tr a
es
tto
Lex icon Topog raph icum Urbis Romae
Supplementum VI
tr a
es
tto
In copertina:
Prospeto ricostrutivo del versante occidentale della valle del Colosseo e della
pendice nord-orientale del Palatino visto da Sud (disegno di M. Fano).
Progeto graico di F. Zaccuri
ISBN 978-88-7140-712-8
© Roma 2016, Edizioni Quasar di Severino Tognon srl
via Ajaccio 43 - 00198 Roma, tel. 0685358444 fax 0685833591
e-mail:
[email protected] – www.edizioniquasar.it
tr a
es
tto
LE REGOLE
DEL GIOCO
TRACCE ARCHEOLOGI
RACCONTI
STUDI IN ONORE
DI CLEMENTINA
PANELLA
a cura di
Antonio F. Ferrandes e Giacomo Pardini
Edizioni Quasar
tr a
es
tto
Un brindisi per Tina Panella.
Ancora sul vino in Italia: le tazze-atingitoio
Gilda Bartoloni*, Valeria Acconcia**
In anni recenti l’interesse sul tema della vitivinicoltura in Italia e degli aspeti della cultura materiale ad
essa collegati si è riacceso grazie all’applicazione di metodi di indagine derivanti dalla biologia e dalla genetica molecolare, che hanno consentito di approfondire gli aspeti di iliazione delle più antiche specie di vite
ancora presenti nella penisola, e grazie alla possibilità, veriicata su basi archeologiche, di retrodatare l’introduzione nella stessa area della vite e (probabilmente) del vino rispeto alla tradizionale ipotesi che poneva
tale fenomeno in corrispondenza del contato delle culture indigene con quella greca, nei decenni precedenti
la metà dell’VIII secolo a.C.1
Com’è noto, questa ipotesi è stata avanzata sulla base del rinvenimento di semi e vinaccioli in contesti insediativi di area medio-tirrenica databili tra l’età del Bronzo Finale e la Prima età del Ferro e sembra
confermata dalla difusione nei corredi funerari coevi di forme vascolari metalliche e itili, rilesso dell’uso
cerimoniale di bevande alcoliche.
A tale proposito, già F. Delpino ha più volte sotolineato la diferenza tra la conoscenza dell’uva come
alimento e la viticoltura complessa e su vasta scala, associata all’adozione da parte delle comunità locali di
pratiche speciicamente legate al consumo del vino, derivate da contati anche molto precoci con il mondo
greco ed orientale2.
Tra queste vi sarebbero le cd. “olle-cratere” con ventre globulare e ampia imboccatura, identiicate come
i contenitori nei quali mescolare il vino con l’acqua o, con funzione simile, le “anfore-cratere” che sarebbero
costantemente associate a tazze con ansa sormontante3.
Questi manufati suggeriscono quindi un processo di trasmissione di pratiche destinate ai segmenti
emergenti delle comunità e di modelli culturali esempliicati dai poemi omerici, che contribuiscono a formare un sistema di valori fortemente ellenizzato nell’ambito del quale il bancheto diviene il fulcro cerimoniale
degli scambi tra aristocratici e regolamenta i rapporti di questi con i loro ailiati4.
A tale proposito, C. Iaia ha in varie occasioni sotolineato la necessità di distinguere la portata di questo
fenomeno in quanto afermazione di valenze culturali legate al mondo egeo, dall’efetiva difusione del vino
e delle pratiche ad esso collegate. Secondo lo studioso, infati, è plausibile che in area transalpina e nella stessa
* Sapienza – Università di Roma.
** Università degli Studi “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara.
1
Sul tema, vedi i contributi in Archeologia della vite 2012.
2
In sintesi, Delpino 2012, pp. 189-190; sui contati pre-coloniali, vedi ad esempio, Delpino 2005.
3
Delpino 2007, p. 139; Delpino 2012, pp. 192-193.
4
Vedi anche, Bartoloni - Cordano 2013, p. 2.
521
tr a
es
tto
penisola italiana fossero ampiamente note anche altre bevande alcoliche otenute dalla fermentazione di cereali, fruta, ecc., come ad esempio la birra, le quali indipendentemente dagli echi “omerici” potevano essere
consumate come sostanze di pregio da membri emergenti delle comunità locali, identiicando in questo processo una sorta di sviluppo parallelo e sostanzialmente indipendente rispeto a quanto avviene nel comparto
centro-meridionale della penisola5.
Lo stesso Iaia sotolinea la difusione tra la prima e la seconda fase del Primo Ferro della tazza monoansata in lamina metallica lavorata a sbalzo della foggia “Stillfried-Hostomice”, associata spesso ad incensieri
in lamina e atestata in due varietà dimensionali, delle quali quella più piccola sembra più adata ad atingere
e bere6. Queste presenze indicherebbero un livello di struturazione dei gruppi sociali in cui il consumo del
vino è ancora una pratica individuale: la tazza in lamina bronzea, quindi, doveva essere verosimilmente utilizzata per libagioni e rappresenta un manufato di pregio eccezionale7, come più tardi sarà la tazza d’argento
della tomba 15 di Castel di Decima, che richiama idealmente quella biblica di Giuseppe8. Forme colletive
di distribuzione della bevanda da parte di igure eminenti che alludono a un asseto gerarchico con rapporti
di subordinazione, invece, si afermerebbero a partire dalla fase avanzata del Primo Ferro, quando i corredi
funerari dell’Etruria tirrenica e dell’Italia setentrionale accolgono forme chiuse in lamina con corto collo
e ampia imboccatura (assimilabili ai crateri) o situle in lamina bronzea, associate a forme di provenienza
allogena9. Una delle espressioni più evidenti di questa linea di sviluppo si identiica nel corredo della tomba
236 della necropoli di Casa Ricovero ad Este, databile poco dopo la metà dell’VIII secolo a.C. (ig. 1A)10.
La tomba accoglieva una deposizione bisoma, maschile e femminile, e nel corredo era possibile distinguere
un set vascolare “personale” deposto all’interno della situla-ossuario composto da due tazze-atingitoio e tre
colini, mentre all’esterno si trovavano due servizi potori da atribuire ai due defunti, che comprendevano
tazze-atingitoio in ceramica e due thymiateria, destinati a rappresentare i vasi utilizzati dai convitati alla cerimonia funebre11.
È evidente quindi che la forma vascolare plausibilmente adotata come vaso associato alla preparazione
e al consumo formalizzato di bevande nell’età del Ferro è quella della tazza-atingitoio monoansata12. Sulla
base delle dimensioni o del materiale in cui i vari esemplari noti sono realizzati, è possibile identiicarne di
volta in volta la funzione solo potoria o anche di atingitoi e/o versatoi. Come si chiarirà di seguito, in alcuni
casi, le tazze di dimensioni maggiori sono state identiicate anche come contenitori nei quali venivano miscelati l’acqua e il vino, a segnare un passaggio intermedio tra il prelievo dal vaso di grandi dimensioni a quello
utilizzato per bere, ad esempio a Crustumerium13.
5
Iaia 2006, p. 103.
6
Iaia 2006, p. 104; Iaia 2006-07, pp. 262, 268.
7
Indicativa a tale proposito è la posizione della tazza (tipo Stillfred Hostomice) della tomba di guerriero di Poggio dell’Impiccato
I (Tarquinia IIA) accanto all’ossuario antropomorizzato, isolata cioè rispeto al resto del corredo e indubbiamente legata alla igura
del defunto (Delpino 2005, p. 346).
8
Bartoloni - Cordano 2013, p. 10.
9
Iaia 2005, pp. 207-219; Iaia 2006, pp. 105-106; Perego 2010; Bartoloni - Cordano 2013.
10
Datazione discussa in Chieco Bianchi - Calzavara Capuis 1985, pp. 310-311.
11
Chieco Bianchi - Calzavara Capuis 1985, pp. 300-312; Iaia 2006, p. 108.
12
Per i carateri morfologici e funzionali, vedi Bieti Sestieri 1992, pp. 276; Bartoloni et al. 2012, pp. 247-249.
13
Vedi p. 528 con bibliograia di riferimento.
522
tr a
es
tto
Fig. 1 - A) Le tazze della tomba Ricovero 236 di Este (da Chieco Bianchi - Calzavara Capuis 1985, tavv. 208209); B) Tazze dalla necropoli di Osteria dell’Osa: tipo 19 (1-2); tipo 20 (5-6, 9-12), tipo 21 (3-4, 7-8), tipo 22
(13-16), tipo 23 (17-18) (da Bieti Sestieri 1992, tavv. 19-24).
523
tr a
es
tto
Ancora C. Iaia recentemente ha individuato le più antiche atestazioni dell’uso di tale forma nel corso
dell’età del Bronzo Medio e Recente14. I comparti regionali interessati da tali sviluppi sarebbero inluenzati
dal contato con ambiti culturali molto diversi. In area terramaricola, si traterebbe di suggestioni dal mondo
transalpino che determinerebbero la difusione nel Bronzo Medio di tazze monoansate i cui carateri dimensionali e morfologici ne renderebbero diicile l’uso come vasi potori: esse si rinvengono in contesti legati a
manifestazioni probabilmente cultuali, a forme colletive ma comunque paritarie di consumo di bevande o
anche del rituale funerario15. Nel Bronzo Recente, nello stesso comprensorio la forma acquisisce carateri e
dimensioni più funzionali ed è accompagnata dall’introduzione di manufati speciici quali i colini, in contesti che sembrano indicare comunque una mancata gerarchizzazione delle comunità di riferimento. Testimoniano un consumo colletivo del vino, le tazze monoansate rinvenute nel sito di Broglio di Trebisacce e databili al Bronzo Recente, nel quale sono ative forme di trasmissione culturale dal mondo miceneo, associate al
contesto emergente di una cd. “central house”16.
Per la successiva età del Bronzo Finale, al ine di ribadire il rilievo assunto dalla forma in questione, va ad
esempio ricordata la deposizione delle grandi tazze in lamina bronzea “cerimoniali” con protomi zoomorfe
nel ripostiglio di Coste del Marano, databile in un orizzonte non avanzato del periodo e interpretata come
l’espressione di un rituale di oferta alla divinità17.
Nel corso dell’età del Ferro, a prescindere dalle sepolture con esemplari in lamina bronzea, è possibile
che anche le più comuni tazze in impasto servissero a rappresentare le stesse funzioni.
Una preliminare disamina di due dei contesti meglio noti per l’età del Ferro in area tirrenica centrale,
ovvero la necropoli veiente dei Quatro Fontanili e quella laziale di Osteria dell’Osa, suggerisce spunti interessanti al riguardo.
Quella di Osteria dell’Osa è stata edita sulla base di un criterio non esclusivamente morfo-tipologico, ma
anche con un approccio di tipo funzionale applicato alla discussione dei tipi. Nel caso delle tazze, ad esempio,
sono individuati cinque tipi (19-23 della sequenza elaborata per i materiali della necropoli; ig. 1B)18. Tra questi, si distinguono alcuni con vasca profonda e ansa bifora (tipi 19-21), uno con ampia e bassa vasca e ansa bifora
(tipo 22) e un altro con vasca globulare e ansa ad anello (tipo 23). Essi sono identiicati come vasellame funzionale a bere (i tipi 19-21 negli esemplari di dimensioni medie e piccole; il tipo 23), ad atingere e versare (il tipo
19 nelle dimensioni grandi) o anche a contenere porzioni di cibo (i tipi 20 e 21 nelle dimensioni grandi, il tipo
22, per il quale si ipotizza anche la funzione di atingitoio). Allo stesso modo, carateri della decorazione suggeriscono per i tipi 21 e 22 una destinazione come vasellame di pregio19. Il loro sviluppo nel corso della lunga fase di
utilizzo della necropoli, inine, sembra indicare anche una progressiva selezione funzionale, legata all’adozione
di forme potorie più specializzate e mutuate dal mondo greco ed orientale.
In questi termini, analizzando la distribuzione della tazza nei vari gruppi che compongono la necropoli,
si evidenziano alcune ricorrenze: sembra prevalente la tendenza a deporre almeno un esemplare dei tipi a
vasca profonda per un numero elevato dei corredi di tuti i periodi atestati (esclusi i contesti ritenuti sconvolti). È meno difusa quella di coppie di esemplari di tazze a vasca profonda di dimensioni simili. Al contrario,
14
Iaia 2013.
15
Iaia 2013, pp. 374-375.
16
Iaia 2013, pp. 378-379.
17
Torelli 2000, pp. 93-95.
18
Bieti Sestieri 1992, pp. 276-296.
19
Bieti Sestieri 1992, pp. 289-290.
524
tr a
es
tto
sono abbastanza frequenti i casi di deposizione di due esemplari a vasca profonda di diferenti dimensioni,
che ha suggerito la possibilità sopra accennata di distinguere l’oferta di porzioni di bevanda e di cibo solido
e che nel III periodo laziale risulta essere spesso la composizione base del corredo20. Allo stesso modo sono
interpretabili, dunque, i casi in cui con la tazza a vasca profonda sia deposto un esemplare del tipo 22, con
ampia e bassa vasca, identiicato anch’esso come vaso per cibi solidi o atingitoio21. In un numero ridoto di
casi, inine, è atestata la deposizione di tre o (raramente) più esemplari di tazza, di solito in una composizione che vede due tazze del tipo a vasca profonda di dimensioni diferenti, associate a una con vasca ampia
e bassa o tre tazze del tipo a vasca profonda di dimensioni diferenti, che può essere leta come una variante
della deposizione di due esemplari a vasca profonda di dimensioni diferenti, legata a speciiche condizioni
del defunto o a forme rituali scarsamente perspicue.
In questo senso, è possibile che i due esemplari di dimensioni diferenti non facciano necessariamente
riferimento alla deposizione di alimenti distinta da quella di bevande, ma siano in realtà il rilesso di una pratica cerimoniale che sotolinea da una parte il consumo personale di bevande (esempliicato dagli esemplari
di piccole dimensioni), distinto dall’esposizione-oferta delle stesse negli esemplari di grandi dimensioni.
La stessa ricorrenza di tazze monoansate in due esemplari, di cui uno di grandi dimensioni, si registra
in sepolture dell’Orientalizzante antico di Vulci, Veio e Cerveteri: gli esemplari più grandi possono essere
identiicati come vasi ad ampia imboccatura necessari alla mescola e alla presentazione del vino, per i quali già
altrove abbiamo proposto un rimando alle note tazze-cratere laziali, che a loro volta rappresentano una sorta
di funzionalizzazione estrema della forma della tazza22.
In sintesi, quindi, il panorama oferto da Osteria dell’Osa rivela una tendenza ad associare un solo esemplare di tazza monoansata in funzione di vaso potorio di uso personale, al quale si possono aggiungere esemplari
utilizzati per altre funzioni, mentre è molto rara la possibilità di una ripetizione della stessa forma in due o tre
esemplari, che in via altamente ipotetica potrebbe alludere alla distribuzione del vino svolta in vita defunto.
La necropoli veiente di Quatro Fontanili presenta un quadro molto più variegato, che si complica per la
mancanza di speciiche analisi a caratere funzionale. L’approccio proposto allo studio delle sepolture di tale
necropoli è stato essenzialmente di tipo morfo-tipologico, con una particolare atenzione alle classi di materiali necessarie a qualiicare il genere, l’età e il ruolo/rango dei defunti (armi, ornamenti, materiali di pregio).
I lavori di sintesi di J. Toms e A. Guidi sono articolati a partire da una analisi dei tipi e della loro distribuzione nelle varie fasi della necropoli, mentre la disamina degli aspeti cronologici e delle associazioni possibili è elaborata sulla base di campioni di tombe non sotoposte a disturbo. La forma vascolare della tazza,
così come le altre presenti, è analizzata in quanto parte della sequenza tipologica che inquadra i materiali dei
corredi, metendone in evidenza lo sviluppo (ig. 2A)23.
J. Toms, ad esempio, identiica 20 tipi di tazze, segnalandone la complessa distribuzione e la tendenza a
divenire sempre più regolari, con la parte inferiore del corpo più compressa, il collo più profondo e distinto,
con la comparsa della forma crestata nella fase IIC24.
20
Bieti Sestieri 1992, p. 279.
21
Bieti Sestieri 1992, p. 293.
22
Vedi Bartoloni et al. 2012, p. 256; per le tazze-cratere, vedi Bartoloni 1985, p. 19; Zevi 1977, p. 265; una sintesi con ampia bibliograia precedente è in ten Kortenaar 2011, pp. 112-113.
23
Toms 1986 (a pp. 44-45 per la selezione del campione); Guidi 1993 (pp. 76-78).
24
Toms 1986, pp. 84-86.
525
tr a
es
tto
Fig. 2 - A) Tazze dalla necropoli di Quatro Fontanili (da Guidi 1993); B) Olla (1) e tazzine-atingitoio (2) dalla
tomba 9 della necropoli di Monte del Bufalo a Crustumerium (da di Gennaro 1990, igg. 31-32).
526
tr a
es
tto
Anche A. Guidi individua numerosi tipi e varietà di tazze, che si distribuiscono nel corso delle fasi interessate dalla necropoli25.
Sulla base del campione preso in esame già da A. Guidi26, sembra potersi veriicare la mancanza di una
regolarità sia nella distribuzione dei tipi che nella quantità degli esemplari contenuti in ciascuno dei corredi.
L’unica tendenza che sembra potersi registrare è la scarsa atestazione della forma nelle tombe della fase più
antica della necropoli, mentre successivamente sono atestati casi con uno, due esemplari (a volte simili per
dimensioni) o anche più di tre esemplari, ino a oto, variabili per tipo e dimensioni. A volte, le tazze in impasto (a partire dalle associazioni con due esemplari) sono accompagnate da quelle in lamina, che identiicano
il livello emergente dei defunti.
In atesa di poter puntualizzare ed estendere l’esame ad altri contesti dell’età del Ferro dell’area medio-tirrenica, sembra evidente come almeno per Quatro Fontanili non vi sia una rigida deinizione della
presenza delle tazze e che, anzi, la varietà presente nei casi con più di due esemplari possa essere riferita più
che a speciiche prescrizioni del rituale funerario, alla volontà di ostentare il ruolo dei defunti.
Tra la fase avanzata dell’età del Ferro e gli inizi dell’Orientalizzante, il progressivo alusso nel comparto
tirrenico di vasellame itile e metallico importato viene rapidamente assimilato nel repertorio morfologico
locale e trasmete pratiche conviviali di marca egeo-orientale alle nascenti aristocrazie tirreniche. Da questo
momento, come già ipotizzava J.N. Coldstream, si può efetivamente riconoscere l’adesione al rituale “omerico” del bancheto, che include stabilmente il consumo delle carni e quello del vino, mescolato con acqua e
sostanze aromatiche27.
Questo fenomeno determina quindi una selezione nel repertorio morfologico locale, dal quale scompaiono
alcune forme e le altre si integrano con quelle di origine greca o orientale. La tazza-atingitoio con ansa sormontante, per quanto destinata ad essere assorbita nella forma del kyathos, al passaggio tra l’età del Ferro e l’Orientalizzante viene aiancata dalle numerose forme potorie allogene (skyphoi, kylikes, kotylai, coppe baccellate ecc.)
nonché da nuove forme di elaborazione locale (calici, kantharoi), più utili a rappresentare i vari momenti del
bancheto aristocratico28. Essa perde quindi la regolarità con cui era atestata nelle sepolture dell’età del Ferro e,
secondo A.M. Bieti Sestieri, almeno nel Latium vetus sarebbe destinata alla funzione di atingitoio-versatoio29.
Come già messo in evidenza in altri lavori, però, è possibile che, almeno agli inizi del periodo orientalizzante, la tazza-atingitoio nella tradizione etrusco-laziale, proprio per la sua antichità come vaso potorio, continui ad essere associata a speciiche pratiche rituali legate ai riti di passaggio e alla celebrazione di momenti
in cui la colletività esprime i suoi carateri fondanti.
In questi termini, quindi, già M. Torelli ipotizzava che tale forma potesse rappresentare una sorta di
“fossile” nell’ambito di rituali in cui fosse utilizzato vino “non tratato” secondo il costume orientale e, quindi,
da riferire a una quota cronologica risalente almeno al regno di Numa Pompilio, corrispondente alle tradizioni sul temetum30.
25
Guidi 1993, pp. 82-83, 85-91.
26
Guidi 1993, pp. 76-78.
27
Bartoloni et al. 2012, pp. 212-215; vedi anche Coldstream 2003.
28
Bartoloni - Cordano 2013, pp. 3-4.
29
Bieti Sestieri 1992, p. 280 (in riferimento agli sviluppi del tipo 20), sulla base delle evidenze da Crustumerium (vedi in questo
lavoro, p. 528).
30
Torelli 2000, p. 93; sul temetum e le forme rituali legate al vino a Roma e nel Latium vetus, Gras 1983, pp. 1068-1073; Coarelli 1995.
527
tr a
es
tto
Un rilesso di queste ipotesi può essere leto in alcuni contesti di abitato e funerari, nei quali la ricorrenza della forma in un numero elevato di esemplari e di solito con dimensioni ridote, sembra riferibile a veri e
propri “brindisi” realizzati da un gruppo nutrito di partecipanti.
In ambito funerario, già si è fato cenno al caso della tomba 236 di Casa Ricovero, databile ancora alla
ine dell’età del Ferro (vedi p. 522), preceduta secondo E. Perego dalla tomba Benvenuti 279, ancora da Este,
nella quale nella prima metà dell’VIII secolo a.C. è deposta una grande coppa biansata con ampia imboccatura, assimilabile a un cratere, associata a due tazze con le quali poteva essere atinta e distribuita la bevanda31.
Il modello diviene evidente nel corso dell’Orientalizzante antico in alcuni casi di tombe di rango emergente, come quelle vulcenti 6/9/1966 di Poggio Maremma, nella quale un cratere è accompagnato da dodici
tazze, e nella LXXI della Polledrara, nella quale un dinos era associato a sete tazze32; nelle tombe X e XIX
della Vaccareccia (con sete tazze, associate nella seconda a un’olla globulare in impasto)33 e, sopratuto, a
Crustumerium. Nelle necropoli di questo centro, infati, sono venute alla luce sepolture databili al periodo
laziale IVA2 nelle quali quali l’olla in impasto con funzioni di contenitore per la mescola del vino (del tipo
globulare o anche di quello “a coppete”) è associata a un set di tazzine-atingitoio (e ad altre forme vascolari).
Le tazzine raggiungono un numero massimo di 37 esemplari e sono deposte intorno all’olla, a suggerire una
funzione stretamente connessa a quella del vaso contenitore/cratere, nell’ambito di un rituale identiicato da
F. Di Gennaro come circumpotatio, ovvero la distribuzione e il consumo colletivo di vino in cerimonie che
coinvolgevano membri di sodalizi, maschili o femminili (ig. 2B)34.
Per quanto riguarda i contesti di abitato, è noto il caso di Poggio del Telegrafo a Populonia, nel quale
intorno al primo quarto del VII secolo a.C., la dismissione di una capanna identiicata come sede del lignaggio gentilizio a capo del centro etrusco, è segnata dalla deposizione di un numero molto elevato (vicino al
centinaio) di tazzine-atingitoio in uno degli alloggiamenti per i pali della strutura (ig. 3A)35. Il contesto è
stato quindi interpretato come la testimonianza di un rituale cui dovete prendere parte un alto numero di
partecipanti, così elevato che, più che i membri di una unica gens, potrebbe includere i rappresentanti di tuti
i lignaggi gentilizi populoniesi, raccolti a brindare in occasione di un possibile cambiamento negli asseti politici locali o, più semplicemente, in occasione di una ricostruzione della “dimora del potere”.
Tra i contesti assimilabili a quello populoniese, già in altre sedi abbiamo citato il deposito di kyathoi miniaturistici rinvenuto in una delle struture domestiche dell’abitato del Lago dell’Accesa36; o il rinvenimento di
un numero elevato di esemplari della stessa forma in associazione a un’anfora etrusca nel rituale di fondazione
di una strutura dell’abitato di Fossa 2 di Bientina37. Non sembra vicino a questi casi quello del rinvenimento di
31
Nell’edizione delle necropoli di Este, inoltre, sono suggerite delle ainità tra la tomba 236 e la 143 della stessa necropoli di Casa
Ricovero, databile al secondo quarto dell’VIII secolo a.C., nella quale erano deposti manufati tipici delle sepolture maschili e di
quelle femminili, a coppie, con due orcioli, due coppie di tazze e una tazza spaiata di dimensioni maggiori (Chieco Bianchi - Calzavara
Capuis 1985, pp. 66-68). Per la tomba Benvenuti 279, vedi Perego 2010, p. 289.
32
Bartoloni et al. 2012, p. 251, con bibliograia precedente.
33
Per le tombe della Vaccareccia, vedi Palm 1952, pp. 65-66 e 70-71.
34
Di Gennaro 1990, p. 70; di Gennaro - Belelli Marchesini 2008; Belelli Marchesini 2006, pp. 223-224; Belelli Marchesini 2013.
35
Bartoloni - Acconcia 2007; Bartoloni 2011.
36
Camporeale 1997, p. 278.
37
Ciampoltrini 1999, p. 51. Per altri esempi di rituali di fondazione databili tra VIII e VI secolo a.C. e realizzati con la deposizione
di forme ceramiche, ad esempio a Le Melorie in Valdera e a Castions di Strada in Friuli, vedi Bartoloni - Cordano 2013, p. 6, con
bibliograia precedente.
528
tr a
es
tto
Fig. 3 - A) Populonia, Poggio del Telegrafo: il rinvenimento del deposito di tazzine-atingitoio (1-3) e la ricostruzione della “dimora” del re (2) (da Bartoloni - Acconcia 2007, igg. 7-8; ricostruzione di V. Acconcia);
B) Matelica: l’olla e i kyathoi della tomba 1 di Passo Gabella (da Matelica 2008, pp. 175 e 187).
529
tr a
es
tto
226 kyathoi miniaturistici deposti in sei vasi contenitori, in località Costa Pieve a Vetulonia: si trata infati probabilmente di materiali di età ellenistica, associati a un complesso sistema di aree di culto urbane e periurbane38.
Questi esempi atestano come la tazza-atingitoio conservi le sue funzioni di vaso legato al consumo cerimoniale del vino probabilmente sulla base di una tradizione risalente all’origine dei rituali in cui quest’ultimo era utilizzato. La tazza-atingitoio e la sua evoluzione nel kyathos, restano in generale una tra le forme più
difuse nei contesti riferibili a segmenti emergenti delle comunità, come segnala la loro ricorrenza ad esempio
nelle residenze di Poggio Civitate a Murlo o in quella di Casale Maritimo, che si aggiungono alle testimonianze di ambito funerario. Gli esemplari di kyathoi in bucchero o impasto buccheroide, in tipi su piede a
tromba, vasca emisferica e ansa a nastro rinvenuti ad esempio a Cerveteri, Vetulonia, Volterra, Populonia,
Casale Maritimo, Monteriggioni, Poggio Civitate, Santa Teresa di Gavorrano, sono caraterizzati da iscrizioni che ne segnalano la funzione di oggeto di prestigio39.
La coerenza di tale modello sembra essere talmente forte che, a una quota cronologica più bassa si trasmette anche all’esterno del comparto medio-tirrenico, a comunità che accolgono le forme di autorappresentazione
delle aristocrazie etrusche. L’esempio al momento più chiaro e meglio noto viene dall’area picena, ed è quello
della tomba 1 della necropoli in località Passo Gabella a Matelica. Si trata di una ricchissima sepoltura femminile, databile all’ultimo quarto del VII secolo a.C., nella quale si concentra un complesso repertorio di forme
vascolari ceramiche e metalliche. Tra queste, anche un holmos e un’olla collegati alla presenza di un servizio di
diverse decine di kyathoi e kantharoi in impasto di piccole dimensioni, che suggeriscono il ruolo di distributrice
del vino della defunta (ig. 3B)40.
Un rilesso della pratica di associare un numero variabile di vasi potori di piccole dimensioni a un contenitore identiicabile come il vaso da cui atingere la bevanda, può probabilmente essere riconosciuto anche
in altri contesti del mondo italico.
Un caso pressoché eccezionale è rappresentato dalla tomba 296 di Calatia, databile all’Orientalizzante
recente. Sul fondo della fossa, era ricavato un ripostiglio al di soto del piano di deposizione, nel quale era
alloggiata una grande olla, identiicata come contenitore da vino, intorno alla cui spalla erano deposte oto
kotylai41. Contrariamente ai contesti sopra analizzati, in questo caso la forma funzionale ad atingere e versare
o anche ad atingere e bere è sostituita da una di tradizione allogena, essendosi probabilmente indeboliti i
legami con una tradizione difusa prevalentemente in ambito tirrenico (ig. 4A).
Nella necropoli di Campli, inine, nella tomba 69, databile alla prima metà del VI secolo a.C. e identiicabile come una delle sepolture maschili di livello più elevato, la revisione della documentazione di scavo ha
consentito di individuare tre atingitoi miniaturistici in impasto disposti intorno al collo di un’anfora tetransata con appliques zoomorfe mobili, a ridosso del grande contenitore per liquidi o derrate posto sul fondo
della fossa. I tre atingitoi erano forse originariamente tenuti da un ilo passante, come è stato ipotizzato per i
kyathoi di Crustumerium (ig. 4B)42.
38
Per il rinvenimento, vd. Levi 1926, p. 187; per i luoghi di culto in età ellenistica, Cygielman 2005, p. 323.
39
Sull’argomento, vedi Neri 2010, pp. 65-68 con ampia bibliograia e Sciacca 2003; da ultima, Bagnasco Gianni 2012, pp. 27-30.
40
A. Cohen in Matelica 2008, p. 164, pp. 171-172, nn. 188 e 191-207. Una presenza di un numero elevato di kyathoi e kantharoi è
atestata nella tomba maschile 182 in loc. Crociisso (databile anch’essa all’ultimo quarto del VII secolo a.C.), con una prevalenza dei
secondi, che segnalerebbe un accesso più direto al consumo del vino, e non solo alla sua distribuzione, da parte degli uomini (p. 217).
41
Laforgia - Murolo 2005, p. 45; Laforgia 2009, p. 106.
42
Per la tomba, vedi D’Ercole - Pellegrini 1990, pp. 32-34; Campovalano II, pp. 10-11, nrr. 3-5 (gli atingitoi sono deiniti brocchette); anche Acconcia 2014, pp. 113-114.
530
tr a
es
tto
Fig. 4 - A) Calatia, la tomba 296: pianta e detaglio del ripostiglio (1); il dolio (3) e due delle kotylai corinzie
(2) (da Laforgia - Murolo 2005, tavv. 10, 15, 21); B) Campovalano, la tomba 69: pianta e detaglio del ripostiglio
(1), anfora (2) e atingitoi (3) (da D’Ercole - Pellegrini 1990, p. 34; Campovalano II, tavv. 4-5).
531
tr a
es
tto
Queste manifestazioni legate alla consumo colletivo del vino trovano un’eco nelle fonti leterarie ed
epigraiche, ma speciicamente in passi relativi a norme funzionali proprio a limitare gli eccessi legati a tali
pratiche. Nella legge di Iulis, databile nel V secolo a.C. e che presenta forti rimandi alla legislazione ateniese
di Solone, ad esempio, viene stabilita la quantità di 10 litri ca. come massimo di vino da bere nell’ambito dei
funerali, e i vasi (contenitori e boccali evidentemente), cosi come i recipienti dell’olio (per 3 litri), devono
essere riportati indietro (A, 10)43. È facile supporre che, prima dell’emanazione di queste leggi, a Iulis nelle
cerimonie funebri si facesse un uso smodato di vino (e olio). A tale proposito, C. Ampolo ha messo bene evidenza le ainità tra la legge di Solone, la legge di Iulis e quelle romane delle XII tavole44. Queste ultime sono
riferibili come è noto a norme in vigore almeno dal pieno VI secolo a.C. e la ricerca archeologica ha dimostrato come a Roma, nel Latium Vetus e a Veio a partire dal 580 a.C. circa esse siano rigidissime45.
Più inlessibile rispeto a quanto inciso a Iulis, ad esempio, appare il passo X, 6a delle XII tavole dove
è citata appunto la menzione del rituale della circumpotatio, che dovrebbe indubbiamente riferirsi ad una
cerimonia legata al vino46: «Haec praeterea sunt in legibus…: servilis unctura tollitur omnisque circumpotatio…ne sumptuosa respersio, ne longae coronae, ne acerrae» (Ed ancora le seguenti disposizioni si trovano nelle
leggi: “vengono eliminate le unzioni [del cadavere] da parte degli schiavi e ogni giro di bevute”47, “nessuna costosa
aspersione, né lunghe corone né incensieri). Sembrano dunque abolite le pratiche relative all’unzione del morto
e alle bevute solo limitate nella legge greca.
A Roma, ragioni etiche e culturali dovetero concorrere a reprimere, in maniera più drastica che in Grecia, queste bevute di cui troviamo ampia traccia nei contesti funerari ancora del tardo periodo orientalizzante,
bevute che forse trascendevano in maniera eccessiva. Il numero dei partecipanti doveva essere importante:
il funerale aristocratico è infati visto come l’occasione del clan per afermare la sua continuità e coesione,
espressioni di uno strato sociale fortemente connotato dai trati di classe, detentore del potere, in una fase in
cui la polis non si è ancora del tuto formata48.
Bibliograia
Acconcia, V. 2014, Ritualità funeraria e convivialità tra rigore e ostentazione nell’Abruzzo preromano (Oicina Etruscologia 10), Roma.
Ampolo, C. 1984, Il lusso funerario e la cità arcaica, in Aspeti dell’ideologia funeraria nel mondo romano, AnnAStorAnt 6,
pp. 71-102.
Archeologia della vite 2012 = Ciacci, A. - Rendini, P. - Ziferero, A. (eds.), Archeologia della vite e del vino in Toscana e Lazio.
Dalle tecniche dell’indagine archeologica alle prospetive della biologia molecolare, Firenze.
43
Frisone 2000, pp. 57-102, con particolare riferimento alle pp. 75-77.
44
Ampolo 1984.
45
Bartoloni 2010.
46
Ampolo 1984, p. 86 preferisce interpretarla come un divieto al bancheto completo.
47
Circumpotatio viene tradoto anche come simposio funebre.
48
Gernet 1968, pp. 282-283. In genere, sotolineando la costanza e l’uniformità dei riferimenti delle leggi alla limitazione delle spese
e al controllo dei comportamenti, gli studiosi atribuiscono loro un valore essenzialmente restritivo, rispondente all’emergere di
istituzioni in grado di porre un freno al potere e ai privilegi aristocratici (Frisone 2000, p. 21).
532
tr a
es
tto
Bagnasco Gianni, G. 2012, L’incidenza della rete di relazioni sulla cultura epigraica, in Convivenze etniche e contati di culture, Ati del Seminario di Studi (Università degli Studi di Milano, 23-24 novembre 2009) (Aristonothos. Scriti per
il mediterraneo antico 4), pp. 15-37.
Bartoloni, G. 1985, L’urna a capanna dell’Esquilino: una nuova letura, ArchCl 37, pp. 1-26.
Bartoloni, G. 2010, Il cambiamento delle pratiche funerarie nell’età dei Tarquini, in La grande Roma dei Tarquini, Ati del
17º Convegno Internazionale di studi sulla storia e l’archeologia dell’Etruria (Orvieto, 2009) (AnnFaina 17), pp.
159-185.
Bartoloni, G. 2011, Un rito di obliterazione a Populonia, in Maras, D. (ed.), Corollari. Scriti di antichità etrusche ed italiche
in omaggio all’opera di Giovanni Colonna (Studia erudita 14), Pisa-Roma, pp. 84-91.
Bartoloni, G. - Acconcia, V. 2007, La casa del re, in Botarelli, L. - Coccoluto, M. - Mileti, M.C. (eds.), Materiali per Populonia 6, Pisa, pp. 11-29.
Bartoloni et al. 2012 = Bartoloni, G. - Acconcia, V. - ten Kortenaar, S., Viticultura e consumo del vino in Etruria: la cultura
materiale tra la ine dell’età del Ferro e l’Orientalizzante antico, in Archeologia della vite 2012, pp. 201-275.
Bartoloni, G. - Cordano, F. 2013, “Si propone di bere secondo il costume greco”(Cicerone, Verrine II, 1.66). In memoria di
Horst Blanck, RM 119, pp. 13-32.
Belelli Marchesini, B. 2006, Tomba 34. Località Sasso Bianco, in Roma 2006, pp. 223-227.
Belelli Marchesini, B. 2013, Necropoli di Crustumerium: bilancio delle acquisizioni e prospetive, in Atema, P.A.J. - Di Gennaro, F. - Jarva, E. (eds.), Crustumerium. Ricerche internazionali in un centro latino. Archaeology and identity of a
Latin setlement near Rome, Groningen, pp. 95-112.
Bieti Sestieri, A.M. (ed.) 1992, La necropoli laziale di Osteria dell’Osa, Roma.
Camporeale, G. 1997, L’abitato etrusco dell’Accesa. Il quartiere B, Roma.
Campovalano II = Chiaramonte Treré, C. - D’Ercole, V. - Scoti, C. (eds.) 2010, La necropoli di Campovalano. Tombe
orientalizzanti e arcaiche, II (BAR, Int. Ser. 2174), Oxford.
Chieco Bianchi, A.M. - Calzavara Capuis, L. 1985, Este I. Le necropoli di Casa Ricovero, Casa Muleti e Casa Alfonsi (Monumenti antichi, Serie monograica 2), Roma.
Ciampoltrini, G. 1999, Gli Etruschi del Bientina. Storie di comunità rurali tra X e V secolo a.C., Buti.
Coarelli, F. 1995, Vino e ideologia nella Roma arcaica, in Murray, O. - Teçusan, M. (eds.), In vino veritas, Ati del convegno
(Roma, 1991), Oxford, pp. 196-213.
Coldstream, J.N. 2003, Geometric Greece, 900-700 BC, Oxford.
Cygielman, M. 2005, Vetulonia. Il tempieto di via dei sepolcri: alcune osservazioni, in Comella, A. - Mele, S. (eds.), Depositi
votivi e culti dell’Italia antica dall’età arcaica a quella tardo-repubblicana, Ati del convegno di studi (Perugia, 2000),
Bari, pp. 323-331.
D’Ercole, V. - Pellegrini, W. 1990, Il Museo Archeologico di Campli, Teramo.
Delpino, F. 2005, Dinamiche sociali e innovazioni rituali a Tarquinia villanoviana: le tombe I e II del sepolcreto di Poggio
dell’Impiccato, in Paoleti, O. (ed.), Dinamiche di sviluppo delle cità dell’Etruria meridionale: Veio, Caere, Tarquinia,
Vulci, Ati del XXIII convegno di Studi Etruschi ed Italici (Roma-Veio-Cerveteri/Pyrgi-Tarquinia-Tuscania-Vulci-Viterbo, 2001), Roma-Pisa, pp. 343-358.
Delpino, F. 2007, Viticoltura, produzione e consumo del vino nell’Etruria protostorica, in Ciacci, A. - Rendini, P. - Zifferero, A. (eds.), Archeologia della Vite e del Vino in Etruria, Ati del convegno internazionale di studi (Scansano
2005), Siena, pp. 133-146.
Delpino, F. 2012, Viticoltura, produzione e consumo del vino nell’Etruria protostorica, in Archeologia della vite 2012, pp.
189-199.
di Gennaro, F. 1990, Crustumerium. Il centro protostorico arcaico e la sua necropoli, in Di Mino, M.R. - Bertineti, M.
(eds.), Archeologia a Roma. La materia e la tecnica (Cat. mostra, Roma 1990), pp. 68-72.
533
tr a
es
tto
di Gennaro, F. - Belelli Marchesini, B. 2008, Gli scavi nel sepolcreto crustumino di Monte del Bufalo, in Meetings between
cultures, Proceedings of International Congress of Classical Archaeology (Rome, 2008) (Bolletino di Archeologia on line), pp. 12-22.
Frisone, F. 2000, Leggi e Regolamenti Funerari nel Mondo Greco. I. Le Fonti Epigraiche (Archeologia e storia 7), Galatina.
Gernet, L. 1968, Anthropologie de la Grèce antique, Paris.
Gras, M. 1983, Vin et societé à Rome et dans le Latium à l’époque archaïque, in Modes de Contacts et processus de transformation dans les societies anciennes, Actes du colloque (Cortone, 1981), Pisa-Roma, pp. 1067-1075.
Guidi, A. 1993, La necropoli veiente dei Quatro Fontanili nel quadro della fase recente della prima età del Ferro italiana,
Firenze.
Iaia, C. 2005, Produzioni toreutiche della prima età del Ferro in Italia centro-setentrionale. Stili decorativi, circolazione, signiicato, Pisa-Roma.
Iaia, C. 2006, Servizi cerimoniali e da ‘simposio’ in bronzo del Primo Ferro in Italia centro-setetrionale, in von Eles, P. (ed.),
La ritualità funeraria tra età del Ferro e Orientalizzante in Italia, Ati del convegno (Verucchio 2002), Pisa-Roma,
pp. 103-110.
Iaia, C. 2006-2007, Prima del ‘simposio’: vasi in bronzo e contesto sociale nell’Etruria meridionale protostorica, APon 1617, pp. 261-270.
Iaia, C. 2013, Drinking in Times of Crisis: Alcohol and Social Change in Late Bronze Age Italy, in Bergerbrant, S. - Sabatini,
S. (eds.), Counterpoint: Essays in Archaeology and Heritage Studies in Honour of Professor Kristian Kristiansen (BAR,
Int. Ser. 2508), Oxford, pp. 373-382.
Laforgia, E. 2009, La necropoli di Calatia nel VI e IV sec. a.C., in Bonaudo, R. - Cerchiai, L. - Pellegrino, C. (eds.), Tra
Etruria, Lazio e Magna Grecia: indagini sulle necropoli, Ati dell’incontro di studio (Fisciano, 5-6 marzo 2009),
Paestum, pp. 101-117.
Laforgia, E. - Murolo N. 2005, Le necropoli, in Laforgia, E. (ed.), Donne di età orientalizzante dalla necropoli di Calatia
(Cat. mostra, Maddaloni 2005), Napoli, pp. 19-87.
Levi, D. 1926, Vetulonia, NSc, pp. 176-188.
Matelica 2008 = Silvestrini, M. - Sabbatini, T. (eds.), Potere e splendore. Gli antichi Piceni a Matelica (Cat. mostra, Matelica
2008), Roma.
Neri, S. 2010, Il bucchero populoniese e la tradizione etrusco-meridionale, in Bartoloni, G. (ed.), Tra centro e periferia. Nuovi
dati sul bucchero nell’Italia centrale tirrenica (Oicina Etruscologia 3), Roma, pp. 62-68.
Palm, J. 1952, Veiian Tomb Groups in the Museo Preistorico, Rome, OpusArch 7, pp. 50-86.
Perego, E. 2010, Osservazioni preliminari sul bancheto rituale funerario nel veneto preromano: acquisizione, innovazione e
resistenza culturale, Saguntum 9, pp. 287-294.
Roma 2006 = Tomei, M.A. (ed.), Roma. Memorie del sotosuolo. Ritrovamenti archeologici 1980/2006 (Cat. mostra, Roma
2006), Verona.
Sciacca, F. 2003, La Tomba Calabresi, in Sciacca, F. - Di Blasi, L. (eds.), La Tomba Calabresi e la Tomba del Tripode di
Cerveteri, Cità del Vaticano, pp. 9-199.
ten Kortenaar, S. 2011, Il colore e la materia. Tra tradizione e innovazione nella produzione dell’impasto rosso nell’Italia
medio-tirrenica (Oicina Etruscologia 4), Roma.
Toms, J. 1986, he relative chronology of the Villanovan Cemetery of Quatro Fontanili at Veii, AnnAStorAnt 8, pp. 41-97.
Torelli, M. 2000, Primi appunti per un’antropologia del vino degli Etruschi, in Tomasi, D. - Cremonesi, C. (eds.), L’avventura del vino nel bacino del Mediterraneo. Itinerari storici ed archeologici prima e dopo Roma, Ati del simposio internazionale (Conegliano Veneto, 1998), Treviso, pp. 89-100.
Zevi, F. 1977, Alcuni aspeti della necropoli di Castel di Decima, PP 32, pp. 241-273.
534