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PER GIOVAN BATTISTA BEINASCHI. AGGIUNTE, 2017

2017

Studi di storia dell’arte in onore di Fabrizio Lemme etgraphiæ Studi di storia dell’arte in onore di Fabrizio Lemme a cura di Francesca Baldassari Alessandro Agresti etgraphiæ Roma 2017 Studi di storia dell’arte in onore di Fabrizio Lemme a cura di Francesca Baldassari, Alessandro Agresti © 2017 - coedizione: Etgraphiae, Roma - Cartograf, Foligno ISBN: 978-88-99680-01-5 In copertina Orazio Gentileschi (e Artemisia Gentileschi?), Giuditta (particolare), Roma, Collezione Lemme. Progetto grafico editoriale: Giampiero Badiali Redazione Alessandro Agresti Controllo qualità Roberto Colli Stampa Luglio 2017 Graica Pattern - Foligno (PG) La pubblicazione del volume è stata possibile grazie al supporto inanziario di Marcello Aldega, Pierluigi Amata, Paolo Antonacci, Maurizio Canesso, Andrea e Giancarlo Ciaroni, Enrico Frascione, Galleria Fondantico di Tiziana Sassoli, Gallo Fine Art, Giacometti Old Master Paintings, Carla e Franco Luccichenti, Fabio Massimo e Tommaso Megna, Claudio Milani, Fabrizio Moretti, Maurizio Nobile, Carlo Orsi, Duccio Pallesi, Paolo Rosa, Daniele Trabalza. Un grazie speciale a Maurizio Canesso, Andrea e Giancarlo Ciaroni e Fabrizio Moretti per la particolare generosità. Per Giovan Battista Beinaschi. Aggiunte Alessandro Brogi Fra gli artisti più proliici del XVII secolo si conta senz’altro Giovan Battista Beinaschi (o Benaschi, come talvolta si trova scritto), piemontese di nascita, che come molti altri compì la sua vera formazione nell’Urbe, dove giunse intorno alla metà del Seicento: la prima conferma documentaria in tal senso è del 16511. Mostrando dapprima una vaga propensione per il fronte classicista della pittura romana contemporanea, tale propensione fu presto soppiantata da un sempre più consapevole e pronunciato avvicinamento ad altro fronte culturale, quello barocco, ma di un barocco corposo, dai violenti contrasti di luce e ombra, innestato di umori naturalistici, in certo modo prossimo ai modi di un Giacinto Brandi ma, prima di tutto, sensibile agli esempi di Giovanni Lanfranco, vero e proprio modello di Beinaschi, al punto che le sue opere, lo attestano i primi biograi, vennero spesso confuse con quelle del grande pittore di Parma 2. Suggestione, quella, cui si aggiunse, già col primo soggiorno napoletano, la conoscenza dell’opera di Mattia Preti, dal cui luminismo a macchia, radente e drammatico, restò profondamente segnato. Beinaschi fu più che mai un instancabile decoratore, a Roma e ancor più a Napoli, dove è documentato a più riprese, dal 1663 al 1673, e nuovamente dal 1680 sino alla morte, sopraggiunta nel 16883. Non meno nutrita fu però la sua produzione di dipinti mobili, pale d’altare, naturalmente, e quadri da stanza destinati alla committenza privata, che col progredire delle conoscenze sono via via emersi dall’oblio sempre più numerosi. Dice in proposito Lione Pascoli, uno dei più antichi biograi, che «molti suoi dipinti» da cavalletto si trovavano al suo tempo, ovvero i primi decenni del Settecento, «in molte case di Roma» e due li possedeva egli stesso4. Dall’uscita, nel 2011, della bella monograia che ha inalmente reso giustizia a questo protagonista della pittura italiana tardoseicentesca, facendo il punto della situazione e raccogliendone l’opera in un ricchissimo catalogo ragionato, non sono mancate, come spesso accade con la pubblicazione di uno studio monograico, aggiunte più o meno signiicative al corpus dell’artista5. Proprio nell’ambito della produzione di dipinti mobili si inseriscono a pieno titolo queste due magniiche tele che, chiaramente concepite in coppia, in ottimo stato di conservazione e già riferite al pittore piemontese ma ignote alla letteratura, si conservano in piena vista, con le loro belle cornici che parrebbero originali, in una delle sale del Deutschordensmuseum allestito nel castello dell’Ordine Teutonico a Bad Mergentheim, storica cittadina del Baden Württemberg (igg. 1-2, tavv. xlvii-xlviii). Acquistati dal Ministerium für Wissenschaft, Forschung und Kunst sul mercato romano nei primi 1 G. Wiedmann, Documenti sulla presenza a Roma dei Del Po, di Fanzago, Porpora e altri, in ‘Ricerche sul ’600 napoletano’, n. 5, 1986, p. 252. 2 P. A. Orlandi, L’Abcedario pittorico, 2a ed. Bologna, 1719, p. 226; L. Pascoli, Le vite de’ pittori, scultori et architetti moderni, Roma, 1730-1736 (ed. cons. a cura di A. Marabottini, Perugia, 1992, p. 675); B. De Dominici, Vite dei pittori, scultori e architetti napoletani, Napoli, 1742-1745, vol. III, p. 227. 3 Nessuna certezza in merito alla sua data di nascita, che si pone fra il 1634 e il 1636, e neppure sul luogo, forse la città di Fossano nel Cuneese: S. Carotenuto, in Giovan Battista Beinaschi. Un artista barocco fra Roma e Napoli, a cura di F. Petrucci, V. Pacelli, Roma, 2011, p. 363. 4 L. Pascoli, Le vite… cit. (nota 2). 5 Per la monograia, vedi alla nota 3. Circa le integrazioni al catalogo, non tutte convincenti: M. C. Giannattasio, Considerazioni su un’inedita “Pietà” di Beinaschi, in ‘Ricerche sull’arte a Napoli in età moderna’, 2012/2013, pp. 40-43; G. Redin Michaus, Due opere di Andrea Vaccaro e Giovan Battista Beinaschi nelle collezioni del Patrimonio Nacional, Ibidem, pp. 117-112; X. Company i Climent, “Il Sant’Agostino” della collezione Farnés Duràn. Una nuova opera di Giovan Battista Beinaschi, in ‘Napoli Nobilissima’, n. 70, 2013, 3/4, pp. 99-108; S. Carotenuto, Una precisazione sul primo soggiorno napoletano del Beinaschi, in Cinquantacinque racconti per i dieci anni. Scritti di storia dell’arte, a cura del Centro Studi sulla Civiltà Artistica dell’Italia Meridionale “Giovanni Previtali”, Catanzaro, 2013, pp. 311-318. 221 1. Giovan Battista Beinaschi, Gli evangelisti Giovanni e Luca, Bad Mergentheim, Deutschordensmuseum (in deposito dallo Stato del BadenWürttemberg). 222 anni Ottanta del secolo scorso e concessi in deposito al Museo, nulla si sa della loro storia collezionistica antecedente, ma l’appartenenza alla mano di Beinaschi appare evidente, senza dover ricorrere a troppi confronti6. Per convincersi della loro paternità è suiciente richiamare alla mente le tre bellissime pale di Beinaschi in San Bonaventura a Roma, in particolare l’Annunciazione e il San Michele Arcangelo, databili per induzione documentaria al secondo soggiorno romano, ovvero fra il 1675 e il 1680, o la celebre e coeva Santa Cecilia oggi a Greenville (Bob Jones University). Un Beinaschi al meglio, quello in San Bonaventura, che ritroviamo allo stesso livello qualitativo nelle due tele tedesche. In comune, l’impulso dinamico che anima la composizione scivolando su traiettorie diagonali, l’ampiezza del gesto, la forma tonda, corposa e solenne, che reca in questo caso anche qualche ricordo del Guercino eroico della stagione romana (specie nella igura nobile di san Paolo) e la regia dei lumi balenante e a forti contrasti, che dà risalto qua e là alla componente naturalistica sempre sottesa al linguaggio del pittore, anche quando il vento barocco sembra soiare più impetuoso che mai. Per non parlare del ricorrere dei tipi: la nobile testa barbuta di san Luca, investita dal iotto di luce che spiove sulla veneranda calvizie, fa il paio esatto con quella del Padre Eterno nell’alto della citata Annunciazione. Molto interessante è poi il fatto che le due tele faccianno serie, per dimensioni, impaginazione e caratteri di stile, con altre due di collezione privata inglese (igg. 3-4), già attribuite a Giacinto Brandi e giustamente restituite al nostro artista da Petrucci nella monograia del 2011. Tele raiguranti anch’esse due coppie di santi, iconograicamente complementari a quelli che igurano nelle due tedesche - rispettivamente, Sant’Antonio Abate e san Paolo eremita e Gli evangelisti Marco e Matteo - per le quali è infatti proposta un’analoga datazione al 1675-16807. E direi che la serie così riunita si impone come uno degli episodi più alti nella 6 anche nella realizzazione delle riproduzioni fotograiche di cui i dipinti erano sprovvisti. Quanto al riferimento a Beinaschi, esso compare già nelle targhette in ottone, apposte sulle cornici, targhette relativamente recenti poiché recano già l’indicazione dell’appartenenza allo Stato del Württemberg. 7 Olio su tela, cm 121x173 (ciascuno): Giovan Battista Beinaschi… cit. (nota 3), cat. Cb35-36, pp. 94-95, 326-327. Il leggero scarto di misure in altezza (tre centimetri) rispetto ai due dipinti tedeschi non mi pare rilevante: potrebbe essere semplicemente un errore di misurazione o il frutto di un adattamento posteriore a una nuova cornice. In ottimo stato conservativo, le due tele misurano cm 124x173. Purtroppo non mi è stato possibile ispezionarne il verso per controllare la presenza di eventuali scritte o timbri che aiutassero a tratteggiarne la precedente vicenda materiale. Di certo si sa solo che, oggi in deposito presso il Museo dell’Ordine Teutonico, furono acquistate coi fondi di una lotteria da parte del Ministerium für Wissenschaft, Forschung und Kunst, presso Aldo Poggi a Roma, e che nessuna ulteriore notizia le accompagna nella documentazione del museo, se non una generica provenienza che recita “Neapel”. Così mi informa Elfriede Rein, dello staf del museo, che qui ringrazio per il suo aiuto 2. Giovan Battista Beinaschi, San Pietro e san Paolo, Bad Mergentheim, Deutschordensmuseum (in deposito dallo Stato del Baden-Württemberg). produzione su tela, e non solo, del pittore, per la nobiltà ispirata dell’invenzione e per la qualità pittorica splendente, che fa risuonare luce e colore come gli accordi pieni di un organo. Più diicile immaginarne l’originaria destinazione: il salone di una dimora patrizia o altro? Formato e soggetti non escludono infatti neppure uno spazio ecclesiastico, ma più che le pareti di una cappella privata, magari quelle di una sacrestia importante8. Se le due tele di Bad Mergentheim, come si è visto, recavano già la loro giusta paternità, diverso è il caso di questa potente mezza igura di Filosofo (ig. 9, tav. L), mostratami dagli attuali proprietari nel 2010, che invece passava per opera di un artista più antico, il napoletano Nunzio Rossi, sotto il cui nome era in precedenza comparsa sul mercato antiquario romano9. Il soggetto, all’apparenza sfuggente, si inserisce in realtà nel solco di una precisa tradizione iconograica sei- centesca che vede, quasi sempre contro un fondo oscuro di ascendenza caravaggesca, la rappresentazione di mezze igure maschili, per lo più anziani dall’aspetto popolaresco, spesso provvisti di vari strumenti del sapere, chiamati a rappresentare, ora in maniera precisa ora generica, i più diversi ilosoi o sapienti dell’antichità classica. Iconograia molto apprezzata nel corso del XVII secolo, che trovò prima in Ribera e poi nel giovane Luca Giordano gli interpreti di più grande fortuna internazionale. Diicile dire, in questo caso, a quale ilosofo si faccia riferimento: il libro da solo non sembra suiciente ai ini di una sicura identiicazione. Tuttavia l’espressione accigliata e severa potrebbe suggerire la igura di Eraclito, ilosofo greco presocratico, sin dall’antichità abbinato a Democrito in un’opposizione che tornò più che mai gradita in età di Controriforma e poi successivamente. Nulla esclude tuttavia che l’intento del pittore, come del committente, sia stato quello 8 Putroppo nessuna notizia di fonte sembra potersi ricollegare a questa serie, nonostante le sue dimensioni e il suo livello qualitativo: vedi catalogo delle opere perdute in Giovan Battista Beinaschi… cit. (nota 3), pp. 350-359. 9 Olio su tela, cm 100x73: C. Strinati, in Scelte di antiquariato, catalogo della mostra (Roma, Sala Margana, 22 novembre 2002 - 11 dicembre 2002), Roma, 2002, p. 12. Non coglie nel segno, a mio parere, neppure una seconda opzione attributiva in favore di un altro protagonista del Seicento pittorico napoletano, Francesco Fracanzano, avanzata oralmente, secondo quanto mi riferisce l’attuale proprietario, dalla Galleria Sestieri che possedeva il dipinto al momento dell’acquisto. A conclu- sioni simili circa la paternità della tela era giunto, indipendentemente da me e alle stesse date, Angelo Mazza nel momento in cui, all’interno di un lungo e ricchissimo intervento su Nunzio Rossi, osservava velocemente in nota che, facendo la spunta delle aggiunte dubbie al pittore napoletano: «non convince l’attribuzione a Nunzio Rossi del Filosofo [in questione] da dirottare piuttosto verso Giovan Battista Beinaschi»; cfr. A. Mazza, Nunzio Rossi a Bologna e la svolta naturalistica di metà Seicento, in Napoli e l’Emilia. Studi sulle relazioni artistiche, atti delle giornate di studio, (Napoli, Santa Maria Capua Vetere, 28-29 maggio 2008), a cura di A. Zezza, Napoli, 2010, pp. 159-182, nota 78. 223 224 3. Giovan Battista Beinaschi, Gli evangelisti Marco e Matteo, Inghilterra, collezione privata. 4. Giovan Battista Beinaschi, Sant’Antonio Abate e san Paolo eremita, Inghilterra, collezione privata. di rappresentare nulla più che un generico sapiente dell’antichità, stante la fortuna puramente ‘decorativa’ del genere. Quel che è certo è che l’attribuzione della bella tela a Nunzio Rossi, attivo nel secondo quarto del XVII secolo a Bologna, a Napoli e inine in Sicilia, non regge al confronto con le opere sicure di tale artista, fra le quali si può accogliere senz’altro questa splendida testa di vecchio barbuto (ig. 10), forse un’Allegoria dell’ inverno, passata in asta a Londra nel 2015 come opera di anonimo romano del Seicento10, la quale presenta invece, questa sì, i tratti più tipici di Rossi, compreso quel tanto di rubensiano che sempre anima sottopelle il luire, fuso e setoso, della sua iridescente materia pittorica, qui di rara inezza, e che fa rigoniare la forma di un’esuberanza solo sua in ambiente partenopeo. Proprio dal confronto con questo esemplare apparirà evidente l’appartenenza del nostro Filosofo ad altra mano, quella appunto di Beinaschi, verso cui tutto ci indirizza, a partire dalla tipologia del vecchio, che ritorna spessissimo, quasi una sigla, nell’opera dell’artista, tanto a olio che a fresco, lungo tutto l’arco della sua carriera. E non meno tipica è la conduzione pittorica disinvolta, oserei dire sprezzante, mossa da una foga energica che tradisce le doti del grande decoratore abituato alle vaste superici e che in questo caso travolge quasi del tutto i presupposti naturalistici cui fa capo la tradizione iconograica di riferimento, dei quali poco resta. Un che, appunto, di più strapazzato e materico nel ductus, un po’ diverso da quello della serie anglo-tedesca, potrebbe far pensare ad anni più tardi, vale a dire quelli del secondo soggiorno napoletano, dopo il 1680. Tuttavia folgorante appare il confronto con altre due mezze igure di misure analoghe che Petrucci e Pacelli, restituendole con ragione a Beinaschi, datano però ancora una volta al momento romano, i tardi anni Settanta: mi riferisco al San Gerolamo passato sul mercato americano molti anni fa e alla Parca Cloto (ig. 11) della Walters Art Gallery di Baltimora11. Vero è che trattando di questo pittore la cronologia appare sempre questione piuttosto insidiosa e problematica, per il ricorrere di tipologie e stilemi, anche a distanza di tempo. Certa è comunque l’identità di mano fra la nostra tela e le due citate, che presentano - in particolare quella a Baltimora - la stessa miscela stilistica e poetica, lo stesso naturalismo liquefatto, le stesse pennellate lunghe, la stessa ricchezza di tocco nel volto, negli occhi vecchi, nei lucori dello sguardo commosso e ugualmente interrogativo, e in lo stesso alone luminoso sul fondo. Nonché, ovviamente, la medesima attitudine a volgarizzare in chiave plebea un soggetto nobile e antico, che giustiica i riferimenti prima a Salvator Rosa e poi a Luca Giordano avanzati in passato per la Parca americana: ulteriore conferma dei numerosi fraintendimenti che hanno interessato la produzione del nostro artista, in questo caso però ‘confuso’ con autori di grande pregio e qualità. Quadrando, per così dire, il cerchio, non parrà dunque azzardato suggerire la possibilità di riconoscere il dipinto in esame in uno dei «Due ilosoi di palmi 3 e 2 di Benasco con cornice indorata» registrati, anno 1700, nell’inventario della collezione di un alto uiciale spagnolo di stanza a Napoli, il ‘maestro di campo’ Martino de Castrocon12. Il che, fra l’altro, potrebbe pure suggerire l’esistenza, in origine, di un secondo ‘Filosofo’ (Democrito?) concepito in pendant con quello qui presentato. Nessun riferimento illustre invece per questa piccola tela (ig. 5, tav. XLIX) con San Luca che dipinge la Vergine, passata di recente sulla piazza romana senza una qualiica precisa, se non un generico riferimento a ‘Scuola romana del secolo XVIII’, che decisamente non coglieva nel segno, quantomeno riguardo alle date13. Intanto, le dimensioni e la stesura rapida e som- 10 11 12 Olio su tela, cm 76x60,5: Londra, asta Sotheby’s, 10 dicembre 2015, lotto n. 170. Rispettivamente: olio su tela, cm 132x94, New York, asta Christie’s, 14 gennaio 1993, lotto n. 18, e olio su tela, cm 63,6x48,7: Giovan Battista Beinaschi… cit. (nota 3), cat. Ca23, pp. 304-305; cat. Ca19, pp. 301-302. Il San Gerolamo recava ancora una volta un generico riferimento a Giascinto Brandi, dirottato in favore di Beinaschi da Massimo Pulini. In merito a quest’ultimo, mette conto notare che, se nella scheda di catalogo la datazione proposta è quella, appunto, al 1675-1680, nell’illustrazione a piena pagina (ig. 132, p. 97) invece ne compare un’altra al 1680-1688, che a me pare più consona. L’inventario, che si conserva presso l’Archivio di Stato di Napoli, è pubblicato in G. Labrot, Deux collectionneurs étrangers à Naples, in ‘Ricerche sul ‘600 napoletano’, n. 3, 1984, p. 142. Sulla igura del Castrocon, cfr. Storia di Napoli, 1970, vol. VI, p. 321. Vedi anche: Giovan Battista Beinaschi… cit. (nota 3), cat. D57, p. 355. 13 Olio su tela, cm 92x71,5: Roma, asta Minerva Auctions, 29 novembre 2016, lotto n. 57. La tela, in buono stato di conservazione, al netto di qualche piccola caduta, presenta un rintelo già ‘antico’, forse addirittura ottocentesco, in un telaio più recente. Ringrazio Minerva Auction, nella persona di Adele Coggiola, per avermi fornito la fotograia antecedente il restauro. 5. Giovan Battista Beinaschi, San Luca dipinge la Vergine, collezione privata. maria suggeriscono senza mezzi termini che esso costituisca il bozzetto per una composizione più grande, e il disporsi del gruppo igurale a triangolo, col vertice verso il basso, allude in maniera lampante alla sagoma di un pennacchio; ipotesi certa cui concorre anche il soggetto, in quanto probabile parte di una serie coi quattro evangelisti, tematica ricorrente in un ediicio di culto, ad esempio, per i quattro pennacchi di una cupola. Detto ciò, sarà facile individuarne l’autore ancora una volta in Beinaschi, per le qualità di stesura, le tipologie dei volti dei due protagonisti come quelle delle igure angeliche, l’avvolgersi dinamico e risentito dei panni e, non ultima, la regia dei lumi a forti contrasti. Non meno nutrita nella vicenda del pittore è d’altronde la produzione di bozzetti, in linea coi tempi che videro l’esplosione di tale pratica, sia in funzione preparatoria che come ‘memoria’ da opere inite; bozzetti nei quali, come qui, trionfa la verve del grande decoratore, capace di evocare anche nelle piccole dimensioni di una telet- ta la vastità delle grandi superici murarie. A conferma della paternità di questo quadretto potrà bastare un rapido sguardo ad alcuni esempi analoghi, come il bozzetto di ubicazione ignota con un Dio Padre preparatorio per l’afresco sulla volta del presbiterio di Santa Maria del Sufragio a Roma (16751678), in tutto simile al nostro nella composizione scalena e nel balenare dei lumi, dove l’angelo in basso pare lo stesso ai piedi del san Luca, solo diversamente atteggiato. Lo stesso dicasi per l’Assunta di collezione privata in relazione all’afresco di eguale soggetto nella Congrega dei Bianchi a Napoli e più che mai per la Madonna e santi, anch’essa presso privati a Napoli, ugualmente approssimata nel ductus, come pure del tutto identico nei modi scorrevoli e nella materia pittorica appare inine il doppio bozzetto, di collezione privata romana, con una Flagellazione di sant’Andrea e un Martirio del medesimo (ig. 6), in rapporto col dipinto oggi a Carlton Towers (Yorkshire), circa il quale non occorre quasi commento, tanto 225 6. Giovan Battista Beinaschi, Sant’Andrea condotto al martirio, Sant’Andrea crociisso, Roma, collezione privata. 226 7. Giovanni Lanfranco, San Luca dipinge la Vergine, Napoli, Chiesa del Gesù Nuovo. 8. Giovan Battista Beinaschi, San Luca dipinge la Vergine, Napoli, Basilica di Santa Maria degli Angeli a Pizzofalcone. 9. Giovan Battista Beinaschi, Filosofo antico, Chicago, collezione privata. appare in sintonia col nostro, sotto ogni punto di vista14, compresa la sommaria spigliatezza di stesura che lo diferenzia da altre prove più riinite, quali, ad esempio, la citata Assunta. Nessuna delle decorazioni chiesastiche note presenta un’invenzione identica a questa. Tuttavia i Quattro Evangelisti afrescati da Beinaschi nella basilica napoletana di Santa Maria degli Angeli a Pizzofalcone, proprio nei quattro pennacchi sotto la cupola, ofrono molti spunti di rilessione. Intanto quell’impresa, che si data su base documentaria agli anni 1668-167315, denuncia un fortissimo debito nei confronti di Lanfranco, e nella fattispecie dei pennacchi che il parmense aveva realizzato anni prima, proprio a Napoli, nelle chiese dei Santi Apostoli e del Gesù Nuovo. Quest’ultima decorazione in particolare (ig. 7) sembra fornire a Beinaschi l’idea di fondo per il suo San Luca a Pizzofalcone (ig. 8), sebbene abilmente variato e risolto in controparte. Nello stesso orientamento del San Luca lanfranchiano è per l’appunto il nostro bozzetto, che quindi potrebbe essere inteso come una prima idea per il San Luca in Santa Maria degli Angeli: idea abbandonata, magari, per l’eccessiva vicinanza al modello emiliano che tutti avrebbero potuto cogliere passando da una chiesa all’altra. Nella versione afrescata il santo, infatti, non più panneggiato come qui e in parte come nell’arioso afresco di Lanfranco, ma con le gambe nude in vista, non si volge all’indietro verso la Vergine ma la osserva frontalmente, nella stessa direzione della tavola che l’angelo gli sta sorreggendo. Almeno un caso analogo di bozzetto preparatorio per un pennacchio sopravvive nell’Allegoria dell’Orazione di collezione privata, in palese rapporto con una delle allegorie di Virtù afrescate poco prima da Beinaschi (1666-1668), ancora a Napoli, nei pennacchi della cappella Seripandi ai Santi Apostoli16. E dunque nulla vieta che anche per l’impresa in Santa Maria degli Angeli, di vasto respiro e importanza, egli abbia potuto fornire bozzetti alla committenza. Per concludere, un’ultima segnalazione che debbo alla generosità di Francesca Baldassari, cui spetta l’attribuzione a Beinaschi di questa iammante Maddalena assunta in cielo 14 Nell’ordine: A. Pampalone, in Il Seicento e Settecento romano nella Collezione Lemme, catalogo della mostra (Roma, Palazzo Barberini, 21 ottobre 1998 - 6 gennaio 1999), Roma, 1998, n. 9, pp. 77-79; Giovan Battista Beinaschi… cit. (nota 3), pp. 252-253, cat. A22; p. 255, cat. A27 (già New York, asta Christie’s, 23 gennaio 2004, lotto n. 168); p. 253, cat. A24; p. 337, cat. Cc7 (in precedenza attribuito a Giacinto Brandi da Federico Zeri, è stato giustamente restituito al pittore piemontese in questa sede. Anche le misure, cm 73,5x99, si approssimano a quelle del nostro bozzetto). 15 Ibidem, cat. A17, pp. 244-245, e, per i pagamenti, p. 364. 16 Ibidem, cat A4, p. 233. 227 (ig. 12, tav. LI), piccolo dipinto da stanza che i proprietari conservavano da anni sotto il nome, neanche a dirlo, di Giovanni Lanfranco17. Il grado di initura e la sensibilissima resa pittorica, ricca di inezze cromatiche e di ductus, fanno optare per un quadretto autonomo, piuttosto che per un bozzetto, essendo spesso, i bozzetti o ‘macchie’ come si diceva allora, più sommari anche se non di rado di dimensioni maggiori di quelle della Maddalena in questione (vedi ad esempio il San Luca qui presentato). Il tema della Maddalena non è certo nuovo per Beinaschi: un esempio assai prossimo nella postura della santa, ma di misure assai maggiori, è quello passato sul mercato torinese e pubblicato nella monograia più volte citata con una datazione ai soliti anni Settanta per «l’accentuato tenebrismo [e la] saldezza delle forme», con vaghe suggestioni classiciste, si dice, alla maniera di Andrea Vaccaro e persino un ricordo, nella testa dell’angelo, di quello berninano che traigge santa Teresa nella Cappella Cornaro18. Ma qui la santa, in leggero eppure eicacissimo sottinsù, è assunta in cielo, sospinta dagli angeli, in un turbinare di ali, gambe, piedi, contro un cielo nuvoloso squarciato da lampi di luce dorata. Una composizione eccitata e carica di sensi che accelera il pedale barocco come non mai, dilatando lo spazio al punto da costituire quasi l’anello di congiunzione fra i precedenti ormai antichi di Lanfranco e il Giordano più rapinoso degli anni maturi. Memorabile l’orizzonte bassissimo appena striato da una lama di luce lontana, capace di evocare un’immensa vastità di cielo e di terra, nonostante le piccole dimensioni del formato. Anche in questo caso una datazione convincente risulta diicile da issare, sebbene quanto detto potrebbe far pensare ancora una volta agli anni tardi, quelli del secondo soggiorno napoletano. L’aver riunito solo da poco l’opera di questo pregevole artista induce a una rilessione conclusiva. Ovvero che il frequente ricorso al nome di Giacinto Brandi nel quale le opere di Beinaschi sono spesso incappate, come anche qui si è potuto veriicare (è il caso dei due dipinti oggi a Londra o del bozzetto col Martirio disant’Andrea), risultava, ora possiamo dirlo, decisamente riduttivo. Alla luce delle nuove conoscenze sul pittore e delle numerose aggiunte al suo catalogo che la ricerca monograica ha comportato, credo si possa afermare a ragion veduta che la sua tenuta e in generale la sua portata siano ben superiori a quelle di un Brandi, il cui corpus recentemente raccolto, mostra nell’insieme molti limiti e non poche cadute. Imparagonabile senz’altro la ricchezza di componenti culturali che si condensano nella formula espressiva di Beinaschi, in grado di fondere con originale autorevolezza l’eredità del barocco romano, da Lanfranco a Bernini, e l’esperienza del naturalismo partenopeo. Per non dire della versatile facilità mostrata dal pittore nel padroneggiare quasi tutti i generi e tutte le tecniche, guidato da una sicurezza pittorica, disegnativa e d’invenzione a mio parere anch’esse imparagonabili. Come pure le aggiunte qui segnalate confermano. 17 18 228 Olio su tela, cm 65x48. Olio su tela, cm 147x167: Giovan Battista Beinaschi… cit. (nota 3), cat. Cb31, p. 32. 10. Nunzio Rossi, Allegoria dell’Inverno (?), già Londra, Sotheby’s. 11. Giovan Battista Beinaschi, La parca Cloto, Baltimora, Walters Art Gallery. 12. Giovan Battista Beinaschi, Maddalena assunta in cielo, collezione privata. 229