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DOSSIER:
DEMOCRAZIA, POLITICA
E RELIGIONE
Islam e democratizzazione
in Turchia.
Il caso dell’AK Parti
Michelangelo Guida
Il 3 novembre 2002 La Turchia – sulla scia della rivoluzione
l’AK Parti1, da poco for- kemalista guidata dal modernizzatore Kemal
matosi, ha vinto le ele- Atatürk– è stata a lungo un esempio di regime
zioni parlamentari in integralmente laico, una “democrazia protetta”
Turchia con il 34,28 per (in primis dalla classe militare) all’interno
cento dei consensi e, della quale la tradizione religiosa e i suoi
grazie al premio di mag- simboli non svolgevano alcun ruolo. Con
gioranza e lo sbarra- l’ascesa al potere, in anni recenti, di partiti che
mento del 10 per cento, si ispirano dichiaratamente agli insegnamenti
che ha lasciato fuori dal- coranici, sta invece diventando, secondo molti
l’Assemblea nazionale osservatori, un modello di “democrazia
tutti i partiti minori, ha islamica” al quale, in prospettiva, potrebbero
ottenuto ben 363 scran- richiamarsi anche molti dei Paesi araboni su 550. Nelle ultime islamici attualmente alle prese con una difficile
elezioni politiche, nel transizione dall’autoritarismo al pluralismo.
giugno del 2011, il par- Ma qual è il ruolo attualmente giocato
tito, per nulla logorato dall’Islam nella politica turca? Esiste il rischio
dagli anni di governo e di una deriva integralista dell’AK Parti o nelle
dalla crisi economica scelte di quest’ultimo e del suo gruppo
internazionale, ha otte- dirigente prevarrà, considerata anche la
nuto il 49,83 per cento significativa crescita economica che il Paese sta
sperimentando da alcuni anni, un
dei voti.
Gran parte del suo con- atteggiamento improntato al pragmatismo e
senso va addebitato ai alla moderazione?
successi economici conseguiti durante il decennio circa in cui è stato al potere. Non è forse questo il luogo per ricordare alcuni dei dati dell’ultimo boom economico turco, ma forse è utile
richiamare l’attenzione sul valore delle esportazioni che dal 2002 al novembre 2011 è salito da un valore di 38 a 87 miliardi di euro2, nonostante
la crisi mondiale abbia comunque ridotto le esportazioni nei due anni precedenti al 2011. Negli stessi anni il reddito pro capite è salito da 9 a 15 mila
dollari3. Certo il paese rimane diviso da profonde ineguaglianze sociali e geografiche, al quale il governo dell’AK Parti ha cercato di fare fronte con
l’estensione del servizio previdenziale, sanitario ed educativo a tutta la popolazione e con un miglioramento dei servizi pubblici in tutte le province
del paese.
L’AK Parti, però, sarà ricordato anche per essere un partito musulmano. Un
partito che si è mostrato profondamente progressista, ma che si presenta con
quadri conservatori formati da rappresentanti che si rifanno apertamente ai
principi islamici.
1. Adalet ve Kalkınma Partisi
(Partito Giustizia e Progresso)
Akp o, come molti nel partito
preferiscono, AK Parti (Partito bianco, puro).
2. http://www.tuik.gov.tr/jsp/
duyuru/upload/vt/vt.htm
3. http://www.tradingeconomics.com/turkey/gdp-percapita-ppp
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4. Citato in B. LEWIS, The Emergence of Modern Turkey, Oxford University Press, Oxford
1965, p. 231.
Ottenuto il suo primo risultato elettorale, in Turchia e all’estero non furono
pochi i dubbi sollevati sulla capacità del movimento di rispettare le istituzioni
democratiche, il laicismo, i diritti civili, e le alleanze internazionali. Queste
obiezioni non si sono mai sopite, eppure questi dieci anni hanno visto un veloce processo di democratizzazione, di apertura al mondo esterno, di prosperità per la società civile, e di riforme che ricordano e forse sorpassano la
radicale rivoluzione kemalista. Il caso turco allora impone una riflessione su
cosa siano veramente i movimenti politici musulmani, la loro ideologia, e la
loro relazione con la religione. Prima di arrivare a questo, però, vale la pena
di ripassare rapidamente alcune tappe della storia repubblicana turca, in
quanto l’AK Parti nasce in un contesto sociale e politico molto particolare.
L’eccezionalismo del laicismo turco
Il periodo di modernizzazione
All’inizio del ventesimo secolo la Turchia rappresentava il cuore dell’Impero
ottomano. Un Impero circondato da forze imperialiste che avevano mire
espansionistiche ai suoi danni. L’Impero, per resistere agli attacchi, aveva avviato una serie di riforme, prima dell’esercito e, poi, di diversi settori dell’amministrazione e del sistema educativo. Questo “riordino” – Tanzimât – riformò l’Impero anche con discreto successo. Verso la fine dell’800, Istanbul
era una città in rinascita che attraeva anche molti immigrati italiani e le forze
armate erano in parte riuscite a fermare l’espansione e ad ostacolare l’avanzata dei paesi imperialisti. Questo movimento di riforma aveva anche acceso
un dibattito sul modo di portare avanti le riforme. Da un lato vi erano coloro
che chiedevano provvedimenti radicali sul modello occidentale che riguardassero l’acquisizione delle scienze e della tecnologia ma anche la cultura e,
perché no, la morale e l’etica europea. Abdullah Cevdet (1869-1932), un noto
intellettuale di fine ’900, ebbe a dire: «non c’è nessuna seconda civiltà; la civiltà significa civiltà europea, e deve essere importata con le sue rose e le sue
spine»4. Dall’altro lato, stava sorgendo un movimento conservatore che chiedeva riforme politiche e amministrative fondate sulla cultura ottomana.
Questo movimento diede vita, per esempio, al movimento di codificazione del
diritto musulmano (le Mecelle).
Queste due correnti del movimento per la modernizzazione continuarono a
confrontarsi fino a quando gli eventi militari e politici non favorirono una visione più radicale. La contrapposizione tra il governo di Istanbul, sede del Sultanato ottomano, e il governo di Ankara, emerso dalla coraggiosa guerra di
liberazione nazionale contro i greci e contro le potenze che sostenevano l’occupazione, favorì la corrente riformista più radicale. Questa corrente andò a
costituire l’élite kemalista che, in pochi, anni costruì uno stato autoritario e
“laico”.
In una prima fase, che corrisponde alla seconda metà degli anni ’20, il regime
kemalista più che laicizzare il paese cercò di prendere il controllo sulla vita
religiosa. Un processo che, in realtà, era già iniziato nell’Impero quando le autorità politiche cercarono di limitare le autonomie delle confraternite. Già dal
1826, era iniziato da parte dello stato un processo di acquisizione dei vakıf,
ovvero delle fondazioni religiose costituite da moschee e conventi ma anche
da vere e proprie attività economiche che sostenevano l’educazione religiosa
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e tutta la classe dell’ilmiyye, dei dotti musulmani. Il controllo dello stato sui
vakıf, che si completò nel 1924, privò la religione di grandi risorse economiche e della sua autonomia.
Con la costituzione del Diyanet (o meglio del Diyanet İşleri Başkanlığı, la Presidenza per gli affari religiosi), sempre nel 1924, lo stato acquisiva il completo
controllo della religione musulmana5. Il Diyanet, in realtà, più che essere una
istituzione ispirata dal laicismo francese o, comunque, occidentale, chiudeva un processo di dinamiche di potere tra le istituzioni ottomane. Nel periodo classico lo Şeyhülislam, il massimo rappresentante dell’ilmiyye, aveva
addirittura il potere di destituire il Sultano ed era l’unico interprete dell’Islam. Successivamente era passato da autorità pari al Gran Vizir, in base all’articolo 27 della Costituzione del 1876, al grado di ministro sottoposto al
Gran Vizir dopo il 1909. Con il Diyanet abbiamo un direttorato subordinato
al governo con un ruolo più amministrativo. Solo di recente nel protocollo ufficiale delle cerimonie di stato il capo del Diyanet è stato promosso dalla cinquantunesima posizione ai primi dieci, ma non per una nuova immagine della
religione, ma perché le autorità militari sono state declassate. Il Diyanet
avrebbe dovuto anche avviare un processo di riforma della religione fortemente voluto dai riformisti musulmani. Una riforma in parte riuscita attraverso la traduzione in turco di buona parte dei testi sacri e delle funzioni relative al culto.
Il risultato di questa prima fase di laicizzazione, dunque, fu che «la percezione
kemalista del laicismo non era tanto la separazione tra stato e religione ma
il controllo dello stato sulla religione»6.
Una seconda fase di laicizzazione iniziò negli anni ’30 e tese all’eliminazione
della religione e dei suoi simboli dalla vita pubblica. Gradualmente fu proibita l’educazione religiosa e, dal 1932, fu posto il divieto sulla chiamata alla
preghiera in arabo.
Altre riforme, quali l’adozione dell’alfabeto turco-latino che sostituiva quello
arabo, il divieto dei copricapi “orientali” e l’adozione del calendario europeo
non fecero altro che contribuire ad eliminare i simboli dell’identità musulmana. A questo seguì un’opera di demonizzazione del religioso con persecuzioni giudiziarie ai maestri sufi; una nuova storia fu scritta per denigrare
l’epoca islamica e ottomana e, ancora, non mancarono i roghi di libri a carattere religioso e la persecuzione giudiziaria di figure religiose7.
Il ritorno al multipartitismo
Nella seconda metà degli anni ’40, sotto le pressioni interne e internazionali,
il regime si aprì all’opposizione e i nuovi movimenti musulmani poterono riemergere. Il nuovo sistema educativo e il nuovo panorama culturale avevano
inevitabilmente trasformato la generazione nata dopo la rivoluzione di Mustafa Kemal Atatürk (1881-1938). Intellettuali come Nurettin Topçu (19091975) e Necip Fazıl Kısakürek (1904-1983) furono molto influenti negli anni
’50 e ’60 e ispirarono molti degli intellettuali e degli uomini politici attuali.
Le origini del loro pensiero vanno ricercate negli intellettuali conservatori turchi emersi nella primo quarto del ventesimo secolo. Questi ultimi furono influenzati da filosofi francesi come Henri Bergson, i quali fornivano un’alternativa ‘scientifica’ ed europea al pensiero positivista. Poca influenza, invece,
ebbero i classici della letteratura musulmana, perché scritti in lingue non più
studiate e perché avevano perso autorevolezza negli ambiti accademici.
5. Sia sunnita, che costituisce
la maggioranza, sia nelle sue
versioni alevi. Sugli alevi non
disponiamo di statistiche ufficiali, ma costituirebbero almeno il 5 per cento della popolazione (Toplumsal Yapı
Araştırması 2006, KONDA ,
İstanbul 2006). Le confessioni
religiose riconosciute nel Trattato di Losanna del 1923 sono,
in pratiche, autonome e organizzate dalle rispettive chiese,
anche se solo recentemente la
riforma della legge sulle fondazioni ha permesso la riacquisizione di gran parte dei
beni immobili. La Chiesa cattolica romana (0,01 per cento
per cento della popolazione)
non è tra le fedi riconosciute e
vive in una sorta di incertezza
legale in Turchia.
6. E. J. ZÜRCHER, Turkey a Modern History, IB Tauris, London 2003, p. 187.
7. Un testo sulla propagazione
della paura del religioso è
quello di U. AZAK, Islam and
Secularism in Turkey, IB Tauris, London-New York 2010.
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8. M. GUIDA, Founders of Islamism in Republican Turkey,
in M. BAMYEH (a cura di), The
Social Role of Intellectuals in
the Middle East, Routledge,
London 2011.
9. Cfr. M. GUIDA, I partiti politici musulmani nella Turchia
repubblicana, in «Diritto & Libertà», n. 19, 2011, pp. 166183. Molto interessante per
evidenziare le peculiarità del
movimento politico musulmano in Turchia è Ş. MARDIN,
Turkish Islamic Exceptionalism Yesterday and Today:
Continuity, Rupture and Reconstruction in Operational
Codes, in «Turkish Studies», n.
2, giugno 2005, pp. 145-165.
Allo stesso tempo gli intellettuali musulmani avevano acquisito e fatta propria la conoscenza europea, basata su empirismo e razionalismo. Inoltre i
nuovi conservatori turchi contestavano la reinterpretazione kemalista della
storia che negava l’importanza del passato ottomano e selgiuchide, delle
grandi dinastie turche-musulmane dell’Anatolia. Partendo da queste basi,
Topçu e Kısakürek accettarono con orgoglio la loro identità turca e il ruolo
predominante dei Turchi nella storia islamica e rivendicarono il ruolo dell’Islam nella società. La prima generazione di pensatori musulmani – emersa
prima dell’avvento del kemalismo – era modernista e, generalmente, condannava il misticismo islamico (sufismo), perché ostacolava l’impegno politico dei fedeli. Topçu e Kısakürek, invece, ritornati dal periodo di studio in
Francia, incontrarono due maestri sufi che indicarono loro le priorità del
nuovo movimento: l’educazione, la morale e evitare lo scontro aperto con lo
stato8. Le confraternite, ufficialmente al bando, costituirono degli importanti
network tra giovani studenti e piccoli commercianti. Molti di questi fecero poi
carriera nelle università, nell’amministrazione pubblica o aiutarono i piccoli
commercianti ad espandersi sul mercato, creando così le basi di un nuovo movimento politico e sociale antagonista ai kemalisti.
In un’atmosfera più democratica, la necessità di acquisire il consenso favorì
inevitabilmente il ritorno della religione nella vita pubblica del paese. Già
prima di perdere il potere, il partito kemalista (Cumhuriyet Halk Partisi, Partito repubblicano del popolo, Chp), ad esempio, reintrodusse la chiamata alla
preghiera in arabo e alcune forme di educazione religiosa. Il Demokrat Parti
(Partito democratico, Dp) non esitò a rivolgersi alle confraternite per mobilitare voti, concedendo in cambio maggiori libertà e maggiore visibilità.
Lo sviluppo di movimenti politici9
La data di nascita e dell’affermazione di movimenti ispirati palesemente ai valori religiosi va posta negli anni ’60. Il rappresentante più importante di questi movimenti è senza dubbio Necmettin Erbakan, scomparso nel 2011, sul
quale è opportuno soffermarsi.
Necmettin Erbakan
Erbakan nacque a Sinop nell’ottobre 1926 in una famiglia benestante e facoltosa, suo padre era capo della sezione penale del tribunale. Questo gli permise di frequentare prestigiose scuole e di entrare nella facoltà di ingegneria
meccanica del Politecnico di Istanbul. Un’istituzione prestigiosa che sarà il
centro di reclutamento di Abdülaziz Bekkine (1895-1952), maestro di una
confraternita nakshibendi, al quale poi successe Mehmet Zahid Kotku (18971980). Erbakan divenne subito assistente universitario e fu inviato in Germania al Politecnico di Aachen per proseguire gli studi e poi alla fabbrica
Deutz per lavorare al perfezionamento dei motori diesel dei carri armati
Leopard. Nel 1953 tornò in patria e divenne professore associato. Tuttavia la
sua carriera universitaria durò ben poco. Il 1° luglio 1956 fondò, grazie ad un
contributo statale, una fabbrica di pompe diesel per l’irrigazione dal nome
“Gümüş Motor Fabrikası”. Il nome era evidentemente un riferimento alla confraternita di Mehmet Zahid Kotku, la Gümüşhanevî, e fu probabilmente lo
stesso maestro a chiedergli di realizzare un progetto di sviluppo industriale
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“autarchico”, aiutandolo nella raccolta dei fondi necessari, comprando lui
stesso le prime azioni, e nel reperimento degli azionisti.
Erbakan lasciò l’azienda nel 1963; la sua performance manageriale si può considerare essenzialmente negativa, sebbene l’esperimento fu all’origine della
sua popolarità perché primo tentativo di creazione di un’industria pesante con
tecnologie locali. Un altro di questi esperimenti fu il progetto di creare “l’automobile della rivoluzione”, una macchina completamente realizzata in Turchia. Il progetto conquistò i favori dei militari alla guida del paese dopo il
primo colpo di stato nel 1960. L’automobile, realizzata all’80 per cento con
componenti realizzati in Turchia, fu presentata con grandissima enfasi durante la festa della repubblica il 29 ottobre 1961.
I risvolti negativi del progetto furono però censurati: il previsto giro per la città
di Ankara non fu portato a termine nel luogo indicato a causa di un eccessivo
consumo di benzina. Il progetto, soprattutto per gli alti costi, non ebbe seguito.
È interessante, però, il fatto che questo simbolo dell’automobile turca rimane
un traguardo importante e simbolico, tanto è vero che il governo Erdoğan sta
promuovendo un progetto simile già da qualche anno.
Le iniziative di Erbakan gli consentirono azioni dirette nelle associazioni degli imprenditori e nel 1969 fu eletto presidente dell’Unione delle camere degli industriali. La nomina costituì un successo di grande importanza perché,
attraverso il sostegno degli imprenditori dell’Anatolia, Erbakan era riuscito
a rompere il monopolio dei grandi imprenditori di Istanbul. Molti dubbi furono avanzati sulla regolarità delle elezioni, tanto da portarlo ad uno scontro
diretto con il Primo ministro Süleyman Demirel (1924-) che lo fece allontanare dalla sede dell’Unione dalle forze dell’ordine. Nonostante le controversie l’esperienza gli aprì le porte della politica.
Alle elezioni del 1969 Necmettin Erbakan si presentò come candidato indipendente nella circoscrizione di Konya, un centro agricolo molto importante ma anche una delle prime “tigri” dell’Anatolia che volevano contrastare
Istanbul. Il quotidiano «Milliyet» lo presentò come il candidato più interessante delle elezioni del 1969, anche perché era la prima volta che un politico
criticava apertamente le istituzioni kemaliste e il laicismo nel paese. Aveva anche un linguaggio diverso al quale i media dell’epoca non erano abituati, con
riferimenti religiosi e ricco di termini “antiquati”, precedenti la riforma linguistica voluta dai kemalisti. Ma non si fraintenda: il linguaggio di Erbakan
non era quello di Osama bin Laden nei suoi discorsi pubblici; il suo modo di
parlare era molto più vicino a quello del nostro De Gasperi, con forti richiami
ai valori morali. Non bisogna neanche dimenticare che il codice penale turco
proibiva e proibisce l’uso della religione in politica, o l’utilizzazione di simboli
religiosi. Erbakan intervistato da «Milliyet» chiaramente espresse il pensiero
che l’accompagnerà nella sua lunga carriera politica:
Nel mondo ci sono tre ideologie: 1) il Comunismo... 2) il Sionismo... 3)
il nazionalismo e la difesa dei valori religiosi [mükaddesatçılığı] di ogni
nazione... Noi siamo obbligati a scegliere la terza via... La via in cui si
trova il paese oggi porta la Turchia verso il baratro... La sinistra si sta
muovendo in modo sbagliato... Un povero cittadino da solo fa la preghiera… Lo importunano... Non sanno come altro importunarlo... Che
volete; che ve ne importa del legame che quella persona ha con la reli-
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gione?... Dall’altro lato la Banca europea per gli investimenti ha accordato un prestito di trentacinque milioni per gli investimenti, che sono
stati poi distribuiti attraverso il ministro dell’industria ai loro amici di
Istanbul... Dove sono i diritti dei commercianti dell’Anatolia...10.
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10. Y. ÇETINER, Hilâfetin
Büyük Faydaları Olabilir, in
«Milliyet», 25 settembre 1969
11. Cfr. RIFAT N. BALI, Entre nationalism et islamisme: la
lente disparition de la communauté juive de Turquie, in
SHMUEL TRIGANO (a cura di),
La Fin du judaïsme en terres
d’Islam, Denoël, Paris 2009.
12. S. YALÇIN, Hangi Erbakan,
Başak, Ankara 1994, p. 331.
Erbakan cercava il consenso utilizzando due questioni di malcontento nella
periferia turca. Il laicismo kemalista aveva emarginato la componente religiosa, la quale si sentiva (e in parte si sente ancora oggi) ingiustamente perseguitata dall’élite economica, politica e culturale del paese; l’educazione religiosa – anche se reintrodotta negli anni ’50 – era sempre stata oggetto di
ostracismo e, grazie al privilegio degli aiuti statali, gli imprenditori di Istanbul erano favoriti a discapito degli intraprendenti imprenditori dell’Anatolia.
Questo malcontento porterà Erbakan a diventare parlamentare nel 1969 e
sarà all’origine dei suoi successivi successi elettorali.
Nelle parole di Erbakan non manca certo una buona dose di antisemitismo
e di antioccidentalismo. L’antisemitismo, già presente tra gli intellettuali nazionalisti che vedevano la comunità ebraica come una quinta colonna incapace di assimilarsi, è aumentato considerevolmente dopo la nascita di Israele,
nel 1948, e la traduzione in turco di autori arabi come Sayyid Qutb, negli anni
’70. A questo si aggiunge il presunto ruolo del sionismo nella diffusione del
capitalismo, che favorirebbe i grandi capitali ebraici11. L’Occidente imperialista, poi, con la sua disumana visione dell’economia e mania egemonica – nel
discorso di Erbakan – continua a rimanere una minaccia sia all’unità del paese
che all’ascesa musulmana all’interno di quest’ultimo. Erbakan per questi
motivi si è sempre schierato contro l’adesione della Turchia all’UE e ad una
politica filo-americana.Una volta ad Ankara Erbakan acquisì sicurezza e,
ancora una volta, aiutato dal movimento guidato da Kotku decise di fondare
il primo movimento politico di chiara ispirazione musulmana, il Millî Nizâm
Partisi (Il Partito dell’ordine nazionale, Mnp). Nel programma del partito
venne espressa assai chiaramente l’idea di portare avanti un’ideologia nazionalista e religiosa puntando sull’industrializzazione del paese, rinforzando
l’educazione religiosa e i rapporti con i paesi musulmani ma mettendo fine all’avvicinamento alla Comunità Economica Europea. Inoltre il programma affermava apertamente: «il nostro partito crede nel regime democratico che,
però, può fondarsi e completarsi solo in una società dove regnano la morale
e virtù»12.
Erbakan introdusse anche un nuovo metodo per la raccolta dei voti. Preferiva
ai grandi comizi piccole riunioni, meglio se fatte nelle case, dove si poteva
avere un rapporto più diretto con l’elettore. Ad aiutare gli attivisti ad entrare
nelle case erano generalmente i muezzin o gli imam della zona o altri religiosi
che godevano già della fiducia delle comunità locali. Nei villaggi si agiva in
modo analogo. Gli attivisti del partito visitavano i villaggi e si parlava solo di
religione nella prima visita ma si lasciava in dono un mangianastri, ovviamente corredato con le cassette dei discorsi di Erbakan13. Il partito, in questo modo, vinceva la tradizionale diffidenza dell’elettore turco, più favorevole
ad una chiacchierata informale davanti ad una tazza di tè, avvicinando così
alla politica una più vasta percentuale della popolazione che generalmente si
sentiva emarginata.
Un’altra innovazione del partito fu quella di creare un’alleanza tra tre diversi
gruppi religiosi: il primo, e forse dominante, fu quello di Kotku; il secondo
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era quello dei nurcu, il movimento che si rifà a Said Nursî (1878-1960) che
fino ad allora aveva appoggiato il Dp e, poi, il suo successore lo Adalet Partisi (Partito della giustizia, Ap). E furono proprio parlamentari nurcu dell’Ap
che permisero al Mnp di avere una rappresentanza maggiore in parlamento;
il terzo gruppo era quello dei kadiri, un’altra confraternita religiosa in declino
ma che ancora negli anni ’60 e ’70 poteva mobilitare qualcosa come duecentomila o duecentocinquantamila voti nel paese14.
Il partito ebbe, però, vita breve. Il colpo di stato del 1971 portò alla sua chiusura da parte della Corte costituzionale per attentato alla laicità dello stato.
Dopo pochi mesi dalla chiusura e dopo alcuni mesi di esilio in Svizzera, Erbakan fondò il Millî Selamet Partisi (il Partito di salute nazionale, Msp). Poco
prima del ritorno in patria, Erbakan aveva fondato tra gli immigrati turchi in
Europa l’associazione Millî Görüş (Visione nazionale o religiosa)15 che diffondeva le sue idee e sosteneva finanziariamente il movimento in Turchia che, da
quel momento in poi, venne definito come Millî Görüş. È evidente che Erbakan, in Svizzera, ricevette assicurazioni dai militari, i quali dieci anni prima
senza esitazioni avevano impiccato il capo del Dp. L’interesse dei militari era
quello di favorire movimenti religiosi e nazionalisti da contrapporre ai movimenti comunisti e quello di dividere gli elettori conservatori che altrimenti si
sarebbero ritrovati nello Ap di Süleyman Demirel, disprezzato dai generali.
Nelle elezioni del 1973 il Msp ottenne l’11,8 per cento dei voti e conquistò ben
quarantotto scranni in parlamento. Il partito era euforico, ma il sistema politico era compromesso da piccoli partiti incapaci di formare una maggioranza
e l’instabilità politica perseverò fino ad un nuovo intervento dei militari il 12
settembre 1980.
In questo clima, Erbakan scelse anche di partecipare, nonostante le remore
del partito, ad una coalizione proprio con il suo oppositore ideologico, il Chp.
Nel governo presieduto da Bülent Ecevit (1925-2006), formato il 7 febbraio
1974, il Msp ottenne sette ministeri, ma l’esecutivo durò solo fino al settembre dello stesso anno. Il 1° agosto del 1977, Erbakan entrò nuovamente al governo con una coalizione guidata da Demirel e dal partito nazionalista. Anche questa coalizione, però, ebbe vita breve e cadde per un voto di sfiducia nel
mese di dicembre. La partecipazione di Erbakan ai governi creò scontento
nella base del partito, che avrebbe preferito un opposizione al sistema politico ritenuto corrotto. La nomina dei ministri del Msp, poi, favoriva il movimento di Kotku e, quindi, scontentava le altre componenti del movimento.
Presto lo stesso Kotku, che avrebbe voluto un partito più moderato e sicuramente un netto distanziamento dalle violenze di quegli anni, rimase deluso
dalla politica del partito. Ed è per questo che Kotku chiese la chiusura del movimento giovanile del partito. Poiché Erbakan non dava risposte positive,
Kotku iniziò a promuovere i fratelli Özal alla guida del partito. Korkut (1929), che era figura di spicco, cercò di convincere i quadri del partito a favorire
il fratello maggiore Turgut (1927-1993) alla guida del movimento e Turgut,
da parte sua, puntava ad allargare la base del partito agli attivisti ed elettori
dello Ap, così da trasformare il partito in un movimento moderato di massa.
L’ANAP di Turgut Özal
Il progetto di Turgut Özal si realizzò solo nel 1983 con la nascita dello Anavatan Partisi (il Partito della madrepatria, Anap). Oltre ad essere stato molto
vicino sia a Bekkine che a Kotku, Özal fu influenzato anche dal nazionalismo
13. S. YALÇIN, Hangi Erbakan,
Ba ak, Ankara 1994, p. 331.
14. Ivi, pp. 106-108.
15. Il termine millî viene sempre tradotto come “nazionale”
che è l’accezione del turco moderno, anche se in turco riformato si userebbe la parola ulusal. Un turco religioso intende,
però, la parola non come “nazionale” ma come religioso,
che è poi il significato originale della radice araba e che è
presente, per esempio, nel versetto II:130 del Corano nel
quale si parla della «religione
di Abramo» (millatu Ibrahim). Questo non significa,
però, che non vi sia influenza
sul movimento del nazionalismo turco-islamico di Topçu.
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16. E. KALAYCIO LU, The Motherland Party: The Challenge
of Institutionalization in a
Charismatic Leader Party, in
B. RUBIN e M. HEPER (a cura di),
Political Partiesin Turkey,
Frank Cass, Portland 2002; M.
GUIDA, Turgut Özal and Islamism in Turkey, in «Hamdard Islamicus», n. 28, 2005,
pp. 11-20.
di Topçu. Özal fu anche l’autore di un importante programma di riforma economica, approvato dal governo Demirel il 24 gennaio 1980, che liberalizzava
l’economia turca, e fu anche ministro dell’economia nel governo tecnico voluto dai militari. Seppure con la fedina leggermente sporcata da una marginale partecipazione al Msp e legami con il circolo di Kotku, nessuno ostacolò
Özal anche perché molto probabilmente i militari – così come controllavano
il paese da tre anni – pensavano di poter controllare l’opinione pubblica.
I militari si sbagliavano. La voglia di democrazia dei cittadini turchi e un partito catch-all come l’Anap portarono Özal a divenire Primo ministro e avviare
un programma di riforme liberali della politica e dell’economia. I quadri dell’Anap venivano in parte dal dissolto Ap e dallo Msp. Anche se Kotku morì
due mesi dopo il colpo di stato, anche i membri della sua confraternita si attivarono per sostenere l’Anap. Özal con il suo partito voleva incarnare la società media e rappresentare le quattro ideologie più popolari nel paese: Islam
(sunnita), nazionalismo, liberalismo e social-democrazia. Anche se difficili da
gestire, queste quattro ideologie furono mantenute insieme dal pragmatismo
tipico di un ingegnere come Özal e dai buoni risultati elettorali dei primi anni.
Quando però Özal fu eletto Presidente della Repubblica nel 1991, e dopo che
in un referendum i politici degli anni ‘70 furono riammessi nella vita pubblica
nel 1987, il partito entro in crisi: sino a sgretolarsi pochi anni dopo la morte
prematura di Özal nel 199316.
Il Refah Partisi
La morte di Özal favorì il ritorno ad una politica di polarizzazione e al conflitto
tra i tre principali leader politici degli anni ’70: Ecevit, Demirel e, ovviamente, Erbakan. Anche se privato dei diritti civili fino al 1987, nel 1983 Erbakan aveva promosso la creazione di un nuovo partito, il Refah Partisi (Partito
della prosperità, Rp). Il partito non era molto diverso ideologicamente dai precedenti. Erbakan non ebbe neanche troppi problemi a riconquistare il consenso delle confraternite che, anche se beneficiavano di un sistema politico e
sociale più liberale introdotto dallo Anap, si sentivano minacciate dal capitalismo non solidale e dall’intellighenzia kemalista. Il successore di Kotku, Esad
Coşan, ben presto si schierò con Erbakan, provocando una scissione tra i propri membri e perdendo molto consenso. Ma nel 1993, così come aveva tentato
di fare il suo maestro pochi anni prima, promosse un cambio dei dirigenti: questa volta, però, non si chiedeva l’allontanamento di Erbakan, ma solo di affiancargli nomi come Korkut Özal, Abdülkadir Aksu e Cemil Çiçek (questi ultimi due oggi membri del governo Erdoğan). Ancora una volta Erbakan riuscì
a sconfiggere i tentativi di ledere la sua leadership, ma perse l’ennesima occasione di trasformare il Rp in un partito moderato.
Grazie agli ottimi risultati delle elezioni del 1995, Erbakan riuscì a consolidare il proprio consenso e divenne Primo ministro alleandosi con la nuova formazione politica che si rifaceva a Demirel. Il colpo di stato “morbido” del 28
febbraio 1997 fece cadere il governo Erbakan e diede un duro colpo al movimento politico islamico. Grazie a questa trasformazione emerse una nuova
importante corrente guidata da Abdullah Gül e da Erdoğan.
Recep Tayyip Erdoğan
Erdoğan è nato ad Istanbul il 26 febbraio 1954 da una famiglia da poco immigrata dal Mar Nero in una delle più antiche “periferie” degradate della me-
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tropoli turca. Nonostante le difficoltà economiche, Erdoğan riuscì a frequentare il liceo – frequentò l’İmam Hatip Lisesi, il liceo per formare gli imam
– e a conseguire una laurea in economia. Anche lui influenzato da Kotku, al
liceo iniziò la sua carriera politica, nell’Unione nazionale degli studenti turchi (organizzazione vicina alle idee di Kısakürek), in cui divenne rappresentante degli studenti liceali e presidente delle sezioni giovanili nel partito di Erbakan.
Nel 1985, quando il partito si riorganizzò sotto il nome di Rp ed iniziò l’ascesa
alle amministrazioni locali, Erdoğan divenne capo della sezione di Istanbul
e membro del consiglio direttivo del partito. Fu anche eletto parlamentare nel
1991 e poi sindaco della grande municipalità di Istanbul nel 1994 con il 25,2
per cento dei consensi.
I successi alla guida della città non fecero altro che aumentare la sua popolarità. Istanbul, prima che Erdoğan diventasse sindaco, era una città sovrappopolata cresciuta senza un piano regolatore, con il 45 per cento degli edifici
abusivi e infrastrutture inesistenti (tanto che i trasporti erano al collasso e le
interruzioni di corrente e di acqua erano all’ordine del giorno). Erdoğan è
stato capace di avviare un’opera di ricostruzione (ancora in corso) di numerose infrastrutture che vanno dalle condotte dell’acqua alle fognature, dalla
rete tranviaria e metropolitana, alla realizzazione di sottopassaggi e gallerie,
dalla ri-pianificazione urbana alla costruzione di case popolari, migliorando
la vita dei cittadini. Allo stesso tempo egli ha promosso la costruzione di parchi e centri culturali e ha favorito la costruzione di grandi centri commerciali.
Parchi pubblici, come la collina di Çamlıca, un tempo riservati alle élite con
locali che vendevano alcolici, con Erdoğan furono aperti alla gente comune,
attraverso una politica dei prezzi controllata, restringendo il consumo degli
alcolici17. La creazione di spazi pubblici aperti alle masse favorì la partecipazione delle donne alla vita pubblica e l’inserimento delle masse immigrate nel
sistema economico e sociale della città prima segregate e assenti dalla vita associativa.
Il 28 febbraio 1997
Erdoğan si andava ormai affermando a livello nazionale quando i militari imposero una sterzata laica al paese. Il Consiglio di Sicurezza Nazionale, l’organo
costituzionale che si occupa della sicurezza nazionale dominato all’epoca dai
generali, il 28 febbraio 1997 sottopose al governo una lista di raccomandazioni
(dal sapore di diktat) nelle quali si chiedeva di prendere provvedimenti per
limitare l’influenza di attivisti musulmani sull’economia, sull’educazione
pubblica e privata, e sulle istituzioni pubbliche. Erbakan tentò di resistere al
governo e il 20 maggio sopravvisse ad un voto di sfiducia. Ma i militari e l’apparato kemalista mandarono un altro messaggio inequivocabile il giorno
dopo: il Rp fu rinviato a giudizio per attività criminali e attentato ai principi
del kemalismo. Il giudizio si concluse dopo pochi mesi con la chiusura del partito da parte della Corte costituzionale. Erbakan fu privato dei diritti civili per
cinque anni. Erdoğan fu condannato al carcere da un altro tribunale per aver
letto una poesia in un comizio nella città di Siirt nel dicembre 1997 che, secondo i giudici, incitava alla violenza in nome della religione. Non importava
il fatto che la poesia fosse stata scritta da uno dei padri fondatori del kemalismo, Ziya Gökalp (1875-1924). Le società “verdi” (quelle conservatrici dell’Anatolia) furono escluse dalle gare pubbliche e penalizzate da una burocrazia
17. Il divieto dell’uso di alcolici
nei locali di proprietà del comune non è una riforma secondo i principi islamici, ma è
un modo per aprire i locali alle
famiglie e alla popolazione più
in generale rispettandone i costumi. Non è raro ad Istanbul
vedere scritte sulle insegne dei
ristoranti che dicono «abbiamo un salone per famiglie»
(aile salonumuz var), che in
realtà significa che non si servono alcolici e non si gioca
d’azzardo, quindi donne e
bambini sono ben accetti. Altrimenti donne e bambini sarebbero privati del diritto di
accedervi. In Turchia, i caffè e
i luoghi che servono alcolici
sono luoghi aperti generalmente solo agli uomini adulti.
Paradossalmente nell’epoca
AK Parti la produzione e il
consumo di birra e vino sono
aumentati (Statistical Indicators 1923-2010, TÜIK, Ankara
2011).
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18. BA YEŞILADA, The Virtue
Party, in B. RUBIN, M. HEPER,
Political Parties in Turkey, cit.
19. Ü. CIZRE (a cura di), Secular
and Islamic Politics in Turkey:
the Making of the Justice and
Development Party, Routledge, London 2008; W. HALE,
E. ÖZBUDUN, Islamism, Democracy and Liberalism in Turkey: the Case of the AKP, Routledge, London 2010.
asfissiante. Una simile punizione fu imposta anche al sistema privato di
scuole musulmane che erano fiorite negli anni precedenti. Una campagna
stampa, infine, denigrò i movimenti islamici e favorì una vampata di orgoglio
kemalista nel paese.
Da parte sua, il Rp si trasformò in Fazilet Partisi (Partito della virtù, Fp) guidato da un fedelissimo di Erbakan, Recai Kutan18. Cercando di approfittare
del fatto che Erbakan era costretto a rimanere lontano dal partito, un gruppo
di “innovatori” (yenilikçiler) guidato da Abdullah Gül tentò nel congresso del
maggio 2000 di emarginare Kutan e il suo gruppo dei “tradizionalisti” (gelenekçiler). Gli “innovatori” non riuscirono a prendere controllo del nuovo
partito e decisero quindi di formare l’AK Parti che poteva già vantare cinquantuno parlamentari fuoriusciti dallo Fp.
L’AK Parti19
Il colpo di stato “morbido” del 28 febbraio aveva mostrato ai movimenti islamici la loro fragilità. Da quel momento in poi il business “verde” andò alla ricerca di un movimento politico moderato che evitasse uno scontro diretto con
l’establishment kemalista ma che iniziasse anche ad adottare un pragmatismo
liberale. Erbakan con la sua retorica di costruire il mercato unico islamico,
una volta al governo generò diffidenza in Occidente, molte perplessità in
Oriente e nessuno contratto per le società turche che desideravano la crescita.
Il movimento di Kotku perse influenza dopo la morte del maestro e non riuscì più ad avere un peso politico rilevante. Al suo posto emersero gruppi come
il movimento di Fethullah Gülen (1941-), che non è una tariqa ma un organizzazione molto più aperta che si dedica all’educazione (privata) e ha una rete
di imprenditori che comunque chiedono stabilità politica. Nacque anche
una nuova borghesia conservatrice che chiedeva maggiori spazi nella vita politica e maggiori libertà all’interno dei principi islamici. Le donne di questa
borghesia, ad esempio, hanno ricevuto un’educazione in ottime università e
pretendono un ruolo nella società, ma allo stesso tempo sono devote e si velano, magari con foulard di Hermès o di Gucci. L’AK Parti rappresenta questo spirito di cambiamento e ha aperto il partito a queste nuove forze.
Dal punto ideologico, Erdoğan ha riformulato una nuova versione di Anap,
escludendo i socialdemocratici e dando un’enfasi al nazionalismo turco-islamico, ovvero il nazionalismo che da maggiore importanza alla religione.
Quindi un movimento moderato ma conservatore, volto a costruire ottime relazioni con l’Unione Europea ma anche a risolvere i dissidi con i paesi confinanti. Con la crisi economica del 2008, il governo ha dato sempre più spazio
ai mercati emergenti concentrandosi, da un lato, sui paesi del Golfo (giacimento di liquidità), e dall’altro, sui nuovi mercati emergenti come Brasile,
Russia e Estremo Oriente. Così come l’Anap, l’AK Parti ha promosso un
programma di liberalizzazione politica ed economica favorendo un incredibile sviluppo del paese. Su questioni sensibili come l’educazione religiosa o il
ruolo dei militari, il governo ed il partito si sono mossi sempre con i “piedi di
piombo” anche se con il consolidamento dei risultati elettorali i militari sono
stati esclusi quasi del tutto dalla vita politica e stanno perdendo molti dei privilegi economici e sociali. Anche l’establishment kemalista ha perso forza e,
dopo il Rreferendum del 2010, si è visto sottrarre anche il monopolio delle alte
corti, perdendo il controllo sull’ultimo “lucchetto” istituzionale previsto dalla
Costituzione del 1982 (anche questa in procinto di essere cambiata).
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Un partito islamista, non-islamista, post-islamista?
È, a questo punto, il caso di fare una riflessione sulla natura dell’AK Parti partendo da una riflessione sulle parole, che mancano nella letteratura scientifica in italiano. In italiano è difficile trovare, infatti, una parola che ben definisca questi movimenti politici. In turco, il movimento intellettuale nato
nella seconda metà del ’900 con l’obiettivo di islamizzare la vita pubblica e le
istituzioni politiche e di adoperare la religione come ideologia, già dagli anni
venti, venne chiamato İslâm-cı-lık (islam-ismo). Il termine “islamismo” in italiano, però, indica la religione che si rifà al Corano o alla disciplina che studia questa religione anche se nel linguaggio giornalistico – fortemente influenzato dal giornalismo di lingua inglese – si è iniziato a tradurre Islamism
con islamismo. Anche noi per praticità e semplicità, seppur consapevoli del
pericolo di equivoci e del biasimo dagli esperti, useremo i termini “islamismo”
e “islamista”, non riferendoci allo studioso della religione ma all’ideologia politica.
Dunque, secondo alcuni l’AK Parti sarebbe un partito islamista. Molta della
stampa di sinistra in Turchia accusa il governo di essere islamista e di avere
una visione conservatrice e bigotta della famiglia. Periodicamente il Primo ministro, ad esempio, chiede alle famiglie turche di fare almeno tre figli. Allo
stesso modo il governo viene accusato di non agire contro la violenza domestica. Queste sono, però, accuse pretestuose. Molto probabilmente Erdoğan
preferirebbe una famiglia conservatrice ma la richiesta di procreare di più in
Turchia è una necessità pratica, visto che la popolazione giovanile nel paese
va decrescendo ed invecchiando rapidamente, fenomeno che potrebbe rallentare la veloce crescita economica. La questione della violenza domestica
è fortemente ideologica. L’AK Parti ha inasprito le pene per il reato di violenza
sulle donne. È vero, certo, che il numero di crimini denunciati sulle donne è
in crescita. Questo avviene non perché la violenza domestica sia in aumento
a causa dell’incuranza o connivenza del governo e delle forze dell’ordine. Al
contrario, le donne tollerano meno la violenza domestica e denunciano di più
gli aguzzini invece di subire umiliazioni. Infatti, il livello di istruzione delle
donne è aumentato considerevolmente, sono più autonome perché hanno accesso al mercato del lavoro e, infine, i comuni sono obbligati per legge a fornire rifugi per coloro che scappano di casa.
Quella che molto spesso viene presentato come una politica islamista è la
nuova politica estera della Turchia. O meglio, la politica di eksen kayması (lo
spostamento dell’asse della politica estera turca) fortemente voluta da Ahmet
Davutoğlu (1959-). Secondo gli oppositori, la Turchia starebbe abbandonando gli alleati occidentali per dedicarsi maggiormente alle relazioni con i
paesi musulmani. Questo era, in realtà, il modello di politica estera di Erbakan, criticato da esimi intellettuali musulmani come Sabahattin Zaim (19262007). Nonostante la retorica del ministro degli esteri, lo spostamento è
frutto della convinzione che l’asse mondiale si stia spostando sempre più dall’Europa verso i paesi dell’Asia, dell’America latina e dell’Africa. In realtà la
Turchia nel 2011 ha esportato verso l’Europa dei quindici beni per un valore
di 37,5 miliardi di euro, più che raddoppiando le proprie esportazioni dal
2002. Tuttavia, dal 2002 al 2011 le esportazioni verso l’Africa sub-sahariana
o l’America latina, ad esempio, sono aumentate rispettivamente del 500 per
cento e del 1000 per cento. Certo il valore complessivo non raggiunge ancora
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20. http://www.tuik.gov.tr/
jsp/duyuru/upload/vt/vt.htm
21. I. YILMAZ, Beyond Post-Islamism: Transformation of Turkish Islamism Toward ‘Civil
Islam’and Its Potential Influence in the Muslim World,
in «EJEPS», n. 1, Estate 2011,
pp. 267-268.
22. E. KALAYCIO LU, A . ÇARKOĞLU, Turkish Democracy Today, IB Tauris, London 2007.
23. Cfr. Ö CAHA, M. GUIDA, Türkiye’de Seçim Kampanyaları,
Orion, Ankara 2011; M. GUIDA,
T. TUNA, Centre-Periphery Divide as a Key to Understand
Electoral Choices in Istanbul,
in «EJEPS», n. 2, inverno
2009, pp. 129-143.
le esportazioni verso l’Europa, ma si tratta sicuramente di un mercato in forte
espansione con notevoli possibilità di sviluppo. Non va inoltre esclusa l’ostilità dei governi della Merkel e di Sarkozy che dal 2005 si sono mostrati in più
occasioni avversi alla Turchia creando un clima sfavorevole all’espansione del
business turco.
Un discorso a parte può essere riservato al Medio Oriente verso il quale le
esportazioni sono passate dal 2002 al 2011 da un valore di 3,6 miliardi di euro
a 20,1 miliardi di euro, avvicinandosi molto alle esportazioni verso l’Europa
occidentale20. Per quanto riguarda Israele, con la paralisi del processo di
pace, l’“Operazione piombo fuso” e il governo di Netanyahu il paese è diventato sempre più impopolare e le iniziative di protesta sono sempre più aumentate. Per un governo che deve rispondere sempre di più all’opinione
pubblica la critica di Israele era inevitabile. C’è anche da dire, però, che il governo è stato contento di sacrificare le proprie relazioni con Israele per acquisire maggiore popolarità in patria e nel mondo musulmano dove Erdoğan viene sempre più accolto come un eroe.
Altri hanno affermato che l’AK Parti non sia per nulla un partito islamista.
İhsan Yılmaz, ad esempio, afferma che il partito, piuttosto che ai valori dell’Islam, si rivolge a valori universalmente riconosciuti come diritti umani, democrazia e libero mercato e ha avuto la capacità di mobilitare voti trasversali
coinvolgendo tutte le classi sociali, generi ed etnie21. A questa affermazione,
si può facilmente rispondere che il voto in Turchia non è mai stato allineato
per classe o per sesso22. Il voto etnico è stato importante soprattutto dopo la
nascita dei partiti che rappresentavano la minoranza curda. Partiti che, però,
hanno sempre avuto difficoltà ad attrarre voti tra i curdi conservatori a causa
della loro natura socialista. Il voto in Turchia si allinea, piuttosto, sull’identità di gruppo (sia essa religiosa o regionale)23 e l’AK Parti ha monopolizzato
l’identità conservatrice e, ad Istanbul, quella degli immigrati, ma non è riuscito ad affermarsi quasi per nulla nelle identità opposte. Nonostante gli
sforzi, infatti, non è riuscito a conquistare la terza città del paese, Izmir, che
rappresenta l’identità laica del paese.
Se è vero, infine, che l’AK Parti ha dato molta enfasi ai valori democratici e
il governo ha dimostrato di aver migliorato considerevolmente la democrazia nel paese, c’è sempre il punto interrogativo su cosa esattamente pensino
i leader del partito. Con un esempio possiamo forse mostrare la confusione
sul significato dei principi che regna nel movimento conservatore. Così come
molti nel movimento di Erbakan, molti altri nell’AK Parti hanno fatto appello
al modello anglosassone di laicismo, il quale, però, ha ben poco da insegnare.
Se il riferimento è al Regno Unito, l’esempio sarebbe paradossale perché, nonostante la grande tradizione di tolleranza e democrazia, la Regina è, allo
stesso tempo, capo dello stato e della chiesa anglicana e quarantaquattro arcivescovi siedono di diritto nella House of Lords. Se, invece, il riferimento è
agli Stati Uniti ci si rivolge ad un contesto dove nessuna confessione detiene
il monopolio della religione e comunque nessuna confessione religiosa supera
il 30 per cento della popolazione. Insomma si tratta di due modelli che difficilmente potrebbero essere emulati da una Turchia musulmana.
Bisogna in ultimo anche ricordare che Recep Tayyip Erdoğan parla di democrazia e laicismo ma non manca di fare riferimento al dovere dello stato
di insegnare «valori nazionali, spirituali [millî, manevî değerler]» ai giovani.
Anche se non specifica esattamente quali siano questi valori, il riferimento al-
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l’educazione morale islamica è implicita. Anche se va osservato che in questi
anni il curriculum scolastico non è stato modificato in questo senso e il culto
di Atatürk è ancora parte integrante di ogni scuola di ordine e grado. Le posizioni di Erdoğan più che leggersi come una sorta di schizofrenia vanno intese, a nostro avviso, come una forma di post-islamismo.
Cos’è il post-islamismo?
Secondo la definizione di Asef Bayat, che per primo ha proposto questa definizione pensando inizialmente al contesto iraniano, il post-islamismo è
proprio la conclusione dell’islamismo che si è dimostrato inadeguato a conquistare e detenere il potere perché non ha saputo creare un vasto consenso.
Un approccio pragmatico ha invece, da una parte, favorito l’affermazione dei
movimenti musulmani con l’allargamento della propria base e, dall’altra
parte, ha forzato un compromesso ideologico.
Il post-islamismo non è né anti-islamico, né non-islamico, né laico.
Rappresenta, piuttosto, il tentativo di fondere religiosità e diritti, fede
e libertà, Islam e libertà. È il tentativo di rovesciare completamente i
principi fondamentali dell’Islam enfatizzando i diritti invece dei doveri,
il pluralismo al posto di una sola voce autorevole, la storicità piuttosto
che le scritture immodificabili, il futuro piuttosto che il passato. Si
batte per sposare l’Islam con le scelte individuali e la libertà, la democrazia e la modernità (qualcosa che i post-islamisti rimarcano), per raggiungere quello che alcuni studiosi hanno definito “modernità alternativa”. Post-islamismo è espresso nel riconoscimento di esigenze laiche,
nel liberarsi dalla rigidità, nell’abbattere il monopolio della libertà religiosa. In breve, mentre l’islamismo è definito dalla fusione della religione con la responsabilità, il post-islamismo enfatizza la religiosità con
i diritti24.
A forzare questo compromesso sono stati fondamentalmente tre fattori: il fallimento del progetto islamista, i cambiamenti sociali e il contesto globale. Il
progetto politico di Erbakan, come abbiamo visto, ha contribuito a creare
maggiori tensioni nella società turca e non è mai riuscito ad acquisire un largo
consenso.
I cambiamenti sociali sono molto importanti e vale forse la pena di soffermarci. Dagli anni sessanta in poi la società turca ha conosciuto un rapido processo di urbanizzazione. Questo processo, da un lato, ha fatto in modo che le
condizioni socio-economiche della popolazione migliorassero; dall’altro, ha
portato la “periferia” marginalizzata verso il centro del paese. L’educazione ha
permesso anche il rafforzamento di questa “periferia”, che si è inserita nel
mondo economico e nell’amministrazione statale. Da qui è nata una nuova
élite intellettuale ed economica con nuove pretese. Il 28 febbraio 1997 ha costituito per queste élite un forte colpo. Il sistema di scuole privato gestito da
diverse confraternite (oggi la più importante è quella legata a Fethullah Gülen) è stata tartassata dalla burocrazia e da frequenti attacchi da parte dei media. Aziende come la Ülker, che opera nel settore alimentare ed oggi è molto
vicina al primo ministro e al ministro degli affari esteri, è stata esclusa da tutti
gli appalti e le aste. Nessuna di queste lobby, oggi, potrebbe permettersi un
clima di scontro o di incertezza creato da una eccessiva ideologizzazione.
24. A . BAYAT, Making Islam
Democratic, Stanford University Press, Stanford 2007, p.
11. Si veda anche dello stesso
autore What is Post-Islamism?, in «ISIM Review», n.
16, autunno 2005.
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25. Come quello di D. RODRIK,
Il tramonto della democrazia
in Turchia, in «Il Sole 24
Ore», 22 novembre 2011.
26. KD. WALD, A . CALHOUNBROWN, Religion and Politics
in the United States, Rowman
& Littlefield, Lanham 2011, p.
15.
27. Cfr. D. F. EICKELMAN, Mass
Higher Education and the Religious Imagination in Contemporary Arab Societies, in
«American Ethnologist», n. 4,
novembre 1992, pp. 643-655.
28. Cfr. M. CAMPANINI, Ideologia e politica nell’Islam, il Mulino, Bologna 2008. Per una
lettura simile nel periodo medievale: P. CRONE, Medieval
Islamic Political Thought,
Edinburgh University Press,
Edinburgh 2004, in modo
particolare pp. 393-394.
Meno che mai è possibile accada alla più potente lobby, quella dei costruttori,
generalmente animata da valori conservatori, ma che abbisogna di un’economia di mercato stabile per poter prosperare. La nuova classe media conservatrice che ne è emersa, oggi, beneficia del nuovo clima economico e delle
maggiori libertà, alle quali non rinuncerebbe a favore di una società più “religiosa” ma che, allo stesso tempo, restringa le libertà individuali.
Il terzo fattore è senza dubbio il clima globale dove vi è una crescente domanda di democrazia, una maggiore interdipendenza. La Turchia è inserita
in diverse organizzazioni internazionali che le impongono una certa condotta,
pena l’isolamento politico ed economico. La diffusione dei mezzi di comunicazione di massa, infine, non ha fatto altro che aumentare le aspettative e la
domanda di libertà tra i cittadini turchi.
Nubi sul futuro?
La Turchia sembra, dunque, all’interno di un processo incontrovertibile di
apertura e trasformazione, una trasformazione proprio animata da movimenti
religiosi. Articoli allarmisti25 sono giustificati solo alla luce di forme di “orientalismo” (così come inteso da Edward Said), che sminuisce la capacità di riforma delle società musulmana, e da una scarsa conoscenza della società
turca. Certo non è chiaro quali siano realmente le convinzioni personali di Erdoğan e di molti degli esponenti del suo entourage, ma si tratta di un leader
democraticamente eletto che perderebbe, comunque, consensi qualora avviasse riforme tendenti alla limitazione delle libertà individuali. La Primavera
araba ha dimostrato, d’altra parte, che le popolazioni musulmane non sono
così apatiche come la letteratura ci aveva abituato a credere. La società civile
turca che ha elevato il proprio livello d’istruzione, di prosperità economica e
di interrelazione con il mondo, non esiterebbe a scontrarsi con l’AK Parti per
salvare la propria democrazia.
Oggi la religione stessa è diventata più plurale, in un paese dove nessuno è mai
riuscito a detenerne il monopolio di interpretazione: né il Califfo nei secoli
dell’Impero perché contrastato da diverse scuole giuridiche e confraternite,
né la Repubblica, dove il Diyanet è stato contestato dalle attivissime confraternite. Dopo gli anni ’80, la nascita di forme sempre più diffuse di “sheilahism”, ovvero di forme individuali di religiosità che molto spesso trascendono
dall’ortodossia, ha modificato l’approccio verso le autorità religiose e rinforzato l’individualismo26. Un maggiore individualismo sembrava già inevitabile
con la diffusione del sistema scolastico pubblico27 che, nell’Impero, era iniziata
già nella seconda metà dell’Ottocento. Allo stesso modo da sempre esiste un
pluralismo religioso formato da una moltitudine di confraternite e movimenti
che la Repubblica, nonostante i tentativi, non è riuscita a limitare.
Le posizioni pragmatiche dell’AK Parti, inoltre, non dovrebbero, però, troppo
stupire il conoscitore del pensiero politico musulmano. L’AK Parti sta dimostrando che la relazione tra politica ed Islam è essenzialmente “laica” dove la
migliore politica è quella che favorisce maggiormente l’interesse collettivo, legata alla prassi piuttosto che ad una lettura testuale dei testi sacri, che, tra l’altro, contengono solo poche indicazioni di massima sulla gestione della società28.
Certo il processo di democratizzazione comporterà ancora dei passaggi tesi
e dolorosi ma che vanno correttamente interpretati. I tentativi dell’establi-
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shment kemalista di mantenere il controllo dello stato e la volontà della periferia di riappropriarsi del proprio destino hanno dato il via ad una serie di
processi giudiziari in cui sono state svelate una serie di cospirazioni contro il
governo dell’AK Parti organizzati da membri delle forze armate e sostenuti
da settori della stampa e della società civile. Non sono mancate in questo contesto le scoperte di arsenali nascosti e di fosse comuni. Fatti, questi ultimi, assai dolorosi ma che l’autorità giudiziaria dovrà accertare e, eventualmente, punire,dopo averne individuato i responsabili. Il processo è ancora più doloroso
visto che la magistratura è politicizzata (spesso ostile all’AK Parti), caratterizzata da lentezza e dall’abuso della custodia cautelare (elementi che al lettore italiano non sono totalmente sconosciute).
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