, è inevitabile che la percezione nei confronti del secondo sarà meno enfatizzata. Successivamente farò un’analisi del timbro più dettagliata, aiutandomi con degli spettrogrammi. Nastro magnetico ed interazione con la voce Fondamentale per la comprensione della struttura del brano è l’interazione tra nastro magnetico e parte vocale, che ritengo sia una delle caratteristiche più curate ne La fabbrica illuminata, proprio perché questo rapporto assume configurazioni fortemente strutturali. Innanzitutto si può notare come il pensiero di Luigi Nono abbia caratteristiche lineari e polifoniche, che ricorda il modo di procedere dei madrigalisti del ‘500 da lui tanto amati. La parte vocale è costruita con procedimenti dodecafonici, anche se, come in tutta la produzione di Nono, le regole di questa tecnica non vengono rispettate in modo integrale, ma sono piuttosto sfruttate per esprimere un pensiero proprio. Bisogna subito specificare che la voce solista non prevede alcuna amplificazione o filtraggio live. Abbiamo già analizzato i materiali sonori presentati dal nastro magnetico, si può notare facilmente che anche tra questi vi è un’importante utilizzo dello strumento voce: le voci degli operai in protesta, quelle del coro, quella pre-registrata di Carla Henius, che viene filtrata e modificata. A questo punto rimangono esclusi i materiali sonori dei macchinari della fabbrica e quelli elettronici creati direttamente da Nono nello Studio di Fonologia. Mi viene subito in mente però che anche i rumori dei macchinari possono essere considerati la “voce” della fabbrica, e le parti elettroniche quella dello Studio, che si mette al servizio dell’opera. Partendo da questo presupposto, possiamo considerare tutto il materiale utilizzato da Nono in questa composizione come suoni vocali, anche considerandone l’aspetto funzionale. Non c’è infatti nulla di più diretto e chiaro dello strumento voce per esprimere un’idea, in questo caso un pensiero 19 di protesta; si lega quindi ogni evento sonoro all’aspetto emozionale e al valore che può assumere, diventa quindi esso estremamente descrittivo. Uno degli eventi dei rumori di fabbrica che è facilmente analizzabile con caratteristiche funzionali di tipo vocale è la parte della “colata” al termine del Corale IV (a partire da ca. 5’30’’). Anche alla voce comunque vengono conferite caratteristiche elettroniche, l’esempio più lampante è la Parte II, dove la voce solista dialoga con sé stessa pre-registrata e filtrata, quasi confondendosi con essa. Possiamo difatti parlare di una sorta di simbiosi tra nastro magnetico e voce solista, spesso volontariamente infatti diventano quasi confondibili. Nei Corali ad esempio la soprano ha spesso dinamiche più basse rispetto al coro, risulta quindi come se ne facesse parte anch’essa. Non bisogna considerare la voce solista come una sorta di una voce narrante, ma parte del materiale esposto, il brano più che descrittivo di una situazione, va considerato la situazione stessa, in quanto i materiali sonori usati sono reali e provengono proprio dal mondo che si vuole rappresentare. Il materiale dialoga in modo unitario, esponendo la propria storicità. Ogni evento sonoro può scatenarne un altro, ad esempio un acuto della voce potrebbe causare un repentino e forte rumore di fabbrica, che risponde alla provocazione vocale. Questo avviene di continuo nel corso dell’opera e caratterizza ancor di più il legame indissolubile che c’è tra nastro magnetico e voce solista. Osserviamo direttamente dalla partitura un paio di queste situazioni. 20 21 Infine ritroviamo uno stretto legame tra nastro magnetico e voce solista nell’utilizzo del testo, il quale viene suddiviso, alcuni frammenti saranno cantati dalla soprano, altri dal coro o dalla voce filtrata. Questo aiuta una continuità discorsiva fornita da tutti i materiali sonori in modo unitario, non si vengono a creare quindi più dimensioni, fanno tutti parte di uno stesso processo. Timbro e spettrograma In ultimo possiamo analizzare il timbro di quest’opera, facendo riferimento allo spettrogramma. Abbiamo potuto notare come nastro magnetico e voce risultino spesso uniti nella funzionalità, ma spesso anche nelle caratteristiche del suono. La voce solista tende a volte a confondersi nelle registrazioni o nei rumori, così come questi ultimi giocano un ruolo quasi vocale. Una delle grandi capacità di Nono in ambito compositivo era certamente quella di far risultare la propria musica continuamente in movimento con la spazializzazione del suono, con i cambi di dinamica, ma soprattutto con un saggio utilizzo dei colori dei suoni. Il timbro è un elemento a cui Nono tiene particolarmente e fin dalle sue prime opere ha lavorato per agire direttamente sul suono proprio per modificarne il colore e riuscire ad ottenere sempre il tipo di effetto sonoro che desiderasse. 22 Questo è lo spettrogramma completo de La fabbrica illuminata, di cui ora andremo ad analizzare ogni parte per decifrare le scelte timbriche che Nono ha operato. Le differenze sono sostanziali, soprattutto proprio nel momento del passaggio da una Parte ad un’altra. Possiamo infatti notare che la suddivisione di Nono nelle quattro parti è dettata soprattutto da variazioni del timbro, dovute all’utilizzo diverso dei materiali e delle dinamiche. La parte corale risulta essere timbricamente ricca, soprattutto dopo il Corale I, che viene utilizzato come introduzione al discorso musicale. Lentamente lo spettro si arricchisce di frequenze, si evolve nel corso di tutta la Parte I. Inizio Corale I L’introduzione sonora è quasi insicura, molto lento il “fade in” che nell’arco di 7 secondi fa uscire fuori la voce solista, la quale emerge dalle altre come sbocciando. La prima frase ad essere detta dalla voce solista è “la fabbrica dei morti”, l’effetto sonoro è quanto mai azzeccato, le voci corali che fanno da sfondo creano una perfetta tessitura dal timbro mobile e inquieto. Poi lo sfondo diventa più presente, la voce si fa più decisa, il timbro si ispessisce, il Corale II fa da ponte verso un progressivo inserimento degli altri materiali e il vero inizio dell’opera. 23 Inizio Corale III Notiamo come in pochi minuti lo spettro si sia molto arricchito, ma in modo progressivo, d’impatto, ma non violento. Proprio la violenza sarà un elemento importante dell’opera, che entra in gioco proprio dal Corale III, dove i rumori sono più presenti, in preparazione di quella parte di nastro solo alla fine del Corale IV e quindi della “colata”. 24 Il primo cambio netto di colore lo si può notare all’introduzione del nastro solo, la variazione nel timbro è decisa e riconoscibile. La soprano intona un acuto (che notiamo tra 3’24’’ e 3’26’’ nello spettrogramma), vi è un secondo di rilascio e poi un forte rumore dà l’inizio alla parte presa in esame, che ha un colore unico rispetto al resto dell’opera, i macchinari e i rumori della fabbrica si esprimono qui nelle mani di quegli operai che si erano sentiti in precedenza. Come già sottolineato, il cambio da Parte a Parte lo si può notare soprattutto nello spettro, in questo caso è evidente. La parte della colata arriva al culmine del crescendo, riuscendo ad esprimere tutta la sua potenza in un fff, che all’improvviso viene troncato nella dinamica, ma soprattutto nel colore. Al rumore, divenuto ormai praticamente rumore bianco, si sostituisce la sottile voce solista, un intervento brusco e destabilizzante, che accosta ad un gesto violento e forte un altro di estrema delicatezza. La voce pre-registrata della soprano, introdotta proprio in questa Parte II, sussurra, anche le sporadiche grida vengono espresse con delicatezza e quasi stanchezza nella voce. Questo contribuisce a far percepire all’ascoltatore il distacco netto rispetto alla Parte precedete, si viene prima travolti e poi accarezzati dal suono. 25 Ancora una volta possiamo notare dallo spettrogramma, ci tengo a sottolinearlo, che è proprio il cambiamento di timbro a segnare le varie sezioni, in questo caso notiamo il passaggio dalla Parte II, dove avviene un’immersione in dinamiche e frequenze perlopiù basse, alla Parte III, nella quale vengono recuperate quelle caratteristiche irruente della parte corale. A dare inizio alla Parte III è la voce solista che grida “Tutta la città”, risvegliando l’ascoltatore e ripresentandogli elementi di carattere rumoristico, che inevitabilmente causano un impatto più deciso. Ritornano in questa parte anche i cori e le voci degli operai, che gridano e manifestano in risposta agli incitamenti della soprano. Questa è la parte dove si esaurisce il nastro magnetico, per lasciare spazio all’ultima sospirata monodia del soprano, che chiuderà il lavoro di Nono con un sentito messaggio di speranza. Il nastro magnetico si estingue lentamente, sfumando in un pianissimo e sostituito dalla voce solista in modo perfettamente equo in dinamica. Qui il passaggio di timbro è decisamente più delicato e progressivo, adatto ad introdurre lo splendido Finale dell’opera, lo si può facilmente notare nello spettrogramma. 26 Le frequenze vengono praticamente annullate, il silenzioso Finale concede riposo all’ascoltatore, facendo percepire un momento di mistica solennità, la speranza come vittoria di una lotta. 27 PARTE III: Conclusioni Attraverso questa analisi ho voluto mettere in mostra varie caratteristiche di Luigi Nono, come compositore, come uomo impegnato politicamente, come persona di grande cultura. Nono è stato a mio parere uno tra gli autori che più di tutti ha portato avanti un’idea musicale molto precisa fin dai suoi primi lavori, nonostante le ovvie differenze tra ognuna, poiché ha basato la sua composizione proprio su queste differenze e su un personale principio evolutivo del pensiero. In questo modo le sue opere risultano essere sempre adatte al tempo in cui sono state composte e importanti testimonianze di un periodo storico, proprio ciò che Nono desiderava ottenere, più di ogni altra cosa, nell’atto compositivo. La fabbrica illuminata mette in luce tutte le sfaccettature di Nono, sia da un punto musicale che umano ed un’analisi attenta di quest’opera ci fa capire che queste due visioni dell’autore non sono assolutamente scindibili né nei lavori degli anni ì’60, né tantomeno in quelli successivi. Fino alla sua scomparsa, il compositore veneziano ha sempre lavorato in modo serio seguendo precisi obiettivi, sempre in evoluzione, sempre in movimento. Concludo dicendo che a mio parere l’intera produzione di Nono può essere presa in esame considerando un solo scopo: la ricerca. Prometeo è la realizzazione del pensiero dell’autore, il giusto titolo per tutte le sue opere. Ricerca musicale, ricerca sociale, ricerca storica, ricerca tecnologica, ogni campo di ricerca è stato affrontato con estremo interesse da Nono, il quale, proprio come Prometeo, ha sempre lavorato rivolgendo uno sguardo all’umanità ed alle problematiche reali del mondo. 28 BIBLIOGRAFIA di riferimento -Luigi Nono – La nostalgia del futuro, scritti scelti 1948-1986 a cura di Angela Ide De Benedictis e Veniero Rizzardi -Nono a cura di Enzo Restagno -Luigi Nono e il suono elettronico (Milano Musica) -Electronic and Computer Music di Peter Manning -Luigi Nono: studi, edizione, testimonianze a cura di Luca Cossettini -Luigi Nono – La fabbrica illuminata edizione critica a cura di Luca Cossettini -Musica nel laboratorio elettroacustico di Nicola Scaldaferri -C’è Musica & Musica di Luciano Berio -La musica elettronica di Henry Pousser -Luigi Nono. Scritti e colloqui di Angela Ida De Benedictis, Veniero Rizzardi -Presenza storica di Luigi Nono a cura di Angela Ida De Benedictis, con la collaborazione di Laura Zattra SITOGRAFIA -www.luiginono.it (Fondazione Archivio Luigi Nono) biografia Luigi Nono, analisi opere Luigi Nono, bibliografia sul compositore -ressources.ircam.fr (Jürg Stenzl : Ecoute et analyse de La fabbrica illuminata) 29