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“Spagna 1814: Il golpe di Ferdinando VII”

Gabriele Paolini (dir.), Napoleone dal’Elba all’Europa. Atti del convegno internazionale di studi. Firenze, 21-22 novembre 2014, Regione Toscana, Firenze, 2017, pp. 49-62.

Napoleone dall’Elba all’Europa Atti del convegno internazionale di studi Firenze, 21-22 novembre 2014 a cura di Gabriele Paolini Luglio 2017 Napoleone dall’Elba all’Europa : Atti del convegno internazionale di studi Firenze, 21-22 novembre 2014 / a cura di Gabriele Paolini . - Firenze : Consiglio regionale della Toscana, 2017 1.Paolini, Gabriele 2. Toscana <regione>. Consiglio regionale Napoléon <imperatore dei Francesi ; 1> - Atti di congressi 944.05092 CIP (Cataloguing in Publication) a cura della Biblioteca della Toscana Pietro Leopoldo Volume in distribuzione gratuita In copertina: Veduta generale dell’Isola d’Elba, Portoferraio, la città e il castello. Edward Orme, Londra; M. Duborg incisore, A.S. Terreni disegnatore. Litografia inglese a colori del 1814, mm. 42x62. Fondazione Spadolini Nuova Antologia, Firenze Consiglio regionale della Toscana Settore “Biblioteca e documentazione. Archivio e protocollo. Comunicazione, editoria, URP e sito web. Tipograia” Progetto graico e impaginazione: Daniele Russo Pubblicazione realizzata dal Consiglio regionale della Toscana quale contributo ai sensi della l.r. 4/2009 Luglio 2017 ISBN 978-88-85617-02-5 Sommario Presentazione Eugenio Giani 7 Nota del Curatore 9 Scenari europei e mediterranei L’Europa dopo Napoleone (La fama usurpata del Congresso di Vienna) Giuseppe Galasso Napoleone, l’Elba e il Congresso di Vienna Luigi Mascilli Migliorini Il Mediterraneo dopo la caduta di Napoleone Francesca Canale Cama Spagna 1814: Il golpe di Ferdinando VII Pedro Rújula 1814: L’Angleterre et la chute de Napoléon Alan Forrest 13 27 37 49 63 Il crocevia italiano 1814: Milan de Napoléon aux Habsbourg Romain Buclon Mariotti, le consul espion Pierre Branda “Un cattivo vicino”. Il governo toscano e Napoleone all’Elba Gabriele Paolini Murat e il Regno di Napoli: le ultime scelte Nicoletta Marini d’Armenia Lo Stato pontiicio tra eredità napoleonica e restaurazione Angelo Varni 81 97 109 129 139 5 Elba, “isola impero” Napoleone manager elbano e statista europeo Ernesto Ferrero Le residenze napoleoniche all’Elba Roberta Martinelli – Velia Gini Il quindicennio di governo napoleonico all’Elba Giuseppe Massimo Battaglini L’Elba segreta (1814-1816): aspetti, momenti, protagonisti. Note per un’ipotesi di lettura d’insieme Gianfranco Vanagolli Conversando con Napoleone. Visitatori inglesi all’Elba Rosa Maria Delli Quadri 169 Indice dei nomi 221 6 149 157 181 199 Spagna 1814: Il golpe di Ferdinando VII1 Pedro Rújula Università di Saragozza Verso la metà del 1814, poco dopo il trionfo del colpo di stato di Ferdinando VII,2 apparve a Madrid, un foglio a stampa intitolato Manifesto di tutto ciò che è accaduto a Madrid in occasione del decreto del re del 4 Maggio, nel quale si ofriva, dalla prospettiva realista, una spiegazione agli incredibili avvenimenti che erano accaduti in Spagna. Secondo quanto riferiva il documento, durante quella primavera, si erano deinitivamente chiusi i conti con il “dispotismo”, con il “codice che aveva oscurato la fama e il nome degli spagnoli” ed erano stati “estromessi dal trono che occupavano i peridi giacobini, le cui basi erano l’irreligiosità e i vizi più ripugnanti”, e così si era visto “ristabilito l’ordine in Spagna, restituiti alla loro antica forza gli statuti di Castiglia e riposto il nostro benigno Monarca sul trono dei suoi antenati”.3 In sostanza, il golpe, aveva signiicato la ine della Costituzione del 1812 e la persecuzione dei liberali, rivoluzionari e antireligiosi, con l’intenzione di ripristinare l’ordine, le antiche leggi e restituire al re le sue prerogative. Era il proilo della Restaurazione nella sua versione più estrema, senza concessioni di nessun tipo, né alle soferenze patite nei sei anni di guerra, né ai cambi politici operati, né verso la necessità pratica di trattare con i settori moderati del liberalismo per dare maggiore stabilità alla monarchia. Il golpe assolutista di Ferdinando VII del 1814 è una pietra miliare della 1 2 Traduzione dallo spagnolo a cura di Silvia Sonetti. C’è una grande tradizione che considera la restaurazione assolutista di Ferdinando VII come il prodotto di un “colpo di stato” a partire da M. Izquierdo Hernández, Antecedentes y comienzos del reinado de Fernando VII, Madrid, Ediciones Cultura Hispánica, 1963, p. 761, e M. Artola, La España de Fernando VII, Madrid, EspasaCalpe, 1978 (1ª ed. 1968), p. 543, passando per Gabriel H. Lovett, La Guerra de la Independencia y el nacimiento de la España Contemporánea. 2/ La lucha, dentro y fuera del país, Barcelona, Península, 1975, p. 379, G. Dufour, La Guerra de la Independencia, Madrid, Historia 16, 1989, p. 143, S. Pérez Garzón, Las Cortes de Cádiz. El nacimiento de la nación liberal (1808-1814), Madrid, Sintesi, 2007, p. 399 o E. de Diego, España, el infierno de Napoleón. 1808-1814, una historia de la Guerra de la Independencia, Madrid, La Esfera de los Libros, 2008, p. 468. 3 Manifiesto de todo lo ocurrido en Madrid con motivo del Decreto del Rey de 4 de Mayo, Cádiz, Nicolás Gómez de Requena, 1814, reimpresión, p. 1. 49 storia contemporanea spagnola perché chiude l’esperienza della Guerra di Indipendenza e apre una nuova era, quella segnata dalla spirale rivoluzionecontrorivoluzione che caratterizzerà la prima terza parte del XIX secolo. Il successo del prigioniero di Valençay, dopo sei anni di esilio in territorio straniero al margine della vita politica spagnola, è sorprendente se si tiene conto che la sua posizione era debole e con pochi agganci nella realtà. Lo studio delle circostanze che permisero questo risultato, ci porta ad evidenziare quattro elementi fondamentali: l’opinione pubblica, l’esercito, la dimensione internazionale del golpe e l’azione politica. Fin dall’inizio del 1814, la notizia del ritorno del re, generò un’attività inedita nel campo realista. Silenziosi per molto tempo, coscienti che il clima politico non gli era favorevole, quelli che i liberali qualiicavano come serviles, avevano iniziato, poco a poco, a muoversi con lo stimolo fornito dalle elezioni delle Corti ordinarie del 1813. Senza farsi troppo notare, avevano partecipato molto attivamente alle nuove elezioni ottenendo risultati molto positivi. L’opinione di alcuni nuovi protagonisti del momento era che la nuova camera poteva contare su una maggioranza di deputai realisti. Nonostante questo, il cambio non si notò a Cadice, dal momento che molti dei neoeletti, per il momento, non si erano insediati nei loro seggi. Solo con il trasferimento dell’assemblea a Madrid, nel Gennaio dell’anno successivo, l’idea di una controfensiva realista cominciò a prendere realmente forma. La neutralizzazione delle Corti, come baluardo del liberalismo, sarà un passaggio decisivo nel recupero del potere assoluto da parte di Ferdinando VII. Ma per arrivare a questo punto i realisti compirono sforzi strenui, attraendo appoggi in favore del monarca, sottraendo sostenitori al regime costituzionale e neutralizzando coloro che ino alla ine erano rimasti impegnati nella sua difesa. Propaganda realista Uno dei primi ambiti dove si mostrò visibile questo attivismo realista, fu quello della stampa. In essa iniziò a circolare, senza obiezioni, un’immagine del re che non aveva nulla a che vedere con la limitazione del suo potere sancita dalla Costituzione. “Il nostro adorato Monarca, il re e Signore Ferdinando VII, fu proclamato Re in tutti i suo Stati di America ed Europa nel 1808. A nessun Deputato delle Corti straordinarie e ordinarie si diede il potere per annullare o alterare questa solenne proclamazione”, difendeva 50 a Valencia El Fernandino.4 La igura del re non cessava di crescere nella stampa assumendo la condizione di simbolo. Così El centinela de la Patria en Reus raccomandava ai giornalisti liberali di occuparsi delle “eroiche virtù che aveva manifestato a Valençay durante la prigionia che gli fece sperimentare il più grande dei tiranni […] proponendola come modello”, e non “le massime sciagure che rovinarono la Francia e avevano coperto di lutto la nostra religiosa Spagna”. 5 La igura del re cresceva nelle sue pagine assumendo la condizione di un simbolo. Il ritorno del re si convertiva nella metafora del ritorno alla normalità. E questo supponeva che si ristabilissero le relazioni sociali e di potere che esistevano prima dell’invasione francese del 1808. “Una mano forte che riunisca a sé il potere e che non si lasci piegare dall’opposizione è l’unica che può darci la sospirata pace di cui tanto necessitiamo”.6 L’idea di cancellare gli anni della guerra, come se si trattasse di una parentesi indesiderabile, già si iniziava a contemplare. “Vieni dunque, Re adorato, / Vieni, immagine del tuo Regno, vieni, virtuoso / Principe e Padre amato / dei popoli che Dio ti ha aidato”, recitava un’ode realista pubblicata nel La Atalaya de la Mancha.7 Un ripristino dell’ordine santiicato dalla volontà divina che dotava di un signiicato provvidenziale il ritorno del monarca. Le aspettative riposte nel ritorno del monarca non si fermarono qui. Ma rivolsero la loro insistente attenzione anche su coloro che avevano ricoperto incarichi durante l’assenza del re o avevano difeso le idee costituzionali accusandoli di aver usurpato illegittimamente il potere. Molto presto i periodici e alcuni fogli volanti cominciarono a indicare i colpevoli e pretendere le responsabilità. “¡Ah! Signore, allontanate la vostra vista da questo pugno di faziosi e malvagi che vogliono afondare le loro mani regicide nel vostro sangue, e metterle nelle vostre genti ed eserciti che, tornati con vostra presenza all’anno 1808, vi acclamano nuovamente”, insisteva la pubblicazione intitolata Lucindo.8 E non si riferiva ai francesi, ma agli spagnoli, agli afrancesados e, soprattutto, ai liberali che avevano dato inizio a un processo di revisione dalle basi della società e della politica che colpiva profondamente lo stato egemonico del quale avevano beneiciato la Monarchia e la Chiesa. 4 5 6 7 8 El Fernandino, 1 de mayo de 1814, p. 20. El centinela de la Patria en Reus,20 de abril de 1814, p. 71. La atalaya de la Mancha, 28 de abril de 1814, n.º 27, p. 222. La atalaya de la Mancha, 10 de abril de 1814, n.º 9, p. 70. Lucindo, 2 de mayo de 1814, n.º 5, p. 1. 51 In questo modo, agitando l’opinione pubblica con idee che rilettevano concezioni del potere proprie dell’Antico Regime e che per il popolo erano facilmente riconoscibili, si andò costruendo un terreno di opinione pubblica favorevole al golpe. In verità, non era un processo di reazione che sorgerà esclusivamente dagli ambiti del potere politico e religioso aini al realismo. Trovava appoggi anche nella stanchezza e nel desiderio generalizzato di un ritorno alla normalità, di lasciarsi la guerra alle spalle e, con essa, tutte le violenze e i problemi che avevano trasformato la vita del popolo ormai da molti anni. Il controllo militare La Spagna era uscita da una lunga guerra. Le armi e gli eserciti avevano rappresentato una forma di fare politica che si era imposta negli ultimi sei anni. Per questo motivo le Corti furono molto prudenti al momento di stabilire le condizioni secondo le quali il re avrebbe dovuto relazionarsi con le forze armate ino al momento in cui avrebbe giurato la Costituzione spagnola. Nel decreto che stabiliva le condizioni alle quali Ferdinando VII avrebbe dovuto attenersi a Madrid, tre degli articoli erano orientati a regolamentare il suo contatto con l’esercito.9 Non poteva farsi accompagnare da forze straniere, e, se fossero stati spagnoli che ritornavano con lui dall’esilio o dalla prigione, dovevano obbedire agli ordini dell’autorità militare spagnola. Il generale che avrebbe ricevuto il re sul territorio spagnolo, non doveva mettersi ai suoi ordini ma soltanto ofrire al suo servizio una scorta che lo avrebbe accompagnato nel suo viaggio a corte. Dal canto suo, Ferdinando VII era assai consapevole che non poteva vedere compiuta la sua volontà se non aveva dalla sua parte l’esercito, tanto per le sue funzioni politiche quanto per quelle militari che si esplicitavano nella gestione del territorio. Per questo motivo, dal primo momento in cui mise piede in Spagna, cercò di portare a sé i capi militari. Lo fece, inizialmente, con il generale Francisco de Copons, capitano generale del Principato di Catalogna, al quale, tra ambiguità e oferte, cercò di strappare un compromesso di fedeltà10. Fallì in questo intento perché il 9 Sono gli articoli 4, 5 e 6 del decreto delle Corti emanato a Madrid il 2 febbraio del 1814. Riprodotto in J. Ortiz y Sanz, Suplemento al compendio cronológico de la Historia de España desde los tiempos más antiguos hasta nuestros días, Madrid, Imprenta de Gómez Fuentenebro, 1842, pp. 302-303. 10 F. de Copons, N. y Asprer, Memorias de los años de 1814 y 1820 al 24, escritas por el teniente Escmo Señor don Francisco de Copons y Navia, Madrid, Imprenta y Litografía 52 generale si mantenne nei conini della legalità, ma si vendicò più tardi della sua fedeltà alle istituzioni costituzionali sollevandolo dall’incarico.11 La situazione si fece più favorevole per il re quando, al suo passaggio in Aragona, le truppe del generale Whittingham si misero al suo servizio e lo accompagnarono ino all’incontro con il generale Francisco Elío, capitano generale di Valencia. 12 Elío, molto conosciuto per le sue inclinazioni assolutiste, non tardò a manifestare l’adesione al re ignorando gli ordini impartiti dalle autorità costituzionali. Fin dal suo primo contatto, a La Jaquesa, dove si era recato per l’incontro della comitiva reale con le sue truppe, lo aveva invitato a porsi alla testa dei suoi uomini ofrendogli il comando. Due giorni dopo, il 17 aprile, durante il baciamano, al quale avevano assistito lo Stato Maggiore dell’Esercito e tutti i capi e gli uiciali dei corpi cittadini, il generale Elío manifestò, a nome di tutti, la sua volontà di riconoscerlo “con tutti i diritti”. Per testimoniare la loro adesione con le dichiarazioni del capitano generale, i presenti si unirono alla voce di “Viva il re”, compresi alcuni che conclusero con grida di “muoia chi non lo sente e sostiene così”.13 Ferdinando VII rimase a Valencia per un po’ di tempo a difesa di Elío, molto più del necessario se quello che voleva era arrivare a Madrid per incontrarsi con le Corti. Il tempo suiciente, comunque, per intessere tutti i preparativi del golpe, riunire gli appoggi necessari e neutralizzare la risposta costituzionale. Rimaneva pendente ancora il controllo di Madrid, dove si preparava lo scenario deinitivo della lotta per il potere tra le Corti e il Re. Lì, il generale Villacampa, di riconosciuta iliazione liberale, era la massima autorità.14 L’ostacolo fu superato con la nomina, che evadeva la legalità costituzionale, del generale Eguía come capitano generale di Castilla la Nueva e come governatore di Madrid. Eguía, era riconosciuto come uno dei militari più militar del Atlas, 1859, p. 71. Cif. “Copons y Navia, Francisco de Paula”, en Alberto Martín-Lanuza Martínez, Diccionario Biográfico del Generalato Español. Reinados de Carlos IV y Fernando VII (1788-1833), Navarra, Foro Para el Estudio de la Historia Militar de España, 2012, p. 224. 12 F. Whittingham (ed.), A memoir of the services of lieutenant-general sir Samuel Ford Whittingham, London, Longmans, Green, and Co., 1868, p. 256. 13 Discursos que al encontrar a nuestro amado Monarca el Sr. D. Fernando VII…, Valencia, Imprenta y librería de López, 1814, p. 4. 14 R. Guirao Larrañaga, Don Pedro Villacampa Maza de Lizana. Héroe serrablés de la Guerra de la Independencia Española, Zaragoza, Comuniter, 2010, p. 197. 11 53 aderenti all’Antico Regime: sarà lui a incaricarsi di preparare tutto per l’arrivo del re.15 Il suo comportamento sarà decisivo per la neutralizzazione delle azioni delle Corti come principale istituzione rappresentativa del regime costituzionale, della reggenza, come organo esecutivo durante l’assenza del monarca e dei deputati che più di erano distaccati durante gli anni precedenti per la loro difesa delle idee liberali. L’appoggio internazionale Non è facile comprendere la volontà di Ferdinando VII di recuperare il suo potere integro, senza tenere in conto gli appoggi internazionali sui quali poté contare in dall’inizio. Dobbiamo ricordare che negli altri territori europei dove i Borboni tornarono sul trono, la formula restauratrice, in nessun caso ritornò al punto che aveva lasciato, ma produsse una transizione tra il riconoscimento del legittimo diritto al trono del monarca e l’accettazione di riforme che incorporavano al sistema principi e attori che avevano ottenuto protagonismo nell’esperienza rivoluzionaria. In Francia, la carta adottata nel 1814 era più liberale delle costituzioni dell’anno VII e dell’anno XII, e, nella pratica, riconosceva la società sorta nel 1789. “Il sistema adottato - aferma Francis Démier - non si riferisce alla Francia di Luigi XVI, ma assomiglia un poco a quello che avrebbero voluto stabilire i monarchici dell’assemblea costituente del 1790”.16 Dall’altro lato, a Napoli, dopo la caduta di Murat, anche i settori più radicali riuniti intorno al principe di Canosa, mantennero la pretesa di ritornare al vecchio ordine prerivoluzionario. In virtù del trattato di Casalanza, la Restaurazione di Ferdinando I fu contrassegnata dall’ “amalgama”, cioè dal compromesso tra l’eredità murattiana e il ristabilimento della corte borbonica a Napoli.17 Nel corso del suo viaggio di ritorno a Madrid, Ferdinando VII, comunque, andava costruendo l’idea di recuperare il suo potere integro e ristabilirsi al potere negli stessi termini con cui l’aveva lasciato nel 1808. La iducia di poter ottenere la realizzazione dei suoi piani incontrò un fermo appoggio nella diplomazia internazionale che contava sui vantaggi che 15 [Vayo], Historia de la vida y reinado de Fernando VII de España, Madrid, Imprenta de Repullés, 1842, t. II, pp. 32-33. 16 F. Démier, La France de la Restauration (1814-1830). L’impossible retour du passé, Paris, Gallimard, 2012, p. 68. Cfr. Emmanuel Waresquiel y Benoît Yvert, Histoire de la Restauration, 1814-1830, Paris, Perrin, 2012, p. 58 y Bertrand Goujon, Monarchies postrévolutionnaires, 1814-1848, Paris, Seuil, 2012, p. 28. 17 A. Lepre, La rivoluzione napoletana del 1820-1821, Roma, Editori Riuniti, 1967, p. 7 e A. Spagnoletti, Storia del Regno delle Due Sicilie, Bologna, Il Mulino, 1997, p. 45. 54 potevano scaturire da un ritorno del re assoluto, o, viceversa, temeva troppo il mantenimento di un regime costituzionale dal proilo così avanzato. Il primo che ofrì a Ferdinando VII la possibilità di recuperare il suo potere fu Napoleone. Lo fece mediante il vecchio ambasciatore di Madrid, il conte de La Forest, con l’intenzione di smuoverlo dal suo immobilismo politico a Valençay. In quel momento, l’imperatore aveva serie diicoltà nel far fronte a tutti i problemi che arrivavano da tutti I fronti. La possibilità di chiudere con quelli del Sud, uno di quelli che gli avevano causato non pochi grattacapi, era suicientemente attraente per tentare una strategia diplomatica. “Già non desidero la Spagna per me, e neanche mantenerla; voglio solo interessarmi degli afari di questo paese per vivere in pace e perché le mie truppe rimangano libere”.18 Ferdinando VII era restio a qualsiasi azione in una fase tanto complicata della guerra in cui tutto stava cambiando con rapidità ed era facile prendere decisioni ambigue. Perpetrare la sua condizione di prigioniero era la meno rischiosa delle possibilità. Per farlo uscire dalla sua posizione difensiva, La Forest dovette convincerlo dei beneici che sarebbero derivati dall’accettazione del trattato proposto dall’Imperatore. Firmarlo signiicava, oltre che la sua messa in libertà, il suo riconoscimento come re, senza tener conto delle Corti e come interlocutore per gli afari della Spagna al di sopra delle istituzioni costituzionali. Per convincerlo a prendere la decisone invocò la natura divina della monarchia afermando che era nato per essere re e questo gli imponeva una serie di compromessi a cui non poteva sottrarsi.19 Con l’occasione oferta dai negoziati che portarono alla irma del trattato di Valençay, Ferdinando VII dovette confrontarsi per la prima volta con il suo futuro da re di Spagna e prese coscienza del fatto che aveva un enorme potenziale politico che poteva far valere tanto nell’ambito della politica interna, quanto in quello delle relazioni diplomatiche. Ma la dimensione internazionale del golpe assume ancora più concretezza al comprovare che anche gli inglesi avevano incitato Ferdinando a ribellarsi alle Corti. Arthur Wellesley, allora conte di Wellington e generale maggiore dell’esercito spagnolo, aveva manifestato molte volte la sua ostilità verso la Costituzione di Cadice. Non aveva iducia in un sistema che non avesse 18 J. Escoiquiz, Idea sencilla de las razones que motivaron el viaje del rey d. Fernando VII a Bayona en el mes de abril de 1808, dada al público de España y de Europa, Madrid, Imprenta Real, 1814, p. 93. 19 Carta de Napoleón al rey José I, Paris, 7 janvier 1814. V. Haegele (ed.), Napoléon & Joseph. Correspondance intégrale, 1784-1818, Paris, Tallandier, 2007, p. 754. 55 una camera alta e che qualiicava come “repubblicano”. “Non credo che la Spagna sia un alleato utile, neppure un semplice alleato per l’Inghilterra, se il sistema repubblicano non è sconitto”, afermava.20 Le sue opinioni furono tenute in grande considerazione dall’Inghilterra quando afermava categoricamente la necessità di mettere ine al regime costituzionale. L’atteggiamento di suo fratello, Henry Wellesley, ambasciatore inglese in Spagna, fu meno estremo di quello del militare. Tuttavia si trovava a Valencia nello stesso periodo di permanenza del re, e si incontrò con il suo uomo di iducia, il duca di San Carlos, in una data molto vicina al golpe, il 23 aprile. In quell’occasione, ricevette informazioni di prima mano sulle intenzioni del re di non riconoscere le Corti e gli fu chiesto l’appoggio suo e del fratello per rinforzare la sua posizione.21 Dalla conversazione, ognuno capì ciò che voleva capire. Wellesley che l’intenzione di Fernando VII era rettiicare l’ordine costituzionale dandogli una forma più moderata con la partecipazione dell’aristocrazia spagnola. San Carlos, percepì chiaramente che gli inglesi non sarebbero stati un ostacolo al suo piano per imporsi sulle corti. Per questo è stato scritto che “l’appoggio dell’ambasciatore inglese alla causa dell’assolutismo è stato fondamentale per il successo della sua restaurazione”.22 Rinforza questa idea il fatto che furono le truppe di cavalleria, al comando di un britannico, il tenente colonnello Whittingham, quelle che accompagnarono Ferdinando VII nella sua entrata a Madrid dopo il golpe. La siducia delle potenze straniere nei confronti della costituzione di Cadice, nel 1814, era molto grande. Ferdinando VII lesse questa mancanza 20 Lettera di Wellington a lord Bathhurst del 29 giugno 1813. Riprodotta in A. Castilla, Wellington y la contrarrevolución en España, Mérida, Editora Regional de Extremadura, 2012, p. 33. Sulla stessa linea C. Esdaile, La Guerra de la Independencia. Una nueva historia, Barcelona, Critica, 2004, p. 555, J. G. Cayuela y J. Á. Gallego, La Guerra de la Independencia. Historia bélica, pueblo y nación en España (1808-1814), Salamanca, Ediciones de la Universidad de Salamanca, 2008, p. 512, o J. Varela Suanzes-Carpegna, La monaquía doceañista (1810-1837), Madrid, Marcial Pons, 2013, p. 194. 21 Sir Henry Wellesley to Viscont Castlereagh, Valencia, 24 de abril de 1814. he Duke of Wellington (ed.), Supplementary despatches, correspondence, and memoranda of field marshal Arthur Duke of Wellington, London,John Murray, 1862, pp. 30-32. 22 M. M. Alonso, La forja del liberalismo en España. Los amigos españoles de Lord Holland, 1793-1840, Madrid, Congreso de los Diputados, 1997, pp. 316-317. Sullo stesso piano M. Artola, Los orígenes de la España contemporánea, Madrid, Instituto de Estudios Políticos, 1975, t. I, p. 716 e Chr. Brennecke, ¿De ejemplo a ‘mancha’ de Europa? La Guerra de la Independencia española y sus efectos sobre la imagen oficial de España durante el Congreso de Viena (1814-1815), Madrid, Doce Calles-CSIC, 2010, pp. 52-53. 56 di approvazione verso l’opera delle Corti come un invito a restaurare i suoi poteri. L’assenza di sostegno attivo delle potenze internazionali verso il regime che era stato costruito durante la sua assenza, sembrava un mancato riconoscimento, in sostanza, dello stesso, e una dichiarazione del fatto che il campo era libero perché il re ristabilisse le sue condizioni per il ritorno del paese alla normalità. L’azione politica La reazione politica dei realisti iniziò a prendere forma nel 1813. I francesi si stavano ritirando dalle loro posizioni verso la frontiera e buona parte del territorio peninsulare cominciava a liberarsi dalla guerra. José I aveva abbandonato Madrid, questa volta deinitivamente, nel Marzo23 e Suchet lasciava Valencia in Giugno.24 Prima della ine dell’anno, restavano occupate soltanto piccole zone del nordest peninsulare in Aragona, Cataluña y Valencia. Piano piano, quindi, la normalità stava tornando nel paese e le strutture sociali e del potere si stavano ricomponendo. Si erano veriicati, certamente, alcuni cambiamenti signiicativi durante gli anni del conlitto, prodotto della guerra e dei decreti delle Corti, comunque, con l’arrivo della pace, le vecchie oligarchie civili e religiose erano progressivamente ritornate ai loro posti originari e stavano realizzando che le basi dei loro vecchi poteri, in buona misura erano ancora in piedi. Era giunto il momento di recuperare il potere che era stato perso. La prima opportunità si presentò durante l’elezione dei deputati a Cadice, all’inizio del mese di ottobre. L’esperienza delle Corti precedenti, il cui proilo liberale aveva prodotto una Costituzione così avanzata come quella del 1812, aveva messo in evidenza l’importanza cruciale che aveva la scelta dei rappresentanti. Non deve sorprendere che si veriicò, soprattutto in alcune circoscrizioni, una attiva mobilitazione in favore di candidature identiicate con posizioni politiche serviles. Questa posizione egemonica, nella società dell’epoca, consentì che potessero partecipare alle elezioni con molte possibilità di successo, considerando che il sistema, basato su tre livelli e articolato intorno alle parrocchie, favoriva l’inluenza del clero sul processo e la scelta dei rappresentanti di maggior prestigio 23 M. M. Alonso, José Bonaparte, un rey republicano en el trono de España, Madrid, La Esfera de los Libros, 2008, p. 372 e Vincent Haegele, Napoléon et Joseph Bonaparte. Le Pouvoir et l’Ambition, Paris, Tallandier, 2010, p. 472. 24 L.-G. Suchet, Memorias del Mariscal Suchet sobre sus campañas en España, 18081814, Zaragoza, Institución “Fernando el Católico”, 2012, p. 416. 57 sociale. Se a questo sommiamo l’obbligo legale di rinnovare totalmente l’assemblea,25 dal momento che nessuno dei deputati che aveva fatto parte delle Corti straordinarie poteva essere rieletto come rappresentante nella nuova legislatura, le possibilità per i serviles di ottenere un buon risultato elettorale erano alte. E così fu. Molto presto i settori liberali presero coscienza che avevano perduto la maggioranza alla camera. Nonostante questo, mentre le Corti si riunivano a Cadice, per l’alto numero di sostituti, la nuova situazione non balzò subito agli occhi. Comunque, alla riunione delle sue sessioni il 15 gennaio a Madrid, ci fu una valanga di arrivi. Da questo momento, le Corti si trasformeranno in uno scenario in cui la divisione delle posizioni all’interno della camera, tra liberali e serviles, sarà ogni volta più evidente. Anche quando, come accadde con l’intervento del deputato Reina, arrivarono a difendersi, in sede parlamentaria, i diritti “all’assoluta sovranità” di Ferdinando VII.26 Lì, nella corte, i politici preparavano il loro appoggio al golpe. Così se ne fece notizia al duca di San Carlos, che arrivò a Madrid nel gennaio, per compiere la diicile missione di far valere il trattato di Valençay, ma anche per testare il clima di opinione rispetto al re. Il principale gruppo cospiratore della capitale si formò intorno ad alcuni dei deputati appena eletti. José Palacín ofrì la sua abitazione in via Fuentes per le riunioni cospirative, in cui dominava la voce di un avvocato di Siviglia, poco conosciuto, Bernardo Mozo de Rosales. Lì, in compagnia di alcuni preti, avvocati e alti funzionari, fu preparato il testo che metterà insieme le opinioni dei deputati realisti.27 Quello che fu chiamato Manifesto dei Persiani - Manifesto de los Persas -, datato Madrid, 12 aprile 1814, molto al di là delle sue eterogenee fonti di ispirazione, era una bordata contro la linea ondeggiante del sistema costituzionale uscita proprio dalle sue ila. Coloro che la sottoscrissero non erano pubblicisti serviles, né inamovibili dell’Antico Regime. O almeno non solo questo. Soprattutto erano deputati eletti dai propri concittadini secondo la Costituzione, per incarnare nelle Corti la sovranità nazionale. 25 Decreto CLXII de 23 de mayo de 1812. “Convocatoria para las Cortes ordinarias de 1.º de Octubre de 1813”, Colección de los decretos y órdenes que han expedido las Cortes generales y extraordinarias, II, 1813, p. 210. 26 Conde de Toreno, Historia del levantamiento, guerra y revolución de España [18351837], Pamplona, Urgoiti Ediciones, 2008, p. 1138. 27 J. M. Incausa, “Los clérigos absolutistas: Luis Joaquín Palacín y Jerónimo Castillón”, en Jerónimo Zurita, 87 (2012), p. 91. 58 Per questo, il documento irmato da 69 di loro, che non erano neanche tutti i serviles della camera, reclamando la ine del regime costituzionale e il ritorno all’assolutismo, distruggeva l’opera delle Corti dalla sua base: forti della loro rappresentatività legale, reclamavano che il re recuperasse le sue antiche prerogative e si mettesse ine al tempo di illegittimità segnato dall’invasione francese e dall’assenza del monarca. Sarà proprio il re a incaricarsi di decapitare la Reggenza quando, il suo presidente, il cardinale de Borbón, si spostò per riceverlo ino ai dintorni di Valencia. Nel momento dell’incontro, obbligandolo a baciargli la mano, Ferdinando VII mise in scena la sottomissione delle istituzioni costituzionali al monarca e la sua volontà di contrastare il potere uscito dalla Corti.28 Il golpe e le sue conseguenze In queste condizioni, potendo contare sull’opinione pubblica, l’appoggio di alcuni settori dell’esercito, l’accondiscendenza delle principali potenze internazionali della zona, e con il supporto di buona parte delle Corti costituzionali, Ferdinando VII era già in condizione di lanciare il suo assalto deinitivo al potere e recuperare le sue prerogative come monarca assoluto. Lo strumento deinitivo del golpe, fu il decreto del 4 maggio, irmato ancora a Valencia, nel quale si stabilivano le aspirazioni massimaliste dell’assolutismo Ferdinandino. Le ultime operazioni per completare il progetto del golpe si realizzarono a Valencia, dove la comitiva reale si fermò tra il 16 aprile e il 5 maggio, prima di intraprendere l’ultimo tratto verso Madrid. Durante questi giorni il re ricevette le informazioni di cui necessitava per realizzare i suoi piani. Ebbe notizie sicure di quello che stava avvenendo a Madrid e dei movimenti per ottenere il maggior numero di irme possibili dei deputati al manifesto de los Persas. E, soprattutto, diede ordini perché la forza armata della capitale, passasse sotto il comando di un uomo di sua iducia come il generale Eguía. Il clima che aleggiava intorno alla sua permanenza in Valencia non fece altro che confermarlo nella decisione che aveva preso. Lo riassume lo storico José Deleito y Piñuela in questi termini: “Durante i venti giorni di permanenza nella città, questa fu inondata da un’allegria tumultuosa e da luminosi festeggiamenti. Il popolo e le Corporazioni rivaleggiarono 28 [Vayo], Historia de la vida y reinado de Fernando VII de España, Madrid, Imprenta de Repullés, 1842, t. II, p. 24. 59 in entusiasmo e adesione per il servilismo. Si susseguirono baciamani, banchetti, celebrazioni, feste religiose, musiche, luminarie, serenate, versi di encomio, feste pirotecniche, escursioni marine e lacustri”.29 L’ambiente che la città respirava era chiaramente realista. Il 2 maggio accadde un fatto che mostrò agli occhi di tutti la direzione in cui stavano andando gli eventi. Tra la musica e i ripetuti “viva”, la targa che indicava “Piazza della Costituzione” fu sostituita con una dove si leggeva “Real piazza Ferdinando VII”.30 Si udirono alcune voci che manifestarono agitazione per quello che stava succedendo, e chiesero che fosse rispettato l’ordine costituzionale, ma furono coperte dal fragore controrivoluzionario che attraversava la città.31 Lo strumento deinitivo del golpe fu il decreto del 4 maggio. In esso si denunciava che le Corti avevano privato il re della sovranità nel momento stesso della loro riunione, iniziando così una sequela di abusi realizzati in nome della nazione e ispirati dai principi “rivoluzionari e democratici” della rivoluzione francese. Afermava inoltre che il tempo che stava trascorrendo in Spagna aveva permesso al re di formarsi un’idea precisa dello stato dell’opinione nel paese e questo lo aveva condotto a mettere ine ai mali e all’oppressione soferti dai difensori della monarchia, “gli autentici e leali spagnoli”. Di conseguenza il monarca riiutava la Costituzione e non riconosceva nessuna azione attuata dalle Corti durante la sua assenza. “Dichiaro che il mio Reale volontà non è soltanto non giurare né acconsentire a questa Costituzione né ad alcun decreto delle Corti generali e straordinarie e di quelle ordinarie attualmente aperte, ossia, quelli che sono repressivi dei diritti e delle prerogative della mia Sovranità, stabilite dalla Costituzione e le leggi sotto le quali la nazione ha vissuto per lungo tempo, ma anche dichiarare quella Costituzione e quei decreti nulli, di nessun efetto, adesso per sempre, come se tali atti non fossero mai accaduti, come se fossero sospesi nel tempo, e senza obblighi per i miei popoli, e sudditi di ogni classe e condizione, di compierli e rispettarli”.32 29 J. Deleito y Piñuela, Fernando VII en Valencia el año 1814. Agasajos de la ciudad, preparativos para un golpe de Estado, Madrid, Anales de la Junta para la Ampliación de Estudios e investigaciones Cientíicas, 1911, t. VII, p. 12. 30 Breve y sucinta relación en forma de diario de los principales sucesos acaecidos en la recepción, permanencia y partida de su Magestad de la siempre leal ciudad de Valencia, con lo que tiene relación al 2º exército en la actualidad acantonado en su reyno, Valencia, Imprenta de Francisco Brusola, 1814, p. 21. 31 R. H., Preguntas y lecciones para los incautos, Valencia, Imprenta patriótica a cargo de Florentino López, 1814. 32 “Artítulo de oicio”, Gazeta extraordinaria de Madrid, jueves 12 de mayo de 1814, n.º 70, pp. 519-520. 60 Il giorno successivo alla irma del decreto, il re iniziò il suo viaggio verso Madrid, ma il suo scopo non era palese se non a qualcheduno che era a conoscenza dei suoi piani. Le sue intenzioni rimasero nascoste ancora per alcuni giorni, e questo consentì di lanciare in modo molto più eicace il golpe contro le Corti e i liberali più distaccati. La notte tra il 10 e l’11 maggio, il presidente delle Corti, il canonico Antonio Joaquín Pérez ricevette la visita dell’emissario di guerra Vicente María Patiño che gli comunicò il contenuto del decreto e gli ordini per la chiusura delle sessioni della camera. Quasi contemporaneamente, i principi liberali della città furono arrestati e portati nelle prigioni della corona e delle Guardie del Corpo. Lì furono fermati reggenti come Agar e Ciscar, ministri come Álvares Guerra o García Herreros e molti dei deputati più attivi come Agustín Argüelles, Calatrava, Manuel Quintana, tra gli altri, ino a compilare una lista di 32 nomi che fu pubblicata sulla stampa.33 Molti altri saranno incarcerati nel giorni seguenti in diversi luoghi del paese. Sorprende l’ingenuità con la quale i liberali assistettero al ritorno del re. Non fecero quasi nulla per prevenire il golpe e difendere ciò che era stato fatto dalle Corti ino a quel momento.34 Successivamente il re nominerà una commissione speciale di giudici per istruire le pene contro i detenuti, anche se l’assenza di tipi criminali su cui applicarle costrinse lo stesso re a decretare personalmente diverse pene detentive nei conventi e nelle prigioni lontane da Madrid.35 Il giorno successivo, l’11, gli abitanti di Madrid appresero il contenuto del decreto irmato a Valencia il 4 maggio precedente attraverso alcuni esemplari stampati che erano stati attaccati in alcuni angoli della città. In sintonia con il suo contenuto, diversi militari si diressero nel luogo dove era collocata la lapide della Costituzione e la sradicarono tra acclamazioni e manifestazioni di allegria. Dal salone delle Corti fu cancellata la parola “Costituzione”, e al suo posto furono posizionate le armi del re. La statua della libertà che albergava nella sala plenaria fu portata via e bruciata dal popolo nella Plaza Mayor, dove già si era tolta con anticipo la lapide costituzionale dopo averla trascinata per la città. Gli stabilimenti 33 La Atalaya de la Mancha en Madrid, 12 de mayo de 1814, p. 337 y El procurador general de la nación y del rey, 14 de mayo de 1814, n.º 118, p. 1080. 34 Si conservano alcune testimonianze dei protagonisti: Quintana, Memorias del Cádiz de las Cortes, Cádiz, Publicaciones de la Universidad de Cádiz, 1996, edición de Fernando Durán López, pp. 143-147; o Joaquín Lorenzo Villanueva, Vida literaria, Londres, Imprenta de Macintosh, 1825, p. 21. 35 Il proceso ai principali imputati si può consutare in AHN, Consejos, 6311. 61 denominati “nazionali” furono rinominati “reali”, e si portò in trionfo il ritratto del monarca, spostandolo da una chiesa all’altra tra recite del te deum ino ad arrivare al luogo che era stato prima occupato dalla lapide costituzionale, dove l’eigie di Ferdinando VII fu collocata.36 Entrata trionfale Con Madrid in mano alle truppe realiste, comandate dal generale Eguía, le Corti chiuse, e i principali politici liberali in carcere, era giunto il momento per l’entrata del sovrano nella capitale del regno. Il giorno 12 fu pubblicata una Gazeta extraordinaria de Madrid il cui unico contenuto era la riproduzione del decreto del 4 maggio. Tutto sembrava sotto controllo. Mancava soltanto la conferma del popolo per poter dire concluso il golpe. Ferdinando VII metterà in scena il sostegno popolare alla sua azione contro il regime costituzionale approittando della sua entrata a Madrid il giorno 13. Arrivò nella capitale alle 3 del pomeriggio. In primo luogo si diresse alla chiesa di San Tommaso, e, da lì, su una carrozza trainata dagli stessi madrileni, si diresse al palazzo reale. Il percorso era stato adornato con splendidi dipinti e punteggiato da numerosi archi di trionfo. Al suo passaggio si mostrava una grande quantità di persone, molte delle quali arrivate da fuori la città che lanciavano continui “viva” in onore del monarca. Durante la notte, i palazzi dei nobili ferdinandei rivaleggiarono nell’esibire le luci più brillanti, lo stesso si fece nei teatri del Príncipe e de la Cruz.37 In solo due mesi, il prigioniero di Valençay, allontanato dal suo paese e spogliato della sua corona cinque anni prima, aveva trovato il modo per ritornare a Madrid come Monarca assoluto, imponendo la sua volontà sulle corti e recuperando le sue prerogative del 1808. Con la sospensione della Costituzione e i liberali perseguitati, Ferdinando VII iniziava il diicile lavoro di restaurare la monarchia spagnola sulle basi precedenti l’invasione delle truppe napoleoniche. Della follia che aveva l’impresa della restaurazione radicale che si era proposta, ma che tuttavia davvero in pochi immaginavano, sarà indicativa l’instabilità con cui dovranno fare i conti i primi governi dell’assolutismo. Comunque questo non può oscurare l’abilità e l’eicacia con cui il re deseado giocò le sue carte durante quei due mesi critici, che gli permisero di far trionfare il golpe del maggio 1814. 36 Manifiesto de todo lo ocurrido en Madrid con motivo del Decreto del Rey de 4 de Mayo, Cádiz, Nicolás Gómez de Requena, 1814, reimpresión, p. 2. 37 Ivi, pp. 3-4. 62