I frati Minori e la malattia: dai lebbrosi agli appestati
Ottó Gecser
Chi vorrebbe avere una copia digitale del saggio pubblicato (in Gli studi francescani: prospettive di ricerca; Atti
dell’Incontro di studio in occasione del 30° anniversario dei Seminari di formazione, Spoleto, Centro italiano di
studi sull’alto medioevo, 2017, pp. 253-273), mi scriva un'email, per favore, a
[email protected].
Angela Montford apre il suo libro Health, Sickness, Medicine and the Friars, pubblicato una
decina di anni fa, con questa affermazione: «Mentre lo studio, la preghiera ed il servizio dei
frati stavano ricevendo l’attenzione approfondita degli storici, i loro atteggiamenti e reazioni
alla malattia sono in gran parte sconosciuti.»1 L’autrice pensa, in primo luogo, alle malattie dei
confratelli, e si dedica a studiare le pratiche di guarigione entro i conventi, specialmente dei
Domenicani, ma la sua affermazione mi sembra applicabile anche alle malattie degli esterni.
Nel mondo urbano del Medioevo, dove i frati intendevano svolgere la loro attività omiletica e
pastorale, le malattie, specialmente quelle epidemiche, ma anche gravi malattie croniche e
disabilità, segnavano fortemente la vita quotidiana. Atteggiamenti e reazioni dei frati potevano
influenzare non solamente la loro sopravvivenza nei conventi ma anche il successo della loro
evangelizzazione.
È ben conosciuta la novità dell’atteggiamento di san Francesco nei confronti dei lebbrosi,
la sua compassione e auto-umiliazione che costituivano, con le parole di François-Olivier
Touati, un «modello terapeutico».2 Pietro Maranesi ha recentemente riesaminato il processo
attraverso il quale l’Ordine dei Minori ha progressivamente abbandonato questo modello fino
a quando esso non torna ad essere tale con i Cappuccini.3 Lo scopo di questo saggio è esaminare
alcuni dei modi attraverso i quali risulta evidente che il movimento francescano, negli ultimi
Questo saggio si basa ampiamente su ricerca effettuata durante un soggiorno di sei mesi nel Institute for Advanced
Study a Princeton, nel 2015, con il sostegno finanziario del Herodotus Fund. Sono gratissimo a Letizia Pellegrini
per aver corretto l’italiano del testo.
1
«While the friars’ study, prayer and service have received the close attention of historians, their attitudes and
responses to illness are largely unknown.» A. MONTFORD, Health, Sickness, Medicine and the Friars in the
Thirteenth and Fourteenth Centuries, Aldershot, 2004, p. 1.
2
F.-O. TOUATI, François d’Assise et la diffusion d’un modèle thérepeutique au XIIIe siècle, in Histoire des
sciences médicales, XVI (1982), pp. 175-184.
3
P. MARANESI, Il servizio ai lebbrosi in san Francesco e nei francescani, in Franciscana, X (2008), 19-81. Si
veda anche R. COBIANCHI, «…Come vero amante della umiltà perfetta...». Assistenza ai lebbrosi nell’iconografia
francescana (XIII - XV secolo), In Armut und Armenfürsorge in der italienischen Stadtkultur zwischen 13. und 16.
Jahrhundert. Bilder, Texte und soziale Praktiken, a cura di PH. HELAS – G. WOLF, Francoforte sul Meno, 2006,
pp. 55-65; e C. CARGNONI, Il malato nella visione di s. Francesco e dei cappuccini, in Religioni e doctrinae.
Miscellanea di studi offerti a Bernardino de Armellada in occasione del suo 80o compleanno, a cura di A.
HOROWSKI, Roma, 2009 (Bibliotheca Seraphico-Capuccina, LXXXIX), pp. 49-69.
1
secoli del Medioevo, non si è completamente discostato dal lascito del Poverello. Non si intende
contribuire allo studio di problemi già ampiamente praticati dalla ricerca, ma di porne di nuovi
o di ricollocare quelli già esistenti, disegnando una specie di mappa preliminare del rapporto
dei frati Minori con la malattia ed i malati.
1. I lebbrosi e la santità francescana
Anche se il modello di san Francesco veniva di fatto abbandonato dall’Ordine come tale, esso
continuava ad essere rilevante nella trattazione agiografica di alcune figure. «[D]e mandato
sancti patris Francisci ad serviendum leprosis humiliter se subiecit humanitatis eis obsequia
ministrando, pedes illorum et corpora saepe manibus abluens et reiecto fastidio saniem ulcerum
effluentem a putrefactis membris extergens», dice Tommaso da Pavia di uno dei primi frati,
Benvenuto da Gubbio.4 Tuttavia questo modello di carità verso i malati, soprattutto lebbrosi,
non era tipico tanto dei santi frati – che dopo il consolidamento del carattere fondamentale
dell’Ordine tendevano a rappresentare altri ideali – quanto dei santi laici legati al movimento
francescano. L’esempio più importante è certamente quello di santa Elisabetta d’Ungheria, la
cui misericordia è paragonabile solo a quella di san Francesco. Alcuni testimoni al processo di
canonizzazione ricordano che Elisabetta aveva prestato rifugio ad una ragazza lebbrosa e che
«in quadam [...] cena Domini collegit multos leprosos, eorum pedes lavans et manus, ipsa loca
magis ulcerosa et horrenda deosculabatur humillime pedibus eorum provoluta.»5 Qui si vede
un riflesso preciso e concentrato, per non dire radicalizzato, del modello del Poverello: se
Francesco lavava il corpo e puliva le piaghe dei lebbrosi vivendo con loro, e un’altra volta,
avendo incontrato un lebbroso, lo ha baciato e gli ha dato l’elemosina6 – ovvero, secondo un
racconto del Compilatio Assisiensis, ha mangiato dal piatto di uno di loro7 – Elisabetta si spinge
fino a baciare le piaghe stesse.
Alla fine del Duecento, un’altra penitente di ambiente francescano, Angela da Foligno,
racconta nel suo Memoriale che con la sua compagna ha visitato un ospedale, e avendo offerto
4
TOMMASO DA PAVIA, Dialogus de gestis sanctorum fratrum minorum, ed. F. DELORMÉ, Quaracchi, 1923, p. 74.
A. HUYSKENS, Quellenstudien zur Geschichte der heiligen Elisabeth, Landgräfin von Thüringen, Marburgo,
1908, pp. 120-121. Cfr. ID., Der sogenannte Libellus de dictis quatuor ancillarum s. Elisabeth confectus, Monaco
di Baviera – Kempten, 1911, p. 31, ll. 888-896. Si veda anche O. GECSER, Miracles of the Leper and the Roses:
Charity, Chastity and Female Independence in St. Elizabeth of Hungary, in Franciscana, XV (2013), 149-171.
6
TOMMASO DA CELANO, Vita prima, VII, 17, in Fontes Franciscani, a cura di S. BRUFANI et al., Assisi, 1995, p.
292. Cfr. D. SOLVI, I santi lebbrosi. Perfezione cristiana e malattia nella agiografia del Duecento, Milano, 2014
(Aleph, VI), pp. 57-68; e MARANESI, Il servizio ai lebbrosi cit. (nota 3), pp. 36-41.
7
Compilatio Assisiensis, §. 64 in Fontes Franciscani cit. (nota 6), pp. 1560-1561. Cfr. MARANESI, Il servizio ai
lebbrosi cit. (nota 3), pp. 57-60.
5
2
pesce e pane come elemosina ai ricoverati, ha lavato i loro piedi se erano donne, e le mani se
erano uomini. Uno dei ricoverati era un lebbroso, e dopo aver lavato le sue mani, Angela e la
sua compagna hanno bevuto l’acqua utilizzata per il lavaggio.8 Ancora intorno al 1300, sempre
in Italia ma in un sermone domenicano, una storia molto simile è riferita a santa Elisabetta –
come si trattasse ormai di un topos della misericordia francescana al femminile.9
Il topos continuava ad esercitare influsso anche nel Trecento nella misura in cui pareva
possibile (ai santi o agli agiografi) accentuarlo e intensificarlo. Elzeario di Sabran, per esempio,
secondo la sua vita latina scritta intorno al 1370,
omni die habebat duodecim pauperes et leprosos, quorum pedes ipse lavabat,
osculabatur et ora. [...] Cum semel in suo comitatu pergeret cum multa familia ad
venandum, fecit omnes præcedere, et ipse, retentis solum unico milite, et suo
barbitonsore, divertit ad quoddam domicilium leprosorum, ubi sex gravi lepra percussos
invenit, quorum aliqui erant deformes, quod eos intueri erat horrendum. Habebant
namque labia corrosa et consumpta, ita ut dentes apparerent et caderent ab eisdem. Quos
ut vidit Sanctus clemens et pius, eos benigne salutans, et salubriter eos informans,
singulatim eos devotissime fuit osculatus. Mirabile dictu! Statim post ejus oscula omnes
perfectæ restituti sunt sanitati, et tota illa domus odore suavissimo est repleta. [...] Sæpe
etiam visitabat secrete alias domos leprosorum, uno tantum socio comitatus, ibique
flexis genibus eorum pedes lavabat et osculabatur, plagas mundabat atque ligabat.10
Mentre qui non è chiaro, neanche nell'ultimo racconto, se Elzeario baciasse anche le piaghe dei
lebbrosi, la versione provenzale della Vita non lascia alcun dubbio: «e per merevilhoza fervor
d’esperit, per amor de Jhesu Crist las dichas plagas e nafras baysava.»11
Certamente il contatto con i lebbrosi giocava un ruolo importante nelle vite di molti
santi, non solamente di quelli legati al francescanesimo.12 Ma la continuità di questo motivo
8
ANGELA DA FOLIGNO, Memoriale, ed. E. MENESTÒ, Spoleto, 2013 (Uomini e mondi medievali, XXXV), cap. 5,
p. 46-47, ll. 116-143. Cfr. M. SENSI, Terziari francescani e assistenza ospedaliera nel medioevo tra Umbria e
Marche (sec. XIII-XV), in Archivum franciscanum historicum, 107 (2014), pp. 25-59, in part. 44-46; e SOLVI, I
santi lebbrosi cit. (nota 6), pp. 68-72.
9
«Quando lavabat pedes unius leprosi, et ipsa temptaretur, quia natura sua abhorrebat infirmum, dicitur quod bibit
de aqua locionis pedum leprosi.». ALDOBRANDINO DA TOSCANELLA, In festo sancte Heliçabet, ed. O. GECSER, in
ID., The Feast and the pulpit. Preachers, Sermons and the Cult of St. Elizabeth of Hungary, 1235-ca. 1500, Spoleto,
2012 (Medioevo francescano. Saggi, XV), pp. 309-313, in p. 312.
10
Vita (BHL 2523), §§. 38-39, in AASS Sept. VII, p. 585. Ho spostato la virgola che nell’edizione dei Bollandisti
non precede ma succede la parola plagas.
11
Vie de S. Auzias, comte d’Ariano, XII, 2, in Vies Occitanes de Saint Auzias et de Sainte Dauphine, ed. J.
CAMBELL OFM, Roma, 1963 (Bibliotheca Pontificii Athenaei Antoniani, XII), p. 114.
12
Si veda SOLVI, I santi lebbrosi cit. (nota 6); e C. KROLIKOSKI, Saints and Sinners. The Role of the Saint in the
Life of the Leper before the Thirteenth Century, in Annual of Medieval Studies at CEU, XVIII (2012), 66-78.
3
nell’agiografia francescana in contesti culturali assai diversi meriterebbe studi più approfonditi.
Curiosamente, nella vita trecentesca di Agnese di Praga, per esempio, lo «stupende humilitatis
excessus» della santa è anche legato ai lebbrosi, ma Agnese, al contrario di Elisabetta, sua
cugina e ispiratrice si limitava a lavare «leprosorum hominum fetentes pannos et sordidos».13
2. Gli ospedali e la cura dei malati
Un altro aspetto del lascito spirituale di Francesco legato alla malattia e ai malati è la pratica
della misericordia negli ospedali. Santa Elisabetta ha fondato un ospedale dedicato a san
Francesco a Marburgo,14 e santa Agnese ad imitacionem Beate Elyzabeth ne ha fondato un altro
a Praga con la medesima dedicazione. 15 Ambedue le fondazioni legano il patronato di san
Francesco alla cura dei malati e dei poveri, e perseverano nelle attività caritative fondanti nella
sua spiritualità. D’altra parte, nessuna fonte indica che l’ospedale di Elisabetta fosse mai stato
legato ai frati Minori. Lei stessa voleva lasciarlo in eredità ad un ordine ospedaliero, quello di
San Giovanni di Gerusalemme, ma alla fine, dopo la sua morte (nel 1231), veniva assegnato
all'Ordine dei Cavalieri Teutonici.16 Per quanto riguarda Agnese, essendosi lei dimessa dalla
direzione dell’ospedale nel 1238, desiderava probabilmente affidarlo ai Francescani – il cui
ministro provinciale, Giovanni da Pian di Carpine, era stato il visitatore dell’istituzione negli
anni precedenti – ma questi non si lasciarono persuadere; infine, proprio come nel caso di
13
«Stupende humilitatis excessu deliciositatem obliuiscens ingenitam, infirmarum sororum ac leprosorum
hominum fetentes pannos et sordidos pia sibi cautela procurans afferri teneris manibus abluebat adeo, ut ex
frequenti talium locione propter mordacitatem lixiuii et smigmatis manus haberet sepius sauciatas.» Leggenda
«Candor lucis eterne», ed. J. K. VYSKOČIL, in ID., Legenda blahoslavené Anežky a čtyři listy svaté Kláry, Praga,
1932, p. 108.
14
«Hec igitur considerans dilecta in Christo filia E[lisabeth] [...] quod beati Francisci confessoris patrocinium
multum valeat apud deum, pro ejus honore ac caritatis obtentu quoddam construxit ad receptionem infirmorum et
pauperum, sicut nobis exposuit, hospitale.» Hessisches Urkundenbuch, Erste Abtheilung. Urkundenbuch der
Deutschordens-Ballei Hessen, ed. A. WYSS, 3 voll., Lipsia, 1879-1899 (repr. Osnabrück, 1965), vol. 1, no. 18, p.
16 (lettera d’indulgenza di papa Gregorio IX per l’ospedale di Marburgo, 19 aprile 1229).
15
«Denique ad imitacionem beate Elyzabeth consobrine sue, hospitale sollempne pro infirmis in pede pontis
ciuitatis Pragensis ad honorem sanctissimi confessoris Francisci construxit, quod redditibus et possessionibus
amplis ditauit.» Leggenda «Candor lucis eterne», ed. cit. (nota 13), p. 106. In realtá, secondo le fonti diplomatiche,
Agnese e suo fratello, Re Venceslao I di Boemia, erano insieme i fondatori dell’istituzione; si veda
CH.-F. FELSKAU, Agnes von Böhmen und die Klosteranlage der Klarissen und Franziskaner in Prag. Leben und
Institution, Legende und Verehrung, 2 voll., Nordhausen, 2008, vol. 1, pp. 230-231.
16
«Hospitale beati Francisci [...] assignaret fratribus hospitalis Hyerosolimitani.» Hessisches Urkundenbuch, ed.
cit. (nota 14), vol. 1, no. 25, p. 22 (lettera dei landgravi di Turingia, Enrico e Corrado, a papa Gregorio IX dopo la
morte d’Elisabetta, in 1232). Per una ricostruzione degli eventi, si veda M. WERNER, Die heilige Elisabeth und die
Anfänge des Deutschen Ordens in Marburg, in Marburger Geschichte. Rückblick auf die Stadtgeschichte in
Einzelbeiträgen, a cura di E. DETTMERING – R. GRENZ, Marburgo, 1980, pp. 121-166, p. 139.
4
Marburgo, l’istituzione veniva assegnata ad un ordine ospedaliero, i Crocigeri della Stella Rossa,
fondato da Agnese stessa.17
La mancanza delle competenze e delle procedure verificate richieste dalla gestione degli
ospedali avrebbe costituito un problema anche quando i frati Minori avessero voluto impegnarsi.
La regina Costanza, moglie del re Pietro d’Aragona, poco prima della sua morte nel 1300, aveva
lasciato una notevole quantità di denaro per la fondazione di due ospedali sotto la giurisdizione
e l’amministrazione dei conventi francescani di Barcellona e Valenza. Questo significa, prima
di tutto, che la regina, più di settanta anni dopo la morte del Poverello, vedeva ancora l’Ordine
dei Minori come intimamente connesso alla pratica della carità e quindi come il terminale
idoneo per tali fondazioni regie destinate ad aiutare i poveri e i malati. Tuttavia, malgrado le
sue aspettative, i frati non riuscirono a fondare l’ospedale di Barcellona, mentre quello di
Valenza attraversava difficoltà finanziarie già nel 1326, e nel 1379 veniva donato alla città.18
Certamente, l’amministrazione diretta degli ospedali non era il modo tipico in cui i
francescani erano coinvolti in forme istituzionalizzate d’assistenza. Come Carlo Marchesani e
Giorgio Sperati affermano nella loro monografia sugli ospedali genovesi nel Medioevo, «pur
essendo la cura degli infermi uno dei precetti fondamentali della regola francescana, i Minori e
le Clarisse non gestirono mai in proprio istituti ospedalieri,19 come era invece uso in altri ordini
monastici. Cionondimeno i francescani ebbero un notevole influsso sulla ospedalità medievale
attraverso l’intensa attività del loro terzo ordine.»20
17
FELSKAU, Agnes von Böhmen cit., (nota 15), vol. 1, pp. 254-255 e 275-282. All’inizio del cinquecento Nikolaus
Glassberger riteneva che i frati minori fossero stati cofondatori del nuovo ordine: «In hospitali suo [...] collocavit
Cruciferos cum rubea stella et cruce, qui de novo per Fratres Minores ad preces dictae virginis Agnetis instituti
fuerant, ut infirmis ministrarent.» Chronica fratris Nicolai Glassberger, ordinis Minorum observantium,
Quaracchi, 1887 (Analecta Franciscana, II), p. 57.
18
J. R. WEBSTER, La reina doña Constanza y los hospitales de Barcelona y Valencia, in Archivo Ibero-Américano,
LI (1991), pp. 375-390; EAD., Els menorets. The Franciscans in the Realms of Aragon from St. Francis to the
Black Death, Toronto, 1993 (Studies and Texts, CXIV), pp. 94-96. Nel 1322, Re Giacomo II d’Aragona diede i
beni dei lebbrosi di Tàrrega ai francescani del posto, concedendo anche il diritto di venderli, a condizione che i
frati si prendessero cura di tutti i lebbrosi nati nella città. Per un po’ di tempo, i minori di Tàrrega si occupavano
veramente dei lebbrosi ma dopo abbandonarono questa attività per dedicarsi più alla cura animarum. Si veda
WEBSTER, Els menorets cit. sopra, pp. 54-55.
19
Un’eccezione importante è costituita dai frati minori in Terra Santa, dove la gestione del pellegrinaggio (il
compito dei francescani dal trecento in poi) coinvolgeva anche l’assistenza ospedaliera. Il racconto di un pellegrino
anonimo inglese, per esempio, che visitò la Palestina tra il 1480 ed il 1526, riporta il seguente: «if any of us fortune
to be seke in the tyme of oure beyng there then wee shall be taken ynto Mont Syon and leide uppon beddis and
bee refresshed and fulle necessarie thynges schal be provyded for oure helth bi cunnyng men of fyseke of the same
freers.» J. BREFELD, An Account of a Pilgrimage to Jerusalem, in Zeitschrift des Deutschen Palästina-Vereins [da
qui in poi ZDPV], CI (1985), pp. 134-155, in p. 147. Allo stesso modo, secondo un suo contemporaneo tedesco:
«Daz selbe closter [Monte Sion] haben die minores innen, und was bilgerym kranck werden, die furt man in das
genant closter, und die bruder versehen sie mit aller nottorfftt». Die Jerusalemfahrt des Kanonikus Ulrich Brunner
vom Haugstift in Würzburg (1470), ed. R. RÖHRICHT, in ZDPV, XXIX (1906), pp. 1-50, in p. 30. Più generalmente
si veda S. SCHEIN, Latin Hospices in Jerusalem in the Late Middle Ages, in ZDPV, CI (1985), pp. 82-92.
20
C. MARCHESANI – G. SPERATI, Ospedali genovesi nel Medioevo, Genova, 1981, p. 169.
5
Comunque il Terzo ordine non è un collegamento facilmente visibile tra i frati e gli
ospedali o, più generalmente, tra i frati e la cura dei degenti bisognosi. La regola dei terziari –
promulgata nella bolla Supra montem di papa Nicolò IV nel 1289 – non richiedeva più di
prendersi cura dei fratelli e delle sorelle infermi. La carità per gli ammalati fuori della fraternità
non solo non era obbligatoria, ma non viene neppure menzionata nella regola.21 E siccome la
maggioranza dei degenti nel Medioevo non si ricoverarono in un ospedale, ma erano assistiti
nelle case proprie, il soccorso sanitario fornito dalla maggioranza dei terziari e terziarie rimane
doppiamente invisibile allo storico moderno: senza estranei tra i destinatari e senza istituzioni
specializzate è poco probabile che un’attività caritativa lasci traccia nelle fonti.22
L’assistenza caritativa e sanitaria più visibile dei terziari sembra esser stata quella
praticata dalle cosiddette ‘sorelle grigie’ (soeurs grises, grawzusters) nei Paesi Bassi
meridionali e nella Francia settentrionale nel XV e all’inizio del XVI secolo. La maggior parte
delle loro case fu organizzata in tre congregazioni nella seconda metà del Quattrocento, e due
di queste congregazioni, quelle delle sorelle ospedaliere (soeurs hospitalières, hospitaalzusters)
e delle sorelle della cella (soeurs de la celle, cellenzusters) si occupavano della cura dei malati
fuori dalle comunità.23 Gli statuti delle sorelle ospedaliere adottati nel 1483 prevedevano servizi
infermieristici non solamente negli ospedali ma anche nelle case private, mentre le sorelle della
cella avrebbero fornito assistenza domestica piuttosto che ospedaliera. 24 Tali comunità di
terziarie regolari (e specialmente le loro congregazioni) sono non solamente più visibili delle
comunità secolari – essendo state più spesso in grado di produrre fonti proprie al di là di
comparse sporadiche nella documentazione di controversie e testamenti – ma il loro modo di
vivere era anche più adatto alla gestione degli ospedali, che richiedeva un personale interno.
21
«Cum autem quemquam ex fratribus infirmari contigerit, ministri per se vel per alium seu alios, si hoc eis
infirmus fecerit intimari, semel in hebdomada visitare teneantur egrotum, ipsum sollicite ad recipiendam
penitentiam prout melius et efficaciter expedire potuerint inducentes, necessaria illi de bonis communibus
ministrando. […] Hoc quoque circa sorores infirmas […] volumus observari». Regula et modus vivendi fratrum
et sororum ordinis de penitentia, ed. L. TEMPERINI, in Testi e documenti sul terzo ordine francescano (sec. XIIIXV). Originale latino e versione italiana, a cura di L. TEMPERINI, Roma, 1991, pp. 248-281, cap. XIII-XIV, §.
215-216, pp. 268 e 270 (corsivo mio – O.G.).
22
Per una distinzione tra «fraternite di devozione» e «fraternite ospedaliere» in base a disposizioni testamentarie
(lo scopo del denaro lasciato in eredità), si veda SENSI, Terziari francescani e assistenza ospedaliera cit. (nota 8),
p. 27, n. 7.
23
M. CARNIER, De reguliere vrouwelijke derde orde in de zuidelijke Nederlanden, in Trajecta, XIV (2005), pp.
205-220, in pp. 211-214. L’attività assistenziale delle sorelle grigie che non appartenevano ad una congregazione
è più difficile da ricostruire; si veda, per esempio, A. MORE, Tertiaries and the Scottish Observance. St Martha’s
Hospital in Aberdour and the Institutionalisation of the Franciscan Third Order, in The Scottish Historical Review,
XCIV (2015), pp. 121-139.
24
H. LAMAITRE, Statuts de religieuses du tiers ordre franciscain dites soeurs grises hospitalières (1483), in
Archivum Franciscanum historicum, IV (1911), pp. 713-731, in part. pp. 726-727; CARNIER, De reguliere
vrouwelijke cit. (nota 23), p. 214.
6
Allo stesso tempo le tendenze di claustralizzazione, che rendeva impossibile la cura degli malati
esterni, potevano distanziare queste comunità dal settore assistenziale più di quelle secolari.25
I terziari e le terziarie generalmente meno visibili, secolari e non responsabili per la
gestione del proprio ospedale, talora possono essere individuati nei registri delle istituzioni
altrui. L’ospedale di San Francesco a Padova, per esempio, non era gestito dai membri locali
del Terz’ordine, ed era indipendente anche dall’omonimo convento francescano, ma sappiamo
di un certo numero di terziarie che vi lavoravano come infermiere.26 Studiosi di varie zone
d’Europa hanno segnalato una trasformazione del lavoro infermieristico e della composizione
sociale del personale ospedaliero nel corso degli ultimi secoli del Medioevo.27 In molti ospedali
le comunità quasi monastiche di sorelle professe (come quella di S. Elisabetta a Marburgo) o di
fratelli professi venivano sostituite poco a poco da inservienti laici. Questi ultimi potevano
essere o dipendenti (talvolta poveri disoccupati impiegati come un atto di beneficenza), o
commessi che tramite l’offerta all’ospedale dei propri beni, del proprio lavoro o di entrambi,
cercavano di assicurarsi assistenza ospedaliera per la propria vecchiaia. In una situazione del
genere ospedali maggiori, e specialmente quelli ‘medicalizzati’ con dipendenti medici e
personale più specializzato, 28 avevano bisogno anche di lavoro non retribuito (e non
specializzato), come quello fornito dai terziari, che non esercitava alcuna pressione sul bilancio.
Nel caso di Padova, la forte domanda di tale servizio gratuito è dimostrata dal fatto che nel 1442
papa Eugenio IV concesse indulgenze a coloro che facevano volontariato per un anno.29
Ricerche comparative e sistematiche sull’assistenza sanitaria e caritativa nel
Terz’ordine francescano – che mancano ancora – dovrebbero analizzare non solamente le forme
istituzionali ma anche la domanda sociale di tale assistenza, ovvero il problema di quali fossero
le caratteristiche che rendevano l’assistenza terziaria attraente in diversi contesti geografici e
sociali e in diversi periodi storici. Per esempio, nelle aree in cui le sorelle grigie ospedaliere
25
Per una visione complessiva del problema della claustralizzazione, con riferimenti ulteriori, si veda A. MORE,
Institutionalizing Penitential Life in Later Medieval and Early Modern Europe. Third Orders, Rules, and
Canonical Legitimacy, in Church History, LXXXIII (2014), pp. 297-323, in part. 312-315.
26
S. COLLODO, Religiosità e assistenza a Padova nel Quattrocento. L’ospedale e il convento di San Francesco
dell’Osservanza, in Il complesso di San Francesco Grande in Padova. Storia e arte, a cura dell’Associazione
Culturale Francescana di Padova, Padova, 1983, pp. 31-57, in p. 41.
27
Si veda, tra l’altro, C. RAWCLIFFE, Hospital Nurses and their Work, in Daily Life in the Late Middle Ages, a cura
di R. BRITNELL, Stroud, 1998, pp. 43-64, in part. pp. 62-64; J. HENDERSON, The Renaissance Hospital. Healing
the Body and Healing the Soul, New Haven, 2006, pp. 187-192; L. BÖHRINGER, Beginen und Schwestern in der
Sorge für Kranke, Sterbende und Verstorbene. Eine Problemskizze, in Organisierte Barmherzigkeit.
Armenfürsorge und Hospitalwesen in Mittelalter und Früher Neuzeit, a cura di A. DIRMEIER, Ratisbona, 2010
(Studien zur Geschichte des Spital-, Wohlfahrts- und Gesundheitswesens, X), pp. 127-155, in part. pp. 143-145.
28
Cfr. HENDERSON, The Renaissance Hospital cit. (nota 27), pp. 25-28.
29
COLLODO, Religiosità e assistenza cit. (nota 26), p. 41.
7
avevano successo durante il Quattrocento, questo successo è dovuto soprattutto al loro
funzionamento economico legato, tra l’altro, alle pratiche di mendicità consentita (talvolta nella
forma di un brootganc, campagna processionale di ‘fund raising’), e al reclutamento dai ceti
sociali modesti.30 D’altra parte le ondate ricorrenti di peste dalla metà del Trecento in poi hanno
contribuito, attraverso il grande numero delle vittime e la paura del contagio, alla nascita di un
forte bisogno sociale di servizi, sia devozionali sia professionali, intorno ai moribondi e ai
morti.31 La soddisfazione di un tale bisogno, tipicamente compito delle comunità semi-religiose,
rendeva più fluida la distinzione tra assistenza terapeutica dei malati e preparazione funeraria
dei defunti, e così, come Letha Böhringer ha messo in rilievo, aiutava anche i membri delle
comunità originariamente non coinvolte nella cura dei malati ad apprendere rudimenti di
medicina pratica.32
3. Frati medici
Anche se – al contrario della Regola non bollata – la cura dei malati e dei lebbrosi come pratica
d’abitudine non appare più nella Regola bollata,33 l’assistenza ai frati infermi è rimasta una
norma importante per la forma di vita francescana. Il sesto capitolo della Regola sottolinea
questa norma attraverso l’immagine evocativa dell’amore materno: «Et secure manifestet unus
alteri necessitatem suam, quia, si mater nutrit et diligit filium suum carnalem, quanto diligentius
debet quis diligere et nutrire fratrem suum spiritualem? Et, si quis eorum in infirmitate ceciderit,
alii fratres debent ei servire, sicut vellent sibi serviri.»34 Per essere all’altezza di questo ideale,
alcuni frati dovevano sapere qualcosa sui modi di guarire – o conoscere qualcuno a rivolgersi
per un aiuto del genere – e il convento doveva avere qualche attrezzatura, prima di tutto un
luogo apposito (un infirmarium), per praticare le cure.35
La questione delle conoscenze ed esperienze mediche dei Minori e dello status giuridico
del ‘frate medico’ risale alle ricerche di Hilarin Felder all’inizio del Novecento.36 Per Felder
l’interesse al problema del frate medico consisteva non tanto nel ricostruire pratiche
30
CARNIER, De reguliere vrouwelijke cit. (nota 23), pp. 215-219.
Per un esempio di questa problematica in un contesto francescano, si veda J. M. HENDERSON, La confraternita
e la catastrofe. La confraternita francescana di Orvieto e la peste nera, in Bollettino dell’Istituto storico artistico
orvietano, XLVIII-XLIX (1992-1993), 89-127.
32
BÖHRINGER, Beginen und Schwestern cit. (nota 27), pp. 147-148.
33
MARANESI, Il servizio ai lebbrosi cit. (nota 3), pp. 42-50.
34
Regula bullata, VI, in Fontes Franciscani cit. (nota 6), p. 177.
35
Cfr. MONTFORD, Health, Sickness, Medicine cit. (nota 1), capp. 2-3, pp. 45-89.
36
H. FELDER, Storia degli studi scientifici nell’ordine francescano dalla sua fondazione fino a circa la metà del
sec. XIII, Siena, 1911 (ed. orig.: Friburgo, 1904), pp. 397-408; si veda anche C. ALBASINI, Medici frati e frati
medici, in Bollettino dell’Istituto Storico Italiano dell’Arte Sanitaria, XI (1931), pp. 15-29.
31
8
fondamentali per la vita quotidiana, ma nell’individuare le precondizioni educative dello
sviluppo delle scienze sperimentali. Tuttavia, esaminando la tradizione posteriore delle
decisioni conciliari e papali, dal secolo XII in poi, sullo studio e sulla pratica della medicina da
parte dei religiosi, è arrivato alla conclusione che le restrizioni imposte da esse fossero più
visibilmente adottate dai Domenicani che dai Francescani.37 Recentemente Angela Montford
ha raccolto e analizzato gli atti capitolari dei domenicani sulla medicina e sui medici,
concludendo che «entro la seconda metà del XIV secolo, in conseguenza di più di cento anni di
regolamentazione capitolare, sembrava che la pratica domenicana della medicina stesse
giungendo al termine.» 38 Una ricognizione critica simile degli atti analoghi nell’Ordine
francescano non esiste ancora, ma nel contesto bolognese trecentesco, esaminato da vicino dalla
Montford, anche i francescani facevano affidamento sui medici e chirurgi secolari e pagavano
regolarmente per i loro servizi.39
Di sicuro, risultati basati su un ambiente sociale come quello bolognese, con una scuola
di medicina famosissima e una grande offerta di vari tipi di professionisti sanitari, non sono
facilmente generalizzabili ad ambienti meno dotati di una cultura medica paragonabile,
specialmente fuori d’Italia e dei centri universitari. Un certo livello di conoscenze mediche,
probabilmente non legate ad una formazione professionale, era presente già nei primi tempi
della storia minoritica. Per esempio, nel ricordo di frate Morico, la cui testimonianza apre gli
atti superstiti del processo di canonizzazione di Ambrogio da Massa, Ambrogio, un vero
modello dell’assistenza medicinale, aiutava e curava non solamente i frati malati ma anche i
poveri secolari «ita quod de proprio loco ad eos accedebat cum suis medicaminibus ut eorum
vulnera alligaret».40 Cioè, Ambrogio aveva dei medicinali e sapeva come applicarli, ma non è
mai identificato nelle testimonianze conosciute del suo processo come medicus. Il tipo del
guaritore dilettante o autodidatta come lui non era certamente compreso nell’ambito della
37
FELDER, Storia degli studi scientifici cit. (nota 36), p. 399. Cfr. MONTFORD, Health, Sickness, Medicine cit. (nota
1), pp. 125-126; e L. MOULINIER-BROGI, Un aspect particulier de la médecine des religieux après le XIIe siècle:
l’attrait pour l’astrologie médicale, in Médecine et religion. Compétitions, collaborations, conflits (XIIe - XXe
siècles), a cura di L. BERLIVET et al., Roma, 2013 (Collection de l’École française de Rome, CCCCLXXVI), pp.
59-86, in p. 65. Sulle decisioni conciliari e papali, si veda D. AMUNDSEN, Medieval Canon Law on Medical and
Surgical Practice by the Clergy, in ID., Medicine, Society and Faith in the Ancient and Medieval Worlds, Baltimora
– Londra, 1996, pp. 222-247.
38
«By the second half of the fourteenth century, as the result of more than one hundred years of Chapter regulation
it appeared that the Dominican practice of medicine was coming to an end.» MONTFORD, Health, Sickness,
Medicine cit. (nota 1), p. 125. Per l’elenco degli atti, si veda ibid., appendice A, pp. 259-263. Cfr. EAD., «Brothers
who have Studied Medicine». Dominican Friars in Thirteenth-Century Paris, in Social History of Medicine, XXIV
(2011), 535-553; e MOULINIER-BROGI, Un aspect particulier cit. (nota 37), pp. 65-74.
39
MONTFORD, Health, Sickness, Medicine cit. (nota 1), pp. 146-155.
40
AASS Nov. IV, p. 573; sul processo si veda L. PELLEGRINI, «Negotium imperfectum». Il processo per la
canonizzazione di Ambrogio da Massa (O.M., Orvieto 1240), in Società e storia, XVII (1994), pp. 253-278.
9
legislazione ecclesiastica sullo studio e la pratica della medicina (esclusa la chirurgia), e in
quelle parti d’Europa dove non doveva affrontare la forte concorrenza dei medici secolari
formati alle università, poteva sopravvivere a lungo.41 Nel caso della Terra Santa, frati medici
francescani (non sappiamo se con o senza formazione professionale) fornivano soccorso
sanitario a tutti i pellegrini che fossero Minori, altri chierici o appunto laici.42
Al di fuori del convento o della città, un’altra forma di assistenza medica riguardava i
frati missionari che andavano in territori dove la disponibilità di medici locali (o medici nel
senso occidentale) non si poteva dare per scontata. Non è affatto improbabile che il De
proprietatibus rerum di Bartolomeo Anglico – scritto dall’autore quando era lettore di
Magdeburgo, un centro per le missioni verso il Nord Est – conteneva un manuale dettagliato
ma pratico di medicina per questo motivo. Seguendo le istruzioni del testo si poteva dare una
diagnosi e trovare una cura adatta anche con esperienze mediche molto limitate.43
Inoltre, la capacità di guarire nel senso stretto della parola non era la sola motivazione
per studiare medicina (formalmente o informalmente). Alcune conoscenze di medicina
potevano essere anche una risorsa per la pratica pastorale. Se è vero che molti Osservanti italiani
avevano avuto una formazione universitaria in medicina prima di entrare nell’Ordine44 (il che
era affatto compatibile col regolamento canonico sopra accennato), la maggioranza di loro
probabilmente ne approfittava nella cura animarum invece che nella cura corporum. Secondo
l’ipotesi di Laurence Moulinier-Brogi parecchi frati sarebbero stati spinti all’interessarsi di
medicina astrologica dalla possibilità di prognosticare l’esito della malattia e, se necessario, di
preparare in tempo il malato alla morte.45 E, dopotutto, non è nemmeno facilissimo distinguere
la guarigione fisica dal consiglio medico ed il consiglio medico dalle riflessioni generali,
tipicamente omiletici, sulla medicina, la guarigione e la malattia.
41
Cfr. P. HLAVÁČEK, Zwischen Ordensgehorsam und Weltverantwortung. Der Franziskaner und Arzt Vinzenz
Eysack († ca. 1520) aus Görlitz und seine medizinische Praxis im schlesisch-lausitzischen Raum, in Archiv für
schlesische Kirchengeschichte, LXI (2003), pp. 211-224; e ID., Die böhmischen Franziskaner im ausgehenden
Mittelalter. Studien zur Kirchen- und Kulturgeschichte Ostmitteleuropas, Stoccarda, 2011 (Forschungen zur
Geschichte und Kultur des östlichen Mitteleuropa, XL), pp. 153-164.
42
Si veda sopra, nota 19.
43
L. L. J. BÖTTCHER, Mission und Medizin im Franziskanerorden. Auf den Spuren der Apostel in die Saxonia und
in die Mongolei, in Das Mittelalter endet gestern. Beiträge zur Landes-, Kultur- und Ordensgeschichte; HeinzDieter Heimann zum 65. Geburtstag, a cura di S. BÜTOW – P. RIEDEL – U. TRESP, Berlino, 2014 (Studien zur
brandenburgischen und vergleichenden Landesgeschichte, XVI), pp. 291-315, in part. 299-302.
44
B. ROEST, A History of Franciscan Education (c. 1210-1517), Leida, 2000 (Education and Society in the Middle
Ages and Renaissance, XI), p. 149, n. 138.
45
MOULINIER-BROGI, Un aspect particulier cit. (nota 37), pp. 83-84.
10
4. Predicazione e malattia
Di solito, studi sulla tematica ‘predicazione e malattia’ si occupano dei sermones ad status
indirizzati a gruppi sociali legati al settore assistenziale (malati, lebbrosi, personale ospedaliero),
di una teologia della malattia riflessa nei sermoni, o dell’uso metaforico del linguaggio medico
nelle prediche.46 Ma oltre questi approcci, c’è anche la possibilità meno praticata di esaminare
prediche su malattie specifiche, in particolare la lebbra, ma anche (più difficilmente) la peste.
Mentre prediche ad status ai lebbrosi o ai malati in generale sono scarse, prediche sulla lebbra
sono assai numerose, perché i lebbrosi appaiono frequentemente nelle pericopi scritturali della
liturgia domenicale, e dunque nei temi dei predicatori. Il frate osservante ungherese Osvaldo da
Laskó, per esempio, presenta un sermone sul tema «Cum ingrederetur quoddam castellum,
occurrerunt ei decem viri leprosi» dal Vangelo di Luca (12:7).47 La struttura del sermone è
determinata da un confronto dettagliato fra la lepra corporalis e la lepra spiritualis. L’obiettivo
del predicatore non è una spiegazione della lebbra corporale con riferimento alla lebbra
spirituale, cioè il peccato. La lebbra corporale è solamente uno schema per rendere più chiara
la tipologia dei peccati. Per utilizzare questo schema, Osvaldo cita autorità mediche sulla lebbra
e spiega cause e conseguenze naturali di questa malattia divulgando così una specie di sintesi
delle conoscenze scientifiche sull’argomento.48
Le prediche sulla peste sono altra cosa perché la peste è un fenomeno del Vecchio
Testamento che raramente appare nelle pericopi della messa (domenicale). Così sermoni de
peste, de pestilentia, de flagellis etc., secondo le rubriche dei manoscritti, sono piuttosto
occasionali non avendo una posizione liturgica fissa nei sermonari.49 Se dunque non è facile
46
Si veda, tra l’altro, N. BERIOU, Les lépreux sous le regard des prédicateurs d’après les collections de sermons
ad status du XIIIème siècle, in N. BERIOU – F.-O. TOUATI, Voluntate Dei leprosus. Les lépreux entre conversion
et exclusion aux XIIème et XIIIème siècles, Spoleto, 1991 (Testi, studi, strumenti, IV), pp. 35-80; C. IANNELLA,
Malattia e salute nella predicazione di Giordano da Pisa, in Rivista di storia e letteratura religiosa, XXXI (1995),
pp. 177-216; J. ZIEGLER, Medical Similes in Religious Discourse. The Case of Giovanni da San Gimignano OP
(ca. 1260–ca. 1333), in Science in Context, VIII (1995), pp. 103-131; J. BIRD, Medicine for Body and Soul. Jacques
de Vitry’s Sermons to Hospitallers and their Charges, in Religion and Medicine in the Middle Ages, a cura di P.
BILLER – J. ZIEGLER, York, 2001 (York Studies in Medieval Theology, III), pp. 91-108; A. HOROWSKI, Malati e
cura degli ammalati nei sermoni ad status di Gilberto di Tournai, in Archivum Franciscanum Historicum, CVII
(2014), pp. 9-24.
47
Osvaldo da Laskó, Dominica tredecima post Pentecosten, Sermo CI, in Sermones dominicales Biga salutis
intitulati, Haguenau, 1499.
48
Per le conoscenze mediche sulla lebbra nel Medioevo, si veda L. DEMAITRE, Leprosy in Premodern Medicine.
A Malady of the Whole Body, Baltimora, 2007; per gli aspetti religiosi: Malsani. Lebbra e lebbrosi nel medioevo,
a cura di G. DE SANDRE GASPARINI – M. C. ROSSI, Verona, 2012 (Quaderni di storia religiosa, XIX).
49
Cfr. J. HANSKA, Strategies of Sanity and Survival. Religious Responses to Natural Disasters in the Middle Ages,
Helsinki, 2002 (Studia Fennica Historica, II), pp. 67-81; e O. GECSER, Doctors and Preachers against the Plague.
Attitudes toward Disease in Late Medieval Plague Tracts and Plague Sermons, in The Sacred and the Secular in
Medieval Healing. Sites, Objects and Texts, a cura di B. S. BOWERS – L. M. KEYSER, Londra, 2016 (AVISTA
Studies in the History of Medieval Technology, Science and Art, X), pp. 77-102, in part pp. 88-94.
11
trovare e studiare sistematicamente questo tipo di prediche, tuttavia ne vale la pena perché
l’interpretazione omiletica della peste, al contrario della lebbra, s’inserisce in una problematica
molto attuale e complessa alla fine del Medioevo. Se la lebbra era una malattia individuale, con
la possibilità di capire il suo significato religioso e morale nel quadro della vita dell’individuo,
la peste colpiva collettivamente – ma non tutti: la impossibilità di fuggire rendeva i poveri e
deboli la sua preda più facile creando un problema nuovo di teodicea e un tipo nuovo di
responsabilità per gli altri specialmente nel caso dei preti e dei medici.50
Dal Cinquecento in poi la predicazione sulla peste diventa più sistematica, perché i
predicatori pubblicano collezioni speciali dedicate a questa tematica, perché essa trova un posto
fisso nell’appendice dei sermonari a stampa (nei territori tedeschi spesso assieme con altri tipi
di prediche non collocabili altrove come sulla carestia o sui turchi), o perché volumi di prediche
occasionali e non liturgicamente organizzate diventano più frequenti.51 Tuttavia mi sembra che
negli esordi tardomedievali (perlopiù quattrocenteschi) di questo tipo di testi omiletici,
predicatori francescani, specialmente quelli osservanti, abbiano svolto un ruolo non
insignificante. Ci sono sermoni superstiti interamente dedicati a questo argomento da parte di
Bernardino Busti, Bernardino da Feltre, Michele da Carcano, Roberto Caracciolo, e di un
predicatore anonimo.52 Inoltre, in un genere vicino al sermone, Giovanni da Capestrano ha
50
Si veda, tra l’altro, H. DORMEIER, Die Flucht vor der Pest als religiöses Problem, in Laienfrömmigkeit im späten
Mittelalter. Formen, Funktionen, politisch-soziale Zusammenhänge, a cura di K. SCHREINER – E. MÜLLERLUCKNER, Monaco di Baviera, 1992 (Schriften des Historischen Kollegs, Kolloquien, XX), pp. 331-397; D.
AMUNDSEN, Medical Deontology and Pestilential Disease in the Late Middle Ages, in ID., Medicine, Society and
Faith cit. (nota 37), pp. 289-309; TH. ESSER, Die Pest – Strafe Gottes oder Naturphänomen? Eine
frömmigkeitsgeschichtliche Untersuchung zu Pesttraktaten, in Zeitschrift für Kirchengeschichte, CVIII (1997), pp.
32-57; GECSER, Doctors and Preachers cit. (nota 49), pp. 94-102.
51
Cfr. P. SLACK, The Impact of Plague in Tudor and Stuart England, Oxford, 1985, indice, s.v. «sermons»; L.
ZANETTE, Tre predicatori per la peste: 1575-1577, in Lettere italiane, XLII (1990), pp. 430-459; M. LANG, «Der
Vrsprung aber der Pestilentz ist nicht natürlich, sondern übernatürlich …». Medizinische und Theologische
Erklärung der Seuche im Spiegel protestantischer Pestschriften, 1527-1560, in Die leidige Seuche. Pest-Fälle in
der Frühen Neuzeit, a cura di O. ULBRICHT, Colonia, 2004, pp. 133-180; M. ARNOLD, Das Pestjahr 1626 in
Norddeutschland. Leichenpredigten als seuchengeschichtliche Quellen, in Gotts verhengnis und seine straffe. Zur
Geschichte der Seuchen in der Frühen Neuzeit, Wiesbaden, 2005 (Ausstellungskataloge der Herzog August
Bibliothek Wolfenbüttel, LXXXIV), 37-47; A. MANKO-MATYSIAK, Zwischen Glaube und Wissensvermittlung:
Auf den Spuren der Pest im Schlesien des Reformationszeitalters, in Seuche und Mensch. Herausforderung in den
Jahrhunderten; Ergebnisse der internationalen Tagung vom 29.–31. Oktober 2010 in Rostock, a cura di C. CH.
WAHRMANN, Berlino, 2012 (Historische Forschungen XCV), PP. 99-120; e. J. M. FRYMIRE, The Primacy of the
Postils. Catholics, Protestants, and the Dissemination of Ideas in Early Modern Germany, Leida, 2010 (Studies
in Medieval and Reformation Traditions, CXLVII), p. 6 e passim. Sono grato a Carlo Delcorno per avermi
segnalato il saggio di Laura Zanette.
52
BERNARDINO DA FELTRE, Feria quinta post secundam Dominicam post Pasca in die S. Marci. De Peste, in
Sermoni del beato Bernardino Tomitano da Feltre nella redazione di fra Bernardino Bulgarino da Brescia min.
oss., ed. C. DA MILANO, 3 voll., Milano, 1964, no. 63, vol. 2, pp. 265-273; BERNARDINO BUSTI, Sabbato post
quartam dominicam in quadragesima: De pestilentie signis, causis, et remediis. Sermo quadragesimus, in
Rosarium sermonum predicabilium ad faciliorem predicantium commoditatem novissime compilatum, Venezia,
1498, ff. 256r-261v; MICHAELE DA CARCANO, Dominica tertia in quadragesima: De signis, et causis, et remediis
12
scritto un Tractatus de medicis et medicina (tramandato e separatamente e incorporato nel suo
Speculum conscientie) che espone una serie di questioni sulle malattie (in gran parte la peste),
gli ammalati e su quelli che sono responsabili di curarli.53
Cercando di spiegare questo interesse precoce degli Osservanti alle prediche sulla peste
(ammesso che sia verificabile), varrebbe la pena esaminarlo nel contesto del problema del frate
medico e in quello più ampio delle loro interesse alla stratificazione sociale e l’assistenza
caritativa. 54 Ma in questa sede vorrei accennare ad un altro elemento potenziale della
spiegazione: l’eredità di San Bernardino.
5. S. Bernardino da Siena contro la peste
Alla metà del XV secolo, durante il processo di canonizzazione di Vincenzo Ferrer in Bretagna,
diversi testimoni hanno affermato di essere stati guariti, o che le loro comunità erano state
salvate, grazie all’intercessione del santo.55 Alcuni di questi racconti di guarigione, – e altri
ispirati ad essi – apparivano anche nelle biografie del santo, e da lì arrivavano alla predicazione
e all’iconografia. Così Gabriele Barletta, per esempio, lodava Vincenzo per aver salvato, ancora
vivente, un intero monastero dalla peste cospargendo tutto l’edifico con acqua santa, e per aver
guarito, post mortem, sessantasei appestati. E come il Barletta ha paragonato la specializzazione
taumaturgica di Vincenzo a quella di san Sebastiano e san Rocco («datum est quibusdam sanctis
patrocinari super infirmitates, ut Antonio super igne, Lucia super oculos, Sebastiano et Rocho
super pestem et huic [Vincentio] datum est»), Giovanni Bellini, nella basilica domenicana dei
Santi Giovanni e Paolo a Venezia, e Domenico Ghirlandaio nella chiesa di San Domenico a
Rimini, l’accoppiavano con i medesimi santi antipestilenziali.56
pestilentie etiam incitantis ad penitentiam. Sermo 58, in Quadragesimale seu sermonarium duplicatum scilicet per
adventum et quadragesimam. De penitententia et eius partibus, Venezia, 1487, ff. 122rb-125ra; ROBERTO
CARACCIOLO, Sermo de iudicio pestilentie, in Sermones prestantissimi viri Roberti de Litio ordinis minorum, sacre
theologie professoris, pontificis Aquinatis, Lione, 1500, Sermones alii, sermo 12; Anonimo in una collezione
francescana, De peste, in Assisi, Biblioteca Comunale, MS 562 (1454/1486), ff. 36r-40v.
53
GIOVANNI DA CAPESTRANO, Speculum conscientiae, §§. 210-285, ed. in Tractatus universi juris, duce et auspice
Gregorio XIII pontifice maximo, in unum congesti..., Venezia, 1584, ff. 360vb-365rb.
54
Per quest’ultimo contesto (con riflessioni critiche sul ruolo dei osservanti nelle riforme quattrocentesche del
settore ospedaliero), si veda G. ALBINI, L’Osservanza francescana e la pratica della carità. Uno sguardo alle città
dell’Italia centro-settentrionale, in I frati osservanti e la società in Italia nel secolo XV. Atti del XL convegno
internazionale (Assisi-Perugia, 11-13 ottobre 2012), Spoleto, 2013 (Atti dei Convegni della Società internazionale
di studi francescani e del Centro interuniversitario di studi francescani, XL), pp. 227-251.
55
Si veda L. A. SMOLLER, The Saint and the Chopped-Up Baby. The Cult of Vincent Ferrer in Medieval and Early
Modern Europe, Ithaca, NY, 2014, pp. 55-56.
56
GABRIELE BARLETTA, Sermones quadragesimales et de sanctis, Brescia, 1497, ff. 21vb-23vb; e SMOLLER, The
Saint and the Chopped-Up Baby cit. (nota 55), pp. 105-109 e 193-194.
13
Non è improbabile che il tentativo domenicano di presentare Vincenzo come santo
contro la peste, o il tentativo analogo degli agostiniani con San Nicola da Tolentino, fossero
legati ai successi di San Bernardino da Siena in questo campo. 57 Tuttavia, la relazione di
Bernardino con la peste era molto più personale. La sua esperienza della cura dei malati presso
l’Ospedale di Santa Maria della Scala a Siena durante l’epidemia del 1400 come momento
decisivo della sua vita, non era del tutto dissimile alla tradizione dei santi francescani legata
alla cura dei lebbrosi e risalente all’esempio del Poverello. Nel processo di canonizzazione di
Bernardino il suo sacrificio durante la peste era stato uno degli elementi principali degli articuli
super vitam fin dalla prima indagine di 1445-1446 in poi:
Item quod idem frater Bernardinus, annos pueriles egressus, cum fere viginti esset
annorum, cum Dei spiritu ferventius ageretur et eo tempore pestilentia epidimie, qui
morbus periculosus et contagiosus corporibus existit humanis, in civitate Senarum, in
anno millesimo quadringentesimo, orribiliter invalesceret, ex qua peste pene innumeri
utriusque sexus homines dicte civitatis incole et ad ipsam civitatem alienigene
confluentes infirmabantur ac moriebantur, idem frater Bernardinus, adhuc in habitu
seculari degens, ad hospitale Sancte Marie de Scala de Senis vulgariter nuncupatum,
nimia caritate accensus et gladio compassionis erga egrotos confossus accessit; ibique
per temporis spacium ad servitium infirmorum, quorum ipsa peste faciente erat maxima
multitudo, ipsisque infirmis attente et sedulo serviebat eis cibaria ministrando,
putredines et macies abstergendo, ad pacientiam exortando, morientibus de sacramentis
provideri faciendo, sepulturam mortuis procurando; nec sui corporis timendum
periculum vel iacturam, nulla alia remuneratione expectata temporali, sed tantummodo
ad laudem et gloriam omnipotentis Dei et beate Marie virginis premissa et alia pietatis
opera exercuit.58
Il fatto che egli sia sopravvissuto a un’epidemia nonostante la natura letale e molto contagiosa
della malattia – che l’articulus citato non manca di sottolineare – è facile da interpretare come
segno di un carisma speciale o addirittura come miracolo. Così già nella seconda indagine nel
1447 appaiono due appestati miracolati post mortem, una donna aquilana, Petrucia, che
57
L. MARSHALL, La costruzione di un santo contro la peste. Il caso di Nicola da Tolentino, in San Nicola da
Tolentino nell’arte. Corpus iconografico, 1: Dalle origini al Concilio di Trento, a cura di V. PACE – R. TOLLO,
Milano, 2005, pp. 87-102. Anche se la fiducia nella protezione antipestilenziale di Nicola risale alla prima metà
del quattrocento, sembra che inizialmente fosse una tradizione civica pisana e gli agostiniani di altre regioni
volessero approfittarsene solo più tardi, specialmente nell’iconografia, mentre guarigioni miracolose dalla peste
cominciassero apparire nel suo dossier agiografico solamente dall’ultimo quarto del secolo.
58
Il processo di canonizzazione di Bernardino da Siena (1445-1450), ed. L. PELLEGRINI, Grottaferrata, 2009
(Analecta Franciscana, XVI), art. no. 5, p. 14.
14
«pestiferum paciebatur apostema in secretiori parte nature muliebris» e un Benedictus da
Sulmona che era «gravissima infirmitate gravatus, videlicet febre pestilenciali», mentre nella
terza indagine (1448-1449) è aggiunta una donna senese, Angela, «infirmitate pestilenciali et
febribus totaliter liberata».59
Inoltre, in uno dei suoi sermoni egli stesso ha affermato come una volta sia riuscito ad
incitare tanta devozione al Santo Nome di Gesù nel suo pubblico quanto era sufficiente per
fermare l’epidemia con l’intervento di Dio – un’impresa che è difficile non capire come anche
un miracolo suo e non solamente della trigramma:
Molte volte de’ serpenti corrompano l’aria donde ne segue pestilenzia, e col nome di
Iesu si trarrà via. Di ciò esperienzia n’ho avuto; chè, cominciata la pestilenzia a Ferrara,
predicando io del nome di Iesu, a tanta fede facessero e’ devoti di Iesu, e buona mente
e’ devoti di Iesu per ogni casa [lo avessero] messo in soccorso et in remedio di questo
male, meritò che quella pestilenzia si cessasse, quando, per ragione naturale, più e più
crescere doveva.60
Anche Bernardino da Feltre, in uno dei suoi sermoni quaresimali tenuti a Pavia nel 1493,
riferisce della capacità quasi-miracolosa del suo famoso omonimo nel fermare le epidemie
attraverso l’efficacia della sua predicazione:
Dic de sancto Bernardino, qui existens Vincentie, 1444, erat magna pestis et dixit: [...]
deponite usuras, et cessabit pestis; et ita factum est, usque ad 1488. Tunc unus posuit
foras banchum ad usuras, et ecce pestis, et nunquam potuit cessare, nec votis, nec
orationibus, nec aliquo modo. Dixit unus senex: Sumus stulti etc., fregimus fidem
Sancto Bernardino, et ipse nobis, quia frangenti fidem etc. Cessaverunt facere usuras et
cessavit pestis.61
Solo due anni dopo la morte di Bernardino, nel 1446, durante un’epidemia di peste a Macerata,
secondo un documento locale studiato da Mario Sensi, «fo principiata una chisiola in vocabulo
del biato Bernardino, longo la ecclesia de San Francisco, ad cagione che lu altissimo Dio,
59
Ibid., art. no. 4, p. 207; art. no. 14, p. 212 (versione più lunga in volgare: pp. 264-266); art. no. 96, p. 418. Nella
terza indagine appaiono anche tre lebbrosi miracolati: art. no. 63, p. 410; art. no. 88, p. 416 e art. no. 89, p. 417
(ringrazio Letizia Pellegrini per aver attratto la mia attenzione su questi casi).
60
E. BULLETTI, Il nome di Gesù. Predica volgare inedita di S. Bernardino, in Bullettino di studi bernardiniani, IV
(1938), pp. 189-226, in p. 213.
61
BERNARDINO DA FELTRE, Dominica tertia in quadragesima. De flagellis Dei et que sunt signa, in Sermoni del
beato Bernardino Tomitano da Feltre cit. (nota 52), vol. 1, pp. 332-348, in p. 337.
15
mediante li pregi del dicto beato Bernardino, cessasse la peste, si como per la sue infinita pietà
et misericordia ha fatto.»62
In questo modo non è sorprendente che nella seconda metà del XV secolo Bernardino
appaia in gonfaloni umbri contro la peste, nel ruolo del compagno di san Sebastiano
fiancheggiando con lui la Madonna della Misericordia, come in quello di Benedetto Bonfigli
nel San Francesco al Prato a Perugia o in quello di Bartolomeo Caporali nella chiesa francescana
di Montone.63 Inoltre, in molte delle prime rappresentazioni pittoriche di san Rocco, provenienti
dalla diocesi di Novara dagli anni ’50 in poi, egli è accompagnato non solo da san Sebastiano
ma anche dal santo senese che era già popolare fra i disciplinati locali fortemente associati alla
protezione devozionale contro la peste.64 In certa misura perfino l’impegno di Bernardino con
i malati nella Santa Maria della Scala assomiglia a quello di san Rocco in vari luoghi durante il
suo viaggio in Italia.65 In entrambi i casi la peste è un’esperienza personale che rende questi
santi intercessori più autentici di quelli che sono stati collegati alla malattia solo post mortem.
Uno studioso americano, Thomas Worcester, ritiene addirittura che siccome Rocco è detto aver
guarito gli appestati nel nome di Gesù Cristo, le sue prime biografie sono state influenzate dal
culto del Santo Nome propagato da Bernardino da Siena; le fonti, però, mi sembrano essere
insufficienti per arrivare fino a questo punto.66 Ma nonostante tutto, prima dell’ascesa di san
Rocco, alla fine del Quattrocento, nella posizione dell’altro santo importante contra pestem
accanto a san Sebastiano, c’era un vuoto in questa funzione, e tra quelli che volevano riempirlo
Bernardino era un candidato fortissimo.
62
M. SENSI, Fraternite di disciplinati a Macerata nei secoli XIV-XV, in Quaderni del Centro di documentazione
sul Movimento dei Disciplinati, XIII (1971), pp. 1-51, in p. 11.
63
F. SANTI, Gonfaloni umbri del Rinascimento, Perugia, 1976, p. 15 (tav. 1, p. 43); p. 28 (tav. 16, p. 73). Cfr. M.
BURY, The Fifteenth- and Early Sixteenth-Century Gonfaloni of Perugia, in Renaissance Studies, XII (1998), pp.
67-86. A Padova, nel murale di Andrea Mantegna, staccato dalla lunetta del portale centrale della basilica del
Santo, raffigurante il trigramma di Cristo tra S. Antonio e S. Bernardino, l’ultimo è verosimilmente rappresentato
nel suo ruolo antipestilenziale con due oggetti tra i suoi attributi iconografici che sembrano essere un contenitore
di sostanze aromatiche e un pomo d’ambra usati da quelli che dovevano uscire da casa o avvicinarsi agli ammalati
in tempi di peste; si veda G. BALDISSIN MOLLI, Problemi iconografici del San Bernardino di Andrea Mantegna,
in Il santo, XXXVIII (1998), pp. 313-330. Sono grato a Daniele Solvi per avermi segnalato questo saggio.
64
D. RIGAUX, Le dossier iconographique de saint Roch. Nouvelles images, nouvelle chronologie, in San Rocco:
Genesi e prima espansione di un culto. Incontro di studio – Padova 12-23 febbraio 2004, a cura di A. RIGON – A.
VAUCHEZ, Bruxelles, 2006 (Subsidia hagographica, LXXXVII), pp. 245-268, in p. 261.
65
Si veda le edizioni più recenti dei testi principali del dossier agiografico di San Rocco, a cura di Pierre Bolle et
al., in www.sanroccodimontpellier.it, sotto « Testi, Textes, Texts, Textos » (ultimo accesso: 22 dicembre 2016).
66
TH. WORCESTER, St. Roch vs. Plague, Famine, and Fear, in Hope and Healing. Painting in Italy in a Time of
Plague, 1500-1800, a cura di G. A. BAILEY et al., Worcester, MA – Chicago, 2005, pp. 153-176, in p. 154. D’altra
parte, l’interesse dei francescani osservanti al culto di San Rocco è verificato, almeno per Padova e Venezia, dal
1480 in poi; si veda A. RIGON, Origini e sviluppo del culto di San Rocco a Padova, in San Rocco cit. (nota 64),
pp. 177-209, in pp. 187-188.
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6. Conclusione
Che cosa si può dire a titolo di conclusione su questa serie di esempi, ipotesi e proposte sulla
tradizione agiografica di compassione e auto-umiliazione nei confronti dei lebbrosi, sugli
ospedali legati ai terziari, sulle infermerie conventuali e sul frate medico, sui sermoni che
trattavano la lebbra e la peste e sui culti antipestilenziali? Certamente, la malattia non rientra
nella storia dell’Ordine francescano in un modo semplice ed evidente come nel caso di un ordine
ospedaliero. Tuttavia, se il problema della malattia non è ridotto solamente al settore caritativoassistenziale, ma comporta anche ideali, modelli, rappresentazioni, riflessioni e interpretazioni,
e se – nel caso della cura domestica e ospedaliera – le diverse pratiche di soccorso terapeutico
e forme di gestione istituzionale vengono inserite in contesti comparativi, allora, forse, viene
fuori una tematica distinta che varrebbe la pena di studiare in più.
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