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Il Papa nei «Sonetti» di Belli: tra satira e caricatura

2017

Concentrandomi in particolare su alcuni componimenti, tra cui segnalo almeno Er Papa (Vigolo 416, Vighi 420) e Li soprani der monno vecchio (Vigolo 361, Vighi 362), nel mio intervento vorrei mostrare come nei Sonetti di Belli il Papa da un lato sia un oggetto di satira ben individuato e concreto (l’inetto e prepotente Gregorio XVI) e dall’altro assurga a emblema caricaturale di una schiera di sovrani impazziti e infantili, soggiogati dal delirio di onnipotenza, suscitando così un effetto ludico.

ADI - Associazione degli Italianisti XXI Congresso Università di Firenze, 6-9 settembre 2017 Programma delle sessioni parallele Giovedì 7 settembre ore 16.45-19.00 Università degli Studi di Firenze – Scuola di Studi Umanistici e della Formazione Plesso didattico universitario, via Gino Capponi, 9 Pianoterra, Aula 1 La letteratura nella Wunderkammer di Edoardo Sanguineti: uno sguardo comico. Coordina Clara Allasia, Università di Torino [email protected] Interviene Carla Sclarandis, ADI-sd [email protected] A Torino è conservato il più vasto archivio lessicografico raccolto da Sanguineti. Al lavoro su questo archivio si sono affiancati numerosi ritrovamenti: lezioni sul montaggio cinematografico, la tesi di laurea e, dalle TecheRai, trenta registrazioni. Il progetto Sanguineti’s Wunderkammer propone, fra l’altro, una rilettura in chiave «bassa e comica» della tradizione letteraria perché la schedatura di Sanguineti non è mai immune da uno sguardo che va oltre l’attestazione lessicografica per farsi, attraverso «l’uso e il riuso» della parola, immediatamente letteratura. L’esperienza di Sanguineti’s Wunderkammer si sovrappone in parte ad Ariosto fra gli specchi del Novecento, uno dei tre progetti in cui si articola Tre motivi per dire Novecento. Compita 2.0 (Bando MIUR). Infatti Ariosto, e non è un caso che sia proprio Sanguineti a ricordarcelo, è «perno decisivo» della nostra letteratura che «vi ruota attorno per intiero, come intorno al suo sole necessario». Queste sovrapposizioni meritano una riflessione attenta in chiave didattica sui percorsi di lettura che la scuola è urgentemente chiamata a individuare fra gli autori del secondo Novecento e contemporanei. Clara Allasia, Il comico nelle teche della Wunderkammer A cinque mesi dall’inizio di Sanguineti’s Wunderkammer è possibile formulare un primo bilancio. Alla conferma di una nuova modalità di riutilizzare la parola letteraria in chiave comica privilegiando lo strumento dello spoglio lessicografico, si affianca il riuso di tutti quei “fotogrammi rubati” che compaiono nella produzione poetica e prosastica sanguinetiana. Ne nasce uno sguardo comico che investe l’oggetto a cui si rivolge e lo restituisce al lettore inestricabilmente inserito nell’universo vertiginoso dell’elaborazione sanguinetiana. Laura Nay, Università di Torino, «Il soggetto virgola, […] si appropria disinvoltamente del lessico analitico»: i «rituali» della psicoanalisi nella Wunderkammer [email protected] L’«intervista impossibile» a Freud del ’74 riassume il rapporto fra il «freudiano» Sanguineti e la psicoanalisi, disciplina che ben conosce e che carnevalizza, pur comprendendone l’importanza. Banco di prova è il racconto dei sogni, occasione per sperimentare nuove modalità narrative: nasce così il «romanzo onirico» Capriccio italiano, dal quale l’intervento prende le mosse per ripercorrere le tracce di questo inesausto rapporto all’interno della Wunderkammer. Chiara Tavella, Università di Torino, L’«acrobatismo disinteressato» di Edoardo Sanguineti nelle teche della Wunderkammer [email protected] Edoardo Sanguineti, rifacendosi ai temi chiave della poetica di Aldo Palazzeschi, in più di un’occasione si sofferma sulla figura del poeta «saltimbanco» e «figura ridente» e sulla «pedagogia del riso» come «manifesto del controdolore». L’intervento illustrerà le opinioni del critico su questi aspetti, proponendo un confronto tra i materiali multimediali inediti, conservati a Torino presso le TecheRAI, le interviste pubblicate e la produzione poetica e saggistica sanguinetiana. Mirco Michelon, Université Paris 8 Vincennes Saint Denis, Il saltimbanco salta sopra il banco: intorno allo sguardo comico poetico e al fou rire teatrale di Edoardo Sanguineti [email protected] [email protected] Scartabellando a fondo la produzione letteraria di Edoardo Sanguineti, si possono vedere realizzati i più variegati campi d’azione da parte del chierico intellettuale genovese: la poesia, la scrittura per il teatro e la musica, la traduzione, la critica. Per quanto concerne la poesia, si possono individuare tre diversi fasi: una fase tragica, una elegiaca e una comica; con questa étude s’intende mettere a fuoco l’aspetto comico presente nella poesia di Sanguineti, che coincide con la stesura di Cataletto, nella quale si viene ad affermare la figura del saltimbanco, che tanto caratterizza la “comicità” di Sanguineti, tanto da creare un netto “passaggio” dal dialogo (che si presenta come testimonianza di “piccoli fatti veri”) a una scrittura di chiacchiera, in nome di un’inclinazione ludica del testo poetico stesso. Per quanto riguarda l’aspetto teatrale, il fou rire di Sanguineti si materializza sotto diversi aspetti: il già citato tragico, quello comico e quello grottesco. Si veda a tal proposito K, che collima con un comico di natura isterica, tipica della scrittura di Kafka, ma anche del teatro di Cechov e a taluni concetti di Freud, che ritroviamo nei testi teatrali successivi; segue un comico di natura pornografica e grottesca come nel caso di Faust. Un travestimento o di Sei personaggi.com. Anche nei testi per la musica ritroviamo aspetti comici, come nel caso di Carrousel e L´armonia drammatica per la musica di Vinko Glokobar. In fondo, Sanguineti lo diceva che non c’è comico senza tragico e viceversa. Ariosto nella Wunderkammer. Un’esperienza di ricerca-azione tra scuola e università. Coordina Carla Sclarandis, ADI-sd [email protected] Interviene Laura Nay, Università di Torino [email protected] Carla Sclarandis, Liceo “G.F. Porporato” di Pinerolo, Ariosto nella Wunderkammer. Un’esperienza di ricerca-azione tra scuola e università La sedimentazione storico-figurale della lingua letteraria è oggetto di un percorso di Alternanza Scuola Lavoro con il Dipartimento STUDIUM dell’Università di Torino. L’analisi di alcuni lemmi scelti dagli studenti dal Furioso è condotta sul GDLI e sugli aggiornamenti sanguinetiani. Gli stessi lemmi sono poi indagati in diversi contesti espressivi e infine ricollocati in un reading di testi opportunamente selezionati e/o in un breve spettacolo, quali sintesi performative del percorso. Leila Corsi, Liceo “Filippo Buonarroti” di Pisa, Gli spazi reconditi dell’immaginario [email protected] Nel 1985 Calvino, includendo nei valori da salvare la Visibilità, si chiedeva quale sarebbe stato il futuro dell’immaginazione, in quella che già si chiamava civiltà delle immagini. Pensava ad una pedagogia dell’immaginazione, per “controllare la propria visione interiore”. Dopo 30 anni Locus loci potrebbe avviare un processo di riappropriazione degli spazi reconditi dell’immaginario, ripensando ad una grammatica e una semantica nuove per la costruzione di un’arte originale dell’inventare. Luisa Mirone, Liceo “Archimede” di Acireale, Il «Furioso» come “città ideale”: risemantizzare i luoghi del poema ariostesco fra i banchi di scuola [email protected] Un percorso di ricerca-azione che muove dalla ricognizione dei luoghi della narrazione ariostesca dell’Orlando furioso per reperirne il valore simbolico all’interno dell’opera, la vitalità nella narrativa successiva, il potenziale rappresentativo. Quasi fossero depositi dell’esperienza umana dello spazio geografico e dello spazio mentale, alcuni topoi vengono letti e ricomposti come luoghi di una rinascimentale “città ideale” rappresentata dal Poema, nonché riproposti quali strumenti d’accesso tanto al vissuto spaziale reale di ciascuno quanto all’immaginario collettivo. Stefano Rossetti, Liceo Scientifico “Maria Curie” di Pinerolo, Luoghi poco comuni. Riflessioni su un’esperienza didattica di attualizzazione del testo [email protected] La relazione analizza alcuni temi didattici legati al progetto di ricerca-azione: - la riflessione su modelli di storiografia letteraria utili a trasmettere il “senso della storia” - la necessità di operare scelte didattiche che consentano un lavoro equilibrato su tutti gli aspetti del patrimonio culturale degli studenti (conoscenze, comprensione, spirito critico) - il tentativo di definire la “competenza” letteraria - la valorizzazione dell’apporto soggettivo degli studenti. Pianoterra, Aula 2 Metamorfosi e metafisiche del buffone. Coordina Matteo Basora, Università di Macerata [email protected] Interviene Manuele Marinoni, Università di Firenze [email protected] Il panel intende offrire spazio su ampia scala cronologica e tematiche alla fenomenologia del buffone. Dalla presenza di soggetti comici reali nelle corti e negli spazi mondani, antichi e moderni, sino alle filosofie oscure di buffoni infernali, si intende approfondire, attraverso precisi strumenti critici (riguardanti plurime nature testuali: produzione letteraria, documentaria, artistica), il ruolo, la metamorfosi, la metafisica e l’ontologia di queste figure al margine, sospese tra ilarità e tragedia, aporetica leggerezza e naturalistica gravità. Ilaria Tufano, Università di Foggia, Il buffone nella novellistica antica [email protected] Il mio intervento si concentrerà sul personaggio del buffone nella novellistica antica. Si prenderanno in esame i buffoni del Decameron di Giovanni Boccaccio, del Trecentonovelle di Franco Sacchetti, delle Novelle di Matteo Bandello, focalizzando l’attenzione sul loro ruolo di “sanzionatori” della società e dei costumi dei singoli individui, e le modalità con cui essi si esprimono, quasi sempre afferenti al mondo carnevalesco. Matteo Basora, Figura e ruolo del “buffone” alla corte dei Gonzaga L’intervento si concentrerà sulla presenza buffone nelle Signorie padane, in particolare in quella gonzaghesca tra Quattro e Cinquecento, dove questa figura acquista un particolare rilievo fino a diventare elemento caratteristico non solo delle feste e degli svaghi, ma dell’intera cultura rinascimentale cortigiana. Manuele Marinoni, Ridere all’Inferno. Giorgio Manganelli e il Freakshow della letteratura L’intervento attraverserà alcune delle forme del meta-buffone e dell’alterazione comico-nichilistica nella narrativa manganelliana. Si cercherà di mostrare come le strategie retoriche siano spesso ombra di una strategia notturna che colpisce plurime realtà, e si forniranno alcune osservazioni sul bestiario manganelliano. Palma Incarnato, Università di Napoli “L’Orientale” – Université de Bourgogne, Soldati reduci e giullaresse [email protected] Il contributo propone l’analisi di alcuni personaggi sospesi tra buffoneria e tragedia, presenti nella prosa del secondo Novecento (Volponi, D’Arrigo). Attraverso il carattere di questi personaggi, lo studio intende presentare una connessione tra contesto storico-sociale – a partire dalla Seconda Guerra Mondiale – e la nascita di personaggi esclusi e “ai margini”. Pianoterra, Aula 3 Comicità e dissenso: affermazioni e negazioni della bellezza nella letteratura moderna e contemporanea. Coordina Antonello Fabio Caterino, Università della Calabria [email protected] Interviene Roberto Gigliucci, Sapienza Università di Roma [email protected] Il rovesciamento del canone, ovvero la sua alterazione, è alla base del meccanismo d’innesco del comico. A volte, a fronte di un apparente rifiuto della norma, v’è semplicemente il desiderio di sperimentare altri registri stilistici, giustapponendoli ai più gravi a disposizione del letterato. Altre volte, invece, si sente proprio l’esigenza di trasgredire dal succitato canone, esprimendo un dissenso ideale (o ideologico) anche dal punto di vista retorico. Nulla, in tal senso, è più canonico ed esemplare del concetto di bello. Il panel nasce nell’ottica dei cosiddetti studi sul dissenso (nel caso specifico letterario), da alcuni studiosi interessati ad approfondire i prodotti delle loro ricerche da un punto di vista multidisciplinare, appoggiandosi a discipline sorelle quali la teoria dei generi letterari e la storia intellettuale. Vanessa Iacoacci, Sapienza Università di Roma, «Le buone cose son femine, ma non pisciano»: reprobatio e goliardia nel Corbaccio di Giovanni Boccaccio [email protected] [email protected] Si vuole analizzare l’opera di Boccaccio, il Corbaccio, soffermandosi sugli aspetti comici del testo e sulla sua forma espressiva. Accennando ai precedenti della polemica misogina giullaresca e goliardica, si parla del ribaltamento della tradizione amorosa e della netta rottura con il Decameron. Tema dell’opera la bellezza «di colei che ogni demonio di malvagità trapassa», trattato con inusitata modernità. Antonello Fabio Caterino, Esperimenti lirici osceni e parodici del primo Cinquecento Si passerà in rassegna una piccola rosa di testi lirici significativi per il periodo, i quali saranno commentati alla luce delle categorie di concettismo, petrarchismo, classicismo. Particolare attenzione sarà data alle forme di coesistenza – anche interne a un unico autore – col purismo perorato da Pietro Bembo. Scopo della comunicazione è dimostrare come lusus e gravitas siano aspetti della lirica cinquecentesca assolutamente compatibili e complementari tra loro. Laura Antonella Piras, Università di Sassari, La celebrazione del brutto e dell’osceno. Rappresentazioni femminili nel Cinquecento [email protected] Saranno scelti alcuni testi del Cinquecento, consacrati alla celebrazione iperbolica e paradossa del brutto e dell’osceno, attraverso i quali si metteranno in evidenza i procedimenti retorici sottesi al rovesciamento dei modelli fissati dal petrarchismo di Bembo e dell’ideale di bellezza femminile tramandato dalla poesia lirica. Le opere selezionate mostrano – attraverso il sapiente intreccio delle fonti – un rigoroso programma poetico, del quale si tenterà di individuare le istanze ideologiche e letterarie. Anna Lisa Somma, University of Birmingham, «Tra un desiderio di donna e un desiderio di maschio»: bellezze ermafrodite e riscritture del comico nella Fiordispina (1928) di Francesco Lanza [email protected] Oggi quasi del tutto dimenticata, la Fiordispina. Favola ariostesca in tre atti (1928) di Francesco Lanza (1897-1933) rielabora l’episodio omoerotico di Bradamante e Fiordispina, già presente nell’Orlando innamorato e nell’Orlando furioso. Malgrado la presenza di elementi ampiamente sfruttati nella narrativa comica italiana medievale e rinascimentale, l’opera esibisce un’inattesa dimensione drammatica che include una problematizzazione del concetto di bellezza, in questo caso strettamente legato a quello di identità di genere. Elisiana Fratocchi, Sapienza Università di Roma, Il rifiuto della norma come necessità ideologica: i «giovanotti grassi e bollenti» di Alberto Moravia [email protected] Nei Racconti romani di Moravia alla rinuncia del bel soggetto corrisponde la scelta di un registro dichiaratamente «basso», con aperto richiamo all’opera belliana e al neorealismo cinematografico. La filiazione con il Belli non esclude cedimenti al dialetto: lingua «necessaria nei momenti di crisi» ideologica e politica. Il rifiuto della norma si risolve in una personale cifra stilistica e narratologica che ne individua la cifra comica quasi totalmente trascurata. Davide Di Poce, Sapienza Università di Roma, Il plurilinguismo come arma di dissenso poetico: i «fendenti fonici» di Jolanda Insana [email protected] Raboni che aveva scoperto il suo talento, collocava Jolanda Insana tra coloro che partecipano della «grandiosa “funzione Gadda”». L’opera di Insana (1937-2016) spicca per l’eterogeneità aggressiva del suo impasto linguistico dove l’italiano medio si mescola con il dialetto siciliano e con arditi neologismi d’autore, nell’intento di incrinare il conformismo piccolo-borghese della società italiana: «bestemmia» e «maledizione» sono le parole che furono associate a questa irriverente voce poetica. Pianoterra, Aula 4 “Riscritture comiche” nella commedia del Cinquecento. Coordina Maria Cristina Figorilli, Università della Calabria [email protected] [email protected] Interviene Pier Mario Vescovo, Università di Venezia “Ca’ Foscari” [email protected] Il panel si propone di tornare a riflettere, con nuovi contributi, sulle diverse tipologie di riscrittura comica rintracciabili nella commedia del XVI secolo, un genere che sembra porsi come spazio privilegiato delle diverse pratiche della riscrittura. E non è solo questione di riscrittura dei modelli comici dell’antichità e dei materiali narrativi e novellistici (di diversa provenienza, non solo decameroniana). È anche una questione di riscrittura dei codici della cultura “alta”. Quindi, a titolo solo esemplificativo, si può andare dalla riscrittura dei codici della lirica (basti pensare al riuso parodico del petrarchismo) a quella dei lessici dei diversi saperi della tradizione (si pensi alla parodia del neoplatonismo presente nella Calandra del Bibbiena), a quella dei linguaggi tecnici e settoriali (si pensi alla riscrittura parodica del linguaggio medico nella Mandragola). Sempre in quest’ottica, di notevole interesse appare anche il caso particolare in cui il genere “riscrive se stesso”, nel senso che alcune commedie, soprattutto della seconda metà del secolo, mettono in atto consapevoli operazioni di riscrittura parodica degli schemi convenzionali dei modelli primocinquecenteschi. Gli interventi dovranno presentare casi concreti e interrogarsi su strategie e modalità che guidano le operazioni di riscrittura. Stefania Giovanna Mallamaci, Università della Calabria, “Metamorfosi” a confronto: due casi di riscrittura di Apuleio nella commedia di primo Cinquecento [email protected] [email protected] Attraverso il confronto tra Le Noze di Psyche e Cupidine di Galeotto Del Carretto ed il Formicone di Publio Philippo Mantovano ‒ due riscritture drammaturgiche di episodi delle Metamorfosi apuleiane – la comunicazione intende riflettere sulle differenze rintracciabili tra le strategie di rielaborazione dei materiali novellistici attuate da commedie di stampo tardoquattrocentesco, del tipo de Le noze, rispetto a quelle proprie della stagione del teatro regolare, inaugurata appunto dal Formicone. Alessandra La Neve, Università della Calabria, Riscritture comiche: la novellistica nel Filosofo e nell’Ipocrito di Pietro Aretino [email protected] Con questa comunicazione si vuole riesaminare la questione del riuso del materiale novellistico nelle commedie di Aretino. Si concentrerà l’attenzione sul Filosofo, analizzando sia le modalità con cui lo scrittore attua la conversione scenica di Decameron II 5, sia le tante suggestioni provenienti dalla raccolta boccacciana. Inoltre verrà dato rilievo ai debiti che Aretino contrae con testi più recenti, come la novella XXXIII del Novellino di Masuccio Salernitano e La Giulietta di Luigi da Porto. Matteo Leta, Université Paris IV Sorbonne, La riscrittura comica del rituale magico nel teatro cinquecentesco [email protected] La comunicazione analizzerà le riscritture parodiche del rito magico presenti nella commedia italiana del Cinquecento. Si studieranno i personaggi coinvolti nelle pratiche burlesche, soffermandosi sulle caratteristiche fisiche, psicologiche e linguistiche del ciarlatano e delle sue vittime, cercando di risalire ai tópoi più comuni. Il rituale ciarlatanesco, infatti, costituiva un motivo molto diffuso nella letteratura europea e s’inseriva in un’epoca di ampia riflessione sui poteri della magia. Carolina Pini, Scuola Normale Superiore di Pisa, Giovan Battista Gelli e il rovesciamento della lettura canonica del mito di Circe [email protected] Giovan Battista Gelli nel 1549 propone un divertente e paradossale rovesciamento della lettura canonica del mito. Odisseo nel momento di lasciare Circe, ottiene il permesso di interrogare i Greci sulla loro volontà di essere liberati dalla forma animale. Ulisse dialoga con un rappresentante di ciascuna specie, ottenendo soltanto rifiuti e argomentazioni in favore della condizione animale. Gelli, fedele all’antropocentrismo umanistico e attento a conciliarlo con l’ortodossia cattolica, chiude il dialogo con la vittoria dialettica di Ulisse e con un inno al posto assegnato alla specie umana nell’ordine provvidenziale della natura. Enrico De Luca, Università della Calabria, Dall’Amor costante all’Alessandro. Aspetti della “riscrittura” piccolominiana [email protected] Alessandro Piccolomini ripropone e consolida il gusto del romanzesco e del patetico (inaugurato con l’Amor costante) nell’Alessandro, commedia che condivide con la prima talune fonti e non pochi stilemi ma che se ne distanzia per l’inserimento di caratteristiche non comuni alla commedia italiana del periodo. Attraverso il raffronto di alcuni passi, si cercherà di mostrare quali mutamenti siano avvenuti nella pratica scrittoria dell’autore e in che modo contribuirono al successo dell’Alessandro. Angelo Chiarelli, Université libre de Bruxelles, Un’intricata faccenda. Gli intrichi d’amore e la riscrittura in chiave parodica dei moduli narrativi della commedia cinquecentesca [email protected] Il contributo, mettendo da parte la questione attributiva, in vero non risolvibile in assenza di nuovi dati e riscontri oggettivi, si prefigge di studiare la commedia Gli intrichi d’amore con particolare attenzioni alle fonti e al riutilizzo dei moduli della tradizione comica cinquecentesca. Particolare attenzione sarà destinata al tema del travestimento, a quello della beffa e al mirabile impasto linguistico. Pianoterra, Aula 5 La polifonia comico-grottesca del teatro di Della Porta tra Manierismo e Barocco. Coordina Rosa Giulio, Università di Salerno [email protected] Interviene Emilio Russo, Sapienza Università di Roma [email protected] Le Commedie di Giovan Battista Della Porta, da L’Olimpia (1589) a La Tabernaria (1616), di grande successo scenico e di costante presenza nell’editoria, da Venezia a Napoli, da Bergamo a Roma (ora nei tre volumi dell’ESI), tra il tardo Cinquecento e il primo Seicento, pur ispirandosi ai modelli classici e non ignorando le precedenti esperienze di Ariosto, Machiavelli e Aretino, hanno una loro inconfondibile originalità, per la capacità di lettura critica degli eventi storici e la sperimentazione di nuove forme teatrali. Se si considera che molte commedie cinquecentesche presentano un andamento prevalentemente narrativo e nascono da un’ispirazione del tutto letteraria, lontana dalle vere e proprie esigenze sceniche, le opere comiche dellaportiane sono agevolmente mosse da una tecnica teatrale abile e scaltrita, in cui l’arte del dialogo, del gioco linguistico e dell’onomastica “parlante” assume un ruolo decisivo ai fini della costruzione – soprattutto in sede di realizzazione registica – di uno spettacolo vivo e brillante. Le comunicazioni afferenti al PANEL potranno pertanto mettere in evidenza come l’equilibrato impasto di motivi della tradizione letteraria e di spunti della commedia dell’arte, l’edonistico e arguto virtuosismo verbale, la forzatura espressionistica del linguaggio, la tecnica dell’«improvvisa», l’imprescindibile esigenza della recitazione riescano mirabilmente a convergere nella composita scrittura e nella duttile struttura della pièce dellaportiana, fino a caratterizzarne la ricca varietà dei contenuti e delle forme in un caleidoscopico, polifonico e “carnevalizzato” pastiche di elementi picareschi e moralistici, macabri e grotteschi. Alberto Granese, Università di Salerno, Dalla ricomposizione testuale del corpus teatrale le eccentriche forme del comico dellaportiano [email protected] Delle commedie di Della Porta, di cui non rimane alcun manoscritto autografo, avevano già fatto cenno i suoi primi biografi, da Bartolomeo Chioccarelli a Pompeo Sarnelli, attribuendogli un numero di gran lunga maggiore di opere teatrali, che avrebbero superato le trenta unità, integrando e ampliando la sua già cospicua produzione scientifica e sperimentale. La comunicazione intende, invece, avvalorare, in linea preliminare e con maggiore cautela, che si possono ritenere sicure e autentiche solo le quattordici commedie pubblicate da Gennaro Muzio, Vincenzo Spampanato e soprattutto da Raffaele Sirri in edizione critica. Si prenderà ad esempio il caso delle cinque ristampe di La Trappolaria, che presenta un’edizione bergamasca del 1596 (la princeps) completamente autonoma da quella veneziana (1597) e napoletana (1613), a loro volta diverse dalla ferrarese (1615) e dalla seconda veneziana (1628), tanto da far congetturare, oltre all’archetipo (da cui direttamente discenderebbe la stampa di Bergamo), due copie differenti, dalle quali si sarebbero generate le rispettive edizioni degli altri due gruppi. La Trappolaria fornirà quindi l’occasione di far emergere le diverse forme del comico di Della Porta, il cui polivalente ingegno trova, proprio nella ricomposizione testuale dell’intero e autentico corpus teatrale, la sua più chiara manifestazione, poiché contribuisce a fare, di questo eccentrico autore, una delle espressioni più significative della cultura manieristica. Rosa Giulio, La Napoli della Carbonaria e la Salerno dei Duoi fratelli rivali: dalla stessa poetica comica alla diversa dinamica teatrale Si analizzeranno in edizione critica due commedie di Della Porta, pubblicate a Venezia nel maggio del 1601, La carbonaria e Gli duoi fratelli rivali; quest’ultima ambientata a Salerno e uscita anche in lingua inglese, The Two Rival Brothers, a cura di Louise George Clubb (University of California Press, 1980). Si seguirà il più affidabile testo dell’editio princeps della Carbonaria (1601), in quanto le altre edizioni, sempre veneziane, del 1606 e del 1628, oltre ad alcune modeste varianti, dipendenti dal sistema fonetico locale, presentano un maggior numero di refusi, dovuti al mancato intervento dell’autore, che spesso non seguiva direttamente tutti i passaggi editoriali delle sue opere teatrali. Si metterà in evidenza che proprio dal Prologo, quasi identico nelle due commedie, in cui si articola la più importante dichiarazione programmatica dellaportiana de arte componendi comoedias, coerentemente dipendono le loro pur diverse dinamiche teatrali. Se, infatti, i virtuosismi verbali sullo scenario napoletano della Carbonaria si addentrano in tutti gli espedienti fonici e metaforici, utilizzando assonanze, consonanze, onomatopee, argutezze (come, ad esempio, il servo Forca e il parassita Panfago, che danno vita a un ritmo incalzante ed esilarante di battute, quasi incatenate per automatismo l’una nell’altra), l’impostazione dei Duoi fratelli rivali è invece più complessa, perché presenta un maggiore coinvolgimento dell’elemento comico nel drammatico e perfino nel romanzesco, in cui prevalgono i profili psicologici dei personaggi, le riflessioni politiche sulla storia salernitana, un moralismo sentenzioso, didascalico e concettoso. Sandra Celentano, Università di Salerno, Il Della Porta di Calvino e gli aspetti magico-combinatori delle commedie [email protected] Il Calvino di Se una notte d’inverno un viaggiatore e di alcuni saggi, come Il fantastico nella letteratura, sembra subire il fascino della visione ermetico-magica dell’universo, rappresentata da Della Porta nel De magia naturali, ma anche trovare un inatteso riscontro alla sua formazione illuministica nella ricerca dellaportiana di una precisione quasi ossessiva, di un linguaggio matematico come strumento per interpretare la Natura e di sempre nuove tecniche di arte combinatoria. La comunicazione intende non solo rilevare e analizzare queste componenti di precisione matematica, di abile tecnica combinatoria e di affabulazione magico-fantastica nelle diverse forme del teatro comico di Della Porta, ma anche portare alla luce il circuito ermeneutico che lo collega a Calvino, tracciandone un ideale percorso mentale. Egidio Granese, Università di Salerno, L’intreccio spettacolare della Fantesca di Della Porta dal dramma alla farsa [email protected] Tra le prime commedie di Della Porta, La Fantesca è una delle più famose, rappresentate, stampate: almeno quattro edizioni tra il 1592 e il 1610. La comunicazione rileverà la capacità dell’autore nell’equilibrarne, attraverso il divertente spiegamento dei mezzi teatrali, tutte le parti in gioco con la variegata colorazione scenica dei personaggi, costruiti con scaltrezza, derivata dalla lezione tecnica della commedia dell’arte, secondo gusto, costume e inclinazione degli spettatori di ogni strato sociale. Si metterà, inoltre, in evidenza come l’intuito spettacolare dell’autore riesca a far gravitare intorno al motore centrale dell’intreccio una girandola di imprevedibili situazioni e di paradossali dialoghi, per cui l’elemento farsesco, basato sulla peripezia, inaspettatamente trasforma un iniziale e potenziale motivo drammatico in pura e assoluta comicità. Loredana Castori, Università di Salerno, La dialettica tra misoginia e filoginia nelle commedie di Della Porta. Riscontri con il teatro di Machiavelli [email protected] L’indagine critica, associata a riscontri intertestuali, intende dimostrare che le commedie di Della Porta riflettono l’atteggiamento ambivalente dell’autore verso le donne, in una sapiente ambiguità che non è solo un gioco parodico ma coinvolge, attraverso un’opera di decodificazione che si snoda in più livelli, nel gioco combinatorio compensativo l’intero sistema strutturale e semantico dei testi. La componente misogina nella rappresentazione della figura femminile riporta esempi di ambiguità che si riflettono specularmente nella voluta esaltazione del modello opposto; due prospettive di rilevante presenza nella ricchissima letteratura teatrale rinascimentale, assurte a chiave interpretativa per comprendere i gusti, le attese e le tendenze del pubblico, in funzione di una più compiuta valutazione storica. Il rapporto dialettico tra misoginia e filoginia nella rappresentazione dellaportiana sarà confrontato anche con quello presente nelle commedie di Machiavelli. Eleonora Rimolo, Università di Salerno, Aspetti dell’ambiguitas nella Cintia di Giovan Battista Della Porta [email protected] La comunicazione mira a un’analisi strutturale e comparatistica della Cintia di Della Porta, commedia che rivela, tra le altre, l’ambizione teatrale dell’autore, attestata su un fronte culturale aperto a un uditorio ampio e indifferenziato. L’attività da commediografo di Della Porta fu dapprima un divertimento rispetto alle sue opere di natura scientifica, ma poi, come dimostra la Cintia, divenne ragionata sperimentazione: Della Porta cerca infatti di ammodernare il teatro secondo un’invenzione scenica e linguistica tutta nuova, rifacendosi alla Commedia Nuova di Menandro, a Epicarmo e a Plauto. Oltre a questi modelli, la Cintia mostra di avere dei legami innegabili con una delle opere più affascinanti, sebbene incompleta, dell’epoca flavia: l’Achilleide di Stazio. Sebbene nasca come un poema epico, il contesto metrico e contenutistico del poema staziano, molto letto nel Rinascimento, è epillico e alessandrineggiante, e l’intenzione di Stazio fu quella dichiarata di darsi in quel poema ad un’epica più leggera, slegata da ogni definizione rigida di genere letterario. L’ambiguitas che in maniera evidente lega le due opere in questione è però la presenza in entrambe di due protagonisti che fingono di avere un sesso opposto a quello che gli appartiene: nella Cintia, infatti, Amasio è un giovane ragazzo sotto abiti di donna, mentre Cintia è una giovane innamorata sotto abiti maschili; allo stesso modo nell’Achilleide, il giovane Achille è un ragazzo in amore che si finge donna, mentre Deidamia è una giovane donna vestita di abiti maschili. Nel corso della comunicazione verranno dunque analizzate le funzioni di questi singoli personaggi, la cui ambiguità sessuale rivela un’ambiguità tutta di genere e cela un gioco di rimandi alla tradizione greca e latina, non solo limitatamente al genere puro della commedia. Pianoterra, Aula 6 Filologia e maschera comica nell’umanesimo. Coordinano Loredana Chines, Università di Bologna [email protected] Interviene Paola Vecchi, Università di Bologna [email protected] La circolazione e la ricezione dei testi teatrali di Plauto e di Terenzio, di Aristofane (ma anche il Marziale degli epigrammi) fra la metà e il finire del secolo XV furono determinanti non solo per veicolare nuovi paradigmi di lingua, di stile, di elegantia, ma per la nascita di nuove prospettive ermeneutiche e conoscitive, preparando ad un tempo la grande stagione della rinascita cinquecentesca del genere comico. Il senso della maschera, del doppio, della teatralità dell’esistenza, del fluire metamorfico del reale, si annida nelle opere di tanti umanisti (si pensi solo ad Alberti, Pontano, Codro, Beroaldo, Poliziano, fino a Machiavelli e Ariosto) che leggono, copiano, emendano, commentano i testi dei classici comici, assimilandone a fondo lessico, temi, movenze che rivivono nella tessitura originale delle loro opere creative. I sales e la lepiditas dei poeti comici e festivi divengono allora una componente irrinunciabile della formazione dell’umanista nelle parole e nei gesti, nell’esperienza del testo e in quella del vivere sociale, consacrando la centralità sapienziale del motto di spirito e delle arguzie (affine, per altri versi, alla tradizione delle facezie e della novellistica). La tradizione umanistica manoscritta e a stampa dei testi comici presenta poi, in molti casi, un corredo iconografico che consente di cogliere uno spazio “visivo” della teatralità e di “scelte di regia” in rapporto dialogico e dinamico col testo tramandato. Clementina Marsico, Ludwig Boltzmann Institute for Neo-Latin Studies, Innsbruck, Le parole per dire il comico nell’Umanesimo [email protected] La commedia antica influenzò lo stile e la letteratura del ‘400. Nella riflessione teorica gli umanisti si interrogarono sulle peculiarità del linguaggio comico, adottato al di fuori dei testi teatrali per la marcata espressività realistica. Nel contributo saranno analizzate le riflessioni di due tra i maggiori teorici del secolo, Valla e Pontano, sulle parole per dire il comico (ad esempio dicax, facetus, festivus, lepidus) e sui meccanismi (linguistici e fonici) che creano situazioni di riso. Giacomo Ventura, Università di Bologna, Il Comicus per i grammatici: Plauto tra filologia e imitazione nella Bologna del primo Cinquecento [email protected] La comunicazione presenta le principali caratteristiche della ricezione di Plauto da parte dei maggiori umanisti bolognesi attivi tra Quattro e Cinquecento. Dopo una panoramica sul cimento filologico e commentario nei testi plautini operato da Giovanni Battista Pio, Filippo Beroaldo e Achille Bocchi, il contributo si sofferma sull’interiorizzazione del modello linguistico e dialogico plautino da parte di Antonio Urceo Codro. Tiziana Mazzucato Garuti, Università delle Arti di Guayaquil, La macchina terrena. Tradizione letteraria e pratica teatrale nella teoria di Leone de’ Sommi [email protected] Col termine macchina terrena, l’ebreo mantovano Leone De Sommi, autore e regista di commedie, riuscì a sconfiggere la dicotomia aristotelica testo-scena nel suo trattato Quattro dialoghi in materia di rappresentazioni sceniche (ca. 1570). La riflessione desommiana privilegia lo spazio visivo e le scelte necessarie a vivificare il testo sul palcoscenico, e studia l’effetto della messa in scena (rappresentazione, luci e musica), sull’animo del pubblico. Arianna Capirossi, Università di Firenze, Innesti comici in contesti tragici: presenze plautine e terenziane nelle tragedie di Giovan Battista Giraldi Cinzio [email protected] Nelle opere di Giovan Battista Giraldi si riscontrano molteplici riferimenti alla produzione drammaturgica di Plauto e Terenzio. Egli adduce spesso il loro esempio per giustificare le scelte stilistiche applicate alle proprie tragedie. Nel presente intervento effettueremo il censimento delle edizioni delle commedie plautine e terenziane circolanti nell’ambiente di Giraldi, nonché uno studio sistematico delle riprese, esplicite e implicite, di questi testi classici da parte dell’autore ferrarese. Pianoterra, Aula 7 Le forme del comico in Palazzeschi. Coordina Irene Gambacorti, Centro di Studi “Aldo Palazzeschi”, Università di Firenze [email protected] Interviene Simone Magherini, Università di Firenze [email protected] Il panel si propone di approfondire le diverse sfaccettature del comico nell’opera di Palazzeschi, le sue scaturigini, le sue peculiarità tematiche e stilistiche, attraverso la vasta produzione dello scrittore, da :riflessi agli anni dell’avanguardia futurista (con l’Incendiario, il Codice di Perelà, l’Interrogatorio della Contessa Maria), fino ai capolavori del genere (Sorelle Materassi, Il Palio dei buffi, Bestie del 900), e agli ultimi sorprendenti lavori, come Stefanino, anche in rapporto con esempi e modelli del genere umoristico precedenti o coevi. Laura Diafani, Università di Perugia, Palazzeschi e la scrittura umoristica dell’io, in poesia e in prosa [email protected] Studiare il diffuso e peculiare uso che Palazzeschi fa della finzione autobiografica sia nei libri di memorie (Stampe dell’Ottocento, Due e Tre imperi… mancati) che nei primi romanzi e componimenti avanguardistici degli anni Dieci, permette di accostarsi da una angolazione specifica al riso palazzeschiano e di indagare come questa scelta retorica collabora alla creazione di un comico eversivo, che spesso in questi testi scaturisce proprio dallo scarto tra lo sguardo dell’io narrante e il mondo. Ombretta Frau, Mount Holyoke College, Massachusetts, USA, Metamorfosi del comico: per una fonte di Sorelle Materassi [email protected] Il mio intervento si propone di esaminare una fonte di Sorelle Materassi, oggetto di un articolo di prossima pubblicazione. Si tratta di uno sconosciuto romanzo di Jolanda, La maggiorana, risalente ai primi anni del 900. La mia comunicazione esamina il diverso atteggiamento di Palazzeschi nei confronti delle sue protagoniste rispetto a quello di Jolanda. La lettura parallela dei due lavori dimostra che ogni qualvolta Jolanda crea situazioni in cui le sue protagoniste optano per scelte di vita ascetiche, Palazzeschi le trasforma in ghiotta opportunità per la creazione di scene dai risvolti comici e paradossali. Eleonora Preci, Università di Firenze, Travestimenti manzoniani nell’Interrogatorio della Contessa Maria [email protected] Scritto negli anni che precedono la Grande Guerra ma edito postumo soltanto nel 1988, l’Interrogatorio della Contessa Maria documenta la vena umoristica di Palazzeschi, la sua inclinazione al gioco e alla parodia. Il racconto autobiografico dell’iniziazione erotica della protagonista si configura infatti come rovesciamento comico della drammatica vicenda della Gertrude manzoniana, come strenuo rifiuto di qualsiasi costrizione sociale e familiare in nome del più spensierato istinto vitale. Ilaria Macera, Università di Firenze, Il comico palazzeschiano nelle antologie scolastiche [email protected] Nelle antologie scolastiche italiane l’immagine di Palazzeschi è spesso ridotta ad uso e consumo della didattica e i testi sono letti a partire dalla loro apparente facilità e dalla loro comicità, accolta come il frutto di un atteggiamento irriverente e ingenuo. Questo contributo intende indagare quale sfumatura del comico palazzeschiano sia stata recepita nei testi destinati alla scuola e quali strategie abbiano adoperato i curatori dei volumi scolastici per veicolarla. Serena Piozzi, Università di Firenze, Il «sorriso amaro» nelle pagine di Giusti e Palazzeschi. Due toscani a confronto [email protected] L’espressione riso «nato di malinconia» con la quale Giuseppe Giusti presenta i suoi Versi (Bastia, Fabiani, 1845) riassume in maniera epigrammatica la genesi della sua ironia. A partire dalla lettura del volume Le più belle pagine di Giuseppe Giusti scelte da Aldo Palazzeschi (Milano, Treves, 1922) e dallo studio delle fonti letterarie dello scrittore «illetterato» Aldo, si offrono alcune riflessioni in merito al rovescio negativo che si cela dietro al riso dei due toscani. Francesca Mecatti, Centro di Studi “Aldo Palazzeschi”, Università di Firenze, Palazzeschi traduttore e il gusto del comico [email protected] Attraverso puntuali riscontri testuali l’intervento si propone di verificare in Palazzeschi traduttore di Stendhal la presenza del gusto per il comico. Fra il marzo e il maggio del 1944 lo scrittore si applica infatti alla traduzione di Rosso e nero: la riformulazione del capolavoro francese intensifica le note comiche e tragiche dell’originale. Le diverse movenze si intrecciano realizzando un particolare accordo, che meglio si comprende se proiettato sullo scenario tragico della guerra. Pianoterra, Aula 9 Rima e intertestualità tra Due e Cinquecento. Coordina Federico Di Santo, Freie Universität Berlin [email protected] Interviene Marco Berisso, Università di Genova [email protected] Nell’arco del secolo scorso si assiste a un progressivo approfondimento nell’analisi di uno dei fenomeni metricostilistici caratterizzanti la poesia occidentale: la rima. Da una sua iniziale concezione prevalentemente fonica si passa dapprima, nei formalisti russi, allo studio delle sue implicazioni ritmiche, e poi all’analisi dei suoi valori semantici, soprattutto con i fondamentali contributi di Wimsatt, Jakobson e Lotman. Muovendo da tali premesse, gli ormai “classici” studi di Segre e Contini hanno dimostrato come la rima sia fattore privilegiato di intertestualità e memorabilità. Tuttora aperto a ulteriori sviluppi è inoltre lo studio della relazione fra rima e musica, fondamentale per le origini della poesia romanza e rilevante anche in seguito. Valorizzando la pluralità di prospettive che emerge dall’intreccio di tali linee di interpretazione, il panel intende indagare per campioni particolarmente rappresentativi le implicazioni metrico-stilistiche, storico-letterarie e teoriche dell’uso della tecnica rimica, focalizzandosi su momenti fondanti per la sua codificazione e poi sulle premesse della sua crisi tra Due- e Cinquecento. Si predilige un approccio multidisciplinare alla questione, che tenga conto della reciproca interazione tra i molteplici livelli del testo poetico coinvolti. Il panel si inscrive in un più ampio progetto di ricerca finanziato dalla Commissione Europea attraverso una Marie Skłodowska-Curie action e volto a produrre uno studio di ampio respiro della rima italiana ed europea, da una duplice prospettiva teorica e storico-letteraria. Federico Di Santo, La rima fra testo e melodia nel De vulgari eloquentia e la questione del “divorzio” fra poesia e musica La tesi del “divorzio” tra poesia e musica nella letteratura italiana sta andando incontro a una parziale revisione. Le indicazioni presenti nel De vulgari eloquentia sul rapporto fra testo e musica, spesso liquidate con troppa facilità, vanno dunque anch’esse riconsiderate con più attenzione. Il trattato dantesco, in particolare, ci permette di ripensare il ruolo fondamentale della rima e degli schemi di rime proprio come elemento di congiunzione fra la dimensione testuale e quella musicale nella lirica romanza delle origini (anche italiana, almeno in parte). Thomas Persico, Università di Bergamo, Comicità o tragicità per la cantio dantesca? [email protected] Nell’intervento è proposta una breve analisi del concetto di cantio nel De vulgari eloquentia in relazione sia al sistema teorico due-trecentesco, sia in relazione alle sue implicazioni musicali. Si intende quindi analizzare il ruolo di questo genere poetico a partire dai significati attribuiti da Dante a “tragicità” e “commedia”, alla luce di alcuni indizi forniti dalla tradizione trattatistica poetica e didascalica dei secoli X-XIV. Andrea Beretta, Istituto Opera del Vocabolario Italiano – Consiglio Nazionale delle Ricerche, Yrsuta vocabula tra Guittone e Dante [email protected] [email protected] Partendo dall’approfondimento del concetto di yrsuta vocabula nel De vulgari eloquentia, l’intervento vorrebbe analizzare qualche caso di possibile contatto di sistemi di rime “aspre e chiocce” tra alcuni sonetti di Guittone d’Arezzo e la Commedia di Dante Alighieri, alla ricerca di una eventuale “dannazione” in factis da parte di Dante dello stile (in rima) del più importante tra i poeti prestilnovisti. Fabio Barricalla, Università di Genova, Sulla rima pulciana. Intertestualità nel Canzoniere di Bernardo Pulci [email protected] Il presente intervento si propone di prendere in esame alcuni luoghi paradigmatici del Canzoniere di Bernardo Pulci nei quali le parole in rima non abbiano soltanto una mera funzione strutturale, ma siano anche veicolo di memoria poetica. Verrà pertanto analizzata la produzione in versi di Bernardo in cui sia chiara volontà d’autore il riuso di rime attribuibili per certo ai prediletti Dante e Petrarca. Alice Spinelli, Freie Universität Berlin, «Puerile ornamento»? Svalutazione e rivalutazione della rima tra Bernardo e Torquato Tasso [email protected] Tra i protagonisti della “questione della rima” cinquecentesca, una posizione di peculiare rilevanza spetta a Bernardo Tasso, che opta non per una totale abrogazione, ma per un mascheramento della rima per via ritmico-sintattica (specie mediante l’enjambement). Il mio intervento vorrebbe indagare modalità e sviluppi di questa scelta, proponendo contestualmente un raffronto contrastivo tra la metrica del Bernardo “epico” e le tecniche della gravitas poi messe a punto – con diversi fini, ma simili mezzi – dal figlio Torquato. Piano I, Aula 11 La città che ride e piange tra Seicento e Settecento. Coordinano Daniela De Liso, Università di Napoli “Federico II” [email protected] Francesco Saverio Minervini, Università di Bari “Aldo Moro” [email protected] Interviene Quinto Marini, Università di Genova [email protected] Nell’incipit de Le città invisibili (1972) Italo Calvino leggeva nei simboli di felicità dello sterminato impero di Kublai Khan all’acme del suo fulgore l’immagine speculare dell’infelicità che incombe sulle cose terrene, pronta a trasformare il paradiso nell’«inferno dei viventi», cui alludeva nell’explicit del romanzo. La città è, dunque, luogo di riso e pianto; nei suoi confini, che possono “costringere” o “amplificare”, si consuma la parabola umana, scegliendo una direzione piuttosto che un’altra. Nella scrittura letteraria italiana i luoghi sono, infatti, spesso strettamente legati all’evoluzione di fatti e personaggi. Nel Seicento la satira contro la città come luogo di corruzione e degenerazione dei costumi si contende la scena con una produzione romanzesca e teatrale che, dal Sud al Nord della penisola, si fa spagnoleggiante e picaresca, o moraleggiante e tragica, anche in base alla città in cui personaggi ed eventi sono immaginati e costruiti. Il Settecento tra rivoluzioni, restaurazioni e speranze di futuro costruisce il mito della città-progresso, che produce felicità, ed è luogo di riso, ma può trasformare quel riso in pianto sulle piazze che innalzano patiboli contro la libertà. Il panel si propone di indagare le forme narrative e poetiche in cui la scrittura letteraria fa della città luogo di riso e pianto, che nutre, nei suoi confini naturali ed architettonici, la condanna di un presente disperato e le speranze di futuro. Gabriella Capozza, Università di Bari “Aldo Moro”, Le città e la Commedia dell’Arte [email protected] Stretto è il legame tra Commedia dell’Arte e “città”. La condizione di “viaggiatore” del comico dell’Arte diviene elemento genetico di un teatro che si definisce in un rapporto diretto con un pubblico sempre nuovo e che spesso parla una lingua straniera. Di qui la necessità di amplificare la gestualità, inventare nuovi linguaggi, coinvolgere direttamente il pubblico. La condizione di “girovago” dell’attore segna nel profondo questo tipo di Arte, nata in Italia e affermatasi in tutt’Europa. Maria Di Maro, Università di Bari “Aldo Moro”, La nuova Babele: Napoli attraverso gli occhi di un «povero scrivano» [email protected] Il contributo si propone di analizzare la nuova immagine della città di Napoli dopo la peste del 1656 proposta da Titta Valentino nel poemetto in ottave napoletane La mezacanna co lo vasciello dell’Arbagia (1669). Traendo ispirazione dai fatti contingenti, l’autore, attraverso scene dalla comicità intrinseca, muove una pungente e mordace satira contro la vacuità della società del suo tempo, dominata dallo scatenarsi degli istinti più violenti e dall’infrazione delle norme che regolano il vivere civile. Giuseppe Andrea Liberti, Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Ridere della città. Alfieri contro il mito dell’Atene democratica [email protected] Si ride e si piange nelle città, ma anche delle città; è il caso dell’inusuale derisione di una città antica come Atene in un periodo di egemonia del neoclassico nella letteratura come nelle arti figurative. Il contributo intende illustrare le strategie retoriche e allusive con cui Alfieri sottopone a una critica serrata il mito della democrazia ateniese (allegoria della detestata Francia rivoluzionaria) nella commedia I Troppi, ideata, stesa e verseggiata tra il 1800 e il 1802. Venerdì 8 settembre ore 15.00-19.00 Università degli Studi di Firenze – Scuola di Studi Umanistici e della Formazione Plesso didattico universitario, via Gino Capponi, 9 Pianoterra, Aula 1 Gruppo tematico “Rivoluzione Restaurazione Risorgimento” Memorie e Lettere di viaggio (1790-1870). Coordinano Stefano Verdino, Università di Genova [email protected] Silvia Tatti, Sapienza Università di Roma [email protected] Interviene Giovanna Scianatico, Università di Bari [email protected] Sulla scia del panel dello scorso congresso (Scritture private) ed in affinità con il gruppo tematico RRR (Rivoluzione Restaurazione Risorgimento) si propone un’indagine sulla letteratura di viaggio del periodo, che metta a fuoco testi ed episodi di una ricca e varia fioritura nell’epoca (tra viaggiatori, diplomatici, esuli), tuttora poco esplorata nelle sue varie articolazioni. Si fa riferimento sia a libri di viaggio, sia a testi relativi al viaggio in memorie e corrispondenze edite e inedite. Campi d’indagine l’Italia (vista e scoperta dagli stessi italiani; le discussioni e polemiche italiane di rilevanti libri stranieri sull’Italia), i paesi europei, l’Oriente e il nuovo mondo. Pedro Luis Ladrón de Guevara, Universidad de Murcia, Spagna, Vicepresidente della Sociedad Española de Italianistas (S.E.I.), Scrittori spagnoli nelle terre dell’Umbria [email protected] I precedenti dei viaggiatori settecenteschi sono i pellegrini che andavano in Terra Santa: partendo dai porti di Trani e Brindisi dovevano attraversare la penisola italiana fino all’Adriatico. Fra questi troviamo Benjamin da Tudela o Pero Tafur, o il caso di Fadrique Enríquez de Ribera (1518-1519) che al ritorno viaggia lungo l’Italia e porta a Siviglia l’abitudine della Via Crucis. Proprio nel 1700 l’aristocratico di Maiorca Bernardo José attraversa l’Umbria per andare a Roma. Più tardi l’intellettuale Viera y Clavijo, che accompagna il Marqués de Santa Cruz e il fratello, ci parla di Spoleto e Terni. Molto curioso è il testo abbastanza sconosciuto di Sucesos y aventuras del joven valenciano d. Vicente Oferrall, scritta da M. de G. nel 1834. Per finire con la figura di Castelar che nei suoi due volumi introduce l’argomento di San Francesco che avrà molto successo negli autori posteriori ma che sono fuori del periodo studiato: Pardo Bazán e Blasco Ibáñez. Ilias Spyridonidis, Università “Aristotele” di Salonicco, La XLIIa lettera di Alessandro Bisani del suo viaggio in Grecia e nel Mediterraneo (1788-1789). Traduzione critica, descrizione e analisi di un episodio “comico” a Myconos [email protected] Il presente studio descrive l’edizione francese del 1791 e l’edizione inglese del 1793 del viaggio di Bisani nel mar Mediterraneo. In particolare, presenta la traduzione critica della XLIIa lettera di Alessandro Bisani del suo viaggio in Grecia prerivoluzionaria, la descrizione e l’analisi di un episodio “comico” avvenuto all’isola di Myconos. Franca Sinopoli, Sapienza Università di Roma, La «Guide littéraire» di Carlo Denina tra Germania e Italia negli anni Novanta del Settecento: una pluriforme scrittura di viaggio [email protected] Negli studi dedicati all’ampia produzione dello storico e letterato Carlo Denina una minore attenzione è stata rivolta al corpus delle sue scritture di viaggio, inaugurato a Berlino nel 1786 con le note Lettere brandeburghesi e compiutosi nel secondo decennio dell’esilio berlinese (1792-1804) con una vera e propria “guide littéraire”, un corpus dunque la cui natura poliforme e complessa per generi, temi e orientamenti offrirebbe numerosi spunti di riflessione utili a collocarne il contributo non solo nel quadro interpretativo delle opere dello scrittore ma anche all’interno del panorama europeo relativo alle scritture di viaggio. Andrea Manganaro, Università [email protected] di Catania, Foscolo e l’Italia dei Classical Tours La comunicazione ha come oggetto uno scritto minore del Foscolo “inglese”, l’articolo sui Classical Tours, del 1824, in cui sono descritti e giudicati libri di viaggiatori inglesi in Italia (Addison, Eustace, Forsyth) pubblicati tra Settecento e primo Ottocento. L’articolo appare di notevole interesse sia per l’immagine dell’Italia nei libri di viaggio inglesi, sia per il punto di vista di Foscolo, esule in Inghilterra, sull’Italia vista dagli stranieri. Rosa Necchi, Università di Parma, Descrizioni, viaggi e peregrinazioni: strategie comunicative negli scritti odeporici di Davide Bertolotti [email protected] Romanziere, pubblicista e traduttore, il torinese Davide Bertolotti (1784-1860) avviò nel 1817 una serie di propri resoconti di viaggio in Lombardia, seguiti dalle descrizioni della Savoia (1828) e della Liguria (1834). Il contributo si propone di presentare le caratteristiche generali e alcuni temi degli scritti odeporici di Bertolotti, organizzati talvolta in forma epistolare, contrassegnati da un insistito gusto pittorico e da un’attenzione speciale per la storia e le tradizioni dei luoghi descritti. Chiara Piola Caselli, Università di Perugia, L’Egitto di Muḥàmmad ῾Alī nella corrispondenza inedita del patriota Francesco Scalini [email protected] L’intervento ha per obiettivo quello di ricostruire e illustrare, attraverso la documentazione inedita (diari, corrispondenza, atti processuali), la misconosciuta vicenda biografica del carbonaro Francesco Scalini (Como, 1792- Genestrerio, 1871). Particolare attenzione sarà dedicata agli anni dell’esilio politico in Egitto (1815-1819 e 1833-1835) e alle osservazioni di Scalini sulle trasformazioni politiche e sociali attuate durante il regno di Muḥàmmad ῾Alī. Sara De Giorgi, Università del Salento, Le lettere odeporiche inedite di Alberto Fortis a John Strange [email protected] [email protected] Le otto lettere inviate nel 1771 da Alberto Fortis al londinese John Strange, diplomatico a Venezia, scienziato appassionato di archeologia, sono conservate dalla British Library. Sei sono inedite: solo due, la lettera I e la lettera III, sono state pubblicate. Il mio studio ha come oggetto l’individuazione dell’itinerario tracciato e intrapreso da Fortis in tali missive manoscritte e di alcuni passi “nodali” che riflettono il carattere di immediatezza della scrittura epistolare. Le lettere a Strange restituiscono un importante documento esistenziale e storico e riflettono, attraverso la scrittura, la personalità vivace e critica dell’esploratore. Pianoterra, Aula 3 PANEL 1 Il riso in scena: le declinazioni del comico nella commedia italiana del Cinquecento. Coordina Milena Montanile, Università di Salerno [email protected] Interviene Pasquale Sabbatino, Università di Napoli “Federico II” [email protected] Nel Cinquecento si assiste ad una vera e propria esplosione del genere comico; e non solo di commedie regolari, ma anche di forme irregolari di spettacolo (dalla commedia burlesca alla farsa). Determinante per gli autori comici fu soprattutto il bisogno di confrontarsi con la regola, sperimentando trame e situazioni in gran parte debitrici di fonti diverse, dalla novellistica di Boccaccio e di altri scrittori in volgare alla rielaborazione di temi popolareggianti, fino alla semplice riscrittura degli antichi, soprattutto di Plauto e di Terenzio, visti come modelli esemplari, in un’epoca in cui il canone dell’imitazione era vincente. Si aggiunga poi l’effetto normativo prodotto dalla scoperta della Poetica, un effetto dirompente ai fini della definizione del genere che conobbe, pur entro differenze notevoli nelle strategie di produzione del “comico”, una straordinaria fioritura per tutto il corso del secolo. Il panel proposto intende sollecitare, appunto, una riflessione sulle diverse declinazioni del “comico” nella commedia del ’500, ricostruendo per quanto possibile i meccanismi che presiedono per tutto il corso del secolo, e anche oltre, alla produzione del riso, e senza trascurare il rapporto non sempre scontato e pacifico con il testo aristotelico. Giuseppe Traina, Università di Catania, Da Lorenzino a Lorenzaccio: l’Aridosia [email protected] Ci si propone di studiare la commedia Aridosia di Lorenzino de’ Medici (1536) per individuarne i meccanismi del comico (e i loro nessi con la tradizione classica, machiavelliana e novellistica), il “sistema dei personaggi”, il rilievo assunto dal cinismo e dalla “crudeltà” nel comportamento di essi, il rapporto con lo spazio urbano, nonché le connessioni del testo con la vita del suo autore e con l’unica altra sua opera rimarchevole, l’Apologia. Irene Chirico, Università di Salerno, Il comico nella trattatistica del secondo Cinquecento: Aristotele in discussione [email protected] Nel corso del Cinquecento una generazione di scrittori di formazione umanistica elaborò un modello d’avanguardia di commedia, nel quale la classicità rimaneva sedimentata come suggestione e valore di riferimento. È il trattato di Giraldi Cinzio che incentiva il superamento delle norme aristoteliche anche relative alla commedia. Ad esso si accompagna un dibattito sul tema dei caratteri del comico, che a fine secolo, con il trattato di Angelo Ingegneri, consacra il canone della continua evoluzione della commedia nel superamento della separatezza di genere. Gennaro Tallini, Università di Verona, Dilettare, insegnare, movere «non però sì forte che, come il Tragico, perturbi». «L’officio del Comico Poeta» e «li motti, e detti piacevoli» della commedia nel II lib. dell’Arte poetica di Antonio Minturno [email protected] Quali formule produttive presiedono alla produzione del riso? Quali “affetioni” sono maggiormente utili a che, nel pubblico, si scatenino le stesse prerogative etiche ed estetiche della tragedia? Su tali interrogativi la risposta di Antonio Minturno, pur improntata al rispetto dell’assunto aristotelico, è mirata alla formulazione di una teoria estetica che indaga sui modi con cui la commedia persegue gli stessi fini estetici della tragedia, ma su di un piano diverso, meno problematico, ma non per questo meno coinvolgente per il fruitore. Carmela Panarello, Dal mito alla quotidianità, dal deus ex machina alla magia: Il Marito di Lodovico Dolce [email protected] Nel Marito la consapevolezza della dignità dell’uomo, la contrapposizione tra Virtù e Fortuna e la denuncia della spregiudicatezza degli ecclesiastici arricchiscono la comicità plautina fondata sulla dialettica degli opposti. La rappresentazione della quotidianità e il gioco del caso si sostituiscono alla solennità dei personaggi dell’Amphitruo e alla sacralità dello scambio tra divinità e uomini, mentre il tema boccaccesco della burla conferisce al dramma una valenza farsesca. PANEL 2 La scena irrisa: la satira del teatro tra Sette e Ottocento. Coordinano Marco Sirtori, Università di Bergamo [email protected] Cristina Cappelletti, Università di Verona [email protected] Interviene Duccio Torgiorgi, Università di Modena e Reggio Emilia [email protected] La commedia, come noto, è spesso luogo deputato alla satira di costume, dove i vizi della società contemporanea vengono messi alla berlina. I testi teatrali, commedie incluse, la prassi teatrale, ma anche il comportamento del pubblico a teatro, divengono a loro volta oggetto di satira, in particolare nel Diciottesimo e nel Diciannovesimo secolo. Ne sono esempi, di diversa tipologia, il Rutzvanscad il giovine di Zaccaria Valaresso, satira contro la passione primosettecentesca per le tragedie grecizzanti; o testi come Il teatro alla moda di Benedetto Marcello, in cui sono messi alla berlina i comportamenti di attori e cantanti. Il presente panel si propone di analizzare testi satirici, di diverse tipologie, che abbiano come oggetto il teatro coevo; oltre ai testi ora richiamati, potranno essere oggetto d’indagine, per esempio, gli articoli di giornale che satireggiano commedie e tragedie, le rime dei Granelleschi che prendono di mira il teatro di Chiari e Goldoni; gli innumerevoli testi satirici relativi al teatro d’opera, come l’Opera seria di Ranieri de’ Calzabigi, Prima la musica poi le parole di Giambattista Casti e le Convenienze e inconvenienze teatrali di Antonio Simone Sografi; ma anche i galatei dei teatri, dove ad essere satiricamente ritratti sono gli spettatori. Cristina Cappelletti, Intorno alla polemica Maffei-Voltaire: La naissance de Clinquant, racconto allegorico e satirico La messa in scena della Merope voltairiana segna l’inizio di una polemica con l’autore della prima Merope settecentesca, Maffei. Tra i molti scritti polemici, si intende analizzare la favola satirica di Claude Godard D’Aucour, La Naissance de Clinquant, tradotta anche in italiano. Principale argomento dell’intervento sarà l’uso satirico della favola nella tradizione francese e in quella italiana, e la sua interazione con il testo teatrale che in essa viene irriso, insieme al suo autore. Paolo Quazzolo, Università di Trieste, Una satira impietosa sul mondo del melodramma: L’impresario delle Smirne di Carlo Goldoni [email protected] Nel 1759 va in scena a Venezia L’impresario delle Smirne di Carlo Goldoni. Si tratta di una commedia in cinque atti in cui il commediografo offre un’impietosa satira sul mondo del melodramma. Con sottile ironia è descritto un universo di grandi miserie, roso dall’invidia, percorso da una concorrenza sleale, caratterizzato dal tentativo di apparire per ciò che non si è. La commedia tuttavia presenta un finale liberatorio, in cui l’autore ci trasmette la simpatia che, in fin dei conti, provava verso questo mondo. Marco Sirtori, Il pubblico teatrale nelle pagine satiriche dei galatei ottocenteschi Per Melchiorre Gioia (Nuovo Galateo) il tramonto della civiltà della conversazione è in gran parte dovuto all’«aumento dei teatri», eppure Lotman (Il girotondo delle muse) ha mostrato come il teatro sia luogo privilegiato per la definizione della «serie canonica dei ruoli tipica di una determinata epoca». Nei primi decenni dell’Ottocento si assiste a una rinnovata moda dei galatei; nella sua versione “teatrale” il galateo si fa, dunque, “lettura amena”, genere narrativo di consumo volto a insegnare agli italiani le regole della buona creanza. PANEL 3 Satirici, eroicomici, burleschi: i poemi del Settecento e il comico. Coordina Maria Chiara Tarsi, Université de Fribourg (CH) – Università Cattolica di Milano [email protected] Interviene Beatrice Alfonzetti, Sapienza Università di Roma [email protected] Il panel intende affrontare la ricca produzione settecentesca di poemi e poemetti a vario titolo classificati come eroicomici, burleschi, giocosi o satirici: opere che, se nascono da meccanismi diversi (abbassamento del codice cavalleresco, parodia e rovesciamento del canone eroico, critica della società contemporanea, polemica politica), sfuggono però a classificazioni rigide per la frequente contaminazione di quegli stessi meccanismi e rivelano nell’elemento comico un ingrediente fondamentale comune. Durante il Settecento si assiste infatti a una progressiva trasformazione del genere eroicomico nella direzione della critica dei costumi e a un parallelo intensificarsi della commistione fra strategie comiche e parodiche affini: in questo senso un approdo determinante è raggiunto dal Giorno di Parini, poema ibrido nel quale l’eroicomico, con la sua forte carica ironica, diventa un potente strumento di satira sociale. D’altra parte, accanto alla satira intesa come genere autonomo legato a una tradizione di ascendenza classica, nell’ispirazione di molta parte della letteratura settecentesca è facilmente rintracciabile un atteggiamento critico e polemico, e in questo senso la complessa realtà del poema costituisce una sede di osservazione privilegiata. Saranno dunque accolti interventi su autori, opere, episodi, noti o meno noti, ritenuti emblematici di una produzione dai contorni fluidi e mobili, ma complessivamente ascrivibile alla categoria del comico. Maria Chiara Tarsi, «E perché son con Socrate d’avviso, / che ’l rider giovi spesso alle persone»: la satira di costume nel Cicerone di Giancarlo Passeroni Il Cicerone di Giancarlo Passeroni è un lungo poema che narra la vita del celebre oratore; ma è solo un pretesto, perché esso consiste in una serie di digressioni sulla società del tempo, giudicata con ironia bonaria ma arguta, espressione di un forte moralismo. Il poema è interessante in quanto prodotto esemplare dell’ambiente culturale milanese del secondo Settecento; l’intervento intende avviarne una prima analisi, mettendo a fuoco alcuni motivi della satira di costume che vi è condotta. Marta Aiello, Università di Catania – Università di Nancy – Lorraine, “Disponibilità ideologica” di Domenico Tempio: la rivoluzione siciliana impossibile [email protected] Fra i poeti siciliani più travisati dalla ricezione popolare, compare Domenico Tempio. Di simpatie riformiste, massone e arcade presso l’Accademia degli Etnei, Tempio costituì il “Parini siciliano”. Ponendo l’accento sulla “disponibilità ideologica” di un intellettuale che dà voce al popolo ma ne scongiura gli eccessi, la comunicazione aspira ad una riflessione sull’intellettuale e la coscienza collettiva dei Siciliani, da sempre tacciati di non saper fare la rivoluzione. Pianoterra, Aula 4 Comicità al femminile nel teatro del Novecento e degli anni Duemila. Coordina Giulia Tellini, Università di Firenze [email protected] Interviene Annalisa Andreoni, Università IULM di Milano [email protected] Da Natalia Ginzburg a Dacia Maraini, da Franca Rame a Franca Valeri, da Anna Marchesini a Cristina Comencini; solo per citare alcuni dei nomi più noti: l’ampio ventaglio di rappresentanti della comicità al femminile nel teatro del Novecento e degli anni Duemila va da scrittrici che hanno dedicato parte della loro attività alla produzione di commedie (come Natalia Ginzburg o Dacia Maraini) per arrivare ad attrici-autrici, di teatro e di televisione, come Franca Rame, Franca Valeri, Anna Marchesini, fino a una regista-autrice, di teatro e di cinema, come Cristina Comencini. Nonostante l’Associazione Culturale «Il Teatro delle donne», fondata nel 1991, abbia contribuito alla catalogazione online di più di mille testi di autrici nazionali di teatro, nell’Italia del XXI secolo, le donne che si sono dedicate al teatro comico-satirico sono molte e in gran parte poco conosciute o non abbastanza studiate. Si intende, tuttavia, dare spazio anche ad autori teatrali di sesso maschile, purché analizzati in quanto ideatori di personaggi femminili coinvolti in testi teatrali o comici o umoristici. Giulia Tellini, La metamorfosi della figura femminile nell’Ora della fantasia di Anna Bonacci Protagonista della commedia L’ora della fantasia (1944) di Anna Bonacci, Mary Sedley, come la Lucrezia della Mandragola machiavelliana, nel giro di una sola notte compie il suo percorso di formazione da materna casalinga devota al marito a smaliziata giovane donna consapevole di sé e della realtà che la circonda. Come nel film Quattro passi fra le nuvole (1942) di Blasetti, l’ora della fantasia vissuta dalla protagonista le procura solo la nostalgia di ciò che potrebbe essere e non è. Radeya Gesheva, Università di Sofia “San Clemente d’Ocrida”, Natalia Ginzburg: «la vita come fioritura di barzellette» [email protected] Il comico ha tanti aspetti. Si potrebbe cominciare dai vari temi cari alle scrittrici del ‘900. La narrativa a firma femminile presenta la maternità, la vita domestica come anche la tradizione teatrale. I valori italiani sono comicamente descritti da Natalia Ginzburg, influenzata da Dacia Maraini. Mentre per la Maraini il teatro denuncia le situazioni difficili per la donna, per la Ginzburg è come la vita reale: «La vita è molto avara di tragedie, e ci regala invece una fioritura di barzellette». Giulia Martini, Università di Firenze, Patrizia Valduga e il teatro. Lo «stil comico» di una Donna di dolori [email protected] La prima dote della comicità di Patrizia Valduga è la ricchezza, misurata nella molteplicità degli aspetti in cui si manifesta: dall’ironia al sarcasmo, dall’auto-citazione all’auto-parodia, dal surreale al grottesco. Una comicità costantemente rinnovata, come un inseguitore solare a cui fosse demandato di raggiungere la «nera notte» della poesia, già a partire dalla raccolta Donna di dolori (1991), che rimanda esplicitamente al teatro attraverso l’artificio del monologo in versi. Francesca Castellano, Università di Firenze, Metamorfosi della Signorina Snob: le Catacombe di Franca Valeri [email protected] La relazione verte sull’analisi de Le catacombe, la prima commedia scritta e interpretata da Franca Valeri, andata in scena al Teatro Valle di Roma nel 1962. Al cospetto di una nutrita bibliografia disponibile su Valeri attrice, molto meno indagata è la sua attività di scrittrice per il teatro, il cinema o la televisione. La peculiare dimensione logocentrica della comicità e dei personaggi di Valeri caratterizza anche la commedia presa in esame, con un bagaglio di temi e di espressioni linguistiche che esibisce precise ascendenze letterarie italiane ed europee. Brigida Esposito, Università di Napoli “Federico II”, Una donna, molte anime. Studio sulla comicità di Anna Marchesini tra Lucia Mondella di Manzoni e Anna Cappelli di Ruccello [email protected] Nel panorama delle attrici del Novecento, Anna Marchesini è, senz’altro, tra le più apprezzate e ricordate. L’intervento vuole soffermarsi su due dei personaggi portati in scena dall’artista: la manzoniana Lucia Mondella, e Anna Cappelli, protagonista di un’opera di Annibale Ruccello, analizzando il modo in cui l’attrice porta in scena ruoli nati con esigenze e scopi tanto diversi e indagando sulle affinità e differenze tra le “versioni” maschili e femminili dei suddetti personaggi. Laura Cascio, Università di Napoli “Federico II”, Comicità e impegno: la sapiente leggerezza di Lella Costa [email protected] Lella Costa è un’attrice e scrittrice italiana tra le più versatili del panorama teatrale e mediatico odierno, che si distingue per l’attenzione che dedica ai problemi di attualità, specialmente quelli relativi alle tematiche di genere. L’intervento intende analizzare la produzione artistica dell’autrice, frutto di una costante osmosi tra cultura “alta” e cultura “bassa”, con particolare riferimento ai monologhi comici, nei quali ella delinea – con sapiente leggerezza – virtù e vizi umani. Loreta de Stasio, Universidad del País Vasco, Il personaggio Lella Costa [email protected] Nel panorama teatrale italiano, Lella Costa si distingue come un caso particolare: non solo per il suo genere, per la sua femminilità che tuttavia non svilisce la sua comicità pungente ed efficace – nonostante la tradizione teatrale sia lenta a cambiare opinione quando si riferisce alla comicità femminile, per cui si preferisce parlare di comicità asessuata o universale –; ma soprattutto per il suo impegno politico-sociale che trapela nei suoi brillanti monologhi comici e l’attenzione che catalizza su temi seri di attualità, gli stessi temi che tratta con una leggerezza e un’apparente frivolezza sulla base della quale sembra aver cucito e costruito i suoi spettacoli. Con la stessa apparente noncuranza e frivolezza riesce a “spostare” l’alone di seriosità che incombe su tematiche sociali di un certo peso, e a farli percepire “straniati” per operare quel distanziamento necessario alla coscienza analitica e critica: in tal modo, dunque, similmente alla lezione del giullare medioevale recuperato dall’attività filologica e teatrale di Dario Fo, l’autrice comica, come nella vecchia tradizione dei giullari popolari, riesce a lanciare delle proposte e iniziative sociali e a trasmettere e stimolare prese di posizione in ambito politico e culturale. Un giullare moderno, e per giunta donna, che fa ricorso alle maschere non solo letterarie, con una retorica personalissima ben definita, che fa uso degli abiti e degli accessori anche allo scopo di attirare l’attenzione del pubblico, travestendosi, in altre parole, usando una serie di maschere, che man mano personalizza, fino a diventare il personaggio “Lella Costa”. Chiara Tognolotti, Università di Firenze, Una giostra esausta. Emma Dante tra teatro, romanzo e cinema [email protected] Il lavoro di Emma Dante, scrittrice e regista palermitana che ha segnato la ricerca teatrale del primo quindicennio del nostro secolo, declina spesso la chiave della comicità nel registro del grottesco. Sofferenza e passione, la famiglia nel suo intreccio morboso di quotidiano odio e legame viscerale sono al centro del lavoro di Dante, analizzato qui a partire dai testi teatrali della Trilogia della famiglia (mPalermu, Carnezzeria, Vita mia) e del romanzo e poi film Via Castellana Bandiera. Pianoterra, Aula 5 Scrivere per la scena e per il set. Ri-scrittura e transcodificazione tra teatro, cinema e televisione. Coordina Annalisa Castellitti, Università di Napoli “Federico II” [email protected] Interviene Flora Di Legami, Università di Palermo [email protected] Il panel si pone l’obiettivo di analizzare i rapporti che intercorrono tra diversi linguaggi espressivi nel processo di adattamento teatrale, cinematografico o televisivo di opere letterarie. La stretta relazione che a partire dal Novecento si è stabilita tra letteratura, teatro, cinema e televisione, rende necessaria l’attivazione di un’attenzione speciale verso tale interscambio, al fine di evidenziarne le interferenze – fedeli e meno fedeli – nella scelta autoriale di rivisitare, tradurre o riappropriarsi della versione letteraria. Attraverso lo studio di singoli protagonisti e testi, si affronteranno alcune problematiche legate alla scrittura per la scena e per il set tra XX e XXI secolo e sarà possibile, in questo modo, attuare un confronto tra le opere analizzate (classici, fiabe, romanzi, drammi, commedie) e le loro rispettive trasposizioni cinematografiche o televisive. Si potrà rifletterà, dunque, su determinati aspetti, quali ad esempio le differenze tra un’opera letteraria, un testo teatrale e uno sceneggiato televisivo o tra un film e un cortometraggio, per poi soffermarsi sulle tecniche di scrittura e sulle indicazioni di regia, sulla funzione nella produzione audiovisiva delle didascalie e della musica, nonché sui legami tra letterati e registi. Annalisa Castellitti, A San Francisco di Salvatore Di Giacomo: dal poemetto alla scrittura per la scena Salvatore Di Giacomo ridusse in prosa, per il teatro, il poemetto A San Francisco, che la Compagnia di Federico Stella e Antonio Allegretti mise in scena il 15 maggio 1897 al Teatro Mercadante. Il drammaturgo sceglie di ritrarre usi e costumi della camorra al tempo del regno borbonico, attingendo a numerose fonti che vengono abilmente filtrate nel testo teatrale. L’intervento intende analizzare l’operazione di transcodificazione dal poemetto del 1895, composto da sette sonetti in endecasillabi, al bozzetto dialettale in un atto, per poi soffermarsi sulle successive trasposizioni cinematografiche del dramma. Serena Barbato, Università di Napoli “Federico II”, «Sono un uom dei più cretini, sono Petrolini»: la poetica visiva di Ettore Petrolini tra letteratura, teatro e cinema [email protected] L’intervento procederà con l’analisi dei rapporti tra Ettore Petrolini e le avanguardie artistiche e letterarie di inizio Novecento, ponendo l’attenzione sull’evoluzione della sua figura attoriale/autoriale e del suo linguaggio. Lo studio graviterà intorno all’impulso performativo della parola di Petrolini e al suo contatto con le nuove forme espressive del tempo, dal teatro di rivista ai primi film con l’avvento del cinema sonoro. Una poetica del visivo che inciderà sulle arti sceniche future. Sandra Dugo, Università di Roma “Tor Vergata” – USP-FFLCH (San Paolo, Brasile), L’uomo dal fiore in bocca: il dramma metateatrale rappresentato in scena [email protected] L’uomo dal fiore in bocca è una storia sofferta che racconta l’assurdità della vita, spesso insensata e incomprensibile. Il dramma pirandelliano è un’opera in un solo atto che si presenta nel complesso come un testo adatto alla creatività teatrale e cinematografica, come la maggior parte delle opere pirandelliane. Qualche volta il destino sconvolge la vita, determinando un cambiamento sostanziale, interrompendo i progetti che l’uomo ha pensato di realizzare. Nel racconto teatrale breve ma intenso, perché ricco di riflessioni sull’esistenza umana, si avverte un senso di impotenza di fronte al quale non è possibile opporsi. La malattia terribile e crudele si prospetta come l’interruzione futura di un’esistenza, quella del protagonista. Ma Pirandello narra quello che precede la morte del personaggio, una lunga attesa in cui si succedono riflessioni, pensieri, conversazioni dell’anonimo protagonista con se stesso e con gli altri, un bar, una sala in cui si aspetta che accada qualcosa, mentre si sta vivendo una vita che passa come un treno che non tornerà più. Si può tradurre nella scena teatrale una storia senza tempo, con un protagonista senza nome, ma con spazi ben definiti, scelti dalla fantasia del regista. Analizzeremo il rapporto fra il testo e le diverse rappresentazioni teatrali, la trasformazione del linguaggio pirandelliano in quello prodotto per la messinscena teatrale, osservando anche il linguaggio visivo, l’espressività dell’attore nell’eventuale monologo, le modalità di rappresentazione degli spazi, incluso il montaggio scenico. Il dramma pirandelliano è stato rappresentato moltissime volte: propongo di riflettere sulla rappresentazione teatrale dell’attore brasiliano Carlos Augusto Carvalho che ha realizzato insieme a Roberto Bacci un avventuroso viaggio alla scoperta della tragicità umana. Lucilla Bonavita, Università di Roma “Tor Vergata”, Orazio Costa e La favola del figlio cambiato: le modifiche al testo pirandelliano [email protected] Nella teatrografia di Orazio Costa che tanto contribuì alla ricostruzione etica e non solo estetica del teatro italiano al di là della seconda guerra mondiale, individuando, nel processo di transcodificazione del testo letterario, il ruolo della regìa come fatto critico poiché nella lettura critica del testo fa uso della forma dello spettacolo e dei suoi mezzi, emerge, tra le opere pirandelliane messe in scena al di là dell’esperienza del Piccolo Teatro di Roma, La Favola del Figlio cambiato, degna di particolare attenzione tra gli allestimenti delle opere pirandelliane poiché Orazio Costa la ricorda come la rappresentazione alla quale era più legato e a suo parere la più importante per le novità introdotte a livello di linguaggio scenico. Scopo della presente comunicazione sarà quello di individuare, attraverso lo studio degli inediti conservati nell’Archivio Costa di Firenze, le modifiche testuali apportate al testo pirandelliano. Maria Elena Fiorentino, Università di Napoli “Federico II”, L’eterna attesa dell’uomo. Analisi del film Il deserto dei Tartari di Valerio Zurlini, tratto dall’omonimo romanzo di Dino Buzzati [email protected] L’intervento intende analizzare il romanzo di Dino Buzzati e, soprattutto, soffermarsi sul rapporto tra letteratura e cinema, analizzando le differenze tra il romanzo, pubblicato nel 1940, e la sua trasposizione cinematografica ad opera del regista Valerio Zurlini. Il film, uscito nel 1976, presenta sostanziali differenze con il suo omologo letterario. Ci si soffermerà, quindi, sui momenti in cui la pellicola si discosta dal romanzo, evidenziando le motivazioni alla base di determinate scelte registiche. Francesco Mainiero, Università di Napoli “Federico II”, Lo “zibaldone” cinematografico di Antonioni [email protected] Antonioni pubblica nel 1983 Quel bowling sul Tevere, raccolta di testi scritti dal regista che in origine erano idee per lo schermo cinematografico mai realizzate. Il risultato è una sorta di “zibaldone” stratificato. Nel 1995, con la collaborazione di Wim Wenders, il regista adatta quattro di questi racconti in un film, Al di là delle nuvole. Mio proposito è cercare di evidenziare le modalità di questa transcodificazione e di dare una traccia di comprensione per questo passaggio delicato. Angela Bottigliero, Università di Napoli “Federico II”, Letteratura al cinema: la scrittura di Italo Calvino incontra la regia di Mario Monicelli [email protected] Se la stretta relazione instauratasi tra cinema e letteratura è alla base di numerose transcodificazioni, altrettanto forte è la cooperazione che nasce, nel corso del ‘900, tra letterati e cineasti. In virtù di ciò, l’intervento intende esaminare il rapporto tra gli scritti di Calvino e l’opera di Monicelli: già fonte di ispirazione per I soliti ignoti con Furto in una pasticceria, l’autore collaborò attivamente ad un altro film del regista, Renzo e Luciana, tratto da L’avventura di due sposi. Emiliana Chiarolanza, Università di Napoli “Federico II”, Due Partite, proposta di analisi: maternità e femminilità, abnegazione e perturbazione narrati nel testo teatrale e nel film [email protected] Il modello di femminilità come forza ricreatrice e l’allontanamento da questo modello teorico. Due Partite, la commedia scritta da Cristina Comencini e la rappresentazione cinematografica per opera di Enzo Monteleone. La maternità allora come dono e sofferenza, l’annichilimento esistenziale che può portare alla malattia psicologica, alla depressione, al dramma del suicidio. La commedia Due Partite analizza con ironia la simbologia della gravidanza e del parto la sottomissione ai doveri familiari e l’abbandono del sogno esistenziale. “Avere un bambino è la cosa più bella che c’è al mondo” recita il testo teatrale. Lo spaccato contemporaneo, però, ribalta il nucleo concettuale iniziale, e le altre donne, di cui si condivide l’impronta vitale, hanno spezzato il concetto di procreazione seppur esse non rappresentino un punto d’arrivo ma piuttosto una sospensione della funzione materna anche se con spiccate individualità sociali. In entrambi i casi la donna è perturbazione, tesa verso la felicità ma pronta ad annullarsi mettendo a repentaglio la propria forza vitale ed esistenziale. Rosaria Famiglietti, Università di Roma “Tor Vergata”, La reinvenzione dell’Amore molesto [email protected] Lo studio intende offrire una analisi della ri-scrittura del romanzo di Elena Ferrante, L’amore molesto, da parte di Mario Martone. Il lavoro parte dallo studio del carteggio tra i due artisti e sposta poi l’attenzione sulle scene del film in modo da sviluppare una lettura analitica-comparata tra romanzo e regia. Attraverso le parole che Martone indirizza a Ferrante è possibile entrare nei meccanismi di riscrittura. José María Nadal, Università dei Paesi Baschi, Bilbao, Le caratteristiche del comico in alcuni interventi di Marco Travaglio per la TV [email protected] Lo scopo di questo lavoro è quello di studiare la componente comica di alcuni dei testi del giornalista e scrittore italiano Marco Travaglio fatti per essere letti da lui stesso in televisione, e poi disponibili on-line, su piattaforme come Youtube. Non ci riferiamo quindi ai testi che sono stati scritti da Marco Travaglio per gli spettacoli nei teatri né scritti per giornali o riviste né per libri. Soltanto ci occupiamo, quindi, di discorsi che hanno una base eminentemente linguistica, ma che durante la loro costruzione prevedono di essere letti dall’autore di fronte alle telecamere. Questi testi hanno un carattere misto, poiché appartengono a un discorso giornalistico di informazione politica e sociale; di opinione politica; di satira; di monologo teatrale comico; di discorso politico (tra allocuzione politica, discorso parlamentare e discorso di propaganda). Poiché la destinazione per la lettura davanti alle telecamere fa parte delle sue forme e funzioni (da cui la sua componente spettacolare), e poiché si tratta di un discorso con valori letterari (e non solo appartenenti all’ambito dell’umorismo o della satira, ma anche all’ambito del ragionamento creativo tipico del saggio), questo discorso è molto più di un discorso informativo. Le sue dimensioni sono quelle di un lungo saggio di rivista piuttosto che quelle di un classico articolo di giornale. Lo studio si propone di descrivere, con gli strumenti della teoria letteraria e della semiotica strutturale e dinamica europea, le forme dinamiche più salienti e particolari di alcuni di questi discorsi di Marco Travaglio. Pianoterra, Aula 8 Parodia e riso tra Manierismo e Barocco. Coordina Marco Corradini, Università Cattolica di Milano [email protected] Interviene Pasquale Guaragnella, Università di Bari [email protected] Rimasto nel complesso ai margini delle grandi teorie letterarie classiche, di Aristotele e di Orazio su tutte, lo spazio del comico si presenta nel periodo rinascimentale come una zona relativamente “franca” dalle più stringenti regole di poetica, anche se per nulla esterno all’ambito della letteratura, e come tale consente a chi lo pratica una notevole libertà espressiva. In età post-tridentina, seppure oggettivamente ridotti per ragioni storico-culturali, questi margini di libertà non vengono meno, e la lezione dei “padri” del comico moderno (Folengo, Berni, Ruzante, Aretino) continua a essere messa a frutto, accanto a quella degli autori antichi. Nel contempo sembra farsi strada la necessità di una maggiore riflessione intorno alle scritture atte a suscitare il riso, dalle indagini di Giulio Cesare Scaligero e Henri Estienne sul concetto di parodia, al Ragionamento sopra la poesia giocosa (1634) di Nicola Villani, fino agli specifici capitoli dei trattati di Matteo Peregrini ed Emanuele Tesauro. Il panel si propone di esplorare il vasto e multiforme territorio del comico di epoca manieristico-barocca, sia sul versante dei tentativi di sistemazione teorica e critica, sia su quello della varietà di generi, forme, linguaggi e opere in cui la categoria si realizza concretamente, di volta in volta presentandosi come rivendicazione dei diritti della “natura”, cioè delle pulsioni istintuali, o – meno inquietante – come puro e semplice gioco colto di letterati. Ottavio Ghidini, Università Cattolica di Brescia, Torquato Tasso: ironia, parodia e ipotesti della tradizione comica [email protected] In questo intervento si vuole porre in rilievo la presenza, nonché la funzione, dell’ironia e del paradosso in alcune prose tassiane, come le Lettere e i Dialoghi. Si desidera inoltre esaminare alcuni riferimenti intertestuali presenti in queste e in altre opere di Tasso e riconducibili alla tradizione comica volgare, da Boccaccio ad Ariosto, da Pulci a Niccolò Franco. Fiammetta D’Angelo, Ridere in versi… sul Parnaso: la parodia del mito nei “Parnasi” tra Cinquecento e Seicento [email protected] La comunicazione analizzerà la facies della parodia della mitologia classica, nei Parnasi in versi di Cesare Caporali, Giulio Cesare Cortese, Giambattista Basile, con riferimenti ai Ragguagli di Parnaso di Traiano Boccalini. La parodizzazione investe la mitografia del Regno di Apollo, nonché temi mitologici, storici, letterari, riproponendo modelli, visioni estetiche ed etiche del mondo reale. Il canone artistico, letterario, un’intera civiltà, sono posti nello stato di “esame”. Francesco Rossini, Università Cattolica di Milano, Le ottave misogine di Giovan Battista Strozzi il Giovane (1551-1634) [email protected] L’intervento si concentra su alcune ottave di argomento misogino del fiorentino Giovan Battista Strozzi il Giovane che si conservano in una Miscellanea di poesie italiane presso la Newberry Library di Chicago. Esse vengono contestualizzate nel panorama della letteratura misogina del secolo XVI e messe in relazione con una contemporanea disputa in ottave fra Tasso e Antonio de’ Pazzi sullo stesso tema. Si delineano infine i rapporti che lo Strozzi intrattenne con Tasso e con il Pazzi. Tancredi Artico, Università di Padova, Teoria e prassi del comico nell’epos tra fine Cinquecento e primo Seicento [email protected] La presenza di una riflessione sul comico è un tratto caratteristico delle discussioni sull’epica che si innescano con la diatriba tra Ariosto e Tasso, passato sottotraccia dalla critica: quello che intendo fare è stabilire un percorso attraverso la teoria e la prassi, che dimostri come di fianco alla coscienza dei teorici della dannosità del comico per la magnificenza epica si inneschi un movimento inverso, nella scrittura, di infiltrazione di un codice nell’altro, fino a esiti ibridi. Rosaria Antonioli, Università Cattolica di Brescia, Quando il pianto si tramuta in riso. Elementi di comicità involontaria nel poema di primo Seicento [email protected] Il contributo muove dall’analisi di alcuni poemi primoseicenteschi, di ispirazione dichiaratamente eroica, e del loro rapporto con i grandi risultati della tradizione precedente. Attraverso i versi di Bracciolini, Stigliani, Soranzo, Biffi e Gualterotti, è possibile rintracciare il comune intento di sopperire all’inadeguatezza stilistica, attraverso una spettacolarizzazione del modello, di cui si indagano taluni discutibili esiti. Alessandro Regosa, Université de Fribourg (CH) – Sapienza Università di Roma, Il sapore del riso: modi ed espressioni ne Lo Scherno degli dèi di Francesco Bracciolini [email protected] L’intervento, indagando le forme giocose ne Lo Scherno degli dèi di Francesco Bracciolini, intende riflettere sulla natura del poema eroicomico e, nello specifico, sulla pertinenza di questa etichetta applicata all’opera. Lo studio intende inoltre confrontare lo Scherno e la Secchia rapita di Tassoni in modo da evidenziarne le principali differenze sul piano tematico e stilistico. Infine il lavoro si rivolge ai modi ludici propri dello Scherno analizzandone la vis comica e l’intensità plastica. Monica Bisi, Università Cattolica di Milano, Deformitas minime noxia: ridicoli figurati e figure ingegnose nel Trattato de’ Ridicoli di E. Tesauro [email protected] Fra gli approfondimenti della riflessione sul riso nel XVII secolo il Trattato de’ Ridicoli di Emanuele Tesauro si impone per la sua collocazione all’interno del Cannocchiale aristotelico, per lo stile ingegnoso, per l’audace proposito di svilupparsi a partire da una concisa definizione di Aristotele, per la capacità dell’autore di ricondurre classificazioni retoriche e regole della civil conversazione ad un fondamento di carattere filosofico, ad una dimensione morale fortemente ancorata ad una metafisica, aspetti che il contributo si propone di esplorare. Myriam Chiarla, Università di Genova, Le Rime del Petrarca mutate in stile e concetti burleschi di Giovan Battista Lalli e altre riscritture parodiche petrarchesche nel Seicento italiano [email protected] Considerando l’indubbia rilevanza che assume il concetto di “parodia” nel contesto comico-giocoso, verranno analizzate le riscritture parodiche di un modello fondamentale come Petrarca. Saranno quindi prese in esame le Rime del Petrarca mutate in stile e concetti burleschi di Giovan Battista Lalli e altre forme di riuso di sintagmi petrarcheschi nel contesto comico-burlesco secentesco, con l’intento di individuare gli elementi principali che caratterizzano le rivisitazioni parodiche dell’opera di Petrarca nel Seicento italiano. Marco Leone, Università del Salento, Una parodia secentesca della Commedia: Il mondo senza maschera di Antonio Muscettola [email protected] Nel panorama del dantismo di età barocca trova spazio un poema inedito del poeta napoletano Antonio Muscettola (1628-1679), Il Mondo senza maschera, parodia della Commedia. Il poema si segnala per un riuso dello stile comico in funzione polemica nei confronti del purismo cruscante, delle “maschere” della corte vicereale napoletana e delle donne. L’intervento punterà a illustrarne temi e caratteristiche, tra satira, parodia ed eroicomico, e i rapporti con i suoi modelli. Valeria Giannantonio, Università di Chieti-Pescara “Gabriele d’Annunzio”, La parodia del petrarchismo investigante a Napoli [email protected] L’intervento, imperniato sull’esame dei Capitoli di Giulio Acciano e dei Sonetti napoletani (che comprendono nella seconda parte le Alluccate contra li petrarchisti) di Nicola Capasso, pubblicati postumi, nel 1789, intende sondare i caratteri dell’antipetrarchismo napoletano, che non significò solo irrisione del purismo toscaneggiante e investigante dello Schettino e dell’Amenta, ma vera e propria parodia, con destinazione bassa e apolitica, degli statuti della letterarietà. Pianoterra, Aula 9 PANEL 1 Il tópos dell’alba: sue ricezioni nella letteratura del Novecento. Coordina Adriana Passione, Liceo Statale “Eleonora Pimentel Fonseca”, Napoli [email protected] Interviene Gino Ruozzi, Università di Bologna [email protected] Il panel si incentra sul tópos dell’alba e, a partire dalla duplice consistenza di tema e genere che gli è propria in ambito letterario, mira a illustrarne l’intrinseca natura bifronte, per la quale l’alba è contemporaneamente il momento del sorgere del sole e del dissolversi dell’oscurità notturna, indica inizio del giorno e fine della notte e pertanto è allusiva tanto alla rinascita che alla morte. Attraverso due piani di lavoro, quello strettamente conoscitivo (l’indagine del tópos condotta tanto diacronicamente che sincronicamente, la ricognizione testuale e il riconoscimento delle possibili variazioni del tema) che quello metodologico, si è condotta un’attenta disamina della presenza del tópos nella produzione letteraria del Novecento, nel tentativo di riscontrare all’interno di un modello storicamente fondato ciò che lo ha reso specifica manifestazione della poetica di un determinato autore. La sfida è stata quella di «distinguere tra i materiali culturali, res nullius, e il loro rinnovamento in un’opera d’arte, tra gli archètipi, o gli schemi ricorrenti, e la loro realizzazione nella struttura funzionale di un’opera, tra codici culturali e valori poetici» (D’Arco Silvio Avalle, Fonti, archètipi, modelli, 1990). Nel porre un fermo rifiuto a un accostamento ai testi di natura puramente impressionistica, si è cercato di dare spazio e voce alla comunità scolastica intesa come comunità interpretante in quanto preventivamente sostenuta dalla condivisione di un metodo, o approccio critico, di natura stilistica. Maria Elena Landi, Liceo Statale “Antonio Genovesi”, Napoli, Il tópos dell’alba: dal romanzo gotico a Twilight [email protected] Si propone una riflessione sul tema dell’alba, inteso come Rinascita e Regressione, sulla sua consistenza di tema e di genere, attraverso la rappresentazione di momento in cui il doppio si trasforma nelle narrazioni del genere “nero”. I testi vanno dal Romanzo Gotico al “neogotico” della saga di Twilight e simili, analizzando gli aspetti sottesi alla resistenza del genere nei secoli e gli elementi di continuità, trasformazione e adattamento dei personaggi tipici, in particolare i vampiri. Adriana Passione, Pascoli, Valduga, Pavese: diversi modi di declinare il tópos dell’alba Dopo aver individuato nelle albas occitaniche di impianto erotico la tipologia testuale di riferimento, l’attenzione si è spostata sui testi del Novecento, all’interno dei quali la permanenza del tópos doveva essere riletta alla luce del mito personale di vari autori: Giovanni Pascoli e Patrizia Valduga, nel tentativo di rintracciare nei testi i lasciti pascoliani rifusi e rielaborati nell’ottica della poetica personale dell’autrice, e Cesare Pavese, con una particolare attenzione al racconto Anni. Ida Crispino, Liceo Classico Statale “Vittorio Emanuele II”, Napoli, Il tópos dell’alba in Vittorio Sereni, poeta liminare [email protected] Anche per la sua interpretazione del tópos dell’alba Vittorio Sereni può essere definito “poeta liminare”. Il “sentimento della frontiera”, intesa come soglia e confine, connota l’alba in tutte le sue raccolte, presentandola ora come consapevolezza della separazione tra l’io lirico e una realtà colma di presagi negativi, ora come attesa dello scioglimento di un enigma che la memoria ripropone di continuo, ora come rivelazione di un’unica certezza, cioè che «Tutto […] la morte dissigilla». Giuditta Grosso, Liceo Classico Statale “Vittorio Emanuele II”, Napoli, Alba e luce nella poesia di Sandro Penna [email protected] Attraverso la lettura di alcuni testi del corpus penniano, si individua un percorso didattico che ha come scopo l’analisi del tópos dell’alba come momento topico. L’analisi delle liriche selezionate diventa un’occasione per analizzare la posizione appartata della poesia di Sandro Penna, modulata sulla ripetizione di pochi temi e immagini: la vita, l’amore, l’alba, la giovinezza, la malinconia. La lingua del poeta perugino si configura come un efficace strumento di «riflessione sul desiderio» (C. Garboli). Giuseppe Leonardo Zappalà, Sapienza Università di Roma, Il tema dell’alba nella prima poesia caproniana [email protected] Per Giorgio Caproni, l’alba è un’ora traumatica, «l’odioso momento dei plotoni, l’ora bianca delle fucilazioni». In una rilettura semantica della sua prima produzione, l’alba subisce un cambiamento di prospettive e, accanto alla sua negatività, si delinea una lettura che veda in essa l’avvento di una nuova possibilità conoscitiva. Il contributo intende, dunque, analizzare semanticamente le prime opere caproniane, per evidenziare quegli elementi semantici che, nella loro reiterazione, dimostrino la duplice connotazione dell’alba. PANEL 2 Collane e periodici umoristici e satirici: «Classici del ridere» e riviste ispirate al “comico”. Coordina Maria Panetta, Sapienza Università di Roma [email protected] Interviene Gino Tellini, Università di Firenze [email protected] Il titolo del panel che si propone trae ispirazione da una delle più note collane editoriali della Casa editrice fondata a Modena nel 1908 da Angelo Fortunato Formiggini (1878-1938), editore di origini ebraiche noto sia per il suo drammatico suicidio, causato dalle leggi razziali, sia per il particolare carattere da lui impresso a molte delle sue pubblicazioni, ispirato alla cosiddetta “filosofia del ridere”. Nel panel ci si propone di analizzare pubblicazioni e collezioni editoriali che racchiudano testi comici, umoristici, satirici, parodie etc., ovvero tipologie testuali non catalogabili come “serie”, nell’accezione desanctisiana. I «Classici del ridere» (1912) formigginiani (poi ristampati da Bietti) ne sono un fulgido esempio, per quanto concerne le collezioni editoriali, includendo opere di autori quali Plauto, Petronio, Boccaccio, Bandello, Berni, Rabelais, Folengo, G. C. Croce, Tassoni, Bruno, Voltaire, Porta, Belli, Trilussa, Sterne. Invece, per quanto riguarda i periodici, sarebbe interessante analizzarne alcuni di impianto umoristico (e spesso d’ispirazione politica) quali il quotidiano satirico «L’Arlecchino» (1848), la rivista satirica «Fischietto» (1848), «Lo spirito Folletto» (1848), «Il Diavoletto» (1848), «Pasquino» (1856), «L’Uomo di pietra» (1956); a parte i noti «Capitan Fracassa» (1880) e «Guerin Meschino» (1881), il «Mondo umoristico» (1890), «Il Travaso delle idee» (1900), «Il Becco giallo» (1924), «Marc’Aurelio» (1931), «Bertoldo» (1936), «Candido» (1945) etc. Loredana Palma, Università di Napoli “L’Orientale”, Il giornalismo umoristico nella stampa periodica della Napoli preunitaria [email protected] Il decennio preunitario vide la diffusione in Italia di giornali umoristici, come i milanesi l’«Uomo di Pietra» e il «Fuggilozio» e il fiorentino «Scaramuccia». Nella stampa periodica napoletana la letteratura d’evasione si espresse attraverso giornali umoristici come «L’Arlecchino», «Verità e bugie», «Il Diavolo zoppo», «Il Pagliaccio». Dissacranti parodie del romanzo a puntate si leggono nel «Pulcinella», nel «Lume a gas», ne «Il Menestrello» ed altri esempi possono essere tratti da «Il Tornese» e da «Il Palazzo di Cristallo». Leonardo Battisti, Sapienza Università di Roma, Ridere nel «regno della noia». Intrattenimento e umorismo nella pubblicistica del Ventennio fascista [email protected] L’intervento si propone di ricostruire un passaggio storico che si realizza nella pubblicistica satirico-umoristica durante gli anni della dittatura fascista. In particolare, si intende mettere a fuoco tre momenti chiave: 1) 1922-1927 – la chiusura dei principali fogli satirici di stampo liberale e socialista («L’Asino», «Il Becco Giallo», «Il Sereno»), e contestualmente l’espunzione di contenuti sgraditi al regime nei giornali superstiti («Il Travaso delle idee»); 2) 1927-1939 – la riformulazione di un modello di comicità di evasione e di intrattenimento, che passa in prima battuta per i quotidiani, con la «periodicizzazione» dei loro contenuti. Centrale in questo processo di sviluppo di un vero e proprio intrattenimento pubblicistico è la figura di Ermanno Amicucci in qualità di direttore della «Gazzetta del Popolo» di Torino, e il successo della sua rubrica umoristica Fuorisacco; 3) 1936-1943 – la messa in pratica di un paradigma umoristico nuovo, di evasione e deliberatamente ambiguo nei confronti del regime che trova la sua migliore espressione in «Bertoldo», di cui si porteranno a esempio alcuni estratti (dal Signor Veneranda di Carlo Manzoni, e dai Sillogismi di Vittorio Metz). Sebastiano Triulzi, Lorenzo de’ Medici Institute, Roma, I tris di Sampietro: editoria per una guerriglia [email protected] Nel 1966 uscirono tre numeri della rivista «I Tris», che si proponeva, riunendo insieme umorismo, narrativa e fantascienza, come strumento per una lettura «divertente […], stimolante, provocatoria». Essa nasceva all’interno della casa editrice bolognese di ricerca Sampietro, per ispirazione di Adriano Spatola e con una forte impronta politica: vennero pubblicate poesie del gruppo 70, furono tradotti classici comici o erotici al tempo proibiti (Sade, Balzac, Diderot), e testi gialli o di fantascienza. PANEL 3 «Così per celia in Francia un re fu ucciso». Ridere della rivoluzione nel lungo Risorgimento italiano. Coordina Alessandro Pecoraro, Università di Firenze [email protected] Interviene Anna Nozzoli, Università di Firenze [email protected] Negli studi intorno alle declinazioni del comico negli ultimi secoli della letteratura italiana, non si è trascurato di indagare la satira politica che, come è ovvio, include in sé la fenomenologia dei suoi usi nei riguardi delle rivoluzioni (emblematico il caso dell’Alfieri misogallico), quale che sia lo scopo che esse si prefiggono e i risultati a cui approdano. È tuttavia da rilevare come a tutt’oggi sia mancata una considerazione più ampia della scrittura comica adoperata per trattare delle rivoluzioni che, all’interno o all’esterno della Penisola, hanno coinvolto attivamente le armi o le opinioni degli italiani. D’altronde, rimangono piuttosto trascurati i casi in cui, anziché in funzione di dileggio, il comico è stato adoperato manifestando adesione agli eventi rivoluzionari stessi. Da un’indagine ad ampio spettro sull’incontro tra il linguaggio del comico e le questioni che scaturiscono dalle rivoluzioni politiche del periodo risorgimentale (eventualmente in un’accezione ampia) si potrebbe ricavare un’immagine più sfumata e ricca dell’interazione tra questi due poli, il comico e la rivoluzione, che superi l’esclusivo rilievo dato finora alla satira politica, indagata a fondo in quanto ne costituisce effettivamente la manifestazione più eclatante e comune. Alessandra Zangrandi, Università di Verona, Gli amori garibaldini di Ippolito Nievo: un’epopea dal basso [email protected] Nella primavera del 1859 Ippolito Nievo si arruola con i cacciatori delle Alpi di Garibaldi: Nievo è patriota convinto, ma vuole anche prendere le distanze dalla tormentata relazione sentimentale con Caterina Curti Melzi. Durante le campagne garibaldine scrive i testi che poi entreranno nella raccolta poetica Gli amori garibaldini, pubblicata nello stesso anno: fin dal titolo, la raccolta dà conto delle pene d’amore e dello sconforto politico dell’autore nella primavera- estate del 1859 e i singoli testi sembrano rispondere all’esigenza di esprimere in modi immediati le passioni dell’autore, anche denunciandone gli aspetti più patetici o ridicoli. Milena Giuffrida, Università di Palermo – Università di Catania, Articolazioni dell’invettiva in Eros e Priapo di Carlo Emilio Gadda [email protected] L’intervento si propone di mettere a fuoco i dispositivi retorici che regolano il funzionamento della satira in Eros e Priapo di Gadda. Nella versione originale, elaborata tra il 1944 e il 1946, emerge infatti con maggiore vigore il carattere di denuncia e di autodenuncia che anima le pagine gaddiane. Si ricostruirà inoltre l’evoluzione dei meccanismi retorici più sfruttati dallo scrittore (come la digressione, il grottesco e l’ékfrasis) attraverso una lettura diacronica del testo. PANEL 4 Il laboratorio scapigliato: tra letteratura, arte e scienza. Coordina Carla Riccardi, Università di Pavia [email protected] Interviene Gianfranca Lavezzi, Università di Pavia [email protected] A partire dagli anni Sessanta l’attenzione verso gli autori scapigliati è progressivamente cresciuta arricchendo la bibliografia critica e contribuendo a definire meglio i contorni non sempre netti di questo fenomeno letterario ibrido, che si sviluppa nel delicato momento storico di passaggio dalla fase acuta del Risorgimento al post-Risorgimento e che assomma diverse tendenze letterarie, anche straniere, nel tentativo di porre le distanze dalla tradizione. Accomunati da una condivisa ribellione all’ordine costituito (politico, sociale ma soprattutto culturale), i protagonisti della Scapigliatura sono sensibili all’idea di un’arte “totale”, capace di legare le modalità espressive di letteratura, pittura e musica, e sono attratti, seppur con sentimenti ambivalenti, dalla scienza contemporanea, presente nelle loro opere con le numerose figure di medici, anatomisti, scienziati e con le descrizioni di pratiche scientifiche. Il panel si propone quindi come spazio di riflessione relativa alla produzione della Scapigliatura declinata nelle sue diverse forme, privilegiandone prospettive non ancora pienamente indagate. Entrando nel laboratorio degli scapigliati, gli interventi dovranno esaminare i motivi e i processi scrittori dell’opera scapigliata soffermandosi sugli aspetti filologici, storico-letterari e culturali che li caratterizzano. Francesca Puliafito, Università di Pavia, Gli autografi dei Cento anni. Appunti sulla prassi scrittoria di Giuseppe Rovani [email protected] L’intervento si propone di illustrare i risultati dello studio degli autografi del romanzo Cento anni di Giuseppe Rovani (in particolare Libro ventesimo e Conclusione). L’esame mostra come sui manoscritti sia possibile verificare una modalità compositiva per giustapposizione, che, rispecchiando pienamente l’attitudine digressiva dell’autore, prevede l’inserimento di carte contenenti passi saggistici pubblicati in anni precedenti. Barbara Rodà, Università di Pavia, «Sarà lecito anche a noi letterati di entrare talvolta nei vostri spedali». Medicina e malattia nelle pagine di Carlo Dossi [email protected] L’intervento, ripercorrendo l’intera produzione di Carlo Dossi, e in particolare le pagine delle Note azzurre, intende indagare il rapporto tra letteratura e medicina, soffermandosi sui passi dossiani più significativi. Nella temperie positivistica, le strade delle lettere e della scienza, entrambe volte alla scoperta del nuovo, sembrano infatti unirsi a tratti, in un percorso comune. Dossi, che riconosce questa corrispondenza, sceglie l’umorismo come moderno strumento gnoseologico e di approccio alla scienza. Piano I, Aula 13 Ordine e disordine nella Commedia. Coordina Nicolò Mineo, Università di Catania [email protected] Interviene Alberto Casadei, Università di Pisa [email protected] Nella Commedia l’ordine è l’insieme di assetto universale della creazione, di regole cosmiche, regole storiche, regole della vita individuale. Il discorso sull’ordine muove da fondamentali indicazioni relative alla creazione e alla prima colpa. Dalla superbia degli angeli ha origine il disordine. Giovanni Barberi Squarotti, Università di Torino, Ordine del creato e disordine dell’arte: Deus artifex nella Commedia [email protected] Nella Commedia sono numerosi i luoghi in cui si parla dell’arte di Dio o di Dio come artefice, a partire dalle celebri occasioni di If XI e Pg X. Nel Paradiso, in particolare, l’arte umana diviene termine di paragone per illustrare il rapporto fra Dio e il Creato in termini sostanzialmente emanantistici (come per es. in Pd XIII 52-78). L’analisi di queste immagini permette di collegarle alla riflessione sul problema della rappresentazione poetica della realtà divina ultraterrena. Benedetto Clausi, Università della Calabria, Mettere ordine nell’Aldilà: a proposito di Purgatorio VII, 28-39 [email protected] Dante compie un importante passo avanti, concettuale, nel riordino e nella semplificazione dei luoghi ultramondani, con la fissazione di una logica “ternaria” netta e ben definita, anche dal punto di vista topografico, e la marginalizzazione, se non l’eliminazione, di realtà evidentemente ritenute “residuali”, come il limbo. Di una tale volontà di mettere ordine, per così dire, si può cogliere traccia nei vv. 28-39 del canto VII del Purgatorio, specie se posti a confronto col possibile ipotesto costituito dalla Summa theologiae di Tommaso d’Aquino. Sergio Cristaldi, Università di Catania, La rovina angelica: una discordanza inclusa [email protected] Secondo il racconto proposto da Virgilio in Inferno XXXIV – e poi approfondito da Beatrice in Paradiso XXIX – Lucifero, espulso dal cielo, precipita sul nostro globo dalla parte dell’emisfero australe, determinando la conformazione odierna delle acque e delle terre. Il disordine prodotto dalla sommossa degli angeli ribelli viene così recuperato in un nuovo ordine, dove trovano posto il bene e il male: assunta nel piano divino, la discordanza si risolve in una concordanza ulteriore. Fabiana Savorgnan di Brazzà, Università di Udine, Libro e volume nella Commedia di Dante alla luce di Paradiso XXXIII [email protected] Attraverso l’analisi di alcuni canti danteschi e in particolare del XXXIII del Paradiso, si intende verificare la ricorrenza dei termini “volume, libro, squaderna, quaderno ecc.” presenti nella Commedia, che stanno ad indicare l’ordine e il disordine nella concezione di Dante e nella sua visione del mondo. Per Dante tutto ciò che nel mondo è separato trova unità nella concezione divina del libro dell’universo riconciliato nella figura di Dio. Francesca Fontanella, Liceo Classico Europeo del Poggio Imperiale, Firenze, Il disordine nella città antica e nella Firenze di Dante: «la confusion de le persone» nel canto XVI del Paradiso [email protected] Il confronto con la tradizione classica permette di meglio evidenziare come la denuncia dantesca della «confusion de le persone» causata dall’inurbamento a Firenze della popolazione del contado, non sia dettata da un pregiudizio etnico, quanto dalla constatazione che i mutamenti nella composizione del corpo civico sono spesso causa di improvvisi arricchimenti o impoverimenti che provocano, a loro volta, un sovvertimeno (il “disordine”) dei tradizionali valori e rapporti sociali nella città. Sebastiano Italia, Università [email protected] di Catania, L’ordine del cosmo: le gerarchie celesti Dante, insieme alla cultura del suo tempo, condivide la nozione di un universo segnato dal divino, rimarcando che le cose rimandano a Dio in quanto sono ordinate. L’essere e le molteplici realtà, rispecchiando l’Uno, conferiscono risalto all’unitas e all’ordo. Nel molteplice, dunque, l’unità si realizza come ordine. L’universo ordinato è un universo in cui ogni parte si relaziona sia con le altre parti che con il fine che presiede a quel tutto, come rappresentato in Paradiso I e XXIX. Si ha così piena coincidenza tra la fine della prima cantica – con la descrizione della rovinosa caduta di Lucifero – e la fine della terza, riassunta nel suo significato dalle parole di Beatrice, grazie alle quali Dante acquisisce la conoscenza massima della realtà del creato. In questo itinerario Dante, pur guardando in varie direzioni – senza sdegnare l’aristotelismo radicale o il neoplatonismo della scuola francescana – punta verso una sintesi che è unicamente sua. Cécile Le Lay, Université Jean Moulin – Lyon 3, Ius naturae e ordinamento divino nell’Empireo [email protected] Dopo aver bevuto con gli occhi al fiume di luce Dante gode di una vista del tutto nuova che non dipende più dalla legge naturale (Par. XXX, 118-123). I commenti evocano l’interpretazione fisico-scientifica di questa legge ma non quella giuridica mentre sembra giustificarsi con la ragione allegata: «ché dove Dio sanza mezzo governa, / la legge natural nulla rileva». Che cosa implica per l’ordinamento divino se lo ius naturae viene reso inoperante una volta lasciato il cielo cristallino? Concetto Martello, Università di Catania, Il disordine morale come male radicale nel I canto della Commedia [email protected] Delle tre fiere che impediscono a Dante di tornare sulla «diritta via» nel I canto dell’Inferno, e proemio dell’intera Commedia, è la lupa che appare la più pericolosa. Rappresenta la cupidigia, che è per il Poeta la radice di tutti i mali e la causa del disordine morale che indebolisce il “tessuto” sociale dell’Italia del XIV secolo. Tale stato non è solo un peccato dell’individuo ma si traduce anche in disordine politico, movente privilegiato dell’ispirazione dantesca. Paolo Pizzimento, Università di Catania, Il disordine del cosmo: antigerarchia infernale e disarmonia terrena [email protected] Nella Commedia, Dante espone un ordine che è, insieme, assetto cosmologico, storico e individuale, un’idea che non può prescindere dalle indicazioni sulla Creazione e sulla prima colpa di Lucifero, drammatico evento cosmico da cui è derivato lo sconvolgimento terrestre. Il peccato, infatti, si configura come una rottura dell’ordine metafisico e fisico stabilito dal decreto divino e, dunque, provoca un immane turbamento tanto nella forma della creazione quanto nella storia del genere umano. Perciò, ciò che nelle gerarchie celesti si realizza come unitas e ordo, si manifesta all’inferno come antigerarchia e nel mondo terreno come disordine morale, civile e politico. Rossella Terracciano, Università di Salerno, L’ordine del mondo negli elenchi danteschi [email protected] I regni ultraterreni, così come le pene inflitte ai dannati e la collocazione delle anime in determinati luoghi è effettuata da Dante secondo un ordine ben preciso, spesso giocato anche su rimandi tra una cantica e l’altra. Tale ordine è in qualche modo rispettato anche nella presentazione dei dannati, dei penitenti e delle schiere angeliche incontrate dal protagonista nel suo viaggio verso Dio. Dante elenca al lettore prima personaggi del mondo greco, poi romano e infine medievale e l’ordine con cui ci appaiono le anime sembra essere il riflesso di una ben precisa visione storica del mondo terreno. Claudia Di Fonzo, Università di Trento, Il comico nel Paradiso dantesco: una rivoluzione nella rivoluzione [email protected] Il contributo si colloca entro la lunga tradizione di studi relativa al pluristilismo e al plurilinguismo con l’intento di riflettere ancora una volta circa l’esperienza poetica della Commedia in quanto tentativo, eccellente, di innesto di generi con precise funzioni narrative. Entro questo discorso più generale, l’intervento si propone di indagare la funzione che il «comico» svolge nell’ambito dell’esperienza poetica dantesca, limitatamente alla terza cantica, a partire dalla tradizione classica. Una funzione eminentemente politica. Piano I, Aula 14 Traduzioni, rielaborazioni, interferenze fra generi e codici: quando l’aemulatio “tradisce” il modello. Coordina Francesca Favaro, Università di Padova [email protected] Interviene Roberta Turchi, Università di Firenze [email protected] Il Panel si propone di indagare gli esiti in cui si può realizzare la varia emulazione di un modello letterario. I risultati di tali rivisitazioni – spesso innovativi ma altresì contaminanti o distorcenti – determinano una screziatura di timbri, depositata su di uno stesso modello, variamente recuperato: all’analisi di alcuni esempi di tali rimodulazioni (dal tragico al comico o viceversa, dall’elegiaco al tragico…) si volge dunque la proposta di questo Panel. Daniela Ogno, Université de Fribourg (CH), Intrecci di generi e registri in quattro capitoli ternari in morte del Magnifico [email protected] L’intervento si propone di descrivere e interpretare a livello storico-letterario il fitto intreccio di generi e codici linguistici che si alternano all’interno di quattro capitoli ternari composti in morte di Lorenzo de’ Medici subito dopo la sua scomparsa. Agnese Amaduri, Università di Catania, Declinazioni del comico: gli esiti tragici della beffa ne Le Cene di A. F. Grazzini [email protected] L’intervento si propone di evidenziare le desuete declinazioni del comico presenti nelle novelle di beffa contenute nella raccolta Le Cene di Anton Francesco Grazzini (XVI sec.). La beffa grazziniana di rado mantiene intatta la vis umanistica di esercizio intellettuale contenuto e regolato dalla misura e dal rispetto altrui. Il comico è interpretato come puro divertimento sofistico e aggressivo concepito da una comunità che stigmatizza il beffato conducendolo alla pazzia o persino alla morte. Giulia Corsalini, Università di Macerata, La drammatizzazione del testo virgiliano nella traduzione alfieriana dell’Eneide [email protected] La traduzione alfieriana dell’Eneide rivisita il modello attraverso strategie di drammatizzazione che avvicinano alcuni brani al genere tragico, sviluppando e conducendo ad esiti originali e creativi tensioni già interne alla narrazione epica. Salvatore Puggioni, Università di Padova, I Sermoni di Ippolito Pindemonte oltre il codice oraziano [email protected] La relazione si propone di rileggere i Sermoni di Ippolito Pindemonte, a stampa in Verona nel 1819, alla luce delle intersezioni di genere che in essi possono essere individuate. Se, per un verso, questi componimenti riassorbono in chiave moderna i criteri di analisi propri della produzione oraziana a caratura morale, per l’altro costituiscono un laboratorio letterario in cui l’antica matrice satirica concede spesso ampio margine proprio all’interferenza con altri generi capitali della tradizione: l’elegia, l’epistolografia e l’autobiografia. Francesca Bianco, Università di Padova, Michele Leoni: una traduzione neoclassica di Shakespeare [email protected] [email protected] Tra le prime traduzioni complete del teatro shakespeariano non ha ancora ricevuto la giusta attenzione l’opera di Michele Leoni (1811-1822), primo vero tentativo di trasposizione in italiano della drammaturgia del Bardo; ma se da una parte l’impresa riscuote un discreto successo, dall’altra non sono poche le critiche che, a ragione, la interpretano come un’opera intessuta di un pomposo stile neoclassico rigidamente ingessato che snatura l’originale fin dalle sue radici più profonde. Maria Cristina Di Cioccio, Università di Chieti-Pescara “Gabriele d’Annunzio”, Il comico dantesco e la «scuola dell’ironia» di Guido Gozzano [email protected] L’assunto di Lino Pertile per cui la «contaminazione di cultura aulica e di immaginario popolare [...] sia alla base dell’invenzione dell’Inferno dantesco e dello stile comico» può considerarsi valido anche per Guido Gozzano. Avendo avuto come maestro Arturo Graf, attento alle radici popolari della poesia dantesca, anche il Nostro intende rivolgere i propri scritti sia ad un pubblico popolare che colto. A tal fine, egli affianca alla cosiddetta «funzione Dante» il «demone dell’ironia». Alberto Comparini, Stanford University, Il codice “dialogico” in Realismo e fantasia di Guido Morselli [email protected] In questo intervento descriverò analiticamente l’attraversamento del genere del dialogo da parte di Morselli in Realismo e fantasia. L’impianto del mio intervento sarà di natura teorica: in primo luogo cercherò di mostrare le forme di continuità e discontinuità tra i modelli di Morselli – grazie anche alle postille inedite dell’autore in una delle tre copie di Realismo e fantasia conservate nel Fondo Morselli di Varese – e l’esito poetico del libro preso in esame; in secondo luogo, inserirò Morselli all’interno delle riscritture dialogiche del primo Novecento, evidenziandone le novità contenutistiche e formali, in particolare legate allo stile comico-tragico (cioè il “reale” e il “fantastico”). Sara Lorenzetti, Università di Macerata, Palinsesti pirandelliani nel romanzo del Novecento italiano [email protected] Il modello pirandelliano ritorna nel romanzo del Novecento come presenza costante, sebbene talvolta subdola e camuffata, in un sistema di riprese e variazioni che modificano l’essenza della poetica dell’Umorismo. Il contributo si propone di indagare questo sistema carsico lasciando emergere come l’imitazione del modello comporti spesso un rovesciamento di poetica. Attraverso la lente dei Palinsesti formulata da Genette, ci si soffermerà su alcuni romanzieri del secondo Novecento alla ricerca delle tracce mascherate di luoghi pirandelliani. Giovanni Turra, Università di Venezia “Ca’ Foscari”, Le foreste sorelle di Giuliano Scabia: poema dell’estro, del divertimento e di Dio [email protected] Ne Le foreste sorelle, Giuliano Scabia conferisce alle sue storie permanenza e vivida concretezza. L’oggetto della quête è duplice: Suor Gabriella, e l’elisir di vita eterna. Dall’Ade, la suora porta con sé il balsamo, consistente «di cacca umana e di bestie». Il letame «sa di rose» ed è consustanziale agli amici che indagano sulla sparizione della religiosa. Il siero è offerto anche al lettore: «Entra qui – (dove c’è il trattino, dove c’è la parentesi) – ti porto (sono l’autore) a sorseggiare. A diventare immortale». Piano I, Aula 16 Il teatro comico tra la fine del Cinquecento e l’età pre-goldoniana. I. Coordina Roberto Puggioni, Università di Cagliari [email protected] Interviene Elisabetta Selmi, Università di Padova [email protected] Il panel intende esplorare gli sviluppi della commedia nel periodo indicato, con specifico riguardo ai contesti di elaborazione e fruizione, dalle accademie ai teatri pubblici, dai circoli aristocratici alle occasioni della festa barocca, cittadina e di corte. Sullo sfondo di un contesto culturale in cui si avverte una significativa tensione verso l’ibridazione dei generi e si afferma l’opera in musica, appare rilevante documentare la specifica vitalità della tradizione comica, testimoniata, per esempio, dalle opere di Giovambattista della Porta, Michelangelo Buonarroti il Giovane, Gianlorenzo Bernini, Anton Giulio Brignole Sale e dalla stagione più florida della seconda metà del Seicento-inizio Settecento (Maggi, Fagiuoli, Nelli e Gigli), compresa la vicenda della commedia napoletana. La drammaturgia dei comici professionisti che approda alle stampe è un altro territorio meritevole di ulteriori indagini (Giovambattista Andreini, Pier Maria Cecchini, Flaminio Scala, canovacci, testi distesi). Né si deve trascurare l’apporto al genere assicurato dalle traduzioni del teatro spagnolo e dalla prima ricezione del teatro di Molière in Italia, o l’approdo del patrimonio comico cinquecentesco alle ristampe secentesche (come per Sforza d’Oddi). Un ambito di ricerca imprescindibile rimane, inoltre, lo sviluppo di una teoria ed apologetica teatrale comica (Andreini, Nicolò Barbieri, Andrea Perrucci). Giordano Rodda, Università di Genova, Fisiognomica, pedanteria e capitani spagnoli. La Fantesca di G.B. Della Porta come laboratorio comico [email protected] L’intervento prende in esame alcuni aspetti dell’opera teatrale di Giovan Battista Della Porta evidenziandone il ruolo centrale nell’evoluzione della commedia erudita napoletana tra Cinque e Seicento; in particolare viene analizzata La Fantesca (1592) per rilevarne le influenze bruniane, la relazione con le accademie, lo stretto rapporto con gli interessi scientifici di Della Porta e infine l’influenza sugli epigoni e sulle caratterizzazioni della Commedia dell’Arte. Carlo Fanelli, Università della Calabria, Argomento e traccia d’una commedia di Galileo Galilei [email protected] «Il buon insegnamento è per un quarto preparazione e tre quarti teatro». In questo noto aforisma Galileo Galilei attesta l’utilità dell’arte teatrale nell’ammaestramento dottrinale e ne palesa, altresì, una tensione verso il suo esercizio. A comprovare ulteriormente tale considerazione, oltre alla prossimità con Ruzante e l’impianto “teatrale” del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, restano anche l’Argomento e traccia d’una commedia, su cui s’intende riportare attenzione. In tali «abbozzi», infatti, Galilei esibisce una buona conoscenza della prassi comica coeva ed una perizia nella scrittura teatrale più che speculativa che li rendono ancora di grande interesse. Gaia Benzi, Sapienza Università di Roma, «De’ formatori di spettacoli in genere»: ciarlatani e attori agli esordi del professionismo teatrale [email protected] Il presente contributo si propone di analizzare le varie sfaccettature del rapporto tra ciarlatani e comici professionisti tra il XVI e il XVII secolo. Attraverso la lettura dei testi coevi, teatrali e teorici, verrà delineato un quadro delle relazioni tra mondo ciarlatanesco e professionismo teatrale, e in particolare verrà dato risalto all’evoluzione del punto di vista attoriale nel suo formarsi come categoria professionale separata. Irene Palladini, Università di Cagliari, La «commedia amorosissima» e i labirinti dell’eros. Sull’Amor nello specchio di G.B. Andreini [email protected] La proposta verte su L’Amor nello specchio (1622), una delle commedie più fortunate di Giovan Battista Andreini, opera che si intende analizzare in rapporto alle rifrazioni di eros nelle dinamiche scenico-letterarie, tracciate dal drammaturgo in un congegno barocco straordinariamente espressivo della mescolanza tra esperienze biografiche e codificazione teatrale dell’impianto comico, e fra astrattezza delle figure e verosimiglianza psichica. Alessandra Munari, Università di Padova, “Mostri” di G.B. Andreini e dintorni: dalla Roselmina di Leoni a Ismenia, Olivastro e oltre [email protected] [email protected] Seguendo la pista del motivo “mostruoso” come figura di genere misto tra tragico e comico nel teatro del tardo Rinascimento e Barocco, si rileggerà attraverso tale filtro la produzione di G.B. Andreini: innanzitutto La Centaura, poi l’«opera reale e pastorale» Ismenia, Il nuovo risarcito convitato di pietra, L’Olivastro poema eroicomico. Nel corso della comunicazione si fornirà notizia di materiali inediti che l’autrice intende curare e studiare in futuro. Il teatro comico tra la fine del Cinquecento e l’età pre-goldoniana. II. Coordina Simona Morando, Università di Genova [email protected] Interviene Elisabetta Selmi, Università di Padova [email protected] Emanuela Chichiriccò, Università di Genova, I comici schiavi (1666): scenari barocchi nel teatro di Anton Giulio Brignole Sale [email protected] L’intervento propone, nell’ambito dell’edizione complessiva dell’opera teatrale di Anton Giulio Brignole Sale, la lettura di una delle più interessanti ed emblematiche tra le opere dell’autore, I comici schiavi (1666), che permette di analizzare l’originale reimpiego da parte del Brignole Sale di alcuni dei più fortunati moduli drammaturgici del barocco: quelli, ad esempio, delle commedie in commedia e dello sbarco avventuroso ed esotico delle maschere in Arcadia. Luca Piantoni, Università di Padova, Contaminazioni comiche nella tragedia tra Sei e Settecento. Primi appunti [email protected] L’intervento intende offrire un primo sondaggio sulla presenza di episodi comici, o comunque di derivazione comica, in alcune tragedie scelte a campione nell’arco cronologico esteso tra Sei e Settecento. L’influsso esercitato dalla tragicommedia, dalle traduzioni del teatro spagnolo e dalle «ben mille» favole pastorali che costellano il panorama della drammaturgia post-rinascimentale, insieme al successo conseguito dal romanzo come genere che, per proprio statuto, fonde codici letterari di per sé disgiunti, ricadono nel testo tragico sotto forma di episodi e declinazioni espressive estranei ai registri convenzionalmente gravosi della tragedia d’impianto classicistico. La categoria del «dilettevole», sulla quale si appuntò, a metà del XVII secolo, l’impegno trattatistico di Girolamo Borsieri, tragediografo legato al classicismo innovativo d’ambiente barberiniano, sembra passare nella tragedia assumendo una funzione distensiva che, nel proporre situazioni, personaggi secondari e motivi alieni ai più severi coturni dell’antico, apre nella direzione temperata del moderno melodramma settecentesco, pur senza tradire il fine strumentale del più alto tra i generi aristotelici. Carolina Patierno, Université Paris IV Sorbonne – Università di Padova, Mitologia derisa e schernita nel dramma per musica veneziano del Seicento: influenze letterarie e teatrali [email protected] La tematica mitologica, largamente privilegiata nel dramma per musica veneziano e contestualmente manipolata, se per un verso si collega al trattamento parodico che ad essa riservò la letteratura della prima metà del Seicento (Bracciolini, Loredano, Lalli, Pallavicino), per un altro eredita tutta una linea di elementi comico-satirici (servi astuti, scene erotiche, gioco degli equivoci…) divenuti tópoi della drammaturgia teatral-musicale veneziana. Si considereranno tali aspetti comico-satirici che dalla tradizione antica furono introdotti, con varie trasformazioni, in un campione limitato ma rappresentativo (Andromeda 1637; Il Giasone 1649; Il Leandro 1679) di melodrammi veneziani. Simona Bonomi, Università di Venezia “Ca’ Foscari” – Université de Paris IV Sorbonne, Un primo passo verso la riforma: la commedia romanzesca [email protected] Intorno alla metà del XVIII secolo a Venezia si creano delle condizioni favorevoli all’elaborazione della riforma goldoniana. Questa fase sperimentativa si traduce nella commedia romanzesca, che ha in Pietro Chiari e Carlo Goldoni i suoi principali artefici. Questo nuovo “genere” può consolidarsi grazie alla presenza di due fattori. Il primo è conseguente alla nascita del romanzo moderno, la quale suscita un immediato impulso di ricezione ed emulazione, dando vita a commedie scritte sul modello e sull’ispirazione di noti romanzi stranieri, oppure commedie costruite sui tópoi romanzeschi. Il secondo deriva da avvenimenti socio-economici. Prima di essere un prodotto scenico, letterario e artistico, il teatro è una macchina economica: per un proprietario, la prima preoccupazione è la chiusura in attivo della stagione. In questo panorama l’incendio del teatro di San Samuele del settembre 1747 deve aver spinto i proprietari Grimani verso una produzione a basso costo e ad alto rendimento. La soluzione è il duo Pietro Chiari-commedia romanzesca, ovvero un prodotto capace di coniugare le maschere della commedia dell’arte alla novità, di sicuro successo, con trame già consolidate e suddivisibili in più puntate (in modo da creare una fidelizzazione tra autore, pubblico e attori). Anche Goldoni scende nella competizione romanzesca in maniera personale e originale, al tempo stesso viene assoldato dal N.H. Michele Grimani al teatro di San Samuele per l’opera buffa insieme a Baldassare Galuppi. Questo è per i Grimani, martoriati da un continuo susseguirsi di sciagure, un secondo sodalizio in grado di garantire profitto e stabilità. Francesco Roncen, Università di Padova, Verso parlato e verso scritto: l’endecasillabo sciolto tra commedia e poetiche nel Settecento [email protected] Una riflessione sulla metrica del Settecento passa inevitabilmente per il teatro. Qui infatti, fin dal Cinquecento, si diffonde con notevole fortuna l’endecasillabo sciolto, che costituisce anche il verso principe della poesia neoclassica e si presenta, lungo tutto il XVIII secolo, quasi come una moda poetica in contrapposizione alla leggerezza stilistica e tematica dell’Arcadia e dei metri chiabreriani. Il presente intervento propone una panoramica dell’endecasillabo sciolto nella commedia settecentesca, partendo dalle riflessioni teoriche di Gravina e Martello e ponendo l’attenzione su due principali questioni: il tema dell’“imitazione” drammatica, che deve riprodurre la realtà restandone però allo stesso tempo ben distinta, e il rapporto – in termini di somiglianze e differenze, scopi e trattamento stilistico – tra endecasillabo sciolto teatrale e endecasillabo “scritto”, non finalizzato a una performance orale. Piano I, Aula 17 Il riso fra politica e società. I. Il Settecento. Coordina Fabio Giunta, Università di Bologna [email protected] Interviene Alberto Beniscelli, Università di Genova [email protected] Il panel si propone di indagare alcuni aspetti del comico nella letteratura italiana tra Sette e Ottocento. Specchio deforme della realtà, e allo stesso tempo strumento per appropriarsi di essa e penetrare nelle sue contraddizioni, il comico è in grado di porsi sia come denuncia politica, sia come specola per accedere alla realtà più concreta, restituendo un universo ideologico, sociale e antropologico rimasto spesso ai margini della letteratura ufficiale; il comico diviene inoltre, in una prospettiva che muove dal «basso», efficace espressione del paradosso metafisico della condizione umana. Carlo Goldoni, Vittorio Alfieri, Carlo Porta, Gioacchino Belli, Giuseppe Giusti, Giacomo Leopardi – solo per fare alcuni nomi entro i limiti cronologici qui tracciati – hanno fatto della satira politica e sociale ora un terreno privilegiato per irridere le maschere ipocrite delle convenzioni, ora un contrassegno per opporsi a un fare letterario adagiato nelle forme e nei modi di un classicismo stantio, ora un mezzo per fare riflettere in profondo e, in qualche caso, per spronare la collettività ad un rinnovamento. Denise Aricò, Università di Bologna, La satira di Francesco Algarotti tra Orazio e Swift [email protected] Il contributo vuole illustrare la mappa dei generi comici disegnata da Algarotti che, pur non avendo mai pubblicato un’opera organica sull’argutezza neoclassica, elabora una propria estetica del “buon gusto” che elegge Addison, Swift, Pope, John Gay e William Hay quali modelli di riferimento per criticare l’erudizione sterile e l’avversione per le novità che affliggevano, ai suoi occhi di curioso viaggiatore cosmopolita, la politica culturale italiana contemporanea. Stefano Scioli, Università [email protected] di Bologna, Nell’universo letterario di Carlo Goldoni Alla luce della bibliografia critica più recente, il contributo intende offrire una mise au point di temi e problemi dell’universo letterario goldoniano: dagli esordi alla “riforma” sino al periodo francese. Particolare attenzione verrà riservata ai legami tra il commediografo veneziano, talune istanze illuministiche e il “mondo borghese”, accordando cura privilegiata alla semantica del “comico”. Cecilia Gibellini, Università del Piemonte Orientale, Satira e irriverenza nelle Novelle di Giambattista Casti [email protected] L’intervento si propone di mettere a fuoco i motivi e le modalità della satira politica e sociale nell’opera meno dichiaratamente satirica di Giambattista Casti, le Novelle licenziose in ottave. Dissimulando il proprio impegno ideologico dietro gli schermi della tematica erotica e della poetica della piacevolezza, l’abate libertino colpisce con la sua irriverenza gli oggetti consacrati dalla tradizione (mitologia, storia antica e Sacre Scritture) e conduce una sorridente ma caustica polemica in linea con le punte laiche, illuministe e razionaliste del suo tempo. Michela Rusi, Università di Venezia “Ca’ Foscari”, Forme del comico e della parodia nella Vita di Alfieri [email protected] Gli studi critici degli ultimi decenni hanno prestato un’attenzione crescente agli aspetti comici della Vita di Alfieri, tuttavia resiste di essa un’immagine ancora vicina a quella dell’exegi monumentum oraziano. Nell’intervento che propongo intendo mettere in evidenza come il registro comico sia quello dominante nella Vita, nelle forme dell’antifrasi, del paradosso, della parodia, in una critica radicale dello scrittore nei confronti dei miti e delle ideologie della società a lui contemporanea. Enza Lamberti, Università di Salerno, “Oh fetor dei costumi Italicheschi”. Il divorzio di Alfieri tra tradizione classica e modernità [email protected] Il divorzio è l’ultima commedia di Alfieri. Composta nel 1802 e definita dallo stesso autore “italica” perché l’unica a essere ambientata in Italia, la commedia è una satira ai costumi degli italiani e ribalta, enfatizzandolo, il tradizionale mos maiorum. Con tale proposta si dimostra l’intento del poeta astigiano di compiere un interessante esperimento di innovazione delle forme del comico non solo sul piano del linguaggio ma anche sul piano ideologico. Il riso fra politica e società. II. L’Ottocento. Coordinano Andrea Campana, Università di Bologna [email protected] Edoardo Ripari, Università di Bologna [email protected] Interviene Alberto Beniscelli, Università di Genova [email protected] Mario Minarda, Università di Palermo, Politica e letteratura in versi satirici. Per una rilettura della Palinodia di Leopardi [email protected] [email protected] La Palinodia al Marchese Gino Capponi è un testo satirico dell’ultimo Leopardi in cui il dissenso politico del poeta nei confronti dei propri contemporanei si esprime anche attraverso una polemica di natura letteraria contro la cultura promossa da giornali, riviste e trattati, uniformata al solo criterio dell’utile e alle leggi del mercato. In ciò è possibile scorgere connessioni con determinate prose leopardiane e, soprattutto, con l’operetta morale Parini, ovvero della gloria. Il comico è palesato da un riso beffardo, in contrasto col riso utopico e profondo dell’Elogio degli uccelli. Rossella Terracciano, Università di Salerno, I Paralipomeni come rovesciamento della Commedia [email protected] I Paralipomeni costituiscono un vero e proprio rovesciamento del viaggio dantesco, attuato in particolare nel canto VII. Qui si vuole negare l’esistenza di un mondo ultraterreno e molteplici sono i rovesciamenti del modello dantesco: le modalità di separazione dell’anima dal corpo, l’assenza di una topografia, di custodi che impediscano l’accesso ai vivi, di pene e condanne da scontare, ma soprattutto l’immagine di una città dolente che non è più il regno infernale bensì il mondo terreno. Massimo Migliorati, Università Cattolica di Milano, La satira sociale del Meneghin biroeu di Carlo Porta [email protected] L’intervento pone in rilevo la presenza di alcuni motivi di satira sociale, il cui bersaglio è il clero secolarizzato, in uno dei capolavori della piena maturità artistica di Carlo Porta, il Meneghin biroeu di ex monegh. Tali motivi si possono rinvenire anche in testi composti precedentemente (Ona vision, i due Brindes, Paricc penser bislach e altri) e si collocano con coerenza nel ritratto complessivo del popolo milanese che Porta compone nel corso della vita, ma qui trovano tratti originali e rinnovata forza anche grazie alla ulteriore maestria poetica raggiunta dall’autore, sì da collocarlo fra i maggiori poeti europei del suo tempo. Edoardo Camassa, Università di Siena, Il Papa nei Sonetti di Belli: tra satira e caricatura [email protected] Concentrandomi in particolare su alcuni componimenti, tra cui segnalo almeno Er Papa (Vigolo 416, Vighi 420) e Li soprani der monno vecchio (Vigolo 361, Vighi 362), nel mio intervento vorrei mostrare come nei Sonetti di Belli il Papa da un lato sia un oggetto di satira ben individuato e concreto (l’inetto e prepotente Gregorio XVI) e dall’altro assurga a emblema caricaturale di una schiera di sovrani impazziti e infantili, soggiogati dal delirio di onnipotenza, suscitando così un effetto ludico. Maria Valeria Sanfilippo, Università di Catania, Le convenzioni sociali de Il paraninfo di Luigi Capuana e le licenze farsesche di Angelo Musco nella ricezione della stampa e del pubblico di fine Ottocento [email protected] Nei cruciali anni fra Otto e Novecento un valente attore catanese, Angelo Musco, coadiuvato dalla sua compagnia teatrale, si fa artefice dell’impresa di diffondere lati inediti del carattere isolano, grazie ad un repertorio rinnovato nei contenuti anche per merito di Luigi Capuana, che scardina stereotipi in favore di una vis comica caratterizzata da bonaria ironia. I “media” dell’epoca registrano una «riabilitazione» del teatro siciliano. Ma la parabola ascendente, che vuole il Musco «insuperabile interprete» di cavalli di battaglia come Il paraninfo, se da un lato continua a mietere successi presso una cospicua fetta di pubblico, che preferisce il lazzo al raffinato umorismo, dall’altro s’involve nel giudizio di alcuni critici e in quello di un Capuana tradito. Il drammaturgo aveva sotteso al copione ben altre risorse comiche, snaturate poi dalle distorsioni del mattatore. Sullo sfondo il diagramma di ansie e speranze dell’autore, il suo altalenante odi et amo per un Musco intemperante, contro cui pure s’indirizza il coro pirandelliano di lamentele, giacché «l’arte s’è per sempre divorziata da lui» e «la sua moglie legittima e naturale è la Farsa». Invano la vedova Bernardini cercherà di preservare la memoria letteraria del Capuana, che già in vita confessava all’amico Martoglio di non potere approvare le «grossolane battute» «neppure quando lo sciocco pubblico le gusta!». Orientamenti di una società composita, fogli di un diario collettivo scritto dalla «duplice bestia nera» (la stampa e il pubblico). Sabato 9 settembre ore 9.00-11.00 Università degli Studi di Firenze – Scuola di Studi Umanistici e della Formazione Plesso didattico universitario, via Laura, 48 Piano I, Aula 2 Gruppo tematico “Rinascimento” PANEL 1 Forme del contrasto amoroso nella lirica italiana. Coordina Claudia Berra, Università di Milano [email protected] Interviene Tiziano Zanato, Università di Venezia “Ca’ Foscari” [email protected] Il panel intende ospitare interventi che prendano in esame esempi del genere contrasto nella lirica italiana dal Duecento in poi. Il campo sarà ristretto all’ambito amoroso, anche se sarà possibile proporre contributi su declinazioni diverse da quella più diffusa, che prevede il dialogo tra una donna e il suo amante. Attraverso le comunicazioni si potrà avviare una riflessione sul genere del contrasto amoroso nella letteratura italiana, sulle sue costanti, le sue specificità e la sua evoluzione, sui suoi rapporti con altre tradizioni letterarie e con altri generi (ad esempio la bucolica, il teatro, le tenzoni poetiche, altre forme dialogate), ma la considerazione di aspetti formali, come marche dell’oralità e tratti linguistici connotati localmente e socialmente, di dinamiche intertestuali ed elementi contenutistici potrà offrire spunti per una riflessione più ampia, su componenti dialogiche, interferenze comiche, sviluppi in senso narrativo e teatrale nella lirica amorosa, e permetterà di aprire una finestra sulla rappresentazione di ambienti sociali e rapporti tra i sessi nella nostra letteratura. Il panel si propone anche come occasione per offrire visibilità a testi solitamente poco frequentati e a ricerche in atto, specialmente di carattere filologico, che potranno consentire di mettere a fuoco particolari problematiche legate al genere letterario. Giulia Ravera, Università di Milano, Esempi di contrasti amorosi e scambi dialogici nella lirica toscana duecentesca [email protected] Nel corpus lirico toscano del ‘200 sono presenti significativi esempi di contrasto tra gli amanti. Sulla scorta di Guittone e dei modelli occitanici e siciliani, autori come Dante da Maiano e Chiaro Davanzati rappresentano i momenti più intensi del rapporto amoroso in forma dialogata, pur attraverso metri e strutture diversi. Si intende indagare il significato di simili scelte comunicative, strumento di variatio, ma anche mezzo per rafforzare l’efficacia dei tópoi derivati dalla concezione lirica cortese. Irene Falini, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Opera del Vocabolario Italiano, Contrasti amorosi dalle rime di Francesco Cei: tra reminiscenze angiolieresche e precoci echi bucolici [email protected] L’intervento analizzerà due componimenti tratti dalle rime di Francesco Cei, delle quali mi sono occupata per la tesi di dottorato (Le rime di Francesco Cei. Edizione critica e commento, discussa presso l’Università di Genova il 27 aprile 2017): un sonetto dialogato dal sapore comico in cui si alternano repentinamente le voci dell’io lirico e della donna e un capitolo bucolico in terza rima sdrucciola in cui il poeta, travestito da pastore, dialoga con madonna nelle vesti di una insolente ninfa. Gabriele Baldassari, Università di Venezia “Ca’ Foscari”, Un dittico di contrasti tra le Canzonette di Leonardo Giustinian [email protected] L’intervento riguarderà O tu che sei compagna e Dio te dia la bona sera [...] compagna, una coppia di contrasti di Leonardo Giustinian. Dopo una rapida introduzione filologica, esaminerò le componenti formali, linguistiche, intertestuali e le modalità di articolazione del dittico, che inscena prima il dialogo tra un amante infelice e la compagna della donna da lui amata, e poi, di fronte alla conferma della ritrosia dell’amata, l’inaspettata dichiarazione d’amore dell’uomo alla compagna. PANEL 2 Gruppo tematico “Rinascimento” Ridere con l’epica cavalleresca: licenza e censura del sorriso nel poema in ottave tra Quattro e Cinquecento. Coordinano Michele Comelli, Università di Milano [email protected] Franco Tomasi, Università di Padova [email protected] Interviene Tiziano Zanato, Università di Venezia “Ca’ Foscari” [email protected] Il panel si propone di indagare la dialettica e le intersezioni tra dimensione comica e dimensione epica nel poema in ottave in Italia tra Quattro e Cinquecento, con apertura anche alla successiva codificazione del genere eroicomico, di cui tali scambi gettarono le basi. Se la rinascita aristotelica di metà Cinquecento portò infatti a una rigida codificazione del genere eroico, che mise al vaglio, attraverso la tassativa quanto ampia categoria di “decoro”, l’intera tradizione volgare ma anche classica (si pensi alle critiche tassiane al “costume” in Omero), resta evidente che tra Quattro e inizi Cinquecento la convivenza tra elementi comici ed epici sia una sorta di patrimonio genetico irrinunciabile di marca italiana, che diede vita alle più diverse declinazioni: da Pulci, Boiardo, Ariosto, Aretino, Folengo, e i loro epigoni, agli stessi sperimentatori di un poema eroico “regolare” (Trissino, Alamanni, Giraldi, Bolognetti, Bernardo e Torquato Tasso), la dialettica tra dimensione comica e dimensione epica si configura come una costante (da accogliere, sviluppare o rifiutare) intrinseca al poema in ottave. Teresa Cancro, Università di Padova, Vagabondi, furfanti e buffoni. Mésalliances inedite e palinodia dell’eroe nel Baldus di Teofilo Folengo [email protected] Problematizzando la possibilità di far uso del concetto di parodia come efficace chiave ermeneutica del Baldus, la proposta di intervento intende mettere in luce come le audaci interferenze tra epico e comico realizzate da Folengo nella creazione dei suoi eccentrici personaggi e la negazione dell’eroe a chiusura del poema siano rispettivamente il riflesso dei principi strutturali del macaronico e una riflessione sul valore della poesia, piuttosto che un’irrisione del mito cavalleresco. Sandra Carapezza, Università di Milano, «Il quarto di Vergilio». Intersezioni tra comico ed epicocavalleresco in Pietro Aretino [email protected] Data l’importanza di Aretino nella letteratura comica rinascimentale, si indagheranno i riflessi del comico di situazione e di stile nella sua incompiuta produzione cavalleresca (Marfisa e Angelica) e, al contrario, i richiami al poema all’interno del Dialogo e del Ragionamento. Particolare attenzione sarà poi dedicata ai due poemi comico-cavallereschi Orlandino e Astolfeida. Lavinia Spalanca, Università di Palermo, Dall’epico al comico: La Guerra de’ Mostri di Antonfrancesco Grazzini [email protected] Il poema in ottave La Guerra de’ Mostri, composto da Antonfrancesco Grazzini nel 1547 – all’indomani della sua cacciata dall’Accademia Fiorentina – attesta l’evoluzione in chiave eroicomica del genere letterario e insieme testimonia, attraverso il filtro dell’allegoria, il mutamento della funzione intellettuale attuatosi a metà Cinquecento, costituendo un affascinante esemplare della dialettica rinascimentale fra dimensione comica e dimensione epica. Piano I, Aula 3 Gruppo tematico “Studi di genere nella letteratura italiana” Alba de Céspedes a vent’anni dalla morte. Coordina Annalisa Andreoni, Università IULM di Milano [email protected] Interviene Lucinda Spera, Università per Stranieri di Siena [email protected] Quest’anno cade il ventennale della morte di Alba de Céspedes, avvenuta a Parigi il 14 novembre 1997. È un’occasione per rileggere in prospettiva critica la sua opera narrativa e poetica, che ha attraversato il Novecento dagli anni Trenta agli anni Settanta. L’uscita del Meridiano curato da Marina Zancan, nel 2011, ha segnato l’inizio di un nuovo interesse nei confronti di questa autrice, una delle più cosmopolite del nostro Novecento. Cubana per parte di padre, immersa fin dall’infanzia nella cultura francese, soggiornò per anni negli Stati Uniti e dalla fine degli anni Sessanta scelse di risiedere a Parigi, adottando il francese come lingua creativa. Intellettuale impegnata, dopo aver partecipato alla Resistenza fondò e diresse la rivista «Mercurio», un punto di riferimento della cultura italiana del secondo Dopoguerra. Il panel è aperto a ogni contributo di carattere biografico e critico volto a mettere in luce aspetti nuovi della sua figura di scrittrice. Carla Carotenuto, Università di Macerata, «E io […] avrei preferito essere deforme purché mi venisse riconosciuto il diritto di pensare». Ritratti di donna fra tradizione ed emancipazione in Prima e dopo di Alba de Céspedes [email protected] L’intervento prende in esame le diverse figure di donna in Prima e dopo (1955) di Alba de Céspedes che ha dedicato alla dimensione muliebre gran parte della sua produzione letteraria. L’analisi è strutturata sulle principali diadi oppositive ricorrenti nell’opera decespedesiana: privato/pubblico, microstoria/macrostoria, affettività-amore/interesse personale, individuo/famiglia-collettività, donna/uomo, solitudine/socialità, disimpegno/impegno, interiorità /spazialità. Adriana Chemello, Università di Padova, “La resistenza etica” nelle narrazioni di Alba de Céspedes [email protected] Il mio contributo intende approfondire le modalità narrative utilizzate da De Céspedes nel dare voce e volto all’impegno resistenziale delle donne. Si tratta di una rappresentazione “antieroica” dell’impegno femminile nella resistenza contro i Nazisti, dove la protagonista sceglie liberamente di mettersi nel mondo e di assecondare la sua coscienza civile. Chiara Coppin, Università di Napoli “L’Orientale”, La punteggiatura ne Le ragazze di maggio di Alba de Céspedes [email protected] Nel 1968 Alba de Céspedes pubblica Chansons des filles de Mai, raccolta poetica ispirata alla rivolta studentesca francese scoppiata in quello stesso anno, da lei tradotta in italiano nel 1970 con il titolo Le ragazze di maggio. Lo studio intende soffermarsi sull’uso della punteggiatura quale elemento di stile cui sono affidate funzioni espressive tese a veicolare alcuni temi cari alla scrittrice: il coinvolgimento delle giovani donne nel movimento giovanile, l’analisi dell’animo femminile, l’uguaglianza, la libertà e la giustizia. Sonia Rivetti, Università di Salerno, «If we escape a little from the common sitting-room»: le donne scomposte di Alba de Céspedes e Anna Banti [email protected] Il romanzo Dalla parte di lei di Alba de Céspedes, pubblicato nel 1949, smonta il luogo comune della donna pacificata entro i confini delle mura domestiche e mostra una donna inquieta, destabilizzante per l’imprevedibilità dei suoi pensieri e comportamenti. Due anni prima Anna Banti, con il romanzo Artemisia, invita la donna a deviare dai ruoli dati e a seguire la propria vocazione. Alessandra e Artemisia sono personaggi accomunati dall’urto con l’ordine sociale prestabilito. Rivendicano il diritto di vivere in presenza della realtà (costituita per l’una dall’amore, per l’altra dalla pittura) accettando un destino di perdite, solitudine e condanna. Antonia Virone, Università per Stranieri di Siena, Un percorso di formazione in tre romanzi di Alba de Céspedes [email protected] La comunicazione analizzerà come la lettura dei romanzi di Alba de Céspedes Dalla parte di lei (1949), Quaderno proibito (1952) e Prima e dopo (1955) possa avvenire secondo l’ottica di un Bildungsroman in tre tappe: un percorso di formazione all’interno del quale le protagoniste dei diversi romanzi affrontano il rapporto con se stesse, con l’amore e con la solitudine per raggiungere la felicità, come Irene, che comprende che la felicità si può trovare solo accettando la disperazione che assilla ogni creatura umana consapevole. Piano I, Aula 5 Manzoni fra comico e ironia. Coordina Simona Lomolino, Università Cattolica di Milano [email protected] Interviene Isabella Becherucci, Università Europea di Roma [email protected] Forte dell’eredità pariniana e prima ancora biblica e socratica, Manzoni si pone implicitamente in dialogo con i romantici europei sul tema dell’ironia, manifestando nelle sue opere teoriche, ma soprattutto nella pratica letteraria, la capacità di far reagire il portato della tradizione classica all’interno di una visione del mondo cristiana, coniugando l’osservazione della realtà in tutti i suoi aspetti con lo spirito di carità. Convinto assertore della moralità della letteratura, l’autore non può fare a meno di porsi il problema del “come scrivere” con la viva attenzione a non attaccare, né ingannare l’interlocutore: per questo la figura retorica dell’ironia si sfronda, nelle sue pagine, del mero intento distruttivo per assumere una funzione educativa nei confronti di un lettore che deve essere posto nella condizione di comprendere e giudicare. Pertanto, si propone un’indagine sulle tracce del comico e dell’ironia e dell’autoironia a livello lessicale, narrativo, strutturale, di caratterizzazione dei personaggi, che ponga in evidenza la sua capacità di sostenere sia il comico sia il tragico; d’altra parte, si invita a ripercorrere anche la filigrana ironica di alcuni luoghi significativi delle opere teoriche, che consentono al lettore e al critico di cogliere con maggior profondità e ricchezza le tracce con le quali l’autore indirizza l’interlocutore verso la verità, anche alla luce dei modelli che Manzoni riconosce e supera. Simona Lomolino, L’ira di Apollo fra parodia classicista e polemica romantica L’intervento si sofferma sulla portata innovativa di un’ode dalla veste scherzosa che, prendendo spunto dalla difesa della Lettera semiseria di Berchet, affastella i più triti luoghi comuni del repertorio mitologico per smascherare i limiti di un classicismo stanco e di maniera. L’ira di Apollo si inserisce con la sua carica parodica nel dibattito classiciromantici, facendo emerge per antifrasi posizioni espresse pienamente nella più tarda Lettera sul Romanticismo e riconfermando la figura di un Manzoni profondamente coinvolto nel dibattito culturale europeo. Federica Alziati, Université de Fribourg (CH) – Università Cattolica di Milano, Oltre la parodia: Manzoni e il modello tassiano dal Canto XVI del Tasso al romanzo, dalla lezione dei Discorsi all’ipotesto dei Dialoghi [email protected] [email protected] Prendendo le mosse dalla parodia del Canto XVI del Tasso e dalle emergenze comiche dell’auctoritas tassiana nei Promessi sposi, si intende approfondire il legame di Manzoni con il modello poetico e intellettuale incarnato da Tasso. Attraverso alcuni sondaggi nella produzione letteraria e teorica manzoniana, si proverà così a restituire una fisionomia più realistica alla presenza (ora scoperta ora sotterranea) del letterato cinquecentesco, avanzando l’ipotesi che anche la prosa dei Dialoghi possa aver agito come termine di confronto per la riflessione estetica di Manzoni. Elena Maiolini, Università di Venezia “Ca’ Foscari” – Université de Paris IV Sorbonne, Don Abbondio e il cagnaccio: una storiella da ridere? [email protected] La descrizione del curato impaurito dal Conte come da un «cagnaccio […] famoso per morsi», nel capitolo XXIII dei Promessi sposi, illumina l’ironico uso manzoniano del lessico dei vizi animaleschi, attinente a quello della superbia. L’intervento si propone di leggere la scena con attenzione per cogliere i nodi su cui è tessuta la trama, come invita a fare l’eco di una «storiella» raccontata da Manzoni a Giuseppe Giusti: «una storiella che in sè è da ridere, ma per me c’è sotto del malinconico». Matteo Sarni, Università di Torino, Lʼallegretto degli alterati [email protected] Numerosi alterati intridono le pagine dei Promessi Sposi di una comicità sfaccettata, che va dallʼaffettuosa allegria della levità esistenziale sino al reciso sarcasmo della polemica. Nel pur ristretto cosmo degli alterati si registra dunque la natura ancipite dello humour manzoniano: da un lato, esso è arruolato nella battaglia contro la meschinità umana; dallʼaltro, celebra con leggerezza il côté positivo dellʼesistenza. Milena D’Aquila, Università di Chieti-Pescara “Gabriele d’Annunzio”, L’ironia manzoniana nelle “illustrazioni umoristiche” dell’edizione Quarantana dei Promessi Sposi [email protected] All’interno del vasto tema relativo al rapporto testo-immagini dell’edizione dei Promessi Sposi (1840), l’intervento indagherà le strategie e le soluzioni figurative elaborate da Manzoni ed eseguite dalla sua équipe di disegnatori per tradurre in immagini i passi del romanzo nei quali agisce la figura retorica dell’ironia. Teresa Agovino, Università di Napoli “L’Orientale”, Apologia della zitella. Perpetua e Ferdinanda a confronto [email protected] Trattando del comico in Manzoni, è impossibile non andare immediatamente col pensiero alla figura di Perpetua, e all’ironia bonaria che l’autore scaglia sulla sua condizione di donna nubile che ha già superato l’età sinodale dei quaranta. Ci si propone qui un confronto tra questa figura, e quella di Ferdinanda Uzeda, definita dall’autore dei Viceré “la zitellona”, figura carica di sfumature ironiche ma anche centrale all’interno del romanzo. Piano II, Aula 7 PANEL 1 «Torti in proposito diverso». Forme della parodia nel Cinquecento. Coordinano Nicola Catelli, Scuola Normale Superiore di Pisa [email protected] Giovanna Rizzarelli, Scuola Normale Superiore di Pisa [email protected] Interviene Marco Corradini, Università Cattolica di Milano [email protected] Radicata all’interno del più ampio dibattito sull’imitazione dei classici e sulla ridefinizione dei modelli volgari, la parodia diviene oggetto, nel corso del XVI secolo, di specifiche trattazioni teoriche che riprendono e aggiornano la codificazione antica con l’intento di delineare in maniera esaustiva i meccanismi e le implicazioni del fenomeno. Questa riflessione, i cui esiti di maggior rilievo sono il capitolo sulla parodia dei Poetices libri septem di Giulio Cesare Scaligero (1561) e le Parodiae morales di Henri Estienne (1575), si svolge in parallelo a una fiorente produzione di testi parodici che, in ambito italiano, coinvolge numerosi autori (ad esempio Machiavelli, Ariosto, Folengo, Berni, Aretino, Franco, Caro, Doni, Bruno). L’obiettivo del panel è pertanto quello di contribuire alla riflessione sulle forme del comico a partire dallo studio dei testi parodici e dei trattati sulla parodia del Cinquecento. Francesco Feola, Università di Pisa, Dalla «cameretta» di Petrarca alla «stanza trifonesca» (passando per la «casa del Bernia»). Appunti per una classificazione dei tópoi nella poesia comicoparodica [email protected] Trifone Benci fu un’insolita personalità della letteratura italiana del Cinquecento in ambito farnesiano. All’interno della sua produzione poetica vi sono tre sonetti caudati con i quali s’inserisce nella tradizione comico-burlesca che ha in Francesco Berni il suo maggiore interprete, parodiando a sua volta il modello, con un ulteriore abbassamento. Attraverso l’analisi di questi tre esempi si enucleeranno altrettanti tópoi della poesia comico-parodica: il viaggio, l’autoritratto e la cameretta. Carlotta Larocca, Università di Macerata, I Capitoli erotici di Francesco Maria Molza: fra tradizione e innovazione [email protected] La produzione erotica di Francesco Maria Molza è costituita da tre capitoli «in lode», sintesi degli elementi costitutivi del genere e recante al contempo tratti originali. Essa si colloca all’interno del bernismo programmatico promosso dalla romana Accademia de’ Vignaiuoli e ben dimostra come, nel clima culturale degli anni ’30 del Cinquecento, il registro comico si presentasse come mezzo di riscatto dalle miserie del presente, ponendosi altresì come modello alternativo al petrarchismo vigente. Erica Ciccarella, Università degli Studi di Trento – Université Paris III Sorbonne Nouvelle, «Col coltello dell’immaginazione». Bellezza femminile e (auto)parodia in Agnolo Firenzuola (14931543) [email protected] La categoria del “bello” femminile è trattata dal Firenzuola sia nella sua veste “seria” dei Ragionamenti e del Celso, sia nella sua contraffazione parodica affidata alla produzione burlesca, e nella fattispecie al capitolo Sopra le bellezze della sua innamorata. L’intervento vorrà indagare il legame sotterraneo tra il polo teorico e quello poetico dell’autore, inserendo il discorso nel più ampio fenomeno dell’antipetrarchismo di eredità bernesca. PANEL 2 Come ridevano: avanspettacolo, rivista e varietà nel primo Novecento. Coordina Simona Costa, Università di Roma Tre [email protected] Interviene Florinda Nardi, Università di Roma “Tor Vergata” [email protected] Il panel si inscrive nell’ambito delle indagini relative alle forme teatrali novecentesche che, al confine tra parodia, satira, divertissement, sono state declinate in diversi generi, dal varietà alla rivista, dal café chantant all’avanspettacolo. Tali rappresentazioni, in parte legate alle avanguardie primonovecentesche e dal successo relativamente breve – dagli anni ‘90 dell’Ottocento agli anni ‘60 del Novecento –, specie tra gli anni Venti e Trenta ebbero un momento di grande diffusione, come riflette la stampa dell’epoca. Il rapporto tra avanspettacolo e rivista, il ruolo centrale della figura dell’autore-attore e lo sperimentalismo linguistico dispiegato si rivelano oggi un campo d’indagine estremamente ricco di spunti e suggestioni, non ancora del tutto esplorato. Per la giusta collocazione storiografica e letteraria di un fondamentale capitolo, troppo a lungo ritenuto minore, della letteratura teatrale italiana, occorre dunque rivisitare non solo i testi, ma anche i protagonisti di queste particolari proposte, anche tramite una ricognizione di documenti conservati negli archivi privati e pubblici, che comprendono carte di lavoro, epistolari e biblioteche d’autore, dal cui pieno recupero potrà scaturire un utile e stimolante quadro dialettico. Punti di riferimento saranno poeti, attori, giornalisti e intellettuali che hanno preso parte, con ruoli diversi, a questo generale spirito di rinnovamento: da Rocco e Michele Galdieri a Ettore Petrolini, da Luciano Folgore a Totò, da Macario ad Achille Campanile. Simona Onorii, Università di Roma Tre, Il teatro di Ettore Petrolini: dal modello alla parodia [email protected] L’attività di Ettore Petrolini, simbolo di un’epoca e di tutto un teatro, è composita estendendosi dal Varietà che ha caratterizzato la prima parte della sua produzione fino alla commedia in prosa degli anni ’20/’30. Questa comunicazione si concentrerà sulla parodia petroliniana con lo scopo di analizzare come il modello dannunziano venga destrutturato. Sia attraverso il supporto della bibliografia relativa sia tramite il materiale manoscritto, in parte inedito, conservato nella Biblioteca del Burcardo, si attende la ricostruzione di questo tratto del “fare teatro” di Petrolini. Monica Venturini, Università di Roma Tre, Petrolini e i futuristi: “radioscopia” di un incontro [email protected] Nella comunicazione si intende mettere a fuoco il rapporto che Petrolini intrattenne con molti artisti futuristi, da Marinetti a Buzzi, da Settimelli a Folgore e Cangiullo. Punto d’avvio di tale ricognizione sarà l’indagine svolta nella Biblioteca teatrale del Burcardo a Roma che accoglie il Fondo Petrolini con materiale edito e inedito – copioni, lettere, testi di varia natura – analizzato sulla base di un’attenta ricostruzione dei momenti chiave di tale sodalizio teatrale e intellettuale. Antonio D’Ambrosio, Sapienza Università di Roma, «La caffeina del mondo». Testimonianze sul teatro futurista nel Fondo Falqui [email protected] Per organizzare l’inchiesta radiofonica sul Futurismo nel 1952, Enrico Falqui raccoglie numerose testimonianze, in parte inedite, ora conservate presso l’Archivio del Novecento della Sapienza di Roma. Molto interessanti quelle di Bragaglia e altri sul teatro, che, oltre a preziose osservazioni teoriche corredate da esempi, forniscono spunti per approfondire l’«atmosfera scenica», personaggi e linguaggio compresi, l’uso «delle luci colorate e dei volumi plastici in scena». Francesca Tomassini, Università di Roma Tre, L’ambiguità del comico: storia, tradizione e teatro di varietà [email protected] L’intervento mira ad analizzare il rapporto che il teatro del varietà degli anni Trenta instaura con la Storia e con la tradizione teatrale e letteraria italiana. Saranno prese in esame alcune tra le esperienze più significative, come quelle di Petrolini a Roma e di Viviani a Napoli, per andare ad indagare come il fantasma della Storia e della cultura dominante faccia irruzione sulla scena, scevro però da ogni sentimentalismo nostalgico e caratterizzato da un totale disincanto che guida l’attore-autore verso un genere comico indipendente e graffiante. Sotto le trame di uno spettacolo apparentemente scanzonato si cela, infatti, una corrosiva critica sociale che si realizza tramite il dispiegamento di una nuova comicità, cinica e beffarda, che si trova a fare i conti con la tradizione e con le contemporanee sperimentazioni teatrali per poi capovolgerle e tradirle e produrre inediti e originali adattamenti (il caso più celebre è quello del testo pirandelliano Lumìe di Sicilia che nella riduzione petroliniana diventa Agro de limone). Questo è un teatro in cui la materia rappresentata viene continuamente montata e smontata tramite un minuzioso lavoro di composizione capace di raccontare, attraverso macchiette, stornelli, canzoni e commedie, sentimenti nascosti nelle coscienze di una società in difficoltà in un momento di disorientamento storico. Piano II, Aula 8 Ennio Flaiano: le forme della satira. Coordina Marino Biondi, Università di Firenze [email protected] Interviene Aldo Maria Morace, Università di Sassari [email protected] Il panel si propone di indagare la figura di Ennio Flaiano, riconosciuto maestro e ormai archetipo del linguaggio satirico in Italia, nella cultura nazionale, comprensiva della letteratura ma anche del giornalismo, delle scritture cinematografiche e teatrali, fino a quella disponibilità di commentare quasi giorno per giorno il volume della vita propria e delle vite altrui, fedele a uno dei suoi principi basilari, vero postulato del suo esistenzialismo, che la vita di ciascuno fosse fatta di poche istantanee memorabili e di un lento trascorrere di tempo teso a fare massa, a fare semplicemente volume. Questo volume delle sue scritture vorremmo sfogliare, rileggere, analizzare, operando anche una sorta di costante rilevazione sulle mutazioni profonde che la scrittura letteraria subisce in questo autore, per il quale il racconto non è più racconto, né il romanzo è più solo romanzo. Lo scrittore pescarese si autodefinì autore satirico minore di una tarda era imperiale, tarda e decadente. Il comico, le varie sfumature e gradazioni del suo umorismo, rispecchiano pertanto un lungo declino di civiltà e di storia. Melanconico controcanto della decadenza, Flaiano è stato sfruttato intensivamente nel gergo dell’aforisma, della battuta breve e fulminante, a citabilità continua, ma anche se non possiamo negargli questo genio, questa irresistibile indole, riteniamo che lo scrittore abbia uno spessore superiore e una statura di classico moderno. Erika Bertelli, Università [email protected] di Firenze, L’arte dell’aforisma [email protected] Prendendo in esame alcune delle principali opere flaianee, tra le quali Diario notturno (1956), Diario degli errori (1976), Frasario essenziale per passare inosservati in società (1986) e la miscellanea di aneddoti e ricordi edita postuma nel 1996 La solitudine del satiro, il contributo vuole dimostrare come la scrittura aforistica non rappresenti il mezzo per sfogare le proprie inquietudini, ma l’arte che, attraverso l’ironia, è il solo conforto possibile alla vita e alla letteratura. Giovanni Capecchi, Università per Stranieri di Perugia, Il racconto del contesto: Flaiano e il sistema Italia [email protected] L’intervento si propone di ripercorrere il racconto dell’Italia fatto da Flaiano, soprattutto negli interventi apparsi in un primo momento su quotidiani e periodici e poi raccolti in volumi per lo più postumi, tra Diario notturno e La solitudine del satiro. La relazione ha l’obiettivo di ripercorrere le tappe e i temi portanti di quello che può essere considerato il racconto per frammenti di una Nazione, tra secondo dopoguerra e boom economico: l’impegnata radiografia del sistema Italia scritta da un intellettuale “disimpegnato”, la loquace riflessione di chi si collocava nelle file di una «minoranza silenziosa», la solitaria – e spesso satirica – indagine del contesto. Costanza Geddes da Filicaia, Università di Macerata, Metamorfosi: la narrazione nel laboratorio di Flaiano [email protected] Nel corso della sua attività Flaiano ha sperimentato una multiforme varietà di stili e generi. Tuttavia, è rimasta in lui frequente la propensione alla vena comica. Questo intervento si propone di indagare non solo l’evoluzione della sua prosa e del suo stile, ma anche la sua natura multiforme e metamorfica, la sua capacità scandagliare la società italiana. Si potrà così delineare un quadro del Flaiano narratore. Marta Paris, Università di Macerata, Su alcuni meccanismi narrativi di Ennio Flaiano [email protected] Il contributo pone a confronto alcuni brani di Tempo di uccidere, Una e una notte e Le ombre bianche, mettendo a fuoco il rapporto fra i personaggi, il contesto e il tono del racconto. L’interazione dissonante di questi elementi e i fulminei momenti di sorpresa provocano nel lettore una perturbante sensazione di straniamento, il cui effetto sardonico è ottenuto dalla combinazione d’insieme, perfetta per rendere la prospettiva dello scrittore pescarese e la sua articolata riflessione sull’umano. Piano II, Aula 9 PANEL 1 Comico, Ironia, Humour in Italo Calvino. Coordina Cinzia Gallo, Università di Catania [email protected] Interviene Tiziana Piras, Università di Trieste [email protected] La riflessione sul comico rappresenta un momento importante nella produzione saggistica ed artistica di Italo Calvino. In Definizioni di territori: il comico, per esempio, egli ne fa una questione di «metodo, […] di rapporto col mondo», prendendo, al contempo, le distanze dalla satira; nelle Lezioni americane. Leggerezza, considera l’humour «il comico che ha perso la pesantezza corporea […] e mette in dubbio l’io e il mondo e tutta la rete di relazioni che li costituiscono». Queste asserzioni guidano i suoi giudizi su autori e testi della tradizione letteraria e caratterizzano la sua pratica di scrittore. Il significato del lato comico/umoristico dei lavori di Calvino, difatti, è stato evidenziato da Asor Rosa, B. Falcetto, L. Clerici, mentre McLaughlin ha scorto, nel Barone rampante, «a sophisticated parody of the poetics of the early English moralising novel as practised by Richardson and parodied by Fielding». Se, poi, in questo romanzo, così come ne Il visconte dimezzato, è possibile intravedere l’influsso dell’ironia ariostesca, nelle Cosmicomiche la particolare prospettiva umoristica sottolinea la piccolezza dell’uomo nell’universo. Il panel si propone di analizzare forme, funzioni, procedimenti del comico in Calvino nonché i rapporti con quelli di autori postmoderni. Cinzia Gallo, Ironia e parodia in Se una notte d’inverno un viaggiatore L’intervento analizza i procedimenti parodici, che coinvolgono gli elementi fondanti della tradizione romanzesca, ed ironici, determinati da giochi linguistici, digressioni, particolari usi di figure retoriche e dell’entrelacement, di Se una notte d’inverno un viaggiatore. Il tema della quête rileva poi la casualità della vita, l’impossibile conoscenza della realtà. In Definizioni di territori: il comico, Calvino giustifica la sua operazione, che si risolve nell’esaltazione del Lector in fabula. Daniel Raffini, Sapienza Università di Roma, I classici del comico nell’opera di Italo Calvino [email protected] L’intervento mira a definire l’importanza del classico del comico nella scrittura di Calvino. Per questo, in un primo momento si analizzeranno interventi critici e giudizi editoriali di Calvino, delineando una sorta di biblioteca dei comici calviniana, in cui appaiono nomi come quelli di Rabelais, Ariosto, Cervantes, Carroll, Sterne, Pirandello e Palazzeschi. In un secondo momento si individueranno nell’opera dello scrittore influenze, riscritture e ribaltamenti di tali classici. PANEL 2 Ludico dissenso: il potere eversivo del comico. Coordina Sara Laudiero, Università di Napoli “Federico II” [email protected] Interviene Sebastiano Valerio, Università di Foggia [email protected] Il comico che irride il potere, schernisce, demistifica e fustiga chi lo detiene con autoritarismo, arbitrio e ottusità. Il comico come resistenza, slancio vitalistico del popolo di cui l’autore si fa interprete e portavoce, assolvendo il riso a una finalità collettiva, quella funzione sociale di «castigo» secondo l’analisi bergsoniana, che in questo caso trova nell’insofferenza e nell’opposizione al potere il suo principale alimento. Il panel intende analizzare la carica eversiva del comico e i suoi caratteri di continuità tra Seicento e Novecento, dalle forme esplicite della libellistica e della scrittura parodica all’implicita e mordace ironia che trapunta le pagine dissacranti di opere non espressamente satiriche eppure dissidenti. Sara Laudiero, Ridere del fascismo. Allusioni e demistificazioni narrative L’intervento vuole indagare le rappresentazioni dissacranti del Fascismo attraversando le pagine di alcuni romanzi italiani del tempo e del secondo dopoguerra. La figurazione stessa del fascismo porta in sé un senso del ridicolo direttamente proporzionale alla vacuità della sua retorica del potere; è così che anche la narrativa impegnata come quella di Ignazio Silone, Vasco Pratolini e Italo Calvino apre talvolta le sue pagine a un caustico umorismo funzionale a mettere in evidenza l’inconsistenza e gli esiti discutibili di una paradossale propaganda patriottarda. Enrico Riccardo Orlando, Università di Venezia “Ca’ Foscari”, Tomaso Largaspugna, «sindaco illustre e cittadino insigne» [email protected] Nel 1902 il giornalista Arnaldo Fraccaroli pubblica il romanzo Tomaso Largaspugna uomo pubblico. Il protagonista, un politico per nulla capace e talentuoso, utilizza la sua scaltrezza per acquisire e mantenere il potere, condizionando anche la stampa e i risultati delle elezioni a proprio vantaggio. La satira di Fraccaroli, con sagacia e ironia, fa riflettere sulle contraddizioni di un potere politico corrotto e degenerato che, attraverso la letteratura, viene smascherato e ridicolizzato. Marco Renzi, Università di Pisa, Augusto Frassineti e la «ministerialità»: una satira sull’assurdità della vita statale [email protected] Augusto Frassineti pubblica nel 1952 Misteri dei ministeri, quello che rimase poi il suo unico romanzo. Più che di un romanzo, però, si tratta di un pamphlet politico, un trattatello che smonta l’apparato statale prendendosene gioco, ironizzando ferocemente su quella burocrazia che blocca ogni ingranaggio dell’Italia. Quello di Frassineti è un testo ancora oggi molto attuale, dove il riso si fa elemento essenziale di dissidenza, tramutando in letteratura le irrazionalità dello Stato. Diego Varini, Università di Parma, «Strappare al suo globo pezzi anche rotti». Annotazioni su Le mosche del capitale di Paolo Volponi (1989) [email protected] Nel romanzo Le mosche del capitale (1989), Volponi persegue un intento di raffinata e complessa demistificazione dell’immagine e delle retoriche del potere capitalistico e finanziario, ponendosi in dialogo con una vasta articolazione di possibilità del registro comico e satirico moderno. Nel mio intervento mi propongo di rileggerne concretamente alcune strategie, per ricavarne qualche indicazione sulla specificità peculiare del “comico” volponiano e della sua ambizione radicalmente contestatrice. Piano II, Aula 11 «Infra i beati cori». Torquato Tasso dall’epica eroica all’epica sacra. Coordinano Rosanna Morace, Sapienza Università di Roma [email protected] Vincenzo Caputo, Università di Napoli “Federico II” [email protected] Interviene Elisabetta Selmi, Università di Padova [email protected] Il panel intende concentrare l’attenzione sul passaggio dell’epica tassiana da eroica a sacra, al fine di riconsiderarne continuità, cesure e intersezioni anche rispetto all’asse lirico. È indubbio che gli anni di Sant’Anna risultino fondamentali per la riflessione teorica del Tasso sulla propria poetica, e sulla letteratura coeva e anteriore, con inevitabili ripercussioni sulla scrittura: la fine della prigionia, all’altezza del 1586, si traduce infatti in un iter (del quale è testimonianza preziosa il corpus epistolare) di revisione delle opere precedenti (dalla Liberata al Galealto ai Discorsi); nella sistemazione e stesura dell’ampio, per quantità e tematiche affrontate, corpus dialogico; nell’approdo ultimo alla lirica sacra, sul vario versante delle rime, delle Lagrime e del poema. Valentina Leone, Università di Pisa, Un episodio tra Gerusalemme liberata e conquistata: la «funzione» dell’Amadigi [email protected] L’intervento si propone di verificare la possibilità di un proseguimento della linea Amadigi-Liberata fino alla Conquistata, attraverso lo studio del caso specifico della selva di Saron. Le ottave in questione saranno analizzate nel contesto strutturale del poema riformato, che presuppone un diverso uso di fonti, cercando di individuare, in rapporto ad alcuni spunti narrativi e allegorici presenti nel poema di Bernardo, i punti di rottura e di continuità tra la prima e la seconda Gerusalemme. Elisa Squicciarini, Università di Pisa, I postillati Sessa e Giolito all’Inferno: su alcune fonti tassiane [email protected] Il mio intervento vuole riflettere sulle chiose apposte dal Tasso su quattro diverse edizioni della Commedia, in particolare sui postillati all’Inferno Sessa e Giolito. La tipologia e la qualità delle chiose tassiane sono l’espressione chiara di una lettura esclusiva e autoreferenziale che interagisce essenzialmente con l’enciclopedia esistenziale del poeta: accanto alle annotazioni di carattere esplicativo, stilistico e linguistico non sono rari, infatti, i riferimenti eruditi ai classici come Virgilio, Orazio, Omero o ai contemporanei Ariosto e Bembo, che ci forniscono preziosi esempi della sua cultura. Giacomo Vagni, Université de Fribourg, «Debbiam noi credere a quel che dice?». L’autorità dei poeti nel Forestiero Napolitano overo de la gelosia [email protected] Accanto al tema principale del dialogo Il Forestiero Napoletano ovvero de la gelosia, Tasso sviluppa una riflessione sull’autorevolezza dei poeti. Attraverso le diverse redazioni dello scritto, e nel confronto col Discorso sulla gelosia, si osserverà il progressivo allargamento degli ambiti entro i quali la parola poetica acquista un valore veritativo “forte”, cominciando a caricarsi delle risonanze filosofiche e teologiche che determineranno il successivo sviluppo della poetica tassiana. Vincenzo Caputo, L’implosione del dialogo. Appunti su Nifo, Minturno e Porzio di Torquato Tasso Nel ricco corpus dialogico di Tasso è possibile segnalare un gruppo specifico di scritti, i quali sono spesso indicati come “napoletani” (in particolare Nifo, Minturno, Porzio). Essi presentano caratteristiche comuni a partire dai luoghi e dai tempi d’ambientazione, per giungere alla sintassi retorica e agli argomenti trattati. L’intervento si pone l’obiettivo di mettere in luce il complesso meccanismo retorico dei citati dialoghi. A ben guardare la scrittura dialogica di Tasso si frantuma in una serie di ritrattazioni all’insegna di una correctio, che permea il ragionamento. Massimo Castellozzi, Centro di Studi Tassiani di Bergamo, Da Padre del Ciel a Padre eterno. Teologia dell’amore e lirica sacra nell’ultimo Tasso [email protected] Se per rime sacre deve intendersi la relativa Terza parte, volendo tuttavia esaminare l’ultimo periodo di produzione lirica del Tasso, occorrerà muoversi su segmenti cronologici più che tematici, indagando tanto le nuove composizioni quanto l’evoluzione variantistica e l’auto-esegesi che il poeta elabora sopra un variabile ma seletto corpus. Necessario è perciò rivolgersi anche ad Osanna, dato il valore sostanzialmente filosofico-teologico che l’idea di amore assume nell’ultimo Tasso. Rosanna Morace, La retorica geminativa del Mondo Creato come specchio dell’harmonia mundi Il Mondo creato si fonda su un sistema espressivo profondamente mutato rispetto a quello delle precedenti opere tassiane, che mira a traslare l’uniformità, l’immutabilità e l’unità del progetto della mente divina, che sussume in sé la varietà e ne è corrispondenza, come il frattale maggiore rispetto al suo più piccolo componente. L’intervento mirerà ad approfondire come tale principio fondante abbia il suo referente più prossimo in Pico della Mirandola, anche alla luce dei postillati Palatino e Barberiniano (ora nuovamente consultabile presso la Biblioteca Vaticana), mostrando come la retorica «geminativa» che informa il Mondo creato sia il significante di un progetto filosofico, sapienziale e sincretico che da quello pichiano prende le mosse. Piano II, Aula LB3 Alle radici del rinnovamento poetico italiano tra Otto e Novecento: teoria e pratica della traduzione letteraria. Coordina Gianfranca Lavezzi, Università di Pavia [email protected] Interviene Giovanni Barberi Squarotti, Università di Torino [email protected] Il dialogo con le letterature straniere, in particolar modo con quella francese e quella anglo-americana, è fondamentale nell’ambito del profondo rinnovamento (tematico, linguistico, metrico e stilistico) della poesia italiana tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Basti pensare, a titolo di esempio, alla centralità dell’esperienza del simbolismo francese nella riflessione di Marinetti o di Lucini, o alla rilevante presenza del modello whitmaniano, che arriva almeno fino a Cesare Pavese. In questo contesto, la traduzione poetica rappresenta una fonte molto importante di stimoli creativi e di arricchimento letterario; quindi, un esame approfondito delle traduzioni italiane di quegli anni può contribuire a meglio comprendere le radici del successivo rinnovamento poetico novecentesco. Affrontando il tema della traduzione poetica sia da un punto di vista teorico sia attraverso lo studio di casi concreti, il panel si propone di tracciare un quadro più dettagliato del fertile clima culturale e letterario italiano nel passaggio tra i due secoli. Federica Massia, Università di Pavia, Le traduzioni italiane di Whitman tra Otto e Novecento [email protected] La poesia di Walt Whitman ha rappresentato un importante modello di rinnovamento metrico e stilistico per la poesia italiana a cavallo tra XIX e XX secolo. Il presente contributo intende procedere a un confronto per campioni tra le principali traduzioni italiane delle Leaves of Grass dalla fine dell’Ottocento alla seconda metà del Novecento, con lo scopo di osservare le diverse capacità dei traduttori di confrontarsi con le innovazioni metriche e ritmiche whitmaniane e di ricrearle nella propria lingua e letteratura. Ilaria Cavallin, Università di Pavia, Ardengo Soffici tra Chimismi Lirici e Simultaneità traducendo Laforgue [email protected] Nel periodo di transizione dalle parole in libertà dei Chimismi Lirici ai versi liberi e ai poemi in prosa delle Simultaneità, Soffici traduce la Grande complainte de la ville de Paris di Laforgue, prose blanche che condivide con queste tipologie poetiche differenti aspetti formali, sintattici e stilistici. Lo studio proposto vuole evidenziare come la traduzione diventi per Soffici un favorevole momento per affinare le proprie tecniche espressive e per sperimentarne di nuove in vista della produzione poetica successiva. Alessandra Mattei, Sapienza Università di Roma, Favola Tupì. Su carte inedite di traduzioni brasiliane di Ungaretti [email protected] L’intervento propone l’edizione di 8 carte inedite di Ungaretti conservate presso l’Archivio del Novecento della Sapienza, riguardanti il primo dei miti tradizionali indi e l’introduzione a Pahulan. Il contributo intende analizzare come le varianti, muovendo da esigenze ritmico-metriche, aprano a considerazioni inerenti la natura neoplatonica del linguaggio poetico in forza delle modificazioni strutturali legate alla natura della lingua originaria. Rosario Vitale, Université de Paris IV Sorbonne, Attilio Bertolucci traduttore di Wordsworth. Stimoli creativi e riflessi poetici [email protected] Negli anni Quaranta Attilio Bertolucci traduce alcuni testi di William Wordsworth: La valle di Airey-Force, Per nocciole, due frammenti del Preludio, una sequenza de L’escursione. L’“incontro” con Wordsworth rappresenta un’esperienza fondamentale per la sua evoluzione poetica, perché i versi del poeta inglese sono una ricca fonte di stimoli creativi. Muovendo da queste traduzioni, con focus sul Preludio, il contributo si propone di cogliere gli elementi di novità e i riflessi nella poesia bertolucciana. Piano II, Aula LB5 Riso, comico e tragico nel romanzo modernista italiano. Coordina Maurizio Capone, Università di Macerata [email protected] Interviene Patrizia Guida, Università del Salento [email protected] Spesso, parlando di romanzo modernista, categoria in via di assestamento nella critica italiana, si pensa a opere che rappresentano tragicamente la vita che si svolge in interiore homine. In effetti, la genealogia moderna del tragico partendo da Leopardi transita nel tardo Ottocento per De Roberto e nel modernismo soprattutto per Pirandello. Tuttavia, se autori come Tozzi e Borgese (nemmeno i romanzi di Moravia sono privi di comicità) sono invero tragici modernisti i cui personaggi assumono una Stimmung univocamente seria e drammatica, al contrario scrittori come Pirandello, Svevo e Gadda si servono anche del riso, benché in modi diversi. Pirandello condivide con Leopardi l’idea che il riso è demoniaco (nella novella La giara parla di «gaiezza mala dei tristi») e rivela l’insensatezza della vita; per converso, lo Zeno di Svevo, alla fine, sa sorridere sternianamente alla vita e alla malattia; per Gadda il comico e la parodia sono mezzi per conoscere il «gliuommero» del mondo, di cui il riso mostra polifonicamente la realtà plurima. A volte i procedimenti comici generano risate, in altri casi solo un sorriso, altre volte ancora il riso è amaro, beffardo, sarcastico, malinconico. Comunque, tutti questi effetti sono riconducibili alla categoria del “comico”. Alessio Aletta, Università del Salento, Il riso di Mattia Pascal [email protected] L’intervento si concentrerà sul ruolo del riso come espressione del tragicomico nel Fu Mattia Pascal. A partire dall’episodio dello scontro tra la zia Scolastica e la vedova Pescatore si mostrerà (anche attraverso gli opportuni riferimenti agli adattamenti filmici) da un lato come il «riso amaro» di Mattia possa assurgere a chiave di lettura dell’intera vicenda; dall’altro si cercherà di dimostrare come questo elemento svolga un ruolo fondamentale nell’evoluzione psicologica del protagonista. Mimmo Cangiano, Hebrew University of Jerusalem, Il trabocchetto di Pirandello. I vecchi e i giovani, o il romanzo storico come romanzo umoristico [email protected] L’intervento intende da un lato storicizzare I vecchi e i giovani (1913) di Luigi Pirandello quale romanzo modernista, dall’altro intende chiarire perché Pirandello abbia deciso di utilizzare la struttura di un romanzo storico per sottolineare l’emersione, in Italia, di un modus pensandi di ascendenza modernista teso a sopprimere la funzione stessa della Storia. L’incedere umoristico del romanzo è infatti finalizzato ad attaccare in primo luogo l’immagine della Storia come spazio del progresso. Con I vecchi e i giovani il comico modernista corrode non solo una delle istituzioni letterarie del diciannovesimo secolo, ma attacca lo stesso concetto di Storia che tale istituzione presupponeva. Marcello Sabbatino, Università di Pisa, L’esclusa di Pirandello. Il «fondo essenzialmente umoristico» del primo romanzo [email protected] Le tre stesure del romanzo (in appendice al quotidiano «La Tribuna» di Roma dal 29 giugno al 16 agosto 1901, in volume «riveduto amorosamente da cima a fondo e in gran parte rifuso» a Milano presso Treves nel 1908, infine a Firenze presso Bemporad nel 1927) documentano la genesi e le tappe principali dell’umorismo pirandelliano. Nel nostro contributo ci proponiamo di analizzare i diversi meccanismi e le modalità narrative che Pirandello mette in atto per realizzare e variare l’intreccio umoristico tra riso e pianto, comico e tragico nelle tre stesure del romanzo, che svelano uno sviluppo parallelo alla nascita e maturazione della poetica in alcuni articoli e nel saggio L’umorismo (I ed. 1908, II ed. 1920), con tangibili consonanze e sapiente riciclaggio di tessere significative. Stefania Nociti, Università della Calabria, L’esclusa e Il turno: verso la formulazione dell’umorismo pirandelliano [email protected] I saggi di Bergson (Il riso, 1899) e Freud (Il motto di spirito, 1905), analizzano il comico sotto vari aspetti, tra cui particolare rilievo assume la riflessione di Freud sul rapporto tra comico-arguzia e umorismo, che costituisce il punto di riferimento per comprendere il lavorio di messa a punto della poetica pirandelliana dell’umorismo. Il corpus dei romanzi pirandelliani segue idealmente lo sviluppo del romanzo moderno, dalla crisi del realismo al surrealismo, passando per l’umorismo. Un ruolo centrale, per quanto sottovalutato, è quello dei primi romanzi, L’esclusa e Il turno, che contengono in nuce numerosi ingredienti della formula dell’umorismo. Federica Adriano, Università di Sassari, L’uomo nel labirinto di Alvaro: un emblema profetico della tragedia italiana [email protected] Scritto nel 1921, L’uomo nel labirinto è il primo romanzo alvariano, la cui forte tensione sperimentale mira a rappresentare la crisi sociale vissuta dalla nazione nel primo dopoguerra. Focus narrativo è l’orizzonte esistenziale del protagonista, la cui inettitudine assurge ad emblema dello smarrimento che pervade la generazione postbellica, ancora traumatizzata dalla carneficina che aveva contrassegnato il conflitto. Maurizio Capone, Giuseppe Antonio Borgese: Filippo Rubè, o dell’impossibilità del comico In questa comunicazione metto in evidenza i modi della rappresentazione dell’assoluta e disperata tragicità del protagonista Filippo Rubè, nell’omonimo romanzo Rubè di Giuseppe Antonio Borgese. Il rifiuto del comico, che risponde anche a un’istanza etica, distanzia Borgese dall’umorismo di Pirandello, suo principale modello italiano insieme a Verga, e da altri autori modernisti che non disdegnano l’uso del riso, avvicinandolo invece a un altro modernista come Federigo Tozzi. Mariangela Lando, Università di Padova, La percezione femminile alla maniera umoristico-ironica secondo Alfredo Panzini e Carlo Emilio Gadda [email protected] Nella narrativa di Alfredo Panzini e di Carlo Emilio Gadda (suo allievo al Politecnico di Milano) il pensiero è spesso associato alla percezione della fisicità femminile: divagazioni che si nutrono di un linguaggio intriso di mescolanza e contaminazione. In particolare, il contributo, offrendo alcuni spunti di riflessione critica, intende confrontare alcuni testi tratti da Sei romanzi d’ambo i sessi di Panzini e da I racconti di Gadda interpretati alla luce della maniera umoristicoironica.