Studi pesaresi
Rivista della Società pesarese
di studi storici
5
2017
il lavoro editoriale
© Copyright 2017 by Società pesarese di studi storici
il lavoro editoriale
casella postale 297 - Ancona Italy
www.illavoroeditoriale.com
ISBN 9788876638480
ISSN 2280-4293
Indice del volume
Saggi
Silvia Serini
«Il profumo dell’universo». La concezione mazziniana della musica
Maria Chiara PePa
Francesca da Rimini. Mitograia di un personaggio femminile medievale
7
18
Studi
SiMone Biondi
Le maioliche istoriate da parata dalla rocca malatestiana di Monteiore Conca di Rimini
nelle produzioni ceramiche pesaresi
35
TaMara doMiniCi
Giovanni Santi e Dieric Bouts: vite parallele
42
FranCeSCo aMBrogiani
La manutenzione della scarpa di Pesaro in epoca sforzesca
56
SiMone Biondi e rino CaSadio
I Da Montefeltro nella ceramica dai butti della rocca di Monteiore Conca
67
STeFano lanCioni
La contea del Fumo
71
ToMMaSo Borgogelli
Per la pittura del Seicento nella provincia di Pesaro e Urbino. Qualche novità
e una proposta per la fase giovanile di Giovanni Venanzi
89
eliSaBeTTa Cerigioni
Francesco Maria Santinelli. Alcuni documenti inediti tra biograia e scrittura
103
CriSTina ravara MonTeBelli
Filatoi, ilande e bachicoltura a Pesaro fra XVIII e XIX secolo
112
davide SanFiliPPo
Un tentativo di rivolta a Cagli nel contesto rivoluzionario e controrivoluzionario
di ine Settecento
125
3
Studi pesaresi
5.2017
gaBriele FalCiaSeCCa
Innovazioni nell’agricoltura del dipartimento del Metauro
ai tempi del napoleonico Regno d’Italia (1808-1814)
137
MarCo delBianCo
La condotta medica di Novilara tra ’800 e ’900
150
gianPaolo ornaghi
Un lato oscuro del passato. I frenastenici nella provincia di Pesaro e Urbino (1899-1918)
170
Paolo PereTTi
Nel cinquantesimo della morte del compositore Piero Giorgi
185
Testi
FederiCo MarCuCCi
Giacomo III Stuart. Un ‘re’ inglese a Urbino
199
Notizie dal territorio
niCole hoFMann
Il fondo archivistico di Federico Valerio Ratti presso la Biblioteca Oliveriana di Pesaro.
Indagini preliminari e primo censimento
227
roBerTa MarTuFi
La chiesa e il convento di San Domenico di Pesaro nella trasformazione urbana
dell’area centrale della città
231
grazia Calegari
Novecento privato. Aggiunte alla collezione Elio Giuliani
240
Riassunti / Summaries
245
Biograia autori
250
4
Giovanni Santi e Dieric Bouts: vite parallele
di
Tamara Dominici
Italia si ritrovi» 3.
Il clima alla corte dei Montefeltro si
rivelò dunque ideale per avanzare nuove
proposte artistiche 4 e così in questi anni si
segnalano presenze illustri quali quelle di
Paolo Uccello, di Piero della Francesca e
del iammingo Giusto di Gand. A conferma
di come la città marchigiana fosse ormai divenuta uno dei più importanti poli artistici
e politici della penisola, vi è anche il poemetto epico La vita e le gesta di Federico
da Montefeltro Duca d’Urbino composto in
“terza rima” da Giovanni Santi (ante 14391494), padre del ben più noto Raffaello 5. Il
testo, conosciuto solitamente con il nome di
Cronaca rimata e realizzato probabilmente
dopo la morte del duca, racconta la lunga
carriera di Federico, accrescendo e rielaborando in maniera rafinata la prosa cortigiana dei Commentari di Pierantonio Paltroni,
fedele cancelliere del signore di Urbino 6.
Di grande interesse sono certamente i passi
in cui Santi dimostra la sua piena autorità e
competenza nell’affrontare tematiche relative alla letteratura artistica e ai pittori coevi. La Cronaca rispecchia le opinioni e il
gusto degli ambienti di corte, contenendo,
in particolare nella Disputa de la pictura 7,
diversi rimandi igurativi, indice di un’aggiornata e diretta conoscenza del clima culturale contemporaneo. Del resto, non poteva
essere altrimenti, dato il mestiere di pittore
Urbino conserva ancora alcuni monumenti di que’ tempi in che videsi elevata ad un grado di eminente prosperità.
Ad onta del declinare delle età e delle
politiche vicende, questi venerati avanzi
nel metter sott’occhio dell’osservatore il
valore degli artisti che hanno preceduto
Bramante e Raffaello ridestano in esso la
brama di apprendere come vivessero e da
chi furono impiegati 1.
Poste a incipit dell’Elogio storico di
Giovanni Santi, queste parole rivolte al delegato pontiicio della provincia di Urbino
e Pesaro, mons. Ludovico Gazzoli, aiutano senz’altro a comprendere l’importanza della corte di Federico da Montefeltro
(1422-1482) 2. Egli, prima conte e poi duca
nel 1474, fece di Urbino una delle capitali culturali del Rinascimento. Il prestigio
di Federico crebbe notevolmente durante
la sua lunga carriera di scaltro e spregiudicato uomo d’armi. Appassionato e colto
collezionista, il duca divenne presto anche
un grandissimo mecenate delle arti, circondandosi di una selezionata schiera di pittori, architetti, letterati, matematici e poeti.
Ampliò e rinnovò l’antica residenza di famiglia, opera simbolo del suo potere, tanto
che Baldassarre Castiglione nel Cortegiano
ne parlerà come di «una città in forma di
palazzo», il palazzo «più bello che in tutta
42
Tamara Dominici
Giovanni Santi e Dieric Bouts: vite parallele
Figura 1 – Giusto di Gand, Comunione degli Apostoli, Urbino, Galleria Nazionale delle Marche.
svolto dal suo cronachista, che precisa volutamente nel testo: «[p]rincipio de l’opera
composta da Giohanni de Santi pictore» 8,
e orgoglioso di appartenere a questa categoria scrive: «[…] giungendo alla etade ch’io
sarei forsi stato disposto a qualche più utile
virtù, da poi molti negotij per guadagnarmi
el victo, me dette alla mirabile arte de pictura […] e de la cui clarissima arte non me
vergognio essere nominato» 9.
Le prime notizie critiche su Giovanni Santi ci vengono fornite da Vasari, che
nell’edizione torrentiana del 1550 delle Vite
lo deinisce:
Pittore non molto eccellente, anzi
non pur mediocre in questa arte. Egli era
bene uomo di bonissimo ingegno e dotato di spirito e da saper meglio indirizzare i igliuoli per quella buona via, che
43
Studi pesaresi
5.2017
superati molte volte el vero» 16. Ciò che
però fa presupporre in questo testo una più
ampia conoscenza della pittura d’oltralpe
da parte dell’urbinate è il verso in cui, sempre riferendosi ai due iamminghi, aggiunge
«cum tanti di excellentia chiar dotati» 17,
lasciando intendere di essere informato perino sul lavoro di altri artisti nordici, come
per esempio Giusto di Gand, da lui non citato, ma certamente conosciuto. Forse, come
è stato da più voci suggerito, la causa di
questa omissione è da tributare a una «gelosia facilmente comprensibile» 18 da parte
di Giovanni nei confronti del pittore iammingo preferito dal duca Federico agli artisti locali e ingaggiato dalla confraternita del
Corpus Domini per dipingere la Comunione
degli Apostoli (ig. 1) 19.
In ogni caso, è innegabile l’apporto della
pittura iamminga sull’attività del padre di
Raffaello, basti pensare alla copia della igura del Cristo di Urbino (ig. 2) 20. In verità
questa profonda afinità stilistica con Santi,
evidenziata ripetutamente da Giovan Battista Cavalcaselle nei fogli 37v e 38r, con itti
commenti e diverse annotazioni da cui si
ottiene il disegno dell’intera composizione
della Comunione 21, non può che far rilettere, tanto che recentemente è stata palesata la
possibilità di ritenere validi i suggerimenti
del critico veneto, relativi a un intervento
di completamento della Comunione degli
Apostoli proprio da parte di Giovanni Santi 22. Del resto, non era affatto dificile poter vedere opere iamminghe all’epoca 23:
risaputa è l’esteroilia e l’apprezzamento
che Federico e la sua corte nutrivano proprio per l’arte nordeuropea. Inoltre, è sempre questa costante presenza di elementi di
matrice nordica nell’opera di Giovanni Santi che ha portato a ritenere le sei tavolette,
rafiguranti i cosiddetti Apostoli, di mano di
per sua mala fortuna non avevano saputo
quelli che nella sua gioventù lo dovevano aiutare 10.
Il giudizio su Santi, inserito nella vita
di Raffaello, si riduce ulteriormente nella
seconda edizione del 1568 dove le informazioni sul padre diminuiscono e la precedente valutazione di mediocrità scompare,
privando l’urbinate di una propria autonomia artistica e facendolo dipendere e conoscere unicamente grazie alla gloria tributata
al iglio. Spesso il solo merito assegnato a
Giovanni era quello di aver indirizzato Raffaello alla pittura, favorendo così la nascita
di colui che fu «nell’architettura eccellente,
e nella pittura divino» 11. Bisognerà aspettare le Notizie dei Professori del Disegno di
Filippo Baldinucci, pubblicate a partire dalla ine del XVII secolo, perché Santi possa
essere inalmente considerato come pittore
a pieno titolo 12.
Maggiore, invece, presso i contemporanei e non, è stata la fama di Dieric Bouts
(1415 ca.-1475) 13, tanto da giungere sino
in Italia: lo stesso Vasari nel 1568 parla di
un «Divik da Lovano» 14, artista di pregio
e buon maestro. Gli anni della sua formazione, non diversamente da quanto accade
per Giovanni Santi, sono però ancor oggi
avvolti nel mistero. Karel van Mander, noto
al grande pubblico soprattutto come autore
dello Schilder-Boeck, pubblicato nel 1604,
pari per importanza alle Vite vasariane, riferisce di non essere riuscito «a scoprire chi
sia stato il suo maestro» 15, sebbene inizialmente le opere da lui realizzate risentano
non poco dell’inluenza di Rogier van der
Weyden, citato insieme a Jan van Eyck, persino nella Cronaca rimata di Santi, in cui
si riporta: «ne la cui arte et alto magistero
/ di colorir, son stati sì excellenti, / che han
44
Tamara Dominici
Giovanni Santi e Dieric Bouts: vite parallele
Giusto di Gand 24, restituite deinitivamente
al pittore urbinate da Cesare Gnudi prima e
da Pietro Zampetti poi 25.
L’illusionismo e la capacità di indagare
la realtà fenomenica nelle sue pieghe più
profonde sono i tratti caratterizzanti della
pittura iamminga e quelli attraverso i quali è possibile individuare una certa afinità
tra questa e altre opere di Giovanni Santi, al
punto da parlare di iamminghismo, in particolare per alcune immagini di Cristo dolente 26. Non vanno dimenticate nemmeno
certe assonanze gestuali tra il gruppo centrale della Visitazione di Fano realizzata dal
marchigiano e l’opera del Prado di soggetto
analogo di Bouts 27. Inoltre, il riferimento
alla resa mimetica e naturale si ritrova specialmente per i ritratti di Santi 28, tanto che
il 20 aprile 1493 la marchesa di Mantova
Isabella d’Este scriveva: «havemo mandato
per un forestiere, qual ha fama di contrafare bene el naturale» 29. Il forestiero a cui fa
riferimento è appunto Giovanni Santi, abile
ritrattista, «pictor de la Ill.ma Duchessa de
Urbino» 30, raccomandato dalla stessa cognata Elisabetta Gonzaga, moglie di Guidobaldo da Montefeltro, iglio di Federico.
Se escludiamo il singolare e sottile rapporto che lega insieme Giovanni Santi e
Dieric Bouts, passando per Giusto di Gand,
dettato in entrambi i casi da afinità stilistiche 31, più volte riscontrate dalla critica,
pare che questi due artisti abbiano ben poco
in comune. Entrambi vissero intorno alla
metà del XV secolo, l’uno a Urbino e l’altro a Lovanio 32, due cittadine molto lontane
geograicamente, ma che videro proprio in
quegli anni un riiorire di arte e cultura e che
pur non avendo dato i natali a nessuno dei
due pittori, seppero apprezzarne il lavoro.
In realtà, proprio il profondo inserimento
nella società dell’epoca, ossia l’acquisizio-
Figura 2 – Giovanni Santi (attr.), Cristo comunica san Pietro, Urbino, Galleria Nazionale
delle Marche.
ne di uno status sociale all’interno dei due
rispettivi contesti è il comune denominatore
che lega questi due artisti.
Giovanni Santi si integra pienamente
nella cultura cortigiana che si va formando
sotto l’egida dei Montefeltro: la sua era una
famiglia in vista che poteva godere di una
certa agiatezza economica. Come riporta
Luigi Pungileoni, Giovanni «era iglio di
Sante nato di Piero volgarmente detto Peruzzolo. Vide la prima luce nel contado di
Urbino in Colbordolo» 33. La cittadina fortiicata si trovava sul conine tra le terre di
appartenenza ai Montefeltro e quelle sotto il
controllo dei Malatesta, tanto che nel 1446
«dictum castrum Colburdoli fuit saccomannatum et combustum» 34 dalle truppe del
signore di Rimini, Sigismondo Pandolfo
Malatesta, in lotta con Federico da Monte-
45
Studi pesaresi
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feltro. Fu questo il motivo che spinse Peruzzolo, commerciante di granaglie, a lasciare
quello che il nipote diversi anni dopo deinirà «el paternal mio nido […] dove destructa
ogni nostra substantia» 35 e a trasferirsi a
Urbino. Nonostante l’estrazione contadina
e nonostante quanto riportato nell’Elogio
storico di Giovanni Santi dove si dice «vissero eglino in bassa fortuna o per dir meglio
in povertà, perché astretti a procacciarsi
il vitto col sudore della fronte» 36, a causa
anche delle continue scorrerie e incursioni,
dovute al perenne stato di guerre tra Montefeltro e Malatesta, Peruzzolo aveva certamente raggiunto una discreta agiatezza se il
14 gennaio 1438 acquistava la casa abitata
vicino al castello di Colbordolo. Nel documento, il nonno di Santi compra da Gaudenzio e Bartolo di Ciccio di Gaudenzio da
Colbordolo una casa vicino alla strada pubblica al prezzo di 40 iorini 37. All’abitazione si aggiungeva poi il possesso di alcuni
pezzi di terra coltivata, vigneti e oliveti, fra
cui un terreno acquistato per 50 ducati 38.
Le alienazioni fatte in questi anni permetteranno a Peruzzolo di investire il denaro in
un luogo più sicuro e protetto da mura, la
città di Urbino, e di iniziare così un’attività che avrebbe conferito alla famiglia una
posizione alquanto rispettabile. Giovanni
Santi compare nelle carte per la prima volta
nel 1464, come appunto «Iohanne Sanctis
Peri Peruzoli» 39, in qualità di testimone:
questo dimostra già la sua maggiore età,
per cui si deve suppore che all’epoca Santi fosse almeno venticinquenne e cioè un
soggetto giuridico a pieno titolo, portando
così ad anticipare la sua data di nascita dagli
anni 1440-1445, inora proposti, almeno al
1439 40. Egli non mostrò la stessa attitudine
del padre Sante per gli affari, ma dovette
maturare abbastanza precocemente interes-
se verso la pittura, tanto da essere ritenuto in grado dalla confraternita del Corpus
Domini, di porsi quale loro intermediario,
offrendo ospitalità a Piero della Francesca,
chiamato per dipingere la Comunione degli
Apostoli, che verrà poi assegnata a Giusto
di Gand, e comprando tutto ciò di cui questi
avrebbe avuto bisogno 41.
Al 1464 risale anche il contratto stipulato tra la confraternita del Corpus Domini
di Lovanio 42 e il pittore Dieric Bouts, per
adornare l’altare della cappella del Santissimo Sacramento presso la collegiata di San
Pietro della stessa città 43. Il Trittico con
l’Ultima Cena (ig. 3), realizzato dal maestro nordico, rafigura nel pannello centrale
più precisamente l’istituzione dell’Eucaristia, che non era certamente un soggetto
nuovo in ambito artistico, benché non fosse
così comune. Successivamente al momento della benedizione del pane e del vino,
vi è quello della comunione degli apostoli.
Quest’ultima, rara in ambito pittorico sia
italiano sia iammingo, è invece proprio
quella rappresentata da Giusto di Gand, il
cui linguaggio artistico rivela, come già sottolineato, una certa familiarità con quello di
Bouts. Il Trittico con l’Ultima Cena è anche
una delle opere del Quattrocento iammingo
meglio documentate e che sappiamo essere
stata pagata dalla confraternita 200 gulden
renani 44, circa 12.000 plakken 45. Sempre
12.000, questa volta però bolognini 46, dei
250 iorini d’oro erano stati consegnati
a Giusto di Gand per la Comunione degli
Apostoli il 25 ottobre del 1474 47. Nonostante in quest’ultimo caso sia dificile poter
stabilire con certezza la cifra inale consegnata a Giusto, signiicativo, sebbene sicuramente azzardato, è il rapporto tra plakken
e bolognini, valute minori, utilizzate rispettivamente a Lovanio e a Urbino per assolve-
46
Tamara Dominici
Giovanni Santi e Dieric Bouts: vite parallele
Figura 3 – Dieric Bouts, Trittico con l’Ultima Cena, Lovanio, collegiata di San Pietro.
re i pagamenti in gulden renani e in iorini
d’oro. Invece, quel che è certo, è che mentre
la confraternita della cittadina marchigiana
non rimase affatto soddisfatta dell’operato
di Giusto 8, quella belga non poté che apprezzare il trittico, dai più ritenuto il capolavoro di Dieric Bouts, che si era trasferito
nel centro brabantino dalla città natale di
Haarlem, probabilmente sedotto dallo sviluppo economico e dal clima culturale di
Lovanio 49.
Qui l’intensa attività edilizia aveva portato alla realizzazione dei principali monumenti in stile gotico brabantino, fra cui la
collegiata e il nuovo e suggestivo municipio, che naturalmente necessitavano della
presenza in loco di un consistente numero
di artigiani e artisti. Inoltre, l’università di
Lovanio, la più grande e antica della regione, fondata nel 1425 da Giovanni IV di Brabante 50, con il consenso di papa Martino V,
fece di questo luogo una delle aree culturali dei Paesi Bassi. Lovanio era dunque in
quegli anni in rapida espansione e aspirava a rivaleggiare con i centri più famosi di
Bruxelles e Anversa. Disponiamo anche di
una breve, ma eficace descrizione di questa
città a opera dello storico belga Adriaan van
Baarland (1486-1538):
Lovanium caput est urbium Brabantiae, coeli et aëris benignitate nulli
cedens aliarum. Hic intra muros libera
prata, vineae, horti spatiosi, agri, pomaria, campi, dumi, saltus, pascua, parvae
sylvulae, parva nemuscula, ut merito
hanc sedem ac domicilium optimarum
artium delegerint majores nostri 51.
In particolare, Lovanio, già residenza
dei duchi brabantini, in dal XIV secolo godeva di un alto grado di splendore, grazie
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Studi pesaresi
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alle manifatture di lana, drappi e tappeti,
che la rendevano prima fra le aree del Brabante proprio per importanza economica 52;
inoltre, nonostante lo stato di indigenza degli strati più bassi della popolazione, vide
iorire diverse industrie di merci di lusso.
Era, in altre parole, «de beste stad van Brabant» 53.
Le prime notizie d’archivio riguardanti
Dieric Bouts risalgono al 1448, quando si
sposò con Catherine van der Brugghen, la
cui famiglia era conosciuta con il soprannome di «Metten Ghelde» (lett. “quelli che
hanno i soldi”). Il pittore, però, non risulterà residente in città ino al 1457. È dunque
possibile che dopo essere stato a bottega da
Rogier van der Weyden, Bouts sia ritornato ad Haarlem, rimanendovi per quasi dieci anni prima di trasferirsi deinitivamente
a Lovanio. Del resto una situazione simile
è riscontrabile anche nel caso di Giovanni
Santi, che è possibile documentare a Urbino ino al 1471; egli stesso, infatti, racconta
nella Cronaca, di aver partecipato ai festeggiamenti tenutisi per la nascita del iglio di
Federico, Guidobaldo, avvenuta appunto il
24 gennaio 1471 54. Da questa data in poi
però il padre di Raffaello non compare più
nei documenti: la causa è verosimilmente
da ricercarsi in un soggiorno piuttosto lungo che lo portò a visitare diverse regioni e
a poter godere così di un buon apprendistato artistico. Il nome «Giovanni de Sante» 55
torna in un ordine del 1482 del priore Simone di ser Matteo e del consiglio della confraternita del Corpus Domini 56. Giovanni
Santi, infatti, negli anni ’80, dopo essere
stato assunto come intermediario per mantenere i rapporti con Piero della Francesca,
che lo resero certamente una persona di ormai provata iducia e responsabilità presso
la confraternita, continuò a operare per la
stessa istituzione dalla quale ricevette diversi pagamenti: «[e] a dì 12 di novembre
[1486] ducati doi d’oro a Giohanne de Sante per comper/are l’oro per andorare li angioli a la fraternita» 57, «[e] a dì ditto [1487,
aprile 12] lorini septe d’ohro per dipingere
e dorare li angioli a / Giohanne de Sante a
la fraternita» 58 e ancora «[e] a dì ditto [10
giugno 1487] lorini septe d’oro a Giovanni
de Sante per adorare e depenge/re li angioli» 59. L’artista era ormai ben inserito nella
società del tempo 60, divenendo persino priore del comune di Urbino dal 1 agosto al
30 settembre 1487. Nonostante fosse meno
predisposto del padre agli affari, tanto che
si registra un numero inferiore di vendite e
acquisti di beni, seppe comunque investire attentamente i propri capitali, aumentati
inoltre dai lasciti in terreni.
Anche il pittore Dieric Bouts pare avesse ottenuto intorno alla prima metà del XV
secolo uno status sociale di gran lunga superiore a quello di un normale artigiano,
disponendo di diversi beni immobili sia a
Lovanio sia nei dintorni e beneiciando di
più rendite 61, per non parlare poi dell’ampia
abitazione, a cui si aggiungevano altre tre
casette contigue, in Minderbroedersstraat,
dove si trovava il convento dei frati minori. A ciò dovevano ovviamente unirsi i numerosi monili e oggetti di valore, citati nel
testamento e ottenuti grazie ai due matrimoni. Proprio la profonda stima sociale di cui
godeva in città, legata all’eccellenza dei suoi
lavori, deve avergli permesso l’unione con
famiglie inluenti, facendolo così entrare a
far parte della classe agiata. Dopo il matrimonio con Catherine van der Brugghen si
risposò, infatti, con Elisabeth van Voshem, la
iglia e vedova di due borgomastri di Lovanio 62. Sarà quindi quest’ultima a comparire
nel testamento del 17 aprile 1475 63, quan-
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Tamara Dominici
Giovanni Santi e Dieric Bouts: vite parallele
do egli, ormai gravemente malato, decise
di dettare le sue volontà in cui spartiva l’eredità fra i familiari, stabilendo anche una
serie di lasciti ecclesiastici, come era in uso
all’epoca. Le opere terminate o in procinto di esserlo venivano quindi lasciate alla
moglie Elisabeth, che riceveva inoltre i beni
mobili e immobili che non erano stati inseriti nel testamento, a cui si aggiungevano
anche oggetti preziosi quali tazze, gioielli,
cucchiai che potevano essere o d’oro o dorati. Tuttavia la stessa Elisabeth, grazie al
lascito del marito, avrebbe dovuto saldare
le spese della permanenza delle due iglie
di Bouts, Catharine e Gertrude, frutto della
prima unione, nel convento di Sant’Agnese
di Dommelen, esonerando totalmente i igli
del testatore da tali obblighi. I due maschi,
Dieric il Giovane e Albrecht, avuti sempre
durante il primo matrimonio, e beneiciari
di tutti i beni mobili e immobili citati nel
testamento, avrebbero ereditato anche il
materiale di pittura del padre e alcune tavole ancora da completare 64. Nonostante sia
ormai certo il loro apprendistato presso la
bottega paterna, presa poi dal maggiore, è
comunque dificile dire quale sia stato precisamente il peso che un artista del calibro
di Bouts poté esercitare sui igli, così come
è complicato comprendere, vista la mancanza di documenti in merito, l’organizzazione del suo lavoro.
Lo stesso potrebbe dirsi per la bottega
di Giovanni Santi e per l’inluenza che l’artista ebbe su Raffaello, avuto dalla prima
moglie Magia, iglia del facoltoso mercante
Battista Ciarla. In quest’ultimo caso si riscontra persino nelle disposizioni testamentarie una completa assenza di riferimenti
alla sua attività pittorica e di conseguenza a
quella di bottega, la cui gestione e responsabilità alla sua morte non sappiamo se sia
andata al fratello di Santi, don Bartolomeo,
quale capo famiglia, vista la minore età di
Raffaello o se vi siano state disposizioni a
parte emanate nei confronti del valido collaboratore, nonché testimone delle volontà
di Santi 65, Evangelista da Piandimeleto 66.
Giovanni nominò eredi universali Raffaello e don Bartolomeo, e decise di lasciare
alla seconda moglie Bernardina, iglia di un
orafo e sposata nel maggio del 1492, l’usufrutto della casa, purché ella conducesse
una vita onesta e casta, rimanendo nell’abitazione con i maggiori beneiciari dell’eredità. A Bernardina andavano anche una
serie di altri beni, quali vestiti, tovaglie ricamate, cinte, veli, quattro anelli d’oro con e
senza pietre. Dal testamento emerge inoltre
un dato molto interessante: «libris et codicibus ipsius Iohannis et manu eiusdem» 67.
Il fatto che l’artista marchigiano disponesse
di testi e codici manoscritti, che venivano
lasciati alla moglie, ne sottolinea non solo
la ricchezza, ma anche il ruolo di letterato,
autore della Cronaca rimata e di rappresentazioni teatrali, scritte per la corte. Egli, forse più di ogni altro, era legato alla cultura
dei Montefeltro che magniicamente descrive nei versi del suo poemetto epico. Giovanni Santi è uomo di corte, ben informato
sull’aggiornata cultura che gravita in uno
dei più rafinati e moderni centri dell’epoca.
Pochissime, quasi nulle, sono le indicazioni
sulla bottega, ma comunque suficienti per
poter affermare una presenza importante in
città, che doveva avere un’attività assai iorente 68, visti i numerosi rapporti Santi con
personalità illustri dell’epoca e visti i lasciti
testamentari.
Allo stesso modo anche Bouts seppe
inserirsi a pieno nel contesto lovaniense riscuotendo grande successo: l’acquisto di un
certo status sociale nel suo caso lo si deve
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Studi pesaresi
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in termini geograici. Da una parte vi è la
vita di Giovanni Santi, pittore e letterato di
corte, dall’altra quella di Dieric Bouts stad
schilder. Entrambi hanno abbandonato il
loro luogo natale, trasferendosi in un centro
culturalmente iorente, in un caso Urbino e
nell’altro Lovanio. La loro ascesa sociale,
caratterizzata anche dall’unione con famiglie facoltose, permise loro l’acquisizione
di terreni e beni. I igli, inine, continuarono
la strada intrapresa dai padri, ma se il genio di Raffaello è subito riuscito a mettere
in secondo piano l’opera di Giovanni, nella
famiglia Bouts fu invece Dieric il vecchio
a rimanere il modello insuperato, determinando così una sorta di chiasmo nel rapporto ‘celebrità e generazione’ fra i Santi e i
Bouts.
in particolare ai dipinti per il municipio,
iniziati nell’ottobre 1467 69, e che costituiscono la sola commissione richiesta dalla
municipalità di Lovanio. Egli spesso riconosciuto come stad schilder, “pittore della
città”, o anche come de Portratuerdere,
appellativo, probabilmente usato per indicare proprio la natura eccezionale dell’artista originario di Haarlem, designando un
pittore non di decorazioni, quanto di igure
e quindi generalmente di pannelli, veniva
omaggiato con doni di vino 70 e vestiario,
superiori a quelli regolarmente forniti ad
altri artigiani e artisti.
I documenti, specie i testamenti e gli
atti notarili di vendite, di acquisti di case e
terreni, di matrimoni sembrano unire due
destini quasi paralleli, seppur molto distanti
50
Tamara Dominici
Giovanni Santi e Dieric Bouts: vite parallele
partita del Duca da Urbino per andare a Milano, e
una disputa de la pictura (lib. XXII, cap. XCI). La
Disputa è una cronaca d’arte in cui Giovanni Santi
appare aperto al dibattito e al confronto. Questi versi
presentano un panorama artistico equilibrato e molto
originale, in cui viene prestata attenzione alle diverse
generazioni di artisti, così come alle diverse aree
geograiche. Per approfondimenti su Giovanni Santi
quale fondatore della moderna critica d’arte si veda
CreighTon gilBerT, Giovanni Santi, uno dei fondatori della storia dell’arte, in vareSe (a cura), Giovanni
Santi cit., pp. 14-18.
8 SanTi, La vita cit., lib. I, cap. I, p. 58.
9 id., Epistola dedicatoria al Duca Guidobaldo,
in id., La vita cit., p. 3.
10 giorgio vaSari, Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri, 1550, cur. luCiano BelloSi, aldo
roSSi, Einaudi, Torino 1986, p. 618.
11 Bernardino Baldi, Memorie concernenti la
città di Urbino dedicate alla sagra real maestà di
Giacomo III re della Gran Brettagna &c, Salvioni,
Roma 1724, p. 33.
12 Qui, parlando del ben più celebre Raffaello, si
riporta: «Il padre suo fu Giovanni de’ Santi urbinese,
pur anch’esso pittore, che quantunque non arrivasse
nell’arte sua a segno di molta eccellenza, avendo tenuta una maniera alquanto secca, merita contucciò,
che di lui si faccia alcuna memoria, giacché per la sua
bontà, per l’ottima educazione, che sappiamo aver
data al igliuolo, e per la sollecitudine, colla quale
procurò, che il bel genio di lui fosse aiutato nell’acquisto di nobili arti, fu non piccola cagione che potesse il mondo possedere uomo sì degno», FiliPPo BaldinuCCi, Notizie dei Professori del Disegno da Cimabue
in qua, Batelli, Firenze 1847, vol. 2, p. 21.
13 Su Bouts si veda CaTheline Périer-d’ieTeren,
Thierry Bouts: l’œuvre complet, Fonds Mercator,
Bruxelles 2005. L’artista è anche conosciuto come
Dirk, Dirck o Thierry Boudts o Bout.
14 giorgio vaSari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori, et architettori, Giunti, Firenze 1568,
vol. 3, p. 858.
15 karel van Mander, Le vite degli illustri pittori iamminghi, olandesi e tedeschi, cur. riCardo de
MaMBro SanToS, Apeiron, Sant’Oreste 2000, p. 132.
1 vinCenzo guerrini, Epistola dedicatoria a
Monsignor Ludovico Gazzoli, in luigi Pungileoni,
Elogio storico di Giovanni Santi, pittore e poeta, padre del gran Raffaello di Urbino, Guerrini, Urbino
1822.
2 Su Federico da Montefeltro cfr. MarCello SiMoneTTa, Federico da Montefeltro: un illustre uomo
d’armi fra gli illustri uomini di lettere, in aleSSandro
MarChi (a cura), Lo studiolo del Duca. Il ritorno degli Uomini Illustri alla corte di Urbino, cat. mostra
(Urbino, Galleria Nazionale delle Marche 12 marzo-4
luglio 2015), Skira, Milano 2015, pp. 37-44. Si veda
anche walTer ToMMaSoli, La vita di Federico da
Montefeltro (1422-1482), Argalìa, Urbino 1978.
3 BaldaSSare CaSTiglione, Il libro del Cortegiano, 1528, cur. aMedeo QuondaM, Mondadori, Milano
2002, p. 14.
4 Per maggiori dettagli sul clima artistico urbinate cfr. Claudia Caldari, L’ambiente artistico urbinate nell’ultimo trentennio del Quattrocento, in lorenza MoChi onori (a cura), Raffaello e Urbino: la
formazione giovanile e i rapporti con la città natale,
cat. mostra (Urbino, Galleria Nazionale delle Marche
4 aprile-12 luglio 2009), Electa, Milano 2009, pp. 2837.
5 Si veda appunto giovanni SanTi, La vita e le
gesta di Federico da Montefeltro duca d’Urbino: poema in terza rima (Codice Vat. Ottob. Lat. 1395), cur.
luigi MiChelini ToCCi, Città del Vaticano e Biblioteca
apostolica vaticana andrebbero invertite, quindi “cur.
Luigi Michelini Tocci, Biblioteca apostolica vaticana, Città del Vaticano 1985”. Per approfondimenti cfr.
kiM e. BuTler, La “Cronaca rimata” di Giovanni
Santi e Raffaello, in MoChi onori (a cura), Raffaello e
Urbino cit., pp. 38-43 e riCCardo SCrivano, La “Cronaca rimata” di Giovanni Santi, in ranieri vareSe (a
cura), Giovanni Santi, atti convegno (Urbino, Convento di Santa Chiara, Castelcavallino 17-19 marzo
1995), Electa, Milano 1999, pp. 24-36.
6 Cfr. PieranTonio PalTroni, Commentari della
vita et gesti dell’illustrissimo Federico Duca d’Urbino, 1470-1474, cur. walTer ToMaSSoli, Accademia
Raffaello, Urbino 1966.
7 Il testo contiene una speciica parte sulla pittura: si tratta della Disputa de la pictura che occupa i
vv. 217-426 all’interno del capitolo intitolato De la
51
Studi pesaresi
5.2017
16 SanTi, La vita cit., lib. XXII, cap. XCI, vv.
361-363.
17 Ibid., v. 360.
18 walTer BoMBe, Una ricostruzione dello Studiolo del Duca Federico ad Urbino, in “Rassegna
Marchigiana”, VIII, 1929, 3, pp. 73-88, in part. p.
87. Questa spiegazione certamente cozzerebbe con la
più probabile intenzione di Santi di riportare nel testo
solo i pittori maggiormente conosciuti e importanti
anche al di fuori dell’area urbinate, cfr. ranieri vareSe, Giovanni Santi, Cassa di risparmio di Pesaro,
Pesaro 1994, pp. 41-42.
19 Cfr. FranCeSCa BoTTaCin, Rilessioni su Giusto di Gand e la sua attività urbinate, in BoniTa Cleri (a cura), Bartolomeo Corradini (Fra’ Carnevale)
nella cultura urbinate del XV secolo, atti convegno
(Urbino, chiesa di San Cassiano, Castelcavallino 1112 ottobre 2002), Graica vadese, Sant’Angelo in
Vado 2004, pp. 69-84 con bibliograia precedente.
Una ricostruzione storiograica e critica sul pittore
originario di Gand è stata riproposta anche in TaMara
doMiniCi, Sul ritorno “a casa” degli Uomini Illustri:
analisi e considerazioni su Giusto di Gand e la sua
attività urbinate, in “Arte marchigiana”, II, 2015,
pp. 9-30. Invece, per quanto riguarda speciicatamente la predella realizzata da Paolo Uccello si veda
M. aronBerg lavin, The altar of Corpus Domini in
Urbino: Paolo Uccello, Joos van Ghent, Piero della
Francesca, in “The Art Bulletin”, XXLIV, 1967, 1,
pp. 1-23.
20 Si tratta di Cristo comunica san Pietro, la cui
attribuzione a Santi è stata esclusa nella più recente monograia di Ranieri Varese (cfr. vareSe, Giovanni Santi
cit., p. 133 e 176) e poi invece rilanciata nel 2006 dalla
studiosa Susan Urbach e appoggiata nel 2015 da Alessandro Marchi. A questo proposito si veda MarChi, (a
cura), Lo studiolo del Duca cit., p. 126.
21 Nel 1861 Giovan Battista Cavalcaselle e Giovanni Morelli, in occasione del loro viaggio nelle
Marche, descrissero brevemente la tavola della Comunione degli Apostoli nel Catalogo delle opere
d’arte nelle Marche e nell’Umbria. Cfr. FranCeSCa
BoTTaCin, Giusto di Gand e Giovan Battista Cavalcaselle: both “on the road again”, in “Notizie da Palazzo Albani”, XXXIV-XXXV, 2005-2006, pp. 257-269.
22 Cfr. ead., “Non fece el dovere et da noi fu in-
teramente pagato”. Giusto di Gand e la “Comunione” del duca d’Urbino: “forse Santi perfezionò?”, in
MarChi, (a cura), Lo studiolo del Duca cit., pp. 71-76.
23 BenedeTTa MonTeveCChi, Giusto, Berruguete
e i iamminghi a Palazzo, in Paolo dal PoggeTTo (a
cura), Piero e Urbino. Piero e le Corti rinascimentali,
cat. mostra (Urbino, Palazzo ducale e Oratorio di San
Giovanni Battista 24 luglio-31 ottobre 1992), Marsilio, Venezia 1992, pp. 338-348.
24 walTer BoMBe, Intorno alla Comunione degli
Apostoli di Giusto di Gand, in “Rassegna Marchigiana”, VII, 1929, 7/8/9, pp. 209-223, in part. 222-223.
25 Per maggiori informazioni sull’argomento cfr.
vareSe, Giovanni Santi cit., pp. 248-250.
26 Sul iamminghismo di Santi si veda SuSan urBaCh, Joos van Ghent and Giovanni Santi revisited: a
case of study on a “iamminghismo” in Italian painting, in henri PauwelS, andré van den kerkhove,
leo wuYTS (a cura), Liber memorialis Erik Duverger,
Universa Press, Wetteren 2006, pp. 375-407.
27 Cfr. CaTerina liMenTani virdiS, Alcune note
e proposte sul iamminghismo di Giovanni Santi, in
vareSe (a cura), Giovanni Santi cit., pp. 115-118, in
part. p. 117.
28 Sulla sua attività di ritrattista non può non citarsi lo storico scritto di egidio Calzini, Dei ritratti
dipinti da Giovanni Santi, in “Rassegna bibliograica
dell’arte italiana”, XV, 1912, 1-3, pp. 11-17. Molto
più recente invece il contributo Claudia Cieri via,
Giovanni Santi ritrattista, in vareSe (a cura), Giovanni Santi cit., pp. 94-98.
29 Citato in aleSSandro luzio, La Galleria dei
Gonzaga venduta all’Inghilterra nel 1627-28, L. F.
Cogliati, Milano 1913, p. 189.
30 Ibidem.
31 Cfr. CaTerina liMenTani virdiS, Dirk Bouts:
quelques cas de réception ou le charme de la narrativité, in BerT Cardon et alii (a cura), Bouts studies,
atti convegno (Leuven, 26-28 novembre 1998), Peeters, Leuven 2001, pp. 345-353.
32 Lovanio (in neerlandese Leuven, in francese
Louvain) apparteneva all’antico ducato del Brabante
corrispondente all’attuale zona settentrionale del Belgio e a quella meridionale dei Paesi Bassi.
33 Pungileoni, Elogio storico di Giovanni Santi
cit., p. 2. Il corsivo è nel testo. Nelle citazioni che
52
Tamara Dominici
Giovanni Santi e Dieric Bouts: vite parallele
40 anna FalCioni, Documenti urbinati sulla famiglia Santi, in MoChi onori (a cura), Raffaello e Urbino cit., pp. 268-284, in part. pp. 271-272.
41 Per approfondimenti sull’attività urbinate di
Piero si veda danTe PierMaTTei, Piero e Urbino. La
Flagellazione. Metaisica di una morte annunciata, Il
lavoro editoriale, Ancona 2008. Si veda anche ranieri vareSe, Giovanni Santi e l’inlusso di Piero, in dal
PoggeTTo (a cura), Piero e Urbino cit., pp. 368-371.
42 Nel sud dei Paesi Bassi si svilupparono diverse confraternite dedicate al Santissimo Sacramento.
La confraternita del Santissimo Sacramento di Lovanio, una delle più antiche, fu stabilita nel 1432 nella
chiesa di San Pietro. Cfr. MauriTS SMeYerS, The living bread. Dirk Bouts and the Last Supper, in id. (a
cura), Dirk Bouts (ca. 1410-1475) een Vlaams primitief te Leuven, cat. mostra (Leuven, Sint-Pieterskerk
e Predikherenkerk, 19 settembre-6 dicembre 1998),
Peeters, Leuven 1998, pp. 35-58, in part. p. 37. Il contratto tra Bouts e la confraternita, stipulato il 15 marzo
1464, è stato trascritto e pubblicato da van Even nel
1898, si veda appunto edward van even, Le contrat
pour l’exécution du triptyque de Thierry Bouts de la
collégiale Saint-Pierre, à Louvain (1464), in “Bulletins de l’Académie Royale des Sciences, des Lettres
et des Beaux-Arts de Belgique”, LXVIII, 1898, pp.
469-479, in part. pp. 474-476, nota 1.
43 Cfr. MiCheline CoMBlen-SonkeS, The Collegiate Church of Saint Peter Louvain, Centre international d’étude de la peinture médiévale des bassins
de l’Escaut et de la Meuse, Bruxelles 1996, pp. 1-84.
44 All’epoca, 1 gulden o iorino renano corrispondeva a 1 lira di 40 grossi iamminghi. In questi
anni la varietà delle monete di conto si mostra piuttosto ampia nel territorio borgognone, nonostante siano
stati due i sistemi più utilizzati: quello della lira iamminga di grossi e quello della lira sottile di 40 grossi, in generale il più impiegato. Cfr. PeTer SPuFFord,
Monetary problems and policies in the Burgundian
Netherlands, 1433-1496, Brill, Leiden 1970.
45 Cfr. leo van BuYTen, De sociale situatie van
de Leuvense familie Bouts (ca. 1450-ca. 1550), in
Dirk Bouts en zijn tijd, cat. mostra (Leuven, SintPieterskerk, 12 settembre-3 novembre 1975), Leuven 1975, pp. 129-176, in part. p. 134, nota 12. Nel
1460-1461, 1 gulden renano era anche l’equivalente
seguiranno le parole poste in corsivo saranno sempre
riproduzione esatta delle trascrizioni degli originali.
34 Il tragico evento viene ricordato in un rogito
del notaio Simone Vanni, cfr. doc., Urbino, 3 ottobre
1562 da Sezione Archivio di Stato di Urbino (d’ora in
poi Sasu), Archivio Notarile di Urbino (d’ora in poi
Anu), not. Vanni Simone, vol. 7, c. 91v.
35 SanTi, Epistola dedicatoria cit., p. 3.
36 Pungileoni, Elogio storico di Giovanni Santi
cit., p. 2.
37 Cfr. doc. Colbordolo, 14 gennaio 1438 da
Sasu, Anu, Quadra di Posterula, vol. 30, cc. 8r-v, citato in Anna FalCioni, vinCenzo MoSConi (a cura), Apparato documentario. Regesti e trascrizioni, in MoChi
onori (a cura), Raffaello e Urbino cit., pp. 285-333,
in part. doc. n. 10. Tutti i documenti riguardanti la
famiglia Santi, dalle origini ino alla sua estinzione
(XV-XVI), sono oggi facilmente consultabili proprio
grazie a questo lavoro di regesto e trascrizione a cura
di Anna Falcioni e Vincenzo Mosconi. Inoltre, per
comprendere a quanto corrispondesse il pagamento
di 40 iorini vanno fatte alcune speciiche sulla monetazione dell’epoca. Nell’ultimo periodo della signoria
del conte Antonio (1348-1404) a Urbino una libra si
divideva in 20 soldi e ogni soldo valeva 12 denari,
mentre il bolognino d’argento si componeva di 14
denari di rame e di argento. Dai documenti emerge
che nel 1395 il iorino o ducato a Urbino veniva valutato circa 34 bolognini d’argento e il titolo di cambio
andò aumentando negli anni successivi. Per ulteriori informazioni sulla monetazione si veda vinCenzo
MoSConi, Le monete urbinati nelle fonti archivistiche
(secoli XIV-XVI), in anna FalCioni, anTonello de
BerardiniS (a cura), Federico di Montefeltro, Battista
Sforza, Elisabetta Gonzaga: mostra documentaria,
cat. mostra (Urbino, Palazzo ducale, Sala dei Banchetti 13 agosto-10 ottobre 2010), Ars ducale, Urbino
2010, pp. 33-40.
38 Doc. Colbordolo, 2 febbraio 1436 da Sasu,
Anu, Quadra di Posterula, vol. 28, cc. 28v-29r, citato
in FalCioni, MoSConi (a cura), Apparato documentario cit., doc. n. 8.
39 Doc. Urbino, 18 giugno 1464 da Sasu, Anu,
not. Vanni Simone, vol. 26, c. 62r, citato in FalCioni,
MoSConi (a cura), Apparato documentario cit., doc.
n. 81.
53
Studi pesaresi
5.2017
di circa 60 plakken (placken o pleeken). Nel 1436,
tuttavia, 1 gulden renano corrispondeva precisamente
a 54 plakken, cfr. alPhonSe MeuleManS, De Leuvense broederschap van Sint-Lucas, in “Jaarboek van de
Geschieden oudheidkundige Kring voor Leuven en
omgeving”, XIX, 1979, pp. 3-63, in part. p. 52, nota
263.
46 300 iorini da 40 bolognini. Tra il 1445 e il
1450, sotto il governo di Federico da Montefeltro,
1 iorino corrispondeva a circa 45/50 bolognini, cfr.
MoSConi, Le monete urbinati cit., p. 33.
47 Fernando MaríaS, FeliPe Pereda, Petrus Hispanus pittore in Urbino, in FranCeSCo Paolo Fiore
(a cura), Francesco di Giorgio alla corte di Federico
da Montefeltro, atti convegno (Urbino 11-13 ottobre
2001), Olschky, Firenze 2004, pp. 249-267, in part.
vol. 1, p. 254. Nell’ottobre 1474 la confraternita pagava «iorini trecento de bolognini 40 l’uno contati /
a mastro Giusto da Guanto depentore per iorini 250
d’oro, / a lui promessi per sua fatigha per dipingiare la
ta/vola de la fraternita», doc. Urbino, 25 ottobre 1474
da Archivio della Confraternita del Corpus Domini
(d’ora in poi Accd), lib. B, 1, c. 73r, citato in FalCioni, de BerardiniS (a cura), Federico di Montefeltro
cit., p. 94.
48 «[N]on fece el dovere, et da noi fo intieramente pagato», doc. Urbino, 25 ottobre 1474 da Accd, lib.
B, 1, c. 74v, in FalCioni, de BerardiniS (a cura), Federico di Montefeltro cit., p. 95.
49 In più, la presenza di studiosi e professori provenienti dall’Olanda e in particolare da Haarlem potrebbe aver favorito lo spostamento di Bouts, che nel
1448 pare fosse già presente nella città brabantina.
Cfr. MauriTS SMeYerS, Dirk Bouts: peintre du silence,
Renaissance du Livre, Tournai 1998, pp. 25-26. A testimonianza del fatto che l’artista non fosse originario
di Lovanio vi è per esempio anche un documento in
cui si legge: «Theodoricus et Albertus Bouts fratres,
ilii quondam magistri Theodorici, quos hahuit a Katherina quondam Metten Gelde, ejus uxore, […] cum
consensu ac scitu et interesse domini Mychaelis Absoloens, militis, Brugimagistri oppidi Lovaniensis, ex
parte dicti quondam Theodorici, nativi extra patriam,
et Judoci Lachman, consanguinei dicti Alberti, ex
parte matris», Atto del 12 luglio 1476, citato in wolFgang SChöne Dieric Bouts und seine Schule, Verl.
für Kunstwissenschaft, Berlin 1938, p. 234, doc. 22.
50 Quando Filippo III il Buono (1419-1467) divenne duca di Borgogna nel 1419, il Barbante era retto da Giovanni IV (1415-1427), il iglio maggiore di
Antonio (1406-1415), noto anche come Antonio del
Brabante e fratello di Giovanni Senza Paura (14041419), quindi anch’egli iglio del duca di Borgogna
Filippo l’Ardito (1364-1404). Cfr. riChard vaughan,
Philip the Good: the apogee of Burgundy, Longmans,
London 1970.
51 JohanneS MolanuS, Historia Lovaniensium
libri XIV, cur. Pierre FrançoiS Xavier de raM, M.
Hayez, Bruxelles 1861, lib. IX, cap. 2, p. 461.
52 Cfr. raYMond van uYTven, Stadsinanciën en
stadsekonomie te Leuven van de XIIe tot het einde der
XVIe eeuw, Koninklijke academie voor wetenschappen, letteren en schone kunsten van België, Bruxelles
1961.
53 Per approfondimenti si veda id. (a cura), Leuven de beste stad van Brabant, 1. De geschiedenis van
het stadsgewest Leuven tot omstreeks 1600, Vrienden
stedelijk musea, Leuven 1980, pp. 113-365.
54 SanTi, La vita cit., lib. XII, cap. LII, vv. 145168.
55 Doc. Urbino, 7 aprile 1482 da Accd, b. 1, fascicolo II, c. 27, citato in FalCioni, MoSConi (a cura),
Apparato documentario cit., doc. n. 196.
56 Giovanni doveva essere rientrato a Urbino già
da un paio di anni, se il cantastorie di Mercatello sul
Metauro, Antonio Nuti, in un’ottava a lui inviata nel
1480, afinché la correggesse, riportava: «Librecto
mio, se se’ palesato / Lì in Urbino fra quei Merchatanti, / E che si lecto in pian de Merchato / O da le
dompne o da giohan de Santi, / Voglo ch’a lui tu si
ricomandato, / Che te correghi, ch’è secondo Danti»,
citato in luigi MiChelini ToCCi, Giovanni Santi e il
suo poema, in SanTi, La vita cit., p. XII.
57 Doc. Urbino, 12 novembre 1486 da Accd, lib.
B, 1, c. 127r, citato in FalCioni, MoSConi (a cura),
Apparato documentario cit., doc. n. 252.
58 Doc. Urbino, 12 aprile 1487 da Accd, lib. B, 1,
c. 130r, citato in FalCioni, MoSConi (a cura), Apparato documentario cit., doc. n. 259.
59 Doc. Urbino, 10 giugno 1487 da Accd, lib. B,
1, c. 127v, citato in FalCioni, MoSConi (a cura), Apparato documentario cit., doc. n. 260.
54
Tamara Dominici
Giovanni Santi e Dieric Bouts: vite parallele
su Giovanni Santi, in vareSe (a cura), Giovanni Santi
cit., pp. 223-226.
66 Su Evangelista da Piandimeleto cfr. BoniTa
Cleri, Claudio CreSCenTini (a cura), Evangelista da
Piandimeleto: «primo maestro di Raffaello», Erreciemme, Roma 2016.
67 Doc. Urbino, 27 luglio/29 luglio 1494 da Sasu,
Anu, Quadra di Santa Croce, vol. 84, cc. 32v/34v, citato in FalCioni, de BerardiniS (a cura), Federico di
Montefeltro cit., pp. 309-310, docc. 327-328.
68 A testimonianza della feconda attività è interessante il saggio di Maria Rosaria Valazzi relativo
alle migrazioni dei modelli e alle differenti mani
presenti nelle opere di Santi, cfr. Maria roSaria valazzi, Rilessioni sulla bottega di Giovanni Santi e la
migrazione dei modelli, in MoChi onori (a cura), Raffaello e Urbino cit., pp. 52-59.
69 Per il nuovo e suggestivo municipio, Bouts fu
incaricato di eseguire il Giudizio Finale. A seguire
furono commissionati a Bouts anche quattro pannelli
con esempi storici di giustizia, le cui uniche due tavole a essere completate ed esposte furono quelle de
Il giudizio dell’imperatore Ottone. Cfr. JaCoB wiSSe,
Distinguishing between Bouts and Stuerbout as oficial city painters, in SMeYerS (a cura), Dirk Bouts (ca.
1410-1475) cit., pp. 19-34.
70 Il vino è un elemento molto utile per comprendere lo status sociale acquisito, essendo un bene di
lusso rispetto alla più comune birra.
60 Infatti, lo troviamo presente, in qualità di testimone, in stipule di contratti fra personaggi illustri
dell’epoca, a dimostrazione della posizione di tutto rispetto che aveva pienamente acquisito. In questi anni
Giovanni lavorò per il patrizio cagliese e alto funzionario di corte Pietro Tiranni, per il vicario Domenico
de’ Domenici e le relazioni con la corte, lo portarono
anche a dover organizzare la direzione della decorazione del Tempietto delle Muse nel Palazzo ducale
di Urbino. Cfr. CeCil h. Clough, Il Tempietto delle
Muse e Giovanni Santi, in vareSe (a cura), Giovanni
Santi cit., pp. 63-70.
61 Cfr. SMeYerS, Dirk Bouts cit., pp. 28-29.
62 Cfr. edward van even, L’ancienne école de
peinture de Louvain, Muquardt, Bruxelles 1870, p.
119. Per maggiori dettagli si veda inoltre van BuYTen,
De sociale situatie cit.
63 È possibile trovare una trascrizione del testamento in SChöne, Dieric Bouts und cit., pp. 230-232,
doc. 17.
64 «[O]mnia instrumenta ad oficium picture
pertinentia, similiter et omnes tabulas et ymagines
nondum perfectas neque completas», ibid., p. 231,
doc. 17.
65 Il 1 agosto del 1494, di ritorno dal viaggio a
Mantova, Santi si spegne, dopo aver dettato il suo testamento in due diverse redazioni a pochissimi giorni
di distanza l’una dall’altra. Riguardo alle due redazioni del testamento cfr. ToM henrY, Nuovi documenti
55
Finito di stampare
nel mese di Novembre 2017
per conto della casa editrice
il lavoro editoriale