L'ARCHITETTURA È ALTROVE
ANGELO PALAZZO, SCHIZZO DELL'AUTORE, 2014
© S. Mavilio 2017
L'ARCHITETTURA È ALTROVE
Quando si parla di architettura,
gli angeli si fermano trepidanti.
Il progetto è un puro accidente
Dopo aver suggerito l'ipotesi che l'architettura sia una scala che riunisce ciò che fu diviso alle origini,
propongo ora un'idea ancor più radicale: che l'architettura sia Altrove e che l'edificato, come il tempio
Sabeo, sia il tramite fra l'Edificio Angelo e l'edificio che risiede nei nostri cuori, attribuendo all'Edificio
Angelo valore ontologico, a fronte di un edificato privo di valori che non siano estetici secondo habitus; e
all'edificio del cuore il valore di grimaldello mediante il quale scassinare la serratura della porta che
conduce all'Altrove.
L'ALTROVE
Secondo lo schema esistono tre universi:
il mondo fenomenico,
cioè l'ambito delle cose che cadono sotto la percezione dei sensi;
il mondo soprasensibile,
designato in genere come mundus imaginalis;
il modo delle pure Intelligenze,
che è possibile cogliere mediante l'intuizione intellettuale.
(H. Corbin)
Luogo utopico per eccellenza l'Altrove da sempre suscita interesse.
Se ne abbeverano la religione, il mito, la filosofia, la psicologia, la Tradizione, perfino le arti.
Soprattutto le arti.
Se l'altrove religioso è un altrove inconoscibile; se quello mitologico è un altrove sognante, quanto
quello filosofico è frutto di ragionamento; la psicologia, la Tradizione e perfino le Arti si abbeverano
alla stessa fonte.
Luogo reale, l'Altrove, ha più chance di esistere del <qui ed ora> che pure percepiamo così
distintamente.
Statisticamente poco frequentato, mirabilmente descritto, questo Altrove è Il Mondo Immaginale.
Qui risiedono gli Archetipi, le Forme Formanti ma soprattutto qui risiedono le Immagini.
Caratteristica delle immagini vere -che quelle percepite coi sensi sono solo riproduzioni- è l'esprimere
qualità piuttosto che quantità.
Tipico del mondo qualitativo, è il non esprimere caratteristiche misurabili.
Né metri, né centimetri o kilometri; né grammi né chilogrammi.
Corbù ha scritto: "L'architettura gestisce delle quantità. Queste quantità che fanno un ammasso di
materiali a piè d'opera, una volta misurate producono ritmi, parlano di cifre,
parlano di rapporto, parlano di spirito(...)" (Le corbusier, Vers un Architecture, 1923).
Parlando di architettura costruita, in realtà il Maestro parlava di quello che lui stesso aveva battezzato
"spazio indicibile", quasi un "miracolo" effetto delle giuste proporzioni (Le Corbusier, Lo spazio
indicibile, 1945); spazio indicibile che a sua volta rimanda ad un mondo qualitativo o che da esso ritorna.
Io parlo piuttosto dell'architettura che ancora non è precipitata al mondo.
Prendiamo ad esempio le città, quali che siano le città; dei climi meridionali o settentrionali; costruite
sulla costa o sui monti; antiche o moderne; quelle degli umani, come quelle degli androidi immaginate
da Asimov; prendiamo perfino le città delle formiche come quelle delle api: esiste comunque, da
qualche parte -Altrove- una città ideale, oppure una "idea di città" che dir si voglia, ad immagine della
quale essa si costruisce.
Secondo Bal’ami Davide disse: “Dio ha creato una città larga e lunga dodicimila parasanghe. In questa
città ci sono dodicimila palazzi, e in ogni palazzo dodicimila appartamenti (...).”
Una città di dodicimila parasanghe, non ha misura effettiva, giacché dodicimila, mille, una o nessuna,
non fa alcuna differenza dal punto di vista della misurazione reale. Si allude piuttosto ad una misura che
esprime una qualità, quella dell'essere "grande".
"Ai piedi della montagna di Qaf, si estendono due città di smeraldo, Jabalqa e Jabarsa.
Le misure sono le stesse della Gerusalemme Celeste: un quadrato di dodicimila parasanghe di lato segno della totalità e della perfezione. La popolazione è incalcolabile. Ogni città ha mille fortezze e in
ognuna di esse c’è una guarnigione di mille soldati che vi fanno la guardia ogni notte. Non c’è sole né
luna.” (Pietro Citati, La luce della notte)
Spazio qualitativo, dunque, è essenzialmente spazio esistenziale, il cui rapporto con lo spazio fisicomatematico è analogo al rapporto tra il tempo esistenziale e il tempo storico della cronologia.
"Lo spazio qualitativo è discontinuo, contrapposto allo spazio quantitativo che è continuo, omogeneo,
misurabile secondo parametri costanti. Ne deriva che in uno spazio qualitativo si può dire che il centro
del cerchio spirituale, a differenza di quello materiale, determina il cerchio stesso in quanto oltre che
centro ne è anche perimetro. Per l'esattezza: il centro ha la proprietà di essere insieme anche la periferia,
perché in questo risiede il segreto delle forme spirituali e della stabilità delle loro configurazioni.
(Corbin H., L'immagine del tempio)
Passare dallo spazio quantitativo a quello qualitativo significa salire dal mondo sensibile, luogo delle
percezioni sensibili, a quello delle Intelligenze Cherubiniche luogo delle intuizioni, passando per il
Mondo-Mediano, luogo della Immaginazione Attiva che - per l’appunto- fa da mediatrice.
Architettura Immaginale è quella che trova la sua espressione per il tramite del simbolo;
architetture immaginali per eccellenza furono le cattedrali, delle quali Hugo ebbe mirabilmente a dire
che lo "strumento" libro le avrebbe uccise, giacché esse stesse erano libri di pietra.
Per passare alla scala dell'architettura, e chiudere il cerchio di questo breve scritto, analogamente posso
dire, come per le città, che la vera architettura è Altrove. Ogni volta che immagino un edificio, un
palazzo, da qualche parte -Altrove- esiste un Angelo Palazzo che ne determina le qualità.
Se avrò accesso al mondo delle immagini potrò dedurne le caratteristiche che maièuticamente gli
consentiranno di venire al mondo, dove acquisiranno quel complesso di qualità materiali che lo
realizzano qui ora, nel mondo della forma sensibile che è luogo delle epifanie, secondo lo schema sopra
descritto: mediatore degli accadimenti spirituali Veri che si realizzano in quella Terra dove l'impossibile
è Realtà.
L'altrove, secondo l'esperienza quotidiana, è invece il ricettacolo di ciò che non si vorrebbe fosse qui.