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Max Weber. Economia e politica fra tradizione e modernità

2013

Il tema di fondo del lavoro è la Herrschaft weberiana. La questione del dominio e del potere è affrontata da Weber mediante una commistione di elementi economici e politici, dei quali si cerca di ricostruire la complessità lessicale. La Herrschaft formale emerge da un contesto definito tradizionale come il risultato irripetibile di una concatenazione di possibilità storicamente determinate. Il sorgere di forme associative, nelle quali all’esercizio del comando può corrispondere una pronta ed automatica obbedienza indipendente dal contenuto dello stesso, va compreso come l’esito di un singolare intreccio tra istituzione statale e dinamiche di produzione e mercato. Si apre in questo modo l’opportunità di indagare lo stesso uso categoriale che Weber fa del termine Herrschaft, il quale appare indissolubilmente legato al contesto storico nel quale viene formulato.

eum x biblioteca Giornale di Storia costituzionale Michele Basso Max Weber. Economia e politica fra tradizione e modernità eum Biblioteca del Giornale di Storia costituzionale Collana diretta da Luigi Lacchè, Roberto Martucci, Luca Scuccimarra 7 “Opera pubblicata con i fondi del Programma dell’Unità di ricerca coordinata dal prof. Giuseppe Duso dal titolo: “Crisi dei concetti politici, costituzione, nuove categorie”, inserita all’interno del Programma di Ricerca scientifica di rilevante Interesse Nazionale (PRIN), anno 2008 isbn 978-88-6056-363-7 Prima edizione: giugno 2013 ©2013 eum edizioni università di macerata Centro Direzionale, Via Carducci 63/a – 62100 Macerata [email protected] http://eum.unimc.it Stampa: stampalibri.it - Edizioni SIMPLE via Trento, 14 - 62100 Macerata [email protected] www.stampalibri.it Ringraziamenti Il presente lavoro è un’ampia rielaborazione della tesi di dottorato in filosofia politica e storia del pensiero politico, conseguita dal sottoscritto nel 2007 a Padova, sotto la tutela di Giuseppe Duso. Ringrazio sentitamente per il costante appoggio i professori Giuseppe Duso e Mario Piccinini, senza i quali questo testo non sarebbe mai giunto a conclusione. Ringrazio inoltre per aver letto almeno una delle varie bozze del testo e per i preziosi suggerimenti il direttore del dottorato di ricerca prof. Giovanni Fiaschi, i professori Bruno Accarino, Adone Brandalise, Sandro Chignola Realino Marra, Gaetano Rametta e il dott. Massimo Palma. La responsabilità di quanto scritto è naturalmente solo mia. Ringrazio inoltre Giusy Parisi per la puntuale e competente attività di revisione del testo. Questo libro è dedicato alla mia paziente e giocosa compagna di vita, Emma. Indice 9 Opere weberiane citate ed eventuali abbreviazioni 15 Premessa terminologica 17 Introduzione Capitolo primo 23 Economia e forme associative 26 41 1. Wirtschaft, Wirtschaften, Wirtschaftlichkeit 2. Haushalt tra economia e non-economicità: Riehl, Tönnies, Gierke, Brunner 3. Il «razionalismo economico immanente». Leon Battista Alberti 4. Economia e storia economica 5. La composizione dell’Haushalt. Storia economica ed etnologia 6. La città: dissoluzione della comunità domestica e nascita dell’impresa razionale 7. Storia economica e sociologia: la posizione weberiana 50 54 74 82 85 Capitolo secondo 93 97 118 128 136 147 164 Il contesto tradizionale e la sua dissoluzione 1. 2. 3. 4. 5. 6. Patrimonialismo e patriarcalismo: tra autorità e tradizione Il feudalesimo come espressione di dominio tradizionale Fedeltà e contratto Terra e tradizione La città Herrschaft, Macht, Gewalt 8 INDICE Capitolo terzo 179 La singolarità del moderno: capitalismo e burocrazia 183 188 215 220 237 246 253 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. Separazione tra comunità domestica e impresa: la calcolabilità Autonomia e autorizzazione Entsittlichung: la fine della tradizione Cosificazione dell’economia Il surrogato della tradizione: la disciplina Una nuova Verfassung? La burocrazia Capitolo quarto 259 La singolarità del moderno: capitalismo e democrazia 265 277 282 293 303 1. 2. 3. 4. 5. 311 Bibliografia 335 Indice dei nomi La critica weberiana alla rappresentanza degli interessi Democratizzazione e calcolabilità Massa e disciplina Legittimità e ordinamento Ordinamento e finzione: la Herrschaft formale-razionale Opere weberiane citate ed eventuali abbreviazioni 1. Max Weber Gesamtausgabe, a cura di H. Baier, M. Rainer Lepsius, W.J. Mommsen, W. Schluchter, J. Winckelmann, Tübingen, J.C.B. Mohr (Paul Siebeck), in corso di pubblicazione. MWG I/1 = Zur Geschichte der Handelsgesellschaften im Mittelalter. Schriften 1889-1894, a cura di G. Dilcher e S. Lepsius, 2008. MWG I/3 = Die Lage der Landarbeiter im ostelbischen Deutschland (1892), 2 voll., a cura di M. Riesebrodt, 1984. MWG I/4 = Landarbeiterfrage, Nationalstaat und Volkswirtschaftspolitik. Schriften und Reden 1892-1899, 2 voll., a cura di W.J. Mommsen in collaborazione con R. Aldenhoff, 1993 e 1994. MWG I/5 = Börsenwesen. Schriften und Reden 1893-1898, 2 voll., a cura di K. Borchardt in collaborazione con C. Meyer-Stoll, 1999 e 2000. MWG I/8 = Wirtschaft, Staat und Sozialpolitik. Schriften 1900-1912, a cura di W. Schluchter in collaborazione con P. Kurth e B. Morgenbrod, 1998. MWG I/10 = Zur russischen Revolution von 1905. Schriften und Reden 1905-1912, a cura di W.J. Mommsen in collaborazione con D. Dahlmann, 1989. MWG I/11 = Zur Psychophysik der industriellen Arbeit. Schriften und Reden 1908-1912, a cura di W. Schluchter in collaborazione con S. Frommer, 1995. MWG I/15 = Zur Politik im Weltkrieg. Schriften und Reden 1914-1918, a cura di W.J. Mommsen in collaborazione con G. Hübinger, 1984. MWG I/16 = Zur Neuordnung Deutschlands. Schriften und Reden 19181920, a cura di W.J. Mommsen in collaborazione con W. Schwentker, 1988. 10 OPERE WEBERIANE CITATE ED EVENTUALI ABBREVIAZIONI MWG I/17 = Wissenschaft als Beruf (1917-1919) - Politik als Beruf (1919), a cura di W.J. Mommsen e W. Schluchter in collaborazione con B. Morgenbrod, 1992. MWG I/22-1 = Wirtschaft und Gesellschaft. Die Wirtschaft und die gesellschaftlichen Ordnungen und Mächte. Nachlaß, a cura di W.J. Mommsen in collaborazione con M. Meyer, 2001, vol. I: Gemeinschaften. MWG I/22-2 = Wirtschaft und Gesellschaft. Die Wirtschaft und die gesellschaftlichen Ordnungen und Mächte. Nachlaß, a cura di H.G. Kippenberg in collaborazione con P. Schilm e J. Niemeyer, 2001, vol. II: Religiöse Gemeinschaften. MWG I/22-3 = Wirtschaft und Gesellschaft. Die Wirtschaft und die gesellschaftlichen Ordnungen und Mächte. Nachlaß, a cura di W. Gephart e S. Hermes, 2010, vol. III: Recht. MWG I/22-4 = Wirtschaft und Gesellschaft. Die Wirtschaft und die gesellschaftlichen Ordnungen und Mächte. Nachlaß, a cura di E. Hanke con la collaborazione di T. Kroll, 2005, vol. IV: Herrschaft. MWG I/22-5 = Wirtschaft und Gesellschaft. Die Wirtschaft und die gesellschaftlichen Ordnungen und Mächte. Nachlaß, a cura di W. Nippel, 1999, vol. V: Die Stadt. MWG II/5 = Briefe 1906-1908, a cura di M. Rainer Lepsius e W.J. Mommsen in collaborazione con B. Rudhard e M. Schön, 1990. MWG II/6 = Briefe 1909-1910, a cura di M. Rainer Lepsius e W.J. Mommsen in collaborazione con B. Rudhard e M. Schön, 1994. MWG II/8 = Briefe 1913-1914, a cura di M. Rainer Lepsius e W.J. Mommsen in collaborazione con B. Rudhard e M. Schön, 2003. MWG III/1 = Allgemeine („theoretische“) Nationalökonomie. Vorlesungen 1894-1898, a cura di W.J. Mommsen in collaborazione con C. Judenau, H. H. Nau, K. Scharfen e M. Tiefel, 2009. MWG III/6 = Abriß der universalen Sozial- und Wirtschaftsgeschichte. Mitund Nachschriften 1919/20, a cura di W. Schluchter in collaborazione con J. Schröder, 2011. OPERE WEBERIANE CITATE ED EVENTUALI ABBREVIAZIONI 11 2. Altre opere weberiane WL = Gesammelte Aufsätze zur Wissenschaftslehre (1922), 5a ed., Tübingen, Mohr, 1982. OJ = Die Objektivität sozialwissenschaftlicher und sozialpolitischer Erkenntnis, 1904, in WL, pp. 146-214. RK = Roscher und Knies und die logischen Probleme der Nationalökonomie, 1903-1906, in WL, pp. 1-145. KS = Kritische Studien auf dem Gebiet der kulturwissenschaftlichen Logik, 1906, in WL, pp. 215-290. GL = Die Grenznutzenlehre und das „psychophysische Grundgesetz“, 1908, in WL, pp. 384-399. GPS = Gesammelte Politische Schriften, 3a ed., Tübingen, Mohr, 1971. Jugendbriefe = Jugendbriefe, Tübingen, Mohr, 1936. PE II = Die Protestantische Ethik II. Kritiken und Antikritiken, 3a ed., Gütersloh, Gütersloher Verlagshaus Mohn, 1978. GAR = Gesammelte Aufsätze zur Religionssoziologie. Die protestantische Ethik und der Geist des Kapitalismus (1922), 9a ed., Tübingen, Mohr, 1988. Vorbemerkung = Vorbemerkung, in GAR, pp. 1-16. PE = Die protestantische Ethik und der Geist des Kapitalismus, in GAR, pp. 17-206. WuG, I = Wirtschaft und Gesellschaft, 5a ed., Tübingen, Mohr, 1976, vol. I. WuG, II = Wirtschaft und Gesellschaft, 5a ed., Tübingen, Mohr, 1976, vol. II. GV = Grundriss zu den Vorlesungen über allgemeine („theoretische“) Nationalökonomie (1898), Tübingen, Mohr, 1990. GASS= Gesammelte Aufsätze zur Soziologie und Sozialpolitik, Tübingen, Mohr, 1924. Wg = Wirtschaftsgeschichte. Abriß der universalen Sozial- und Wirtschaftsgeschichte, 5a ed., Berlin, Duncker & Humblot, 1991. Die protestantische Ethik und der „Geist“ des Kapitalismus, München, Finanzbuch, 2006. 12 OPERE WEBERIANE CITATE ED EVENTUALI ABBREVIAZIONI Zur Geschichte der Handelsgesellschaften im Mittelalter. Nach südeuropäischen Quellen, Amsterdam, E.J. Bonset, 1970; Rist. anast. dell’ed. Stuttgart, Enke, 1889. The History of Commercial Partnerships in the Middle Ages, Lanham/Boulder/New York/Oxford, Roman & Littlefield Publishers, 2003. Gesammelte Aufsätze zur Sozial- und Wirtschaftsgeschichte (1924), 2a ed., Tübingen, Mohr, 1988. Geleitwort, «Archiv für Sozialwissenschaft und Sozialpolitik», 1/19, 1904, pp. 1-7. „Kirchen“ und „Sekten“ in Nordamerika. Eine kirchen- und sozialpolitische Skizze, «Die christliche Welt», 24/20, 1906, pp. 558-562 e 25/20, 1906, pp. 577-583. 3. Opere weberiane in traduzione italiana ES, I = Economia e società. Teoria delle categorie sociologiche, 3a ed., Torino, Edizioni di Comunità, 1999, vol. I. ES, II = Economia e società. Economia e tipi di comunità, 3a ed., Torino, Edizioni di Comunità, 1999, vol. II. ES, III = Economia e società. Sociologia del diritto, 3a ed., Torino, Edizioni di Comunità, 2000, vol. III. ES, IV = Economia e società. Sociologia politica, 3a ed., Torino, Edizioni di Comunità, 1999, vol. IV. Metodo = Saggi sul metodo delle scienze storico-sociali, Torino, Edizioni di Comunità, 2001. Parlamento e governo nel nuovo ordinamento della Germania e altri scritti politici, Torino, Einaudi, 1982. PG = Parlamento e governo nel nuovo ordinamento della Germania. Per la critica della burocrazia e del sistema dei partiti, in Parlamento e Governo cit., pp. 64-225. DD = Diritto elettorale e Democrazia in Germania, in Parlamento e Governo cit., pp. 8-63. Scienza e Politica = La scienza come professione. La politica come professione, Milano, Mondadori, 2006. OPERE WEBERIANE CITATE ED EVENTUALI ABBREVIAZIONI 13 SE = Storia economica. Linee di una storia universale dell’economia e della società, Roma, Donzelli, 1993. SR, I = Sociologia della religione. Protestantesimo e spirito del capitalismo, 2a ed., Torino, Edizioni di Comunità, 2002, vol. I. SR, II = Sociologia della religione. L’Etica economica delle religioni universali. Confucianesimo e Taoismo, 2a ed., Torino, Edizioni di Comunità, 2002, vol. II. EP = L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, in SR, I, pp. 19-187. Dalla terra alla fabbrica = Dalla terra alla fabbrica. Scritti sui lavoratori agricoli e lo Stato nazionale (1892-1897), Roma-Bari, Laterza, 2005. Dominio = Economia e Società. Dominio, edizione italiana condotta sul nuovo testo critico della Max Weber Gesamtausgabe, a cura di M. Palma, Roma, Donzelli, 2012. Comunità = Economia e Società. Comunità, edizione italiana condotta sul nuovo testo critico della Max Weber Gesamtausgabe, a cura di M. Palma, Roma, Donzelli, 2005. La città = Economia e Società. La città, edizione italiana condotta sul nuovo testo critico della Max Weber Gesamtausgabe, tr. it. di M. Palma, Roma, Donzelli, 2003. Considerazioni intermedie. Il destino dell’Occidente, 4a ed., Roma, Armando, 2005. Metodo e ricerca nella grande industria, Milano, Franco Angeli, 1983. Scritti politici, Roma, Donzelli, 1998. Sulla Russia 1905-1906/1917, Bologna, Il Mulino, 1981. Parlamento e governo. Per la critica politica della burocrazia e del sistema dei partiti, Roma-Bari, Laterza, 2002. La scienza come professione. La politica come professione, Torino, Edizioni di Comunità, 2001. La Borsa, Milano, Edizioni Unicopli, 1985. 4. Cd-rom e opere on-line Max Weber im Kontext: Gesammelte Schriften, Aufsätze und Vorträge auf CD-ROM, 2a ed., Berlin, Karsten Worm, Infosoftware, 2002. 14 OPERE WEBERIANE CITATE ED EVENTUALI ABBREVIAZIONI Potsdamer Internet-Ausgabe, <http://opus.kobv.de/ubp/volltexte/2005/559/html/index.html>, aprile, 2013, ove è scaricabile una versione in formato .pdf delle seguenti opere: Gesammelte Aufsätze zur Soziologie und Sozialpolitik (520 pp.; 1,79 Mb); Die protestantische Ethik und der Geist des Kapitalismus und Die protestantischen Sekten und der Geist des Kapitalismus (237 pp.; 924 Kb); Gesammelte politische Schriften (451 pp.; 1,44 Mb); Gesammelte Aufsätze zur Religionssoziologie II (Die Wirtschaftsethik der Weltreligionen. Hinduismus und Buddhismus, 380 pp.; 1,16 Mb); Gesammelte Aufsätze zur Religionssoziologie III (Die Wirtschaftsethik der Weltreligionen. Das antike Judentum, 444 pp.; 1,28 Mb); Gesammelte Aufsätzte zur Wissenschaftslehre (613 pp.; 2,06 Mb). Premessa terminologica Com’è noto, è in corso la traduzione in italiano della Gesamtausgabe weberiana, nell’edizione Donzelli curata da Massimo Palma. Le scelte di traduzione di Palma si sovrappongono e probabilmente sono destinate a sostituire quelle della traduzione a più mani delle Edizioni di Comunità, curata da Pietro Rossi. Tenuta presente questa sovrapposizione, nonché la complessità costitutiva del lessico weberiano, si ritiene opportuno premettere alcune considerazioni sulle scelte di traduzione operate nel testo. Per quanto concerne la coppia Vergemeinschaftung/Vergesellschaftung, si è scelto di tradurre il primo con “accomunamento”, divergendo quindi dalla scelta di Palma, il quale traduce con “comunione”; ci si è invece allineati alla felice scelta di tradurre Vergemeinschaftung con “sociazione”. Considerata la rilevanza dei termini Herrschaft e Macht, si è scelto di dedicare l’intero paragrafo conclusivo del secondo capitolo ad alcuni chiarimenti terminologici in merito. Per quanto riguarda Herrschaft, l’oscillazione tra “dominio” e “potere” viene giustificata all’interno del suddetto paragrafo, e del testo in generale. Il termine Macht è stato tradotto prevalentemente con “potenza”, e con “potere” solo laddove l’utilizzo di “potenza” risultasse particolarmente inelegante, e non si corresse comunque il rischio di confondersi con il termine Herrschaft. Per mantenere l’uniformità all’interno delle diverse traduzioni disponibili, il termine Verfügungsgewalt, molto utilizzato nel testo, è stato reso uniformemente con “potere di disposizione”. Si giudica tuttavia almeno altrettanto appropriata la scelta di Massimo Palma, operata in particolare nel volume Economia 16 PREMESSA TERMINOLOGICA e Società. Dominio (traduzione di MWG I/22-4), di rendere il termine con “potestà discrezionale”. Il termine “reverenza” traduce il ben più complesso e pregnante Pietät tedesco, in linea con la traduzione delle Edizioni di Comunità (mentre Palma traduce con “devozione”). Il termine “calcolabilità” corrisponde al tedesco Rechenhaftigkeit. Machtgebilde è stato tradotto con “formazioni di potenza”. “Comunità domestica” e “impresa” traducono rispettivamente il tedesco Haushalt e Betrieb. Einverständnisgemeinschaft è stato tradotto con “comunità d’intesa” in linea con la traduzione di Palma, mentre nella traduzione precedente veniva reso con “comunità di consenso”. Il termine Versachlichung viene tradotto con “cosificazione”, al fine di marcare il processo del diventare cosa implicito nella lingua tedesca, e che l’italiano “oggettivazione” non rende con altrettanta efficacia. La scelta di traduzione è affine al francese chosification, utilizzato da C. Colliot-Thélène in Max Weber et l’Histoire, Parigi, Presses Universitaires de France, 1990, p. 31. Per tradurre Verdinglichung si è scelto il termine “concretizzazione”, che certo rende solo in parte la ricchezza del termine tedesco. Nelle citazioni dei testi weberiani sono state mantenute prevalentemente le scelte dei rispettivi traduttori. Ove si è ritenuto opportuno intervenire, le relative modifiche sono state segnalate in nota. In tutti i casi di termini utilizzati solo occasionalmente, ma dei quali si è ritenuto rilevante segnalare la pregnanza del corrispettivo tedesco, questo è stato inserito tra parentesi, sia all’interno del testo che nelle citazioni. Introduzione Qualunque studioso che abbia avuto la possibilità e la fortuna di attraversare una parte consistente della produzione di Weber riconosce che il suo più grande problema teorico fu quello di comprendere ciò che egli stesso definì la «singolarità qualitativa» della civiltà occidentale. Nur im Okzident, solo in Occidente…: nelle prime parole della celebre Premessa agli scritti di Sociologia della Religione è stato giustamente rilevato il punto focale di gran parte delle sue fatiche. Il comprendere il perché dell’«essere divenuto così e non altrimenti»1 del mondo occidentale muove la ricerca del giovane studioso di diritto, volto a rintracciare l’origine di alcune fattispecie di società commerciali descritte all’interno del recente diritto commerciale tedesco. Il passaggio da forme di servitù alla nascita del lavoro salariato è uno dei moventi del giovane economista impegnato, per conto del Verein für Sozialpolitik, in una consistente ricerca sui lavoratori ostelbici. Negli anni seguenti alla malattia questo interesse, fino ad allora espresso in opere di carattere specialistico, diviene un grandioso progetto di ricerca: esso trova le sue pagine più note in quell’affastellamento di scritti che oggi nominiamo come Economia e Società, nelle celebri ricerche sull’Etica protestante, poi proseguite ed ampliate in quegli articoli per l’Archiv für Sozialwissenschaft und Sozialpolitik che oggi conosciamo come scritti di Sociologia della religione. Il grande interesse di Weber è tuttavia evidente anche dalla lettura del frammento de La città o in testi un po’ meno conosciuti come 1 «So-und-nicht-anders-Gewordensein», espressione weberiana usata in KS, WL, p. 257 (Metodo, p. 248). 18 INTRODUZIONE gli scritti sul lavoro industriale fino alle lezioni tenute al corso di storia economica del semestre invernale 1919-1920, pervenuteci grazie all’accurata trascrizione da parte di alcuni studenti. Tenendo presente il complesso dell’opera weberiana, e attraversandone analiticamente alcuni snodi, l’intento di questo lavoro è quello di indagare come Weber abbia ricostruito e inteso la specificità del mondo occidentale per quanto concerne il problema della Herrschaft. Il termine è traducibile con “dominio” o con “potere”, per dei motivi che si cercherà di chiarire: l’idea di fondo è che, se nel corso della storia si sono succedute svariate forme di dominio, è solo nella modernità occidentale che ha preso forma in modo socializzato, massificato e onnipervasivo una Herrschaft intesa come potere, vale a dire un comando al quale corrisponda una pronta ed automatica obbedienza, indipendentemente dal contenuto del comando stesso. Per comprendere come ciò sia stato possibile è necessario porre a tema l’intreccio tra forme strutturali della Herrschaft e mutamenti economici. Ogni relazione sociale definibile come Herrschaft presuppone un determinato rapporto di comando e obbedienza, e la forma specifica assunta da questo rapporto dipende da una complessa interazione di fattori materiali, sociali, ideali, tra i quali quelli definiti da Weber come «economici» assumono sempre una rilevanza peculiare, seppur mai esclusiva. Il lessico dell’economia, alla cui indagine è dedicato il primo capitolo, si presenta in Weber composito e multiforme; nell’analisi delle diverse definizioni e usi concettuali appare come egli cerchi di mediare tra esigenze di indagine storica (sulla scia delle scuole storiche del diritto e dell’economia) e le più recenti formulazioni concettuali della scuola marginalista nonché degli studi settoriali di storia economica. Va segnalato inoltre lo sforzo weberiano per definire una griglia concettuale che gli permetta di esplorare l’influenza di elementi «economici» anche in quei contesti sociali nei quali l’economia, intesa come insieme di pratiche autonome, differenziate, quindi socialmente isolabili e osservabili, letteralmente non esisteva. Questo tentativo esporrà lo studioso tedesco alle critiche mosse da storici quali Brunner e Hintze, i quali leggono in Weber il INTRODUZIONE 19 rischio di una proiezione a contesti passati di un lessico modellato a partire dal contesto socio-economico in cui egli si trovava a vivere. L’obiezione va considerata attentamente, in quanto il rischio di un approccio prospettico di questo tipo è in Weber sempre presente, e coinvolge, come vedremo, lo stesso concetto di Herrschaft. La lettura dei testi mostra allo stesso tempo come questa fatica di Weber, sempre orientata a voler ricostruire la peculiarità esclusiva del contesto sociale a lui presente, lo porti comunque a cogliere una serie di scarti storici di importanza decisiva nell’orientare quell’infinita concatenazione di possibilità (che ogni presente serba in sé) proprio verso quell’unicum rappresentato dal mondo sociopolitico moderno. In quest’ottica è possibile leggere proficuamente l’insieme di scritti già denominati come Sociologia del potere, espressione forse destinata a mutare in Sociologia del dominio dopo la recente traduzione italiana del volume I/22-4 della Gesamtausgabe, sotto il titolo di Economia e Società. Dominio. A questi scritti viene dedicato il secondo capitolo. Nelle forme tradizionali (patriarcali, patrimoniali e feudali) di Herrschaft Weber rintraccia un rapporto di comando e obbedienza sempre limitato, mai esprimibile nei termini della famosa definizione formale fornita nelle celebri pagine dedicate ai differenti tipi di Herrschaft. La definizione formale di Herrschaft viene qui resa più complessa da una serie di elementi materiali che rende di fatto impossibile l’emergere di quell’obbedienza pronta, automatica e indipendente dal contenuto del comando, tipica della definizione formale. Weber si spinge fino a delineare due tipologie differenti di Herrschaft2: nella prima l’elemento personale della relazione è più esplicito, ed essa si rivela complessivamente più adeguata al contesto definito da Weber «tradizionale»; per questa forma di Herrschaft si è arrischiata la traduzione con “dominio”; nella seconda, più adeguata ad una articolata e differenziata «situazione di interessi» e in generale alla singolarità del contesto socio-economico moderno, si è preferita la traduzione con il termine “potere”. 2 Cfr. MWG I/22-4, p. 129 (Dominio, pp. 18-19). 20 INTRODUZIONE Dalla lettura dei testi weberiani dedicati ai contesti definiti tradizionali emerge con evidenza lo sforzo di rintracciare momenti topici, in grado di inclinare la concatenazione degli eventi storici nella direzione della unicità del sistema economico e politico moderno. A questo proposito, i fattori di carattere economico risultano decisivi, e vengono rilevati da Weber con un’insistenza che attraversa l’intera biografia intellettuale dello studioso. Dalla lettura dell’opera weberiana nella sua mole complessiva risulta come il più celebre tra questi fattori, quello del mutamento di mentalità provocato da una certa peculiare interiorizzazione dell’etica religiosa calvinista, si riveli come un elemento certamente importante, ma accanto a molti altri; la separazione tra comunità domestica e impresa, tra lavoratore e mezzi di produzione, il mutamento delle relazioni tra uomo e cosa innestato dalla vita in comune nella città medievale e soprattutto l’articolazione delle forme moderne di relazione sociale attorno alle uniche due comunità di Stato e mercato sono fattori altrettanto decisivi, e reiteratamente presenti nell’opera dello studioso tedesco. Rintracciare i passaggi weberiani relativi a questi scarti e ripercorrere le argomentazioni weberiane in merito è stato lo scopo specifico del terzo capitolo. Una volta attraversata quella concatenazione di eventi che ha comportato l’insorgere di un modo di produzione specificamente moderno, è possibile indagare in modo più fecondo la peculiare conformazione assunta nella modernità dalle istituzioni politiche, ed è questo il tema di fondo del quarto ed ultimo capitolo. Se dal punto di vista teoretico la politica moderna può essere letta come un percorso di lunga durata che trova un punto di svolta nel giusnaturalismo e nelle dottrine del diritto naturale seicentesche3, 3 Cfr. su ciò i lavori del gruppo di ricerca padovano sui concetti politici, in particolare: G. Duso, S. Chignola, Storia dei concetti e filosofia politica, Milano, Franco Angeli, 2008; G. Duso, S. Chignola, (a cura di) Sui concetti giuridici e politici della costituzione dell’Europa, Milano, Franco Angeli, 2005; G. Duso (a cura di), Oltre la democrazia. Un itinerario attraverso i classici, Roma, Carocci, 2004; G. Duso (a cura di), Il Potere. Per la storia della filosofia politica moderna, Roma, Carocci, 1999; G. Duso, La logica del potere: storia concettuale come filosofia politica, Roma-Bari, Laterza, 1999; G. Duso (a cura di), Il contratto sociale nella filosofia politica moderna, Milano, Franco Angeli, 1998. I lavori del gruppo padovano rappresentano il retroterra INTRODUZIONE 21 dal punto di vista storico e sociale essa può essere vista – attraverso Weber – come l’esito di una singolare costituzione materiale delle relazioni. Tale costituzione trova una propria base ineludibile nelle potenze dello Stato e della comunità di mercato, e nella correlata formazione di associazioni a base volontaria, eteronome ed eterocefale, che hanno preso forma a partire da esse. Questa base materiale non va certo presa come un dato, ma allo stesso tempo va tenuta sempre costantemente presente nel momento in cui si cerchi di pensare le relazioni politiche nella loro determinatezza, anche storica. È a partire da questa base, e dal suo costitutivo intreccio con i fenomeni di massa e di disciplinamento della massa, che emerge la possibilità di una Herrschaft formale e razionale4, ove ad un comando corrisponde, in una situazione media omogenea, una pronta ed automatica obbedienza, anche indipendentemente dal contenuto stesso del comando. Questa relazione di comando ed obbedienza non va assolutizzata, né quindi acriticamente assunta come strumento di comprensione dei contesti sociali del presente e del passato. Al contempo si ritiene rilevante definirne i confini storicamente determinati, e delineare le condizioni di possibilità della sua estrinsecazione. Ciò risulta particolarmente importante nel contesto attuale, ove le potenze dello Stato e del mercato stanno trovando una propria riconfigurazione tutta da esplorare. A fronte di questa complessità da dipanare, se le formulazioni concettuali weberiane paiono riduttive e legate ad un contesto oramai superato, la sua ricostruzione storica della formazione delle strutture della modernità rimane ancora una volta un prezioso strumento di supporto. di formazione di chi scrive, e il presente lavoro è pensato inevitabilmente anche come un tentativo di confronto costruttivo (almeno nelle intenzioni) con alcune posizioni teoriche espresse all’interno della ricerca comune. 4 Sul cruciale concetto weberiano di razionalità formale, con annessi riferimenti bibliografici, cfr. il quarto paragrafo sia del primo che del terzo capitolo. Capitolo primo Economia e forme associative Il 15 dicembre del 1900 Friedrich von Gottl-Ottlinienfeld, allora professore di economia politica teoretica presso l’Università di Kiel, tenne una conferenza all’Università di Heidelberg, dal titolo Governo della casa e intrapresa come formule per la conoscenza del quotidiano1. Nello stesso mese egli aveva pronunciato anche la sua prolusione accademica, dal titolo Sui concetti fondamentali in economia politica. I due testi furono raccolti e pubblicati l’anno seguente all’interno di un unico volume, titolato Il dominio della parola. Ricerche per una critica del pensiero economico-politico2. Il testo fu letto con attenzione da Weber, il quale vedeva probabilmente riflesso nel groviglio delle argomentazioni del collega un suo duplice interesse: da un lato per le questioni teoriche di metodologia delle scienze sociali, con le reiterate esortazioni al porre attenzione, nell’indagine della datità empirica, ai «problemi» più che alle «parole»; dall’altro, l’interesse per l’approccio «economico» ai «problemi» stessi, che Weber riteneva massimamente adeguato non solo alla sua inclinazione intellettuale, ma anche alle pressanti esigenze del tempo. Scorrendo le pagine del testo di Gottl emergono affinità non 1 Nell’originale tedesco “Haushalten und Unternehmen als Formel zur Erkenntnis des Alltäglichen”. 2 Cfr. F. von Gottl-Ottlinienfeld, Die Herrschaft des Wortes. Untersuchungen zur Kritik des nationalökonomisches Denkens, Jena, Fischer, 1901, ora in Id., Wirtschaft als Leben. Eine Sammlung erkenntniskritischer Arbeiten, Jena, Fischer, 1925, pp. 77-335. 24 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ casuali con alcuni luoghi cruciali della prosa weberiana. Non è un caso, infatti, che Gottl fosse uno degli autori maggiormente apprezzati da uno spirito molto esigente come quello weberiano, e che la sua riflessione sulle categorie fondamentali dell’economia politica sia uno dei pochi riferimenti bibliografici citati da Weber a supporto dei suoi Concetti sociologici fondamentali3. L’influenza della conferenza di Heidelberg è certamente più mediata, ma, ad una lettura accurata del testo, forse ancor più incisiva. Nella definizione che Gottl dà delle formule fondamentali attraverso cui interpretare il «quotidiano» è possibile cogliere con una certa evidenza una modalità della definizione dei concetti davvero molto affine a quella weberiana. Ciò vale anzitutto per l’attenzione primaria attribuita all’elemento dell’agire, qui pensato nella sua valenza interindividuale. Nella formula del Gesellen, vale a dire quel processo che deriva dall’agire di più persone, e che, grazie all’equilibrio della loro «tensione costante», acquisisce una «struttura» che funge da garanzia della continuità dell’agire stesso4, è possibile cogliere un’evidente affinità con l’intreccio presente in Weber tra agire (individuale e collettivo) e produzione di strutture associative di carattere più o meno continuativo. Considerazioni simili si potrebbero fare per le altre «formule» nominate da Gottl: il «valutare» (Werten)5, l’aspirare ad acquisire (Werben, da cui derivano l’Erwerb e l’Erwerben)6, la coppia aiutare-dominare (Helfen-Herrschen)7. Le due «forme del quotidiano» che emergono dall’incrocio tra queste formule sono appunto il «governo della casa» (associato all’«unirsi» e all’«aiutarsi») e l’intrapresa (associata al «valorizzare» e al «dominare»). Le opposizioni concettuali proposte, e le forme 3 Il riferimento bibliografico citato da Weber è in realtà l’intero testo Die Herrschaft des Wortes. Va da sé che, vista la natura del testo in questione, è soprattutto la prolusione ad essere implicata come riferimento primario. 4 Cfr. Gottl-Ottlinienfeld, Die Herrschaft des Wortes cit., p. 225. 5 Ivi, in particolare p. 168. 6 Ivi, in particolare p. 169. 7 Ivi, in particolare p. 172. Cfr. su ciò P. Rossi, Lo storicismo tedesco contemporaneo, Milano, Edizioni di Comunità, 1994, pp. 304-316. 1. ECONOMIA E FORME ASSOCIATIVE 25 della loro ricaduta nel «quotidiano», ricordano da vicino la contrapposizione weberiana tra comunità domestica (Haushalt) e impresa (Betrieb), con tutto ciò che questi concetti, intesi di volta in volta nella loro valenza primariamente economica o politica, portano con sé a livello di interpretazione delle strutture sociali. L’opposizione si presenta in Weber secondo una modalità peculiare. Mentre l’impresa, nella sua versione razionale, costituisce l’istituto più importante dell’unicità qualitativa8 del moderno sistema capitalistico, l’Haushalt, il cui agire economico presenta per vari aspetti tratti di irrazionalità, è invece la «“comunità economica” più diffusa in senso universale»9. Già da questo primo accenno è possibile cogliere la specificità dell’accostamento: mentre infatti l’Haushalt è sede di un agire economico che si è presentato storicamente in tutti i tempi e in tutti i luoghi, naturalmente sotto forme specifiche differenziate, l’impresa razionale è in realtà il luogo in cui si realizza la specificità dell’agire economico occidentale e moderno. Entrambi sono concetti tipico-ideali, ma il loro rapporto non è biunivoco, bensì, in termini matematici, di uno ad infinito. Ciò significa che, nella posizione della coppia concettuale, si ritrova qualcosa in più di una coppia di concetti. Come emergerà in particolare dall’analisi delle Categorie sociologiche fondamentali dell’agire economico, in tale binomio si nasconde il tentativo di rilevare la specificità dell’istituto razionale (l’impresa), facendola emergere da uno sfondo rappresentato dalla «grigia infinità»10 della sua alterità, vale a dire dalla non-economicità (Unwirtschaftlichkeit)11. Entrambi i concetti sono definibili come concetti economici. Anche la comunità domestica è quindi primariamente una comu8 MWG I/22-1, p. 152 (Comunità, p. 107); WuG, I, p. 229 (ES, II, p. 81). MWG I/22-1, p. 118 (Comunità, p. 68); WuG, I, p. 214 (ES, II, p. 56). 10 Cfr. RK, WL, p. 511 (Metodo, p. 53). 11 Che significa qui, in termini weberiani, non tanto assenza di ogni tipo di agire economico, quanto piuttosto assenza di un agire economico razionale. Sull’utilizzo del termine Unwirtschaftlichkeit cfr. M. Weber, Geschäftsbericht und Diskussionsreden auf den deutschen soziologischen Tagungen (1910, 1912), in GASS, pp. 431-491, qui p. 473, tr. it. in Metodo, p. 469. La stessa espressione è utilizzata da Weber anche in GL, WL, p. 395 (Metodo, p. 377). 9 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ 26 nità economica, in un senso che andrà ben specificato. Ciò significa che essi esprimono un’«interpretazione della storia da uno specifico punto di vista»12, quello dell’incidenza dei fattori economici all’interno dell’analisi dei fenomeni storico-sociali, delle principali forme di comunità, di determinate connessioni causali; generalizzando si potrebbe parlare di un’«interpretazione economica della storia»13. Questo primo capitolo sarà dedicato anzitutto ad un’analisi di alcune definizioni concettuali, utili nell’illuminare da un lato la posizione metodologica weberiana, dall’altro nel chiarire quei termini che saranno poi reiteratamente utilizzati da Weber all’interno di contesti non primariamente dediti alla chiarificazione terminologica. Il termine “economia” traduce qui prevalentemente il tedesco Wirtschaft. Wirtschaft, Wirtschaften e Wirtschaftlichkeit rappresentano quel nucleo terminologico dal quale, in un’analisi delle categorie economiche, si dovrà necessariamente partire. 1. Wirtschaft, Wirtschaften, Wirtschaftlichkeit Volgere l’attenzione allo spettro semantico ruotante attorno ai termini Wirtschaft e Wirtschaften significa entrare all’interno di un complesso tematico piuttosto intricato, e ciò in primo luogo a causa della collocazione peculiare del Weber economista. È noto come, seguendo le trame dei propri interessi, Weber abbandoni già nel 1892 la propria formazione giuridica, per inoltrarsi all’interno di studi di carattere economico-sociale. È qui che egli comincia a considerarsi un economista, ma non del tutto: precisamente solo per «un terzo», come scriverà allo zio H. Baumgarten in una lettera datata 3 gennaio 189114. Una tale valutazione è dovuta certo alle 12 OJ, WL, pp. 146-214, qui p. 164 (Metodo, pp. 147-208, qui p. 164). Cfr. W. Schluchter, Il paradosso della razionalizzazione: studi su Max Weber, Napoli, Liguori, 1987, p. 58. 14 Brief an Hermann Baumgarten, 3.01.1891, in Jugendbriefe, pp. 324-330, qui p. 327: «Ich meinerseits bin im Lauf der Zeit ungefähr zu einem Drittel Nationalökonom geworden». 13 1. ECONOMIA E FORME ASSOCIATIVE 27 severissime esigenze di autoformazione, che Weber valutava in quel momento ancora insufficiente. Allo stesso modo, a spingerlo a considerarsi un outsider15 nel campo dell’economia furono, oltre alla sua provenienza giuridica, anche le specificità dei propri interessi. Divenuto professore di Nationalökonomie presso l’Università di Friburgo nel 1894, si dedica prevalentemente, per tutto il corso degli anni Novanta, a ricerche concernenti la costituzione agraria, romana e prussiana, intrecciando la propria erudizione in ambito storico con i pressanti interessi e le esigenze anche politiche del proprio presente, in maniera brillante quanto sfacciata, insomma secondo quel tratto che lo avrebbe presto reso famoso. All’interno degli ancora confusi ambiti disciplinari, oscillanti tra una terminologia ancora legata alle scienze camerali e le nuove esigenze di disciplinarizzazione, occuparsi dell’aspetto economico della costituzione agraria, intrecciando inoltre il tutto anche ad interessi di carattere storico, rappresentava certamente una scelta peculiare. Dal punto di vista politico, Weber contribuì in maniera determinante a far emergere la questione politica degli Junker prussiani16. Sul versante disciplinare, gli scritti agrari toccavano necessariamente la lotta in corso per l’affermazione dell’autonomia della scienza economica17: basti pensare al fatto che solo in quest’ultimo scorcio di secolo il termine Ökonom, tradizio15 Cfr. W.J. Mommsen, Max Weber und die historiographische Methode seiner Zeit, «Storia della storiografia», 3, 1983, pp. 28-43. Sul rapporto tra Weber, l’economia politica, e gli economisti del tempo, cfr. D. Krüger, Nationalökonomen in wilhelminischer Deutschland, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1983; G. Eisermann, Max Weber und die Nationalökonomie, Marburg, Metropolis, 1993; A. Roversi, Max Weber e la teoria economica, in M. Losito, P. Schiera (a cura di), Max Weber e le scienze sociali del suo tempo, Bologna, Il Mulino, 1988, pp. 221-244; W. Hennis, Eine „Wissenschaft vom Menschen“. Max Weber und die deutsche Nationalökonomie der Historischen Schule, in W.J. Mommsen, J. Osterhammel (a cura di), Max Weber und seine Zeitgenossen, Göttingen-Zürich, Vandenhoeck & Ruprecht, 1988, pp. 41-84; Choi Ho-Keun, Max Weber und der Historismus. Max Webers Verhältnis zur historischen Schule der Nationalökonomie und zu den zeitgenössischen deutschen Historiker, Waltrop, Spenner, 2000. 16 Cfr. soprattutto W.J. Mommsen, Max Weber e la politica tedesca: 1890-1920, Bologna, Il Mulino, 1993, p. 71. 17 Cfr. P. Schiera, Il laboratorio borghese. Scienza e politica nella Germania dell’Ottocento, Bologna, Il Mulino, 1987, pp. 185 ss. 28 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ nalmente riservato agli scienziati agrari18, cominciava ad essere stabilmente attribuito agli studiosi di economia politica. Weber lavora, quindi, ufficialmente come economista, all’interno di questo «caos di discipline»19, confrontandosi ad ampio raggio con studiosi della più diversa provenienza: partecipa attivamente al dibattito suscitato a seguito del celebre Methodenstreit tra Schmoller e Menger20; è una delle voci della cosiddetta OikosKontroverse, scoppiata tra i cosiddetti primitivisti e modernisti, vale a dire principalmente tra Bücher e Rodbertus, da una parte, e Eduard Meyer dall’altra, ma anche Beloch, Rostovtzeff, Sombart, per poi estendersi a Pöhlmann, Oertel, Hasebroeck21; apprezza le definizioni teoriche di Böhm-Bawerk e utilizza le considerazioni di Gottl; cita a più riprese Roscher, critica e apprezza al contempo Knies. Egli si muove quindi all’interno del solco aperto dalla scuola storica di economia che, negli anni della sua formazione, si sta volgendo sempre più verso le forme metodologiche proprie della Wirtschaftsgeschichte, in maniera simile alle 18 Cfr. H.H. Nau, Eine „Wissenschaft vom Menschen“: Max Weber und die Begründung der Sozialökonomik in der deutschsprachigen Ökonomie von 1871 bis 1914, Berlin, Duncker & Humblot, 1997, p. 35; cfr. inoltre K. Häuser, Historical School and “Methodenstreit, «Journal of Institutional and Theoretical Economics», 2/144, 1988, pp. 532-542, qui p. 533. 19 Cfr. Schiera, Il laboratorio borghese cit., p. 183, il quale riprende un’espressione di Georg Meyer. 20 Cfr. su ciò C. Colliot-Thélène, Entre économie, histoire et sociologie: les enjeux du “Methodenstreit”, in J.F. Kervégan, H. Mohnhaupt (a cura di), Wirtschaft und Wirtschaftstheorien in Rechtsgeschichte und Philosophie/ Économie et théories economiques en histoire du droit et en philosophie, Frankfurt am Main, Max Planck Institut für Europäische Rechtsgeschichte, 2004; R. Hansen, Der Methodenstreit in den Sozialwissenschaften zwischen Gustav Schmoller und Carl Menger, seine wissenschaftliche und wissenschaftstheoretische Bedeutung, in A. Diener (a cura di), Beiträge zur Entwicklung der Wissenschaftstheorie im 19. Jahrhundert, Vorträge und Diskussion im Dezember 1965 und 1966 in Düsseldorf, Meisenheim, Hain, 1968, pp. 137-173; G.G. Iggers, The Methodenstreit in International Perspective. The Reorientation of Historical Studies at the Turn from the 19th to the 20th Century, «Storia della Storiografia», 6, 1984, pp. 21-32. 21 Cfr. H. Derks, Über die Faszination des „Haus-Konzeptes“, «Geschichte und Gesellschaft», 1/22, 1996, pp. 221-242; S. Weiss, Otto Brunner und das Ganze Haus oder zwei Arten der Wirtschaftsgeschichte, «Historische Zeitschrift», 2/273, 2001, pp. 335-369, qui in particolare pp. 356-357. 1. ECONOMIA E FORME ASSOCIATIVE 29 ricerche svolte in ambito inglese, con le quali però, almeno per quanto riguarda Weber, non è facile stabilire se sia esistito un rapporto22. Weber considera al contempo con grande attenzione le suggestioni provenienti dalla scuola austriaca, e non è scorretto affermare che nei suoi lavori successivi alla malattia si possa leggere un tentativo di mediazione tra le due scuole; che la sua attività sia pensabile, in altre parole, come una sorta di simbiosi tra direzione teorica e storica23, purché si tenga sempre presente la forte influenza di Marx, che Weber comincia a leggere già a partire dai primi anni Novanta, e la cui importanza è inversamente proporzionale alla frequenza con cui viene citato. Nell’avvicinarsi ad un’analisi della terminologia adottata si dovranno tenere presenti queste differenziate influenze, e in particolare lo sforzo di mediazione tra esigenze di carattere storico ed esigenze di carattere teorico. Procedendo cronologicamente si dovrà partire dal Grundriss del 189824. Wirtschaften designa qui una «forma specifica della tensione esteriore verso lo scopo», vale a dire un «comportamento pianificato» di fronte alla natura e agli altri uomini, determinato da una serie di bisogni, siano essi «materiali» o «ideali», i quali necessitano per la loro soddisfazione di «mezzi esteriori», e che «servono allo scopo della futura sussistenza»25. Questa prima definizione, modellata sulla base del nesso bisogno/soddisfazione in una situazione di scarsità – tipico dei modelli teorici della 22 Cfr. K. Tribe, Historical Schools of Economics: German and English, «Keele Economics Research Papers», 2, 2002, Social Science Research Network, <http:// papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=316689>, aprile, 2013; Id., The ‘Histories’ of Economic Discourse, in Id., Genealogies of capitalism, London, Macmillan 1981, pp. 121-152; R. Tilly, Einige Bemerkungen zur theoretischen Basis der modernen Wirtschaftsgeschichte, «Jahrbuch für Wirtschaftsgeschichte», 1, 1994, pp. 131-149. 23 Cfr. W. Hennis, „Die volle Nüchternheit des Urteils“. Max Weber zwischen Carl Menger und Gustav von Schmoller. Zum hochschulpolitischen Hintergrund des Wertfreiheitspostulat, in G. Wagner, H. Zipprian (a cura di), Max Weber Wissenschaftslehre, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1994, qui p. 108. 24 Cfr. MWG III/1, in particolare pp. 118-154. Cfr. anche M. Weber, Grundriss zu den Vorlesungen über allgemeine („theoretische“) Nationalökonomie (1898), Tübingen, Mohr, 1990 (d’ora in poi GV). 25 MWG III/1, p. 122 (GV, p. 29). MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ 30 scuola austriaca – deve possedere per Weber un carattere storico. Più precisamente, ad essere storicamente determinabile è il grado di agire economico organizzato, il quale, seppur in nuce sempre presente, può variare sulla base di una serie di criteri (razza, lavoro, educazione, intelletto, carattere). L’agire economico dell’uomo, o meglio la disposizione alla soddisfazione organizzata dei bisogni in una situazione di scarsità, non è pertanto conseguenza di una petitio principii di carattere meramente teorico, ma il frutto di un processo plurisecolare di adattamento26. Si fondono all’interno della definizione perlomeno tre elementi: una formulazione derivata principalmente dalla scuola austriaca (1) viene distribuita su un piano storico (2), mediante l’impiego di un concetto, quello di adattamento (Anpassung), di chiara derivazione evoluzionista (3). Il grado acquisito di capacità di agire in maniera organizzata sulla base del nesso bisogno/soddisfazione, che assume quindi inevitabilmente la forma di un impulso di carattere psicologico e individuale, è il frutto di un processo storico durato secoli, il quale è destinato quindi a presentarsi nella dimensione temporale secondo le forme più disparate, a vari livelli di intensità. Tale capacità non rappresenta quindi una costante dell’agire storicamente determinato, ma piuttosto della prospettiva teorica adottata. Detto in altri termini: determinare storicamente le strutture del Wirtschaften significa cogliere subliminalmente le tappe di una progressiva consapevolezza da parte dell’agente della specificità del proprio agire economico. L’homo oeconomicus moderno, punto di partenza della teoria economica pura, è al contempo, da un punto di vista storico, il caput mortuum di questo processo, e designa l’uomo che è finalmente divenuto consapevole dell’economicità di determinate proprie azioni. La teoria economica, con le sue astrazioni, permette di cogliere i «fenomeni di vita» elementari di questo tipo umano pienamente educato (voll erzogen) a cogliere la peculiarità del proprio agire. Se quello che si cerca di cogliere storicamente è un processo progressivo di educazione, ne consegue necessariamente che la ricerca possa anche non presen26 Ibid. 1. ECONOMIA E FORME ASSOCIATIVE 31 tare alcun risultato; è possibile in altri termini che, sulla base della definizione fornita, vi siano contesti storici nei quali non è individuabile alcuna forma di agire economico (intenzionale). Ne consegue una prospettiva in cui «l’intera storia economica dell’Occidente è la storia dell’espansione qualitativa degli stati del bisogno (Bedürfnisstände)». La terminologia di matrice evoluzionista verrà, nelle definizioni successive, sostanzialmente abbandonata, per essere poi ripresa in altri luoghi, principalmente nelle ricerche sulle condizioni dei lavoratori di fabbrica, all’interno di un contesto di analisi che contribuirà a fornire all’utilizzo di determinati concetti una torsione in gran parte differente27. Interessante, inoltre, sottolineare come non compaia mai l’aggettivo razionale per definire l’agire economico; esso è in parte sostituito dall’aggettivo sistematico (planvoll), che sarà ripreso da Weber anche in una definizione successiva28. Peculiare è inoltre l’ibrida prospettiva teorica adottata, anche in riferimento al suo protagonista principale: il soggetto economico („Wirtschaftssubjekt“). Esso si distingue dall’uomo empirico (empirischer Mensch)29 in quanto frutto di una costruzione teorica, nel senso che, nelle forme del suo agire, vengono escluse dalla considerazione tutte le componenti non identificabili come immediatamente economiche, e in quanto vengono inoltre presupposte una completa conoscenza della situazione economica, una conoscenza enciclopedica dei mezzi più adatti per raggiungere lo scopo, e un utilizzo completo delle forze al servizio della propria attività economica30. Allo stesso tempo, però, una tale definizione irrealistica, analoga 27 Cfr. in particolare M. Weber, Erhebungen über Auslese und Anpassung (Berufswahl und Berufsschicksal) der Arbeiterschaft der geschlossenen Großindustrie, in MWG I/11, pp. 63-149; tr. it. Metodo e ricerca nella grande industria, Milano, Franco Angeli, 1983, pp. 67-119. La versione italiana traduce però il testo contenuto in GASS pp. 1-60, dal titolo Methodologische Einleitung für die Erhebungen des Vereins für Sozialpolitik über Auslese und Anpassung (Berufswahlen und Berufsschicksal) der Arbeiterschaft der geschlossenen Großindustrie. 28 Precisamente, nel saggio sull’oggettività del 1904; su ciò si veda oltre. 29 MWG III/1, p. 122-123 (GV, p. 30). 30 Ibid. Le espressioni utilizzate da Weber sono: wirtschaftende Allwissenheit, absolute „Wirtschaftlichkeit“, „trägheitslosen Erwerbstrieb“. MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ 32 ad un’«ideale figura matematica»31, viene concepita nella sua storicità. In altri termini, la definizione astratta e teorica di uomo economico così formulata sarà tanto più adeguata a descrivere i fenomeni economici presi in considerazione quanto più l’uomo empirico si avvicina al tipo umano dell’uomo occidentale, completamente educato all’agire economico organizzato. Nonostante la definizione astratta, quindi, il punto di vista dell’uomo rimane decisivo. La Nationalökonomie «è una scienza non della natura e delle sue caratteristiche, ma dell’uomo e dei suoi bisogni»32. Una differente formulazione dell’oggetto dell’economia politica viene fornita da Weber nel famoso saggio introduttivo alla fondazione dell’Archiv für Sozialwissenschaft und Sozialpolitik, del 1904. Lo scopo, com’è noto, è quello di definire anzitutto, attraverso un contributo di carattere primariamente metodologico, i confini di quella che egli definisce la nostra disciplina, la Nationalökonomie appunto. L’assunzione di base è formulata nelle brevi ed intense pagine della nota introduttiva, cofirmata assieme a Sombart e E. Jaffè33, nella quale si esplicita che il problema scientifico fondamentale di cui la rivista intende mettersi al servizio è quello della «conoscenza storica e teorica del significato culturale generale dello sviluppo capitalistico», prendendo le mosse da un punto di vista specifico, «quello del condi- 31 Ibid. Cfr. MWG III/1, p. 125 (GV, p. 32): «Entscheidend ist der Standpunkt des Menschen. Die Nationalökonomie ist Wissenschaft nicht von der Natur und ihre Eigenschaften, sondern vom Menschen und seinen Bedürfnissen». 33 Contrariamente a quanto finora sostenuto, una recente indagine di P. Ghosh tenta di mostrare con argomentazioni puntuali e filologicamente fondate che il Geleitwort del 1904 sarebbe stato scritto anzitutto da Werner Sombart, e solo revisionato da Weber. Cfr. P. Ghosh, Max Weber, Werner Sombart and the “Archiv fur Sozialwissenschaft”: The Authorship of the ‘Geleitwort’ (1904), «History of European Ideas», 1/26, 2010, pp. 71-100. Al di là della questione sulla paternità del testo – che pare a questo punto riaperta – considerando il pedante atteggiamento di Weber sui testi scritti, è difficile dubitare del fatto che, firmando il testo, egli ne approvasse e condividesse interamente il contenuto. Senza entrare nel merito della questione, si segnala inoltre una forte affinità testuale tra alcuni passi del Geleitwort e alcuni testi metodologici weberiani, in particolare il noto saggio sull’oggettività delle scienze sociali. 32 1. ECONOMIA E FORME ASSOCIATIVE 33 zionamento economico dei fenomeni culturali»34. Lo spettro della definizione dovrà qui necessariamente essere più ampio, e la dimensione storica dell’indagine dovrà essere tenuta in primo piano. Weber, infatti, fornisce una delimitazione dell’ambito di ricerca ad ampio raggio, confrontandosi esplicitamente con Marx e con la cosiddetta concezione materialistica della storia. Anche in questo caso, il punto di imputazione della definizione è il nesso bisogno/soddisfazione, espresso tuttavia in forma più narrativa e concettualmente meno rigorosa. Che la nostra esistenza fisica, al pari del soddisfacimento (Befriedigung) dei nostri più alti bisogni ideali, si scontri sempre con la limitatezza quantitativa (quantitative Begrenztheit) e l’insufficienza qualitativa (qualitative Unzulänglichkeit) dei mezzi esterni che occorrono a tale scopo, e che per tale soddisfacimento ci sia appunto bisogno di una cura organizzata (der planvollen Vorsorge) e del lavoro, della lotta contro la natura e dell’associazione tra gli uomini, questo è – espresso in forma quanto mai imprecisa – il fatto fondamentale (grundlegende Tatbestand) al quale si riferiscono tutti quei fenomeni che noi indichiamo, nel senso più ampio, come “economicosociali”. La qualità di un processo, che lo rende un fenomeno “economicosociale”, non è qualcosa che inerisca ad esso come tale, “oggettivamente”. Essa è piuttosto condizionata dall’orientamento del nostro interesse, quale risulta dallo specifico significato culturale che noi attribuiamo nel caso particolare al processo in questione. Ogniqualvolta un processo della vita culturale, considerato in quegli aspetti della sua peculiarità su cui riposa per noi il suo significato specifico, è ancorato in maniera diretta – o anche in maniera mediata – a quel fatto fondamentale, esso contiene, oppure può per lo meno contenere, nella misura in cui ciò accade, un problema di scienza sociale, vale a dire un compito per una disciplina che si propone per oggetto la chiarificazione della portata di quel fatto fondamentale35. 34 Cfr. Geleitwort (Metodo, p. 144). Esplicitamente dedicato a queste poche pagine introduttive è l’articolo di P. Pasquino, Scienza e cultura. Osservazioni a proposito della prefazione al XIX volume dell’“Archiv für Sozialwissenschaft und Sozialpolitik”, in Losito, Schiera, Max Weber e le scienze sociali del suo tempo, cit., pp. 101-108; cfr. inoltre F. Lenger, Max Weber, Werner Sombart und der Geist des modernen Kapitalismus, in E. Hanke, W.J. Mommsen (a cura di), Max Webers Herrschaftssoziologie. Studien zur Entstehung und Wirkung, Tübingen, Mohr, 2001, pp. 167-186. 35 OJ, WL, p. 161 (Metodo, p. 162). MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ 34 Una definizione ampia, quindi, che deve poter comprendere entro sé il vasto spettro di tematiche di cui la rivista intende occuparsi: i problemi pratici della politica economica e sociale, come la condizione dei lavoratori nell’industria, che troverà ampio spazio nelle pagine dell’Archiv, ma anche questioni di carattere più marcatamente teorico, concernenti lo statuto metodologico delle discipline economico-sociali. Altri temi possono riguardare questioni di carattere storico, spesso intrecciate, all’interno del dibattito del tempo, sia agli aspetti di politica economica che alle questioni prettamente teoriche: si tratta di un punto rilevante, tant’è che Weber assegna alla «ricerca scientifica del significato culturale generale della struttura economico-sociale della vita della comunità umana e delle sue forme storiche di organizzazione» il campo di lavoro più peculiare della rivista36. Più ampie sono anche le categorizzazioni proposte, in quanto la rivista, «come del resto la scienza economico-sociale da Marx e da Wilhelm Roscher»37, non si occupa esclusivamente di fenomeni economici, ma anche appunto di fenomeni «economicamente rilevanti», o «condizionati economicamente». Tali categorizzazioni sono citate qui solamente a guisa di esempi, e le si nomina in quanto rappresentano la prima formulazione ufficiale delle rigide categorie che saranno poi collocate nelle pagine di Economia e Società38. Il nesso tra mezzi (limitati) e bisogni domina anche le pagine di Economia e Società dedicate alla definizione del rapporto tra l’economia e le varie forme di comunità. Perlomeno in questa sede vogliamo parlare di economia piuttosto laddove a un bisogno (Bedürfnis) o a un complesso di bisogni si contrappone una riserva relativamente esigua, secondo la valutazione degli individui agenti, di mezzi e di azioni possibili per il suo soddisfacimento (Deckung) e questo fatto diventa la causa di un comportamento che ne tiene specificamente conto. Ma va da sé che, per l’agire razionale rispetto allo scopo, è decisivo 36 OJ, WL, p. 163 (Metodo, p. 164). Ibid. 38 All’interno delle Categorie sociologiche fondamentali dell’agire economico, come nelle pagine dedicate alle forme di comunità nella loro relazione con l’economia. 37 1. ECONOMIA E FORME ASSOCIATIVE 35 che questa esiguità (Knappheit) sia presupposta soggettivamente e che l’agire si orienti in base ad essa39. Come confermato dallo stesso Weber in una lettera a Paul Siebeck40, lo scopo dell’esposizione è qui quello di presentare una teoria di tutte le più importanti forme di comunità nella loro relazione con l’economia. La definizione viene presentata quindi all’interno di un percorso argomentativo di esplicito carattere storico-categoriale, e funge evidentemente da criterio regolativo della selezione del materiale e del taglio interpretativo prescelto. Ogni comunità sarà analizzata nella propria specificità tipicoideale; al contempo essa sarà considerata nella misura in cui l’agire di comunità che è rintracciabile al suo interno si pone in relazione con l’economia. In questo modo essa potrà essere definita una comunità economica (Wirtschaftsgemeinschaft)41, nella misura in cui l’agire soggettivamente inteso dei partecipanti è indirizzato a risultati puramente economici. Se invece è presente una forma di agire economico, ma non primariamente diretto a risultati economici, si potrà parlare di comunità econome (wirtschaftende Gemeinschaften)42. Può inoltre darsi la possibilità che nell’agire di comunità non sia presente nessuna di queste due forme di azione, e che esso sia semplicemente condeterminato da cause economiche. È il caso per esempio di una passeggiata tra amici: essa non è volta a risultati economici, né direttamente, né indirettamente. Tuttavia, per camminare, serviranno delle scarpe, le quali dovranno essere state prodotte o acquistate in qualche modo, e il cui utilizzo rimanda quindi a una «situazione economica». Si parlerà in questo caso di «agire (di comunità) economicamente determinato» (ökonomisch determinierter Gemeinschaftshandeln)43. Con queste prime categorizzazioni, implementate in seguito con l’analisi delle forme comunitarie più 39 40 41 42 43 MWG I/22-1, p. 78 (Comunità, p. 12); WuG, I, p. 199 (ES, II, p. 31). Brief an Paul Siebeck, 30.12.1913, in MWG II/8, pp. 448-450. MWG I/22-1, p. 79, (Comunità, p.13); WuG, I, p. 200 (ES, II, p. 32). Ibid. MWG I/22-1, p. 80 (Comunità, p. 14); WuG, I, p. 200 (ES, II, p. 33). 36 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ rilevanti, Weber copre l’intero spettro dell’agire (economico). Se infatti un agire di comunità che non costituisca né una comunità economica né una comunità economa è piuttosto frequente, comunità che non siano in qualche modo economicamente determinate sono molto rare. Queste categorie dell’agire economico riprendono nella sostanza le distinzioni già accennate nel saggio sull’oggettività44. Gli stessi esempi addotti di ogni singolo agire sono sovrapponibili. A mutare è piuttosto la terminologia adottata, che qui si presenta secondo delle formulazioni rigorose, con uno strumentario concettuale che sarà in gran parte ripreso nelle Categorie sociologiche fondamentali dell’agire economico. Inoltre, viene qui introdotto il riferimento cruciale alla (potenziale) razionalità dell’agire, che non sarà più abbandonato. Esso compare accostato ad un’altra distinzione categoriale, altrettanto fondamentale, tra le due forme basilari dell’agire economico: l’agire in vista dell’acquisizione sul mercato (Erwerbwirtschaft), e l’agire in vista della copertura del fabbisogno (Haushalt)45. La comparsa in contemporanea del riferimento alla potenziale razionalità dell’agire economico e della distinzione tra queste due forme di azione, che si manifesta qui nella forma di un’apparente giustapposizione, è in realtà cruciale, in quanto l’emergere della questione della razionalità (e della razionalizzazione) dell’agire è 44 Con riferimento alle distinzioni concettuali presentate nel saggio sull’oggettività, F. Ferrarotti parla di una «tripartizione dei fenomeni sociali», e di una «visione tripartita della “realtà” sociale», in contrapposizione alla concezione materialistica della storia. Cfr. F. Ferrarotti, Max Weber e il destino della ragione, Roma-Bari, Laterza, 1985, p. 86. 45 Secondo Derks, con questa distinzione Weber riprende la dicotomia tra economica e crematistica. Cfr. Derks, Über die Faszination des „Haus-Konzeptes“, cit., p. 231. W. Schluchter ben riassume la struttura dell’opposizione concettuale, cfr. Schluchter, Il paradosso della razionalizzazione cit., p. 60: «La differenza tra economia domestica ed economia acquisitiva costituisce il nucleo della sociologia economica weberiana, differenza che, dal punto di vista istituzionale, corrisponde a quella tra economia domestica ed impresa acquisitiva. Queste due forme fondamentali dell’agire economico “non rappresentano alternative esclusive”, ogni unità economica concreta realizza, combinandole, entrambe le forme. In ogni caso sia l’una che l’altra forma possono svolgere un ruolo di primo piano e questo può avvenire dal punto di vista sistematico e da quello storico. Le due forme possono essere razionalizzate: esiste, infatti, un’economia domestica di tipo razionale ed un’impresa acquisitiva razionale». 1. ECONOMIA E FORME ASSOCIATIVE 37 strettamente legato alle forme di trapasso da una forma di agire all’altra. La questione della razionalità (e la conseguente irrazionalità) dell’agire economico è al centro delle formulazioni delle cosiddette Categorie sociologiche fondamentali dell’agire economico. Se anche qui vengono proposte delle distinzioni tra i vari tipi di agire, distinti in «agire economico», «agire economicamente orientato», «agire economico razionale», «comunità economica», «comunità economicamente attiva», è piuttosto la definizione di economia e di agire economico a presentare qualche novità, tanto da far pensare che, nel testo in questione, più che una sociologia economica, Weber abbia inteso presentare la genesi e lo sviluppo della moderna impresa razionale46. Dovendo configurarsi in modo da comprendere la moderna economia acquisitiva, l’«agire economico […] non deve partire dai “bisogni di consumo” e dalla loro “soddisfazione”, ma deve muovere […] dal fatto che si cerca di assicurare la copertura di questa richiesta mediante uno sforzo inteso a procurare i mezzi necessari (per quanto esso sia primitivo o acquistato su base tradizionale)»47. La definizione pare in effetti tagliata appositamente per comprendere primariamente entro sé la moderna impresa acquisitiva, la quale, com’è noto, non agisce sulla base del nesso bisogno/soddisfazione, ma in base alla redditività. Le categorie proposte sono volte quindi anzitutto a fornire gli strumenti concettuali per descrivere la situazione razionale dell’organizzazione della vita moderna e del suo fulcro centrale (l’impresa, appunto), nella sua distinzione qualitativa rispetto alle forme precedenti dell’agire economico (anzitutto la comunità domestica). Come si può notare dall’uso di termini quali primitivo o tradizionale, e comunque da numerosissimi esempi disseminati all’interno del testo, l’intento di fondo rimane comunque quello di proporre una serie di categorie formali che possa fungere da base per una classificazione dei fenomeni storici. La storia rimane 46 Cfr. S. Jagd, Weber’s Last Theory of the Modern Business Enterprise, «Max Weber Studies», 2/2, 2002, pp. 210-238. 47 WuG, I, p. 32 (ES, I, p. 58). 38 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ pertanto sempre al centro della riflessione weberiana, la quale non si spinge mai fino a fornire formulazioni concettuali puramente astratte, che pur Weber apprezzava, ma che non erano al centro dei suoi interessi48. Anche in questo testo di mera definizione concettuale l’interesse di Weber rimane pertanto quello di fornire degli strumenti per comprendere la singolarità qualitativa del mondo moderno e del suo modo di produzione, la quale può essere colta solo facendo riferimento a qualcos’altro, differenziandosi da esso. Si può pertanto sensatamente comprendere per quale motivo sia le classificazioni categoriali che le definizioni weberiane si costruiscano sempre attraverso delle opposizioni concettuali: agire acquisitivo e agire per il fabbisogno; comunità domestica e impresa; razionalità e tradizione; tradizione e convenzione; più in generale, la peculiarità del mondo moderno rispetto alle altre forme storicamente date di organizzazione della vita associata. Seguendo l’evoluzione della terminologia weberiana è possibile coglierne le vie della progressiva formalizzazione, la quale procede di pari passo con il crescente rigore concettuale. Allo stesso tempo è possibile cogliere come il riferimento alla storia, pur sempre presente, perda progressivamente di rilevanza a favore della crescente autonomia della formulazioni, le quali da un lato danno forma al fenomeno storico (di per sé non solo informe, ma anche privo di senso), e dall’altro, nelle concrete modalità proposte, si mostrano sempre più adeguate alle strutture economiche e associative contemporanee a Weber. Ciò appare con la massima chiarezza nelle ultime definizioni, contenute nelle lezioni di storia economica. Il nesso bisogno/ soddisfazione agisce ancora sullo sfondo: «ogni agire economico», infatti, «è condizionato costantemente dalla scarsità di 48 Cfr. G. Poggi, Calvinismo e spirito del capitalismo, Bologna, Il Mulino, 1984, pp. 30-31, per il quale si ritrovano nel testo le «impostazioni istituzionali» che conseguono alla cristallizzazione delle linee d’azione legate al Wirtschaften del soggetto individuale e collettivo, in modo che «la trattazione diviene precipuamente una disamina sottile, rigorosa, di tutta una gamma di siffatte impostazioni istituzionali. Weber naturalmente ricava quelle impostazioni dalle sue vastissime conoscenze storiche». 1. ECONOMIA E FORME ASSOCIATIVE 39 mezzi ed è orientato ad essa»49, ma non rientra più nella definizione di economia, che viene qui definita come «un agire guidato in modo unitario in virtù della propria forza di disporre, in quanto è determinato dall’orientamento a ottenere prestazioni di utilità e le loro chances»50. Il riferimento alla soddisfazione dei bisogni in situazione di scarsità perde qui di importanza, per far emergere in primo piano il vero oggetto dell’agire economico: l’orientamento in vista della produzione di prestazioni di utilità e della loro distribuzione sul mercato. Sono l’impresa e le sue forme di organizzazione e gestione ad occupare ora gli interessi di Weber, il quale aveva alle spalle anni di ricerche sulla condizione dei lavoratori all’interno della grande industria, e aveva egli stesso per qualche tempo frequentato una fabbrica tessile a Oerlingenhausen51. Ciononostante, l’impresa non è mai assunta esplicitamente come oggetto a sé, e Weber rivendica a più riprese la convinzione di compiere delle ricerche di sociologia economica, disciplina che, nella sua concezione, non fu mai distinta dall’ancoraggio alla datità storica. Anche nelle lezioni di storia economica, pertanto, i due tipi fondamentali di economia rimangono l’amministrazione domestica, da un lato, e l’economia acquisitiva, dall’altro. Nonostante i due tipi siano connessi tra loro attraverso «livelli di transizione», nella loro «forma pura» costituiscono delle «opposizioni concettuali»52. Weber tiene pertanto aperte entrambe le strade, quella della mera classificazione concettuale e quella dell’analisi del trapasso da una forma all’altra, in quanto proprio in questa trasformazione ha luogo uno di quei processi di razionalizzazione delle forme di vita (comunitarie e societarie) che costituiscono il vero centro focale del suo interesse. È possibile notare come la definizione di storia economica fornita nelle lezioni del 1920 rappresenti una sorta di correzione della definizione del Grundriss, con la sostituzione 49 50 51 52 MWG III/6, p. 82 (Wg, p. 2; SE, pp. 3-4). MWG III/6, p. 82 (Wg, p. 2; SE, p. 4). M. Weber, Max Weber. Una biografia, Bologna, Il Mulino, 1995, p. 473. MWG III/6, p. 85 (Wg, p. 6; SE, p. 7). MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ 40 del termine Bedürfnisstände con il termine Rationalismus: «L’intera storia dell’economia è la storia del razionalismo economico costruito sul calcolo oggi vittorioso»53. La trasformazione della comunità domestica in impresa non è più solamente una questione di storia del diritto, mediante la quale descrivere la genesi di un istituto, per quanto importante, come la società commerciale54. Essa diviene il luogo dell’emergere, all’interno della sfera dell’economia, del motivo della calcolabilità, e, attraverso di esso, di quella peculiare forma di razionalismo economico oggi vincente, di cui si deve narrare la storia. Per comprendere per quali motivi tale passaggio sia rite- 53 MWG III/6, p. 94 (Wg, p. 16; SE, p. 15). Com’è noto, la trasformazione della famiglia e della comunità domestica nelle prime formazioni di impresa, che avviene all’interno delle città tardo-medievali italiane, è al centro della prima pubblicazione weberiana, intitolata Zur Geschichte der Handelsgesellschaften im Mittelalter. Nach südeuropäischen Quellen, di cui è uscita nel 2008 l’edizione critica (MWG I/1). Il testo costituiva il terzo capitolo della tesi di dissertazione weberiana, coordinata da Levin Goldschmidt, dal titolo Entwickelung des Solidarhaftprinzips und des Sondervermögens der offenen Handelsgesellschaft aus den Haushalts- und Gewerbegemeinschaften in den italienischen Städten, presentata oralmente il 28 maggio 1889 e discussa pubblicamente il primo agosto dello stesso anno. Prima dell’uscita dell’edizione critica del testo, si poteva far riferimento a M. Weber, Zur Geschichte der Handelsgesellschaften im Mittelalter. Nach südeuropäischen Quellen, Stuttgart, Enke, 1889, oppure a Id., Gesammelte Aufsätze zur Sozial- und Wirtschaftsgeschichte, Tübingen, Mohr, 1924, pp. 312-443. Nonostante il testo giovanile weberiano non sia qui analiticamente preso in considerazione, non si mancheranno di evidenziare eventuali confluenze con le argomentazioni presentate in Economia e Società. Sul testo del 1889, oltre naturalmente all’Einleitung dell’edizione critica curata da G. Dilcher (MWG I/1, pp. 1-97), è possible consultare anzitutto gli ottimi lavori di R. Marra. Cfr. R. Marra, Dalla comunità al diritto moderno. La formazione giuridica di Max Weber 1882-1889, Torino, Giappichelli, 1992; Id., La libertà degli ultimi uomini. Studi sul pensiero giuridico e politico di Max Weber, Torino, Giappichelli, 1995. Cfr. inoltre: L. Kaelber, Introduction, in M. Weber, The History of Commercial Partnerships in the Middle Ages, Lanham/Boulder/New York/Oxford, Roman & Littlefield Publishers, 2003; Id., Max Weber’s Dissertation, «History of the Human Sciences», 2/16, 2003, pp. 27-56; J. Winckelmann, Max Webers Dissertation (1889), «Kölner Zeitschrift für Soziologie und Sozialpsycologie», 7, 1963, pp. 10-12; F. Ferraresi, Il fantasma della comunità. Concetti politici e scienza sociale in Max Weber, Milano, Franco Angeli, 2003, pp. 22 ss.; A. Petrillo, Max Weber e la sociologia della città, Milano, Franco Angeli, 2001, pp. 106-113; R. Melot, Le capitalisme médiéval entre communauté et société: retour sur les travaux d’histoire du droit de Max Weber, «Revue française de sociologie», 4/46, 2005, pp. 745-766. 54 1. ECONOMIA E FORME ASSOCIATIVE 41 nuto da Weber così cruciale, è necessario procedere oltre le mere classificazioni, per inoltrarsi progressivamente in considerazioni più analitiche, senza perdere il filo della metodologia utilizzata, e, soprattutto, dell’interesse di fondo dello studioso. Seguiranno pertanto alcune considerazioni relative ai luoghi in cui Weber ha affrontato più diffusamente l’analisi delle caratteristiche della comunità domestica. 2. Haushalt tra economia e non-economicità: Riehl, Tönnies, Gierke, Brunner La comunità domestica è il ricettacolo dell’emergere del motivo della calcolabilità, ed è considerata una comunità economica dalle caratteristiche piuttosto peculiari. Weber dedica ad essa un paragrafo di Economia e Società, in una sezione in cui il proposito esplicito della ricerca è quello di indagare le «forme generali di struttura delle comunità umane» in relazione all’«economia». Le formazioni comunitarie vengono quindi considerate solamente in quanto producono delle «forme strutturali specificamente configurate» di agire di comunità, che siano «economicamente rilevanti»55. L’Hausgemeinschaft è quindi qui considerata in quanto unità economica, e viene inserita direttamente nel novero delle Wirtschaftsgemeinschaften, anzi, essa viene definita come la «“comunità economica” più diffusa in senso universale»56. Un’economicità, quella della comunità domestica, che appare fin dall’inizio problematica, in quanto la complessità dell’istituto, che è pur necessario descrivere per darne in qualche modo una definizione, esorbita rispetto alle maglie strette della selezione concettuale degli elementi economicamente rilevanti. Da un lato, quindi, la qualificazione della comunità domestica come comunità economica pare dettata da motivazioni di primario carattere metodologico. L’indagine specialistica è volta, all’interno 55 56 MWG I/22-1, p. 114 (Comunità, p. 64); WuG, I, p. 200 (ES, II, p. 53). MWG I/22-1, p. 118 (Comunità, p. 68); WuG, I, p. 214 (ES, II, p. 56). 42 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ delle infinite variabili che caratterizzano l’agire di comunità, solo a quelle componenti che si ritengono rilevanti dal punto di vista economico. Si tratta quindi di selezionarle, all’interno di un raggruppamento umano che è anche e soprattutto qualcosa di ulteriore rispetto alle sue determinanti economiche: simile cernita risponderebbe perciò all’esigenza di condurre l’indagine sulla base del taglio interpretativo prescelto. Dall’altro lato, le componenti economiche evidenziate sembrano, nel concreto dell’argomentazione, rappresentare i fattori costitutivi della comunità. Detto in altri termini, la comunità potrebbe continuare a sussistere se venissero meno altri fattori, ma sarebbe inevitabilmente destinata al tramonto se venisse a mancare l’elemento dell’Haushalt, che nel testo designa la cura comune per il sostentamento (Versorgung). Lo si dice esplicitamente quando, in riferimento alle pur importanti relazioni interpersonali tra madre, padre e figlio, le si definisce «affatto labili e problematiche» nel caso venga a mancare la comunità di sostentamento (Versorgungsgemeinschaft). Lo stesso termine Haushalt appare, ad una prima analisi, ambiguo, in quanto esso pare quasi coincidere con tale «cura organizzata» per il sostentamento, nonostante Weber affermi che Haushalt e «comunità di sostentamento» vadano, almeno concettualmente, distinti. Ad acuire tale ambiguità è il fatto che, nella coppia oppositiva Haushalt-Erwerb, se il secondo termine appare spesso utilizzato come prefisso (Erwerbswirtschaft, Erwerbsassoziation, Erwerbsbetrieb) ciò non vale allo stesso modo per il termine Haushalt57. L’Haushalt e quella peculiare forma di agire economico che si sviluppa al suo interno sembrano qui identificarsi fino quasi a coincidere. A rigor di logica, essi tuttavia non dovrebbero coincidere: l’Haushalt è infatti una forma di comunità, all’interno della quale dovrebbe quindi essere prevalente una relazione sociale in cui, stando alla celebre definizione weberiana, «la disposizione all’agire sociale poggia su una comune appartenenza soggettivamente sentita 57 Il termine Haushaltswirtschaften compare nell’intera opera weberiana una sola volta (in WuG, I, p. 90 - ES, I, p. 155). 1. ECONOMIA E FORME ASSOCIATIVE 43 (affettiva o tradizionale) degli individui che ad essa partecipano». Ciò che tiene assieme la comunità, in altre parole, è un fondamento di origine affettiva, emotiva o tradizionale. Tali legami si possono certamente formare anche all’interno di un’«unione di scopo», costruita per definizione sulla base di una serie di interessi intersecantesi in vista di un fine (una «situazione di interessi»): ciò può portare alla creazione di forme indirette di accomunamento, all’interno però di una aggregazione che, se si vuol far reggere la distinzione concettuale, dev’essere convenzionalmente definita come sociazione58. Qui invece ci si trova di fronte ad una forma comunitaria, l’Haushalt, in cui alcuni elementi che la caratterizzano in quanto tale si trovano al contempo subordinati all’elemento economico, il quale è a sua volta legato al raggiungimento di uno scopo comune, quello del sostentamento. L’impasse, che probabilmente è solo teorica, indica tuttavia una questione: o l’elemento economico, così come viene definito, non è il fattore costitutivo del raggruppamento umano indagato, oppure il peculiare Wirtschaften che lo caratterizza (fino quasi ad identificarsi con esso) non è pensabile come una mera unione di scopo, come nel caso di una fabbrica moderna. Esso indica quindi qualcosa di ulteriore, su cui è utile soffermarsi. L’Haushalt comprende un agire di comunità «continuativo e molto intensivo»59: questo tuttavia non concerne ciò che Weber considera il suo fondamento, ovvero la comune economia domestica. L’agire per la copertura del fabbisogno è infatti, per la sua stessa natura, occasionale, e quindi in ultima analisi irrazionale dal punto di vista economico, in contrasto appunto con la continuità razionale dell’esercizio d’impresa. Tale continuità riguarda perciò necessariamente qualcos’altro: non le relazioni sessuali, già definite come 58 Sulle costellazioni concettuali ruotanti attorno ai concetti di Gemeinschaft/ Gesellschaft e Vergemeinschaftung/Vergesellschaftung, cfr. G. Fitzi, Un problema linguistico-concettuale nelle traduzioni di Weber: “comunità”, «Filosofia Politica», 2/8, 1994, pp. 257-268; K. Lichtblau, „Vergemeinschaftung“ und „Vergesellschaftung“ bei Max Weber. Eine Rekonstruktion seines Sprachgebrauchs, «Zeitschrift für Soziologie», 6/29, 2000, pp. 423-443. 59 MWG I/22-1, p. 118 (Comunità, p. 68); WuG, I, p. 214 (ES, II, p. 56). MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ 44 «labili e problematiche», ma piuttosto le relazioni di reverenza e di autorità, le quali sono a loro volta il «fondamento di numerose comunità umane al di fuori di essa»60. L’Haushalt pare dunque inserito all’interno di una serie di relazioni che esorbita necessariamente rispetto alla sua «chiusura verso l’interno»61, concepita solo dal punto di vista economico, e pare estendere verso l’esterno la sua influenza, in quanto «fondamento» di relazioni che coinvolgono anche l’ambiente che lo circonda. È qui possibile cogliere un accenno, rispetto al quale Weber procede subito oltre, alla teoria dello Haus che costituiva, nella storiografia a lui contemporanea, una sorta di luogo comune. Grazie anche ai lavori di Otto Brunner, si ricorda spesso la concezione del ganzes Haus presente nei testi di W.H. Riehl, la cui Naturgeschichte des deutschen Volkes era opera diffusa e conosciuta, certamente anche da Weber. Proprio «reverenza e autorità» sono per Riehl il fondamento della famiglia, in contrapposizione allo Stato, dove essi sono presenti solamente «in seconda linea» e dove regna invece la «consapevolezza del diritto»62. La famiglia è qui concepita come il fondamento del costume, sulla base appunto delle relazioni di devozione e reverenza che si producono tra i membri familiari, e dalla quale procedono le «cerchie più ampie» della società e dello Stato63. Ganzes Haus è appunto quella «personalità collettiva», oggi andata perduta e ridotta a quel minimum rappresentato dalla famiglia, che fungeva da elemento di mediazione tra la vita singola e i raggruppamenti sociali. Lo Haus, il quale comprendeva oltre ai familiari anche collaboratori e conso- 60 Ibid. Il riferimento più o meno mediato non può qui che essere la teoria della geschlossene Hauswirtschaft di Rodbertus e Bücher. 62 W.H. Riehl, Naturgeschichte des deutschen Volkes, Leipzig, Kröner, 1935, p. 188: «Autorität und Pietät sind die bewegenden sittlichen Motive in der Familie. Im Staate sind sie das nicht: sie treten hier in die zweite Linie zurück, und das Rechtbewußtsein tritt an ihrer Statt in die erste Linie vor». 63 Ivi, p. 168: «Der Mann strebt in der Familie doch wieder über die Familie hinaus, aus den Familien gestaltet er die größeren Kreise der Gesellschaft und des Staates, und so wird der Staat als die letzte, dem Manne eigenste Frucht dieses Strebens zuletzt ein rein männliches Wesen». 61 1. ECONOMIA E FORME ASSOCIATIVE 45 ciati, non era solo la «cittadella del costume» (Zitadelle der Sitte)64; esso rappresentava una vera e propria tradizione65, nella quale i rapporti sedimentati da tempo immemorabile mostravano nella propria «antichità» il segno più evidente della loro autenticità66. Una fonte più diretta rispetto alla concezione dello Haus fu probabilmente Gierke, spesso citato da Weber anche nella dissertazione di dottorato. Nel suo Deutsches Genossenschaftsrecht, Gierke nomina lo Haus tedesco come una forma di «associazione unitaria», comprendente moglie, figli, non-liberi e schiavi, e unificata dall’azione dello Hausvater, al quale spetta il compito di governare i sottoposti all’interno, di rappresentarli e proteggerli verso l’esterno67, nel popolo, nell’esercito o nel tribunale. Infine, tra le influenze rilevanti, dev’essere citato lo stesso Tönnies. La «casa» (in Comunità e Società si ritrova anche l’espressione «casa come complesso»68) è una delle unità naturali che rientra nella teoria della comunità. In maniera assimilabile69 a quella weberiana, Tönnies ne indica le caratteristiche strutturali, attribuendo un ruolo peculiare agli aspetti economici, nella fattispecie all’eco64 Ivi, p. 170. Ivi, p. 202. 66 Ivi, p. 189. 67 O. von Gierke, Das deutsche Genossenschaftsrecht, Graz, Akademischer Druck u. Verlaganstalt, 1954, vol. I, pp. 14 ss. 68 F. Tönnies, Comunità e Società, Roma-Bari, Laterza, 2011, p. 52. 69 Ma non sovrapponibile: in Tönnies il passaggio dalla comunità alla società è pensato in maniera molto più netta rispetto a Weber, il quale tende piuttosto a costruire, con le sue categorie, una sorta di cassetta degli strumenti, che possa definire i fenomeni anche nella loro contemporaneità. Come abbiamo visto, tuttavia, Weber non nega che i concetti possano segnare dei livelli di transizione da uno stato all’altro. In particolare, Weber attribuisce al passaggio dalla comunità domestica all’impresa razionale un ruolo cruciale. Egli afferma che il passaggio favorisce l’emergere, dal punto di vista economico, del motivo della calcolabilità, determinando quindi una tappa cruciale del processo di razionalizzazione. Più in generale, a Weber interessa fornire concetti tipico-ideali di comunità i quali possano essere concepiti anche nelle loro forme di transizione, senza che tuttavia tale transizione sia presupposta o in qualche modo predeterminata. Allo studioso tedesco preme sfuggire dall’inclinazione diffusa, e a suo avviso euristicamente poco utile, di fornire teorie dello sviluppo, siano esse di carattere economico, politico o di altro genere. Cfr. su ciò F.H. Tenbruck, L’opera di Max Weber: metodologia e scienze sociali, in Losito, Schiera, Max Weber e le scienze sociali del suo tempo cit., pp. 25-54, qui p. 41. 65 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ 46 nomia domestica, che considera in vera e propria antitesi rispetto allo scambio, il quale «contraddice all’essenza della casa»70. Sulla falsariga dei tradizionali tre Stände della casa71, Tönnies definisce inoltre i tre strati della vita domestica, il rapporto dell’Hausvater con la donna, i discendenti e gli «elementi addetti al servizio – servi e serve»72. Al di là degli importanti riferimenti alla storiografia, è con Tönnies che ci si avvicina di più alla peculiare struttura della classificazione weberiana, e questo non tanto per le evidenti analogie nella costruzione del testo, quanto per le modalità assimilabili di mettere in relazione le caratteristiche della sfera domestica con gli aspetti specifici della sua economia. La comunità domestica, per Weber, non presuppone necessariamente una casa, e neppure una serie di relazioni sessuali durevoli. Il suo presupposto fondamentale è piuttosto «un certo grado di ricavo sistematico dei frutti della terra». Essenziale è quindi quella che Tönnies chiama la «realtà sostanziale» della terra, la quale, prima che diventi una merce come le altre (ma ciò accade, sistematicamente, solo nella sfera della società), «è qualcosa che condiziona l’uomo, lo porta e lo lega a sé»73. Le «cose» di quell’«unità naturale» rappresentata dalla comunità domestica, vale a dire anzitutto la casa (in quanto abitazione), il campo (quindi la terra), in quanto oggetto al contempo di possesso e di godi- 70 Tönnies, Comunità e Società, cit., p. 52. Tradizionalmente definiti in tedesco come eheliche Gesellschaft, väterliche Gesellschaft, herrschaftliche Gesellschaft. Il riferimento classico è la Politica di Aristotele, 1253b 5-15. Cfr. voce Wirtschaft, in Geschichtliche Grundbegriffe. Historisches Lexikon zur politisch-sozialen Sprache in Deutschland, vol. VII, p. 522; voce Haus, in Hist. Wb. Philos., vol. III; voce Familie, in Geschichtliche Grundbegriffe. Historisches Lexikon zur politisch-sozialen Sprache in Deutschland, vol. II, p. 259. 72 Tönnies, Comunità e Società, cit., p. 51. Rispetto alla tradizionale dottrina dell’economica medievale, qui Tönnies mantiene l’unitarietà del riferimento al padrone, la cui identità rimane invariata in tutte e tre le sfere con cui entra in rapporto. Nei testi medievali, lo stesso Herr mutava il proprio status a seconda della specificità del rapporto su cui esercitava il suo governo: come marito nei confronti della moglie, come padre nei confronti dei figli, come padrone nei confronti dei servi. La precisazione non è oziosa, in quanto, stando ai testi presi in considerazione, ogni specifico rapporto comporta una serie differente di oneri e disposizioni. 73 Tönnies, Comunità e Società, cit., p. 87. 71 1. ECONOMIA E FORME ASSOCIATIVE 47 mento, sono qualcosa al quale l’uomo si lega anzitutto attraverso la propria opera74. Non esiste, quindi, una distinzione netta tra il singolo, la sua attività, le cose che produce e il luogo in cui egli vive e si riproduce: l’attività del singolo trova un proprio senso e una propria collocazione solo all’interno del luogo in cui viene esercitata. Affermando che «la costituzione della convivenza è economica, cioè comunitaria (comunistica)»75, Tönnies tradisce un utilizzo antico del termine ökonomisch che non è riducibile al significato che esso avrebbe poi cominciato ad assumere a partire dal XVII secolo76. La «vita comunitaria», sviluppandosi in un rapporto durevole tra persone e cose, «trova la sua spiegazione soltanto in se stessa, poiché il suo germe – e quindi, in qualche misura, la sua realtà – è la natura delle cose»77. Se la stessa relazione tra le persone prende forma sulla base del luogo in cui essa trova collocazione, ciò equivale ad affermare che gli stessi rapporti di autorità e reverenza, e le stesse differenze tra i membri, trovano la loro spiegazione all’interno del contesto in cui si manifestano. È significativo che Tönnies sottolinei come le disposizioni del padre di famiglia potranno assumere le forme del «dominio del tutto sulle sue parti», e «della parte sulle parti»78. In tale argomentazione risuona il riferimento alla pratica ordinante del padre di famiglia, vero «principio informatore»79 della casa, rintracciabile nella lunga tradizione dei testi di economica 74 Ivi, pp. 48-49. Ivi, p. 60. 76 Il primo ad utilizzare il termine économie politique fu probabilmente Antoine de Montchrétien, cfr. A. de Montchrétien, Traicté de l’Oeconomie politique, Genève, Droz, 1999. Il riferimento è puramente convenzionale, e la comparsa del termine non coincide naturalmente con quella del concetto. Cfr. J.C. Perrot, Une histoire intellectuelle de l’Économie politique, Paris, Éditions de l’École des Hautes Études en Sciences Sociales, 1992, in particolare p. 89; J.Y. Grenyer, Come pensare la società: filosofia politica ed economia politica nei secoli XVII e XVIII, «Ricerche storiche», 1/23, 1993, pp. 45-75; G. Brazzini, Dall’economia aristotelica all’economia politica, Pisa, ETS, 1988. 77 Tönnies, Comunità e Società, cit., p. 49. 78 Ivi, p. 204. 79 L’espressione è utilizzata da D. Frigo, Il padre di famiglia, Roma, Bulzoni, 1985, p. 77. 75 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ 48 medievale, avviata in epoca moderna verso una rapida e definitiva estinzione. Una tale costituzione della comunità domestica e della sua peculiare economia è destinata a dare forma anche alle strutture associative ad essa esterne, la comunità di case, il villaggio, il contado, il territorio cittadino: la Gemeinschaft ha come base la casa, e l’economia comunitaria (espressa dalla nascita delle corporazioni, delle gilde ecc.) non si comprende che a partire dall’economia domestica. In Weber il ragionamento di Tönnies viene affinato, depotenziato della sua dimensione narrativa, e inglobato all’interno di categorie ancor più astratte, dalle quali il rapporto della singola comunità con l’economia deve emergere in primo piano. Tuttavia, la preminenza degli aspetti economici sulle relazioni interpersonali è comprensibile solo sulla base del ragionamento tönnesiano, a meno che non la si consideri una mera conseguenza della metodologia adottata, cosa che semplificherebbe un po’ troppo l’argomentazione. L’autorità del più forte e del più esperto, degli uomini di fronte alle donne e ai figli, degli abili alle armi e al lavoro di fronte agli inabili, degli adulti di fronte ai bambini, dei vecchi di fronte ai giovani80: queste forme di relazioni di autorità che costituiscono il fondamento della comunità domestica, e che si estendono poi anche a numerose comunità umane al di fuori di essa, sono pensabili solo all’interno di un certo contesto economico e, come vedremo nella successiva indagine sulle forme tradizionali di dominio, politico. Soffermandoci per ora solo sul primo aspetto, esse presuppongono pertanto una «cura organizzata» fondata primariamente sulla terra e sui «frutti» che essa è in grado di produrre, per il «ricavo sistematico» del fabbisogno quotidiano. Il modo in cui gli uomini lavorano assieme per l’ottenimento dei frutti della terra è quindi una matrice essenziale della forma che assumono le relazioni. La costituzione con al centro la casa è insomma in ultima analisi una costituzione agraria, sia essa l’organizzazione agraria nazionale tedesca come si presenta nel XVIII secolo, o gli insediamenti germanici, la cosiddetta Hufe, o la costituzione agraria 80 Cfr. MWG I/22-4, p. 248 (Dominio, pp. 184-185). 1. ECONOMIA E FORME ASSOCIATIVE 49 romana. Essa produce le sue differenze, le sue gerarchie, i suoi privilegi e i suoi specifici status, che vanno compresi nella loro necessaria integrazione con la quotidiana cura organizzata per la sopravvivenza, e, seppur considerare gli elementi economici come fattori esclusivi sia in ultima analisi scorretto, l’elemento economico possiede per ovvi motivi un’importanza di prim’ordine nella strutturazione dei rapporti sociali. Solo in questo modo è possibile comprendere l’intento weberiano di mettere in relazione l’economia con le forme più importanti di comunità: non nel senso di una storia dell’analisi economica, alla Schumpeter, ma piuttosto con l’intento di indagare la costante interrelazione reciproca tra elementi economici, legati cioè alla Versorgung, e formazione di processi di accomunamento/sociazione. Nel procedere, Weber utilizza talvolta maglie troppo strette, e la settorialità dell’indagine porta con sé in ultima analisi il rischio di un’interpretazione riduttiva di determinati elementi. Entrambi gli aspetti saranno messi in evidenza da alcune critiche di varia provenienza, sulle quali si tornerà più avanti; ciò che certamente non può essere detto è che Weber considerasse l’indagine settoriale come esaustiva per la comprensione del fenomeno storico di volta in volta descritto. Nel caso ora indagato, la questione si comprende da sé, in quanto la settorialità, e quindi la parzialità dell’indagine, viene esplicitamente dichiarata; una certa confusione è stata fatta invece per quei testi in cui tale chiarificazione è stata tralasciata. Ci si riferisce in particolare al celebre caso dell’Etica protestante, troppe volte scambiata per un testo a sé, contenente una serie di argomentazioni autosufficienti81. Una tale 81 Fino a chiedersi, come ha fatto Barrington Moore Jr., se l’Etica protestante rappresenti un «important breakthrough» oppure «a blind alley», cfr. B. Moore Jr., Injustice. The Social Bases of Obedience and Revolt, White Plains, New York, M.E. Sharpe, 1978, citato da G. Poggi, Historical Viability, Sociological Significance, and Personal Judgment, in H. Lehmann, G. Roth, Weber’s Protestant Ethic. Origins, Evidence, Contexts, Washington, Publications of the German Historical Institute, 1993, pp. 295-304, qui p. 295. Cfr. sul tema il contributo di L. Pellicani, La genesi del capitalismo e le origini della modernità, Lungo di Cosenza, Marco Editore, 2006, pp. 43-106, critico nei confronti della tesi che un certo sviluppo della mentalità calvinista rappresenti una delle cause del sorgere del capitalismo. 50 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ incomprensione di fondo, come spesso accade, non ha mancato di produrre prestazioni scientifiche di prim’ordine. Tuttavia va detto, come confermato da Weber nelle stesse Anticritiche, che l’Etica protestante rappresenta in realtà un tentativo di cogliere solo un aspetto parziale di quel complesso di concatenazioni causali che ha prodotto la nascita del mondo moderno. Il testo intende indagare quei mutamenti nella mentalità, inizialmente legati ad una serie di credenze religiose, che hanno determinato le condizioni di possibilità dell’emergere di una forma mentis il più possibile adeguata a quel mutamento strutturale che caratterizza il moderno sistema capitalistico. Un’indagine approfondita del testo esorbita dalle necessità della presente ricerca; si cercherà qui solamente di mettere in evidenza alcuni aspetti che risulteranno utili a suffragare le argomentazioni finora condotte. 3. Il «razionalismo economico immanente». Leon Battista Alberti Tra i vari luoghi in cui Weber fa riferimento alla separazione tra comunità domestica e impresa sono compresi anche alcuni passaggi dell’Etica protestante. Argomento di riflessione è qui, però, come detto, la formazione della mentalità capitalistica. Inevitabile, quindi, che durante tutto il corso del testo si parli di usi, costumi, abitudini in via d’estinzione, o forzatamente costrette a cambiare in forza di nuove condizioni sociali o culturali, e, in particolare, di mutate concezioni religiose. Il tema della tradizione, o più precisamente del tradizionalismo, si inserisce in questo contesto: esso infatti rappresenta quello sfondo comune rispetto al quale l’emergere della mentalità calvinista può essere pensato come momento di scarto radicale, sul quale viene costruita l’intera impostazione del lavoro. In altre parole, per poter descrivere il retroterra rispetto al quale si produce la mentalità protocapitalista tipica dell’ethos calvinista, Weber è costretto a definire quell’ethos tradizionale nei confronti del quale avrebbe preso forma, come sua estrema propaggine, il Beruf del moderno 1. ECONOMIA E FORME ASSOCIATIVE 51 uomo specializzato. A questo sfondo Weber assegna appunto un nome preciso: tradizionalismo. L’avversario con cui dovette in primo luogo combattere lo “spirito” del capitalismo, [nel senso di un determinato stile di vita vincolato a norme, che si affaccia nella veste di un’etica] rimase quella forma di sensibilità e di condotta che si può designare col nome di tradizionalismo82. Weber ragiona qui ancora una volta in termini oppositivi: per capire la singolarità qualitativa di quello stile di vita vincolato a norme, che rappresenta la pratica quotidiana dell’uomo moderno, è necessario cogliere la differenza rispetto a ciò che esso non è, e rispetto al quale si è prodotto. Weber cerca di definire tale tradizionalismo ricorrendo ad un esempio che parta «dal basso», vale a dire «dai lavoratori», insomma riprendendo ancora una volta la sfera dell’«agire economico». L’esempio concerne un imprenditore, il quale, assegnando ai propri sottoposti un lavoro a cottimo, scopre che l’espediente, anziché aumentare la produttività del lavoro, la diminuisce. Questo accade in quanto i lavoratori, sulla base di una mentalità appunto tradizionalistica, anziché approfittare del cottimo per aumentare il proprio profitto, riducono al contrario la loro attività, accontentandosi di portare a casa ciò che è loro necessario per vivere83. L’argomentazione che Weber pare condurre è la seguente: è vero che la separazione tra comunità domestica e impresa, prodottasi per la prima volta nelle famiglie fiorentine del Quattrocento, rappresenta un nodo decisivo verso la formazione del moderno sistema capitalistico; allo stesso tempo, però, la sua portata rimane limitata finché non sorge una mentalità adeguata alla nuova struttura dei rapporti sociali. Com’è noto, Weber tende ad identificare l’emergere di questa mentalità nella figura di Benjamin Franklin. Questo «uomo nuovo» che secondo Marx formulò «la legge fondamentale dell’economia politica moderna», viene assunto come tipo ideale di colui che incarna 82 Cfr. PE, p. 43 (EP, p. 45). Cfr. su ciò A. Giddens, Capitalismo e teoria sociale. Marx, Durkheim e Max Weber, 2a ed., Milano, Il Saggiatore, 1979. 83 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ 52 un nuovo ethos, fondato essenzialmente su due convinzioni di fondo, riassumibili sinteticamente nelle massime «Remember, that time is money»84 e «honesty is the best policy»85. Non ci si soffermerà qui ulteriormente sulle note riflessioni weberiane sulla figura di Franklin86, piuttosto si cercherà di sottolineare alcuni aspetti significativi in relazione all’argomentazione che si intende qui condurre. È singolare, afferma Weber, che nella Pennsylvania provinciale e piccolo-borghese del secolo XVIII si sia sviluppata una mentalità che nelle grandi città fiorentine dei secoli XIV e XV sarebbe stata impensabile87. In modo altrettanto peculiare, Weber cita qui proprio autori con i quali, normalmente, egli non usa confrontarsi: sono nominati Bernardino da Siena, Antonino da Firenze e S. Tommaso d’Aquino, ritenuti da Weber interpreti di una «mentalità tradizionalistica» e di un’«etica religiosa organica»88. In nessun altro modo potrebbero essere infatti concepite dallo scienziato Weber affermazioni come quelle dell’Aquinate, riportate in nota al testo, che vedono nell’articolazione degli individui in ceti e professioni un’opera della provvidenza divina, intendendo quindi la società come un «cosmo oggettivo», e in cui il lavoro professionale (Tommaso utilizza i termini ministerium o officium) è concepito come espressione dell’amore per il prossimo, «in un’antitesi quasi grottesca con le note proposizioni di 84 PE, p. 31 (EP, p. 34). PE, p. 160 (EP, p. 148). 86 Cfr. K.J. Weintraub, The Puritan Ethic and Benjamin Franklin, «The Journal of Religion», 3/56, 1976, pp. 223-237, in particolare pp. 230 ss.; E.A. Menze, Benjamin Franklin seen with German Eyes: Selective Co-optations by German Authors, «Yearbook of German-American Studies», 36, 2001, pp. 29-46; per una lettura critica nei confronti dell’immagine weberiana di Franklin cfr. M. Pütz, Max Webers und Ferdinand Kürnbergers Auseinandersetzung mit Benjamin Franklin: Zum Verhältnis von Quellenverfälschung und Fehlinterpretation, «Amerikastudien», 3/29, 1984, pp. 297-310; Id., Max Webers These vom ‘Geist des Kapitalismus’ und der Fall Benjamin Franklin, «Jahrbuch der Universität Augsburg», 1987, pp. 193-207; T. Dickson, H. V. McLachlan, In Search of ‘the Spirit of Capitalism’: Weber’s Misinterpretation of Franklin, «Sociology», 1/23, 1989, pp. 81-89. 87 PE, p. 60 (EP, p. 59). 88 PE, p. 56 nota 1 (EP, p. 56 nota 53) e PE, pp. 68 ss. (EP, pp. 69 ss.). 85 1. ECONOMIA E FORME ASSOCIATIVE 53 Adam Smith»89. Non è tuttavia Tommaso ad attirare massimamente l’attenzione dello studioso tedesco, bensì proprio quel Leon Battista Alberti che nella Firenze del Quattrocento era concretamente vissuto e cresciuto. Alla figura di Alberti viene dedicata una lunghissima nota, critica verso le affermazioni di Sombart, il quale leggeva nei testi di Franklin, in particolare ne I libri della famiglia, una ripetizione «parola per parola» delle riflessioni del nobile fiorentino90. Tale posizione incontra l’assoluta opposizione di Weber, per il quale non è possibile rintracciare nei testi dell’Alberti alcun parallelo possibile con gli scritti di Franklin. Se è vero che si trova nello scritto un riferimento al denaro come «nervus rerum», è altrettanto chiaro che tale riferimento è inserito in un contesto completamente diverso, che è quello di una gestione ordinata della casa91. Il principio che informa l’opera è quindi quello della Haushaltsführung, non quello dell’Erwerb, essendo riferito anzitutto all’impiego del patrimonio, e non del capitale. Dopo quest’argomentazione, ancora una volta di matrice economica, Weber nomina alcune ulteriori e rilevanti differenze. Seguendo le pagine dell’Alberti, si scoprirà che la pratica di vita che viene descritta, e sulla base della quale è possibile tenere assieme le 89 PE, p. 71 (EP, p. 69). Cfr. W. Sombart, Il Borghese. Lo sviluppo e le fonti dello spirito capitalistico (1913), 2a ed., Milano, Longanesi, 1978, p. 88. Per una ricostruzione sintetica del dibattito tra Weber e Sombart, di cui il testo in questione rappresenta solo una singola tappa, cfr. H. Lehmann, The Rise of Capitalism: Weber versus Sombart, in Lehmann, Roth, Weber’s Protestant Ethic. Origins, Evidence, Contexts, cit., pp. 195-298. 91 I libri della famiglia di Alberti paiono più opportunamente interpretabili come una versione rinascimentale di quella tradizione antica che è stata denominata da Otto Brunner, sulla scia di W.H. Riehl, come economica medievale. Tale tradizione è stata giustamente fatta risalire fino ai passi della Politica aristotelica dedicati alla dottrina dell’oikos, e al breve scritto (pseudo)aristotelico intitolato appunto Economica. Nelle sue varie accezioni, l’economica si ripresenta, commista a riflessioni tipiche di uno stile di vita agreste, nell’Oikonomikos di Senofonte, al quale non a caso il testo dell’Alberti è dedicato. Rinnovata in una veste ancora differente nel pensiero dei padri della chiesa, tale tradizione rivivrà una fioritura a seguito della riscoperta tardo-medievale delle opere aristoteliche, in particolare della Politica (1267) e dell’Economica (1295). È indiscutibile nel testo dell’Alberti, nonostante alcuni ovvi elementi di novità, l’ancoraggio a questa tradizione, soprattutto nell’impostazione oikonomica del testo, che trova appunto il suo baricentro nel concetto di casa. 90 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ 54 argomentazioni, non è quella di un esercizio continuativo di un’attività di profitto (tipica dell’impresa) – la quale richiede una propria specifica disciplina di comportamento – bensì «il rafforzamento del pensiero del sentimento di sé mediante il pensiero degli antenati», la «considerazione dell’onore di famiglia», l’impiego dei fattori, il modo migliore per condurre la masserizia92. Si tratta di uno stile argomentativo che, «più che un’etica», sembra descrivere una «dottrina della saggezza di vita», una «dottrina dell’arte di vivere», che Weber definisce come una sorta di «razionalismo economico immanente», da parte di scrittori interessati unicamente «alla cosa stessa». Weber aveva letto il testo dell’Alberti molto attentamente. Scorgendo in esso «una dottrina della saggezza di vita» egli rileva un «razionalismo economico» irriducibile al razionalismo tipico del moderno agire economico, e in generale delle moderne forme del vivere associato. Il problema di Weber è posto esplicitamente sotto forma di domanda: […] com’è storicamente spiegabile che nel centro dello sviluppo capitalistico del mondo di allora, nella Firenze dei secoli XIV e XV, nel mercato di denaro e di capitali di tutte le grandi potenze politiche, fosse considerato eticamente pericoloso [o, al massimo tollerabile] ciò che nelle condizioni irrimediabilmente provinciali e piccolo borghesi della Pennsylvania del secolo XVIII – dove l’economia minacciava continuamente di ricadere nello scambio in natura per pura mancanza di denaro, dove non vi era traccia di intraprese artigianali di una certa dimensione e le banche erano appena agli inizi – poteva valere come contenuto di una condotta di vita eticamente lodevole, anzi comandata?93 4. Economia e storia economica «Se questo saggio può servire a qualcosa, esso vorrebbe contribuire a mettere a nudo, nella sua multilateralità, il concetto solo apparentemente univoco di “razionale”»94. Questa citazione 92 Cfr. L.B. Alberti, Libri della famiglia, 2a ed., Torino, Einaudi, 1994, pp. 228 ss. PE, p. 60 (EP, p. 59). 94 PE, p. 35 nota 1 (EP, p. 38, nota 32). Nell’impossibilità di riuscire a dominare la bibliografia weberiana sul tema della razionalità, ci si limita a nominare alcuni 93 1. ECONOMIA E FORME ASSOCIATIVE 55 va compresa come un supplemento a quella relativa al «razionalismo economico oggi vittorioso», riportata alla fine del primo paragrafo. Si tratta di un’aggiunta all’Etica protestante, inserita solo nella redazione definitiva. Weber ci fornisce un’indicazione importante: egli ribadisce infatti, con chiarezza, di non considerare la razionalità moderna come l’unica possibile. Una cosa «non è mai “irrazionale” in sé, ma lo è da un determinato punto di vista “razionale”»95. In altri termini, la razionalità, e la conseguente irrazionalità di un contesto, di un fenomeno, di una connessione causale, trovano la loro giustificazione e legittimità sempre e solo all’interno dell’ordine del discorso in cui sono inserite. Ancora una volta sono le «connessioni concettuali dei problemi», non le «connessioni “oggettive” delle “cose”»96, che costituiscono il fondamento del lavoro delle scienze, e quindi anche della loro costruzione concettuale. Così la cura organizzata, che sta alla base del sostentamento della comunità domestica, apparirà irra- riferimenti che si sono rivelati particolarmente utili all’interno del presente lavoro. Sui differenti sensi dell’utilizzo del termine razionale cfr.: C. Colliot-Thélène, La sociologie de Max Weber, Paris, La Découverte, 2006, pp. 59-84; M. Sukale, Max Weber - Leidenschaft und Disziplin. Leben, Werk, Zeitgenossen, Tübingen, Mohr, 2002, pp. 50-57 (con particolare riferimento alla coppia razionale-irrazionale); S. Veca, Definizioni della razionalità in Max Weber, in Modelli di razionalità nelle scienze economicosociali, Venezia, Arsenale cooperativa editrice, 1982, pp. 39-50; P. Rossi, La teoria della razionalità in Max Weber, in Id., Max Weber. Razionalità e razionalizzazione, Milano, Il saggiatore, 1982, pp. 15-44; J. Weiß, Max Webers Grundlegung der Soziologie: eine Einführung, München, Dokumentation, 1975, pp. 137 ss.; Id., Max Weber: il disincanto del mondo, in H. Treiber (a cura di), Per leggere Max Weber, Padova, Cedam, 1993, pp. 16-65. In termini più generali, cfr. G. Duso (a cura di), Razionalità e politica, Venezia, Arsenale cooperativa editrice, 1980, con riferimento in particolare ai seguenti articoli: G. Duso, Razionalità e decisione: la produttività della contraddizione, pp. 90-107; R. Bodei, Il disagio della razionalità. Tradizione calcolo ed etica in Max Weber, pp. 39-57; R. Racinaro, Trasformazioni della razionalità e trasformazioni della forma-stato negli anni venti, pp. 59-75. Cfr. inoltre B. Giacomini, Razionalizzazione e credenza nel pensiero di Max Weber, Rovigo, Pegaso, 1985; F. Bianco, Le basi teoriche dell’opera di Max Weber, Roma-Bari, Laterza, 1997, in particolare il secondo capitolo, pp. 27-65. Per un tentativo di comprensione filosofica della razionalità strumentale di Weber, cfr. anche E. Voegelin, Die Grösse Max Webers, München, Fink, 1995, in particolare pp. 85-103. 95 Ibid. 96 OJ, WL, p. 166 (Metodo, p. 166). 56 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ zionale dal punto di vista della razionalità dell’impresa, il cui esercizio razionale implica un agire continuativo, pacifico, orientato allo scopo. Non solo: Weber sa bene che ogni radicale razionalizzazione produce inevitabilmente delle realtà irrazionali97, e riconosce che «l’ascesi intramondana» comporta una «razionalizzazione» verso una «condotta di vita irrazionale»98. Egli è ben consapevole del fatto che il processo di razionalizzazione che ha investito il mondo moderno, in maniera invero irreversibile, non era l’unica chance possibile di razionalizzazione99 e, soprattutto, egli coglie, come si vedrà oltre, le contraddizioni irrazionali insite ad ogni livello di questa razionalizzazione. Tuttavia, questo processo è l’unico che veramente lo ha interessato; egli lo vedeva incarnato in ogni angolo del proprio presente, nei processi di trasformazione dell’organizzazione agraria, nelle condizioni di fabbrica, nei partiti politici, nella burocrazia ecc. Così non si propose mai concretamente di prendere scientificamente in considerazione la possibilità di forme differenti di razionalità. La sua stessa concezione della scienza, quale emerge con chiarezza dai suoi scritti metodologici, glielo impediva. Scienza e scienza moderna in Weber coincidono. Egli non affermò che quella che egli chiamava la nostra scienza fosse l’unica possibile; certo, però, essa era per lui l’unica concepibile, e l’unica che egli ritenesse di poter praticare. È stato pertanto correttamente sostenuto che Weber fosse perfettamente consapevole che la razionalità che lo scienziato applicava alle sue fonti fosse la sua razionalità100. 97 PE, p. 35 nota 1 (EP, p. 38, nota 32) e cfr. K. Löwith, Max Weber e Karl Marx, in Treiber, Per leggere Max Weber, cit., pp. 354-426, qui p. 372. 98 Ibid. 99 Sul fondamentale concetto di chance in Weber cfr. G. Lukács, La distruzione della ragione, 2a ed., Torino, Einaudi, 1959, p. 620; H. Schellhos, Der Begriff der „Chanche“ bei Max Weber, «Studien und Berichte aus dem Soziologischen Seminar der Universität Tübingen», 1, 1963, pp. 57-62; Weiß, Max Webers Grundlegung der Soziologie, cit., pp. 88 ss. Cfr. inoltre il rilevante testo di K. Palonen, Das „Webersche Moment“: zur Kontingenz des Politischen, Opladen/Wiesbaden, Westdeutscher Verlag, 1998, in particolare pp. 133 ss. 100 Cfr. F. Ringer, Max Weber’s Methodology. The Unification of the Cultural and Social Sciences, Cambridge/London, Harward University Press, 1997, p. 97: «Weber left no doubt that the rationality he proposed to attribute to the agents and beliefs to 1. ECONOMIA E FORME ASSOCIATIVE 57 Chiaramente, ciò pone il problema del rapporto tra la razionalità dell’investigatore, mediata attraverso una serie di conoscenze e strumenti concettuali che non può non essere quella del proprio presente, e la razionalità delle fonti. Ci si sofferma ora su alcuni punti cruciali delle problematiche emerse, a partire anzitutto dalla questione metodologica. Weber ha sempre pensato e dichiarato che il compito dello studioso è quello di produrre delle ricerche specialistiche, condotte da uno specifico punto di vista. Il suo dovere consiste nel produrre un contributo su un tema, condotto sulla base della propria specifica competenza. Il «principio della scientificità»101 deve necessariamente passare attraverso l’approccio specialistico, allo stesso modo in cui la dignità dello studioso deve consistere nella tragica accettazione del suo ruolo istituzionale102. Una tale disposizione intellettuale, che incontrò tra l’altro illustri oppositori103, era stata funzionale per uscire dalle maglie del cameralismo ottocentesco il quale, di fronte alle nuove esigenze dello Stato tedesco, della sua amministrazione e della crescente industrializzazione, non poteva che apparire come enciclopedico, quindi non più adeguato dal punto di vista euristico104. Ciò aveva favorito l’autonomizzazione e, in parte, l’istituzionalizzazione di una serie di discipline appunto settoriali, che avrebbe contribuito a raffinare ulteriormente la ricerca empirica e le conseguenti distinzioni concettuali. be investigated was ‘our’ rationality, the rationality of the investigator. “We obviously ‘understand’ without difficulty that a thinker solves a certain ‘problem’ in a way that we ourselves consider normatively correct”». 101 Cfr. P. Schiera, Scienza e politica in Germania da Bismarck a Guglielmo II, in G. Corni, P. Schiera (a cura di), Cultura politica e società borghese in Germania fra Otto e Novecento, «Annali dell’Istituto storico italo-germanico di Trento», 22, Bologna, Il Mulino, 1986, pp. 13-35, qui p. 24. 102 Cfr. su ciò le note pagine di Wissenschaft als Beruf, ma anche il commento di Hennis alla conferenza tenuta nell’autunno del 1917 al Burg Lauenstein, in W. Hennis, Il problema Max Weber, Roma-Bari, Laterza, 1991, pp. 82-83. 103 Tra i quali Otto von Gierke e Rudolf von Gneist, cfr. Schiera, Il laboratorio borghese cit., p. 184. 104 Cfr. Schiera, Il laboratorio borghese cit., p. 53; A. Missiroli, Università, società e Stato. L’origine delle “social sciences”, in Corni, Schiera, Cultura politica e società borghese in Germania fra Otto e Novecento, cit., pp. 37-60. 58 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ Allo stesso tempo, il crescente fenomeno della specializzazione scientifica, nella sua «duplice variante della sofisticazione metodologica (avalutatività, neutralità, oggettività) e della applicabilità pratica»105, faceva emergere la necessità di tenere assieme i tanti risultati parziali a disposizione, favorendo la nascita di una storia sociale e costituzionale complessiva che tentasse di comprendere l’ampia quantità di materiale specialistico. In quanto autore paradigmatico di questo periodo di forte mutamento nella metodologia e nella prassi della ricerca, Weber pare incarnare, non senza feconde contraddizioni, il nocciolo di tali problematiche: lo sforzo di tenere assieme la ricerca storica – nello specifico «l’interpretazione economica della storia»106 – con le nuove acquisizioni dell’economia teorica, lo scarto tra il concetto necessariamente costruito dallo studioso e la realtà che attraverso il concetto si cerca di cogliere ed interpretare, il tentativo di tenere fede all’esigenza della ricerca specialistica con il pathos dello studioso mosso all’indagine dalle grandi questioni del suo presente. In particolare, si rileva in Weber lo sforzo di tenere assieme i concetti dell’economia teorica (in particolare di matrice mengeriana), esigenze di settorializzazione disciplinare, e l’eredità della scuola storica, nella quale egli si è formato. Il tentativo di assembramento e di mediazione non assume le modalità della giustapposizione, e produce una serie di problemi sulla quale si ritiene utile soffermarsi. Si è detto perfino che la storia dell’economia del passato sarebbe per larga parte storia della non-economicità umana, e lo si potrebbe ben sostenere. Ma anche questo comportamento rientra in una scienza economica avalutativa, in particolare nella storia economica107. La citazione, tratta da un intervento weberiano presso la Deutsche Gesellschaft für Soziologie svoltosi a Francoforte nel 1910, riprende un’espressione già utilizzata in un articolo di due 105 P. Schiera, Prefazione, in Schiera, Losito, Max Weber e le scienze sociali del suo tempo, cit., pp. 9-13, qui p. 12. 106 Cfr. Schluchter, Il paradosso della razionalizzazione cit., p. 58. 107 M. Weber, Geschäftsbericht und Diskussionsreden auf den deutschen soziologischen Tagungen (1910, 1912), in GASS, pp. 431-491, qui p. 473 (Metodo, p. 469). 1. ECONOMIA E FORME ASSOCIATIVE 59 anni precedente108. In entrambi i casi Weber nomina un’ipotetica «storia della non-economicità». L’utilizzo dell’espressione cade, significativamente, in un momento della vita in cui lo studioso tedesco fu massimamente impegnato, anche attraverso studi condotti direttamente sul campo, in svariate indagini relative alle condizioni dei lavoratori all’interno delle fabbriche tedesche. Una prima serie di interrogativi emerge pertanto proprio a partire dal termine economia. Le due fugaci citazioni qui riportate, e ancor di più le riflessioni precedentemente richiamate sul testo dell’Alberti, dimostrano come Weber fosse consapevole della questione relativa alla possibile determinatezza storica del concetto. Allo stesso tempo, egli difese con decisione la peculiarità del suo approccio metodologico. Come aveva scritto solo pochi anni prima (nel 1906), di fronte all’«infinità intensiva del molteplice infinitamente dato»109, è al ricercatore che spetta il compito non solo di scegliere che cosa levare dalla «grigia infinità di ciò che è storicamente indifferente», ma soprattutto di costruire l’unità di senso dell’evento che intende indagare, e ciò anche e soprattutto mediante lo strumentario concettuale adottato. Calando la riflessione all’interno dell’esempio specifico, lo storico potrà ricostruire l’economia del passato, segnalando le inevitabili differenze rispetto al presente, oppure potrà constatare che, sulla base del concetto definito, non è possibile parlare di economia, specificando quindi che quella di ampi periodi del passato sarebbe una «storia della non-economicità». In entrambi i casi, la responsabilità della costruzione concettuale, e quindi dell’attribuzione di senso all’evento che si intende indagare, spetta soltanto al ricercatore. La considerazione è ineccepibile, ma non elimina alcune questioni di fondo. Lo si può cogliere proprio a partire dall’espressione non economicità. 108 Vale a dire in GL, WL, p. 395 (Metodo, p. 377). Sull’importanza in generale della storia economica nella ricerca di Weber è molto utile la lettura di H. Bruhns, Max Weber’s ‘Basic Concepts’ in the Context of his Studies in Economic History, «Max Weber Studies», Beiheft I, 2006, pp. 39-69. 109 Cfr. RK, WL, p. 75 nota 2 (Metodo, p. 74 nota 35). 60 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ “Non-economicità” traduce il tedesco Unwirtschaftlichkeit. Se ci si chiede, per cominciare, che cosa significhi questo termine, ci si troverà immediatamente gettati in mare aperto. Weber non ci dice infatti nulla, se non che ciò che non è economico (wirtschaftlich) va considerato e analizzato con gli stessi strumenti e metodi di una scienza che invece è economica, di cui la storia economica rappresenterebbe, stando alla citazione, solo un’appendice, la specie di un genere più ampio. Il termine, di per sé, non ci aiuta ulteriormente: esso ci informa solamente su ciò che questa storia non è, vale a dire che essa non è Wirtschaft. Su che cosa sia in positivo questa Unwirtschaftlichkeit, non ci viene detto nulla. Potrebbe rivelarsi utile, a livello introduttivo, indagare l’etimologia del termine. Wirtschaft deriva dalla radice -wirt, e Wirt significa produttore e utente sistematico di beni, ma anche curatore, Pfleger, che a sua volta deriva da pflegen, aver cura, da cui è ricavabile il sostantivo Pflicht, dovere: il punto di imputazione di tale dovere è una persona specifica, denominata Hauswirt, il compito del quale è di prendersi cura dei beni e, in generale, di tutto ciò che appartiene alla casa, persone comprese. Un altro termine, utilizzato solitamente come sinonimo di Wirtschaft, è Ökonomie. Si tratta in realtà di una sovrapposizione storicamente determinata, prodottasi nel corso del Settecento: i due termini indicavano in precedenza cose distinte110. Com’è noto, Ökonomie deriva da oikos, che significa casa in quanto complesso unitario, omogeneo, e da una radice semanticamente complessa, -nem; il verbo dalla quale essa deriva, nemein, significa organizzare, regolare, amministrare, in un senso non immediatamente comunicabile attraverso una mera traduzione. In maniera parzialmente imprecisa l’espressione Wirtschaft potrebbe essere tradotta come “dottrina del Wirt”; in modo simile, una traduzione di Oiko-nomia potrebbe essere “dottrina della casa”. Tornando al passo weberiano, ci troviamo fin da subito di fronte ad una sorta di piccolo paradosso: Wirtschaft, inteso nel senso 110 Cfr. voce Wirtschaft, in Geschichtliche Grundbegriffe. Historisches Lexikon zur politisch-sozialen Sprache in Deutschland, vol. VII. 1. ECONOMIA E FORME ASSOCIATIVE 61 che l’etimologia del termine sembrerebbe suggerire, è qui esattamente ciò che Wirtschaft non è, o perlomeno non è compiutamente o, come direbbe Weber, primariamente. La Wirtschaft di cui Weber intendeva descrivere genesi e caratteristiche strutturali è naturalmente tutta un’altra cosa, un altro Kosmos, che ha a che fare con la sfera del denaro, del lavoro, del capitale, insomma con la sfera che Tönnies ascriverebbe alla teoria della società. L’affondo etimologico si rivela quindi fuorviante, ma al contempo ci permette forse di cogliere un primo indizio nella direzione di una determinazione più precisa su che cosa sia questa non-economicità. Il termine oikos rimanda infatti, all’interno dell’indagine weberiana, a quella forma solo apparentemente accostabile, ma di fatto completamente opposta al sistema capitalistico moderno, che è la cosiddetta teoria dell’oikos; Haus ci rimanda inoltre a diversi punti della riflessione weberiana. È stato detto, inoltre, che l’intera riflessione weberiana in ambito storico-economico, perlomeno all’interno delle riflessioni categoriali, sia tutta costruita sul contrasto Haushalt-Erwerb. Proprio partendo dall’etimologia del termine è stata spesso dibattuta la questione legata al sorgere della scienza economica e delle sue condizioni di possibilità. Significativamente, molte tra le considerazioni più eminenti, e della più svariata provenienza, hanno avuto origine proprio da un confronto serrato con lo stesso Weber. Così Landshut, interrogandosi anche sull’etimologia del termine, si chiede apertamente che cosa sia l’economia nei casi in cui questo fenomeno ancora non esisteva111. Otto Hintze, attraverso un confronto critico con i testi di Weber, e riprendendo alcune suggestioni gierkiane, pone la questione di una concretizzazione (Verdinglichung), ossia di un determinato 111 S. Landshut, Historische Analyse des Begriffs des Ökonomischen, in Id., Kritik der Soziologie und andere Schriften zur Politik, Luchterland, Neuwied, 1969, pp. 40-55, cfr. in particolare p. 50: «Wenn das Ökonomische als eigenständiges Phänomen allererst durch Ablösung von alten bloßen Herstellen und Verträgen und vor allem Haushalt vom eigenen Dasein kommt und aus dieser Daseinform seine spezifischen Probleme entspringen, so entsteht die Frage, was Ökonomie eigentlich da bedeutet, wo dieses Phänomen überhaupt nicht existiert». 62 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ rapporto degli uomini tra di loro, e degli uomini con le cose, che sarebbe irriducibile alla moderna cosificazione (Versachlichung), che domina invece il mondo economico moderno112. Si tratta di una distinzione estremamente feconda, che Hintze ha il merito di aver formulato esplicitamente, ma che è leggibile tra le righe nello stesso Weber, come non si mancherà di rilevare oltre113. Sarà però Otto Brunner a riflettere specificamente sul rapporto relativo alla necessaria mediazione tra l’intelligenza dello studioso e la razionalità delle fonti. Relegando la presenza di un’«economia» come «ambito vitale autonomo» solo a partire dall’assolutismo e dall’illuminismo, Brunner tenta di cogliere il punto di imputazione attorno al quale si strutturava il pensiero economico antico, attraverso la concezione della «casa come complesso» (ganzes Haus) e della cosiddetta «economica medievale»114, riprendendo in buona parte le riflessioni di Riehl. Una tale impostazione, storiografica e metodologica, ha avuto il merito di porre in primo 112 Cfr. O. Hintze, Essenza e diffusione del feudalesimo, in Id., Stato e società, Bologna, Zanichelli, 1980, pp. 50-76, qui p. 52. 113 Un contributo importante verrà inoltre da Karl Polanyi, Cfr. K. Polanyi (a cura di), Traffici e mercati negli antichi imperi: le economie nella storia e nella teoria, Torino, Einaudi, 1978; Id., La sussistenza dell’uomo: il ruolo dell’economia nelle società antiche, Torino, Einaudi, 1983. Va perlomeno nominato inoltre Carl Schmitt, il quale, nel tentativo di superare alcune aporie insite negli usi concettuali diffusi al suo tempo, parlerà di una generale economicizzazione del mondo, e di una costituzione spirituale (Geistesverfassung) che vede nella produzione e nel consumo le categorie centrali del Dasein dell’essere umano. Cfr. C. Schmitt, Le categorie del politico. Saggi di teoria politica, Bologna, Il Mulino, 1998; Id., Il nomos della terra: nel diritto internazionale dello Ius Publicum Europaeum, Milano, Adelphi, 1991. 114 Cfr. O. Brunner, La “casa come complesso” e l’antica economica europea, in Id., Per una nuova storia costituzionale e sociale, Milano, Vita e Pensiero, 2000, pp. 133-164. Cfr. inoltre: Weiss, Otto Brunner und das Ganze Haus oder Zwei Arten der Wirtschaftsgeschichte, cit.; P. Schiera, Otto Brunner, uno storico della crisi, «Annali dell’Istituto storico italo-germanico di Trento», 13, 1987, pp. 19-37; V. Groebner, Außer Haus. Otto Brunner und die „alteuropäische Ökonomik“, «Geschichte in Wissenschaft und Unterricht», 46, 1995, pp. 69-80; E. Egner, Der Verlust der alten Ökonomik, Berlin, Duncker & Humblot, 1985; I. Richarz, Das ökonomisch autarke „Ganze Haus“ - eine Legende?, in T. Ehlert (a cura di), Haushalt und Familie in Mittelalter und früher Neuzeit, Vorträge eines interdisziplinaren Symposions vom 6.-9. Juni 1990 an der Rheinischen Friedrich-Wilhelms-Universität Bonn, Sigmaringen, Jan Thorbecke, 1991, pp. 269-279. 1. ECONOMIA E FORME ASSOCIATIVE 63 piano come il doppio binario della scientificizzazione e della disciplinarizzazione delle scienze rischi di presupporre degli usi concettuali la cui costruzione è modellata più sugli assetti costituzionali contemporanei che sulla Verfassung propria del luogo storico indagato115. Tale considerazione è in effetti incisiva, in quanto aiuta a comprendere il rischio che nell’indagine degli eventi passati si trasponga la stessa separazione tra l’economia e le altre sfere della vita associata, in primis quella politica, che in realtà è tipica del mondo moderno. Un tale rischio si presenta concretamente nei luoghi in cui Weber definisce le proprie categorie; molto meno, come si mostrerà nel capitolo seguente, nei testi di carattere più argomentativo. Ci si soffermerà ora sui passi di mera definizione concettuale, riprendendo le Categorie dell’agire economico già citate in precedenza. In questo testo, la specificità dell’agire economico viene individuata nell’«esercizio pacifico di un potere di disposizione»116. Con questo termine, pacifico, Weber non fa riferimento ovviamente all’assenza di una lotta o di un conflitto. La forma dell’economia esercitata pacificamente, che Weber chiama anche «concorrenza», è in realtà una lotta economica per l’esistenza, della quale il «denaro» rappresenta lo strumento principale117. Si tratta tuttavia di una lotta sublimata, in quanto privata dell’elemento della coercizione fisica, il quale è prerogativa del potere politico118. Apparirà chiaro come una tale definizione di agire economico rischi di presupporre quella separazione 115 Schiera, Otto Brunner, uno storico della crisi, cit., p. 20; P. Koslowsky, Haus und Geld. Zur aristotelischen Unterscheidung von Politik, Ökonomik und Chrematistik, «Philosophisches Jahrbuch», 86, 1979, pp. 60-83; I. Richarz, Oikos, Haus und Haushalt, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1994. 116 Cfr. WuG, I, p. 31 (ES, I, p. 57). Cfr. anche WuG, I, p. 48 (ES, I, p. 86), dove Weber definisce l’«acquisizione economica» come «una specie di acquisizione orientata in base a possibilità di carattere pacifico». 117 Weber parla anche di una «lotta razionale di scambio», la quale «si sviluppa soltanto a proposito dei beni accessibili sul mercato […] e soprattutto di beni utilizzati o ceduti su base economica acquisitiva», cfr. WuG, I, p. 37 (ES, I, p. 68) e di «lotta dell’uomo con l’uomo» come «condizione dell’esistenza di un calcolo monetario razionale», cfr. WuG, I, p. 49 (ES, I, pp. 88-89). 118 Cfr. su ciò Poggi, Calvinismo e spirito del capitalismo, cit., p. 33. 64 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ fondamentale tra Stato e società che di fatto ha avuto luogo solo nella tarda Età Moderna. Richiamandosi in parte al lavoro di Oppenheimer119, Weber afferma che «l’uso della forza è infatti in antitesi con lo spirito dell’economia»120, pertanto «la diretta sottrazione di beni mediante la forza e la diretta costrizione all’atteggiamento altrui mediante la lotta non devono essere definite come agire economico»121. Si comprende come il problema non riguardi solo la separazione teorica tra economia e politica. Se così fosse, basterebbe accostare le indagini sulla Sociologia del dominio con quelle di sociologia economica per risolvere la questione. Il punto concerne piuttosto la fecondità di una costruzione concettuale che presupponga tale separazione, la quale rischia di far penetrare nelle trame specifiche dell’indagine stessa una serie di precomprensioni che richiede dei chiarimenti supplementari. Consideriamo ora la stessa definizione di economia analizzata, nelle sue differenti formulazioni, nel corso del primo paragrafo. È indubbio che da sempre gli uomini, per sopravvivere, hanno avuto bisogno di soddisfare in qualche modo le proprie necessità. La «cura organizzata» e il «lavoro» con cui, in una situazione necessariamente di scarsità di mezzi e risorse disponibili, si è fronteggiata questa necessità ha dato vita ad una serie di azioni di cui lo studioso può scegliere di analizzare le modalità e le forme. Lo studio dei fenomeni economico-sociali, intesi in questo senso, conferisce a questo tipo di indagine una peculiare 119 Franz Oppenheimer, nel suo testo Der Staat, distingue tra politisches e ökonomisches Mittel. Sia l’economico che il politico sono mezzi tramite cui cui l’uomo, spinto da un istinto primordiale alla sussistenza, si appropria dei beni necessari per il suo sostentamento. Lo scopo è quindi esclusivamente quello del sostentamento: lo scambio e il lavoro, in quanto mezzi pacifici, sarebbero appunto i mezzi economici; la ruberia, l’appropriazione violenta, costituiscono i mezzi politici. Si tratta quindi di differenti forme di appropriazione in vista dello stesso scopo. Oppenheimer dichiara di essere il primo ad aver affermato questa distinzione con la dovuta chiarezza. Cfr. F. Oppenheimer, Der Staat: eine soziologische Studie, Berlin, Libertad, 1990. 120 WuG, I, p. 32 (ES, I, p. 58). 121 Ibid. 1. ECONOMIA E FORME ASSOCIATIVE 65 «fecondità creativa»122, proprio in quanto assume come oggetto di analisi un agire rilevante, continuativo, che si è presentato, nella sua ineluttabile necessità, in tutti i tempi e in tutti i luoghi. Il modellare tale relazione tra limitatezza dei mezzi e necessità di soddisfare bisogni (che, intesa in senso ampio, può essere considerata universale) sulla base del nesso bisogno/soddisfazione, una delle matrici logiche dell’economia teorica, può comportare però il sorgere di una serie di problematiche collaterali concernente proprio la fecondità dell’interpretazione stessa dei fenomeni economici123. E ciò vale anche se, come Weber fece nel Grundriss, si tenti di collocare tale nesso storicamente, mediante l’introduzione di un tipo antropologico che solo progressivamente sarebbe divenuto consapevole della specificità economica di una parte delle proprie azioni124. La relazione precisata, e la conseguente costruzione del modello di situazione economica, appare costituita dall’inte122 OJ, WL, p. 166 (Metodo, p. 167). Per una critica del nesso bisogno/soddisfazione, definito come quel postulato di scarsità che sta alla base di un modo di concepire la storia economica, si veda K. Polanyi, L’economia come processo istituzionale, in Id. (a cura di), Traffici e mercati negli antichi imperi cit., pp. 297-331, qui p. 300. Sul tema della rappresentazione della scarsità, con riferimento a Luhmann ma anche a Max Weber, cfr. B. Accarino, Mercanti ed eroi. La crisi del contrattualismo tra Weber e Luhmann, Napoli, Liguori, 1986, pp. 122 ss. 124 La relazione tra complesso di bisogni e relativa soddisfazione in un contesto di scarsità soggettivamente sentito definisce non solo le caratteristiche della necessaria settorialità in base alla quale è condotta la ricerca, ma rende anche possibile e dotata di senso l’indagine stessa. Tale relazione può essere considerata pertanto l’elemento che definisce il taglio interpretativo sul quale si basa la ricerca, nonché il baricentro attorno al quale vengono costruiti i concetti storico-economici utilizzati. Riprendendo la definizione fornita da Weber in Economia e Società è possibile riflettere, per cominciare, sulla soggettività, qui esplicitamente ribadita da Weber, della sensazione di scarsità, dalla quale scaturirebbe l’azione economica. Il rapporto che consente la determinazione della relazione in base alla quale è consentito designare un fenomeno come economico diviene significativo, e quindi degno di essere considerato scientificamente, nel momento in cui esso viene attribuito ad un singolo (einzelner Mensch), e reso fondamento dell’atteggiamento e movente dell’azione di tale singolo. Viene qui pertanto presupposto e indicato come scientificamente decisivo l’agire di un singolo sulla base di una determinata relazione. Cfr. A. D’Attorre, Le basi teoriche della sociologia del potere di Max Weber, «Filosofia politica», 2/14, 2000, pp. 207-238. Sul tema più generale dell’individuo come «forma di esistenza degli esseri umani in società», in 123 66 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ razione fra due fattori essenziali, ossia il complesso di bisogni, soggettivamente sentiti, e la loro soddisfazione, la quale necessita dell’intervento di una serie, limitata, di mezzi ed azioni possibili. È essenziale, per comprendere l’assetto interpretativo sul quale è impostata la ricerca, focalizzare l’attenzione proprio sul rapporto fra i due elementi: bisogno e soddisfazione possono essere infatti definiti solo sulla base del necessario rimando del primo al secondo. Potremmo dire che il bisogno è descritto infatti attraverso il suo complemento logico, che è la scarsità delle possibilità di soddisfarlo125. A conferma di ciò, è possibile notare che il concetto, così delineato, non abbisogna a sua volta di nessuna ulteriore specificazione che non sia il riferimento alla sua potenziale soddisfazione: bisogno è tutto ciò che necessita di una soddisfazione. Sulla base di questa definizione è possibile tentare di comprendere alcune significative precisazioni weberiane contenute nella parte di Economia e Società intitolata Rapporti economici delle comunità in generale, ora collocata nel volume della Gesamtausgabe dedicato alla trattazione delle comunità. «È in sé convenzionale che, se si parla di economia, si pensi con particolare accento alla copertura del fabbisogno quotidiano, al cosiddetto bisogno materiale»126. Pensare che esista una differenziazione dei bisogni, in particolar modo che esistano dei bisogni essenziali dai quali non si può prescindere (i cosiddetti bisogni materiali), è convenzionale; si tratta cioè di un’idea radicata nel senso comune, che tuttavia va abbandonata non appena si entri nel contesto di un lavoro scientifico. La materialità o immaterialità dei bisogni non influisce minimamente sulla definizione del concetto. Allo stesso modo, inessenziale si rivela qualsiasi ulteriore distinzione o determinazione che esuli dal riferimento alla necessità che il bisogno venga soddisfatto. Proprio per questo motivo, sebbene economicamente parlando sia convenzionale fare riferimento all’opera weberiana, cfr. D. D’Andrea, L’incubo degli ultimi uomini. Etica e politica in Max Weber, Roma, Carocci, 2005, in particolare il primo capitolo. 125 Cfr. su ciò Polanyi, L’economia come processo istituzionale cit., p. 300. 126 MWG I/22-1, p. 78 (Comunità, p. 12); WuG, I, p. 199 (ES, II, p. 32). 1. ECONOMIA E FORME ASSOCIATIVE 67 primariamente riferimento ai bisogni materiali, andrà considerato bisogno tutto ciò che richiede dei mezzi relativamente scarsi che permettano di soddisfarlo. Preghiere e messe per i defunti possono di fatto diventare altrettanto bene oggetti di economia, se le persone qualificate per organizzarle e il loro operare scarseggiano, e se quindi sono reperibili solo dietro compenso, come il pane quotidiano127. Inessenziale sarà pertanto la determinazione di una gerarchia di bisogni, come lo è la distinzione tra materialità e immaterialità degli stessi, tra bisogni primari e secondari ecc. Tale inessenzialità può essere compresa e giustificata all’interno dell’assetto concettuale e metodologico in base al quale viene impostata la ricerca. Se il bisogno viene definito attraverso la necessità della sua soddisfazione, è conseguente che qualsiasi sua ulteriore qualificazione appaia come una distinzione giustapposta, proprio in quanto pleonastica rispetto all’assetto stabilito. Se la relazione in base alla quale il ricercatore decide ciò che è utile agli scopi della sua indagine – scelta al contempo selettiva e costitutiva – è quella tra bisogni attuali (indifferenziati) e soddisfazione degli stessi attraverso mezzi scarsi, i concetti conseguentemente costruiti si riveleranno massimamente adeguati a descrivere quei fenomeni e quelle associazioni nelle quali la così intesa soddisfazione dei bisogni è considerata scopo essenziale o addirittura esclusivo dell’associazione stessa. Una tale impostazione si presenta ottimale in rapporto alla considerazione scientifica di una situazione economica nella quale soggetti e istituzioni sono primariamente orientati proprio in base a tale relazione. È il caso di un’economia di mercato, determinata in base al reciproco gioco di domanda e offerta di una serie di soggetti. In un tale contesto, afferma Weber, il «fatto economico»128 raggiunge il massimo grado di razionalità e pertanto l’assetto concettuale definito si presenta massimamente adatto alla descrizione dei feno127 Ibid. Si traduce così, in linea con la traduzione di Massimo Palma, l’espressione «ökonomischer Sachverhalt», molto utilizzata da Weber. 128 68 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ meni considerati. Ciò però non varrà nel caso di una comunità economica come la comunità domestica; qui infatti l’agire per la soddisfazione del fabbisogno, presentandosi come non continuativo e impedito da altri elementi estranei (le relazioni di autorità e reverenza), apparirà come in parte irrazionale. Un altro esempio: tra le «misure tipiche dell’agire economico razionale», Weber nomina la disposizione sistematica di quelle prestazioni di utilità su cui il soggetto economico ritiene di poter contare (1), e la distribuzione sistematica delle prestazioni di utilità disponibili tra diverse possibilità di impiego (2), aggiungendo che questi due casi «si presentano in quantità particolarmente rilevante in tempi di pace». Ci si chiede che cosa significhi esattamente questo riferimento alla pace, associato ad una situazione economica. Lo spazio economico in cui la lotta tra i soggetti si può dare pacificamente nella forma della concorrenza si presenta in forma razionale solo all’interno di una situazione di mercato il cui ordinamento e la cui regolazione è potenzialmente determinata in massimo grado da quell’«agire regolato mediante norme dall’istituzione statale» che costituisce il diritto privato129. Detto ciò, ossia determinata la situazione tipico ideale in cui si dà quella lotta pacifica rappresentata dall’economia (di mercato), e trascurando le lotte non immediatamente economiche che anche tale assetto inevitabilmente produce, è utile ora vedere in che cosa possa consistere tale spazio economico in un contesto in cui non è data la chance della distinzione tra le sfere dell’agire pacifico, e quindi economico, e quelle dell’agire che in qualche modo fa uso di una coercizione. In una situazione in cui il termine pace è concepibile solo sulla base di un riferimento concreto (pace di un regno, di un paese, di una chiesa, di una città, di un castello, di un mercato, di una realtà130), ove non sia pensabile, cioè, un ordinamento spaziale (in senso schmittiano) che permetta il dispie- 129 Cfr. MWG I/22-3, p. 275 (WuG, II, p. 387 - ES, III, p. 1). Poco oltre, in MWG I/22-3, p. 301 (WuG, II, p. 395 - ES, III, p. 14), Weber definisce il moderno diritto privato come «diritto economicamente rilevante». 130 Cfr. Schmitt, Il Nomos della Terra cit., p. 42. 1. ECONOMIA E FORME ASSOCIATIVE 69 garsi di una situazione economica (in senso weberiano), l’agire economico è concepibile solo se accompagnato da una serie di distinzioni, di impedimenti irrazionali rispetto al tipo ideale dato. Anche in questo caso è perfettamente legittimo porre una determinata situazione, come quella della sfera dell’economia di mercato (in cui il motivo della calcolabilità, e quindi della razionalità nel senso definito, ha raggiunto una rilevanza istituzionale), come tipo ideale, ed immergersi nella datità storica per cogliere avvicinamenti, scarti, paralleli con la situazione tipico ideale predeterminata, purché non si individuino negli elementi le cause storicamente determinate, concepite nella loro concreta individualità, della situazione descritta. Se consideriamo, per fare un esempio, il contesto storico delle prime formazioni cittadine nel Medioevo occidentale, si potrebbe argomentare che gli spazi d’azione per l’esplicarsi di un agire economico (anzitutto gli scambi di merci tra mercanti) coincidono con lo spazio della libera preda, lo spazio della potenziale massima espansione di forme violente di appropriazione. Non a caso lo stesso Weber sostiene che l’affermarsi dello scambio fu possibile in quei luoghi non protetti da nessuna forma di affratellamento. Lo scambio fu all’inizio effettuato tra estranei, proprio in quanto tra estranei non era prevista nessuna forma peculiare di diritto, ed il rapporto si poteva configurare «liberamente», quindi anche sempre potenzialmente in maniera violenta131. In un altro luogo della Sociologia del diritto, Weber afferma, significativamente, che lo sviluppo di quelle formazioni specifiche che si adattavano al nascente capitalismo moderno è avvenuto in un luogo di grande fioritura giuridica, in una società «che, per motivi politici, produceva un gran numero di diritti speciali, corrispondenti agli interessi di gruppi concreti», favorendo una ricchezza di soluzioni che con il definitivo irrompere del razionalismo giuridico sarebbe andata perduta132. Si tratta degli stessi interessi politici rappresentati da gruppi, consociazioni ecc. portatori di una «produzione giuridica» che ad un certo 131 132 Cfr. MWG I/22-3, pp. 318-319 (WuG, II, pp. 402-403 - ES, III, pp. 24-25). Cfr. MWG, I/22-3, pp. 347-348 (WuG, II, p. 412 - ES, III, p. 41). 70 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ punto, per favorire lo sviluppo dei nascenti interessi economici che esigevano la razionalità, e quindi la prevedibilità e la calcolabilità del diritto, avrebbero dovuto fondersi nell’«unica istituzione coercitiva dello Stato»133. Il rischio, sopra paventato, di confondere delle costruzioni concettuali prospettiche con la natura concreta della relazione sociale si rende massimamente evidente nel momento in cui ad essere concettualizzate sono le relazioni stesse. Parlare di un potere di disposizione sulle persone e sui beni della casa da parte del padre di famiglia allo stesso modo che per l’imprenditore di un’azienda, nell’immediato, rischia di veicolare l’idea che in entrambi i casi esista un insieme di cose disponibile e separato, del quale l’Hausherr o l’imprenditore possono liberamente disporre. Inoltre, si potrà pensare che in entrambi i casi esistano delle merci, costituite dal capitale fisso dell’azienda come dalle cose della casa, e che esistano possessori delle merci, rappresentati ancora una volta dal signore domestico e dall’imprenditore. Ciò presuppone a sua volta la presenza di persone autonome e indipendenti, separate dai beni e dal luogo che le circonda. Va sempre tenuto presente, pertanto, che tali categorie non mirano alla comprensione dell’individualità del fenomeno descritto: il pater familias romano poteva effettivamente disporre anche arbitrariamente sia delle res che delle persone della casa (già nelle condizioni dello Haus germanico le cose stanno diversamente, come Weber stesso sottolinea nelle Handelsgesellschaften), ma in un senso completamente differente rispetto alla modalità secondo la quale un imprenditore dispone dei suoi beni. Il confine che separa una «teoria possibile della storia»134 rispetto ad una «scienza di realtà», erroneamente intesa come una 133 MWG I/22-3, p. 306 (WuG, II, p. 397 - ES, III, p. 17). Si tornerà sulla questione nel terzo capitolo. 134 Cfr. a proposito il saggio di A. Biral, Koselleck e la concezione della storia, in Id., Storia e critica della filosofia politica moderna, Milano, Franco Angeli, 1999, pp. 251-259, il quale, con indiretto riferimento a Weber, parla di «teoria delle storie possibili». Cfr. OJ, WL, p. 164 (Metodo, p. 164), dove Weber parla di «interpretazione della storia da uno specifico punto di vista». 1. ECONOMIA E FORME ASSOCIATIVE 71 descrizione della datità empirica, è ancor più labile tenendo conto del fatto che Weber non si limita a definire gli elementi economicamente rilevanti, ma procede, come è risultato evidente dall’analisi della comunità domestica, anche ad una descrizione sommaria dell’istituto nel suo complesso. Affermare che la casa è il luogo della devozione e della reverenza, e che queste sono il fondamento delle relazioni domestiche, significa affermare che tali relazioni si strutturano attorno ad un punto di imputazione che non è quello economico, né esclusivamente quello materiale. Ciò non significa naturalmente che le forme di dominio siano indipendenti dalla configurazione materiale dei rapporti. Al contrario, Weber ha mostrato con grande efficacia come le stesse forme di reverenza e di reciprocità mutino essenzialmente con il mutare delle rispettive condizioni materiali. Un signore che abbia il potere di vita e di morte su uno schiavo che non possiede nulla, neppure il proprio corpo, avrà la possibilità di esercitare un potere dispotico, vale a dire del tutto discrezionale, sul suo sottoposto. Differentemente, in un rapporto tra un signore che eserciti il dominio su un gruppo di case abitate da contadini legati alla terra, e tenuti a fornire al signore i mezzi di sussistenza, molto difficilmente la relazione assumerà le forme di un dominio dispotico. L’interesse del signore ad una buona prestazione da parte dei contadini (e il desiderio di protezione da parte dei contadini stessi) faciliteranno piuttosto il sorgere di situazioni di reciprocità, le quali, confermate dagli usi, dai costumi, e, se prolungate per lungo tempo, da una tradizione, saranno ben difficili da modificare. La struttura dei rapporti rimane chiaramente un elemento estremamente importante, seppur mai esclusivo e decisivo, purché se ne colga però l’alterità rispetto alle forme moderne di relazione. Il fatto che il signore possa disporre di uno schiavo considerandolo come una cosa, un instrumentum vocale, dovrebbe far capire molto sulla differente specificità del rapporto interpersonale da un lato, e del rapporto tra uomo e cosa, dall’altro. Il servo, o lo schiavo, è non-libero in quanto è legato alla casa e al suo signore, così come un servo della gleba è non-libero in quanto legato alla terra. A sua volta, la libertà del signore consiste in un suo privi- 72 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ legio, fondato anche, ma non necessariamente ed esclusivamente, sulle cose di cui dispone. Hegel riassumerà molto bene la differenza rispetto alle moderne forme del diritto, affermando come, se nello Stato moderno «solo la personalità conferisce diritto a cose», ciò non può essere esteso al diritto romano, il quale «non è mai il diritto della persona in quanto tale, ma al massimo è il diritto della persona particolare»135. Ancora una volta, una tale forma di distinzione è possibile solo prospetticamente, presupponendo un certo tipo di razionalità economico-giuridica. Quella «razionalità immanente» (che rimane una forma di razionalità tra le tante possibili), che Weber ascriveva all’argomentare degli scritti dell’Alberti, non viene indagata nella sua specificità: Weber non è né intenzionato né interessato a svolgere una tale indagine. Stando alla citazione sopra riportata, ripresa dall’intervento weberiano alla Deutsche Gesellschaft für Soziologie, essa non è neppure possibile nell’ambito di una scienza economica. Un tale modo di procedere, all’interno di una storia che si proponga esplicitamente come storia del razionalismo, è del tutto legittimo. Esso presupporrà infatti come espressione compiuta della razionalità quella incarnata nelle moderne forme di associazione economica, e presupporrà quindi nelle forme tradizionali la presenza necessaria di una serie di irrazionalità. Si tratta di una storia della razionalità da un punto di vista della razionalità strumentale moderna, che definisce come irrazionale tutto ciò che è estraneo alla delineazione della genealogia di una razionalizzazione136. Va confermata quindi la perfetta coerenza del ragiona- 135 G.W.F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, Milano, Rusconi, 1996, § 40, p. 133. 136 Pankoke ha visto in questo modo di procedere, apparentemente solo teorico e avalutativo, il frutto di una precisa presa di posizione. Cfr. E. Pankoke, Sociale Bewegung - Sociale Frage - Sociale Politik. Grundfragen der deutschen „Socialwissenschaft“ im 19. Jahrhundert, Stuttgart, Klett-Cotta, 1970, p. 12: «Alles, was in das soziale Handeln an Unberechenbarem noch einfloss – seien es ökonomisch nicht motivierbare Handlungsorientierungen, “an metarationalen Vorurteilen”seien es die noch nicht ganz abgeworfenen Fesseln der feudalen Ordnung, seien es die Interventionen übergeordneter Herrschaftsträger in das innere Getriebe des Marktes – verfiel dem Verdikt, „irrational“ zu sein, und galt für das progressive Seschichtbewusstsein der bürgerlichen 1. ECONOMIA E FORME ASSOCIATIVE 73 mento di Weber, il quale, per fugare ogni dubbio, avrebbe ribadito che razionale e irrazionale sono concetti relativi, e, per di più, avalutativi, non implicanti quindi alcuna forma di giudizio di valore ascrivibile agli aggettivi utilizzati (razionale e irrazionale). Ciò da cui è piuttosto necessario prendere le distanze è il rischio di universalizzazione delle categorie utilizzate, costantemente presente in un tal modo di procedere. Il porre i bisogni come indifferenziati, per esempio, è possibile solo sulla base di un’astrazione teorica, secondo la quale il bisogno si definisce in rapporto al proprio complemento logico, la possibilità della sua soddisfazione. Una volta posta la definizione è ben possibile pensare alla preghiera per un defunto come offerta di una prestazione (Leistung) da parte di un uomo religioso di fronte ad una domanda, rappresentata dal bisogno del fedele di messe di suffragio per i propri cari, e interpretare sulla base della relazione posta tutta la datità storica, creando in questo modo un piano omogeneo tra differenti modalità di soddisfare i bisogni. Si deve tuttavia aver presente che ciò che rischia di andare perduto è esattamente l’individualità del fenomeno descritto. Non solo, infatti, le differenti modalità di strutturazione, anche in termini istituzionali, dei bisogni materiali e immateriali hanno dato vita a modalità completamente differenti del vivere associato, ma pure la distinzione stessa tra bisogni materiali e immateriali (resa indifferente dalla definizione del bisogno sulla base del solo riferimento alla sua soddisfazione) rischia di mostrare la sua riduttività come criterio interpretativo. È possibile ipotizzare che l’agire in vista della copertura del fabbisogno, riferito alla comunità domestica, faccia riferimento alla soddisfazione di un complesso di bisogni materiali e immateriali, comprendenti quindi non solo la sfera dello stare ad unum panem et vinum137, ma anche quella delle relazioni interpersonali, Rationalisten in einem emphatischen Sinne als „unwirklich“, als zu geschichtlicher Wirkung nicht mehr legitimiert». 137 Si tratta di un’espressione usata da Weber nel testo giovanile sulle società commerciali, cfr. MWG I/1, p. 195. 74 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ del padre con la moglie, i figli, i servi e così via, ciascuno dei quali troverebbe, all’interno dell’ambiente domestico, una qualche forma di soddisfazione dei suoi bisogni. È inevitabile che in tale impostazione modernista, vale a dire modellata a partire dalla situazione di massima razionalità di soggetti astrattamente liberi ed eguali all’interno di una comunità di mercato, la situazione economica domestica si presenti come inficiata da una serie di elementi irrazionali, determinata in primo luogo dal peso delle relazioni di autorità e di reverenza. L’utilizzo di queste categorie pare pertanto legittimo se pensato in termini prospettici, vale a dire presupponendo il processo di disgregazione delle forme specifiche di tale relazione, e la loro riconfigurazione sotto altre modalità, fino al dispiegamento della razionalità specificamente moderna. Rimane tuttavia aperta la questione di come considerare nella loro peculiarità questi rapporti di autorità, i quali sono sempre presenti, seppur in modi mutevoli e differenziati. Ci si potrebbe chiedere per esempio che cosa permetta la continuità di quelle relazioni di reverenza e autorità sulla quale si fonda la comunità domestica. Nella Sociologia del dominio, come vedremo, Weber introduce il fondamentale riferimento alla tradizione, termine attorno al quale ruota l’intera analisi del dominio detto appunto tradizionale. Per comprendere che cosa intenda con questo termine sarà necessario percorrere un sentiero intricato attraverso i rari luoghi in cui Weber si sofferma sulla questione. Dall’analisi emergerà come le relazioni sociali (tradizionali) si strutturino a partire da un complesso intreccio di fattori materiali, relazioni di autorità solo in parte fondate sulla materialità del rapporto, e relazioni con l’ambiente, in particolare, nel caso tradizionale, con la terra. Su ciò si tornerà nel paragrafo successivo, e più analiticamente nel secondo capitolo. 5. La composizione dell’Haushalt. Storia economica ed etnologia Una volta allontanato – non solo metodologicamente, ma anche nel concreto delle argomentazioni weberiane – il rischio di 1. ECONOMIA E FORME ASSOCIATIVE 75 una interpretazione sostanziale dei concetti, e dopo aver evidenziato alcuni rischi insiti in una ricerca di tipo prospettico, qual è quella weberiana, va ora esplicitata la possibile fecondità euristica della costruzione concettuale. Se consideriamo la critica brunneriana ai concetti moderni, rivolta anche allo stesso Weber in riferimento all’Haushalt, si potrebbe concludere quanto segue. L’Haushalt, considerato in quanto tale, non è né una comunità economica, né una comunità politica o di altro genere. Preso nella sua unità, esso è piuttosto un luogo in cui si danno delle relazioni tra uomini, mediate dal contesto di cose in cui si trovano inserite. Hausherrschaft designa appunto questo, lo spazio del darsi di relazioni all’interno di un ambito specifico, quello appunto della casa. La casa è quindi un luogo qualitativamente definito e in quanto tale distinto da ciò che la circonda: il territorio, il villaggio, le altre case. Non è possibile pensarla come qualcosa di privato, definita per via negativa in relazione al pubblico, e neppure come uno spazio vuoto, delimitato da mura e riempito solo dalla ristretta schiera di relazioni e sentimenti della vita familiare; la presenza fisica della casa definisce qualcosa che per cominciare potremmo definire un «complesso»138, ossia un elemento che fonda la conformazione di un determinato territorio ed è parte integrante di una Verfassung definita. La casa intesa in questo senso è, come lo stesso Weber afferma tangenzialmente, fondamento delle numerose comunità umane che si trovano al di fuori di essa. Essa va pensata pertanto come uno spazio pieno e gerarchicamente ordinato: il riferimento alla casa indica un’inestricabile connessione di legami personali e beni materiali, di interessi, relazioni interpersonali che costituiscono la forma stessa della vita domestica, dai quali la definizione dello Haus non può prescindere. Essa può essere definita una «unità strutturata»139, e la peculiarità qualitativa di tale unità ne 138 L’espressione «das Ganze Haus», tradotta con “casa nel suo complesso”, è stata coniata da W.H. Riehl (cfr. Riehl, Naturgeschichte des deutschen Volkes, cit., p. 197), ed è stata resa famosa da O. Brunner. Cfr. Brunner, La “casa come complesso” e l’antica economica europea, cit., p. 104. 139 Cfr. voce Familie, in Geschichtliche Grundbegriffe. Historisches Lexikon zur 76 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ permette la differenziazione da ciò che è esterno alla casa. Come non è pensabile uno spazio privato contrapposto ad uno spazio pubblico, allo stesso modo non sono pensabili i membri della casa in quanto persone giuridiche, o come proprietari. Non è qui infatti rintracciabile neppure quella distinzione tra uomini e cose che diverrà fondamento di forme differentemente strutturate di relazione sociale. La possibilità di questa mancata distinzione è rilevante, e sarà oggetto di reiterata attenzione da parte dello stesso Weber nella prima versione della Sociologia del dominio. La critica storica e concettuale di Brunner, se coglie nel segno per quanto riguarda la modalità di formazione dei concetti, trascura tuttavia proprio ciò che costituisce, al di là delle formulazioni concettuali, lo specifico della riflessione weberiana, il cui scopo non è – lo si è ribadito più volte – quello di definire la costituzione del mondo economico premoderno140, ma piuttosto quella di cogliere – per differenza rispetto a quest’ultimo – le cause determinanti nonché la costituzione specifica dell’avvento della modernità. Che il modo in cui i concetti vengono formulati arrivi ad influenzare la stessa ricostruzione del passaggio dalla tradizione alla modernità è questione altrettanto rilevante, sulla quale si tornerà in seguito. È necessario ora però rilevare le componenti peculiari che definiscono la struttura della comunità domestica: è infatti a partire da quest’ultima che Weber costruisce le fasi del passaggio a differenti forme di aggregazione tra gli uomini, specificamente moderne. Al fine di cogliere la specificità e l’importanza del concetto di Haushalt in Weber, accanto all’influenza già considerata di autori noti quali Gierke, Riehl, Tönnies, va affrontato anche l’intreccio tra teoria economica, storia dell’economia e alcune più o meno recenti teorie di indirizzo etnologico, che Weber aveva parimenti presente. Anche in questo caso, il trait d’union dell’inpolitisch-sozialen Sprache in Deutschland, vol. II, p. 260. L’espressione qui utilizzata è «gegliederte Einheit». 140 Con il termine premoderno non si intende qui nient’altro che l’insieme di possibilità di aggregazione che hanno preceduto l’emergere della singolarità qualitativa del mondo moderno, costituendo al contempo anche la base necessaria di tale emersione. 1. ECONOMIA E FORME ASSOCIATIVE 77 teresse weberiano è costituito dalla possibilità di implementare le nascenti teorie economiche con una solida riflessione sull’insieme di concatenazioni storicamente determinate che hanno condotto a quel contesto socio-economico che costituisce la condizione di possibilità della loro stessa scientificità. Noti studiosi come Bücher e Brentano141 vedevano con ogni probabilità in questi nascenti studi etnologici – su tutti quelli di Morgan e Bachofen – proprio la possibilità di ricostruire lo sviluppo economico su una serie di concreti riferimenti storicamente determinati. Anche in questo caso Weber si inserisce nel dibattito con una propria peculiare posizione, tesa anzitutto a scardinare qualsiasi approccio che intenda porre la descrizione dello sviluppo storico su un piano di linearità e di successione di eventi o stadi determinati. Rifiuto di qualsiasi teoria degli stadi quindi, ma anche delle teorie del matriarcato collocate in un contesto di passaggio da forme senza proprietà o comunistiche ad altre caratterizzate dall’emergere della proprietà privata142. Negli appunti raccolti su questo tema, e poi confluiti in Economia e Società, Weber pare porsi il compito di complessificare questi quadri lineari, forse per chiarire anzitutto a se stesso quell’intreccio e quella sovrapposizione dei piani, inevitabili al livello della concretezza storica individuale, che in queste teorie paiono al contrario spalmati all’interno di una serie di stadi successivi, in maniera tanto ordinata quanto astratta. Allo sviluppo Weber preferisce piuttosto la sovrapposizione e l’eventuale differenziazione dei più diversi aggregati comunitari e societari, in direzione sincronica e diacronica, ma senza un vettore predefinito che indichi una direzione evolutiva; nessun passaggio dall’accomunamento alla sociazione, ma piut- 141 Cfr. L. Brentano, Die Volkswirtschaft und ihre konkreten Bedingungen, «Zeitschrift für Social- und Wirtschaftsgeschichte», 1, 1893, pp. 101-148; K. Bücher, Die Entstehung der Volkswirtschaft. Vorträge und Aufsätze, 2a ed., Tübingen, Laupp, 1898, ma anche E. Grosse, Die Formen der Familie und die Formen der Wirthschaft, Freiburg/Leipzig, Mohr, 1896. Per una rassegna delle teorie che descrivono stadi dello sviluppo economico, cfr. H. Winckel, Die deutsche Nationalökonomie im 19. Jahrhundert, Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1977, pp. 175-180. 142 Cfr. Einleitung, in MWG I/22-1, pp. 5 ss. (Comunità, pp. XXXV ss.). MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ 78 tosto lo studio attento delle «alternanze reciproche»143 di apertura e chiusura delle relazioni sociali, delle cause che le producono e delle conseguenze che ciò comporta all’interno del piano di aggregazione complessivo. Considerata da questo punto di vista, la comunità domestica assume la dimensione di un caso, o forse ancor meglio di una possibilità di aggregazione, che può essere compresente ad altri aggregati (ad esempio, il clan, o la comunità di vicinato) e la cui presenza effettiva porta con sé la probabilità – ma mai la necessità – del sorgere di altre forme di accomunamento, in particolare quella peculiare forma di fratellanza costituita dalla comunità di vicinato. Ed è con ogni probabilità l’intersezione di questi studi di carattere etnologico o storiografico con gli studi più classici precedentemente nominati che permette a Weber di far acquisire al concetto di Haushalt (e non solo) una propria specifica collocazione all’interno della sua casistica concettuale. La derivazione della comunità domestica da una forma primitiva di comunismo domestico è accennata da Weber, ma non ulteriormente sviluppata, in quanto, ancora una volta, non è allo sviluppo che egli è interessato, ma piuttosto a quell’intreccio di condizioni – materiali e spirituali – che ne consentono l’emersione e la sussistenza in forma continuativa. A questo proposito, è interessante notare come relazioni di sangue e parentali e forme di appropriazione e di distribuzione (anzitutto della terra) non siano qui affrontate su un piano di successione, ma indagate nella loro complessa compresenza. La comunità domestica costituisce appunto quell’aggregato in cui determinate relazioni si sedimentano all’interno di un agire di comunità che diviene la «base normale» di un’«associazione specificamente economica»144; l’Haushalt sussiste in modo continuativo se sono presenti in modo stabile delle relazioni sessuali (o parentali) da un lato, e il lavoro comune per il sostentamento quotidiano, dall’altro. 143 144 Cfr. Einleitung, in MWG I/22-1, p. 45 (Comunità, p. XCVII). Cfr. MWG I/22-1, p. 117 (Comunità, p. 67). 1. ECONOMIA E FORME ASSOCIATIVE 79 Ciò che Weber considera specifico della comunità domestica è il fatto che, in questo intreccio tra relazioni sessuali e forme del possesso, il baricentro che garantisce la continuità dell’aggregazione è già spostato verso il secondo aspetto, ed è solo all’interno di questa griglia concettuale definita dai nascenti studi sopra nominati che questa distinzione acquista finalmente un senso. La comunità domestica possiede anzitutto una dimensione territoriale, quindi orizzontale e spaziale, legata anzitutto al possesso e allo sfruttamento continuativo del suolo. Il rilevamento di questa componente spaziale dell’aggregazione è ulteriormente sottolineata in quella probabile eccedenza della comunità domestica costituita dal vicinato. È anzitutto la vicinanza spaziale, «la prossimità del luogo effettivo della residenza stabile»145 infatti, a costituire il fondamento di quella «fratellanza» fondata sul «principio originario dell’etica popolare, per nulla sentimentale, del mondo intero: “come tu a me, così io a te”»146, che è caratteristico di quella tipica forma di vicinato costituita dal «villaggio». Va segnalato, inoltre, come la forma del vicinato – che nella sua configurazione tipica è definita come un aggregato di comunità domestiche poste una accanto all’altra – stia a sua volta a fondamento di quel «comune», a sua volta fondato «dalla relazione con un agire comunitario politico comprensivo di un gran numero di vicinati»147. Weber però qui giustamente si ferma e rimanda ad ulteriori chiarimenti148, in quanto ci troviamo alle soglie di un ulteriore processo aggregativo costituito dal sorgere del «comune cittadino» e pertanto di un ulteriore importantissimo processo di differenziazione, sul quale ci si soffermerà nel capitolo successivo. Che la dimensione spaziale implichi a questo livello anzitutto quella territoriale del possesso e dell’utilizzo del suolo e della 145 Cfr. MWG I/22-1, p. 122 (Comunità, p. 73). Ibid. 147 MWG I/22-1, p. 124 (Comunità, p. 77). 148 Per i quali cfr. appunto il testo La città, in particolare cfr. MWG I/22-5, pp. 84-85 e 108-109 (La città, pp. 26-27 e pp. 48-49). Si segnala che “comune” è il termine con cui Massimo Palma traduce in questo caso Gemeinde e non va pertanto confuso con il comune nel senso della città comunale. 146 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ 80 terra è confermato dall’ulteriore riferimento alle «“genealogiae” dei possessori di territori»149 nell’antichità germanica, alla quale consegue un elenco delle possibilità tipiche dello sfruttamento della terra e del suolo150, a cui Weber lega la conseguente differenziazione – tipica dei possidenti – dei figli tra «legittimi» e «illegittimi»151. Nella primarietà dell’elemento della terra nella configurazione delle relazioni sociali può essere letto pertanto il superamento di quell’impasse tra relazioni parentali e sessuali e forme di lavoro comune per il sostentamento precedentemente ravvisato. L’Haushalt costituisce una forma di riarticolazione delle relazioni all’interno di un luogo spazialmente definito, costituito appunto dallo spazio domestico, e nel quale le relazioni lavorative tra i membri cominciano ad assumere una rilevanza primaria rispetto alle stesse relazioni di parentela. In questo senso, la comunità domestica rappresenta il primo luogo di emersione di un processo che però solo nella città troverà le condizioni massimamente adeguate della propria sedimentazione. Solo così è possibile concepire la sua economicità, se il termine economia viene inteso nel senso ampio di una serie di relazioni sociali fondata primariamente sul lavoro quotidiano per il sostentamento. Intesa in questo senso, la comunità domestica rappresenta in Weber un rilevante connettore, il ricettacolo di una trasformazione: un indicatore significativo di ciò è dato dal fatto che l’organizzazione della comunità domestica è considerata come strutturalmente priva di razionalità di tipo formale, ed al contempo rappresenta però il luogo dell’emersione dell’elemento della calcolabilità, che, significativamente, a questo livello viene rilevato nella necessità di provvedere al conferimento di una dote per le figlie, concepite non solo come membri della famiglia, ma piuttosto come una risorsa della famiglia stessa. 149 150 151 Cfr. MWG I/22-1, pp. 137-138 (Comunità, p. 89). Cfr. MWG I/22-1, pp. 136 ss. (Comunità, pp. 90 ss.). Cfr. MWG I/22-1, p. 139 (Comunità, pp. 93 ss.). 1. ECONOMIA E FORME ASSOCIATIVE 81 In definitiva, a Weber la «razionalità immanente» del luogo domestico non interessava. Tuttavia, egli tenne sempre ben presente l’intreccio tra il darsi di relazioni sociali e la struttura all’interno di cui esse prendono forma. Come si cercherà di evidenziare nell’analisi di alcuni luoghi significativi della prima Sociologia del dominio, ciò gli ha permesso di intuire quel processo di endosmosi ed esosmosi tra relazioni di dominio (dal rapporto di schiavitù, alla relazione feudale, fino alle forme di potere burocratico) e strutture all’interno delle quali esse si configurano. All’interno del contesto che nella Sociologia del dominio viene definito tradizionale, l’Haushalt viene non a caso considerato da Weber come il germe del principio di dominio patrimoniale e patriarcale. La sua attenzione ossessiva per il presente storico, evidente in parte anche dallo strumentario concettuale adottato (continuamente corretto, tra l’altro, per adattarlo ai vari contesti storici152), lo ha costretto talvolta a schiacciare troppo l’interpretazione ai fini di far emergere la specificità del mondo moderno. La sua attenzione fu rivolta in particolare a quei luoghi in cui questo intreccio subisce degli scarti, dei mutamenti tali da dar vita a nuove forme di relazione. Sulla base di questi scarti sono modulate le differenti categorizzazioni contenute nell’analisi dei principi strutturali del dominio e nel testo su La città, ed è proprio la città il luogo in cui la comunità domestica va incontro ad un decisivo processo di riarticolazione delle relazioni sociali che la costituiscono. 152 Per fare qualche esempio: Weber utilizza a più riprese il termine Staat per riferirsi alle strutture di dominio patrimoniale, patriarcale e feudale, ma specifica allo stesso tempo che, a rigor di termini, non è affatto possibile parlare di uno Stato in questi contesti; egli è costretto a distinguere tra contratti di scopo e contratti di status, per riuscire in qualche modo a spiegare la differenza sostanziale dei rapporti di affratellamento all’interno del mondo feudale o cittadino; inoltre, egli utilizza il termine individuo, ma spesso preferisce sostituirlo con i termini singolo (Einzeln) o esistente (Existent); per cogliere la specificità dei cosiddetti contratti di status, Weber afferma che l’individuo è costretto a far entrare in sé, tramite l’affratellamento, un’«altra anima», quella di «padre, moglie, fratello, padrone, schiavo, membro di un gruppo parentale o di guerra, protettore, cliente, seguace, vassallo, suddito, amico – in una parola: “consociato” di un’altra persona». Cfr. MWG I/22-3, p. 316 (WuG, II, p. 401 - ES, III, pp. 23-24). 82 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ 6. La città: dissoluzione della comunità domestica e nascita dell’impresa razionale Nella casistica weberiana l’Haushalt rappresenta un’importante forma di accomunamento; egli ne descrive però al contempo un processo di dissoluzione interna, che ha come esito una riformulazione radicale delle relazioni che in essa si inscrivono, fino a produrre una rilevante forma di sociazione. L’importanza dei passi in cui Weber affronta il tema della dissoluzione della comunità domestica ha due motivazioni essenziali: in primo luogo, la differente aggregazione che consegue all’Haushalt segna l’incipit di un mutamento che supera l’accomunamento, per volgersi alla sociazione; in secondo luogo, a questo mutamento Weber collega la nascita del motivo della calcolabilità. «Al posto della partecipazione “per nascita” all’agire comunitario della casa, con i suoi vantaggi e i suoi obblighi, è subentrata una sociazione razionale»153. Com’è noto, i termini tedeschi Vergemeinschaftung e Vergesellschaftung esprimono non solo uno stato, ma anche un processo di aggregazione. Ed è proprio un processo quello che Weber descrive in un significativo paragrafo di Economia e Società154. Egli affronta una delle trasfor- 153 MWG I/22-1, p. 147 (Comunità, p. 102); WuG, II, p. 227 (ES, II, p. 78): «An die Stelle der „geborenen“ Teilnahme am Gemeinschaftshandeln des Hauses mit seinen Vorteilen und Pflichten ist also eine rationale Vergesellschaftung getreten». Su questo punto cfr. Ferraresi, Il fantasma della comunità. Concetti politici e scienza sociale in Max Weber, cit., pp. 34-37. 154 Si tratta della sezione di Economia e Società dedicata ai Tipi di comunità e di associazione nella loro relazione con l’economia, e precisamente nel sesto paragrafo del terzo capitolo, con il seguente titolo: La dissoluzione della comunità domestica: mutamento della sua posizione funzionale e crescente “calcolabilità”. Nascita delle moderne società commerciali (Die Auflösung der Hausgemeinschaft: Änderungen ihrer funktionellen Stellung und zunehmende „Rechenhaftigkeit“. Entstehung der modernen Handelsgesellschaften), cfr. WuG, I, p. 226 (ES, II, p. 76). Il paragrafo è stato accorpato nell’edizione della Gesamtausgabe all’interno di un testo più lungo, dedicato alle comunità domestiche (Hausgemeinschaften), cfr. MGW I/22-1, pp. 114 ss. (Comunità, pp. 63 ss.). Si tratta di un lavoro in sé compiuto e, sebbene non sia possibile fornirne una datazione esatta, è probabile che fosse destinato alla prima redazione dello Handbuch, in particolare alla seconda sezione, dedicata appunto all’analisi del rapporto tra economia e gruppi sociali, tra i quali appunto l’aggregazione di famiglie e 1. ECONOMIA E FORME ASSOCIATIVE 83 mazioni, tipiche dell’Occidente, che hanno condotto solo qui e in nessun altro luogo alla nascita del moderno sistema capitalistico: il passaggio dalla comunità domestica, come fondamento dell’agire economico, alle prime forme di impresa razionale, le società commerciali. A questo passaggio Weber associa, appunto, il sorgere del motivo155 della calcolabilità. Per poter attraversare analiticamente il passaggio è necessario far riferimento al luogo in cui esso si produce, che è appunto un contesto cittadino. Non è la città il luogo privilegiato della trasformazione ma, come Weber chiarirà definitivamente nella monografia ad essa dedicata, un insieme particolare di città, vale a dire quelle italiane del tardo Medioevo. In tutti gli scritti dedicati da Weber alla città, in particolare la dissertazione di dottorato156 e la nota monografia, pur con le dovute differenze, si ripercorrono in ultima analisi delle tappe la cui matrice di fondo è unitaria. La città è anzitutto un luogo fortificato, protetto da mura, delimitato da un Burg. Due elementi fondamentali di aggregazione, condizione di possibilità dell’unità dell’Haushalt, sono la condivisione comune del lavoro nei campi è l’unità dell’abitazione: questi due elementi trovano nello spazio delimitato da mura un ostacolo in ultima analisi non superabile. Le mura definiscono un primo, nuovo criterio di inclusione ed esclusione, che definisce le stesse condizioni di vita dei suoi abitanti, i cosiddetti burgenses. Tuttavia, nella città medievale, l’Haushalt non scompare, al contrario, come nel caso paradigmatico della città di Firenze, esso addirittura pare rafforzarsi. Il venir meno dell’eledi comunità, oltre a ceti e classi e Stato. 155 Va rilevato come motivo (Motiv) rappresenti nella terminologia weberiana un termine tecnico. Stando alla definizione contenuta nei Concetti sociologici fondamentali, per motivo si intende «una connessione di senso che appare, all’individuo che agisce oppure all’osservatore, come “fondamento” dotato di senso di un atteggiamento» cfr. WuG, I, p. 5 (ES, I, p. 10). Cfr. la voce motive (Motiv) in R. Swedberg, The Max Weber Dictionary. Key Words and Central Concepts, California, Stanford University Press, 2005. 156 Nonostante il tema più ridotto, anche questo è, in fondo, un testo che tratta dalla prima all’ultima riga delle città italiane tardo medievali. MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ 84 mento aggregante della terra, che in molti casi portava con sé la persistenza delle relazioni di parentela come forma primaria di aggregazione sociale, non determina immediatamente l’indebolimento delle relazioni sociali su di essa fondate. Così nella città medievale il cugino, la cognata e la suocera mangiano allo stesso tavolo157, e anche nelle case dei commercianti «la comunità domestica si conserva per generazioni»158. Padre, figlio e nipote condividono lo stesso luogo lavorativo, con una differenza fondamentale: che nella città medievale (diversamente da quella antica) la separazione tra città e campagna, tra burgenses e rurales, è netta, e tende a definirsi sempre più. La condivisione del lavoro comune consiste, in una prima fase, nella produzione di manufatti. Il luogo di lavoro aggrega la famiglia lavoratrice, ma non rappresenta più quel contesto inscindibile di uomo, terra e lavoro che caratterizzava la comunità domestica. Così può capitare, inizialmente quasi come mero accidente, che nella casa del padre di famiglia, che inizialmente coincide con il luogo di lavoro (la bottega, la stacio), rientri un membro lavoratore che non appartiene alla famiglia. La condivisione del lavoro, che non richiede più necessariamente l’unità dell’abitazione, rende possibile la sua presenza continuativa all’interno di un contesto familiare diverso da quello di provenienza. Inizialmente, l’estraneo rientra nella famiglia come semplice socius, ma la preminenza della potenza aggregante della funzione lavorativa rispetto alla dimensione familiare fa sì che accada sempre più spesso che la famiglia si configuri come un luogo di aggregazione di soci artigiani: i legami familiari si indeboliscono, e si rafforzano al contempo quelli lavorativi, in termini weberiani, i rapporti meramente economici. Non deve sfuggire, subliminalmente al ragionamento weberiano, la serie di mutamenti che si sta producendo all’interno dello stesso ambiente domestico: da un lato, la separazione del singolo uomo dal suo ambiente familiare; dall’altro lato, una prima indipendenza rispetto allo stesso luogo lavorativo. Questi 157 158 Cfr. MWG I/3-2, p. 920 (Dalla terra alla fabbrica, p. 26). Ibid. 1. ECONOMIA E FORME ASSOCIATIVE 85 due fenomeni sono legati ad un mutamento delle modalità di vita e di sostentamento: è la dimensione del vivere cittadino, nella quale l’allontanamento dalla terra produce una progressiva attività lavorativa volta alla produzione di manufatti, detto più rozzamente, alla produzione di cose. Progressivamente, è attorno all’attività di produrre cose che prendono forma le stesse modalità di aggregazione. 7. Storia economica e sociologia: la posizione weberiana Nell’attraversamento svolto in questo capitolo si è cercato di porre attenzione ai luoghi di definizione concettuale, tenendo presente però che l’utilizzo degli stessi concetti all’interno del concreto dell’argomentazione presenta una complessità sempre esorbitante rispetto alla definizione stessa. Sono stati inoltre considerati i principali referenti, appartenenti alle più differenti discipline, a partire dai quali si sono venute formando le scelte concettuali dello studioso tedesco. Weber si colloca, nel suo complesso, come un pensatore in parte di mediazione e superamento, in parte di ulteriore complicazione, rispetto ad una serie di istanze compresenti. A partire da una formazione incentrata soprattutto sulle acquisizioni delle scuole storiche di diritto e dell’economia, nonché sulla lettura attenta di Marx e Tönnies, Weber seppe mediare il suo retroterra con alcuni spunti teorici provenienti da differenti versanti di discipline nuove ed emergenti; tra queste, la scuola marginalista e le ricerche di storia economica. Le teorie degli stadi di Bücher e Rodbertus, svuotate della loro componente progressiva tendente a creare delle epoche di storia economica, vengono recuperate nella loro matrice concettuale, e riformulate sotto forma di un apparato categoriale che comprende entro sé anche le definizioni teoriche astratte della scuola austriaca, le quali trovano così una propria collocazione storica, per quanto problematica159. 159 Cfr. su ciò R. Swedberg, Afterword: The Role of the Market in Max Weber’s 86 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ Nel prossimo capitolo, piuttosto che alle definizioni, l’attenzione sarà maggiormente rivolta alle argomentazioni di carattere storico-categoriale contenute anzitutto nelle sezioni della Sociologia del dominio. Ne emergerà come ritorni qui in primo piano l’influenza più sottile, e per questo forse più profonda, delle ricerche di Tönnies e Marx, ai quali Weber non deve solamente l’attenzione primaria, seppur mai esclusiva, alle determinanti economiche dell’agire, ma soprattutto quell’ulteriore sensibilità che lo conduce a cogliere i fenomeni di volta in volta descritti nella loro onnipresente complessità e interrelazione. Va detto che la sintesi weberiana è del tutto irriducibile ad essere rappresentata come un mosaico delle sue varie influenze. Focalizzando l’attenzione su di essa, l’impressione è quella di trovarsi di fronte ad una duplice istanza: in primo luogo il tentativo di costruzione di un apparato categoriale, modellato a partire da un’interpretazione della storia da uno specifico punto di vista, che permetta la formulazione da un lato di categorie generali dell’agire economico, dall’altro di forme generali di comunità e sociazione considerate dal versante della loro rilevanza economica; in secondo luogo, dall’analisi delle soluzioni concettuali adottate emerge come proprio queste categorie, invero applicabili ai contesti storici più disparati, costituiscano di fatto un grande sfondo teorico e concettuale, in base al quale misurare e rilevare la peculiarità del moderno sistema economico, razionale e razionalizzato. Non si spiegherebbero altrimenti la costante inclinazione a privilegiare una categorizzazione di stampo dualistico, e le conseguenti opposizioni concettuali: accomunamento/ sociazione, comunità domestica/economia acquisitiva, comunità domestica/impresa e così via. È opportuno ricordare, per quanto scontato, che l’indiscutibile singolarità del moderno assetto sociale e politico non si risolve all’interno di una concettualizzazione di stampo storicista. Le coppie nominate, pertanto, work, «Theory and Society», 3/29, 2000, pp. 373-384, in particolare pp. 376-377 dove, facendo riferimento soprattutto allo scritto sulla Borsa e al Grundriss del 1898, l’autore evidenzia «a rather curios blend of theoretical and historical approaches in Weber’s work». 1. ECONOMIA E FORME ASSOCIATIVE 87 nonostante siano costruite in ultima analisi sulla base dell’opposizione tra singolarità del mondo moderno e «grigia infinità» del contesto tradizionale, sono in linea di principio applicabili a tutte le epoche e a tutti i luoghi. Ne consegue che l’universalizzazione dei concetti risponde all’esigenza di proporre un’interpretazione (economica e sociologica) della storia, che permetta di cogliere nei differenti fenomeni indagati degli scarti, non solo collocabili storicamente, ma anche definibili nel loro contenuto specifico160, che consentano di identificare le tappe di un percorso di razionalizzazione che trova il suo culmine nella struttura sociopolitica moderna. La razionalità indagata e il correlato processo di razionalizzazione sono solo un percorso tra i tanti possibili, che a Weber interessa in quanto vi riconosce la cifra specifica delle moderne relazioni sociali. Si tratta inoltre di un itinerario né necessario, né inevitabile, dovuto ad una serie di concatenazioni causali, anch’essa storicamente determinabile. Una volta constatata la «fecondità creativa» di un tale approccio, è opportuno sottolinearne al contempo alcuni possibili effetti collaterali, che rischiano costantemente di inficiare la portata dell’indagine, in particolare nel momento in cui sorga la tentazione, sempre riemergente tra gli interpreti, di scambiare le categorie adottate come comprensive di una certa realtà storica determinata. Non è un caso che proprio su queste potenziali distorsioni del lavoro weberiano si siano concentrate alcune delle critiche più puntuali da parte di autori coevi o appartenenti alla generazione immediatamente successiva a quella weberiana. Nello specifico, si è cercato di rendere evidente come tale strategia interpretativa, per essere efficace, richieda necessariamente la posizione di una differenza: tra l’uno e l’infinito, tra il razionale e il tradizionale, tra il singolare e l’universalmente diffuso. Sulla base di questa differenza si individuano quindi gli scarti, i passaggi, le dissoluzioni. Si è rilevato come una metodologia di questo tipo, volta primariamente a «colorare», rispetto alla 160 Ad esempio: la nascita della contabilità all’interno delle comunità domestiche fiorentine. 88 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ «grigia infinità di ciò che è storicamente indifferente», quelle concatenazioni causali che hanno portato alla singolarità dell’assetto socio-politico moderno, tenda in ultima analisi a trascurare la specificità, la «razionalità immanente» di contesti altri rispetto ad esso; una tale insidia è implicita nella stessa strutturazione dell’approccio adottato. Il rischio rimane tuttavia presente nell’utilizzo stesso delle categorie, nel momento in cui si tenta di descrivere gli elementi essenziali di un’istituzione o di un fenomeno sulla base di una griglia concettuale forgiata su un contesto altro rispetto ad essi. Se lo scopo del lavoro non consiste nel cogliere gli scarti di razionalità, ma nel cercare di determinare la «razionalità immanente» al fenomeno indagato, lo strumentario weberiano, perlomeno nelle definizioni date, potrà necessitare di alcune precisazioni complementari. Questo non tanto perché Weber non fosse sufficientemente attento alla questione, quanto piuttosto perché il suo approccio alle fonti si pone obiettivi del tutto differenti. Con le sue ricerche, e le sue categorizzazioni, Weber ha unito una conoscenza erudita delle fonti, una selezione peculiare delle fonti stesse, e una loro rielaborazione all’interno di un quadro storico-categoriale con il quale in molti si sarebbero, in seguito, confrontati criticamente161. Proprio per i motivi suddetti, si ritiene che i risultati più proficui si siano ottenuti non tanto da critiche generiche all’impostazione weberiana, quanto dalle indagini in cui la maggiore raffinatezza dal punto di vista concettuale, all’interno di una ricerca volta a cogliere la specificità dei luoghi storici indagati, ha saputo integrare le pratiche di investigazione con l’insieme di dati aggregati e di metodologie specifiche offerte dalle nuove discipline162. Che si tratti di costruzioni 161 Cfr. F. Tenbruck, Abschied von der „Wissenschaftslehre“?, in J. Weiß (a cura di), Max Weber heute. Erträge und Probleme der Forschung, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1989, pp. 90-115, qui p. 111, dove l’autore afferma che la costruzione di altri apparati concettuali avrebbe dovuto fare criticamente i conti proprio con la concettualità weberiana. La stessa definizione di economia sostanziale proposta da Polanyi è assimilabile ad alcune considerazioni weberiane, in particolare con quelle contenute nel saggio sull’oggettività. 162 Sugli aspetti economici che abbiamo considerato in questo capitolo, si potrebbero citare in particolare le ricerche di Mauss, sul quale Weber ebbe un’influenza di un 1. ECONOMIA E FORME ASSOCIATIVE 89 storico-categoriali o di indagini monografiche, il passaggio non solo attraverso le fonti empiriche, ma soprattutto attraverso le singole discipline scientificamente affermatesi, si rivelerà sempre più essenziale per la fecondità euristica dei risultati raggiunti. Tuttavia, il problema della mediazione tra sapere specialistico e visione complessiva, tra la razionalità del ricercatore, del suo strumentario concettuale, e la razionalità delle fonti, rimane uno dei più intriganti dell’indagine storica. Questa possibile mediazione, integrativa rispetto al punto di vista prospettivistico weberiano, non è tuttavia pensabile all’interno del taglio interpretativo proprio della scienza economica. Essa richiede, per dirla con Otto Hintze, un intervento che cerchi di cogliere «l’unità vitale» in cui convergono, in una realtà altra, relazioni e riferimenti che, in base ad un approccio economico, sarebbero distinguibili solo dal punto di vista teorico163 e formale. Si tratta chiaramente di un atteggiamento rischioso, non certo esente da potenziali distorsioni, e tuttavia necessario se si intende cogliere la determinatezza di alcuni fenomeni all’interno della specificità del contesto in cui sono inseriti. Come si cercherà di evidenziare nel prossimo capitolo, si tratta di un approccio che lo stesso Weber ha in parte praticato in alcuni lavori di carattere monografico164 (e in molte pagine di Economia e Società), e che al contempo, rispetto al taglio interpretativo implicito nelle categorie analizzate in questo capitolo, persegue fini diversi. Più nello specifico, un’importante prestazione offerta dalla metodologia qui adottata è quella di far emergere la stessa determinatezza storica delle categorie costruite sulla base di un certo rilievo, di cui non pare sia stata rilevata con precisione l’entità. Di un incontro tra Mauss e Weber avvenuto ad Heidelberg fa menzione E.A. Tiryakian, A Problem for the Sociology of Knowledge. The mutual Unawareness of Emile Durkheim and Max Weber, «Archives européennes de sociologie», 2/7, 1966, pp. 330-336. Sull’influenza di Weber sul pensiero di Mauss cfr. A. Fimiani, Marcel Mauss e il pensiero dell’origine, Napoli, Guida Editori, 1984, p. 24 nota 37. 163 Si utilizza qui il termine teoria nel senso precisato in G. Duso, La logica del potere: storia concettuale come filosofia politica, Roma-Bari, Laterza, 1999, p. 33. 164 Ci si riferisce all’Etica protestante, ma in particolare all’incompiuto saggio La città. 90 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ taglio disciplinare che risente esso stesso del contesto in cui viene formulato, e che predetermina la stessa narrazione delle diverse «storie possibili»165. La stessa separazione tra lo spazio dell’economico (che nella sua razionalità massima prevede una comunità di mercato e dei soggetti agenti liberamente all’interno di essa) e lo spazio politico (che nella sua formulazione tipico ideale prevede la presenza di un territorio, di una comunità separata che lo amministra, e un minimum di violenza) risulterà costruita sulla base della separazione avvenuta di fatto, in Germania, solo nel corso del XIX secolo. Ciò può aprire la possibilità, anzitutto, di indagare la specificità di ciò che sta oltre quella separazione. Ne emergerà una determinazione più precisa proprio di quella noneconomicità di cui Weber ammetteva la possibilità d’esistenza, e anche di una possibile non politicità, se per politica si intende quel rapporto di comando ed obbedienza, e la correlata questione della legittimità, che costituisce la cifra specifica della definizione di Herrschaft. Si comprenderà per esempio come esistano determinati contesti in cui la Herrschaft non sia neppur concepibile se presa singolarmente, ma solamente in relazione ad un luogo preciso, nel quale viene esercitata: Hausherrschaft, LandesHerrschaft, Grundherrschaft, Burg und Herrschaft. In questo contesto l’Haushalt, all’interno del quale solo con una certa difficoltà Weber strappa gli elementi economicamente rilevanti, è pensabile come una di queste unità di luogo, come la più piccola (die kleinste Herrschaftseinheit), dalla quale procedono tutte le sfere più complesse del vivere associato. Si tratta di una collocazione suggerita dallo stesso Weber, quando rileva che la comunità domestica può presentarsi come «fondamento di numerose comunità umane al di fuori di essa»166, ma svuotata dall’assolutezza del riferimento che è possibile rintracciare all’interno di alcuni autori della scuola storica di economia, in particolare in 165 Cfr. P. Rossi, Introduzione, in M. Weber, Il metodo delle scienze storico-sociali, Torino, Einaudi, 1997, pp. 9-52, che parla di differenti «indirizzi di conoscenza storica» (p. 29). Cfr. anche il saggio di Biral, Koselleck e la concezione della storia, cit. 166 MWG I/22-1, p. 118 (Comunità, p. 68); WuG, I, p. 214 (ES, II, p. 56). 1. ECONOMIA E FORME ASSOCIATIVE 91 Roscher, ma anche in Riehl e nello stesso Schäffle. La casa come fondamento di una serie di comunità al di fuori di essa rimane qui una possibilità, pensabile all’interno di una serie di condizioni determinate167. Il suo venir meno, per quanto lentamente e progressivamente, provocherà, nel contesto cittadino, il sorgere di nuove relazioni sociali, che il Weber delle Handelsgesellschaften definiva, in maniera intrigante quanto ambigua, «puramente economiche» (rein wirtschaftlich). La definitiva dissoluzione della «comunità economica universalmente più diffusa» darà luogo, all’interno di una serie di condizioni storicamente determinate, al sorgere di una nuova forma di associazione, il cui destino sarà quello di recuperare, in una una sfera di rapporti sempre più reciprocamente funzionali, una collocazione funzionale propria, sotto forma di famiglia nucleare. Rilevare come siano esistiti contesti in cui la separazione tra sfera economica e sfera politica, tra la Herrschaft e il governo del territorio, non erano pensabili, potrebbe risultare utile a chiarire anche ulteriormente la stessa peculiarità assunta dalle relazioni sociali nel contesto moderno, nel quale tale separazione non solo è presente, ma produce una serie di possibilità di vita, e una determinata configurazione della lotta politica che non poté sfuggire ad un occhio attento come quello di Weber, interessato proprio a simili questioni. Nel prossimo capitolo ci si soffermerà sul complesso rapporto tra politica ed economia presente nella prima versione della Sociologia del dominio. Nel capitolo immediatamente successivo si dedicherà attenzione al processo di razionalizzazione insito nel mutamento delle relazioni sociali all’interno del contesto moderno, e in particolare alla questione della calcolabilità, già emersa nella descrizione del passaggio dalla comunità domestica all’impresa. L’ultimo capitolo sarà dedicato al problema dell’agire politico all’interno dell’ordinamento statale, dominato dal monopolio della violenza legittima, dalla dissoluzione di ogni gruppo portatore 167 Principalmente un contesto agrario, nel quale le relazioni di autorità siano pensabili solo sulla base della «realtà sostanziale» della terra. Su ciò cfr. il capitolo successivo. 92 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ di diritto alternativo rispetto allo Stato, e dalla onnipervasiva dimensione del mercato. Capitolo secondo Il contesto tradizionale e la sua dissoluzione Prendere in considerazione la comunità domestica al di là del suo essere luogo di una rilevante convergenza tra accomunamento e forme dell’economia significa inoltrarsi in maniera più analitica nell’indagine weberiana di quello che, con espressione generica e meramente introduttiva, potremmo chiamare il contesto tradizionale, all’interno del quale appunto la comunità domestica rappresenta un riferimento di primaria importanza. Nel farlo, si prenderà anzitutto in considerazione la Herrschaftssoziologie1, in 1 Scritte tra il 1911 e il 1914 e non ufficialmente pubblicate, le sezioni della Sociologia del dominio dedicate ai principi strutturali del patrimonialismo, del patriarcalismo, del feudalesimo e del carisma (Charismatismus) dovevano far parte della raccolta Grundrisse der Sozialökonomik. Ciò è di interesse per la presente riflessione perché ci permette di evidenziare come il taglio tematico richiesto fosse quello di un’indagine che rilevasse gli aspetti economici presenti nelle strutture sociali. L’importanza degli aspetti economici, che nel testo compare con una certa evidenza, è chiaramente esplicitata in una lettera inviata da Weber all’editore Paul Siebeck (Cfr. Brief an Paul Siebeck, 30.12.1913, in MWG II/8, pp. 449 ss.) dove afferma di aver sviluppato una «teoria sociologica chiusa» nella quale vengono messe in relazione tutte le più grosse forme di comunità (Gemeinschaftsformen, Weber cita come esempi la famiglia, la comunità domestica, l’impresa, oltre alla Sippe, alle comunità etniche e alla religione) con l’economia, e infine una «umfassende Staats- und Herrschaftslehre». In questa seconda parte, comunque, importanza primaria è assegnata alle considerazione delle forme di Herrschaft nella loro fondamentale relazione con l’economia. Patrimonialismo, patriarcalismo e feudalesimo sono «principi strutturali di dominio», e la loro indagine possiede in ogni caso una propria specificità rispetto ad una considerazione primariamente economica. Le distinzioni terminologiche risentono di questa differenziazione tematica tra elementi di dominio e fattori economici: così un concetto economico come quello di patrimonio si distingue dal principio strutturale di dominio detto patrimonialismo, nonostante ne costituisca la fondamentale base materiale; allo stesso modo il feudo 94 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ particolare nella prima e più ampia versione2. L’attenzione alla (Lehen) si distingue dal feudalesimo (Feudalismus – per chiarire la differenza tra feudalesimo e feudo, è esemplificativo l’esempio addotto da Weber relativamente alla struttura dello Stato polacco: cfr. MWG I/22-4, p. 380; Dominio, p. 364), e così via fino alle distinzioni più analitiche. Già da queste prime, generiche considerazioni è possibile cogliere in nuce la stretta interrelazione tra strutture materiali e princìpi di dominio, attraverso la quale è possibile seguire il filo rosso che lega le argomentazioni weberiane ai numerosi esempi storici concreti. All’interno di tale stretto legame, va ben compreso il riferimento allo spettro semantico ruotante attorno al concetto di tradizione. I termini tradizione, tradizionale e, più raramente, tradizionalismo sono utilizzati da Weber anzitutto per definire dei contesti antecedenti, o compresenti (e, in questo caso, confliggenti) rispetto alla singolarità qualitativa delle moderne strutture razionali. Il fatto che tradizionale definisca in Weber l’opposto del termine razionale, è un’affermazione che ha una propria validità, specialmente nei luoghi in cui Weber si dedica primariamente alla messa a punto dei propri strumenti di lavoro, vale a dire alla definizione dei concetti. Al contempo, però, all’interno dei contesti argomentativi non esclusivamente di carattere definitorio, qual è il caso della Sociologia del dominio nella sua prima versione, la nozione possiede una propria complessa specificità. Differentemente dalla struttura burocratica, unica depositaria della forma razionale di esercizio del potere, le forme tradizionali di dominio possiedono al loro interno una stratificazione di chances piuttosto articolata, e peraltro non immediatamente delimitabile con facilità, che andrà indagata con attenzione. Sull’importanza del riferimento al dominio tradizionale all’interno della Sociologia del dominio, cfr. G.G. Hamilton, Patriarchalism in Imperial China and Western Europe: A Revision of Weber’s Sociology of Domination, «Theory and Society», 3/13, 1984, pp. 393-425, in particolare p. 397. 2 È questo infatti il luogo in cui Weber affronta più diffusamente il principio strutturale del dominio tradizionale. Sulle versioni della Sociologia del dominio, cfr. MWG I/22-4, pp. 1-91 (Dominio, pp. XXIX-CXLVII); W.J. Mommsen, Max Weber. Gesellschaft, Politik und Geschichte, 2a ed., Frankfurt a.M., Suhrkamp, 1974, in particolare pp. 202 ss.; W. Schluchter, Lo sviluppo del razionalismo occidentale: un’analisi della storia sociale di Max Weber, Bologna, Il Mulino, 1987, pp. 149 ss. Sulla storia di Economia e Società in generale, cfr. l’introduzione a MWG I/22-1, pp. 1-65 (Comunità, pp. XXIX-CXXVII); J. Winckelmann, Max Webers hinterlassenes Hauptwerk: die Wirtschaft und die gesellschaftlichen Ordnungen und Mächte: Entstehung u. gedankl. Aufbau, Tübingen, Mohr, 1986; W. Schluchter, „Wirtschaft und Gesellschaft“ – Das Ende eines Mythos, in Id., Religion und Lebensführung, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1988, vol. II, pp. 597-634; tr. it. Economia e Società: la fine di un mito, «Rassegna italiana di Sociologia», 4/28, 1987, pp. 493-527; Id., Max Webers Beitrag zum Grundriß der Sozialökonomik, «Kölner Zeitschrift für Soziologie und Sozialpsychologie», 2/50, 1998, pp. 327-343; Id., „Kopf“ oder „Doppelkopf“ – Das ist hier die Frage. Replik auf Hiroshi Orihara, «Kölner Zeitschrift für Soziologie und Sozialpsychologie», 4/51, 1999, pp. 735-743; Id., Individualismus, Verantwortungsethik und Vielfalt, Velbrück, Weilerwist, 2000, pp. 177-236; W.J. Mommsen, Zur Entstehung von Max Webers hinterlassenem Werk „Wirtschaft und Gesellschaft. Soziologie“, «Zeitschrift für Staatswissenschaft und Staatspraxis», 6/11, 2000, pp. 160-189; Id., Max Weber’s Grand Sociology. The Origins and Composition of “Wirtschaft und Gesellschaft. Soziologie”, 2. IL CONTESTO TRADIZIONALE E LA SUA DISSOLUZIONE 95 natura dell’intreccio, costantemente presente, tra elementi economici (qui intesi nel senso ampio delle possibilità di sostentamento) ed elementi politici ci permetterà di evidenziare alcuni aspetti rilevanti dell’impostazione weberiana, che vanno oltre le definizioni considerate nel precedente capitolo. La preminenza dell’elemento legato alla possibilità di sostentamento, e quindi all’economia, permane, ma qui viene riarticolata all’interno di un contesto strutturale, di cui appunto la comunità domestica rappresenta un basilare elemento aggregativo. La peculiare convergenza tra relazioni di sangue e parentela, da un lato, e lavoro comune all’interno dell’Haushalt, dall’altro, trova in queste pagine una propria sistematizzazione non più solamente in termini di chiarificazione concettuale, ma all’interno di un vero e proprio contesto associativo: in termini weberiani, l’Haushalt diventa modello di un principio strutturale di dominio. Si potrebbe dire che qui Weber chiarisce in che termini la comunità domestica può essere «fondamento di numerose comunità umane al di fuori di essa», chiarendo quell’espressione che nella sezione di Economia e Società indagata nel precedente capitolo era rimasta poco più che un’affermazione isolata. La preminenza del fattore di aggregazione legato al lavoro comune piuttosto che al sangue e alla parentela trova qui una propria conferma, divenendo una sorta di principio operativo che permette di determinare la distinzione tra le varie forme di dominio. La comunità domestica è il ricettacolo «History and Theory», 3/39, 2000, pp. 364-383; Id., Die Siebecks und Max Weber. Ein Beispiel für Wissenschaftsorganisation in Zusammenarbeit von Wissenschaftler und Verlegern, «Geschichte und Gesellschaft», 1/22, 1996, pp. 19-30; G. Fitzi, Max Webers politisches Denken, Konstanz, UVK, 2004 pp. 53 ss.; G. Roth, Abschied oder Widersehen?. Zur fünften Auflage von Max Webers „Wirtschaft und Gesellschaft“, «Kölner Zeitschrift für Soziologie und Sozialpsychologie», 2/31, 1979, pp. 318-327; D. Käsler, Max Weber, Bologna, Il Mulino, 2004, in particolare pp. 191 ss.; K. Tribe, Translator’s Introduction, in W. Hennis, Max Weber. Essays in Reconstruction, London, Allen & Unwin, 1988 pp. 1-17; M. Rainer Lepsius, ‘Wirtschaft und Gesellschaft’: The Legacy of Max Weber in the light of the Max Weber Gesamtausgabe, «Max Weber Studies», 1/12, 2012, pp. 13-23; F.H. Tenbruck, Abschied von Wirtschaft und Gesellschaft. Zur Besprechung der 5. revidierten Aufglage mit textkritischen Erläuterungen, herausgegeben von Johannes Winckelmann, «Zeitschrift für die Gesamte Staatswissenschaft», 133, 1977, pp. 703-736. 96 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ dell’autorità e della reverenza, le quali trasmettono la specificità del loro legame all’interno dell’intero contesto associativo. Al contempo, le trasformazioni delle forme di dominio seguono il filo delle trasformazioni delle possibilità di sostentamento. Ciò, più che suggerire una preminenza dell’elemento economico nell’interpretazione dello sviluppo sociale, pare piuttosto invitare ancora una volta ad un approfondimento della complessità dell’intreccio tra possibilità di sostentamento, ambiente e relazioni sociali. In questo senso, la comunità domestica rappresenta il luogo della persistenza delle relazioni di autorità e reverenza, e al contempo l’origine del loro superamento nella direzione di relazioni sociali differenziate, ma fondate principalmente su una base diversa: in questo senso, la comunità domestica può essere definita come l’incipit da cui diparte il processo di Verdinglichung, vale a dire della preminenza di forme associative basate sulle cose (tra cui, soprattutto, la terra) piuttosto che sui legami parentali e di sangue. L’Haushalt è assunto quindi come matrice dell’emersione di forme differenti di relazione sociale, che saranno di importanza cruciale nella formazione della singolarità del contesto associativo propriamente moderno. Da qui si sarebbe poi sviluppato un ulteriore passaggio3: dalle relazioni fondate primariamente sulla terra, ed eventualmente sullo scambio di cose, al sorgere di processi di socializzazione introdotti dall’istituzione statale e dal mercato; ci si riferisce al passaggio dalla Verdinglichung alla Versachlichung, che della comunità domestica (e non solo) segnerà la fine definitiva4. Queste trasformazioni saranno qui attraversate analiticamente a partire dalla Sociologia del dominio. Se patriarcalismo e patrimonialismo – in misura differente – trovano il loro fondamento nel «germe» della comunità domestica, nel principio strutturale del feudalesimo si assiste ad un emergere preminente della dimen- 3 Anche in questo caso, il passaggio non va inteso né in termini evoluzionistici né di successione di stadi, ma piuttosto come emersione storicamente determinata di relazioni sociali differenti rispetto alle precedenti. 4 Questo passaggio sarà oggetto del terzo capitolo. 2. IL CONTESTO TRADIZIONALE E LA SUA DISSOLUZIONE 97 sione della terra, la quale, se da un lato rappresenta il punto di partenza della formalizzazione dei rapporti e di una prima sottolineatura della dimensione contrattuale della relazione sociale, dall’altro costituisce il viatico di quella peculiare evoluzione dei principi patriarcali e patrimoniali di dominio rappresentati dalla cosiddetta teoria dell’oikos. Sarà tuttavia all’interno del contesto cittadino (in particolare nelle città italiane tardo medievali) che si assisterà ad un vero e proprio mutamento sostanziale delle relazioni sociali che porrà le basi delle forme moderne di associazione. 1. Patrimonialismo e patriarcalismo: tra autorità e tradizione Il dominio patriarcale5, «la struttura di gran lunga più importante tra i principi strutturali pre-burocratici» consiste, in un senso che si dovrà definire con attenzione, nell’estensione del dominio e dell’autorità del signore all’interno e all’esterno della comunità domestica. La specificità del dominio patriarcale è infatti quella di poggiare su «rapporti di devozione strettamente personali», il cui germe (Keim) «sta nell’autorità di un signore domestico all’interno di una comunità domestica»6. Se nella sezione dedicata ai tipi di comunità la comunità domestica compariva come comunità (primariamente) economica, qui viene piuttosto rilevata la 5 Sui concetti di patriarcalismo e patrimonialismo cfr.: S. Breuer, „Herrschaft“ in der Soziologie Max Webers, Wiesbaden, Harrassowitz Verlag, 2011, pp. 87 ss.; S. Hermes, Soziales Handeln und Struktur der Herrschaft: Max Weber verstehende historische Soziologie am Beispiel des Patrimonialismus, Berlin, Duncker & Humblot, 2003; Hamilton, Patriarchalism in Imperial China and Western Europe: a Revision of Weber’s Sociology of Domination, cit.; Id., Patriarchy, Patrimonialism and Filial Piety: A Comparison of China and Western Europe, «British Journal of Sociology», 1/41, 1990, pp. 77-104; J. Adams, The Rule of the Father: Patriarchy and Patrimonialism in Early Modern Europe, in C. Camic, P. S. Gorski, D. M. Trubek (a cura di), Max Weber’s Economy and Society: A Critical Companion, Stanford, Stanford University Press, 2005, pp. 237-266. 6 MWG I/22-4, p. 247 (Dominio, p. 183). Corsivo mio. MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ 98 sua valenza strutturale, il suo essere «germe» di un principio strutturale di dominio. La definizione categoriale del dominio tradizionale sembra scorrere sul doppio binario di un suo distanziamento rispetto al dominio burocratico (che ne permette la definizione rigorosa) e l’accostamento alla forma pura della comunità domestica e del suo protagonista principale, l’Hausherr. Ora, però, non si tratta più della comunità domestica presa nella sua specificità, in quanto tipo ideale ristretto di una modalità di stare assieme degli uomini, quanto piuttosto, come riferimento esemplificativo di una struttura di dominio, di un tipo ideale molto più ampio. Gran parte dell’argomentazione attorno al dominio patriarcale e patrimoniale ruota quindi sulla polarità tra burocrazia e comunità domestica, due poli entrambi essenziali alla delimitazione specifica di tale struttura di dominio, la prima per differenziazione, la seconda per assimilazione. Allo stesso modo del dominio burocratico, il dominio patrimoniale è definito dai caratteri della «continuità dell’esistenza» e della «quotidianità» („Alltagscharakter“)7. Sia la burocrazia che il patrimonialismo trovano inoltre il loro sostegno nella disposizione dei soggetti ad obbedire a norme, seppur il riferimento alla norma vada inteso nei due casi in senso «fondamentalmente diverso»8. Se ci si chiede in quale senso vada inteso qui il richiamo alla norma, e quale sia il fondamento della continuità dell’agire sociale, si cozzerà inevitabilmente contro la questione della tradizione9. L’utilizzo del termine tradizionale in Weber risulta qui particolarmente intrigante. Ad una prima analisi, in linea, 7 Ibid. Nel primo caso, le norme sono statuite razionalmente, nel caso del dominio patriarcale poggiano sulla tradizione, vale a dire nella «fede nell’inviolabilità di ciò che è sempre stato». Anche la tradizione è infatti, nell’argomentazione weberiana, legata alla produzione di norme, ma in un senso differente, nel quale la norma, più che prodotta, viene piuttosto di volta in volta riconosciuta. 9 È curioso che il termine tradizione (Tradition) non compaia all’interno del pur ottimo The Max Weber Dictionary (cit.), che si limita ai termini traditional domination, traditional capitalism, traditionalism, traditional action. 8 2. IL CONTESTO TRADIZIONALE E LA SUA DISSOLUZIONE 99 almeno in questo caso, con le definizioni concettuali astratte, per tradizione Weber sembra intendere una credenza presente nella coscienza dei sottoposti, la quale costituirebbe la fonte primaria della possibilità di esercizio del dominio da parte del signore. Una fede quindi, in particolare una fede nella legittimità dell’autorità, proprio in quanto fondata su «situazioni antichissime», sorte «in modo naturale»10. Ancora una volta Weber rinnova qui il paragone con la comunità domestica. In che cosa consiste questa «fede nell’ autorità»? Per tutti i sottoposti domestici è la convivenza nella casa, la particolare prossimità, personale, continua, con la sua comunanza di destini, esterna ed interna. Per la donna sottomessa nella casa è la normale superiorità della tonicità fisica e spirituale dell’uomo. Per il figlio giovane la sua oggettiva necessità di aiuto. Per il figlio adulto la consuetudine, le influenze educative perduranti e i ricordi di gioventù profondamente radicati. Per lo schiavo l’assenza di protezione al di fuori della sfera di potere del suo signore, alla cui potestà egli sin dalla fanciullezza viene preparato a rimettersi dalle circostanze della vita11. Sulla base di questa credenza il signore esercita il proprio dominio «senza limiti, a libero piacimento»12, a meno che esso non sia ostacolato da forze (Gewalten) concorrenti o dalla tradizione stessa13. Scorrendo le argomentazioni weberiane sulle forme del dominio tradizionale appare con evidenza come questa duplicità tra «assenza di limiti» e «sacralità della tradizione» informi l’intero ragionamento, costituendo un fondamento delle definizioni categoriali. Da questa duplicità, che Weber cerca di corroborare di volta in volta con esempi specifici, emerge, nell’immediato, una strana irriducibilità (rispetto alla definizione classica del rapporto 10 In questa concezione modernista della tradizione in Weber è possibile cogliere la lettura attenta degli Elementi di Scienza politica di Gaetano Mosca (cfr. G. Mosca, Elementi di scienza politica, in Id., Scritti politici, Torino, Utet, 1982, vol. II, in particolare il secondo e terzo capitolo). Sull’importanza della lettura di Mosca per quanto riguarda la prima versione della Sociologia del dominio cfr. E. Hanke, Einleitung, in MWG I/22-4, pp. 1-91, in particolare pp. 26 ss. 11 MWG I/22-4, p. 248 (Dominio, pp. 184-185). 12 MWG I/22-4, p. 247 (Dominio, p. 184). 13 Ibid. MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ 100 comando-obbedienza) tra esercizio del comando e il tipo tradizionale di obbedienza. Essendo quest’ultima quasi sempre legata alla tradizione (tranne nei casi in cui non può esservi tradizione, vale a dire nel sultanismo e nel rapporto di schiavitù), e solo in un momento successivo al comando preso in sé, ne consegue una forma di relazione sociale in cui la disposizione all’obbedienza risulta sempre esorbitante rispetto al flatus vocis del signore, per privilegiare anzitutto il rispetto delle norme non statuite e consacrate della tradizione stessa: ciò rende possibile di volta in volta delle forme specifiche di reciprocità, nelle quali il rapporto tra signore e sottoposti non è risolvibile nella formulazione del come se contenuta nelle celebri pagine dei Tipi di dominio14. Tornando alla struttura patriarcale del dominio, alla luce di queste prime considerazioni va ricordato che essa è determinata appunto da due elementi fondamentali: da un lato, la devozione per la persona del signore, dall’altro, la devozione per la tradizione15. Questa differenziazione iniziale si presenta, all’interno dello specifico dell’argomentazione, e all’interno dei numerosi concreti esempi storici forniti, relativamente più complessa. Non solo infatti i due elementi sono tenuti distinti, ma dalla tipologia della loro intersezione derivano differenti forme di Herrschaft, le quali non paiono riducibili alla rigida polarità comando/tipo di obbedienza. In termini introduttivi, citando Weber, va detto quindi che la tradizione, «la credenza nell’inviolabilità di ciò che è sempre stato tale»16, può essere, e normalmente è, «motivo vincolante anche per il signore». Già nel caso del dominio patriarcale, ossia della «forma strutturale formalmente più coerente di un’autorità che 14 Cfr. WuG, I, p. 123 (ES, I, p. 209), ma anche MWG I/22-4, p. 135 (Dominio, p. 24). 15 MWG I/22-4, p. 251 (Dominio, p. 187). Cfr. R. Bendix, Max Weber. Un ritratto intellettuale, Bologna, Zanichelli, 1984, p. 241: «Questa duplice enfasi sul potere arbitrario del signore e sui limiti posti a tale potere da una tradizione secolare è una caratteristica fondamentale del dominio tradizionale in ogni sua forma». 16 MWG I/22-4, p. 247 (Dominio, p. 183). 2. IL CONTESTO TRADIZIONALE E LA SUA DISSOLUZIONE 101 si fonda sulla sacralità della tradizione»17, è possibile, e di fatto avviene normalmente, che l’elemento della tradizione costituisca il prius rispetto al comando del signore. Questo può significare, come detto, la possibilità che il sottoposto riponga la propria obbedienza primariamente nei confronti della tradizione, e solo mediatamente nei confronti del signore, la cui stessa autorità trova il suo «fondamento oggettivo» nel «potere “consacrante”»18 della tradizione. Detto in altri termini, fra tradizione e autorità, i due elementi definitori del dominio patriarcale, esiste una sorta di tensione costitutiva, dalle cui differenti conformazioni specifiche possono derivare differenti strutture di dominio. La configurazione patriarcale del dominio prevede quindi la possibilità che la «fondamentale potenza» (grundlegende Macht)19 della tradizione conduca a delle «resistenze» assai forti contro «tutto ciò che non fosse consueto»20, le quali si possono ritorcere anche contro la stessa volontà del signore. Ovviamente, la posizione della dicotomia prevede anche la possibilità dell’identificazione dei due aspetti, ossia comprende la possibilità che l’elemento della tradizione si identifichi a tal punto con la persona del detentore del comando da conferire ad esso un potere quasi arbitrario nei confronti dei sottoposti: quasi arbitrario, in quanto la tensione è e deve rimanere in nuce sempre presente. Stando alle categorie weberiane, infatti, un potere del tutto arbitrario è possibile solo nel caso in cui il riferimento alla tradizione venga meno del tutto, come nel caso del dominio sultanistico, la cui caratteristica peculiare è appunto quella di un esercizio del comando privo di alcun vincolo. Se tradizione e esercizio del comando coincidono non ha più senso, perlomeno nella categorizzazione weberiana, parlare di dominio patrimoniale, né patriarcale, né tanto meno di feudale- 17 MWG I/22-4, p. 252 (Dominio, p. 188). MWG I/22-4, p. 257 (Dominio, p. 193). 19 MWG I/22-4, p. 251 (Dominio, p. 187, dove si traduce con «fondamentale potere». Si mantiene qui la traduzione di ES, IV, p. 104). 20 MWG I/22-4, p. 257 (Dominio, p. 193, dove si traduce con «tutto ciò che è inusuale in quanto tale»). Anche in questo caso, è stata mantenuta la traduzione di ES, IV, p. 108. 18 102 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ simo. La tradizione pare quindi giocare qui un ruolo bifronte: da un lato come elemento di giustificazione dell’esistente, di sacralizzazione di ciò che è da sempre, di per sé buono e legittimo proprio in quanto da sempre sussistente (compreso quindi il comando del signore, e la sua indiscussa superiorità, l’eventuale possesso e la gestione del territorio ecc.); dall’altro essa si pone come vincolo ad un esercizio indiscriminato di una volontà individuale che si ponga scriteriatamente contro i sacri legami dello stare assieme21. Rimane da chiedersi che cosa consenta la sedimentazione di un insieme di relazioni tradizionali di questo tipo. A questo proposito, va detto come, all’interno delle pagine della prima Sociologia del dominio, Weber non si limiti a nominare astrattamente le varie tipologie della Herrschaft, ma proceda ad una loro differenziazione sulla base della specifica forma strutturale (Strukturform) a cui danno vita. Ciò significa che per cogliere la differenziazione delle forme tradizionali di dominio – e per capire che cos’è il tradizionale in Weber – è necessario cogliere di volta in volta la peculiare struttura materiale, nella quale esse prendono forma22. Per cogliere la specificità della struttura di 21 Weber può così affermare come sussista la possibilità che il signore eserciti il potere «senza limiti e senza regole», e al contempo come il «potere» della tradizione avvantaggi i sottoposti «privi di diritti» in misura molto maggiore rispetto a quei luoghi di sfruttamento, come le piantagioni cartaginesi e romane, in cui l’assenza di ogni riferimento tradizionale garantiva la possibilità di uno sfruttamento razionale, proprio in quanto non più alleviato dai limiti della tradizione (ritorna qui l’opposizione tradizionale/razionale), e per questo indiscriminato. Cfr. MWG I/22-4, pp. 247-252 (Dominio, pp. 183-187). 22 Weber pare insomma seguire lo stesso modo di procedere delle opere giovanili. Nella dissertazione di dottorato egli aveva infatti cercato, non senza difficoltà, di descrivere la trasformazione di un istituto in un altro attraverso le modifiche strutturali presenti in statuti, stipulazioni commerciali ecc. Nella storia agraria romana il tentativo diviene quello di mostrare la trasformazione di determinate strutture di proprietà, ma la cassetta degli strumenti rimane in parte omogenea. Nella ricerca sui lavoratori dell’Ostelba emerge lo strumento del questionario, affiancato ad un’analisi strutturale e monografica, nella quale è evidente una maggiore accortezza nella definizione (in senso sociologico) degli usi concettuali. Economia e Società presenta chiaramente anzitutto una maggiore padronanza dello strumentario concettuale. La trattazione del tema (anche per necessità editoriali) è più ampia, come più ampia è l’erudizione dalla quale procedono le costruzioni tipologiche, anche se, vista la vastità enorme del campo di indagine, essa deve necessariamente rifarsi maggiormente alla bibliografia seconda- 2. IL CONTESTO TRADIZIONALE E LA SUA DISSOLUZIONE 103 comando è necessario pertanto riflettere di volta in volta su come sono distribuite le risorse, gli oneri, gli onori, insomma l’insieme degli elementi materiali e ideali all’interno dei quali la relazione di comando e obbedienza prende forma, e senza i quali non è pensabile. All’interno di questo complesso di fattori, la tradizione si presenta come elemento tanto onnipresente quanto mutevole; ne consegue che il suo stesso peso specifico è di volta in volta legato alla peculiare conformazione della relazione sociale a cui si fa riferimento. La comunità domestica come unità politica: il patrimonialismo È proprio sulla base di una differente configurazione materiale dei rapporti che è possibile distinguere il dominio patrimoniale da quello patriarcale. Il dominio patriarcale possiede infatti la sua «base oggettiva» nella «mera comunità effettiva, permanente, data dalla condivisione di residenza, mensa, simposio e di beni d’uso quotidiano»23. Per questo motivo, tale forma di dominio possiede la massima somiglianza con la comunità domestica, nella quale il padre di famiglia dispone in via esclusiva del ria, tra l’altro scarsamente citata. Tuttavia rimangono identici sia l’interesse di fondo della ricerca, sia le forme essenziali del procedere argomentativo. Weber è interessato a cogliere, seppur sotto uno schema tipologico (riprodurre la realtà è, infatti, impossibile, e neppure auspicabile), la realtà materiale alla quale si trova di fronte, e dalla quale procedono le forme specifiche di relazione e di agire. Sui possibili paralleli tra le opere giovanili la metodologia del Weber maturo, cfr. A. Zingerle, Max Webers historische Soziologie, Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1981, pp. 77 ss.; E. Lepore, Dalle forme alla storia del mondo antico, in P. Rossi (a cura di), Max Weber e l’analisi del mondo moderno, Torino, Einaudi, 1981, pp. 83-108; Marra, Dalla comunità al diritto moderno cit., pp. 98-99, 190 ss.; S.A. Fusco, Storia costituzionale romana, storia concettuale e sociologia storica: le categorie del potere nel pensiero di Max Weber, «Studia et documenta historiae et iuris», 61, 1995, pp. 739-758, qui p. 741; L. Scaff, Weber before Weberian Sociology, «The British Journal of Sociology», 2/35, 1984, pp. 190-215, anche in K. Tribe (a cura di), Reading Weber, London, Routledge, 1989, pp. 15-41; L. Scaff, Fleeing the Iron Cage. Culture, Politics, and Modernity in the Thought of Max Weber, Berkeley, University of California Press, 1991. 23 MWG I/22-4, p. 250 (Dominio, p. 186): «[…] die rein tatsächliche perennierende Gemeinschaft von Wohnstätte, Speise, Trank und alltäglichen Gebrauchsgütern». MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ 104 patrimonio familiare. Lo spostamento del dominio patriarcale verso quel suo «caso specifico» rappresentato dal dominio patrimoniale è definito primariamente da uno scarto nell’asse materiale dei rapporti, vale a dire anzitutto da una decentralizzazione della comunità domestica. Esso viene definito come una «potestà domestica decentrata ai figli della casa o ad altri sottoposti domestici dipendenti per mezzo di cessione di terra ed eventualmente inventario»24. In una sua configurazione iniziale, i sottoposti vivono nel territorio del signore, all’interno di abitazioni private, con animali e utensili propri. Essa corrisponde al cosiddetto sistema dell’oikos, che Weber considera come una possibile evoluzione della comunità domestica, opposta rispetto a quella direzionata verso la formazione di un sistema capitalistico. Il dominio patrimoniale si esercita quindi all’interno di un contesto che potremmo definire orizzontale, il cui aspetto primario è costituito da una certa forma di suddivisione dello spazio, e in particolare della terra. Essa può rimanere in principio, assieme agli utensili e agli animali, proprietà del signore, oppure al contrario può essere appropriata da parte dei sottoposti, dando luogo di volta in volta a differenti configurazioni interne al dominio patrimoniale. La terra, le forme del suo possesso e della sua gestione rappresentano pertanto non solo la condizione di possibilità del darsi di una forma di dominio patriarcale, ma ne disegnano pure le differenziazioni interne. L’appropriazione e la divisione della terra, le forme di riproduzione della vita all’interno della comunità domestica, la presenza di servi e signori, la garanzia della continuità delle relazioni assicurata dalla tradizione: sono tutti elementi che non possono andare distinti, e che vanno compresi nella loro interconnessione reciproca. In questo contesto la comunità domestica rappresenta l’unità di base della forma strutturale del dominio; riprendendo una fugace affermazione weberiana citata nel capitolo precedente, è qui possibile affermare che la comunità domestica rappresenta il «fondamento di numerose 24 MWG I/22-4, p. 257 (Dominio, p. 193). 2. IL CONTESTO TRADIZIONALE E LA SUA DISSOLUZIONE 105 comunità umane al di fuori di essa»25. Se come comunità economica essa è «chiusa verso l’interno», come fondamento di un principio strutturale di dominio rappresenta la base di una serie di comunità ulteriori che sono distinguibili tra loro, dal punto di vista sociologico, «soltanto per grado e contenuto, non per struttura»26. L’Haushalt indica, in ultima analisi, il dominio di un signore domestico (Hausherr) sopra altri signori domestici. Emerge a questo punto un problema di una certa rilevanza, concernente la distinzione tra il dominio domestico e il dominio politico, una questione che lo stesso Weber doveva ritenere di primaria importanza, come confermato da una lettera scritta a Georg von Below nel 191327. All’interno del testo in questione è possibile rintracciare però un solo rapido accenno al tema, il quale va per il resto ricostruito sulla base di alcune affermazioni tangenziali. Partendo dalla distinzione tra pater familias romano e Hausherr28, nella definizione tipologica del dominio patriarcale Weber pare prediligere il primo. Egli definisce infatti il dominante29 come possessore esclusivo dei beni familiari, e non solo, visto che, prolungando il paragone con il dominio domestico, Weber afferma che il rapporto tra signore e sottoposti nella forma primitiva di dominio patriarcale è considerato «in modo senz’altro proprietario» (durchaus eigentumsartig)30: le donne ed i figli sono suoi nello stesso modo in cui lo sono i frutti del suo bestiame. Allo stesso tempo, egli sostiene che una differenziazione sociale si è sviluppata all’interno dello Haus solo nel momento in cui la schiavitù è diven- 25 MWG I/22-1, p. 118 (Comunità, p. 68); WuG, I, p. 214 (ES, II, p. 56). MWG I/22-4, p. 261 (Dominio, p. 197). 27 Cfr. Brief an Georg von Below, 21. Juni 1914, in MWG II/8, pp. 723-725. 28 Cfr. con quanto afferma Weber nel testo sulle Handelsgesellschaften, in particolare MWG I/1, p. 191. 29 Si preferisce il termine dominante piuttosto che detentore del potere: quest’ultima espressione, infatti, in Weber non esiste. La Herrschaft non si possiede, si esercita; pertanto, non esistono detentori di Herrschaft, ma solamente Herrscher. Cfr. su ciò G. Duso, Tipi del potere e forma politica moderna in Max Weber, in Losito, Schiera, Max Weber e le scienze sociali del suo tempo, cit., pp. 481-512, qui in particolare p. 497. 30 MWG I/22-4, p. 248 (Dominio, p. 185). 26 106 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ tata un’istituzione regolare. Esiste quindi in realtà una proprietà della persona e una proprietà della cosa: Weber riprende su questo punto le considerazioni del maestro Theodor Mommsen, il quale distingueva appunto, i liberi (die „Gelösten“), soggetti alla proprietà del padre ma di fatto civilmente liberi, dai servi (die „Gefesselten“), i quali appartenevano in tutto e per tutto alla casa, ed erano completamente sottoposti alla Gewalt del padre, allo stesso modo delle altre res che costituivano l’ambiente domestico. È interessante notare come, nel definire il rapporto tra pater familias e sottoposti domestici, Weber non utilizzi il termine Herrschaft, bensì preferisca il termine Gewalt. Si tratta di un’amministrazione (Verwaltung) che, nel caso del pater familias romano, può comprendere indifferentemente le cose e le persone, e le persone considerate come cose. Tale forma dell’amministrare muta nel momento in cui emerge un vincolo che neghi la possibilità di considerare la persona sottoposta alla stregua di una cosa. All’interno della differenziazione appena accennata, tale vincolo è costituito anzitutto dal legame di sangue, il quale rende impossibile, da parte del padre di famiglia, considerare il figlio alla stessa stregua di una res. Questa possibilità ne comporta immediatamente un’altra, vale a dire la chance che la Gewalt del padre non sia esercitata unicamente sulla base del suo arbitrio, ma sulla base di vincoli ad esso esorbitanti, e ai quali si deve conformare. Il riconoscimento del legame tra padre e figlio implica la consapevolezza di qualcosa di comune (il sangue, appunto) che li attraversa entrambi, e che rende impossibile un potere di disposizione meramente arbitrario del primo sul secondo. Nel momento in cui questo legame viene portato a coscienza, emergono anche le sue ricadute giuridiche: nel caso specifico, la possibilità per il figlio di divenire a sua volta capo-famiglia. Se i gradi di libertà dei sottoposti domestici rimangono comunque piuttosto labili, e divengono saldi «solo molto lentamente», la sfera dell’arbitrio del signore diminuisce progressivamente man mano che si espande la sfera della relazione sociale. Così, già all’interno delle forme del dominio patriarcale, il potere di imposizione di tributi e prestazioni servili imposte dall’Hausherr agli altri Hausherren 2. IL CONTESTO TRADIZIONALE E LA SUA DISSOLUZIONE 107 è «regolarmente limitato dalla tradizione in modo chiaro e rigido»31. Seppur all’interno di una relazione patrimoniale, ci si trova qui di fronte ad un rapporto tra liberi, in cui la struttura della convivenza (detto banalmente: il fatto che ogni padre di famiglia possieda una casa e un pezzo di terra) crea delle forme di mediazione che rendono impossibile l’esercizio arbitrario della Gewalt da parte del signore. Tale limite, e la stessa conseguente potenza della tradizione, viene però a cadere nel momento in cui venga meno la possibilità di una tale mediazione: nel caso di un rapporto tra signore domestico e servi fondiari, o servi della gleba, normalmente la Gewalt del signore non è legata a «nessun limite intrinseco». Seguendo analiticamente le argomentazioni weberiane e gli esempi addotti a supporto, dalla casistica weberiana emerge un complesso intreccio tra strutture materiali, relazioni sociali e tradizione, che andrà indagato con attenzione. La reciprocità e la stereotipizzazione Già dall’analisi di queste due prime forme strutturali di dominio emerge una questione di un certo interesse, vale a dire l’importanza della tradizione come veicolo di reciprocità (Gegenseitigkeit)32 tra dominanti e dominati. Le forme tradizionali di dominio paiono essere caratterizzate da tre determinanti di fondo: i rapporti personali di autorità e reverenza, la loro configurazione materiale (specialmente se legata alla «realtà sostanziale» della terra) e le forme di sedimentazione di questi due elementi all’interno della struttura temporale della tradizione. Questa peculiare conformazione materiale dei rapporti, pur nelle più svariate differenziazioni interne, comporta sempre, «grazie alla “natura delle cose”», il sorgere di una certa reciprocità tra le parti, alla quale consegue, se confermata dalla prassi, 31 32 MWG I/22-4, p. 277 (Dominio, p. 211). Cfr. MWG I/22-4, p. 255 (Dominio, p. 191). MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ 108 un «riconoscimento sociale come “uso”»33, fino a venir «consacrata» mediante il richiamo alla tradizione. Si prenda un esempio inserito all’interno dell’analisi del dominio patrimoniale: l’utilizzazione decentrata dei dipendenti domestici da parte dell’Hausherr comporta la necessità da parte sua di fare affidamento sul loro senso del dovere, e la conseguente necessità di prendersi cura della conservazione della loro capacità di prestazione. La necessità reciproca fa sì che pure il signore debba qualcosa al sottoposto, anche «nel proprio interesse», in particolare una protezione verso l’esterno e un aiuto in caso di necessità, oltre ad un «trattamento “umano”»34. Il signore dovrà quindi limitare lo sfruttamento delle capacità lavorative corrispondentemente a ciò che è «nell’uso»35. La possibilità di una reciprocità del rapporto è quindi determinata dalla struttura materiale del rapporto stesso: dalla differente distribuzione dell’appropriazione delle risorse, per usare il lessico weberiano. Data la situazione di comando, il signore ha bisogno dei suoi sottoposti, come i sottoposti hanno bisogno del signore. Non si tratta tuttavia di una situazione di interessi: non sono qui gli interessi individuali o di gruppo a costituire la determinante primaria del rapporto, bensì una data forma di relazione personale tra singoli e gruppi, mediata anche dall’apporto, comunque fondamentale, di una certa reciprocità di interessi. La reciprocità degli interessi è quindi condizione necessaria ma non sufficiente al determinarsi di una relazione sociale tradizionale. Essa costituisce solamente il veicolo primario della sedimentazione del rapporto attraverso il suo reiterato esercizio nel tempo, e quindi attraverso la sua trasformazione in pratica quotidiana all’interno di una serie di usi, costumi, e in ultima analisi di una tradizione. La differente ripartizione materiale dei beni, e l’alleviata disposizione diretta del signore sui sottoposti, comporta per natura il sorgere di una reciprocità, della quale l’ineliminabile riferimento alla tradizione 33 34 35 Ibid. Ibid. Ibid. Si è mantenuta qui la traduzione di ES, IV, p. 107. 2. IL CONTESTO TRADIZIONALE E LA SUA DISSOLUZIONE 109 costituisce un basilare elemento rafforzativo. La mancanza di un intreccio che attraversi trasversalmente la relazione sociale comporta il venir meno della possibilità del sorgere di una tradizione: significativamente, citando dei casi di rapporti tra signore e sottoposti non vincolati a tradizione, Weber accosta la prestazione dello schiavo accasermato, garantita dalla «frusta fisica», e «quella del lavoratore “libero”», garantita dal «compenso» e dalla «minaccia della disoccupazione»36. Venendo meno la possibilità di una determinata strutturazione materiale dei rapporti, la 36 Ibid. Nel primo caso la possibilità di un esercizio assolutamente indiscriminato della «frusta fisica» rende vano ogni vincolo tradizionale. Gli schiavi possono essere sfruttati come, quanto e finché il signore lo vuole. Non esiste nessun elemento oggettivo che garantisca la limitazione dell’arbitrio, il quale pertanto può estrinsecarsi a piacimento. Per quanto probabile, non è strettamente necessario che il signore eserciti il proprio dominio in maniera indiscriminata; tuttavia, la stessa possibilità che egli possa farlo rende il suo potere esorbitante rispetto ad ogni forma di dominio patriarcale, in quanto è presente la possibilità che esso venga esercitato al di là di ogni vincolo possibile. Allo stesso modo, il lavoratore libero, privo di terra, di un’abitazione, e spesso pure lontano dalla famiglia, non ha bisogno di vincoli, in quanto il suo agire sarà orientato dal «pungolo della fame», dal «compenso» e dalla «minaccia della disoccupazione». Nonostante la relazione tra proprietario e salariato sia regolata liberamente tramite contratto, la precarietà della sua esistenza e, soprattutto, la sua fungibilità fanno sì che non esista di fatto nessun vincolo al suo sfruttamento. Al contrario, in «un’utilizzazione decentrata dei suoi dipendenti domestici il signore non può non affidarsi in ampia misura al loro volonteroso compimento del dovere» e dovrà pertanto prodigarsi per «mantenere la loro capacità di prestazione». Nel caso di una forma tipica di dominio patrimoniale, incentrata attorno all’oikos (i non liberi sono insediati in appezzamenti di terreno con abitazioni e famiglia propria), Weber sostiene che le relazioni tra signore e sottoposti sono regolate «semplicemente sull’interesse del signore», secondo un «rapporto di dipendenza» che rimane un «rapporto di devozione e fedeltà». Tuttavia, la natura delle cose, vale a dire null’altro che la modalità secondo la quale sono ripartiti i beni, gli spazi, gli oneri all’interno del territorio, facilita il sorgere di una «pretesa di reciprocità», alla quale «consegue un riconoscimento sociale come uso». Non è quindi la libertà reciproca o la presenza di una serie di diritti sancita da un’istituzione a preservare i sottoposti da situazioni di sfruttamento. Al contrario, una situazione di contratto formale stipulato tra liberi ed eguali (quindi necessariamente un contratto di scopo) può comportare, date determinate componenti esorbitanti rispetto alla dimensione contrattuale, una situazione di sfruttamento ben peggiore di quella in cui tale libera stipulazione sia assente. Anzi, proprio la mancanza di una dimensione contrattuale può favorire l’emergere in primo piano della legittimità di quella situazione di reciprocità sedimentata attraverso l’uso. 110 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ relazione si risolve nello sfruttamento unilaterale, e/o nella inevitabile lotta incessante tra i dominanti e i dominati. La «resistenza» contro tutto ciò che non è consueto, se da un lato costituisce il fondamento della superiorità del signore, ne rappresenta al contempo anche il suo limite. Egli stesso, infatti, di fronte all’inclinazione di introdurre innovazioni a suo favore, sarà mosso dalla paura che l’eventuale «scossa al sentimento tradizionale di reverenza» possa ripercuotersi sui suoi stessi interessi personali. Non a caso, ricorda Weber, i tributi non tradizionali pretesi dal signore in situazioni particolari, conservano nel nome stesso (Ungeld, malatolta) «il segno caratteristico della loro origine inizialmente abnorme». Non esiste qui ovviamente nessun vincolo contrattuale tra dominanti e dominati, la superiorità del signore è riconosciuta (o accettata), ma non autorizzata, e quindi neppur legittimata (in senso moderno)37. Ciò permette, in caso di controversie, la presenza dell’istanza dei sudditi di fronte a quella del signore: «Infatti, all’onnipotenza rispetto al singolo 37 Un ragionamento simile viene svolto da Weber riguardo alle prestazioni che il principe può pretendere da coloro che sono dominati in modo extra-patrimoniale, cioè politicamente. Anche in questo caso la questione è nello specifico sempre vincolata alla tradizione, la quale può essere violata soltanto «in circostanze favorevoli», in particolare quando il dominante può disporre di una truppa militare, indipendentemente dalla buona volontà dei sudditi. Anche qui è possibile cogliere la dimensione specifica del riferimento alla tradizione: essa agisce come elemento di sedimentazione delle relazioni (sotto forma di usi e costumi), nel momento in cui si produce una forma di reciprocità che ne permetta in qualche modo l’estrinsecazione. In questo secondo esempio, la possibilità che il signore possa far uso di una coercizione fisica legata esclusivamente alla sua volontà può fungere da agente corrosivo nei confronti della tradizione. Ciò è possibile, per esempio, quando la truppa consiste di schiavi ed è «interamente svincolata dall’agricoltura» (MWG I/22-4, p. 265 - Dominio, p. 200), ossia nel caso di individui materialmente dipendenti in tutto e per tutto dal principe, o ancora nel caso di «servi della gleba segnati a fuoco con i marchi di proprietà» (MWG I/22-4, pp. 264-265 – Dominio, p. 200). In riferimento a «coloni rurali insediati nelle campagne», però, il prodursi di un tale vincolo è di fatto quasi impossibile. Dovendo lavorare la terra, per sostenere se stessi ma anche il signore, essi non erano normalmente disponibili ad accettare nessun «eccesso», vale a dire nessuna «pretesa che andasse al di là della tradizione». La loro volontà è vincolata solo tradizionalmente, e non è pertanto possibile pretendere da loro prestazioni arbitrariamente imposte. 2. IL CONTESTO TRADIZIONALE E LA SUA DISSOLUZIONE 111 dipendente anche qui si affianca l’impotenza rispetto alla totalità dei dipendenti»38. Sulla base delle differenti strutturazioni dei rapporti che possono dar luogo a forme di reciprocità, Weber esplicita tutta una casistica di chances, che si collocano tra il caso limite del Nuovo Regno in Egitto e del Regno tolemaico, in cui la differenza tra domini reali e di altro genere era «praticamente quasi scomparsa»39, fino al «caso limite del dominio patrimoniale», in cui la «reciprocità» assume una peculiare forma di uguaglianza che non è più categorizzabile all’interno del riferimento patriarcale e patrimoniale, e che viene pertanto definita come «feudale». Significativamente, come esempio tipico di una forma di dominio «rigorosamente fondata sulla tradizione», Weber nomina la signoria fondiaria. L’elemento della terra, se non esclusivamente appropriato da parte del signore (e ciò diviene possibile, sistematicamente e compiutamente, solo quando la terra sia considerata come una merce di proprietà, o i sottoposti come degli schiavi), produce sempre il sorgere di condizioni di reciprocità, le quali fanno sì che il vincolo tra dominante e dominati non possa essere risolubile in maniera unilaterale40. Un altro esempio piuttosto diffuso è quello della copertura liturgica del fabbisogno del signore, dalla quale si producono, sulla base della differente natura del fabbisogno stesso, «gruppi sociali eteronomi, e spesso eterocefali», tra i quali possono rientrare i gruppi parentali, i contadini del villaggio e, nel caso più estremo, le gilde, le corporazioni e altre unioni professionali. Questi gruppi associativi, legati dalla parentela, dalla collocazione territoriale o dall’attività lavorativa, possono pertanto assumere entro sé la responsabilità delle imposte e delle prestazioni dei loro membri. Si tratta di appropriazioni garantite dalla tradizione, le quali, una volta acquisite (il che significa sedimentate negli usi, costumi e in ultima 38 MWG I/22-4, p. 257 (Dominio, p. 193): «Denn der Allmacht gegenüber dem einzelnen Abhängigen steht auch hier die Ohnmacht gegenüber ihrer Gesamtheit zur Seite». 39 MWG I/22-4, p. 278 (Dominio, p. 213). 40 MWG I/22-4, p. 258 (Dominio, p. 195). 112 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ analisi nella tradizione), rappresentano dei privilegi molto difficili da estirpare. Caratteristica del dominio patrimoniale rimane tuttavia «la concezione del suddito come un essere che esiste per il signore e per la copertura del suo fabbisogno», e che «la capacità di rendere i relativi servizi liturgici al signore» costituisca «la ragione della sua esistenza»41. Tuttavia, l’appropriazione apre la strada ad uno svincolamento dal legame patrimoniale, verso la costituzione di un’autonomia più o meno marcata rispetto al rapporto personale con il signore. Un caso particolarmente interessante a tal proposito – anche ai fini delle argomentazioni dei capitoli successivi – è quello della storia amministrativa inglese. L’aspetto singolare è costituito qui dal fatto che il vincolo liturgico è rappresentato fin da subito da un legame che non concerne la persona, ma «sostanzialmente un obbligo relativo al possesso, in special modo il possesso fondiario»42. Qui Weber nomina l’istituto della frankpledge43 inglese, vale a dire di gruppi creati in maniera coercitiva, ed inseribili pertanto, a rigore, all’interno delle forme di dominio patrimoniale. Weber sottolinea come, a partire da questa situazione, scaturì una serie di processi che fece di questi «gruppi coercitivi liturgici» la fonte dei gruppi comunali inglesi e quindi del self-government. La dinamica di tale processo è, perlomeno nell’accenno weberiano, facilmente ricostruibile: a partire dalla responsabilità affidata ai gruppi liturgici si produs- 41 Weber cita come esempi storici di un tale dominio patrimoniale l’Egitto, parte del mondo ellenistico, il tardo impero romano e l’impero bizantino. Cfr. MWG I/22-4, p. 281 (Dominio, pp. 214-215). 42 MWG I/22-4, p. 281 (Dominio, p. 215). I riferimenti weberiani sono qui in particolare J. Hatschek, Die Selbstverwaltung in politischer und juristischer Bedeutung, Leipzig, Duncker & Humblot, 1898, pp. 187-195; Gierke, Das deutsche Genossenschaftsrecht, vol. I, cit., p. 235. 43 Frankpledge è una legge anglosassone, esistente già in epoca pre-normanna, in cui unità di dieci case (spesso nominate come tithing) erano legate assieme e considerate reciprocamente responsabili della loro condotta reciproca. Proprio alla luce della peculiare forma collettiva di gestione del territorio, il tithingman, a cui spettava concretamente il compito di amministrazione, poteva, nel caso fosse all’inseguimento di un criminale, istigare tutti coloro che incontrava per strada ad unirsi nella ricerca. Cfr. R. von Gneist, Il parlamento inglese nelle sue mutazioni durante il millennio dal IX alla fine del XIX secolo, Livorno, Francesco Vigo, 1891, p. 69. 2. IL CONTESTO TRADIZIONALE E LA SUA DISSOLUZIONE 113 sero dei doveri ai quali essi potevano e avevano l’obbligo di adempiere (l’organizzazione del tribunale e l’emanazione della sentenza, la leva militare, la trinoda necessitas44 e altri oneri). Il possesso fondiario costituiva la garanzia della controparte rispetto agli obblighi imposti, i quali venivano così concepiti «in connessione con i più tangibili tra i possedimenti dei singoli: il fondo e il suolo»45. A partire da questa situazione, tramite la sedimentazione di tale forma di reciprocità sotto forma di usi e costumi, lo svolgimento di tali mansioni si è trasformato sempre più in una faccenda interna dei singoli gruppi, organizzata autonomamente, e gli obblighi si sono trasformati progressivamente, grazie all’«influenza che arrecavano»46, in privilegi degli strati sociali che ne garantivano l’adempimento. Il dominio patrimoniale poggia quindi normalmente su una «comunità d’intesa» tra dominanti e dominati, la quale, se fondata sul vincolo della tradizione, può sussistere anche indipendentemente dalla presenza di una coercizione fisica che garantisca, anche solo come ultima ratio, la sussistenza del legame47. Si tratta di un ordinamento «giuridicamente labile, ma di fatto assai stabile»48, nel quale il comando del signore si trova di fatto vincolato alle norme della tradizione. La natura della reciprocità viene ulteriormente chiarita nel lungo excursus che Weber dedica all’analisi delle forme di dominio extra-patrimoniale, ossia politico. Va segnalato come 44 La trinoda necessitas è una triplice forma di tassazione richiesta dai re anglosassoni, che consisteva nell’adempimento di tre servizi: la riparazione di ponti e strade, la riparazione e la buona conservazione delle fortificazioni, i servizi militari. Cfr. Gneist, Il parlamento inglese nelle sue mutazioni durante il millennio dal IX alla fine del XIX secolo, cit., pp. 27-28. 45 MWG I/22-4, p. 283 (Dominio, p. 216). 46 Ibid. 47 Cfr. MWG I/22-4, p. 274 (Dominio, p. 209): «Di norma però il signore patrimoniale politico è legato ai dominati da una comunità d’intesa, che esiste anche a prescindere da un’autonoma potestà militare patrimoniale ed è fondata sulla convinzione che la potestà signorile tradizionalmente esercitata sia diritto legittimo del signore». 48 Cfr. MWG I/22-4, p. 257 (Dominio, p. 193, che traduce con «giuridicamente fragile, ma di fatto piuttosto stabile»). Si è mantenuta qui la traduzione di ES, IV, p. 108. 114 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ l’elemento politico, che nella concezione weberiana è immediatamente legato alla presenza di un minimum di coercizione49, entri in gioco nel momento in cui vengono meno, per motivi strutturali, le possibilità di fondare il legame su altre basi50. Politico significa quindi extra-patrimoniale, nel senso di una forma di dominio che emerge nel momento in cui la relazione tra dominanti e dominati coinvolge anche la sfera della coercizione fisica. Esso si presenta quindi ogniqualvolta il dominante cerchi di fondare la relazione di dominio sull’utilizzo della forza, tramite l’appropriazione dei mezzi e delle possibilità adeguate per ottenere il successo. Si tratta – all’interno del principio strutturale patrimoniale del dominio – di un agire politico sempre occasionale e di fatto assai labile, in quanto sempre sottoposto al rischio di ricadere in una forma non politica di sedimentazione della relazione, al punto che, anche nelle forme di dominio extra-patrimoniale, la struttura della relazione rimane sempre in qualche misura legata ai vincoli della tradizione51. Alcuni esempi riportati da Weber possono essere utili per chiarire ulteriormente la forma dell’argomentazione. Forme di dominio politico si presentano solamente in quelle «circostanze favorevoli» in cui il signore è in grado di dominare 49 Cfr. MWG I/22-1, p. 204 (Comunità, p. 189): «Per comunità politica intendiamo quella comunità il cui agire comunitario si svolge nel riservare “un territorio” (non necessariamente un territorio costante e rigidamente determinato, ma anche uno delimitabile di volta in volta in qualche maniera) e l’agire in questo ambito degli uomini che vi si trovano in modo stabile o anche temporaneo, mediante la disponibilità alla violenza fisica, e cioè normalmente anche alla violenza delle armi, alla dominazione (Beherrschung) ordinata da parte dei membri (ed eventualmente ad acquistare per loro territori ulteriori)». Il suo minimum concettuale è «“l’affermazione violenta del dominio ordinato su un territorio e sugli uomini dello stesso”» (MWG I/22-1, p. 204 Comunità, pp. 189-190). Weber precisa che una comunità politica, intesa nel senso definito, non è necessariamente esistita sempre e in ogni luogo, e che, «come comunità distinta manca in tutte quelle situazioni in cui la difesa violenta dai nemici è una pratica che in caso di bisogno viene intrapresa dalla singola comunità domestica o associazione di vicinato, o da un’altra aggregazione che sia indirizzata essenzialmente agli interessi economici» (MWG I/22-1, p. 204 - Comunità, p. 189). 50 Che possono essere di vario tipo: fondiarie (base peculiare al tipo di dominio tradizionale), economiche, parentali ecc. 51 Cfr. MWG, I/22-4, p. 264 (Dominio, pp. 199-200). 2. IL CONTESTO TRADIZIONALE E LA SUA DISSOLUZIONE 115 «indipendentemente dalla buona volontà dei sudditi»52. È il caso delle truppe assoldate di schiavi, come in uso presso gli Abbassidi, i quali le costituirono con l’acquisto e l’addestramento di schiavi turchi che, oltre ad essere non liberi, erano pure stranieri, e quindi privi anche di quella forma di legame che può derivare dall’appartenenza al medesimo territorio o alla stessa stirpe. L’assenza di ogni legame altro rispetto alla dipendenza dal signore, quindi la mancanza di qualsiasi forma di mediazione, ne garantiva la completa disposizione all’obbedienza: in altre parole, la completa disciplina. Un esempio ancor più incisivo è rappresentato tuttavia dalla cosiddetta leva dei fanciulli: si tratta di un esercito professionale, costituito da bambini di un’età variabile dai 10 ai 15 anni, prelevati da soggetti estranei per stirpe e per fede, e addestrati appositamente per il servizio militare, raccolti in baracche, esclusi dalla partecipazione al commercio, sottoposti alla giurisdizione degli ufficiali, al fine di far loro acquisire un habitus completamente adibito al servizio in guerra. Una certa forma di educazione, impartita fin dalla tenera età, rende possibile l’estirpazione di qualsiasi potenziale forma di vincolo che possa impedire l’esercizio di una perfetta obbedienza. Si tratta tuttavia di un caso limite: in tutti gli altri casi di dominio extrapatrimoniale, sia che si tratti di un rapporto tra il signore e il suo esercito o i suoi funzionari, si creano sempre delle forme di reciprocità che rendono di fatto impossibile la perfetta estrinsecazione di un rapporto immediato di comando e obbedienza. I contadini tedeschi del secolo XVI, i quali non solo erano in qualche modo garantiti dal vincolo alla terra, ma disponevano anche del possesso personale delle armi, erano a disposizione del loro principe patrimoniale «unicamente a fini tradizionali, ossia come milizia territoriale, e non invece per qualsiasi faida»53. In modo assimilabile, la milizia inglese al tempo degli Stuart, la quale si fondava altrettanto sul diritto alle armi dell’uomo libero, «è stata in buona parte il veicolo militare della grande rivolu52 53 Ibid. MWG I/22-4, p. 275 (Dominio, p. 210). MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ 116 zione contro le pretese fiscali lesive della tradizione da parte degli Stuart»54. I coloni contadini insediati in campagna, impegnati nel sostenere economicamente sé stessi e il signore (i seniores medievali o la nobiltà romana), non erano disponibili come forza militare ogniqualvolta considerassero la campagna come un eccesso, ovvero come una «pretesa che andasse al di là della tradizione»55. In generale, la «concessione di terre» costituisce uno dei fattori determinati, seppur non l’unico, dell’indebolimento del «potere di disposizione» del signore56. La situazione di reciprocità tra signore e sottoposti è quindi in nuce sempre presente, sotto varie forme specifiche e con differenziate possibilità di trapasso. Per citare un caso limite, opposto rispetto a quello nominato della leva dei fanciulli, essa può dar luogo, date determinate componenti materiali (posizione frammentaria del possesso dei dipendenti domestici, continui oneri politico-militari), ad una «formazione giuridica consociativa», la quale è in grado di fungere da ulteriore forte vincolo alle disposizioni del signore. La presenza di una tale consociazione permette di contrapporsi al signore, dapprima solo occasionalmente, poi in maniera regolare, una volta che la contrapposizione si sia confermata nell’uso. Essa è fondata appunto sulla «comunanza di interessi» e sulla «capacità di farli valere», sedimentata negli usi e nei costumi. Come esempi storici di una tale formazione Weber nomina le leges emanate per i domini imperiali ai tempi di Adriano, come i «diritti di corte» del Medioevo. Nel caso della lex Adriana, Weber specifica che, più di una legge, si tratta piuttosto di uno statuto che fissa i diritti e i doveri dei coloni all’interno dei demani imperiali. Come dimostrato da un decreto redatto dall’imperatore Commodo, i coloni che occupavano il saltus Burunitanus in Africa potevano sollevare lamentele contro gli affittuari del demanio, in quanto costoro pretendevano da essi 54 MWG I/22-4, p. 276 (Dominio, p. 211). MWG I/22-4, p. 265 (Dominio, p. 200). 56 MWG I/22-4, p. 273 (Dominio, p. 208 - ES, IV, p. 118). Come anticipato nella premessa terminologica, per la traduzione del termine Verfügungsgewalt è stata mantenuta la traduzione con «potere di disposizione», delle Edizioni di Comunità. 55 2. IL CONTESTO TRADIZIONALE E LA SUA DISSOLUZIONE 117 servizi di corvée esorbitanti rispetto a quanto prescritto appunto dalla lex Adriana. Il «diritto di corte» del Medioevo regolava, all’interno della signoria fondiaria, il rapporto dei sottoposti rispetto al signore e tra di loro. L’espressione utilizzata, genossenschaftliche Rechtsbindung, di chiara derivazione gierkiana, indica che i consociati possono essere qui considerati come «giuridici». Il termine giuridico va tuttavia chiarito: per Weber è di fatto insignificante che esso possa essere inteso in senso tecnico o meno, in quanto ciò che è rilevante è la fattiva presenza di un elemento di garanzia della reciprocità. Weber rileva inoltre come in questo caso sia lecito parlare della presenza di una certa costituzione (Konstitution), non in senso moderno, bensì fondata sull’«interpretazione della tradizione come tale» e sulla «stereotipizzazione»57 (Stereotypierung) delle relazioni sociali tramite la tradizione stessa. Una tale stereotipizzazione comporta inevitabilmente l’accrescimento ulteriore delle forme della reciprocità, e il conseguente sgretolamento della forma di dominio patriarcale, a favore dell’emergere di un suo «caso-limite» meritevole di una differente categorizzazione, vale a dire della cosiddetta «relazione feudale». Weber utilizza quindi il termine Konstitution, rendendosi conto al contempo della possibile equivocità dell’espressione. Una costituzione in senso moderno, infatti, «serve alla produzione di sempre nuove leggi»58; almeno in linea teorica, il suo luogo di imputazione non è il passato, il riconoscimento della concretezza dei rapporti che si sono dati nell’uso quotidiano, bensì il modo in cui si devono configurare i rapporti a partire dalle leggi. Forse per questo motivo, nell’analisi delle forme di dominio tradizionale Weber predilige l’utilizzo, come parola chiave riassuntiva della modalità tipico-ideale della relazione, del termine Stereotypierung, insistendo quindi sull’elemento di conferma di rapporti che di fatto sono già dati, e che si tratta soltanto di ribadire, di rendere stereotipati. Riservandoci uno spazio specifico ad alcune considerazioni concernenti l’uti57 58 MWG I/22-4, p. 259 (Dominio, p. 195). MWG I/22-4, p. 259 (Dominio, p. 194). MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ 118 lizzo di questo termine, ci si rivolge ora alla forma strutturale più conseguente di stereotipizzazione dei rapporti: il feudalesimo. 2. Il feudalesimo come espressione di dominio tradizionale «Caso-limite»59 del dominio patrimoniale, le caratteristiche peculiari del feudalesimo sono tali da introdurre di necessità uno scarto concettuale (dal patrimoniale al feudale, quindi), nel quale si è voluto vedere anche un caso limite del dominio tradizionale60, di cui farebbe parte, ma «non del tutto»61. Nonostante una tale posizione abbia una propria legittimità62, nelle considerazioni che seguono si cercherà di mostrare come il dominio feudale rappresenti in realtà la sedimentazione più tipica del dominio tradizionale. All’inizio della sezione dedicata al feudalesimo, Weber ritorna ancora sulla coppia concettuale Haushalt/Betrieb, con riferi59 MWG I/22-4, p. 380 (Dominio, p. 363). Sul concetto di feudalesimo cfr. Breuer, „Herrschaft“ in der Soziologie Max Webers, cit., pp. 160 ss.; G. Poggi, Max Weber’s Conceptual Portrait of Feudalism, «The British Journal of Sociology», 2/39, 1988, pp. 211-227; Bendix, Max Weber. Un ritratto intellettuale, cit., pp. 259-273; A. Mitzman, The Iron Cage: An Historical Interpretation of Max Weber, 3a ed., New Brunswick/Oxford, Transaction Publ., 2002; M. Zeitlin, Max Weber on the Sociology of the Feudal Order, «Sociological Review», 2/8, 1960, pp. 203-208; Hermes, Soziales Handeln und Struktur der Herrschaft: Max Weber verstehende historische Sociologie am Beispiel des Patrimonialismus, cit.; H. Speer, Herrschaft und Legitimität. Zeitgebundene Aspekte in Max Webers Herrschaftssoziologie, Berlin, Duncker & Humblot, 1978, pp. 118-146; B.S. Turner, For Weber. Essays on the Sociology of Fate, London/Thousand Oaks/New Delhi, Sage Publications, 1996, pp. 203 ss.; G. Abramowski, Das Geschichtsbild Max Webers. Universalgeschichte am Leitfaden des okzidentalen Rationalisierungsprozesses, Stuttgart, Klett, 1966, pp. 134-139; M. Viikari, Max Weber, der okzidentale Rationalismus, der Feudalismus und das europäische Mittelalter, in J. Kocka (a cura di), Max Weber, der Historiker, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1986, pp. 158-171. 61 Così ritiene Poggi, Max Weber Conceptual Portrait of Feudalism, cit., p. 212. In una direzione assimilabile procede Bendix, Max Weber. Un ritratto intellettuale, cit., cfr. per esempio p. 274. 62 In particolare se ci si pone nell’ottica di indagare le forme di trapasso da una struttura di dominio ad un’altra, quindi dal patrimonialismo-patriarcalismo, al feudalesimo, alla burocrazia. Non era tuttavia questa l’intenzione di Weber: cfr. MWG I/224 p. 371 (Dominio, p. 351). 60 2. IL CONTESTO TRADIZIONALE E LA SUA DISSOLUZIONE 119 mento alla figura centrale del contratto: come dallo Haus si è sviluppata «l’“impresa” fondata su un contratto e su singoli diritti fissati»63, così dalla «grande economia patrimoniale» si sarebbero sviluppate, a livello del «militarismo cavalleresco», «le relazioni di fedeltà del rapporto feudale, fissate egualmente in modo contrattuale»64. Il parallelo coinvolge qui pertanto anche l’elemento del contratto, con una differenza significativa: mentre nel trapasso da casa a impresa Weber parla esplicitamente di «contratto» (Kontrakt), nel secondo mutamento l’elemento centrale è assegnato alle «relazioni di fedeltà», le quali sarebbero «fissate contrattualmente». La dimensione della relazione feudale rimane pertanto essenzialmente all’interno di un rapporto di fiducia. Mentre il passaggio dalla comunità domestica all’impresa concerneva anzitutto la struttura delle «relazioni puramente materiali»65, la trasformazione che definisce la struttura specifica del rapporto feudale va invece intesa nel senso di una stereotipizzazione di relazioni non oggettive (sachlich), ma personali66, e quindi implicanti dei rapporti di status. La specificità del passaggio non può essere qui intesa sotto la formula from status to contract, e può essere piuttosto riassunta efficacemente nei termini di uno sviluppo che va dalla coesistenza (Nebeneinanderstehen)67 di autorità e tradizione, tipica della relazione patrimoniale, al contratto di status, elemento peculiare del rapporto feudale. Anche in questo caso è possibile cogliere lo scarto concettuale a partire dalla mutata configurazione delle strutture materiali, e, ad essa associata (non però secondo una linea di successione, 63 MWG I/22-4 p. 380 (Dominio, p. 363). Ibid. (l’edizione italiana traduce «relazioni di fedeltà del rapporto di vassallaggio, fissate parimenti per contratto»). Si mantiene qui la traduzione di ES, IV, p. 172. Si ritiene infatti opportuno mantenere la differenza tra «contratto» (Kontrakt) e «fissato in modo contrattuale» (kontraktlich festgelegt), per dei motivi che saranno chiariti più avanti. 65 Ibid. 66 Cfr. in particolare MWG I/22-4, p. 414 (Dominio, p. 396). 67 Cfr. MWG I/22-4, p. 404 (Dominio, p. 385). 64 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ 120 semmai parallelamente), dei rapporti spirituali68, vale a dire, tra l’altro, delle relazioni di autorità e reverenza, nonchè della loro sedimentazione in una serie di legami tradizionali. Il passaggio dal dominio patriarcale a quello patrimoniale era stato descritto, nelle sue linee essenziali, nei termini di un decentramento della comunità domestica, e quindi (nella sua forma primitiva) della comunità di abitazione, di alimentazione e di beni quotidiani di consumo, in un insediamento dei non liberi all’interno di un appezzamento di terreno con abitazione e famiglia propria. La sua immagine tipica era stata riassunta nel dominio di un signore domestico su altri signori domestici, all’interno di un complesso in cui la singola comunità domestica permane idealmente come fulcro delle relazioni, dalle quali i rapporti politici tra liberi (ossia tra Hausherren) si distinguono, da un punto di vista sociologico, soltanto quantitativamente e non qualitativamente. Il passaggio successivo consiste in una ulteriore radicalizzazione di tale decentramento, nella direzione di una «stereotipizzazione e fissazione delle relazioni tra detentori del dominio e titolari del feudo». Ciò ha come conseguenza anzitutto un mutamento qualitativo, che si risolve primariamente in un progressivo scioglimento delle relazioni di reverenza, in direzione della formazione di un «cosmo di diritti e doveri»69. Da una relazione garantita dall’essenziale mediazione di autorità e tradizione, si passa qui pertanto ad una relazione la cui gerarchia, pur sempre presente, è garantita da quello strumento di reciproca delimitazione (in primo luogo territoriale e spaziale, quindi orizzontale) che è il privilegio70. 68 Nel senso del tedesco geistig. «Kosmos von Rechten und Pflichten», MWG I/22-4, p. 380 (Dominio, pp. 363-364). 70 Il passaggio in questione è essenziale, in quanto rappresenta la condizione di possibilità del dispiegarsi delle relazioni specificamente feudali: esso presenta più di un’affinità con le modalità con cui Gierke descrive la concretizzazione delle forme patriarcali, e conseguentemente il passaggio alle forme di consociazione feudale. Come già detto, il termine concretizzazione traduce qui il ben più complesso termine tedesco Verdinglichung. Gierke interpreta infatti il passaggio in questione nei termini di una trasformazione delle relazioni fondate su una base primariamente personale (la parentela di sangue, anzitutto) a forme fondate primariamente su un legame territoriale. 69 2. IL CONTESTO TRADIZIONALE E LA SUA DISSOLUZIONE 121 Nel testo weberiano quindi, processi materiali e mutamenti nella configurazione delle relazioni interpersonali si intrecciano continuamente, e la trama specifica che di volta in volta assumono va colta attraversando pazientemente la stringente, talvolta quasi brachilogica, prosa weberiana71. Un simile intreccio si manifesta fin dalla definizione, poiché la Lehensbeziehung, vale a dire la specifica forma feudale di relazione sociale, si fonda appunto sul feudo (Lehen), il quale consiste, in una prima ampia definizione, in «ogni concessione di diritti – in particolare in termini di usufrutto di terra e suolo o di dominio politico territoriale – in cambio di servizi bellici o amministrativi»72. Esso designa quindi anzitutto, nella sua forma tipica, una concessione di terra in cambio di un servizio di guerra, nella quale rientrano molti casi storici. Intendendo il feudo semplicemente come concessione di un privilegio, numerose sono allora le forme storiche della sua estrinsecazione: 71 Si può certo ascrivere a Max Weber l’inattenzione d’aver traslato un concetto di feudalesimo di tarda coniazione ad un insieme disparato di contesti, facendo del feudalesimo un tipo ideale applicabile a tutti i contesti e a tutte le epoche. In questo senso, Weber può essere indicato da Brunner come esempio di utilizzo di un «procedimento metodologico del più alto interesse: su un soggetto storico concreto viene costruito un concetto-tipo relativamente più pieno, più plastico; quest’ultimo viene poi tanto generalizzato, mediante il confronto con fenomeni analoghi, che alla fine l’oggetto originario, che ha dato il nome all’intera fattispecie, appare come suo caso particolare» (cfr. O. Brunner, Feudalesimo. Un contributo alla storia del concetto, in Id., Per una nuova storia costituzionale e sociale, cit., pp. 75-116, qui p. 76). Va rilevato al contempo come il termine feudalesimo venga utilizzato da Weber in riferimento ad un principio strutturale di dominio fondato sul possesso della terra. La contrapposizione tra feudale e borghese va intesa più specificamente come una contrapposizione tra un dominio fondato prevalentemente sulla terra a un dominio fondato prevalentemente su una appropriazione del monopolio della violenza (legittima) e di fette di mercato, a sua volta modellata comunque a partire da un lessico moderno. Più difficile appare l’attribuire a Weber l’estensione indiscriminata al contesto feudale del concetto di Stato, quindi di uno Stato feudale. Il riconoscimento della dimensione dello «scendere a patti di caso in caso» come cifra specifica del dominio feudale sembrerebbe avallare l’ipotesi di un Weber più attento alla irriducibilità del contesto feudale ad una dimensione statale; che il concetto di «Stato» e le categorie del «moderno diritto pubblico» non siano applicabili al contesto patrimoniale (di cui il feudalesimo costituisce un caso limite) è esplicitamente detto da Weber in MWG I/22-4, p. 411 (Dominio, p. 392). 72 MWG I/22-4, p. 382 (Dominio, p. 365). 122 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ è compreso il feudo di servizio dei ministeriali, il precarium romano, il territorio concesso nell’Impero romano ai laeti insediati dopo la guerra contro i Marcomanni, come pure il territorio dei Cosacchi. Tutti questi casi, tuttavia, rappresentano una relazione feudale solo secondo il senso ampio, e al fondo impreciso, di questa prima definizione, che non corrisponde ancora al «feudo a tutti gli effetti»73. D’altronde, quella peculiare forma di uguaglianza nella gerarchia caratterizzante il rapporto feudale vero e proprio non può presentarsi con la stessa estensione di un rapporto patrimoniale: protagonisti di una relazione patrimoniale potevano essere contadini, coloni, soldati a cui venisse garantito un possesso di terra o qualche altra concessione che rendesse possibile la formazione di una potenziale reciprocità del rapporto. Questa reciprocità, assicurata in qualche modo da una base materiale, e sedimentata in una tradizione, poteva dar luogo a delle forme tradizionali di relazione, vincolanti sia il signore che i sottoposti. Allo stesso tempo, la forma della gerarchia, vale a dire la superiorità del signore nei confronti dei singoli sottoposti (ma non di tutti assieme), rimaneva garantita. Non così nel caso del rapporto feudale, nel quale la fissazione dei reciproci privilegi dà luogo ad una forma di mediazione che, mantenendo in linea di principio la strutturazione gerarchica del rapporto, può condurre ad una reciprocità nella quale è possibile non solo di garantirsi contro pretese eccessive, ma anche risolvere unilateralmente il rapporto da parte di entrambi, talvolta addirittura con una maggiore facilità da parte del sottoposto. La relazione feudale autentica non può pertanto aver luogo tra un signore e la gente comune („kleine Leute“), come per esempio dei contadini, dei coloni, o delle truppe assoldate74. La specificità del rapporto feudale consiste infatti in una relazione gerarchica particolare, 73 Per la definizione di «feudo a tutti gli effetti» (volles Lehen) cfr. MWG I/22-4, p. 385 (Dominio, p. 368). 74 MWG I/22-4, p. 384 (Dominio, p. 366). Si traduce «kleine Leute» con “gente comune”. Palma rende l’espressione con «popolino», mentre nella traduzione delle Edizioni di Comunità si usa l’espressione «piccola gente». 2. IL CONTESTO TRADIZIONALE E LA SUA DISSOLUZIONE 123 nella quale i membri del contratto feudale75, sollevandosi dalla massa dei liberi consociati (freie Volksgenossen), costituiscono un’unità rispetto ad essi, dando vita ad un libero rapporto contrattuale (Kontraktverhältnis), completamente sciolto da qualsiasi forma di dipendenza patrimoniale. Questo significa che il vassallo è sì sottoposto al signore, ma secondo una forma di relazione, un particolare contratto di fiducia, che muta il suo status, e che quindi, nonostante la soggezione, non limita la sua libertà, anzi, può accrescere il suo onore. Il contratto tra signore e vassallo si presenta quindi chiaramente come un contratto di status, secondo la nota tipologia introdotta da Weber nella Sociologia del diritto76. La sua stipulazione, la quale non consiste chiaramente in un contratto nel senso moderno del termine, quanto piuttosto in una peculiare forma di affratellamento, muta lo status dei contraenti, trasformandoli in qualcosa di diverso. È lo status, non la libera stipulazione tra eguali, a garantire la libertà. Tutto ciò all’interno di una struttura materiale della relazione che ne permetta il dispiegamento. Se certamente è la forma della stipulazione a consentire la libertà reciproca, una tale stipulazione non è possibile con la gente comune. La libertà feudale consiste anche nel fatto non trascurabile che la relazione può e deve permettere ad entrambi i contraenti una «esistenza signorile»77. In questo senso va compresa l’affermazione weberiana secondo cui il feudalesimo sarebbe, fin nelle sue radici più profonde, 75 Ricordiamo però che si tratta pur sempre di un rapporto di fiducia (Treuenverhältnis). 76 MWG I/22-3, pp. 315 ss. (ES, III, pp. 23 ss.). 77 «Il feudo a tutti gli effetti è sempre un complesso di diritti che frutta rendite, il cui possesso può e deve fondare un’esistenza signorile», MWG I/22-4, p. 385 (Dominio, p. 368). Nella sua forma più ampia, il feudalesimo è suddivisibile in una serie di casi, la cui tipicità è determinata dallo specifico intreccio di elementi materiali (in primo luogo: le forme di disposizione e di appropriazione della terra) e spirituali. Un esempio può essere il feudalesimo «liturgico», che può coinvolgere contadini con specifici doveri militari (come i cosacchi, i laeti, o i limitanei), nel quale la concessione della terra viene ricambiata in una qualche forma materiale, la quale può coincidere con un servizio militare. Il feudalesimo patrimoniale presenta molte somiglianze, nella sua conformazione materiale, con il patrimonialismo vero e proprio, dal quale si allontana primariamente per la differente modalità della relazione interpersonale, svincolata in linea di 124 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ «orientato in senso cetuale»78. Nel paragrafo della Sociologia del dominio dedicato alla chiarificazione dei termini di ceto e classe, il primo viene definito primariamente per via negativa. «Ceto» è una «moltitudine di uomini, il cui destino non venga determinato dalla possibilità di una propria valorizzazione delle merci o del lavoro sul mercato»79. A determinare la «situazione di ceto», sempre secondo la definizione qui fornita, non è pertanto un «interesse economico univoco», ma qualcosa di più complessivo, che non coinvolge solo l’interesse, ma un intero stile di vita: le componenti tipiche della situazione di ceto sono identificate da Weber nell’onore e nella condotta di vita. Ne consegue che il ceto, differentemente dalla classe, può essere (e normalmente è) una comunità. Il suo privilegio, fondato originariamente su un’usurpazione, provoca normalmente il sorgere di una «dignità», di una consapevolezza della propria superiorità: il regno dei membri di un ceto positivamente privilegiato, afferma Weber, «è di questo principio dai legami di parentela e dalle relazioni di reverenza tipiche del patrimonialismo e del patriarcalismo. La categoria del feudalesimo fondato sulla servitù della gleba pare essere quella in cui il rapporto tra il signore e i sottoposti si presenta nella forma più autoritaria. Esso prevede l’utilizzo di schiavi, la cui scarsa libertà comporta un forte legame con la terra, dalla quale non si possono spostare. Ad interessare particolarmente Weber è però la specificità del «feudalesimo libero». Nella sua forma «prebendale», tipica del feudo turco, esso non prevede una relazione personale di fedeltà, ma richiede solamente i servizi tributari e l’utilizzo del fondo. Il feudalesimo «vassallico», tipicamente occidentale, prevede invece una combinazione peculiare del rapporto di fedeltà e della concessione del feudo. La relazione materiale tra signore e vassallo dà vita quindi ad una fedeltà reciproca secondo le forme di un contratto di status, il quale produce un «cosmo di diritti e doveri» reciproci (MWG I/22-4, p. 380 - Dominio, pp. 363-364). Infine, il feudalesimo cittadino, nel quale il gruppo associato dei guerrieri (Genossenschaftsverbandes der Krieger) attribuisce ad ogni singolo guerriero una fetta di terreno conquistato in battaglia. Tutte e tre queste ultime forme comportano l’insorgere di una libertà nella gerarchia: in altre parole, la peculiare struttura (materiale, ma non solo) assunta dalla relazione di subordinazione dà vita ad un rapporto nel quale entrambi i membri sono pensabili come liberi. Weber si riferisce però in questo caso ai tipi di feudalesimo fondati sul «feudo a tutti gli effetti», ossia principalmente al feudalesimo «libero», e in particolare al feudalesimo occidentale. Su questo tipo di feudalesimo è concentrata primariamente l’attenzione. Gli altri tipi di feudalesimo (nella classificazione weberiana: «liturgico» e «patrimoniale») sono presi in considerazione «soltanto a scopo comparativo». Cfr. MWG I/22-4, pp. 384-385 (Dominio, pp. 367-368). 78 MWG I/22-4, pp. 402-403 (Dominio, p. 383). 79 MWG I/22-1, p. 255 (Comunità, p. 259). 2. IL CONTESTO TRADIZIONALE E LA SUA DISSOLUZIONE 125 mondo», si fonda sulla loro «bellezza e bravura», e comporta il sorgere di uno stile di vita che sia adeguato al rango sociale da essi occupato. Per questo motivo il ceto è il «portatore specifico di tutte le convenzioni» e la sua formazione implica spesso la selezione di un «tipo antropologico puro». Quest’ultima espressione segna al massimo grado l’opposizione, tra l’altro esplicitata, rispetto al carattere primariamente impersonale delle forme tipicamente moderne di relazione sociale. Un’opposizione che, nella sezione dedicata al feudalesimo, è rilevabile in un breve ma incisivo approfondimento relativo al sistema di educazione tipico del feudalesimo: le forme di educazione «raffinata» (che affiancano l’educazione musicale alla formazione ginnastico-militare) e il dispiegarsi di determinati beni di cultura artistica, intesi come «mezzo di autotrasfigurazione e di sviluppo e conservazione del prestigio dello strato dei signori nei confronti dei dominati», rappresentano le forme più caratteristiche di quella «stilizzazione della vita» che definisce la Lebensführung dei ceti80. Il riferimento ci è utile per mettere in evidenza, ancora una volta, l’attenzione costante da parte di Weber all’intreccio tra i motivi strutturali del darsi di determinate relazioni sociali (in questo caso: il possesso terriero, l’autoarmamento, la vita da signore), i gruppi e i tipi umani che ne sono protagonisti, e la forma specifica che assume il dispiegarsi delle relazioni stesse. È quest’ultimo punto che va ora approfondito: la relazione tra signori feudali non può assumere forme contrattuali, bensì quella di rapporti di fiducia contrattualmente fissati. La distinzione tra «contrattuale» e «rapporto di fiducia fissato contrattualmente», nominata anche sopra, risulta pertanto essenziale. Il legame feudale rientra infatti nella sfera dell’affratellamento (Verbrüderung) tra consociati (Genossen): ad entrare in rela80 Cfr. su ciò E. Filtner, Grundmuster und Varianten von Erziehung in modernen Gesellschaften. Eine erziehungswissenschaftliche Lektüre der herrschafts- und religionssoziologischen Schriften Max Webers, in Hanke, Mommsen, Max Webers Herrschaftssoziologie cit., pp. 265-281; il tema richiama inevitabilmente l’opera di T. Veblen, La teoria della classe agiata: studio economico sulle istituzioni, Torino, Edizioni di Comunità, 1999. 126 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ zione sono, in termini weberiani, due individui o due gruppi che possiedono entro sé «un’altra anima», quella di signori, vassalli, noblesse de robe, in ogni caso di consociati. La fondamentale separazione moderna tra persona e cosa, tra la persona e il suo Beruf, tra patrimonio privato e mezzi di ufficio, non è qui neppure pensabile. La loro reciprocità, che produce una forma di relazione gerarchica, ma al contempo scioglibile unilateralmente nel momento in cui si ritenga violata la fiducia (spesso inscritta nei cosiddetti «codici d’onore»), è resa possibile da una divisione delle Gewalten (potenza militare, governo su un territorio, giurisdizione) di carattere meramente quantitativo, e mai «qualitativo-funzionale»81. Ciascun signore, sia esso un vassallo o lo stesso principe, governa sul suo territorio alla stessa maniera: garantendo protezione e amministrando la giurisdizione. Da questo punto di vista la loro è una relazione tra uguali, la cui gerarchia è garantita da quella concezione dell’organismo sociale come «universo graduato»82, nel quale la presenza di una gerarchia, di chi governa e chi è governato, è concepita come naturale, da sempre esistente e garantita dalla tradizione. Un tale contesto produce un kosmos, oppure un caos, di diritti d’usufrutto, obblighi soggettivi, privilegi, singoli codici d’onore, all’interno del quale le categorie del moderno diritto non sono di fatto utilizzabili. La formazione politica patrimoniale, mutata in senso prebendale e feudale, è quindi, in tutto e per tutto – in antitesi al sistema degli “organi” regolati in generale da ordinamenti oggettivi, con le loro sfere altrettanto regolate di obblighi ufficiali – un cosmo o, a seconda, anche un caos di diritti d’usufrutto e obblighi soggettivi, senz’altro determinati in modo concreto, del signore, 81 MWG I/22-4, p. 404 (Dominio, p. 385). L’espressione tedesca è arbeitsteiligqualitativ. Weber richiama qui esplicitamente Montesquieu, con ogni probabilità facendo riferimento a Lo spirito delle leggi (Cfr. MWG I/22-4, p. 404, nota 72 - Dominio, p. 385, nota 72). Rendiamo il termine arbeitsteilig con “funzionale”, quando letteralmente significa basato sulla divisione del lavoro. Palma rende con «divisone del lavoro qualitativa», così come la traduzione delle Edizioni di Comunità («divisione qualitativa del lavoro»). 82 L’espressione è di H. Mitteis, Le strutture giuridiche e politiche dell’età feudale, Brescia, Morcelliana, 1962, p. 24. 2. IL CONTESTO TRADIZIONALE E LA SUA DISSOLUZIONE 127 dei titolari degli uffici e dei dominati, che si incrociano l’un l’altro, delimitandosi vicendevolmente, e dalla cui collaborazione scaturisce un agire comunitario che non è ricostruibile con le moderne categorie pubblicistiche e per cui il nome “Stato” nel senso moderno del termine è ancor meno utilizzabile di quanto lo sia per la formazione patrimoniale pura83. All’interno di questo kosmos rientra la stessa figura del principe. La sua posizione gerarchicamente sovraordinata è garantita ancora una volta dalla tradizione, la quale gli conferisce il suo peculiare privilegio, che consiste tuttavia in una prerogativa; in questo senso, egli è un primus inter nobiles84, più potente di ciascun signore e impotente nei confronti di tutti. È interessante notare a questo punto quale sia la forma specifica del relazionarsi tra gruppi all’interno di questa struttura di dominio: si tratta del paktieren, precisamente dello «scendere a patti di caso in caso tra i diversi titolari di potestà (Gewaltenträger)»85. È qui, nel raggiungimento costante del compromesso tra gruppi (non solo tra signori, ma anche tra il signore e i suoi dominati), che Weber ritrova l’essenza della relazione feudale. Gli stessi «diritti e doveri»86, sotto forma di privilegi, vengono pattuiti, in caso di controversia, da parte dei singoli o delle corporazioni, tramite un incontro-scontro tra i detentori degli stessi privilegi. La specificità del feudalesimo, in definitiva, pare costituita da alcuni elementi che lo stesso Weber definisce «apparentemente i più contraddittori»87: «relazioni di fedeltà strettamente personali», «fissazione contrattuale dei diritti e dei doveri e la loro oggettivazione mediante il nesso con una concreta fonte di rendite», e la «garanzia ereditaria dello stato di possesso»88. Cogliere come questi elementi possano effettivamente stare 83 84 85 MWG I/22-4, p. 411 (Dominio, p. 392). Cfr. Mitteis, Le strutture giuridiche e politiche dell’età feudale, cit., p. 21. Cfr. MWG I/22-4, p. 411 (Dominio, p. 392). L’aggiunta dell’espressione tedesca è mia. 86 87 88 Cfr. MWG I/22-4, p. 411 (Dominio, p. 393). MWG I/22-4, p. 389 (Dominio, p. 371). Ibid. 128 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ assieme significa comprendere non solo la specificità di quella conformazione storico-sociale definita feudalesimo, ma anche la forma di agire categorizzata da Weber come tradizionale. Semplificando un po’, si può dire che tale affermazione weberiana sia esemplificativa dell’intera argomentazione; sciogliendola, individuandone gli elementi determinanti, si potranno pertanto coglierne i punti essenziali. Vi è anzitutto quella peculiare relazione di fiducia personale e al contempo fissata contrattualmente, ossia quel contratto di status con il quale Weber ritiene di poter riassumere gli aspetti essenziali della relazione feudale. In secondo luogo troviamo lo «stato di possesso», la rendita e, più in generale, la terra e le sue forme di distribuzione. Infine la tradizione, elemento che permette la consistenza e la continuità dei gruppi, la quale è di necessità legata alle forme di distribuzione della potenza (potenza economica, che qui significa primariamente terriera, e soprattutto potenza militare), ma al contempo sempre esorbitante rispetto ad esse. Per motivi di ordine espositivo, questi tre elementi saranno ora trattati separatamente; è tuttavia fondamentale ricordare – lo si cercherà di far emergere dall’argomentazione – come tra di essi sussista uno stretto rapporto, come rimandino uno all’altro, e non siano pensabili separatamente. 3. Fedeltà e contratto Signori domestici, prìncipi patrimoniali, funzionari, contadini, schiavi, servi della gleba, vassalli, truppe territoriali, soldati, cavalieri: sono questi tra i protagonisti della grande ricostruzione weberiana, di volta in volta portati come esempi di concrete relazioni sociali. Si tratta di esempi la cui collocazione storica talvolta è precisamente determinata, come nei casi in cui egli nomina personaggi storici (gli Stuart, i Faraoni egiziani), altre volte attraversa un fascio temporale la cui estensione è dubbia, e forse pure poco utile (come quando Weber parla dei samurai, dei vassalli). Lo stesso vale per la collocazione spaziale degli eventi: sotto il 2. IL CONTESTO TRADIZIONALE E LA SUA DISSOLUZIONE 129 termine feudalesimo viene compreso un fenomeno che abbraccia luoghi tra i più significativi della storia mondiale: il precarium romano, il territorio dei Cosacchi, l’Egitto tolemaico, il Giappone dello shogun e dei samurai. Quali siano gli elementi chiave che tengono assieme tutte queste annotazioni erudite, quali gli elementi che permettono di rintracciare delle comunanze, o che perlomeno permettono di assimilare luoghi e relazioni tanto diverse, e di inserirle all’interno del medesimo tipo: ci si pone in questo modo una domanda che ha poco a che fare con le questioni di carattere storiografico che il testo weberiano è ancora oggi in grado di sollevare, per far emergere anzitutto un’interrogazione sul senso della prestazione complessiva; si può cominciare ricercando quali siano gli elementi comuni che Weber rileva tra le fila dell’argomentazione relativa all’analisi delle forme tradizionali di dominio, della sterminata raccolta di notizie, appunti eruditi, riflessioni sparse contenute, in maniera talvolta non lineare, nel testo in questione. Essenziale a tutte le relazioni descritte all’interno delle forme di dominio tradizionale risulta essere il loro primario carattere personale. A differenza della oggettiva e impersonale dedizione al servizio che caratterizza il sistema burocratico, personali sono invece le relazioni di reverenza che costituiscono la cifra specifica del dominio patriarcale. Personale è il potere autoritario esercitato dal padre di famiglia, la cui autorità rappresenta il germe della struttura patriarcale del dominio. Personali sono gli stessi rapporti che caratterizzano la vita comune all’interno della casa, e che fanno sì che i suoi membri siano naturalmente sottoposti allo Hausvater: la donna a causa della superiorità fisica e spirituale dell’uomo, il figlio giovinetto a causa della sua necessità di protezione, il figlio più grande anzitutto a causa di un’abitudine acquisita fin dall’infanzia, la quale vale anche per il servo, il quale aggiunge tra i moventi che lo tengono legato all’obbedienza al signore la sua mancanza di difesa al di fuori dell’ambito domestico. «Personalmente illimitato»89 è il dovere di aiuto in caso di 89 MWG I/22-4, p. 256 (Dominio, p. 192, dove si traduce con «senza limiti, sul 130 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ guerra e di contesa da parte del sottoposto in una tipica relazione patriarcale, come nel caso degli eserciti di cavalieri nel Medioevo e negli eserciti di opliti con armamento pesante nell’antichità. I bisogni «puramente personali» del signore stanno alla base dell’amministrazione patrimoniale del dominio, perlomeno nella sua configurazione originaria; un vincolo «del tutto personale»90 vige tra le truppe di schiavi negri acquistati e i signori delle grandi famiglie nello Hijaz, come personale è il rapporto che lega la cosiddetta casta dei guerrieri egiziana al faraone e i Cosacchi allo Zar. Personali sono le relazioni di fedeltà tra feudatario e vassallo nel feudalesimo occidentale, come tra il daimyo e lo shogun in Giappone. Il termine viene utilizzato in opposizione al carattere impersonale («senza riguardo alla persona») del funzionario burocratico statale o di quello oggettivo (sachlich) dell’imprenditore sul mercato, e identifica una forma di agire sociale nella quale la relazione si presenta come diretta, vale a dire non mediata attraverso un’(ulteriore) istituzione o un atto legislativo in senso moderno. Questo non significa però che non esistano delle forme di mediazione, anzi, vale semmai l’esatto contrario: il fatto che esse siano in qualche modo incarnate nella stessa persona dei loro portatori, definendone appunto lo status, trasforma il contesto tradizionale in un kosmos di mediazioni, nelle quali pertanto la relazione sociale non si dà quasi mai sotto forma di un mero rapporto tra volontà. L’immediatezza del rapporto si dà solo nel caso dell’agire del singolo signore nei confronti dello schiavo, o nel sultanismo, ove la mancanza di qualsiasi riferimento tradizionale permette al dominante di agire in condizioni di massima arbitrarietà. A parte i casi limite della schiavitù e del sultanismo, una mediazione è sempre presente, tuttavia le sue forme non sono sachlich, vale a dire non si configurano secondo una forma che comporti un’oggettivazione del rapporto con la cosa, e conseguentemente del rapporto delle persone (o dei gruppi) tra loro. piano personale»). Si mantiene qui la traduzione di ES, IV, p. 107. 90 MWG I/22-4, p. 266 (Dominio, p. 201). 2. IL CONTESTO TRADIZIONALE E LA SUA DISSOLUZIONE 131 Al contrario, esse consentono l’estrinsecazione personale di tale legame. Vanno ora chiariti i termini di questa opposizione. Una forma di mediazione personale può consistere, per esempio, anzitutto nel legame parentale: nel caso più semplice e più labile nominato da Weber, può essere ritrovata nel vincolo di sangue che lega il pater familias al figlio, e che lo induce a distinguerlo dallo schiavo, garantendogli la possibilità dell’acquisizione di un’eredità. Oppure può avere a che fare con la gestione della terra, secondo le svariate forme di distribuzione citate (precario, feudo, allodio ecc.); o ancora può essere veicolata dall’(auto)armamento, che permetteva ai contadini tedeschi di essere a disposizione del signore, ma «solo per scopi tradizionali». Con i termini tradizione e tradizionale Weber intende indicare anzitutto determinate forme di sedimentazione, o meglio, di stereotipizzazione delle relazioni sociali attraverso la mediazione essenziale delle cose, vale a dire dei legami e delle risorse. L’argomentazione non è, a questo livello, originale91: considerazioni simili si ritrovano già in Gierke, vero e proprio punto di riferimento delle riflessioni weberiane. Nel suo Genossenschaftsrecht, egli utilizza a più riprese la parola Verdinglichung: un termine che avrà tra l’altro una certa fortuna, visto che sarà ripreso da Otto Hintze92, e, successivamente, da Heinrich Mitteis93. Gierke lo utilizza per descrivere le forme di concretizzazione94 dei rapporti sociali, nella trasformazione dei legami fondati su una relazione primariamente personale (la parentela di sangue, anzitutto) in legami fondati primariamente su base territoriale. Verdinglichung indica pertanto questo processo, nel quale la cosa (Ding), e nella fattispecie anzitutto il territorio, o meglio ancora, la terra, entra prepotentemente come medium delle relazioni interpersonali, ricollocandole su nuove basi. Le consi91 Originale è piuttosto il modo in cui Weber oppone le forme della stereotipizzazione a quelle, prettamente moderne, della cosificazione (Versachlichung). 92 Hintze, Essenza e diffusione del feudalesimo, cit., p. 52. 93 Mitteis, Le strutture giuridiche e politiche dell’età feudale, cit., p. 17. 94 Traduciamo così il termine Verdinglichung, preferendolo al più impegnativo “materializzazione”. 132 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ derazioni weberiane sono massimamente comprensibili proprio tenendo presente questa peculiare interazione tra processi materiali e spirituali (geistig) che Weber riprende anzitutto proprio da Gierke. Egli preferisce tuttavia il termine Stereotypierung, probabilmente in quanto gli permette di sottolineare con maggiore incisività gli elementi di staticità delle costituzioni tradizionali rispetto alla dinamicità delle forme moderne di associazione. Per stereotipizzazione Weber intende la fissazione di una serie di relazioni secondo criteri non (necessariamente) statuiti, e garantiti piuttosto dalla loro sedimentazione all’interno di usi e costumi e, infine, tramite la «fondamentale potenza della tradizione». La tradizione consacra quindi quelle forme di mediazione del rapporto che si sono radicate attraverso il loro esercizio reiterato. Più solide sono queste forme di mediazione, più forte sarà anche la potenza del vincolo tradizionale. Nel caso del pater familias romano, vincolato solo al legame di sangue, tale legame tradizionale sarà labile, seppur sempre presente. Più radicato è il vincolo nel caso in cui la relazione sia mediata dalla presenza di interessi comuni, come nel caso del rapporto patrimoniale tra signore e sottoposti all’interno dell’oikos, o nella tipica relazione feudale tra signore e vassalli. Il legame di fiducia tra signore e vassallo è a sua volta determinato sulla base di una serie di codici d’onore che ne definisce i limiti reciproci, i reciproci diritti e doveri. Ulteriori sedimentazioni di forme mediate, ma personali, di agire, si danno nelle relazioni giuridiche riscontrabili nelle forme contrattuali del diritto romano, ove la stipulazione dell’accordo tra le parti, per essere valida, dev’essere supportata dalla pronuncia di alcune parole formalmente ben precise (nel caso del contratto verbale, l’errata pronuncia comporta l’invalidità dell’atto), o l’iscrizione dell’accordo su una tavola scritta (nel caso del contratto letterale)95 o nelle varie forme di affratellamento. Le forme di mediazione possono essere o meno vincolate giuridicamente, vale a dire mediante una stipulazione scritta degli accordi, e, più 95 Su ciò può essere utile il confronto con H.S. Maine, Diritto Antico, Milano, Giuffrè, 1998, in particolare pp. 244-245. 2. IL CONTESTO TRADIZIONALE E LA SUA DISSOLUZIONE 133 frequentemente, della natura degli affratellamenti. In ogni caso, il termine giuridico non va tuttavia inteso nell’odierno senso tecnico-giuridico. Per chiarire ulteriormente la natura del riferimento al carattere personale delle relazioni, sarà utile fare riferimento ad un passo contenuto nella Sociologia del diritto, concernente la nota distinzione tra contratti di scopo e contratti di status. Nello scambio economico, archetipo dei contratti di scopo, l’accordo tra le parti è mirato alla realizzazione di «prestazioni» o risultati «concreti», prevalentemente economici, senza toccare lo status dei contraenti, senza che tra loro sorga pertanto alcuna «nuova» qualità di consociato. L’esatto contrario avviene nei contratti di status: essi hanno per contenuto una «modificazione della qualità giuridica complessiva, della posizione universale e dell’habitus sociale delle persone»96. Una persona deve diventare in futuro figlio, padre, moglie, fratello, padrone, schiavo, membro di un gruppo parentale o di guerra, protettore, cliente, seguace, vassallo, suddito, amico – in una parola “consociato” („Genosse“) di un’altra persona. Ma questo reciproco “affratellamento” non comporta che le persone interessate si garantiscano o si prospettino reciprocamente per scopi concreti determinate prestazioni utili; e nemmeno che si prospettino per il futuro un nuovo atteggiamento complessivo, qualificato in un determinato modo come fornito di senso. Esso implica invece che la persona “divenga” qualcosa di qualitativamente differente da prima; diversamente, infatti, quel nuovo atteggiamento non sarebbe possibile. Gli interessati devono far entrare in sé un’altra anima97. Per definire la specificità del rapporto personale, così come lo intende Weber, occorre pertanto considerare un ulteriore elemento: il carattere totalizzante della relazione. Anche in questo caso, la peculiarità del rapporto è comprensibile mediante il suo opposto concettuale, rappresentato da quanto avviene all’interno della moderna burocrazia. Al funzionario viene richiesta una prestazione di servizio e di obbedienza pressoché totale, 96 «[…] eine Veränderung der rechtlichen Gesammtqualität, der universellen Stellung und des sozialen Habitus von Personen», MWG, I/22-3, p. 316 (ES, III, p. 23). 97 MWG I/22-3, p. 316 (ES, III, pp. 23-24). 134 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ ma all’interno dei limiti della propria competenza: l’espressione «senza riguardo alla persona» vale quindi non solo nella relazione tra questi ed eventuali interlocutori, ma anche nella stessa concezione del funzionario in quanto tale, al quale viene richiesto appunto di fornire, con competenza e spirito di sottomissione, la propria prestazione. La stessa cosa non vale nel caso di un rapporto personale: qui ad essere coinvolta è l’intera persona, la quale coincide con la propria collocazione sociale, con la propria anima, con il proprio status. Non è semplice delimitare i contorni di queste brevi ma incisive considerazioni weberiane98. Da un lato, Weber pare far riferimento ad un non meglio determinato contesto «primitivo», dominato da «mezzi magici» e «procedure animistiche»; dall’altro, egli nomina l’investitura feudale come fondata «nella sua essenza intima»99 su contratti, e nomina i vassalli come un esempio di contratto di status. In ogni caso, è possibile cogliere in questa tipizzazione un’idea fondamentale su come Weber concepisse il tipo umano, e le conseguenti relazioni sociali, dominanti nel contesto tradizionale. Che cos’è l’uomo nella comunità domestica, o nel rapporto feudale? Egli non è mai semplicemente un individuo, ma è sempre qualcosa in più: è il prodotto di un affratellamento, il quale, per definizione, non può mai essere individuale. Il fatto di porre uno scarto tra ciò che il singolo è (Einzeln, Existent) e ciò che egli diviene dimostra come Weber mantenga una differenziazione tra l’individuo astrattamente concepito e la singola persona concreta, la quale però non ha di fatto alcuna rilevanza nella conformazione della relazione sociale, almeno in questo caso. Il singolo si definisce quindi attraverso i rapporti in cui è inserito, che possono essere essenzialmente di due tipi: rapporti con altri 98 È evidente al contempo il riferimento a Gemeinschaft und Gesellschaft di Tönnies (Cfr. Tönnies, Comunità e Società, cit., libro terzo), come alla Ancient Law di Maine, in particolare al quinto capitolo (Società primitiva e diritto antico), nel quale tra l’altro Maine esplicita il noto passaggio dallo status al contratto. Cfr. H.S. Maine, Diritto Antico, cit., pp. 91 ss. 99 MWG I/22-3, p. 313 (ES, III, p. 22). 2. IL CONTESTO TRADIZIONALE E LA SUA DISSOLUZIONE 135 singoli, rapporti con cose. Esso prende forma a partire da questo doppio legame: se non libero, vivente in una abitazione, in stretto rapporto con il padre di casa, egli sarà un servo; se legato ad un signore da un rapporto di concessione di terra allodiale, egli sarà un contadino proprietario terriero; ma se la concessione di terra assume la forma di un feudo, regolato da un codice di privilegi reciproci, egli sarà un vassallo. Il rapporto tra il singolo, le cose e le persone che lo circondano può assumere la forma radicale di una subordinazione totale alla persona (schiavitù), la quale al contempo coincide con l’identificazione con la cosa. Lo schiavo romano è quindi completamente sottoposto alla volontà del signore ed al contempo considerato come instrumentum vocale. La sua natura umana non è distinguibile dal contesto di cose che circondano il signore, poiché egli è una cosa del signore, in particolare, una cosa parlante. Lo stesso ragionamento si potrebbe fare per il signore, il quale assume uno status a seconda della peculiarità del proprio dominio su cose e persone. È quindi possibile cogliere la dinamica di fondo delle argomentazioni weberiane sul tipo tradizionale di dominio. Essa prevede sempre una qualche forma di relazione, la quale si configura al contempo come relazione di Macht e di Herrschaft, e che assume la propria collocazione specifica sulla base della peculiare conformazione che riveste al suo interno il rapporto tra singoli, gruppi e cose che li circondano. Si tratta sempre di un rapporto di dominio di alcuni su altri, ma le sue manifestazioni possono configurarsi nei modi più svariati: si va, attraverso una serie numerosa di trapassi, dall’estremo esercizio arbitrario di volontà individuale privo di qualsiasi riferimento tradizionale tipico del dominio sultanistico, al rapporto libero tra signore e vassallo del rapporto feudale, nel quale il vassallo può svincolarsi in ogni momento dalla subordinazione. Nel primo caso, i sottoposti sono necessariamente degli schiavi: affinché un esercizio arbitrario di volontà sia possibile, il signore deve poter disporre di essi senza che questi abbiano la possibilità materiale di difendersi. Allo stesso modo, affinché un rapporto gerarchico e al contempo libero sia di fatto possibile, è necessaria una distribuzione delle possibilità (economiche, mili- MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ 136 tari ecc.) che ne permetta il dispiegamento. È a partire da questo kosmos che si produrrà quella partizione fondamentale dalla quale avrà origine la singolarità qualitativa del moderno sistema economico e politico: non a caso, tra gli eventi fondamentali di questa trasformazione decisiva, Weber nomina proprio la separazione tra comunità domestica e impresa, e tra il funzionario e il suo ufficio. Qui non si tratta infatti solamente di una differente configurazione dei rapporti sulla base di uno sfondo comune, ma di una separazione fondamentale destinata a produrre un diverso sistema: quella tra il singolo e i propri mezzi di lavoro e sostentamento, tra la pienezza della vita della casa e la prestazione funzionale all’interno di una fabbrica, nel primo caso; tra il governo autonomo di un territorio e la sua gestione sulla base di criteri esteriormente posti (che non richiedono quindi più una condotta di vita, ma una competenza), nel secondo caso. Sono le forme di mediazione a mutare essenzialmente la loro struttura, e, conseguentemente, anche le forme della relazione tra gli uomini. Quando la terra diviene merce, le cose diventano valori di scambio, il padre di famiglia diventa anzitutto proprietario, il luogo dell’attività lavorativa diviene la fabbrica e la comunità diviene il mercato, è inevitabile che mutino essenzialmente anche le relazioni sociali. Nonostante l’inevitabile tendenza al livellamento sociale che alcuni di questi processi portano con sé, non vengono però meno le forme del dominio, anzi, come Weber affermerà esplicitamente100, esse possono assumere delle modalità ancora più oppressive. 4. Terra e tradizione Il concetto di tradizione, nei luoghi in cui Weber procede ad una sua definizione, viene collocato all’interno di quei tipi di agire sociale (tra i quali rientrano l’uso, il costume, la convenzione e la 100 MWG I/22-3, pp. 428-429 (ES, III, p. 87). 2. IL CONTESTO TRADIZIONALE E LA SUA DISSOLUZIONE 137 moda) che non richiedono, per la propria sussistenza continuativa, nessun tipo di coercizione fisica e psichica101. Nel quarto paragrafo dei Concetti sociologici fondamentali Weber definisce l’uso (Brauch) come una «chance effettivamente sussistente di una uniformità dell’agire sociale»102, nel momento in cui «la possibilità della sua sussistenza entro un ambito di uomini è offerta semplicemente in virtù di del suo esercizio di fatto»103. L’uso deve esser definito costume quando l’«esercizio di fatto» riposa su una acquisizione da lungo tempo104. Il costume assume quindi l’aspetto di una regola «non garantita esteriormente»105, alla quale il singolo si conforma «di fatto», volontariamente, ma 101 Le riflessioni weberiane vanno inserite all’interno di un contesto di discussione sui concetti di tradizione, uso, consuetudine e costume, che ha coinvolto studiosi importanti, alcuni dei quali Weber non manca di nominare: ricordiamo in particolare F. Tönnies, Die Sitte, Frankfurt am Main, Keip, 1909, citato da Weber in WuG, I, p. 17 (ES, I, p. 31); P. Oertmann, Rechtsordnung und Verkehrssitte, Leipzig, Deichert, 1914, citato in WuG, I, p. 15 (ES, I, p. 27); R. von Jhering, Der Zweck im Recht, Leipzig, Breitkopf & Härtel, 1883 (Weber cita il secondo volume in WuG, I, p. 15 - ES, I, p. 27; tr. it. Lo scopo nel diritto, Torino, Einaudi, 1972); E. Weigelin, Sitte, Recht und Moral, Berlin/Leipzig, Rothschild, 1919, citato in WuG, I, p. 15 (ES, I, p. 27) e WuG, I, p. 17 (ES, I, p. 31). Cfr. inoltre E. Ehrlich, I fondamenti della sociologia del diritto, Milano, Giuffrè, 1976 (citato in riferimento al tema della consuetudine in MWG I/22-3, p. 432 - WuG, II, p. 441 - ES, III, p. 88); E. Lambert, La fonction du droit civil comparé, Parigi, V. Giard & E. Briére, 1903, di cui può essere utile consultare anche la recensione da parte di E. Durkheim, Édouard Lambert. La fonction du droit civil comparé, «Année sociologique», 7, 1904, pp. 374-379; E. Zitelmann, Internationales Privatrecht, Neudruck der Ausgabe München/Leipzig 1892-1912, Stockstadt am Main, Keit & von Deft, 2006; Gierke, Das deutsche Genossenschaftsrecht, cit.; infine, l’obbligato riferimento a R. von Stammler, Wirtschaft und Recht nach der materialistischen Geschichtsauffassung: eine sozialphilosophische Untersuchung, 5a ed., Berlin/Leipzig, W. de Gruyter, 1924. Sul riferimento alla tradizione e alla Herrschaft tradizionale cfr. Breuer, „Herrschaft“ in der Soziologie Max Webers, cit., pp. 80 ss. 102 WuG, I, p. 15 (ES, I, p. 26): «eine tatsächlich bestehende Chance einer Regelmäßigkeit der Einstellung sozialen Handelns». 103 Ibid.: «[…] die Chance ihres Bestehens innerhalb eines Kreises von Menschen lediglich durch tatsächliche Übung gegeben ist». Si è preferito tradurre tatsächliche Übung con “esercizio di fatto”, piuttosto che con il termine “consuetudine”, come avviene nella traduzione italiana. 104 L’espressione «acquisizione da lungo tempo» traduce il tedesco «auf langer Eingelebtheit». Cfr. WuG, I, p. 15 (ES, I, p. 26). 105 In tedesco «nicht äußerlich garantiert». Cfr. WuG, I, p. 15 (ES, I, p. 27, che traduce «non garantita dall’esterno»). 138 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ senza un determinato senso intenzionato („gedankenlos“). Uso e costume si distinguono pertanto dalla convenzione, nella quale è essenziale l’elemento della «approvazione o disapprovazione di una cerchia di uomini che costituiscono lo specifico “ambiente” del soggetto che agisce»106. Se nella convenzione è presente, perlomeno lato sensu, una certa coercizione psichica, nel costume questa è totalmente assente107. In questo caso l’agire è garantito anzitutto dalla sua temporalità, vale a dire dalla «acquisizione da lungo tempo» delle disposizioni apprese. È interessante notare come il termine Sitte venga utilizzato da Weber esclusivamente per descrivere contesti collocabili dal punto di vista categoriale all’interno di un contesto tradizionale. Va notata, inoltre, la contrapposizione che egli propone all’interno del quarto paragrafo dei Concetti sociologici fondamentali, dove al costume viene appunto opposto l’agire condizionato da una «situazione di interessi», il quale si presenta «se e nella misura in cui la possibilità della sua sussistenza empirica risulta condizionata semplicemente da un orientamento puramente razionale rispetto allo scopo dell’agire degli individui, in vista di aspettative omogenee»108. Il riferimento alla tradizione trova la propria collocazione all’interno di questo spettro semantico. Si può parlare di tradi- 106 MWG I/22-3, p. 211 (ES, II, p. 12): «[…] Billigung oder Mißbilligung eines Kreises von Menschen, welche eine spezifische „Umwelt“ des Handelnden bilden». Nonostante nella definizione che Weber dà di convenzione nel secondo volume di Economia e Società si affermi che anche in questo caso non è presente alcun tipo di coercizione (fisica e) psichica, è possibile affermare che, per distinguere concettualmente il costume dalla convenzione, è necessario introdurre l’elemento della approvazione o disapprovazione da parte di una cerchia di uomini: quindi, comunque, una sorta di coercizione psichica. 107 In MWG I/22-3, p. 238 (ES, II, p. 24), all’interno del terzo paragrafo del testo L’economia e gli ordinamenti sociali, intitolato Significato e limite della coercizione giuridica nell’economia, Weber parla di costume per designare le «uniformità di fatto dell’atteggiamento» (faktische Regelmäßigkeiten des Verhaltens), e di convenzione per designare «regole per l’atteggiamento» (Regeln für das Verhalten). Cfr. a proposito anche MWG I/22-3, pp. 226-227 (ES, II, p. 20). 108 WuG, I, p. 15 (ES, I, p. 26): «[…] wenn und soweit die Chanche ihres empi- 2. IL CONTESTO TRADIZIONALE E LA SUA DISSOLUZIONE 139 zione nel momento in cui le semplici uniformità di fatto dell’agire, e quindi il puro e semplice costume, assumono la forma di norme vincolanti. La tradizione è quindi caratterizzata – secondo la definizione weberiana109 – da norme di costume, per la vigenza delle quali non è quindi necessaria alcuna forma di coercizione. Queste sue peculiarità – in particolare l’assenza di qualsiasi forma di costrizione, e il suo prodursi all’interno di un agire gedankenlos, quindi anche non intenzionale – rendono particolarmente ardua la collocazione del concetto di tradizione e la forma di agire sociale che le corrisponde (l’agire tradizionale) all’interno delle categorie sociologiche. Essa sembra infatti sfuggire sia alle maglie della definizione di potere politico – secondo la quale è necessario un minimum di coercizione – sia al contesto specifico dell’agire sociale, il quale, com’è noto, dev’essere in qualche modo soggettivamente intenzionato. Questa collocazione ibrida non pare quindi priva di problemi. Non è un caso che, nelle Categorie sociologiche fondamentali, l’atteggiamento rigorosamente tradizionale venga collocato «al limite, e spesso al di là di ciò che può essere definito “in base al senso”»110. In questo caso esso viene paragonato alla pura imitazione passiva111 che, come «la massa di tutto l’agire quotidiano»112, è pensabile come una serie di azioni svolte senza pensarci, non intenzionalmente. In quanto tale, l’agire tradizionale (nel suo tipo puro) va concepito dal sociologo alla stessa stregua degli eventi naturali: mancando una base di intenzionalità soggettiva, esso ricade infatti al di fuori della definizione di agire sociale; anzi, ad esser precisi, esso si colloca al confine dello stesso concetto di agire. Se si confrontano queste definizioni con quelle contenute nelle pagine di Economia e Società113 ci si troverà di fronte a delle rischen Bestandes lediglich durch rein zweckrationale Orientierung des Handelns der Einzelnen an gleichartigen Erwartungen bedingt ist». 109 Cfr. MWG I/22-3, p. 226 (ES, II, p. 20). 110 WuG, I, p. 12 (ES, I, p. 22). 111 Ibid. 112 Ibid. 113 Ci si riferisce al secondo paragrafo (intitolato Ordinamento giuridico, conven- 140 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ argomentazioni piuttosto differenti. Qui la tradizione è ciò che è in grado di produrre «norme vincolanti», seppur non dotate di coercizione, le quali sono in grado di trasformare un «agire di massa» in un «agire di consenso»114. Come esempi di fatti che favoriscono la formazione di una tradizione, Weber cita il «ripetersi uniforme di certi processi», fenomeni naturali, come le inondazioni del Nilo, o «azioni condizionate dalle circostanze della vita esterna», per esempio il modo usuale di retribuire forze di lavoro non libere. In questo caso, quindi, ben lungi dal rappresentare un agire ai confini della socialità, la presenza della tradizione sembra proprio essere una delle condizioni di possibilità del darsi di un agire sociale, nella forma dell’agire di consenso. È probabilmente questa seconda definizione quella più adeguata ad essere accostata alle pagine della Herrschaftssoziologie dedicate alle forme tradizionali di dominio. La reverenza per la tradizione, intesa anzitutto come «credenza nell’inviolabilità di ciò che è sempre stato», è, come detto, uno dei due elementi che caratterizzano il dominio patrimoniale, e la reverenza per l’autorità del signore – il secondo elemento caratterizzante – è al contempo rafforzata e limitata dalla presenza della sfera tradizionale. Lo stesso signore, infatti, deve agire in conformità a dei precetti predefiniti; in caso contrario, sarà giustificata la reazione dei sottoposti, volta appunto a ripristinare i sacri legami tradizionali. Weber arriva a concludere come la presenza di relazioni tradizionali possa garantire una forma di reciprocità che è al contempo garanzia di una relazione sì gerarchica, ma secondo delle modalità che trovano consenso da entrambe le parti. Ecco quindi che questo elemento ibrido e sfuggente della tradizione funge da trait d’union in grado di dar vita ad una «comunità d’intesa», in cui le parti sono vincolate secondo una modalità che zione e costume) del primo capitolo (L’economia e gli ordinamenti sociali) della seconda parte di Economia e Società (L’economia in rapporto agli ordinamenti e alle forze sociali), nell’edizione curata da M. Weber e M. Palyi. 114 MWG I/22-3, p. 226 (ES, II, p. 20). 2. IL CONTESTO TRADIZIONALE E LA SUA DISSOLUZIONE 141 esorbita rispetto al mero accordo delle volontà, all’interno di un ordinamento «giuridicamente labile, ma di fatto assai stabile». All’interno delle riflessioni sulla prima versione della Sociologia del dominio, Weber sembra quindi utilizzare di fatto un concetto di tradizione per certi versi assimilabile ad alcune argomentazioni consolidate all’interno della riflessione storico-politica in ambito tedesco. Al contempo, egli è ben lungi dal concepire la tradizione come una sorta di sfondo comune, come quel legame originario tra gli uomini dal quale procederebbero, nelle sue varie manifestazioni, tutte le forme di relazione. Nei tipi tradizionali di dominio la tradizione è un elemento determinante del darsi di relazioni sociali. Tuttavia, per quanto importante, essa rimane un elemento tra gli altri. Più concretamente, ciò significa che l’agire tradizionale è sempre vincolato alla struttura nella quale esso si inscrive e si manifesta. La tradizione stessa sorge, si sviluppa, e diviene una condizione essenziale del prodursi delle relazioni al di là delle singole volontà individuali solo ove ciò è possibile; vale a dire, dove l’incrocio dei rapporti di dominio si dà in modo da permettere alle parti di esprimere in qualche modo una propria autonoma posizione. Il «potere consacrante» della tradizione agisce pertanto come rafforzativo del legame sociale nel rapporto patrimoniale tra signore e contadini (in termini economici, nella grande economia dell’oikos), ove l’interesse del signore per la prestazione dei contadini lo spinge a rimanere vincolato a usanze e tipi d’azione radicati. Ciò dà vita ad una serie di relazioni reciproche, conforme alla «natura delle cose», la cui sedimentazione assume la forma dell’uso, e, a lungo andare, della tradizione. È in suo nome che i contadini potranno eventualmente ribellarsi al signore, nel caso egli imponga delle richieste esorbitanti rispetto a «ciò che è nell’uso». In maniera simile, è un codice «di diritti e di doveri reciproci» a vincolare il feudatario al suo vassallo. Qui il legame tradizionale è in grado di dar vita ad un rapporto gerarchico, compatibile con la reciproca libertà. A garantire la continuità del rapporto è anche in questo caso il riferimento ad una tradizione da sempre esistente (in alcuni casi, la continuità del legame può essere creata 142 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ ad hoc, vale a dire inventata). Ciò è possibile tuttavia in un contesto in cui entrambi i contraenti (nel senso del contratto di status) conducano una vita da signore. Si potrebbero fare molti altri esempi. Significativamente, all’interno delle forme di dominio tradizionale, l’unico luogo in cui la tradizione non svolge alcun ruolo è il dominio di tipo sultanistico, in cui l’arbitrio del signore può essere esercitato senza alcun vincolo. E affinché ciò sia possibile, deve mancare pertanto qualsiasi mediazione, quindi qualsiasi possibilità materiale di resistenza da parte dei sottoposti. L’intreccio, già rilevato in precedenza, tra le forme strutturali delle relazioni sociali e la loro stereotipizzazione all’interno di una tradizione ci consente di chiarire ulteriormente alcuni elementi caratteristici del concetto di Tradition, subliminalmente presenti in tutte le sezioni prese in esame. La tradizione – lo si è ripetuto più volte – non può sussistere senza la presenza di una serie di mediazioni strutturata in modo tale da permettere una reciprocità dei rapporti. Ciò significa che il riferimento ad essa, lungi dal rappresentare una sorta di fondamento trascendentale, è vincolato, nella sua sussistenza, alla presenza di tali mediazioni, pur esorbitando irrimediabilmente rispetto ad esse. Nell’utilizzo che ne fa Weber, la tradizione emerge da – e al contempo circoscrive – un modo specifico del darsi delle forme del dare e dell’avere, quindi dello scambio (qui inteso nel senso più ampio possibile) tra gli uomini, e delle forme di relazione sociale che tale scambio produce. Il termine tradizione è quindi inseribile all’interno dello spettro semantico al quale appartengono il gruppo dei verbi del dare e del prendere. Anche etimologicamente, il tedesco tradieren appartiene infatti a quest’ambito, e indica quindi la trasmissione di qualcosa, sia esso un oggetto o una persona115. Tradere, nel senso di trasmettere quindi, ma soprattutto del tradere res. La sua forma specifica va colta, ancora una volta, nella sua opposizione alla singolarità qualita115 Cfr. voce Tradition, in Geschichtliche Grundbegriffe. Historisches Lexikon zur politisch-sozialen Sprache in Deutschland, vol. VI. 2. IL CONTESTO TRADIZIONALE E LA SUA DISSOLUZIONE 143 tiva delle moderne relazioni sociali. Inevitabile quindi, in questo caso, il riferimento, per viam negationis, al luogo principale dello scambio in Età Moderna: allo scambio dei beni anzitutto, quindi alla comunità di mercato; allo scambio dei capitali, quindi alla borsa116. In opposizione alle forme moderne del tradere res, in cui la cosa (anzitutto la merce) acquista una propria autonomia nei confronti delle persone (i possessori di merci) diventando il vero medium esclusivo della relazione, Weber introduce una modalità differente di trasmissione, che dà vita a rapporti più sfumati e, per così dire, di endosmosi ed esosmosi tra uomini e cose, i quali producono gerarchie sotto forma di status. Weber rifugge, anzi scavalca letteralmente, le semplificazioni eccessive sedimentatesi nella polemica tra primitivisti e modernisti che cominciò appunto tra alcuni suoi contemporanei, e che sarebbe stata poi destinata a proseguire. Non solo vi furono sempre delle forme di scambio sul mercato, ma vi furono anche delle forme di capitalismo, ma il tutto all’interno di una differente logica della relazione sociale. La lotta pacifica per lo scambio di beni, o meglio di prestazioni di utilità (Nutzleistungen), è un baricentro essenziale, nel moderno, del prodursi di relazioni sociali. Essa prevede, e al contempo contribuisce a costituire, un certo assetto politico, che permetta anzitutto che la lotta sia pacifica, e soprattutto veicola una certa forma di relazione sociale. Questa logica non è presente all’interno del contesto tradizionale. Ancora una volta, però, Weber non ci dice nulla, perlomeno esplicitamente, attorno a quale punto di imputazione ruotino le relazioni che si trovano al di fuori della singolarità qualitativa del moderno. Che cosa consente una relazione sociale fondata su contratti di status, su forme di affratellamento, su privilegi, codici di onore ecc.? In altre parole, ci si chiede che cosa permetta il darsi di relazioni sociali all’interno di un kosmos, in termini weberiani, non disincantato. Una risposta tra le righe si è provato a fornirla. La risposta di Weber è che lo 116 È utile qui far notare, in vista di considerazioni che verranno svolte successivamente, come ci si trovi di fronte ad una doppia forma di scambio dei beni (lo scambio dei prodotti, e della loro forma sublimata, vale a dire dei capitali), mentre non è presente lo scambio di persone. 144 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ stesso darsi di una tradizione, e quindi delle forme di relazione sociale ad essa conseguenti, sia il risultato di una certa struttura sociale. È su questo punto che l’eredità weberiana della scuola storica di economia e la fondamentale lettura dei testi marxiani si incrociano e trovano un loro punto di fusione. Definendo una delle forme di dominio – certamente quella più estesa in termini sia spaziali che temporali – come dominio tradizionale, egli ci ha fornito un indicatore essenziale, che tuttavia non ha ulteriormente sviluppato. Se ci si chiede che cosa consenta il darsi di quella peculiare struttura che permette le relazioni di tipo tradizionale, il primo elemento da nominare è quello – detto per ora con il termine più generico possibile – della terra. Non è un caso che Weber nomini, come Herrschaftsgebilde tipicamente legato alla tradizione, proprio la signoria fondiaria, la Grundherrschaft, vale a dire la forma di Herrschaft primariamente legata al Grund, al terreno117. È la terra il vero baricentro che permette il prodursi delle relazioni sociali all’interno delle strutture di dominio tradizionale. Essa è il vero fulcro della trasmissione, del tradere, e sulla base dei tipi di trasmissione prendono nome e forma anche le differenti categorizzazioni weberiane. Il feudo è appunto la forma tipica di concessione di terra in cambio di una serie di privilegi; esso è ereditario, e la sua ereditarietà crea dinamiche di trasmissione che coinvolgono il feudatario, il beneficiario del feudo e l’erede stesso. Il beneficio si fonda sempre su una concessione di terra, la quale tuttavia, non essendo ereditaria (perlomeno in linea di principio), non consente alcuna forma del tradere che attraversi le generazioni. 117 Sulla signoria fondiaria, cfr. le interessanti considerazioni di L. Capogrossi Colognesi sulla peculiare concezione weberiana relativa alle origini della Grundherrschaft, e sull’influenza esercitata a questo proposito dalla lettura di Villainage in England di Paul Vinogradov, testo sul quale Weber scrisse nel 1894 una recensione. Cfr. L. Capogrossi Colognesi, Max Weber e le economie del mondo antico, RomaBari, Laterza, 2000, pp. 117 ss.; M. Weber, Vinogradov, Villainage in England. Essays in English medieval history, «Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte», Germanistische Abteilung, 15, 1894. 2. IL CONTESTO TRADIZIONALE E LA SUA DISSOLUZIONE 145 Che essa assuma la forma della Grundherrschaft, del feudo, del beneficio, dell’allodio, della marca, del precarium ecc., la terra scandisce quindi le modalità e i tempi del tradere, il quale ha a sua volta le sue forme, irriducibili allo scambio e alla contrattazione moderni. Il trasferimento non assume i modi di uno scambio tra contraenti, dove l’autonomia della volontà implica necessariamente l’autonomia di ciò che viene scambiato. Nelle forme del tradere sono coinvolti gli attori stessi, in un complesso intreccio nel quale la trasmissione coinvolge, nella forma del dare e dell’avere, anche l’essere stesso degli uomini: essa fonda, nell’atto del suo prodursi, lo stesso status degli agenti. La trasmissione è quindi un contratto di status, e la specificità della relazione che essa produce non è un contratto vero e proprio, ma un atto di affratellamento: nell’atto dello scambio, i due agenti quindi si riconoscono al contempo come Genosse, come consociati. Dal punto di vista concettuale, Weber si trova a constatare la difficoltà di utilizzare concetti che nel mondo a lui contemporaneo hanno assunto una rilevanza di prim’ordine (in questo caso, il contratto) all’interno di contesti in cui tale rilevanza non sussisteva, in quanto le relazioni si producevano sotto diverse forme, e su basi differenti. Egli li utilizza ugualmente, ma è costretto a modificarne la formulazione (ecco che il contratto diventa contratto di status), o a dare una peculiare torsione interpretativa all’utilizzo del concetto118. Nulle seigneur sans terre. Così si potrebbe riassumere il tutto, rovesciando il celebre detto citato dallo stesso Weber119. Chi è senza terra, non può essere libero, e le forme della libertà si determinano sulla base delle modalità della sua trasmissione. Il signore 118 Cfr. per esempio quanto Weber afferma nella Sociologia del diritto, in riferimento all’istituto del contratto, essenziale nei moderni scambi economici, mentre nel passato la sua importanza era limitata ad un campo in cui oggi esso conta poco o nulla, ossia al campo del diritto patrimoniale. Cfr. MWG I/22-3, pp. 315-316 (WuG, II, p. 401 - ES, III, pp. 23-24). Cfr. su ciò C. Colliot-Thélène, Solidarité et contrat dans la sociologie du droit de Max Weber, in Id., Études wébériennes. Rationalités, histoires, droits, Paris, PUF, 2001, pp. 241-257. 119 MWG I/22-4 p. 401 (Dominio, p. 382). 146 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ patrimoniale governa quindi sui contadini: la terra appartiene al signore, il quale però la trasmette in concessione ai contadini, i quali, coltivandola, la possiedono, in un senso differente dal possesso del signore. Tale forma di relazione produce una reciprocità: il signore non può fare a meno dei contadini per poter sostenere la propria condotta di vita; allo stesso modo, i contadini fanno affidamento sulla garanzia di protezione e di utilizzo della terra offerta dal signore. Tale reciprocità, confermata nell’uso, produce a lungo andare un costume, il quale, assumendo le forme di una serie di regole vincolanti per ambo le parti, può essere definito una tradizione. La constatazione che il signore, per quanto onnipotente nei confronti del singolo, è comunque impotente nei confronti di tutti, va compresa all’interno di questo contesto. Ciò è possibile solo in quanto esistono degli interessi comuni, sedimentati dall’uso e dal costume, e la loro consacrazione all’interno di una tradizione produce qualcosa di differente rispetto ad una situazione di interessi: scandisce le modalità del tradere, ed anche i tempi. La tradizione ha infatti anche una specifica forma di temporalità, che definisce il darsi delle relazioni in vista di ciò che è da sempre, anziché in vista dell’immediato futuro, della decisione a venire di una volontà che pone qui ed ora il proprio volere. Fermando qui il ragionamento, si potrebbe ancora una volta pensare al concetto di tradizione come ad una sorta di trascendentale, a partire dal quale le relazioni si producono, in quanto in esso da sempre inserite. Una tale concezione sarebbe certo ben poco attagliata ad un Weber critico di tutte le forme di degenerazione delle brillanti speculazioni hegeliane, a partire dal Volksgeist della scuola storica di economia fino alla sociologia organica di Schäffle. Più conseguente, all’interno della logica complessiva del ragionamento weberiano, è considerare la tradizione come una specifica forma di temporalità di una certa forma di struttura sociale. A garantire la sussistenza di un ordinamento rivolto primariamente non a scopi futuri, ma a ciò che è da sempre, a ciò che esiste da antica data, è la specifica forma del tradere, legata ai ritmi della «realtà sostanziale» della terra, ove la velocità di transazione non è variabile dipendente dell’accresci- 2. IL CONTESTO TRADIZIONALE E LA SUA DISSOLUZIONE 147 mento della ricchezza. Lungi dal rappresentare il trascendentale del darsi delle relazioni, la tradizione stessa è pertanto, in ultima analisi, determinata nella sua sussistenza dalla forma specifica della costituzione che ne permette l’estrinsecazione. 5. La città Il contesto tradizionale comincia ad entrare in crisi all’interno di alcune città. Non, in generale, all’interno del contesto cittadino, ma di un preciso contesto, quello tardo-medievale, e in particolare nelle città italiane120. La crisi del tradizionale è legata quindi al sorgere di questa nuova forma di aggregazione sociale, e l’elemento «rivoluzionario» della città121, che coinvolge tra l’altro solo alcune formazioni cittadine, può essere concepito e giustificato solo rispetto alle forme feudali e, più in generale, tradizionali, di aggregazione122. A questo mutamento, Weber associa una rilevanza causale enorme: la città medievale andrebbe annoverata quale «fattore massimamente decisivo»123 120 Weber affronta il tema della città principalmente nella dissertazione di dottorato e nell’ampio frammento oggi intitolato Die Stadt, scritto probabilmente attorno agli anni 1911-1914: causa l’incompletezza del lavoro, esso non ricevette mai l’assenso dell’autore alla pubblicazione, e apparve in un’edizione postuma nell’Archiv für Sozialwissenschaft und Sozialpolitik nel 1921. Il testo è stato inserito da Marianne Weber e Melchior Palyi come settima sezione della Sociologia del dominio: una scelta ragionevole, che evidenzia come l’assetto cittadino produca nuove forme di aggregazione proprio a partire dalla riorganizzazione e, in parte, dalla dissoluzione, delle forme tradizionali. Nel presente paragrafo, faremo riferimento soprattutto al frammento del 1911-1914. Oltre all’Einleitung di W. Nippel al volume MWG I/22-5, cfr. W. Nippel, Webers „Stadt“. Entstehung - Struktur der Argumentation - Rezeption, in H. Bruhns, W. Nippel (a cura di), Max Weber und die Stadt im Kulturvergleich, Göttingen, Vandenhoeck und Ruprecht, 2000, pp. 11-38. 121 Cfr. MWG I/22-5, p. 105 e p. 200 (La città, p. 45 e pp. 134-35). 122 Concordo su questo aspetto con le argomentazioni espresse da Antonio Scaglia nella sua monografia dedicata alla città, il quale evidenzia la preminenza dell’elemento storico rispetto alla necessità di categorizzazione sociologica, pur presente nelle prime pagine del testo. Cfr. A. Scaglia, Max Weber e la città democratica. Idealtipo del potere non legittimo, Roma, Carocci, 2007. 123 Cfr. MWG I/22-5, p. 233 (La città, p. 165). Nel passo relativo, Weber afferma precisamente che la città va considerata quale «fattore massimamente decisivo», 148 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ della genesi del capitalismo e dello Stato moderno. All’interno del presente percorso, la città funge pertanto da viatico del passaggio dalle forme tradizionali di aggregazione a quella specificamente moderna, che, come vedremo, ruota attorno a due uniche forme comunitarie costituite appunto dallo Stato e dal mercato. Si tratta ora di cercare di evidenziare gli elementi essenziali che consentono tale trasformazione. Nel determinare la specificità della città medievale la presenza delle mura assume una certa rilevanza solo come elemento collaterale. Non è infatti la cinta muraria a distinguere la città antica da quella medievale, quanto il differente significato che le mura vengono ad assumere. Nella città medievale le mura separano due mondi che progressivamente si differenziano sempre più, fino a non riconoscersi: da un lato i burgenses, coloro che stanno appunto entro le mura, dall’altra i rurales. Questa separazione è ignota all’antichità, ove si è sempre determinata una qualche continuità tra abitanti della città e proprietari dei fondi fuori città. Se è indubitabile che in Weber si trovino considerazioni che vanno in questa direzione, neppure questa argomentazione va assunta quale elemento decisivo della specificità della città medievale: altrimenti non si spiegherebbe per quale motivo Weber si affretti a precisare come questa separazione si produca in realtà solo occasionalmente, e comunque nelle forme più ibride124. Per comprendere quale sia l’elemento discriminante nel determinare la rilevanza della città medievale è necessario focalizzare l’attenzione ancora una volta su uno degli elementi decisivi delle forme tradizionali di relazione: la terra. Separando la città dalla campagna, la città medievale separa anzitutto l’uomo dalla terra. Questa separazione, che nel contesto delle città antiche non ma non certo quale «unico determinante stadio preliminare» della genesi di Stato e capitalismo. Come già osservato nel primo capitolo, possiamo notare ancora quanto l’argomentazione weberiana fosse estranea a qualsiasi teoria degli stadi. Per una lettura significativa del ruolo della città quale vettore di dissoluzione del patriarcalismo e del feudalesimo e motore dello sviluppo di capitale e mercato, cfr. Ferraresi, Il fantasma della comunità, cit., in particolare pp. 177 ss. 124 Cfr. per esempio MWG I/22-5, pp. 73-75 (La città, pp. 18-19). 2. IL CONTESTO TRADIZIONALE E LA SUA DISSOLUZIONE 149 poteva produrre peculiari esiti, determina nelle nascenti città medievali un effetto di una potenza devastante; il contesto cittadino, con la crescente rilevanza dell’attività artigianale e manifatturiera, crea infatti la possibilità di vivere e sopravvivere, in modo continuativo, lontano dalla terra125. La separazione dell’uomo dalla terra produce nuova comunicazione tra i due luoghi investiti dalla separazione stessa, vale a dire una comunicazione tra la città, «veicolo di attività manifatturiere e di commercio»126, e la campagna, «fornitrice di generi alimentari»127. Contemporaneamente, da ciò si produce una differenziazione forse ancor più rilevante tra lo stesso uomo e la terra, la quale avrà nel contesto cittadino una serie di ricadute, anche di carattere giuridico. L’ampio frammento weberiano sulla città sarà qui analizzato a partire da questa differenziazione. La comunicazione tra città e campagna definisce un contesto che è stato definito di «economia cittadina»128. Recalcitrante, come sempre, di fronte alle etichette e alla fissazione di stadi, Weber si dichiara insoddisfatto di fronte a questa dicitura, in quanto «con questo concetto […] i criteri politico-economici sono pensati alla stregua di categorie economiche pure»129. Questa notazione weberiana è rilevante, in quanto indica chiaramente come l’insoddisfazione di Weber derivi dal fatto che, con l’espressione economia cittadina, si rischia di assegnare una qualità primariamente economica ad un processo che è contemporane125 Cfr. MWG I/22-5, p. 68 (La città, pp. 12-13): «Se oggi consideriamo, tutto sommato a ragione, il tipico “cittadino” come un individuo che non copre il suo fabbisogno di generi alimentari grazie a un proprio podere, allora per la maggioranza delle tipiche città (poleis) dell’antichità vale in origine esattamente il contrario. Vedremo infatti che l’antico cittadino di pieno diritto, in opposizione al medievale, inizialmente era addirittura caratterizzato come segue: egli si diceva proprietario di un kleros, di un fundus (in Israele di un chelek), di un intero podere che lo nutriva. Nell’antichità il cittadino a tutti gli effetti è un “cittadino agricoltore”». 126 MWG I/22-5, p. 69 (La città, p. 13). 127 Ibid. 128 Come chiarisce MWG I/22-5, p. 69 nota 22 (La città, p. 14, nota 22), Weber fa riferimento alle teorie degli stadi economici, sviluppate da diversi studiosi nel corso degli anni ottanta dell’Ottocento, tra cui si ricordano Schmoller, Schönberg, Bücher. 129 MWG I/22-5, p. 70 (La città, p. 14). MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ 150 amente economico e politico. Il prodursi di una differenziazione e, conseguentemente, di una comunicazione tra città e campagna ha come esito una ristrutturazione complessiva dei rapporti degli uomini tra loro e tra gli uomini e il territorio in cui vivono. L’elemento determinante per comprendere questa ridefinizione dei rapporti è, come accennato, il riferimento alla terra. La separazione, lenta e graduale, ma al contempo inesorabile, dell’uomo dalle comunità che lo studioso tedesco annovera come tradizionali (la marca, la comunità di villaggio, in parte l’Haushalt) produce un progressivo decadimento dell’importanza strutturale della terra come fattore decisivo delle forme di aggregazione. Lo slittamento viene segnalato da Weber a partire dalla questione del «diritto fondiario»; dalla differente modalità di regolazione dei rapporti di proprietà fondiaria deriva infatti sia l’elemento decisivo che distingue la città dal villaggio130, sia uno dei fattori che determina la specificità della città medievale occidentale rispetto a tutte le altre forme di città131. Proprio quella terra che, nelle relazioni tradizionali di dominio, determinava nei modi più disparati le forme aggregative, chiaramente coinvolgendo anche la dimensione giuridica del rapporto132, diviene ora, nel contesto cittadino, «elemento accessorio», a favore dell’emergere in primo piano dell’importanza del «possesso fondiario cittadino, cioè la proprietà edilizia»133. Proprio il riferimento alla proprietà edilizia ci permette un ulteriore affondo. La separazione finora accennata è in realtà, più propriamente, una differenziazione, cioè una frattura che, partendo da fattori omogenei, ridisloca le relazioni su nuove basi. In parte, la terra rimane un veicolo importante della fondazione di molte città, e non a caso Weber ascrive una tipologia specifica a quelle città che nascono da una signoria fondiaria. Tuttavia, quale che sia l’elemento predominante nel processo fondativo del 130 Cfr. MWG I/22-5, p. 73 (La città, p. 17). Cfr. MWG I/22-5, p. 105 (La città, p. 45). 132 Rimandiamo su questa questione ai paragrafi precedenti, in particolare alle forme del dominio feudale. 133 MWG I/22-5, p. 73 (La città, p. 17). Corsivo mio. 131 2. IL CONTESTO TRADIZIONALE E LA SUA DISSOLUZIONE 151 complesso cittadino, a partire da esso prende forma una dinamica peculiare, nuova, e delle possibilità di aggregazione finora inesplorate. La proprietà edilizia è anzitutto un possesso terriero, ma nel quale l’elemento della terra è divenuto «accessorio». Ciò significa anzitutto che la terra è base di qualcosa che si serve di essa non più come luogo di sostentamento, ma semplicemente quale fondamento di qualcos’altro: un negotium, un’abitazione, un edificio. Si sta sulla terra, naturalmente, ma non si vive della terra. Il riferimento implica al contempo anche qualcosa di ulteriore: se la terra è elemento accessorio, esso diviene anche non fondamentale; la terra non è più luogo stabile di un complesso di azioni e interazioni che sono intimamente ad essa legate, ma diviene un elemento certo necessario, ma tangenziale: essa diviene pertanto «liberamente alienabile», proprio in quanto non è più determinante nel definire, nel dare forma alle relazioni sociali che in essa hanno pur sempre luogo. Un signore patrimoniale non avrebbe potuto essere tale senza la terra; lo stesso vale per un vassallo, come per numerosissime altre figure di quel complesso di rapporti su cui ci si è lungamente soffermati in precedenza. Si profila ora la possibilità che una figura sociale possa continuare ad essere tale anche senza un costitutivo riferimento alla terra134. Una cosa diventa alienabile, quindi scambiabile, se posso farne a meno pur rimanendo ciò che sono. Il commercium prende 134 È questo il punto in cui la lettura di Brunner e quella di Weber divergono maggiormente. Entrambi condividono l’idea di fondo che la città antica differisca da quella medievale in quanto la prima non presenta la distinzione tra città e campagna che è invece caratteristica della seconda. Tuttavia, Brunner legge il fenomeno cittadino come «una delle forme particolari» del mondo del feudalesimo europeo, e, coerentemente con questa lettura, vede nella proprietà cittadina della terra la possibilità di instaurazione uno strato cittadino simile «per stile di vita ed ethos» a quello della nobiltà. Weber insiste maggiormente sul carattere di novità determinato dall’associazione cittadina e, conseguentemente, vede nella proprietà edilizia delle città l’emergere di un scarto nel modo di concepire la terra. Su questo punto, l’affermare che Weber presupponga una separazione tra borghese e feudale, e che questa distinzione concettuale vada ad inficiare l’intera analisi del fenomeno cittadino, non rende ragione fino in fondo della complessità dell’analisi weberiana sulla città. Cfr. O. Brunner, Città e borghesia nella storia europea, in Id., Per una nuova storia costituzionale e sociale, cit., pp. 117-132, in particolare pp. 130-131. 152 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ forma nella città a partire dal diritto fondiario, scalzandone le basi e ridislocandole su nuove fondamenta. Un incisivo esempio nel testo weberiano è presente, per viam negationis, nella figura dell’indigente: se l’indigente della città antica è prevalentemente colui che è privo di possesso fondiario, quindi è manchevole nel senso che gli manca la terra135, l’indigente medievale è l’artigiano in miseria, il «disoccupato artigianale» cioè colui a cui mancano le cose (anzitutto: gli attrezzi da lavoro e le armi per difendersi)136. Strettamente collegati a queste considerazioni sono due ulteriori sviluppi, entrambi molto rilevanti per capire l’importanza decisiva della città nel passaggio dal tradizionale alle forme moderne di associazione. Questi due aspetti sono in realtà strettamente congiunti, e li si separa qui solo per motivi di esposizione. In primo luogo, proprio l’esempio dell’indigente ci rivela un passaggio che tocca in modo incisivo il rapporto tra uomo e cosa, sia dal punto di vista economico (del sostentamento) sia sotto l’aspetto giuridico. L’alienabilità della proprietà edilizia è indice di un processo più complessivo che, a partire dalla terra, si espande fino a comprendere più in generale le cose. La cosa non va qui intesa come merce (Ware), ma piuttosto come Ding, cosa nel senso di oggetto di produzione artigiana. Opera qui un richiamo agli scritti di Sombart, autore tra l’altro molto presente nel testo weberiano137: Ding è ciò che ha ancora entro sé un «pezzo d’anima»138, quella dell’artigiano che l’ha prodotta. Nella sua formazione iniziale, essa non è ancora concepibile come cosa intesa nella sua autonomia, apparentemente svincolata a tutti gli effetti dal suo produttore in misura tale da acquisire, oltre ad un valore di scambio, quel carattere feticistico a partire dal quale Marx farà dipartire il pezzo più rilevante e famoso della sua economia politica; una cosa, per dirla con Marx, che ha quell’autonomia che la farebbe trasferire da sola al mercato, se solo ne 135 Ed è conseguentemente «declassato politicamente»; sul versante politico della questione ci si sofferma poco più avanti. 136 MWG I/22-5, p. 257 (La città, p. 189). 137 Cfr. Petrillo, Max Weber e la sociologia della città, cit., pp. 86 ss. e pp. 197 ss. 138 Cfr. W. Sombart, Il capitalismo moderno, Torino, Utet, 1967, p. 142. 2. IL CONTESTO TRADIZIONALE E LA SUA DISSOLUZIONE 153 fosse capace139. Il prodotto artigianale è ancora una commistione, un qualcosa di alchemico, una mescolanza di uomo e cosa. Questa è tuttavia solo una fase iniziale del processo, che è ormai avviato verso una più compiuta separazione dell’oggetto dal suo produttore140. Si ritrova qui un’ulteriore tappa del processo di Verdinglichung già precedentemente descritto. Il termine è ripreso dalla storiografia, in particolare dai lavori di Otto von Gierke, per indicare l’insieme di processi che conducono al venir meno delle relazioni parentali come forma essenziale di aggregazione. L’importanza sempre maggiore delle cose come veicolo delle relazioni sociali porta infatti con sé il venir meno di quella complessa e stratificata commistione tra aggregazioni fondate sulla terra e rapporti parentali141. Da un lato, questo legame tra feudalità e formazioni cittadine mostra come in Weber il trapasso dall’una alle altre sia molto stratificato e complesso, anche nei casi di fratture illegittime o addirittura rivoluzionarie, come dimostrano ampiamente molti passi del testo. Ciò che è qui rilevante notare, tuttavia, è che nella città questa emersione della cosa nei termini qui descritti non ha come termine una stereotipizzazione delle relazioni142, come nel feudalesimo, ma piuttosto uno sviluppo vorticoso che porterà ad un esito singolare, solo occidentale, che ruota in particolare attorno ad un nuovo luogo di aggregazione 139 La trasformazione della cosa in merce, e gli effetti di tale ulteriore sublimazione, saranno indagati più dettagliatamente nel capitolo successivo, al quale si rimanda anche per l’approfondimento del reciproco processo di autonomizzazione di cosa e persona. 140 È possibile ricostruire una parte di questo processo nelle Handelsgesellschaften dello stesso Weber, seguendo la vicenda della trasformazione delle comunità domestiche in imprese. Cfr. MWG I/1, in particolare il terzo capitolo, pp. 190 ss. Un punto di riferimento fondamentale nella ricostruzione dell’argomentazione weberiana è il volume di Marra, Dalla comunità al diritto moderno cit., qui pp. 139 ss. 141 Anche in questo caso, chiarificatrici sono le pagine delle Handelsgesellschaften in cui si descrive la trasformazione, all’interno di alcune città italiane, dal legame di parentela come fonte di garanzia della transazione alla trasformazione dello stesso in una commissione di tipo commerciale. Cfr. MWG I/1, pp. 190 ss. 142 Sulla stereotipizzazione (Stereotypierung) delle relazioni di tipo feudale cfr. in particolare il paragrafo terzo del presente capitolo. 154 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ che proprio nelle città acquista via via sempre più importanza: il mercato143. Il legame tra città e mercato è fondamentale, ma va ben inteso. Anzitutto, non ogni mercato rende un luogo di insediamento una città144. Ciò significa che la semplice presenza del mercato non è condizione sufficiente per il sorgere di un contesto cittadino. Weber intende inoltre qualcosa di ulteriore; seguendo il testo, si nota che ciò che egli considera decisivo è non è tanto il mercato in quanto luogo, ma piuttosto ciò che nel mercato si produce, in particolare il tipo di relazioni sociali che prendono forma al suo interno. Decisivo, quindi, è in realtà lo scambio, più precisamente «lo scambio di prodotti regolare»145. Il riferimento alla regolarità è importante, in quanto solo la continuità della relazione all’interno di un contesto sociale che di fatto ne rende possibile e ne favorisce la reiterazione è viatico della produzione di un’abitudine e di un insieme di usanze. Tale regolarità è resa possibile in quei contesti associativi dove lo «scambio di prodotti» copre «gran parte del profitto e del fabbisogno degli abitanti»146. Il mercato è quindi luogo decisivo per lo sviluppo di un contesto cittadino ove la relazione di scambio diviene un momento rilevante, o meglio preponderante, per la sopravvivenza e la riproduzione delle relazioni sociali stesse (copertura del fabbisogno e profitto). Si potrà parlare pertanto di «città in senso economico solo dove la popolazione residente in loco soddisfa una parte economicamente fondamentale del proprio fabbisogno mediante lo scambio dei prodotti. In questo senso, ogni città è luogo di mercato»147. Va segnalata la priorità assegnata alle relazioni piuttosto che alle categorie: è lo scambio – assunto quale relazione sociale necessaria, espansa dal punto di vista quantitativo, reiterata e continuativa – ad essere 143 Una breve e incisiva ricostruzione di come Weber ha definito il termine mercato all’interno della sua opera si trova in Swedberg, Afterword: The Role of the Market in Max Weber’s work, cit. 144 Cfr. MWG I/22-5, p. 61 (La città, p. 5). 145 Ibid. 146 Ibid. 147 Ibid. 2. IL CONTESTO TRADIZIONALE E LA SUA DISSOLUZIONE 155 elemento decisivo per il darsi di un contesto cittadino. Un’attenzione particolare va data inoltre al riferimento alla preponderanza quasi statistica della relazione di scambio su altri tipi di relazione: è fondamentale che la maggior parte della popolazione soddisfi il proprio bisogno (in senso economico) prevalentemente mediante lo scambio. Questo riferimento quantitativo è fin d’ora importante per delineare la rilevanza del mercato quale luogo di coagulazione di relazioni: nel capitolo successivo si mostrerà come l’assolutizzazione della relazione di scambio, vale a dire il suo coinvolgere asintoticamente la totalità delle merci (cosa che accade per Weber in particolare mediante la democratizzazione dei prodotti di lusso) sia elemento decisivo per la formazione – che nel contesto statale diverrà fondamentale – della comunità di mercato. Su ciò si tornerà nel prossimo capitolo. Ci si rivolge ora al secondo aspetto fondamentale per lo sviluppo dell’entità cittadina, vale a dire all’importanza ancor più decisiva del carattere associativo della città. Ancora una volta, punto di partenza è il riferimento alla terra. È possibile rintracciare nella città d’occidente un elemento «essenziale e quasi mai assente»148, ovvero una distinzione all’interno di ciò che Weber chiama «diritto fondiario». A mutare è anzitutto la regolazione dei rapporti di proprietà fondiaria149: la proprietà edilizia rende la terra, o meglio il terreno, non più sostrato delle relazioni sociali, ma una mera «base di redditività». Il punto chiave è comprendere come ciò sia possibile, e che cosa comporti: proprio in questo passaggio, infatti, elementi politici ed economici si fondono gli uni negli altri, diventano distinguibili solo astrattamente. Qui Weber sviluppa delle argomentazioni coadiuvate da una serie di esempi specifici, avanzando ipotesi differenziate per le città d’oltralpe e quelle italiane, e nominando anche alcuni casi singolari. Nella seconda sezione, intitolata La città dell’Occidente, è possibile ricavare un passaggio che, per quanto sommariamente, funge da riassunto dell’intricata mole di materiale che egli cerca di prendere in consi148 149 MWG I/22-5, p. 101 (La città, p. 42). MWG I/22-5, p. 73 (La città, p. 17). 156 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ derazione150. L’aggregazione ha luogo per garantire la protezione comune, per la formazione di un tribunale unitario di composizione dei dissidi, per facilitare la creazione di spazi e tempi di pace ove si possa commerciare con maggiore tranquillità e sicurezza, ma soprattutto: per la monopolizzazione delle attività economiche, ad un certo punto si produce, anche qui in modo differenziato, una aggregazione di possessi fondiari151. Inizialmente si tratta di un’unione tra quelle aggregazioni che detenevano una certa potenza dal punto di vista economico, ma soprattutto da quello militare: fondamentale rimane sempre e comunque la possibilità di provvedere al proprio armamento. Nelle prime formazioni cittadine è rintracciabile ancora una divisione per ceti che non ha carattere propriamente cittadino: a dominare la scena sono figure non cittadine, come vassalli, castellani, signori territoriali. Compaiono al contempo però anche capitanei e cives meliores. Da qui si produce un processo invero molto sfaccettato e differenziato che dà luogo ad una nuova forma di aggregazione, la quale ha però inizialmente un carattere eteronomo ed eterocefalo, in quanto integrata ad altre forme del vivere associato, quali la signoria fondiaria, un feudo, l’oikos di un principe o di un vescovo; si ipotizza anche la presenza di un imprenditore che ha avuto la concessione di creare un mercato in un dato luogo, da cui si sviluppa un nucleo associativo stabile. Talvolta, specialmente nelle città italiane, hanno luogo delle aggregazioni differenti e peculiari, naturalmente sempre guidate da gruppi dotati di una certa potenza economica e soprattutto militare, ma che assumono un carattere innovativo rispetto ai poteri preesistenti: delle vere e proprie «violazioni del diritto signorile»152, delle conjurationes, che fondano un qualcosa di nuovo, e che, non senza ragione, sono definite da Weber «rivoluzionarie»153. 150 Il passo a cui si fa riferimento si trova in MWG I/22-5, p. 129 (La città, pp. 66-67). 151 Cfr. MWG I/22-5, p. 129 (La città, p. 66). 152 Cfr. MWG I/22-5, p. 105 (La città, p. 45). 153 Cfr. Ibid. 2. IL CONTESTO TRADIZIONALE E LA SUA DISSOLUZIONE 157 Non è qui possibile indagare nel dettaglio la specificità di questi affratellamenti. Quale che sia la modalità specifica in cui essi prendono forma, va rilevato comunque che l’aggregazione che essi producono diventa, o diventerà progressivamente, determinante nel configurare un nuovo tipo di diritto, un diritto propriamente cittadino e tipico esclusivamente della città occidentale. Fondamentale è rilevare come la nuova appartenenza cittadina muti di fatto la struttura stessa della relazione sociale, a partire dal modo stesso di concepire il territorio154. Il vivere in un territorio unificato, aggregato, rende infatti chi lo abita indipendente da un’identità legata ad un possesso terriero. L’aria della città svincola il singolo dalle forme di appartenenza tradizionali, legate alla terra, alla comunità di marca, al feudo, alla signoria ecc. In questo senso essa rende liberi. Come si è visto, ciò rende la terra alienabile, e favorisce una regolamentazione stabile dei rapporti di scambio. L’alienabilità della terra è legata alla nuova comunanza territoriale che si produce nella città, proprio in quanto essa rende possibile lo scioglimento dell’identità tra uomo e terra: accomunamento e sociazione si incrociano qui virtuosamente, si producono l’uno dall’altra. Weber rileva tra l’altro come sia questo carattere associativo a definire primariamente la città, la quale potrebbe a questo punto dirsi degna di questo nome anche se mancasse di un mercato. Il diritto di cittadinanza è ciò che distingue la città occidentale da qualsiasi altro tipo di formazione cittadina. Nelle città asiatiche, i membri delle gilde e delle 154 Sul carattere associativo della città e sul tema dell’affratellamento, cfr. K. Schreiner, Legitimität, Autonomie, Rationalisierung. Drei Kategorien Max Webers zur Analyse mittelalterlicher Stadtgesellschaften - wissenschaflicher Ballast oder unabgeholtene Herausforderung?, in Die okzidentale Stadt nach Max Weber, «Historische Zeitschrift», Bd. , 17, München, Oldenbourg, 1994, p. 161-211, qui p. 181; Id., Die mittelalterliche Stadt in Webers Analyse und die Deutung des okzidentalen Rationalismus. Typus, Legitimität, Kulturbedeutung, in Kocka, Max Weber, der Historiker, cit., pp. 119-150, qui p. 123; G. Dilcher, Max Webers „Stadt“ und die historische Stadtforschung der Mediävistik, in H. Bruhns, W. Nippel (a cura di), Max Weber und die Stadt im Kulturvergleich, Göttingen, Vandenhoeck und Ruprecht, 2000, pp. 119-143; Ferraresi, Il fantasma della comunità cit., pp. 160-161. MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ 158 corporazioni avevano sede in città, e alimentavano certamente il mercato, ma non erano accomunate da alcun diritto. Ciò produce un esito propriamente politico che va indagato con maggiore attenzione: non cambia quindi solo il rapporto dell’uomo con le cose, ma a cambiare è, in modo decisivo, anche la «posizione giuridica della persona»155. Nella città si ritrova una situazione particolare, e quanto mai interessante: uomini che condividono lo stesso territorio, sempre più svincolati dalla terra intesa come legame (tradizionale), sempre più associati dallo scambio di cose. Sulla terra si può mettere radici, fino ad identificarsi con essa; ciò non è possibile con le cose, o perlomeno non nella stessa modalità. Anzitutto, le cose sono in costante movimento; oggi sappiamo bene che quanto più rapidamente esse si muovono, tanto più producono profitto. Le cose inoltre possono dover essere trasportate lontano, fuori dalla città, e colui che le porta non reca immediatamente in sé l’impronta del proprietario; essa gli deve essere in qualche modo affibbiata, indipendentemente dal possesso di fatto. La sua non immediata identificazione con le cose fa sì che gli debba essere in qualche modo attribuita una qualità che lo renda degno di credito. Differentemente rispetto al legame tra uomo e terra, nel rapporto di scambio è insita fin dall’inizio una modalità differente di identificazione dell’uomo e della cosa; se la cosa non è destinata a rimanere nel luogo di produzione, come strumento di lavoro o per il mero consumo, è necessario inventare delle modalità che permettano all’uomo e alle cose di separarsi sempre di nuovo, rendendo regolare e usuale il processo di separazione, che di volta in volta va rinnovato. Per poter fondare la propria identità l’uno sull’altra, uomini e cose devono essere giuridicamente separati, pur mantenendo l’identità del loro rapporto. Come esempio, è possibile ricordare il percorso fatto da Weber fin dalla tesi di dottorato. Inizialmente sono le forme di appartenenza tradizionali a garantire lo scambio di oggetti al di fuori della città. Nella fase iniziale, è più propriamente l’Haushalt a rendere 155 MWG I/22-5, p. 101 (La città, p. 42). 2. IL CONTESTO TRADIZIONALE E LA SUA DISSOLUZIONE 159 possibile le prime forme di scambio tra la città di Firenze e le città d’oltralpe. Il commesso deputato allo scambio inizia il suo viaggio sotto il nome della famiglia, e ciò costituisce la garanzia di fiducia nel rapporto di scambio. Ben presto, basterà solo il nome. La famiglia diventerà elemento solamente nominale, come nominali saranno anche i legami di parentela: la famiglia sarà costituita da lavoratori, commercianti, commessi, sarà di fatto un’impresa156. A garantire questo trapasso sono le nuove forme di comunanza e di appartenenza che si creano nella città. Le identità degli uomini, i modi in cui essi reciprocamente si nominano, si riconoscono, mutano sensibilmente. Il richiamo, anche etimologico, alla terra e al sangue (Grund, Lehen, feudo, allodio) perde lentamente di importanza; il riferimento alle armi permane con forza, ma muta le sue forme: è considerato cittadino solo chi è in grado di armarsi, ma ogni cittadino, in caso di pericolo, è deputato a difendere la parte di città nella quale risiede, e prevalentemente si occupa d’altro. Emergono con forza nomi, appartenenze, raggruppamenti legati alla produzione e al commercio di cose: è il momento della massima espansione delle gilde, delle corporazioni, delle arti. Accanto a ciò, acquista rilevanza un’ulteriore identità, peculiarmente politica, legata all’organizzazione del territorio, della politica cittadina, della guerra. La figura del politico non è slegata dalle numerose forme di appartenenza che proliferano e danno forma al contesto cittadino: tuttavia è sufficiente l’identificazione come cittadino per poter partecipare al governo della città157. Questo processo non giunge mai al suo esito estremo: l’uguaglianza giuridica formale, cioè legata immediatamente al corpo individuale (la nascita) e al corpo territoriale (che si svilupperà compiutamente nella città solo molto tardi), non è di casa nella città medievale. Al 156 Come già ricordato nel precedente capitolo, la trasformazione della famiglia, in particolare delle grandi famiglie fiorentine, in un’impresa è un tema che Weber ha affrontato analiticamente, da una prospettiva storico-giuridica, all’interno della tesi di dottorato. 157 Sulla ricostruzione della genesi dello status giuridico del cittadino cfr. Petrillo, Max Weber e la sociologia della città, cit., pp. 208 ss. 160 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ contrario, quando il cittadino comincerà ad essere destituito dal suo «fardello di fattualità»158, anzitutto dal dovere di autoarmamento, comincerà anche il declino dell’autonomia cittadina. Tuttavia, pur nel permanere di un cosmo di identità differenti, si arriverà al punto in cui alla città si avrà accesso come persona, come singolo cittadino. Insistere ulteriormente su questo rapporto tra territorio comune e diritto di cittadinanza permette di evidenziare un ulteriore aspetto nel quale la città medievale raggiunge il culmine del suo sviluppo. Lo svincolamento del cittadino dall’unità immediata con la terra e la ridefinizione del suo rapporto con le cose ha come conseguenza una ridislocazione anche nei rapporti degli uomini tra loro, o meglio, dei rapporti tra uomini concepiti come cittadini. La cittadinanza si configura prevalentemente come un privilegio comune a tutti coloro che legittimamente la abitano. Il parallelo con il privilegio cetuale è non solo sensato, ma è lo stesso Weber a parlare di «comunanza di ceto»159, di un «diritto di ceto dei consociati della comunità giurata cittadina»160. Questo privilegio comune (in questo senso va inteso il diritto di cittadinanza) si colloca all’interno di una costellazione di potenze strutturata in modo incredibilmente vario: inizialmente, come detto, essa comprende anche elementi derivati dal contesto feudale, per poi assumere progressivamente configurazioni sempre più legate alla struttura economica e politica della città in quanto tale. Non si tratta di una comunanza meramente formale, ma di un intreccio di raggruppamenti di vario genere (corporazioni, gilde, confraternite ecc.), le cui sfaccettate forme di identità sono però attraversate trasversalmente da un’appartenenza comune: quella di cittadino, la quale a sua volta è definita da un minimum di potenza individuale rappresentato dalla capacità di autoarmamento. Questa appartenenza comune, tutt’altro che ugualitaria e formale161, 158 Si prende a prestito qui la bella espressione usata da P. Grossi in L’Ordine giuridico medievale, Roma-Bari, Laterza, 2006, p. 180. 159 MWG I/22-5, p. 106 (La città, p. 46). 160 MWG I/22-5, p. 132 (La città, p. 69). 161 In questo senso Dilcher ha parlato di un rapporto non tra uguali, ma tra pari. 2. IL CONTESTO TRADIZIONALE E LA SUA DISSOLUZIONE 161 affiancandosi e intrecciandosi a quelle forme di rappresentazione che cominciano a nascere all’interno delle varie specie di intrapresa di carattere commerciale, rende possibile il potenziamento delle relazioni sociali fondate primariamente sul riconoscimento reciproco tra uomini, intesi come cittadini. Sempre più, il privilegio del singolo cittadino diventa un «diritto del singolo nei rapporti con terzi»162, e ciò che valeva come garanzia della dignità di credito del commesso nello scambio commerciale, vale ora in termini più propriamente politici per il singolo cittadino nei confronti degli altri cittadini. In questo senso è pensabile l’emergere di una «concezione giuridico-personale», intesa come «la sottomissione a un diritto “oggettivo” comune in quanto diritto “soggettivo”, cioè una qualità cetuale degli interessati»163. Questa possibilità di realizzazione di un diritto soggettivo all’interno di un diritto oggettivo è stata propria anche di alcune città antiche. Tuttavia nelle città medievali essa si arricchisce di una specificità che Weber, richiamandosi a Konrad Beyerle, delinea come un’evoluzione di lunga durata dell’assemblea popolare (Ding) delle popolazioni germaniche164. Qui il cittadino, «in qualità di giudice in tribunale», può contribuire «alla produzione del diritto oggettivo spettante al cittadino»: un tipo di diritto che «mancava a chi sedeva in tribunale nella maggior parte delle città di tutto il mondo»165. Si forma qui una peculiarità decisiva della città medievale, la formazione di un’assemblea in grado di legiferare per i cittadini. Buona parte del ragionamento weberiano nel testo sulla città si dipana nel tentativo di delineare le lotte politiche per definire la modalità di formazione di questa assemblea. Anche in questo caso Weber enuclea un insieme variegato Cfr. G. Dilcher, Das genossenschaftliche Struktur von Gilden und Zünften, in B. Schwineköper (a cura di), Gilden und Zünfte. Kaufmännische und gewerbliche Genossenschaften im frühen und hohen Mittelalter, Sigmaringen, Thorbecke, 1985, pp. 71-111. 162 MWG I/22-5, p. 123 (La città, p. 61). 163 Ibid. 164 Ibid. Weber fa riferimento qui a K. Beyerle, Die Entstehung der Stadtgemeinde Köln, «Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte», Germanistische Abteilung, 31, pp. 1-67. 165 MWG I/22-5, p. 123 (La città, p. 62). MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ 162 di possibilità, contenute solo sommariamente all’interno della distinzione tipologica tra città dei patrizi e città dei plebei. In Italia, spesso l’assemblea veniva chiamata parlamentum, ed era considerata organo supremo della città. Questo non accadde però a Venezia, classico esempio di uno sviluppo patrizio, ove l’evoluzione della città assume il carattere di una commistione tra nuove istanze cittadine e la permanenza di elementi nobiliari di matrice feudale, che sfociano nella formazione del Maggior e Minor Consiglio. Altre volte essa si fonda su un’aggregazione di associazioni professionali (arti o paratici) che assume il nome di societas, mercandanza, communanza, o semplicemente popolo166. Non è possibile qui seguire nel dettaglio tutti i possibili esiti della formazione politica cittadina. Ciò che è importante rilevare è che nella città prende forma una specifica «duratura associazione politica, i cui membri erano consociati giuridici di un particolare diritto cetuale, destinato ai cittadini»167. Un diritto, prosegue Weber, che significa formalmente «la cancellazione dell’antico principio della personalità del diritto, e materialmente lo scioglimento delle associazioni feudali e del patrimonialismo di ceto»168. L’universitas civium, da accomunamento eteronomo ed eterocefalo, integrato in altre aggregazioni, diviene così «una associazione autocefala ed autonoma, un “corpo territoriale” attivo»169. Lungi dal prevedere forme di partecipazione ugualitarie in senso formale, essa si configura piuttosto come una variegata costellazione di potenze, che convivono assieme in una complessa stratificazione di rapporti, ma che, nel loro complesso, si considerano come afferenti all’unico diritto cittadino. La partecipazione e l’accesso alla città da parte del singolo diviene sì possibile, ma pur sempre all’interno di una stretta rete di relazioni che ne determinano la precisa identità. Tra di esse, Weber ascrive un’importanza 166 MWG I/22-5, p. 201 (La città, p. 135). MWG I/22-5, p. 131 (La città, p. 69). 168 MWG I/22-5, pp. 131-132 (La città, p. 69). 169 MWG I/22-5, p. 123 (La città, p. 61). «Corpo territoriale» traduce il termine tedesco Gebietskörperschaft, mentre il termine «associazione» rende in questo caso il tedesco Vergesellschaftung. 167 2. IL CONTESTO TRADIZIONALE E LA SUA DISSOLUZIONE 163 sempre fondamentale alla capacità di autoarmanento, il minimum di potenza necessaria per poter aver accesso al contesto cittadino, e rileva l’importanza sempre maggiore della possibilità d’accesso alla sfera dello scambio. Prendono qui forma, senza però in alcun modo costituire dei moventi causali esclusivi, le strutture che poi saranno caratteristiche della moderna endiadi di Stato e mercato. Anche la città è infatti costituita in ultima analisi da un «plastico dualismo»170: «da una parte la piazza d’armi e il luogo d’adunanza dell’esercito e quindi delle assemblee dei cittadini, e dall’altra il mercato economico pacificato della città»171. Anche in questo caso, è rilevante il parallelo – dato quasi per scontato – che Weber propone tra l’elemento della potenza militare e l’elemento propriamente politico, tra l’uomo capace di armarsi e il cittadino in grado di esprimere la propria decisione in assemblea. Difficile non cadere nella suggestione di accostare il plastico dualismo della piazza cittadina con il binomio Stato («monopolio della violenza legittima») e mercato (luogo pacificato della «comunità di mercato»). L’accostamento non è insensato: nel definire la nascita della città come un «fattore massimamente decisivo» della nascita dello Stato moderno e del moderno capitalismo, Weber certamente faceva riferimento anche a questa sua particolare costituzione duale. Tuttavia la città rimane, all’interno dell’indagine weberiana sulle forme strutturali della Herrschaft, un’aggregazione singolare, degna di essere studiata nella sua peculiarità. Nella città si delinea infatti una commistione senza precedenti tra elementi politico-militari ed economia di scambio che sarebbe riduttivo pensare solo in termini di anticipazione della potenza statale. Dal punto di vista storico – sempre seguendo l’argomentazione weberiana – lo Stato moderno nascerà piuttosto da uno scontro con le città, da una lotta tra il principe dello Stato burocratico-patrimoniale e la persistenza delle autonomie cittadine. Nel lento corrodersi della potenza cittadina a causa dell’emergere dello Stato, decisivi saranno infatti proprio quegli interventi volti 170 171 MWG I/22-5, p. 80 (La città, p. 23). Ibid. 164 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ ad intaccarne la forza economica e, soprattutto, militare: da un lato l’inserimento di funzionari del principe accanto a quelli cittadini, e la regolamentazione dell’economia su basi extra-cittadine e patrimoniali; dall’altro, e in modo decisivo, il «disarmo pacificato» dei cittadini da parte del principe. Anche in questo caso, la burocratizzazione della città coincide con l’erosione degli elementi che ne garantivano la specifica potenza, e l’appropriazione della stessa da parte delle nuove sfere di potenza rappresentate dallo Stato e da un mercato di cui la città rappresenta sempre più solo un nodo funzionale. 6. Herrschaft, Macht, Gewalt Quest’ultimo paragrafo è dedicato ad alcuni chiarimenti concernenti il plesso semantico ruotante attorno ai termini Macht, Herrschaft e Gewalt172, a cui si affiancano alcune conclusioni dell’argomentazione finora svolta, specificamente incentrate attorno alla questione della Herrschaft. La Macht, di cui la Herrschaft rappresenta solo un caso particolare, designa la «possibilità di imporre la propria volontà al comportamento altrui»173. Macht è quindi un concetto molto ampio, che fa riferimento ad una serie indeterminata di situazioni nelle quali l’intreccio tra volontà, gruppi, ambiti, sfere produce un rapporto, uno scontro, un equilibrio, una costellazione. Il suo ambito di significazione risulta adeguato all’utilizzo in situazioni in cui lo scontro non è definibile, è in movimento, oppure il cui ambito di influenza non è circoscrivibile a priori. Si possono ritro- 172 Indicazioni molto utili sul plesso Herrschaft/Macht/Gewalt, con alcuni suggerimenti in merito alla traduzione italiana dei termini, si possono trovare in Fusco, Storia costituzionale romana, storia concettuale e sociologia storica: le categorie del ‘potere’ nel pensiero di Max Weber, cit. 173 MWG I/22-4, p. 128 (Dominio, p. 17). La definizione è sostanzialmente coerente con quella esplicitata in MWG I/22-1, p. 252 (Comunità, p. 255), dove per Macht (che Palma traduce qui con «potere») si intende «la possibilità di uno o più uomini di affermare la propria volontà in un agire comunitario anche contro la resistenza di altri partecipanti». 2. IL CONTESTO TRADIZIONALE E LA SUA DISSOLUZIONE 165 vare espressioni come «ambito», «dinamica», «costellazione», «situazione» di Macht174, e inoltre una serie di attributi che ne designa il grado, l’intensità, la modalità (aumento, ampliamento, mantenimento, spiegamento, espansione di Macht)175. La lotta concorrenziale delle imprese sul mercato è certamente esemplificativa, e si tratta senza dubbio di una sfera privilegiata dallo stesso Weber. È bene tuttavia ricordare che la sfera della Macht non pertiene, neppur primariamente, all’ambito economico, e che può essere utilizzata nelle più svariate situazioni nelle quali la sfera economica riveste un’importanza del tutto secondaria176. Possono esistere quindi delle forme, delle possibilità, delle sfere, dei fattori di Macht177. Ci può essere una questione relativa alla situazione di potere (Frage der Machtlage) concernente la potenza militare (Militärmacht) oppure «determinate influenze religiose»178, una situazione di potere tra signori e funzionari, come tra un signore territoriale e i possessori di benefici. Si ritrovano espressioni come «costellazione di potenza politica» (politische Machtkonstellation)179, di cui la nazione è ritenuta una forma privilegiata, anche grazie al suo prestigio di potenza (Machtprestige). Infine, Macht può essere anche uno strumento: l’ostentazione dei beni di lusso da parte di ceti privilegiati viene considerata appunto uno strumento di potenza (Machtinstrument)180, 174 Ci si riferisce ad espressioni quali Machtbereich, Machtdynamik, Machtkonstellation, Machtlage. 175 Machtaufstieg, Machterweiterung, Machterhaltung, Machtentfaltung, Machtexpansion. 176 Di opinione differente è A. D’Attorre, per il quale il concetto di «potenza» presenta sempre una «radice economica», cfr. A. D’Attorre, Perché gli uomini ubbidiscono. Max Weber e l’analisi della socialità umana, Napoli, Bibliopolis, 2004, in particolare p. 94. 177 Machtformen, Machtchancen, Machtsphären, Machtfaktoren. 178 Cfr. MWG I/22-4 p. 278 (Dominio, p. 212). 179 Cfr. KS, WL, p. 251 (Metodo p. 243). L’espressione «politische Machtkonstellation» è tradotta con «costellazione politica». Cfr. anche MWG I/17, p. 182, tr. it. La scienza come professione. La politica come professione, Torino, Einaudi, 2004, p. 68. La stessa espressione («politische Machtkonstellation») è qui tradotta con «costellazione del potere politico». 180 Cfr. MWG I/22-4, p. 449 (Dominio, p. 429, dove si traduce «strumento di potere»). 166 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ così come lo è la suggestione prodotta dall’idea di incarnare una «terza Roma» per lo Zar russo181. L’indeterminatezza del termine rende plausibile la traduzione con “potenza”, o in alternativa con “potere”, purché non sussista il rischio di confonderla con la traduzione di Herrschaft. Se il concetto di Macht fosse esteso anche al termine Herrschaft ciò renderebbe quest’ultimo «scientificamente inutilizzabile». Infatti, come Weber afferma, il lavoratore avrebbe una capacità di comando, quindi un dominio (Befehlsgewalt, also „Herrschaft“) nei confronti dell’imprenditore per quanto concerne la sua pretesa al salario, come il funzionario sul monarca per quanto riguarda il suo stipendio. Il riferimento alla Herrschaft introduce pertanto uno scarto concettuale, nel senso che la relazione che essa circoscrive è più diretta e meno indeterminata. Non esistono dinamiche, costellazioni, spiegamenti, espansioni di Herrschaft, in quanto il termine fa riferimento a situazioni in cui le dinamiche di potenza hanno assunto una configurazione relativamente stabile, e in particolare hanno acquisito una direzione: da una parte chi comanda, dall’altra chi obbedisce. Un rapporto di potere può essere anche bilaterale (doppelseitig), come nel caso dei moderni funzionari di dicasteri, a patto che, per ciascun comando, sia ben chiaro di volta in volta chi comanda e chi obbedisce: una relazione di potere bilaterale quindi, ma «ciascuno all’interno della “competenza” dell’altro»182. Esistono pertanto un rapporto, un interesse, una struttura, una organizzazione, un apparato, una forma, un gruppo sociale di potere183. Particolarmente interessante è notare come, mentre Weber utilizza spesso le espressioni «divisione della potenza» o dei «poteri» (Machtverteilung, Gewaltenteilung), esse non siano applicabili alla Herrschaft, la quale non è divisibile. 181 Cfr. MWG I/10, p. 155 (una traduzione parziale degli scritti weberiani sulla Russia si trova in M. Weber, Sulla Russia 1905-1906/1917, Bologna, Il Mulino, 1981). 182 MWG I/22-4 p. 136 (Dominio, p. 25). 183 Herrschaftsverhältnis, Herrschaftsinteresse, Herrschaftsstruktur, Herrschaftsorganisation, Herrschaftsapparat, Herrschaftsform, Herrschaftsverband. 2. IL CONTESTO TRADIZIONALE E LA SUA DISSOLUZIONE 167 Seppur non esista in Weber una esplicita definizione del termine Gewalt, dai suoi usi concettuali si evince come esso funga spesso da supporto del termine Herrschaft. Si potrebbe affermare che Gewalt riprende lo stesso spettro di significati di Macht, collocandosi però all’interno dell’ambito di significazione della Herrschaft, definendone quindi le modalità specifiche. A questo proposito può essere indicativo sottolineare come i termini possano unirsi, formando una sola parola: esiste quindi una Herrschaftsgewalt, ma anche una Gewaltherrschaft. Weber impiega inoltre le espressioni atto, utilizzo, minaccia, esercizio, limitazione di Gewalt184. Da quest’ultime si intuisce come il termine definisca le modalità specifiche di una relazione che è già una relazione di Herrschaft. La Gewalt si può pertanto acquisire, ma non si può aumentare, espandere, spiegare, ampliare, bensì solo limitare, o rifiutare. Se non può esistere una divisione della Herrschaft, può sussistere tuttavia, e di fatto spesso sussiste, una divisione della Gewalt (Gewaltenteilung) all’interno di una struttura di potere (Herrschaftsstruktur). Per quanto concerne la traduzione, lasciando da parte i casi in cui il termine va evidentemente tradotto con “violenza”, la traduzione con “potere” è anche qui spesso opportuna, nonostante l’ulteriore rischio di sovrapposizione in una stessa parola di concetti differenti nella lingua tedesca. Il recupero del termine di derivazione latina “podestà” potrebbe rivelarsi in parecchi casi una valida alternativa. Altro aspetto significativo: mentre Macht e Gewalt possono essere attributi di un’azione o di una persona, ciò non vale per la Herrschaft. Ci può essere quindi un «atto di» o un «possessore di» Gewalt185 come un possessore di potenza (Machthaber), ma non esiste un atto di Herrschaft e nemmeno un possessore di Herrschaft; esiste piuttosto un «esercizio di Herrschaft» (Herrschaftsausübung) da parte di un dominatore (Herrscher). Questo aspetto personale della Herrschaft ha indotto a tradurre 184 Gewaltakt, Gewaltanwendung, Gewaltandrohung, Gewaltausübung, Gewaltbegrenzung. 185 Gewaltakt, Gewalthaber. MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ 168 il termine con “dominio”, l’unico in effetti che riesca a rendere in parte questa peculiare accezione del termine, seppur ciò rischi di lasciare in secondo piano la pregnanza concettuale di un termine come quello di potere. A tal proposito si ritiene particolarmente utile concentrare ancora una volta l’attenzione su un passo della Sociologia del dominio in cui Weber discorre della distinzione tra Herrschaft e Macht. Weber distingue due tipi di Herrschaft «diametralmente opposti», vale a dire «da una parte il dominio in forza di una costellazione di interessi», e «dall’altra il dominio in forza di autorità (potestà di comando e dovere di obbedienza)»186. È stato argomentato che Weber si riferisca qui ad una distinzione ancor più precisa tra Herrschaft e Macht187: è bene specificare però che in entrambi i casi Weber si serve del termine Herrschaft, e che ci si trova quindi oltre la definizione generica della sfera della Macht; Weber sta parlando quindi di due forme di Herrschaft. La prima forma di potere trova una sua esemplificazione tipico-ideale nella sfera monopolistica del mercato: la dimensione del mercato è in grado infatti di produrre delle forme di azione individuale o collettiva le quali si svolgono di fatto secondo determinati criteri definiti, creando, tra l’altro, uniformità e omogeneità di comportamento sulle quali è possibile non a caso costruire delle forme sociali di saperi di tipo nomotetico. La seconda forma di potere si fonda invece «su un dovere di obbedienza tout court, richiesto a prescindere da qualsiasi motivo e interesse»188. Qui gli esempi privilegiati da Weber sono l’agire del padre di famiglia, il potere di ufficio e il dominio del principe. Il potere del padre di famiglia all’interno dell’Haushalt, affiancato nel caso citato da quello del funzionario e del principe, viene ancora una volta riportato come esempio tipico ideale di una forma di Herrschaft: non tuttavia di un «principio strutturale di dominio» (patrimoniale o patriarcale), ma più in generale di una forma di dominio personale, ossia 186 187 188 MWG I/22-4, p. 129 (Dominio, p. 18). Cfr. D’Attorre, Perché gli uomini ubbidiscono cit., pp. 88 ss. MWG I/22-4, p. 129 (Dominio, p. 19). 2. IL CONTESTO TRADIZIONALE E LA SUA DISSOLUZIONE 169 fondato su un rapporto di comando e obbedienza, in cui è ben identificabile lo Herr a cui spetta il compito di esercitare l’attività che gli compete (la Herr-schaft), come è ben identificabile colui a cui spetta il compito di obbedire. Esso viene accostato ad un’altra forma di potere, ad esso «opposta», e per la quale tuttavia viene utilizzato lo stesso termine (Herrschaft, non Macht, quindi): è il potere «impersonale» del mercato, in cui la «costellazione di interessi» fa sì che l’agente sia costretto ad ubbidire volontariamente a una serie di norme più o meno esplicita. È il potere a cui è sottoposto il lavoratore di fabbrica, che volontariamente si sottopone al servizio del padrone «spinto dal pungolo della fame». È anche il potere a cui si sottopone il padrone di fabbrica, le cui azioni sono determinate dalla necessità, data da quella forma di lotta pacifica definita «concorrenza», di non scomparire. Il potere del padre di famiglia, «germe» delle forme patrimoniali e patriarcali di dominio, trova invece il suo fondamento nella disposizione all’obbedienza del sottoposto. È l’obbedienza a fondare il potere, non viceversa. Se il potere si esercitasse a fronte di una resistenza del sottoposto si dovrebbe parlare infatti, a rigor di termini, nuovamente di Macht, e non più di Herrschaft. È inevitabile quindi che questa forma di Herrschaft, nonché le sue stesse distinzioni interne, si definiscano in base alla differente disposizione all’obbedienza sulle quali si fondano. Ciò ha condotto Weber alla celebre formulazione del come se: Con “dominio” („Herrschaft“) deve qui intendersi cioè il fatto per cui una volontà manifesta (“comando”) del o dei “dominanti” (des oder der „Herrschenden“) vuole influenzare l’agire (del o dei “dominati” – des oder der „Beherrschten“), e di fatto lo influenza in maniera tale per cui questo agire, in un grado socialmente rilevante, si svolge come se i dominati avessero fatto del contenuto del comando, di per sé, la massima del loro agire (“obbedienza”)189. Secondo l’argomentazione qui esposta sembrerebbe possibile parlare di due forme di Herrschaft. L’una sarebbe partico- 189 MWG I/22-4, p. 135 (Dominio, p. 24). 170 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ larmente adeguata al contesto definito da Weber tradizionale; per questa forma di Herrschaft, nella quale l’elemento personale della relazione è più esplicito, la traduzione più adeguata è probabilmente quella di “dominio”. Per quanto riguarda invece la seconda forma di Herrschaft, primariamente adeguata alla singolarità qualitativa del contesto politico moderno, l’aspetto non primariamente personale del rapporto potrebbe indurre a tradurre il termine con “potere”, fermo restando tuttavia che in entrambi i casi ci si trova di fronte ad una Herr-schaft, in cui l’aspetto relazionale del comando dell’uomo sull’uomo rimane comunque sempre presente. Senza insistere ulteriormente sul fondamento di legittimità del potere rappresentato dalla disposizione all’obbedienza, tema già ampiamente dibattuto, si preferisce qui svolgere alcune riflessioni ricollegandosi a quanto affermato sulla tradizione e sulle forme tradizionali di dominio. Come ampiamente dimostrato anche attraverso numerosi esempi concreti, tale dominio si fonda sui due elementi essenziali della tradizione e dell’autorità, con la postilla non insignificante che la stessa autorità deve, nella maggior parte dei casi, esercitare il suo dominio nel rispetto della tradizione. Tradizione e autorità sono i due fattori costituenti del dominio cosiddetto tradizionale, i quali, come detto, non devono a rigore mai coincidere, ma devono presentarsi sempre in una sorta di tensione costitutiva. Può essere utile tentare di incrociare questa tensione con la specifica definizione weberiana del rapporto comando-obbedienza. Il contadino tedesco del XVI secolo, il vassallo medievale, le truppe inglesi degli Stuart obbediscono al rispettivo «signore patrimoniale», se vogliamo «come se essi stessi avessero assunto il contenuto del comando per massima del loro agire». Tuttavia non lo faranno «senza alcun interesse per il contenuto del comando»: il contadino tedesco sarà a disposizione del signore, ma «non per qualsiasi faida»; il vassallo risolverà il rapporto con il suo signore nel caso le richieste di tassazione si rivelino esorbitanti; le truppe inglesi preferirono di fatto servire il parlamento, piuttosto che gli Stuart. L’elemento della tradizione, in quanto fondamento 2. IL CONTESTO TRADIZIONALE E LA SUA DISSOLUZIONE 171 dell’«agire di comunità», sembra pertanto fungere da fattore di complicazione all’interno del rapporto comando-obbedienza nel senso definito. Irriducibile ad una «situazione di interessi», anzi, ad essa direttamente contrapposta, esso pare trovare il proprio punto di fuga in qualcosa che esorbita al contempo rispetto all’incrocio di interessi da un lato, e al mero flatus vocis del comando del signore dall’altro. «L’uomo non muti mai un’usanza»: l’espressione del Talmud, riportata da Weber, ben sintetizza quello spazio pieno che la tradizione circoscrive; il ciò che è da sempre, in base al quale si esercita il comando e si ottiene obbedienza, non è un insieme di norme statuite né di leggi di natura la cui osservanza è volta a garantire l’ordine delle relazioni sociali. Essa si fonda su usi, costumi, convenzioni, la cui sedimentazione all’interno di una serie di pratiche condivise ne garantisce la continuità. La tradizione è il fondamento della continuità di una «comunità d’intesa», la quale può essere considerata o meno una consociazione giuridica (Rechtsgenossenschaft), ma la cui struttura non è in ogni caso interpretabile mediante le moderne categorie del diritto. Come affermato, la tradizione stessa non rappresenta una sorta di piano trascendentale delle relazioni sociali, ma poggia essa stessa su una serie di condizioni strutturali, pur senza mai ridursi ad essere un’appendice della stessa. Una tradizione può sussistere ovunque sia presente la possibilità di una trasformazione in pratica quotidiana di una reciprocità tra i dominanti e i dominati. Proprio questa constatazione, tuttavia, spinge ad interrogare ulteriormente la specificità delle forme tradizionali di Herrschaft. Seguendo la terminologia weberiana, si può affermare che le forme tradizionali di dominio poggiano su relazioni di potere prettamente personali, al contrario delle forme impersonali di potere caratterizzanti la burocrazia e la comunità di mercato. Tuttavia, come burocrazia e mercato presentano in ultima analisi una tensione costitutiva tra personalità e impersonalità del comando (su ciò ci si soffermerà nei prossimi capitoli), lo stesso si può dire della Herrschaft tradizionale. Con ciò si vuol dire qualcosa in più rispetto alla reiterata precisazione weberiana sul fatto che i tipi ideali si presentano nella realtà concreta sempre 172 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ mescolati e mai nella loro forma pura, e ci spinge piuttosto a riflettere ulteriormente sulla specificità del concetto di Herrschaft. Se tradizione e autorità rappresentano i due elementi costitutivi del principio strutturale di dominio tradizionale, allora è corretto affermare che non si dà Herrschaft se non in presenza di una reciprocità, al che consegue che non si dà Herrschaft (tradizionale) se non in presenza di una tradizione. Il dominio, inteso in questo senso, comprende entro sé la possibilità, la cui intensità dipende dal grado di reciprocità del rapporto, che ci sia resistenza da parte dei dominati, nel caso il comando non sia conforme alle norme, non statuite e non determinabili univocamente, della tradizione. È pertanto possibile affermare che anche il dominio tradizionale possiede sempre una certa impersonalità del rapporto comandoobbedienza, nella misura in cui esso esorbita rispetto alla mera relazione di volontà tra gruppi e persone, per far riferimento a qualcosa che appartiene ad entrambi, appunto ciò che è da sempre. Per approfondire ulteriormente il ragionamento, è interessante rivolgere l’attenzione, nella casistica celata nei numerosi esempi citati da Weber, a quei luoghi in cui non è possibile il darsi di una forma tradizionale dei rapporti sociali. Anzitutto, non si dà possibilità di tradizione ove la relazione sia determinata univocamente dalla volontà di una delle due parti: nel rapporto del signore con lo schiavo, ove la relazione può strutturarsi esclusivamente mediante l’arbitrio del dominante, non è pensabile il sorgere di una tradizione. È il caso della schiavitù esercitata nelle piantagioni cartaginesi e romane. Non si dà dominio tradizionale ove la tradizione sia identificabile con la volontà unilaterale del signore: in questo caso si dovrà infatti parlare di dominio «sultanistico», vale a dire un potere esercitato in assenza di qualsiasi vincolo. È fortemente ridotta la possibilità del darsi di forme tradizionali di relazione, ove esse si costituiscano primariamente tramite una «costellazione di interessi», nella quale, contemporaneamente, il dominante si sia appropriato interamente dei beni e delle prestazioni. È il caso del rapporto tra imprenditore e salariato. In tutti questi esempi, mancando la reciprocità, manca pure il fonda- 2. IL CONTESTO TRADIZIONALE E LA SUA DISSOLUZIONE 173 mento per una sedimentazione della relazione. L’incrocio di un ordinamento sociale caratterizzato da una situazione di interessi, in cui una parte (in questo caso, una classe) si sia appropriata in maniera esclusiva delle risorse disponibili (beni e prestazioni), corrisponde alla peculiarità della situazione moderna. Riservando la trattazione della specificità delle relazioni moderne al prossimo capitolo, è possibile anticipare che l’aspetto cruciale nel mutamento della forma delle relazioni sociali è legato principalmente all’emergere dell’oggetto-società, distinto e per molti versi indipendente rispetto allo Stato, a cui la riflessione weberiana è indissolubilmente legata. Si tratta di un processo complesso, non analizzabile univocamente, legato ad una serie di situazioni storicamente determinate, tra cui la dissoluzione dei gruppi cetuali (in primis la comunità domestica), l’emergere di forme associative primariamente legate alla «situazione di interessi» incentrata sulla comunità di mercato, il progressivo «monopolio della coercizione legittima» esercitato dallo Stato. Come è impossibile pensare, in assenza di una comunità politica che monopolizzi legittimamente la sfera della coercizione, un ordinamento sociale d’ampio raggio fondato sulla lotta pacifica nel mercato, allo stesso modo è difficile pensare la presenza di una comunità politica ove la struttura sociale si presenti nelle forme della comunità d’intesa della struttura patrimoniale, e ancor più all’interno delle relazioni feudali. Non a caso, nella sezione dedicata alle comunità politiche, Weber afferma che, nel passato, esse raramente sono esistite come «comunità separate». Ci si chiede a questo punto che cosa intenda Weber quando utilizza il termine politico: va notato infatti come sussista all’interno degli usi concettuali del testo una differenziazione piuttosto evidente tra ciò che è politico e la Herrschaft. Come detto, l’indagine è dedicata prevalentemente a scandagliare le forme strutturali di dominio, con particolare riguardo alla loro relazione con l’economia. Il patrimonialismo, per esempio, si distingue dal patrimonio, in quanto designa una modalità di stare assieme degli uomini fondata su una determinata costituzione delle relazioni sociali. Nella sua struttura, tale costituzione riposa essen- 174 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ zialmente su una comunità d’intesa, la quale può anche fare a meno di una forma di coercizione fondata sulla forza militare (Militärgewalt). A rigor di termini, la struttura patrimoniale del dominio non ha necessariamente bisogno, per reggersi, di un esercizio politico. Ciò emerge con massima chiarezza nel momento in cui Weber distingue le forme patrimoniali di Herrschaft da quelle extra-patrimoniali, ossia, appunto, politiche. Dal testo risulta chiaramente come per politico si intenda quell’agire che esorbita rispetto alla strutturazione dei rapporti, garantita pacificamente secondo delle forme di reciprocità, per subentrare nel momento in cui l’agire stesso implichi necessariamente l’utilizzo della coercizione fisica, come nel caso del dominio extra-patrimoniale. Politica è quindi lotta per una posizione di potenza, per l’acquisizione di territori, per l’ottenimento di obbedienza anche indipendentemente dalla volontà dei dominati. Il politico sembra intervenire, all’interno della prosa weberiana, solo nel momento in cui all’agire è connessa una qualche forma (anche potenziale) di coercizione fisica. Così le forme di dominio patriarcale, patrimoniale, feudale rappresenterebbero dei principi strutturali di dominio non necessariamente politici; da qui l’identificazione dei termini politico e extra-patrimoniale. La politica emerge ogniqualvolta viene meno quel processo incessante di stereotipizzazione delle relazioni messo in moto dalla trasformazione delle stesse in pratica quotidiana, nel loro divenire usi, costumi e tradizioni. Il rischio connesso a tale uso del termine politico è evidente nella constatazione che, seguendo rigorosamente le argomentazioni e gli esempi forniti da Weber, e stando a questa definizione, la relazione tra signore e l’esercito di giannizzeri risulterebbe molto più politica che non la relazione tra signore e vassallo, tra principe e ceti, tra signore patrimoniale e contadini ecc. Un agire sociale che riposi su una «comunità d’intesa» non ha bisogno quindi di un «agire politico». Come esiste la possibilità di una non-economicità delle relazioni, così pare esistere la possibilità di una loro non-politicità, la quale si presenta ogniqualvolta la relazione sociale non abbisogni, per la sua sussistenza, dell’elemento della coercizione fisica. 2. IL CONTESTO TRADIZIONALE E LA SUA DISSOLUZIONE 175 È opportuno chiedersi, a questo punto, come si configuri una struttura di dominio in cui non esista una comunità politica separata, in quanto l’armamento è appropriato dai singoli capifamiglia; in cui si dà Herrschaft, nel senso del dominio personale sopra definito, a tutti i livelli della struttura sociale, fino alla più piccola unità di dominio determinata dalla comunità domestica; in cui la Gewalt sia divisa tra i vari gruppi sociali, i quali si accordano tra loro secondo la modalità dello «scendere a patti di caso in caso», riguardo alle sfere dei rispettivi privilegi, e in cui un’istituzione come quella statale non sia neppure pensabile; in cui tutti questi rapporti siano garantiti non tramite lo strumento regolante (quindi proiettato primariamente verso il futuro) della legge, ma tramite statuti, codici d’onore, affratellamenti, la cui validità è garantita da ciò che è da sempre; in cui esistono dei «princìpi decisivi per il confluire del diritto “soggettivo” e “oggettivo”, cioè princìpi per i quali il diritto rappresenta una qualità “valida” dei membri di un gruppo di persone»190; in cui la terra non è merce, il singolo non è persona giuridica, e le cose non sono, nella maggior parte dei casi, merci da valorizzare sul mercato; in cui un singolo può essere considerato alla stregua di un instrumentum vocale, e la sua dignità è garantita dal suo status, o dal suo essere Genosse all’interno di un determinato contesto associativo. Sono tutte possibilità, spesso intersecantesi tra loro, contemplate da Weber, le quali delineano un contesto differente rispetto a quello moderno. Una differenza che Weber voleva esplicitare, per rendere maggiormente evidenti le discontinuità delle forme moderne di associazione, e al contempo le inevitabili continuità nel permanere, anche nella modernità, di sfere di potenza, di divisioni di forze e di esercizi di dominio dell’uomo sull’uomo. Il conflitto è di fatto ineliminabile e, seppur diversamente configurato, è quindi inevitabilmente destinato a riemergere anche sotto le spoglie di un diritto che proclama uguaglianza giuridica, di un’economia che reclama che l’uguaglianza debba essere rigorosamente formale, e di un sistema politico democratico destinato sempre più a reggersi sulla fede di 190 Cfr. MWG I/22-3, p. 615 (WuG, II, p. 503 - ES, III, p. 186). 176 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ una propria sedicente legittimità. La «razionalità immanente» di questo contesto tradizionale, tuttavia, non fu da Weber ulteriormente indagata, talmente forte era il suo interesse nel ricostruire la «singolarità» del mondo nel quale si trovava a vivere191. Come si è cercato di mostrare, Weber insiste sullo stretto legame tra forme di dominio e strutture materiali che ne consentono l’estrinsecazione (possesso fondiario, auto-armamento, privilegi ecc.), e non vi è esempio concreto all’interno del testo che non ribadisca questa costante connessione. La Herrschaft può ben essere, e normalmente è, conseguenza di qualche forma originaria di usurpazione, e la logica del suo esercizio è inevitabilmente condizionata dalle modalità concrete di appropriazione: si dà reciprocità – lo si è sottolineato più volte – solo dove essa sia in qualche modo sedimentata nella forma stessa del tradere res, che renda possibile delle mediazioni tra dominanti e dominati. Proprio le specificità del tradere, e il loro configurarsi all’interno di relazioni sociali «giuridicamente labili, ma di fatto assai stabili», consentono l’estrinsecarsi della relazione tra dominanti e dominati che non può mai configurarsi come meramente unilaterale, data la presenza di una minima reciprocità. Al contrario, la loro trasformazione in pratica quotidiana, vale a dire il loro determinarsi in usi, costumi e tradizioni, garantisce quella forma di impersonalità del rapporto che quasi sempre impedisce la sua strutturazione secondo le mere disposizioni del flatus vocis del dominante. Un’impersonalità fondamentalmente differente rispetto a quella delle relazioni sociali collocate all’interno della logica sistemica del 191 È inevitabile che ciò ponga una serie di interrogativi di ordine concettuale. Si è cercato di mostrare, nel capitolo precedente, come l’utilizzo di una determinata terminologia fosse giustificabile solo all’interno di un’argomentazione la cui struttura tendesse a ricostruire a posteriori la genesi di determinate istituzioni moderne. Ovunque nel passato si sono dati scambi, traffici commerciali, mercati e quant’altro. Espressioni e termini come lotta pacifica, situazione di mercato, bisogno-soddisfazione sono tuttavia concepibili a rigore solo all’interno di un contesto in cui la massificazione della dimensione dello scambio, resa possibile privatamente, garantita dallo strumento contrattuale e dal monopolio della coercizione fisica, si sia sedimentata storicamente. Una serie di questioni emerge anche nel momento in cui si cerchi di classificare determinate forme associative tramite l’uso di strumenti concettuali, la cui logica di costruzione risente in qualche modo di alcune distinzioni prodottesi solo all’interno del contesto moderno. 2. IL CONTESTO TRADIZIONALE E LA SUA DISSOLUZIONE 177 mercato, in quanto si tratta qui di un’impersonalità che permette, eccedendole, il darsi personale delle relazioni. Essa produce un insieme di norme non statuite e neppure codificabili, in altre parole una tradizione, la quale non solo garantisce la continuità della reciprocità, ma serba entro sé anche quei casi in cui la norma venga sopraffatta mediante un indebito atto arbitrario del signore: Ungeld, malatolta, è appunto la sedimentazione dell’ingiustizia dell’atto nella lingua quotidiana. Solo a partire dalla comprensione della specificità della relazione è possibile cogliere come sia possibile che il contadino tedesco del XVI secolo sia a disposizione del signore solo «per scopi tradizionali, e non per qualsiasi faida», e, generalizzando, come sia possibile il darsi fattivo di una resistenza rispetto al comando del signore. Allo stesso modo è possibile comprendere la peculiarità della stereotipizzazione dei rapporti che rende impensabile il darsi di un monopolio della Gewalt di cui i vari portatori sarebbero semplicemente amministratori: in particolare è possibile intuire la pregnanza della relazione tra le varie Gewalten, ovvero la natura di quello «scendere a patti di caso in caso» che ne costituisce l’essenza (Wesen) specifica. È proprio la possibilità del patteggiamento a rendere possibile infatti un’eticità dei rapporti192: etico non è qui ovviamente aggettivo giustapposto che denoti la giustizia del rapporto in quanto portatore di un valore, ma significa piuttosto che il rapporto si dà in quanto radicato in un ethos condiviso, e quindi in grado di produrre delle modalità, o meglio delle pratiche di relazione. 192 Seppur Weber non lo affermi mai in positivo, ciò è chiaramente implicito nel momento in cui sostiene che l’emergere del capitalismo ha reso impossibile qualsiasi possibilità di regolazione etica dei rapporti, la quale doveva quindi essere in qualche modo possibile prima del suo avvento. Capitolo terzo La singolarità del moderno: capitalismo e burocrazia L’inizio della fine dell’Hausherrschaft può essere indicato simbolicamente nell’articolo 18 della costituzione francese del 1793: «La loi ne reconnaît point de domesticité». Da questo momento le relazioni domestiche di autorità e reverenza non sono più concepibili nella loro rilevanza costituzionale. Non esistono più servi né schiavi, ma semmai contratti tra persone formalmente libere ed uguali. Ciascun uomo può, d’ora in poi, mettere a disposizione il proprio tempo e la propria prestazione lavorativa, ma non la propria persona, considerata come inalienabile1. Non così, però (perlomeno non ancora), nell’area tedesca. Nell’Allgemeines Landrecht prussiano, pubblicato l’anno successivo, la situazione si presenta ancora secondo una peculiare mistura tra antico e moderno, tra la settecentesca raccolta di leggi e le moderne codificazioni. Il tentativo di mediare tra regole generali del diritto e diritti speciali di provenienza cetuale si rivelò fin da subito compito arduo, destinato inevitabilmente a cozzare contro aperte contraddizioni. Inizialmente era stato previsto di trattare diritti e doveri delle persone secondo tre diversi livelli: 1 Cfr. R. Koselleck, Die Auflösung des Hauses als ständischer Herrschaftseinheit. Anmerkungen zum Rechtswandel von Haus, Familie und Gesinde in Preußen zwischen den französischen Revolution und 1848, in N. Bulst, J. Goy, J. Hoock (a cura di), Familie zwischen Tradition und Moderne. Studien zur Geschichte der Familie in Deutschland und Frankreich vom 16. bis zum 20. Jahrhundert, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1981, pp. 109-124, qui p. 109. 180 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ anzitutto quelli del ceto domestico, poi quelli dei ceti lavorativi, infine quelli dello Stato nel suo rapporto con i cittadini, secondo una tripartizione di richiamo aristotelico-scolastico. Di fatto però, già nel primo progetto2, al posto del termine Hausstand si utilizzò il termine Familie, fino ad allora poco utilizzato, e il cui ambito di designazione rimaneva ambiguo. In realtà, all’interno dell’Allgemeines Landrecht non compare nessuna famiglia come istituto di diritto, ma si fa solamente cenno al fatto che ci siano rapporti familiari tra individui. La formulazione häusliche Gesellschaft, utilizzata talvolta al posto di Familie, si presenta qui non più come sinonimo di Stand ma in riferimento alla figura del contratto, e rivela apertamente l’intento anti-cetuale del legislatore, che al complesso delle relazioni domestiche tende a sostituire l’individualizzazione delle pretese giuridiche. Se i diritti delle persone sono pensati ancora a partire dalla nascita e dall’appartenenza di ceto3, viene esplicitamente ribadito come nessuno sia più autorizzato a farsi giustizia da sé tramite la forza4. L’Hausvater, termine talvolta ancora utilizzato, non è più concepibile nella sua posizione di privilegio cetuale, ma piuttosto in quanto possessore di patrimonio, quindi come possidente. Assieme all’Haushalt, è un intero assetto strutturale che si va esaurendo. Tuttavia la sua definitiva dissoluzione avrà, perlomeno in area tedesca, tempi lunghi, protraendosi, secondo forme 2 Si fa riferimento qui al primo progetto, opera di C.G. Suarez e E.F. Klein: non fu pubblicato, ma rimase la base di tutto il lavoro successivo ed ebbe il carattere di una direttiva ufficiosa per gli organi burocratici e giudiziari. Un secondo progetto fu presentato in sei parti tra il 1784 e il 1788. Esso sarebbe dovuto entrare in vigore dal primo giugno 1792, ma in seguito ad una serie di discussioni fu sottoposto ad ulteriori modifiche. Cfr. G. Tarello, Storia della cultura giuridica moderna, Bologna, Il Mulino, 1976, vol. I, pp. 487-488. Sulla tematica, cfr. inoltre D. Canale, La costituzione delle differenze: giusnaturalismo e codificazione del diritto civile nella Prussia del ’700, Torino, Giappichelli, 2000. 3 Da qui la definizione di società civile (bürgerliche Gesellschaft) che consiste di «numerose piccole comunità o ceti legati dalla natura o dalla legge, o da entrambe assieme». Cfr. Allgemeines Landrecht für die Preussischen Staaten von 1794, 3a ed., Luchterland, Neuwied, 1996; cfr. anche M. Fioravanti, Giuristi e costituzione politica nell’Ottocento tedesco, Milano, Giuffrè, 1979. 4 Cfr. Allgemeines Landrecht für die Preussischen Staaten (1794), § 77. 3. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E BUROCRAZIA 181 variate e sempre più sfumate, per tutto il corso dell’Ottocento, mantenendo viva tra l’altro quella tensione tra mutamenti strutturali ed epistemologici che non segue mai la linea retta della mera contemporaneità. È noto come Friedrich von Savigny si fosse schierato contro il carattere razionalizzante e formale del codice francese, riconoscendo nel diritto un Ordnung che esorbita necessariamente rispetto alle disposizioni statali. Tra i numerosissimi altri esempi possibili si potrebbe inoltre citare Robert von Mohl, proprio per la sua consapevolezza di mediare tra un certo organicismo ancora imperante nella Germania degli anni ’50 dell’Ottocento e le nuove sfide imposte dai recenti e pressanti assetti societari; egli definisce la società civile (bürgerliche Gesellschaft) come «tutti quei diversi organismi e cerchie nelle quali gli uomini si riuniscono, non attraverso lo Stato e i suoi comandi, ma attraverso la concordanza dei propri bisogni immediati e attraverso interessi singoli ma sufficientemente potenti»5. Anche per Rudolf von Gneist, a fronte della compiuta affermazione dell’istituzione statale, la società civile non deve comunque necessariamente essere composta solo di classi e individui produttori, ma deve essere concepita soprattutto come una complessa rete di realtà politiche locali6. Egli propugnava quindi un «ordinamento statale della società», contro l’«ordinamento societario dello Stato». Weber, nello svolgere le proprie ricerche sui rapporti agrari ad est dell’Elba, per conto proprio dello stesso Gneist, si imbatterà contro uno degli ultimi residui di privilegio non direttamente fondato sulla nuova realtà onnipervasiva del mercato, garantito appunto a quegli Junker che, ancora nel 1872, detenevano, all’in5 «[…] alle die verschiedenen Organismen und Lebenskreise, in welchen die Menschen nicht durch den Staat und seine Befehle, sondern durch die Übereinstimmung ihrer unmittelbaren Bedürfnisse, durch einzelne aber hinreichend mächtige Interessen zusammentreten». La citazione è stata ripresa da T. Bürger, Deutsche Geschichtstheorie und Webersche Soziologie, in Wagner, Zipprian, Max Weber Wissenschaftslehre, cit., pp. 29-104, qui p. 42; cfr. comunque R. von Mohl, Politische Schriften, Köln, Westdeutscher Verlag, 1966. 6 Cfr. Fioravanti, Giuristi e costituzione politica nell’Ottocento tedesco, cit., p. 228. 182 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ terno dei propri territori, funzioni di polizia e giurisdizione, ben protetti tra l’altro dalla longa manus di Bismarck. È stato correttamente affermato come il giovane studioso, storico dei rapporti agrari e al contempo intensamente interessato ai nascenti fenomeni legati alle speculazioni in borsa, abbia acquisito, proprio attraverso le indagini sui rapporti agrari ostelbici, la consapevolezza di che cosa comportasse concretamente il modo capitalistico di produzione nei termini di un mutamento epocale delle relazioni sociali e non solo in ambito economico7. La fine della «comunità di interessi» tra signore fondiario e lavoratori fissi residenti sul fondo, e il conseguente processo di proletarizzazione di quest’ultimi8, indicava al contempo l’estrema propaggine di un sistema di relazioni patriarcali in dissolvimento, e l’ineluttabile destino di ampi strati della popolazione. Tra le pieghe di questo processo il Weber maturo, formalizzando, rielaborando, talvolta stravolgendo il materiale delle intense ricerche giovanili, ne trarrà gli spunti decisivi della sua riflessione sulla «singolarità qualitativa» del mondo moderno. Ancora una volta, alcune tra le più importanti riflessioni weberiane possono essere colte simbolicamente a margine della sua descrizione del passaggio dalla comunità domestica, «comunità economica universalmente diffusa», ma anche «germe» di tutte le forme patriarcali e patrimoniali di 7 Sulla trasformazione della costituzione agraria tedesca (in particolare ostelbica) incentrata sull’Instverhältnis e sulle prime forme di proletarizzazione del lavoro agricolo cfr. S. Mezzadra, La comunità dei nemici. Migranti, capitalismo e nazione negli scritti di Max Weber sui lavoratori agricoli nei territori prussiani a est dell’Elba (1892-1895), «Aut-Aut», 275, 1996, pp. 17-42; Mommsen, Max Weber e la politica tedesca, cit., in particolare p. 76; M. Riesebrodt, Vom Patriarchalismus zum Kapitalismus. Max Webers Analyse der Transformation der ostelbischen Agrarverhältnisse im Kontext zeitgenössischer Theorien, «Kölner Zeitschrift für Soziologie», 3/37, 1985, pp. 546-567; R. Marra, Capitalismo e anticapitalismo in Max Weber. Storia di Roma e sociologia del diritto nella genesi dell’opera weberiana, Bologna, Il Mulino, 2002, in particolare il quinto capitolo, pp. 165-200. Marra ha il merito di saper intrecciare le considerazioni sui lavori weberiani sull’Ostelba con una approfondita analisi degli scritti sulla storia agraria romana. 8 La perifrasi «lavoratori fissi residenti sul fondo» traduce il tedesco Instleute. Ci si allinea in questa scelta alla traduzione di F. Ferraresi e S. Mezzadra. Cfr. M. Weber, Dalla terra alla fabbrica, in particolare la Nota alla traduzione, pp. XLIX-LII. 3. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E BUROCRAZIA 183 dominio, a quella istituzione che «determina la differenza tra il passato e il presente»9: la moderna impresa razionale10. L’attenzione selettiva alle forme del trapasso, e in particolare a quelle condizioni che in parte rendono possibile e in parte necessitano della presenza dell’impresa come unità economica, richiederà l’attraversamento di due luoghi essenziali della riflessione weberiana: la razionalizzazione delle sfere della vita associata, e il correlato fenomeno della cosificazione delle relazioni sociali. 1. Separazione tra comunità domestica e impresa: la calcolabilità. L’organizzazione capitalistica del lavoro si fonda sulla separazione tra comunità domestica e impresa, e sulla conseguente formazione della contabilità11. Una tale affermazione, nell’immediato poco bisognosa di ulteriori spiegazioni, lo diviene necessariamente nel momento in cui Weber ascrive al prodursi storico di questa separazione l’emergere di un tratto distintivo delle moderne relazioni sociali, vale a dire del motivo della calcolabilità: una argomentazione pesante, il cui ambito di designazione esorbita di certo rispetto alle anguste pagine di una partita doppia o alla pur importante «tenuta razionale dei libri»12, e che va pertanto affrontata analiticamente. Nel breve paragrafo di Economia e Società in cui si delinea il tema della dissoluzione della comunità domestica e della nascita dell’impresa razionale, Weber nomina alcuni motivi «interni» ed «esterni». I primi sarebbero attribuibili al «dispiegamento e alla 9 Cfr. M. Weber, Die Börse I. Zweck und äußere Organisation der Börsen, in MWG I/5, vol. I, pp. 127-174, qui pp. 136-137, tr. it. non dell’edizione critica, ma dell’edizione presente in GASS, pp. 256-322 in M. Weber, La Borsa, Milano, Unicopli, 1985. 10 Il termine utilizzato nel testo qui citato è Wirtschaftsbetrieb. Cfr. MWG I/5, I, pp. 136-137. 11 Cfr. A. Ponsetto, Max Weber. Ascesa, crisi e trasformazione del capitalismo, Milano, Franco Angeli, 1986, p. 68. 12 Cfr. Vorbemerkung, p. 8 (SR I, p. 11). MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ 184 differenziazione delle capacità e delle esigenze», conseguenza di un non meglio specificato mutamento delle condizioni economiche, che indurrebbero il «singolo» a «configurare individualmente la sua vita»13, gestendo il proprio reddito e le proprie capacità in base alla propria volontà. È probabile che, più che alla dissertazione di dottorato, Weber faccia qui implicito riferimento alla instabile condizione dei lavoratori fissi residenti sul fondo e dei piccoli contadini nelle condizioni agrarie ostelbiche14. Tra i motivi «esterni» Weber nomina delle «formazioni sociali concorrenti» immediatamente legate all’espansione crescente del mercato, nelle quali non è difficile rintracciare la presenza di luoghi di produzione esterni alla conduzione familiare (tra i quali l’impresa); inoltre, egli fa riferimento a «interessi meramente fiscali» e allo «sfruttamento più intensivo della capacità contributiva individuale»15, con un ancor più chiaro riferimento agli interessi dell’istituzione statale. Se, nel nominare i motivi interni, Weber indicava in particolare quell’«impulso alla libertà», irrazionale quanto fortemente incisivo, che spinse i contadini ostelbici a sciogliere i legami con il proprio signore territoriale16, nei 13 MWG I/22-1, p. 145 (Comunità, pp. 98-99). Per un confronto tra i differenti modi di affrontare il tema della comunità domestica nella dissertazione di dottorato e in Economia e Società, cfr. Ferraresi, Il fantasma della comunità cit., pp. 34 ss. 15 MWG I/22-1, p. 145 (Comunità, pp. 98-99). 16 Questo impulso alla libertà, per quanto irrazionale e pressoché destinato all’insuccesso, spinse i contadini a liberarsi dai legami con il proprio signore territoriale, per condurre appunto la propria vita in autonomia, seppur nella ristrettezza più totale, entrando a far parte di un «proletariato senza patria». Il sottolineare l’impulso alla libertà è utile a Weber per mettere in evidenza, mediante un esempio concreto, come in determinati mutamenti economici possano rientrare forti componenti di carattere non economico. La trasformazione dei rapporti agrari nell’Ostelba costituiva un destino inevitabile, senza possibilità di alternativa. Essa era necessitata da uno Stato che già dai primi decenni del secolo riteneva necessariamente irrazionale, dal proprio punto di vista, la presenza di qualsiasi comunità di interessi che vincolasse tra loro gruppi e associazioni, impedendo la possibilità dello sfruttamento della capacità contributiva individuale. Allo stesso modo la moderna fabbrica, come la grande impresa agraria che avrebbe sostituito i preesistenti legami patriarcali, richiedeva, per il suo funzionamento continuativo e razionale, la presenza di forza lavoro libera, quindi di individui disponibili come forza lavoro, e riversantisi sul mercato spinti dal pungolo della fame. Cfr. su ciò: MWG I/4-1, pp. 79 ss. (Dalla terra alla fabbrica, pp. 40 ss.). 14 3. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E BUROCRAZIA 185 motivi esterni è evidente il richiamo alla sedimentazione istituzionale delle due fondamentali formazioni di potenza del mondo moderno: lo Stato e il mercato. Lo scopo dell’argomentazione del presente capitolo può essere riassunto nel tentativo di far comprendere come, in Weber, la nascita del motivo della calcolabilità sia legata al passaggio da una struttura incentrata attorno a «comunità giuridiche» e, in generale, a dei legami cetuali, ad una struttura organizzata attorno alle due fondamentali formazioni di potenza rappresentate dall’istituzione statale e dalla comunità di mercato. In questa prospettiva, il passaggio dalla comunità domestica all’impresa razionale, la cui comparsa come base di un sistema (il sistema di fabbrica) ha avuto luogo esclusivamente in Occidente17, va inteso nella sua formulazione di processo tipico-ideale. Non si tratta qui pertanto di ripercorrere le tappe che storicamente hanno permesso il sorgere di un tale sistema, ma piuttosto di indicarne i fattori essenziali in termini di mutamento delle strutture, e, conseguentemente, delle relazioni sociali. Ad una prima approssimazione, separazione tra comunità domestica e impresa significa in questo senso fine di una serie di legami comunitari, ed emersione di una dimensione individuale dell’esistenza legata alle sfere della produzione e del mercato. Essa rappresenta uno degli scarti essenziali di quel «moderno individualismo», di cui qui Weber ricostruisce anzitutto le caratteristiche primariamente economiche. Le argomentazioni relative a tale passaggio (che potremmo definire come il versante economico della questione) vanno pertanto colte simmetricamente alla riflessione sul versante giuridico dello stesso processo, descritto analiticamente nelle pagine della Sociologia del diritto, e a quello relativo alla mentalità che, come ricordato, viene affrontato anzitutto nelle celebri pagine dell’Etica protestante. Che si tratti dell’Instmann che, svincolandosi dalla comunità domestica dello Junker, entra a far parte di un proletariato senza patria, o di quel Cristiano descritto da John Bunyan nel Pilgrim’s Progress, il 17 MWG III/6, p. 228 (Wg, p. 150; SE, p. 122). MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ 186 quale, trascurando completamente la moglie e i bambini che pur si aggrappano a lui, procede diritto per la propria strada, tappandosi le orecchie e gridando: «vita, vita eterna!»18, è sempre dello stesso processo che si sta parlando, colto da differenti punti di vista, come lascia intendere lo stesso Weber in un passo significativo delle lezioni di storia economica: Ciò che in definitiva ha creato il capitalismo è l’impresa razionale durevole, la contabilità nazionale, la tecnica razionale, il diritto razionale, ma di nuovo non questi fattori da soli: doveva aggiungersi ad integrarli l’attitudine razionale, la razionalizzazione della condotta di vita, l’ethos razionale19. La trasformazione della comunità domestica in impresa razionale è certamente analizzabile mediante un taglio di carattere meramente economico, quindi come un mutamento da una forma di agire economico (Haushalt in quanto comunità economica) ad un’altra (impresa razionale, agire economico per il profitto): nel nominare il motivo della calcolabilità, Weber associa però ad esso un mutamento essenziale nelle forme dell’accomunamento, nel modo stesso di concepirlo, e, più complessivamente, nel rapporto degli uomini tra loro. La razionalizzazione, e ancor più la cosificazione dei rapporti sociali, pensata come processo reale prima 18 PE, p. 97 (EP, p. 93). MWG III/6, p. 383 (Wg, p. 302; SE, p. 247). Come sostiene giustamente P. Schiera: «Ciò che interessava Weber era dunque lo spirito del capitalismo, ma in stretta connessione con gli “ordinamenti del mondo, quali la famiglia, la vita produttiva, la comunità sociale […]”. Il suo vero oggetto d’interesse non era allora l’ordine capitalistico in quanto tale, ma i soggetti che vi vivevano, come pure gli strumenti, culturali e psicologici, che essi dovevano impiegare per adattarvisi». Cfr. P. Schiera, Disciplina, Stato moderno, disciplinamento: considerazioni a cavallo fra la sociologia del potere e la storia costituzionale, in P. Prodi (a cura di), Disciplina dell’anima, disciplina del corpo e disciplina della società tra medioevo ed età moderna, Bologna, Il Mulino, 1994, pp. 21-46, qui p. 23. Cfr. inoltre Hennis, Il problema Max Weber, cit., p. 46 nota 42: «Ogni analisi dell’antropologia di Weber, della sua “concezione dell’uomo”, della “concezione della storia”, deve prendere le mosse dalla quotidianità, dalla realtà in cui “si è abituati a vivere”, dalla tradizione. Il carisma, e poi anche la razionalizzazione, sono in antitesi “irresolubile” con la tradizione! Sono i “costi” di questo contrasto, il “prezzo” della dissoluzione di relazioni di pietà personale (e tali sono, in sostanza, gli ordinamenti tradizionali), il tema fondamentale delle indagini storiche di Weber, e anche della sua sociologia. Tra i grandi storici, quello che gli si avvicina di più nella comprensione fondamentale della modernità è Tocqueville». 19 3. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E BUROCRAZIA 187 che come mutamento epistemologico, ha a che fare con molteplici e differenti variabili, di cui è necessario descrivere almeno alcune caratteristiche essenziali. Sotto forme diverse, è ancora una volta la domanda posta esplicitamente da Weber nelle pagine dell’Etica protestante a costituire il centro dell’interesse, vale a dire come sia stato possibile passare da forme di accomunamento tradizionale al moderno contesto associativo razionale e cosificato. Ritornerà qui utile, come si vedrà, l’indagine sulle forme dell’Haushalt, e in generale sui principi strutturali delle forme tradizionali di dominio affrontate nei precedenti capitoli. Per riprendere le argomentazioni della Sociologia del dominio, si potrebbe affermare – in termini introduttivi – che il punto cruciale del mutamento in questione consiste in una differente modalità di pensare, in primo luogo, il rapporto tra uomini, cose e luoghi in cui sono inseriti. La fondamentale separazione tra l’uomo e il proprio contesto abitativo e lavorativo, che accompagna la dissoluzione dell’Haushalt, produce una prima, essenziale frattura (Trennung), la quale interrompe, o, come vedremo, complica sensibilmente quel processo endosmosi ed esosmosi tra uomini, luoghi e cose, precedentemente descritto, che consentiva la produzione di status. A questa prima separazione consegue un processo di reciproca autonomizzazione, dal quale procede, esprimendoci sempre in termini introduttivi, una differente configurazione delle relazioni sociali: essa è riassumibile nei termini di un passaggio da una disposizione su uomini e su cose, la quale rendeva possibile il governo delle stesse (il quale è sempre governo su uomini e cose), in disposizioni di uomini e di cose, pensabili anche come indipendenti l’una dall’altra. In altri termini, è ora possibile parlare di organizzazione di uomini e cose. L’emergere strutturale dellachance dell’organizzazione costituisce una prima condizione di possibilità del sorgere del motivo della calcolabilità. MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ 188 2. Autonomia e autorizzazione Nell’attraversare la fitta trama di esempi forniti da Weber nella Sociologia del dominio, si è cercato di far emergere come il contesto tradizionale e le relative relazioni sociali – definibili, prospetticamente, come non (ancora) razionalizzate – presentassero caratteri comuni, che le rendono irriducibili sia alla singolarità del contesto moderno, sia alle forme concettuali in esso sedimentatesi. La presenza onnipervasiva della tradizione; il reiterato intreccio di gerarchie e differenze, più o meno mediate da forme di reciprocità a loro volta più o meno radicate nel costume; il darsi delle relazioni tra singoli e gruppi, ove strutturalmente possibile, secondo le forme dell’affratellamento e del contratto di status; la differente distribuzione delle risorse materiali e militari; la presenza di svariate forme di associazione in contrasto tra loro e la relativa assenza di un’istituzione sovrana: sono tutti elementi che disegnano un contesto differente rispetto ad una modernità incentrata sulle potenze della burocrazia e del mercato. Allo stesso tempo, le caratteristiche della modernità sono emerse a partire dallo sfondo tradizionale, e sono concepite da Weber non tanto come un destino, ma come uno degli esiti possibili del mutamento di questo contesto: un esito, però, storicamente realizzatosi, almeno in Occidente. Per misurare con un esempio la diversità del tessuto tradizionale, è possibile ricordare ancora la dimensione politica del compromesso, tipica in particolare del contesto feudale. Con le parole di Otto Hintze, si potrebbe affermare che i ceti non costituivano una «rappresentanza» del territorio, ma, nella loro totalità, essi costituivano il territorio stesso20. Questi tratti fondamentali, come sottolineato nel precedente capitolo, vengono presi in considerazione da parte di Weber mediante un’attenzione costante alla struttura, in senso ampio economico-sociale-militare che ne permette il dispiegamento. Nell’accezione tradizionale del termine, non si dà Herrschaft ove non sia presente un minimo 20 Cfr. Hintze, Tipologia della costituzione per ceti, in Id., Stato e società, cit., p. 22. 3. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E BUROCRAZIA 189 di reciprocità che possa costituire da fondamento della disposizione all’obbedienza, la quale però, proprio in quanto fondata su una base tradizionale, non è mai assoluta, in quanto inserita all’interno di un ambito che esorbita rispetto alla mera disposizione del comando, e che rende possibile che esso venga sempre posto al vaglio dell’ethos nel quale viene esercitato, rappresentato simbolicamente appunto dalla tradizione. Allo stesso tempo, costume e tradizione, lungi dal costituire le condizioni di possibilità del dispiegarsi dell’agire sociale, sono in realtà garantiti da una certa strutturazione dei rapporti, e sono essi stessi destinati a tramontare nel caso vengano meno quelle condizioni che rendevano efficace la continuità del loro «potere consacrante». Ciò permette a Weber di svincolarsi rispetto ad una mera dicotomia tra antico e moderno, e, pur preservando la convinzione dell’unicità del contesto a lui contemporaneo, di costruire una casistica di principi strutturali di dominio emancipata, in linea di principio, rispetto a qualsiasi presunto processo storico di sviluppo, sia esso di carattere storicista, o evoluzionistico. Il tradizionale, in Weber, non è l’antico, o il premoderno, ma il modo in cui si sono date relazioni sociali di fatto in gran parte dei raggruppamenti umani che hanno attraversato il corso della storia. Tradizionale implica quindi anche una certa modalità del darsi del rapporto tra uomini e cose, e degli uomini fra loro. La differente configurazione della relazione sociale può essere colta anzitutto a margine delle feconde considerazioni weberiane relative alla differenza tra contratto di scopo e contratto di status. Nel passaggio dalle forme di affratellamento, dalla stipulazione, dai contratti di status, dal patteggiamento, alle forme specificamente (ma non esclusivamente) moderne della comunità di mercato, agli organi di autorità e al contratto di scopo, Weber scorge a ragione una «profonda modificazione del carattere generale della libera stipulazione»21. Non si tratta chiaramente solo di formule giuridiche, nel momento in cui, come esplicita lo stesso Weber, lo 21 «tiefgreifende Wandlung des allgemeinen Charackters der freien Vereinbarung», MWG I/22-3, p. 315 (WuG, II, p. 401 - ES, III, p. 23). 190 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ scopo sia quello di determinare «l’effetto qualitativo che principi giuridici di un determinato tipo hanno sulla sfera di disposizione dell’individuo»22. Differenti principi giuridici implicano di necessità – ed è questo che interessa a Weber – differenti configurazioni delle relazioni sociali. Nell’epoca che precedette l’affermazione del contratto di scopo, della libertà contrattuale nel senso odierno e del carattere istituzionale (Anstaltcharakters) del gruppo politico, ogni comunità di consenso o associazione portatrice di ordinamenti speciali – che in base a tale qualità potremmo chiamare “comunità giuridica” („Rechtsgemeinschaft“) – era rappresentata da un gruppo di p er s one fondato su situazioni oggettive quali la nascita, l’appartenenza politica o etnica o religiosa, la condotta della vita o il tipo di occupazione, oppure sorto in virtù di un affratellamento reciproco23. Nei contesti a cui il passo fa riferimento, il diritto è considerato come una «qualità della persona, determinata dall’appartenenza ad un gruppo». È opportuno ricordare come a caratterizzare il mutamento di questa situazione siano, ancora una volta, motivi strutturali, nello specifico la «crescente differenziazione e scarsità economica dei beni monopolisticamente appropriati dalle singole cerchie di persone»24. Il riferimento esplicito è qui ai profondi mutamenti che ebbero luogo nel tardo Medioevo, con la (ri)nascita delle città e il sorgere di nuove formazioni sociali. Un tale cambiamento strutturale comporta secondo Weber quasi un rovesciamento della situazione, all’interno però di una modalità omogenea di pensare le relazioni «giuridiche»: nel contesto del diritto comune medievale, i diritti speciali «valevano ciascuno per una relazione speciale, di carattere economico o sociale»25. 22 Riportiamo la frase completa: «Aber nicht davon ist hier die Rede, sondern von der qualitativen Ausweitung der Verfügungssphäre des Einzelnen durch Rechtssätze eines bestimmten Typus», MWG I/22-3, p. 308 (WuG, II, p. 398 - ES, III, p. 19). La frase è preceduta da alcune considerazioni sui «principi giuridici» del diritto moderno considerati dal punto di vista tecnico-giuridico. 23 MWG I/22-3, pp. 361-362 (WuG, II, p. 417 - ES, III, p. 49). 24 MWG I/22-3, p. 370 (WuG, II, p. 420 - ES, III, p. 54). 25 Su questo passaggio, che richiederebbe senza dubbio un approfondimento ben più cospicuo, si procede di necessità in maniera cursoria, in quanto esso non rappresenta qui il punto focale del ragionamento. Per un volume collettaneo che intende affron- 3. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E BUROCRAZIA 191 Il diritto di corte era valido per le relazioni tra corti di signori fondiari, il diritto di signoria per i feudi di servizio, il diritto commerciale per le mercanzie e i negozi commerciali, il diritto artigianale per i negozi e le aziende degli artigiani. Ma, al di fuori di quelle relazioni puramente oggettive di competenza di questi diritti speciali, il vassallo, il commerciante, il ministeriale, il servo della gleba, il soggetto personale erano tutti nello stesso tempo sottoposti alla legge del paese. Un uomo poteva possedere nello stesso tempo terre libere e proprietà fondiarie, ed era allora sottoposto per le une al diritto di corte e per le altre alla legge del paese. Così pure un non commerciante che avesse prestato denaro sotto forma di commenda o di mutuo marittimo sottostava al diritto commerciale esclusivamente per tale rapporto. […] Quasi tutte le relazioni, per le quali valevano questi diritti speciali, avevano qualche riflesso di ceto, che riguardava cioè la posizione giuridica complessiva di una persona […]26. Un particolare diritto per ogni singola persona o gruppo, oppure un diritto peculiare per ogni relazione: il mutamento è rilevante, ed è sintomo della grande elasticità e capacità di adattamento del diritto medievale, nelle sue varie accezioni di diritto comune, singolare, speciale, locale, ecc.27 È in questa società che, per «motivi politici», produceva «un gran numero di diritti speciali», che si sviluppano per la prima volta le formazioni specifiche potenzialmente adeguate al capi- tare la Sociologia del diritto weberiana nel suo complesso, con particolare riferimento al tema della razionalizzazione e del declino del sistema giuridico tradizionale, cfr. J.P. Heurtin (a cura di), La sociologie du droit de Max Weber, Parigi, Dalloz, 2006. Sulla sociologia del diritto weberiana cfr. inoltre: A.T. Kronman, Max Weber, London, Arnold, 1983; M.A. Toscano, Evoluzione e crisi del mondo normativo: Durkheim e Weber, Roma-Bari, Laterza, 1975; S. Breuer, H. Treiber (a cura di), Zur Rechtssoziologie Max Webers, Opladen, Westdeutscher Verlag, 1984; G. Rebuffa, Max Weber e la scienza del diritto, Torino, Giappichelli, 1989; M. Rehbinder, K. P. Tieck (a cura di), Max Weber als Rechtssoziologe, Berlin, Duncker & Humblot, 1987; B.S. Turner, R.A. Factor (a cura di), Max Weber: the lawyer as social thinker, London, Routledge, 1994; M. Coutu, Max Weber et les rationalités du droit, Paris, Libraire générale de droit et de jurisprudence, 1995; M. Coutu, G. Rocher, La légitimité de l’État et du droit. Autour de Max Weber, Québec, Les Presses de l’Université Laval, 2006. 26 MWG I/22-3, pp. 370-371 (WuG, II, p. 420 - ES, III, pp. 54-55). 27 Cfr. su ciò anzitutto Grossi, L’ordine giuridico medievale, cit., in particolare pp. 223-235; F. Calasso, Medio Evo del diritto, Milano, Giuffrè, 1954, vol. I, p. 376; B. Clavero, Temas de historia del derecho. Derecho común, Sevilla, Universidad, 1977, pp. 77 ss. MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ 192 talismo moderno. Esse sono inizialmente autonome, vale a dire, etimologicamente, in grado di darsi da sé le proprie leggi. E proprio mediante il concetto di autonomia è possibile sintetizzare quella «modificazione del carattere generale della libera stipulazione» che si sta cercando di descrivere. Autonomia è, com’è noto, concetto relativo, concepibile solo in riferimento a qualcos’altro. Autonomia si può dare solo rispetto o contro qualcosa, essa può essere affermata o negata, ma la sua assolutizzazione coincide con la propria negazione; essa non può mai essere un potere assoluto di dare le leggi a se stessi, senza alcuna limitazione: in questo caso coinciderebbe infatti con quell’imposizione unilaterale che definisce il concetto di sovranità. Il concetto viene concepito da Weber come «legato all’esistenza di una cerchia di persone – di volta in volta delimitabile secondo qualche caratteristica, sia pure variabile – la quale sottostà, in virtù di un consenso o di una statuizione, a un diritto speciale che in linea di principio può essere liberamente modificato da essa»28. Nel senso definito, è irrilevante la forma che questa cerchia di persone assume: si può trattare di un’unione, di una società per azioni, di un comune (Gemeinde), di un ceto, di una corporazione, di un sindacato, di uno Stato di vassalli29. Nel contesto medievale sopra accennato, «le unioni di formazione volontaria perseguivano costantemente l’applicazione del principio della personalità per i diritti da loro statuiti», con il conseguente venire all’esistenza di un numero svariato di «comunità giuridiche, le cui autonomie si incrociavano, e tra le quali il gruppo politico – quando pur era giunto a costituire un’unità – non era che una specifica comunità»30. Anche nel caso che un gruppo si sia appropriato del «dominio ordinato dei partecipanti» tramite «la predisposizione della forza fisica e normalmente anche della forza delle armi», divenendo così – secondo 28 29 30 MWG I/22-3, p. 368 (WuG, II, p. 419 - ES, III, p. 53). MWG /22-3, pp. 368-369 (WuG, II, p. 419 - ES, III, p. 53). MWG I/22-3, pp. 364-365 (WuG, II, p. 418 - ES, III, p. 51). 3. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E BUROCRAZIA 193 definizione – un «gruppo politico»31, esso costituisce comunque una comunità tra le altre, la cui autonomia incrocia quella delle altre. Ciò è possibile solo all’interno di un contesto tradizionale, in cui nessun gruppo abbia provveduto ad una appropriazione esclusiva della legislazione, del territorio e della predisposizione all’uso della forza fisica. Ove invece questo passaggio sia avvenuto – in altre parole, ove sussista un’istituzione sovrana, e ciò accade a rigore solo nello Stato moderno – l’autonomia va concepita diversamente. Essa può consistere comunque nel possesso di un territorio e nella giurisdizione e nell’amministrazione dello stesso, anche tramite l’uso della forza fisica. Questo «dominio ordinato» può aver luogo però solo sotto forma di «autorizzazioni» da parte dell’apparato statale, il quale autorizza ad agire, entro certi limiti, in base ad una libera stipulazione32. Nel contesto del diritto comune l’autonomia è concetto generale e al contempo relativo, proprio in quanto collocato in un ambito in cui l’ente superiore, senza il riferimento al quale il concetto non sarebbe pensabile, è esso stesso concetto correlativo, la cui generalità comprende ed integra entro sé le particolarità. Ed è proprio questo lo specifico dell’esperienza giuridica del diritto comune, la cui aggettivazione sarebbe pleonastica se non pensata appunto come in costante riferimento ad altri diritti (ius singulare, iura propria) con i quali esso si deve integrare, adattare, talvolta scontrare. Va rilevato come, nel delineare la differenza rispetto al contesto moderno, Weber non manchi mai di sottolineare l’interrelazione tra dominio e struttura materiale; nello specifico, egli mette in luce la progressiva appropriazione esclusiva da parte dello Stato di tutto ciò che, nel contesto ove l’istituzione sovrana era assente, consentiva l’esplicazione di forme di reciprocità e di mediazione: il diritto (che solo nello Stato è pensabile come legi31 Cfr. anche WuG, I, p. 29 (ES, I, p. 53). Sul fatto che ciò si traduca nella realtà «nella creazione di una specie di “autonomia” di fatto delle classi possidenti in quanto tali – le sole che possano far uso di una tale autorizzazione», si tornerà oltre. Cfr. MWG I/22-3, p. 368 (WuG, II, p. 419 - ES, III, p. 53). 32 194 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ slazione nel senso di imposizione unilaterale), il territorio (quindi la proprietà, che solo ora può essere pensata come esclusiva), l’amministrazione, l’uso della forza. L’autonomia della persona Sostenere che il diritto è una «qualità della persona, determinata dall’appartenenza ad un gruppo» significa affermare che il singolo è sempre al contempo consociato, vale a dire che non può mai essere concepito astrattamente, indipendentemente dalla sfera di rapporti e relazioni in cui si trova inserito33. Può essere qui ricordato, en passant, come tale inscindibilità tra l’uomo e il suo vivere all’interno di strutture sociali costituisca a dir poco un topos del pensiero politico medievale, a partire proprio da quel S. Tommaso citato come rappresentante di un’«etica religiosa organica», e nel quale Weber ritrova argomenti così sorprendentemente lontani dalle «note proposizioni di Adam Smith»34. Non è qui il caso di riprendere aspetti di tale pensiero con i quali lo studioso tedesco di fatto non si è mai confrontato; al contempo vale la pena cogliere, al fondo dei numerosi esempi forniti, il riflesso, per quanto confuso dalla caotica superficie degli eventi e dei fatti, di una differente struttura della vita associata, non inglobabile concettualmente sotto quelle categorie costruitesi attorno alla sedimentazione istituzionale, tutta moderna, della doppia potenza del mercato e dell’istituzione statale. Pensata nella sua «razionalità immanente», essa rivela altri baricentri, altri punti di imputazione attorno ai quali ruota la continuità dell’agire sociale: le «relazioni di autorità e reverenza», che trovano la loro sede primaria nella casa per poi estendersi al 33 Già Hegel ricordava come l’intero diritto romano non conosca il principio della personalità astratta, ma semmai solo quello della «persona particolare»: la personalità stessa è quindi uno status, in contrapposizione alla schiavitù. Cfr. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, cit., § 40, p. 133. Cfr. inoltre Gierke, Das deutsche Genossenschaftsrecht, vol. II, cit., pp. 27 ss. 34 PE, p. 71 (EP, p. 69). 3. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E BUROCRAZIA 195 di fuori di essa; la tradizione, fonte di gerarchie sedimentate e di reciprocità; la terra, con il suo tipico ordinamento spaziale orizzontale, fatto di luoghi e di status; infine, una pluralità di ordinamenti giuridici. Mantenendo questa tipologia di fondo, e rivolgendo ora l’attenzione al luogo in cui si produrrà una delle fratture essenziali35 rispetto al moderno, va notato come in questo ordinamento spaziale, orizzontale e al contempo gerarchicamente ordinato, costellato di luoghi singolari e di autonomie, non sia immediatamente pensabile una distinzione chiara e distinta tra l’uomo e le cose: ogni singolo uomo è definito dal suo rapporto con il luogo in cui agisce e con le cose con cui entra in contatto, trasmettendo appunto l’immagine di un essere sempre concretamente immerso nella propria realtà, «ben incarnato» in essa «con tutto il suo fardello di fattualità»36. Si tratta di una realtà che non lo reclama mai in quanto uomo, secondo quell’«infinità» della propria soggettività nella quale Hegel avrebbe colto la differenza essenziale tra l’antichità e l’epoca moderna, principio di una «nuova forma del mondo»37. L’esistenza singolare si pone immediatamente come esistenza consociata, il singolo si pone immediatamente come Genosse, come colui che ha in sé quell’altra «anima» di figlio, padre, moglie, fratello, padrone, schiavo, membro di un gruppo parentale o di guerra, protettore, cliente, seguace, vassallo, suddito, amico38. La sua definizione, che di necessità può essere differente a seconda della relazione in cui si pone (es. l’Hausvater può essere al contempo padre, marito e padrone), può comprendere contemporaneamente svariate appartenenze, talvolta anche in contrasto tra loro, ma che di volta in volta segnano sempre anche la collocazione del singolo, o del gruppo, all’interno di un kosmos, fatto appunto di diritti soggettivi, o meglio di prerogative, privilegi, appartenenze, status. È certamente una particola35 Non l’unica, ma certamente quella che qui è posta particolarmente al centro dell’attenzione. 36 Grossi, L’ordine giuridico medievale, cit., p. 180. 37 Cfr. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, cit., § 124, p. 243. 38 MWG I/22-3, p. 316 (WuG, p. 401 - ES, III, pp. 23-24). MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ 196 rità weberiana, quella di determinare di volta in volta, con l’impulsività di chi cerca di tagliare categorie e al contempo con la pazienza certosina dell’erudito, quale specifica mistura di uomini e cose produca di volta in volta questo kosmos. È indubbio, cosa che è talvolta rilevabile anche dallo strumentario concettuale adottato, come Weber lo descriva sempre da un punto di vista prospettico, in altre parole come il suo unico reiterato interesse sia quello di determinare di volta in volta la differenza che ha segnato il passaggio decisivo verso quell’«essere divenuto così e non altrimenti» (So-und-nicht-anders-Gewordensein)39, che caratterizza le moderne relazioni sociali. Il ribadire come questo kosmos possedesse una propria intrinseca razionalità può essere quindi inteso come un’ulteriore radicalizzazione della riflessione weberiana, in quanto contribuisce a mettere ulteriormente in evidenza l’incisività dello scarto verso quel Kosmos von eigener Gesetzlichkeit40, rappresentato dalla moderna società civile in quanto distinta dallo Stato. Ben si comprende quindi perché, nell’accostare questa miriade di diritti speciali che investivano e letteralmente costituivano singoli e gruppi alle forme moderne del diritto speciale, Weber rilevi come questi più antichi diritti avessero un «carattere diverso», la cui «applicabilità» era fondata non su «qualità economiche o tecniche, bensì di ceto», vale a dire su qualità fondate su nascita, condotta di vita, appartenenza ad un gruppo (nobili, cavalieri, membri di corporazioni), e come al contempo ribadisca come ciascuna di queste relazioni fosse di volta in volta sempre determinata da una «precisa relazione sociale con determinati beni materiali», ove «tutto il diritto appare come “privi- 39 KS, WL, p. 257 (Metodo, p. 248). Cfr. H. Freyer, Die Bewertung der Wirtschaft im philosophischen Denken des 19. Jahrhunderts, 2a ed., Leipzig, Engelmann, 1939, in particolare p. 13 (in riferimento a Hegel) e p. 11 (in riferimento a Weber). 40 3. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E BUROCRAZIA 197 legio” di singole persone o cose, o di complessi individuali di persone o cose»41. Ci si trova di fronte non a singole persone e cose distinte tra loro, a cose e possessori di cose, ma a cose e persone di volta in volta integrantesi a vicenda, producendo una miriade di differenti status. Un intreccio che può raggiungere il caso limite della mancanza di status, la quale coincide appunto con la mancanza del possesso di qualsiasi cosa, compresi se stessi. Servus non habet personam: e questo in quanto non possiede il suo corpo, non ha antenati, non ha un nome, un cognome, dei beni propri42. Allo stesso modo in cui implica la possibilità della schiavitù, questo kosmos può comprendere al contempo le forme più variegate di reciprocità, la quale viene meno solo nel caso in cui la struttura materiale delle relazioni implichi la possibilità di un’appropriazione esclusiva delle risorse, della coercizione o della giurisdizione: solo in questo caso è pensabile una proprietà assoluta e inalienabile, o un comando che richieda una pronta disposizione all’obbedienza (ed una correlata disciplina razionale). Nel tentativo di comprendere la dinamica del passaggio alla singolarità della situazione moderna all’interno della riflessione weberiana potrà essere utile anticipare, in termini introduttivi, due brevi passaggi di carattere primariamente filosofico, tratti rispettivamente dalla Metafisica dei costumi e dai Lineamenti di filosofia del diritto. Si divergerà quindi per qualche paragrafo rispetto a tematiche prettamente weberiane: il richiamo preliminare di due luoghi classici della filosofia in merito al rapporto tra uomini e cose permetterà al contempo di cogliere meglio la prospettiva weberiana. Il passo kantiano concerne i paragrafi in cui il filosofo si sofferma sul diritto personale di specie reale, vale a dire del 41 MWG I/22-3, p. 366 (WuG, p. 419 - ES, III, p. 52): «alles „Recht“ erscheint als „Privileg“ von einzelnen Personen oder Sachen oder individuellen Complexen solcher». Il testo continua con l’affermazione: «Il concetto giuridico dell’“istituzione” statale in quanto tale si poneva in fondamentale antitesi con questa concezione». 42 Cfr. M. Mauss, Une catégorie de l’esprit humain. La notion de personne celle de “moi”, «Journal of the Royal Anthropological Institute», 68, 1938, pp. 263-281. 198 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ «diritto del possesso di un oggetto esterno come di una cosa e dell’uso della stessa come di una persona». Questo diritto si esplica all’interno di quella «comunità tra esseri liberi» in cui i rapporti del mio e del tuo costituiscono «lo stato domestico» (das häusliche), all’interno di una comunità che si chiama «collettività domestica» (Hauswesen)43. Il passaggio è particolarmente significativo in quanto rappresenta un singolare luogo d’incrocio tra la razionalità immanente dell’antica tradizione economica (intesa come disciplina pratica) e le nuove istanze concernenti la libertà della personalità individuale. La famiglia, «società di membri di un tutto», presenta ancora un caput, rappresentato dall’uomo, il quale «acquisisce» (erwirbt) una moglie; l’uomo e la moglie assieme, quindi «la coppia», acquisisce dei figli, e la famiglia a sua volta dei domestici44. È possibile notare come ci si trovi qui di fronte, da un lato, ad una concezione della famiglia come un tutto organico, costituito di membri, nei quali ciascuna relazione produce un legame singolare al quale viene attribuita una peculiare denominazione. Dall’altro, il rapporto «secondo natura» delle parti tra di loro, e delle parti col tutto, è letteralmente attraversato dalla concezione del «diritto dell’umanità che risiede nella propria persona», la quale, in quanto infinita, può essere concepita solo come fine e mai come mezzo. Pertanto, se nell’atto sessuale l’essere umano fa di se stesso una cosa, dato che ciò «è contrario al diritto dell’umanità che risiede nella sua propria persona»45, ciò è possibile solo alla condizione che la presa di possesso sia reciproca, di modo che, ciascuno dei due, prendendo possesso dell’altro, riconquisti nuovamente se stesso, ristabilendo la propria personalità. Pertanto, tra uomo e donna, all’interno del matrimonio, esiste un rapporto di «ugua- 43 Cfr. I. Kant, Die Methaphysik der Sitten, in Kant’s Werke, vol. VI, p. 276, tr. it. La metafisica dei costumi, 9a ed., Roma-Bari, Laterza, 2006, § 22, p. 94. 44 Ivi, § 23, p. 277 (tr. it. p. 95). G. Vidari traduce erwerben con «acquistare»: si è preferita qui la traduzione di G. Landolfi Petrone dell’edizione Bompiani, cfr. I. Kant, La metafisica dei costumi, Milano, Bompiani, 2006, qui p. 157. 45 Ivi, § 25, p. 278 (tr. it. p. 96). 3. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E BUROCRAZIA 199 glianza di possesso»46, cosa possibile solo nella monogamia: nella poligamia, infatti, una persona, dandosi completamente all’altro, acquisirebbe però dell’altro soltanto una parte, facendosi così oggetto dell’altra persona. Allo stesso modo, i genitori non possono distruggere il loro figlio «come qualche cosa di costruito», in quanto, se così fosse, «il figlio non potrebbe essere una creatura “dotata di libertà”»47. I figli, pertanto, nonostante appartengano al mio e al tuo dei genitori, non possono mai essere considerati proprietà di questi: ne deriva che il diritto dei primi non può essere né di natura reale, e neppure un diritto personale, ma appunto un diritto personale di specie reale48. Nel luogo particolarissimo dell’ambiente domestico, il principio della personalità libera penetra qui tra le maglie dell’organismo familiare, si inserisce nelle sue trame e al contempo contribuisce, almeno in parte, a scardinarne i rapporti. Da un lato, infatti, ciascuna relazione produce uno status (il marito acquisisce la moglie, marito e moglie costituiscono «la coppia» e acquisiscono i figli; padre, madre e figli costituiscono la «famiglia» e acquisiscono la servitù). Dall’altro, ciascuna singola persona (sia essa padre, madre, figlio o servo), in quanto essere umano, è dotata di libertà, e quindi concepibile solo come fine: in quanto tale, essa non può mai essere trattata come una cosa, né fatta oggetto di proprietà. È possibile notare come, per una serie complessa di ragioni che non è il caso qui di indagare, la personalità si svincoli dal rapporto con le cose, costituendo di fronte ad esse un’unità autonoma, in ultima analisi da esse indipendente e ad esse irriducibile. Se consideriamo ora Hegel, autore rispetto al quale Weber concepì sempre un rispettoso atteggiamento critico49, noteremo come, all’interno dei Lineamenti di filosofia del diritto, questo 46 Ivi, § 26, p. 278 (tr. it. p. 97). Ivi, § 28, p. 281 (tr. it. p. 100). 48 Ivi, §29, p. 282 (tr. it. p. 101). Sulla differenza rispetto al diritto romano cfr. Gierke, Das deutsche Genossenschaftsrecht, vol. II, cit., p. 29. 49 Cfr. in particolare Brief an Franz Eulenburg, 12.06.1909, in MWG II/6, pp. 172-175. 47 200 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ rapporto tra la persona e le cose venga concepito dialetticamente a partire proprio dall’opposizione immediata dei due termini. È stato notato come, mentre lo stesso Kant distingueva ancora, secondo i principi di derivazione romanistica, tra diritto delle persone, delle cose e delle azioni, in Hegel il diritto sia esclusivamente diritto a cose, secondo un’opposizione duale tra cosa e persona50. «Solo la personalità conferisce diritto a cose», pertanto il «diritto personale è essenzialmente diritto reale». La personalità contiene proprio per questo la «capacità giuridica», dalla quale deriva l’imperativo formale: sii una persona e rispetta gli altri come persone. Una cosa, a sua volta, è «l’esteriore», vale a dire «tutto ciò che è immediatamente diverso dallo spirito libero»51. Come cose possono essere pertanto considerati non solo gli oggetti, ma anche invenzioni, preghiere, pratiche religiose e tutte quelle estrinsecazioni dello spirito come «cognizioni, scienze, talenti» i quali, nel momento in cui vengono alienati (veräußert), vengono posti appunto sotto la determinazione di cose. Tra persone e cose non vi è dunque separazione, ma un rapporto dialettico tra due poli che permangono, però, in sé, nella propria autonomia. La persona non è pensabile senza le cose, e viceversa. Pertanto parlare di un’uguaglianza delle personalità è una «vuota proposizione tautologica», in quanto la personalità, concepita come entità astratta, «è appunto entità non ancora particolarizzata né posta in una differenza determinata». La personalità quindi, nel concreto, è sempre immediatamente posta all’interno dell’infinito groviglio delle sue determinazioni, anzi è essa stessa questa continua osmosi tra se stessa e la sua costante oggettivazione. Per questo motivo non è possibile parlare di un’uguaglianza delle persone; si tratterebbe infatti di una «identità astratta dell’intelletto», «al di fuori della quale cade tutto ciò che riguarda quel 50 Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, cit., §40, p. 131; cfr. inoltre S. Chignola, Fragile cristallo, Napoli, Editoriale Scientifica, 2004, p. 24. 51 Ivi, §42, p. 135. 3. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E BUROCRAZIA 201 terreno della disuguaglianza che è il possesso»52: si tratterebbe di una mera proposizione astratta. Allo stesso tempo, però, la persona non può mai alienare completamente il «tempo totale del proprio lavoro» e la «totalità della propria produzione». Alienando le proprie estrinsecazioni nella loro totalità, essa infatti alienerebbe se stessa, ricadendo quindi in una delle forme di «alienazione della personalità»: la schiavitù, la servitù della gleba, l’incapacità di possedere proprietà, la non-libertà della proprietà stessa. Pertanto, quei beni che costituiscono l’«essenza universale della mia autocoscienza» sono inalienabili. Seppur alienando parte di se stessa, la persona deve pertanto poter permanere presso sé come persona. In ciò consiste appunto la definizione del contratto: «Il contratto è il processo in cui si presenta e media se stessa la seguente contraddizione: Io sono e resto proprietario essente-per-me, escludente l’altra volontà, nella misura in cui Io, identificando la mia volontà con l’altra, cesso di essere proprietario»53. La possibilità di un contratto tra volontà presuppone pertanto il riconoscimento reciproco come persone. Allo stesso modo la persona non può essere persona se non come proprietario (anche semplicemente delle proprie facoltà); la proprietà stessa, pertanto, dal punto di vista della libertà, non è un mezzo, ma la prima esistenza della Libertà stessa, quindi della personalità. Una conferma indiretta di ciò la si trova proprio in quei luoghi in cui Hegel si confronta con quella massa di individui che si trova «sotto la misura di una certa modalità di sussistenza», con il conseguente «degrado», la «perdita del sentimento del diritto, della rettitudine e dell’onore»: si tratta della crescita del Pöbel, che coincide con la maggiore facilità a «concentrare in poche mani ricchezze sproporzionate»54. Ed è proprio con questa classe possidente, che solo nei territori ostelbici non si è ancora strutturalmente svincolata dai legami patrimoniali, e con questa 52 53 54 Ivi, § 49, p. 145. Ivi, § 72, p. 177. Ivi, § 244, p. 403. 202 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ massa di non possidenti, che nel frattempo ha acquisito una certa coscienza di sé, che è destinato a fare i conti Weber, i cui primi lavori sono svolti per quel Verein für Sozialpolitik, al centro della cui attenzione stava appunto quella Armerfrage, poi divenuta Arbeiterfrage, della quale si trattava al contempo di comprendere i moventi di sviluppo e di controllare le dinamiche55. All’interno di un contesto strutturalmente dominato, per motivi economici, da una crescente disuguaglianza del possesso, opportunamente garantita, tramite autorizzazioni e diritti speciali, dall’apparato statale, l’uguaglianza giuridica astratta e il riconoscimento della capacità giuridica del singolo individuo in quanto tale non possono che tradursi in qualcos’altro: senza il diritto, il benessere non è un Bene. Analogamente, senza il benessere, il diritto non è il Bene56. Lo stesso Weber riconoscerà come, in un contesto in cui le libertà d’azione sono garantite dallo Stato tramite «principi giuridici di autorizzazione, che creano schemi di stipulazioni valide», questi principi di autorizzazione, anche se «formalmente sono liberi a tutti, di fatto sono accessibili soltanto ai possidenti, e perciò favoriscono soltanto la loro autonomia e la loro posizione di potenza»57. Ad interessare Weber sono piuttosto le determinanti storicosociali che avevano reso possibile il prodursi di questa situazione, nonché gli effetti concreti che essa era in grado di generare in termini di formazione di raggruppamenti sociali, e di scontri tra gli stessi. Le considerazioni che egli dedica alla questione sono lapidarie: La Rivoluzione francese annullò poi, nell’area in cui ebbe influenza durevole, non soltanto ogni formazione corporativa, ma anche ogni formazione di unioni non espressamente autorizzate per uno scopo ben determinato, e 55 Cfr. A. Roversi, Il Verein für Sozialpolitik e la questione sociale, in Corni, Schiera, Cultura politica e società borghese in Germania fra Otto e Novecento, cit., pp. 61-86; Schiera, Il laboratorio borghese cit., in particolare pp. 237 ss. 56 Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, cit., § 130, p. 251. 57 MWG I/22-3, p. 426 (WuG, II, p. 439 - ES, III, p. 86). 3. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E BUROCRAZIA 203 in generale qualsiasi autonomia associativa. […] Nel codice il concetto di persona giuridica viene addirittura ignorato. Una revisione di questo sviluppo si ebbe soltanto sotto l’influenza delle esigenze economiche del capitalismo – o, per le classi non capitalistiche, delle esigenze dell’economia di mercato […]58. Il progressivo inquadramento di tutte le singole persone e situazioni in una istituzione in linea di principio fondata – almeno oggi – su un’eguaglianza giuridica “formale” è il prodotto di due grandi forze razionalizzatrici: da una parte l’ampliamento del mercato, e dall’altra la burocratizzazione degli organi delle comunità di consenso. Esse prendono il posto di quella fonte individuale di diritto arbitrario che era costituito dalla potenza personale o da un privilegio acquisito di gruppi personali delimitati monopolisticamente – cioè dall’autonomia di unioni fondate prevalentemente sui ceti59. L’affermarsi della soggettività individuale rappresenta chiaramente un processo molto complesso, di cui Weber, nell’Etica protestante, cerca di ricostruire una rilevante connessione causale. Non vi è dubbio però, considerando il complesso della produzione weberiana, che lo studioso tedesco ascrivesse una componente causale determinante anzitutto ad una serie di mutamenti strutturali, che ha a che fare con il declino del gruppo come destinatario di regole giuridiche, e con l’emergere delle due formazioni di potenza sopra nominate. L’uguaglianza giuridica, costituzionalmente riconosciuta, è anzitutto un «riflesso giuridico della comunità di mercato», nonché un elemento costitu- 58 MWG I/22-3, p. 416 (WuG, II, pp. 435-436 - ES, III, pp. 79-80). La traduzione italiana è stata qui lievemente modificata. La traduzione delle Edizioni di Comunità incorpora infatti in una sola espressione il termine «Korporationsbildung» e «Vereinsbildung autorizzata per uno scopo ben determinato». La distinzione risulta però, nel contesto del presente lavoro, particolarmente importante. Si riporta qui l’originale tedesco: «Die französische Revolution hat dann im Umkreis ihrer bleibenden Einwirkung jede Korporationsbildung nicht nur, sondern auch jede Art einer nicht für ganz eng begrenzte Zwecke ausdrücklich konzessionierten Vereinsbildung und alle Vereinsautonomie überhaupt zerstört. […] Der Code schweigt von dem Begriff der juristischen Person überhaupt, um ihn damit auszuschließen. Erst die ökonomischen Bedürfnisse des Kapitalismus und, für die nichtkapitalistischen Schichten, der Marktwirtschaft […] haben diese Entwicklung wieder rückwärts revidiert». 59 MWG I/22-3, p. 367 (WuG, p. 419 - ES, III, p. 52). 204 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ tivo dell’«organizzazione dello Stato moderno»60: si intende qui lo Stato come l’istituzione che ha monopolizzato la produzione giuridica, a scapito di tutte le preesistenti «comunità giuridiche», e il mercato come il luogo in cui si gioca pressoché esclusivamente la produzione e la distribuzione delle cose, che, proprio a causa del loro collocarsi sul mercato, possono ora esser definite merci; sono queste due potenze ad aver introdotto una nuova configurazione del rapporto tra uomini e cose, tra uomini tra loro, e, come vedremo, tra cose e cose. Prima di procedere, è importante sottolineare il riferimento alla formalità dell’uguaglianza giuridica, che in Hegel, non a caso, costituiva solo l’in sé di una serie di rapporti nella quale l’individuo era al contempo concepito come soggetto, membro familiare, cittadino61. Weber si trova di fronte una situazione differentemente strutturata, e considera ogni riferimento giusnaturalistico nulla più che come una «finzione»62: l’uguaglianza formale diventa per lui un mero strumento tecnico di dominio; dietro ad esso si cela una nuova costituzione materiale delle relazioni, la quale, proprio per il fatto di riconoscere l’uguaglianza e l’inalienabilità della persona individuale astrattamente e indipendentemente da quel «terreno della disuguaglianza» costituito dal possesso, si trasforma «nella creazione di una specie di “autonomia” di fatto delle classi possidenti in quanto tali»63. Su ciò si tornerà nello specifico più avanti. L’autonomia della cosa Dove il mercato è abbandonato alla sua auto-normatività esso conosce soltanto una dignità della cosa e non della persona, non doveri di fratellanza 60 Corsivo mio. Cfr. su ciò G. Rebuffa, Nel crepuscolo della democrazia. Max Weber tra la sociologia del diritto e la sociologia dello Stato, Bologna, Il Mulino, 1991, p. 102. 61 Cfr. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, cit., §190, in particolare p. 347. 62 Cfr. in particolare Brief an Roberto Michels, 4.8.1908, in MWG II/5, pp. 615-620. 63 MWG I/22-3, p. 368 (WuG, I, p. 419 - ES, III, p. 53). 3. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E BUROCRAZIA 205 e di pietà, non relazioni umane originarie di cui le comunità personali siano portatrici. Queste costituiscono altrettanti ostacoli al libero sviluppo della nuda comunità di mercato64. «Le cose fanno parte della società esattamente come le persone e vi sostengono una parte specifica»65. Se le cose, o le persone, o entrambe, cominciano ad entrare in movimento, a mutare di luogo, sarà inevitabilmente destinato a mutare lo stesso ordinamento della società66. A questo proposito, il passaggio cruciale si ha nel momento in cui si afferma la possibilità di un inserimento strutturale delle cose all’interno del luogo del mercato67. Il riferimento alla struttura è importante, e va ribadito: in tutti i luoghi e in tutti i tempi ci sono stati mercati, commercianti e scambi, ma solo nella singolarità del contesto moderno diventa possibile il sorgere di una comunità di mercato nel suo peculiare intreccio con l’istituzione statale, in una diade in grado di dissolvere tutte le forme comunitarie tradizionali. Due sono i processi primari da prendere in considerazione a questo riguardo: da un lato la separazione della comunità domestica dall’impresa lavorativa, dall’altro la cosiddetta democratizzazione del lusso. Essi sono strettamente legati, ma per motivi espositivi saranno affrontati isolatamente. Alla dissoluzione dell’Haushalt segue anzitutto la separazione tra luogo di lavoro e di abitazione, e in particolare tra attività lavorativa e strumenti di lavoro. Si tratta di un processo prima- 64 MWG I/22-1, p. 194 (Comunità, p. 175 - ES, II, p. 314). Si è preferito in questo caso mantenere la traduzione di Pietro Chiodi e Giorgio Giordano delle Edizioni di Comunità. 65 L’affermazione si trova in E. Durkheim, La divisione del lavoro sociale, Torino, Edizioni di Comunità, 1999, p. 133. 66 Cfr. su ciò G. Simmel, Sociologia, Milano, Edizioni di Comunità, 1989, in particolare pp. 531 ss. Cfr. inoltre B. Accarino, La democrazia insicura. Etica e politica in Georg Simmel, Napoli, Guida, 1982, qui in particolare pp. 21-53. 67 In questo senso concordo con L. Pellicani quando afferma che «la distinzione dalla quale si deve partire non è quella fra economia naturale ed economia monetaria, bensì quella fra produzione per il consumo (o economia autarchica) e produzione per la vendita (o economia di mercato)». Cfr. Pellicani, La genesi del capitalismo e le origini della modernità, cit., p. 252. 206 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ riamente economico, al quale tuttavia Weber associa un importante mutamento delle relazioni sociali. Alla fine della comunità domestica, la quale senza la comune attività lavorativa è destinata inevitabilmente a trasformarsi in qualcos’altro, consegue necessariamente il venir meno, o la differente strutturazione, di quei rapporti di autorità e reverenza che ne garantivano la continuità. Se interpretiamo il mutamento delle relazioni sociali in relazione a quello del rapporto tra membri, cose e luoghi della casa, è possibile segnalare una continuità con le argomentazioni e gli esempi contenuti nella sezione precedentemente indagata della Sociologia del dominio. È la comune attività lavorativa, infatti, a rendere possibile quelle forme di mediazione che garantivano il darsi delle relazioni tra i membri secondo le modalità comunitarie dell’Haushalt, quindi secondo le forme dell’autorità e della reverenza, intese nel senso precedentemente definito. Riprendendo il luogo dell’Haushalt come esempio, anche un autore molto vicino a Weber come Simmel sottolinea come al suo interno si produca un rapporto nei confronti delle cose di carattere primariamente «affettivo», più che utilitaristico68. Questo aspetto, di una certa rilevanza nel momento in cui si cerchi di cogliere concettualmente la forma dei rapporti domestici, è invero piuttosto collaterale all’interno del ragionamento weberiano; tuttavia esso consente l’ancoraggio ad un riferimento di carattere più strutturale. All’interno di un contesto di economia naturale, le cose della comunità domestica vi risiedono in maniera relativamente stabile. Ed è anzitutto questa stabilità, in quanto potenziale matrice di reciprocità e di stereotipizzazione, a consentire il sorgere di una serie specifica di relazioni sociali. La reiterazione del rapporto tra l’uomo, il suo luogo di lavoro e le sue cose produce una serie di usi che permea al contempo cose e persone, consentendone e definendone quella continuità della relazione sulla quale, appunto, si fonda la stessa continuità dell’Haushalt. In termini tipologici, si può pertanto affermare come questo 68 Cfr. in particolare G. Simmel, Filosofia del denaro, Torino, Utet, 1984, pp. 607-718. 3. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E BUROCRAZIA 207 peculiare rapporto con le cose contribuisca a determinare lo stesso status delle persone. In quanto rapporto tra consociati, quale che sia la sua forma specifica, la relazione sociale non si può dare secondo un (razionale) potere di disposizione69, tipico della fabbrica moderna70. La separazione tra luogo di abitazione e luogo di lavoro produce quindi un primo scarto rilevante, in quanto fa venir meno una delle condizioni che consentivano il darsi delle relazioni secondo delle modalità tradizionali. Nella sua ricostruzione tipologica, e in particolare all’interno del luogo chiave rappresentato dal contesto cittadino, Weber associa alla dissoluzione della comunità domestica l’emergere, nelle città medievali, della dimensione del mercato. Si tratta di un primo mutamento determinante, in quanto è all’interno delle differenti relazioni sociali cittadine che si producono i primi fenomeni (identificati da Weber anzitutto nella partita doppia e nella tenuta razionale dei libri) ai quali egli associa l’emergere del motivo della calcolabilità. La vera «svolta decisiva» si ha però nel momento in cui sorge la possibilità che gli oggetti di produzione trovino una loro stabile71 collocazione all’interno del mercato. Per questa stabilizzazione è essenziale il secondo processo sopra nominato: la cosiddetta democratizzazione del lusso, vale a dire quel processo per cui, per un insieme di motivi qui non indagabile nel dettaglio, una serie di prodotti non di immediata necessità materiale, i cosiddetti prodotti di lusso o loro surrogati (spezie, biancheria fine, calze, parasoli, tintorie d’indaco, Gobelins, porcellana, tele stampate, tappezzerie)72 viene riversata sul mercato e resa accessibile ad ampie masse di popolazione. La 69 Il caso limite della schiavitù rappresenta certo un’eccezione, ma va ricordato che, a rigore, il rapporto di schiavitù non è qualificabile come una relazione sociale. 70 Razionale significa qui orientata esclusivamente in base allo scopo, che è quello della redditività dell’azienda. Se tale orientamento richiede la riorganizzazione del lavoro dell’operaio fin nei singoli muscoli che ne consentono il movimento, allora sarà razionale procedere a questa riorganizzazione fino ai limiti del possibile. 71 Che non significa ovviamente immobile. La caratteristica peculiare della cosa messa sul mercato (quindi della merce) è, al contrario, quella di essere sempre in movimento e di trasformare se stessa proprio mediante questo movimento. 72 MWG III/6, p. 346 (Wg, p. 266; SE, p. 218). MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ 208 democratizzazione delle cose rappresenta la vera «svolta decisiva per il capitalismo»73, e ciò proprio in quanto permette la loro collocazione, nella loro totalità (o perlomeno in grande prevalenza) sul luogo del mercato. I beni di necessità, infatti, erano sempre stati in qualche modo oggetto di scambio: ma che lo siano tutte le cose, e che lo siano per tutti, ciò rappresenta davvero uno scarto decisivo, in quanto alimenta un processo in grado di dar forma ad una comunità, detta comunità di mercato, talmente ampia da produrre una serie di dinamiche funzionali, e talmente impersonale da scalzare tutte le comunità intermedie che rappresentino in qualche modo degli ostacoli alla sua espansione. La massificazione dello smercio, conseguente alla democratizzazione dei prodotti resa possibile dal mercato, autorizza la definizione della cosa (che ora può a tutti gli effetti esser chiamata merce) come forma elementare del modo di produzione. A rigore, solo ora la cosa è pensabile come un oggetto che soddisfa bisogni, di qualsiasi tipo, da quelli materiali a quelli della fantasia. Già in questa sua prima caratterizzazione semplice, è possibile notare come la cosa, in quanto valore d’uso, si presenti già enormemente ristretta secondo una sola sua determinante specifica: l’utilità74. La cosa si realizza solo nell’uso, ossia nel consumo, o nello scambio con qualcos’altro. Separata dal contesto in cui viene prodotta, non più in grado di produrre status o fungere immediatamente da forma di mediazione di rapporti di dominio, e di conseguenti reciprocità, essa non è più in grado di rappresentare il medium immediato di una relazione sociale. Nella sua autonomia (rispetto a chi la possiede, e rispetto al luogo in cui si trova collocata), in quanto mera cosa e nient’altro che cosa, essa è in grado di mostrare la sola caratteristica della sua (eventuale) utilità: in quanto tale, essa si presenta agli occhi del suo possibile possessore come mera res extensa, ed è pertanto passibile di essere dominata, o semplicemente consu- 73 Ibid. Cfr. su ciò G.F. Knapp, Staatliche Theorie des Geldes, 4a ed., München, Duncker & Humblot, 1923, p. 5. 74 3. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E BUROCRAZIA 209 mata. In quanto oggetto di desiderio da parte di un soggetto di essa bisognoso, ma al contempo da essa indipendente, la cosa si presenta come mezzo di soddisfazione di un bisogno all’interno di una relazione, che solo ora è pensabile razionalmente (in termini weberiani) come relazione causale. Va notato, in riferimento alle argomentazioni del primo capitolo, come solo ora sia pensabile nella propria tipicità quella relazione tra bisogno e soddisfazione in una situazione di scarsità, che definiva una delle matrici dell’economia teorica75. Allo stesso modo, solo ora l’acquisizione è pensabile a rigore, secondo la formulazione weberiana, come «atteggiamento orientato in base alle possibilità di ottenere (una volta o in modo regolarmente ricorrente, e cioè continuativo) un nuovo potere di disposizione su determinati beni»76: per beni si deve qui intendere le prestazioni e le cose disponibili sul mercato, le quali vengono appunto appetite, o a loro volta organizzate e riutilizzate al fine di produrne un ulteriore profitto. Un primo effetto di questo distanziamento tra uomo e cosa e dell’emergere della dimensione del mercato è quindi quello di bloccare (non in assoluto, ma nelle sue forme preesistenti) quel processo di endosmosi ed esosmosi che conduceva alla produzione di status. A questo proposito, come emerge nelle pagine della Sociologia del diritto, il passaggio da una struttura sociale fondata prevalentemente su contratti di status ad una primariamente incentrata su contratti di scopo indica certamente un mutamento delle forme contrattuali, ma rinvia anche ad un fondamentale cambiamento delle relazioni sociali. Il fenomeno della calcolabilità, inteso qui anzitutto come processo reale, va indagato tra le maglie di questa trasformazione. 75 Va notato ancora una volta lo sforzo weberiano di tenere assieme le formulazioni dell’economia teorica (in particolare della scuola austriaca) con l’analisi dei fattori materiali che, seppur ad essa irriducibili, rappresentano le condizioni di possibilità dei suoi successi teorici. Con particolare riferimento al concetto di bisogno, si vedano le definizioni più ampie proposte da Schmoller e Halbwachs. Cfr. G. Schmoller, Grundriss der allgemeinen Volkswirtschaftslehre, München und Leipzig, Duncker & Humblot, 1919; M. Halbwachs, Les besoins et les tendances dans l’économie sociale, «Revue philosophique», 59, 1905, pp. 180-189. 76 WuG, I, p. 48 (ES, I, p. 86). 210 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ L’autonomia delle cose-merci sul mercato, al quale vengono accompagnate77 da soggetti che sempre più reclamano il riconoscimento giuridico di possessori di merci, è uno dei vettori fondamentali di quell’oggetto-società il cui processo di formazione è intimamente legato alla possibilità crescente di rintracciare nei suoi movimenti tipici delle connessioni causali descrivibili nomologicamente. È chiaro come, in questo passaggio, l’argomentazione weberiana sia molto debitrice alle riflessioni di Marx78, di cui Weber riconosceva l’apporto decisivo già come giovane ricercatore del Verein79, posizione che trova una lampante conferma nella 77 Come ricorda Marx nel celebre secondo capitolo del libro I de Il Capitale, le cose non possono andare da sole al mercato. Tuttavia, una volta che qualcuno le ha portate, le cose trovano lì un proprio luogo differente, che conferisce loro un differente significato. Anzitutto, si staccano dalla persona, si allontanano, si rendono autonome da essa. Allo stesso tempo, esse perdono la loro unicità, in quanto entrano in confronto con altre merci. In terzo luogo, entrano in movimento, e, nel movimento, divengono anche qualcos’altro, non più solo cose, ma merci, la cui caratteristica è quella di essere, appunto, scambiabili. La merce (in quanto cosa) viene prodotta dall’uomo, e, come sempre è accaduto nella storia, il corpo della merce appare come una commistione tra materia naturale e lavoro. Tuttavia, una volta collocata sul mercato, la merce acquista la sua autonomia, presentandosi come forza lavoro oggettivata in possesso di un valore di scambio. Dall’altro lato, il lavoro umano possiede sì un rapporto immediato, seppur minimo, con la cosa (più spesso con una parte di essa), che tuttavia si oggettiva e si presenta nella sua dimensione astratta non appena esso si affacci, cristallizzato, sulla dimensione del mercato. L’enigma del denaro si dipana tra le maglie di questa duplice oggettivazione (del lavoro oggettivato sotto forma di merce e viceversa), nella forma di equivalente universale. 78 Questa catena di processi ha luogo attraverso una serie di dinamiche, che è stata analiticamente indagata dallo stesso Marx: la duplicazione, all’interno della prestazione lavorativa, tra lavoro utile e lavoro sociale; all’interno della merce stessa, tra il suo valore d’uso e il valore di scambio, fino alla formazione del denaro, merce universale, e del capitale. Il rapporto dell’uomo con la cosa acquista le forme della produzione (sempre più relativa), del consumo e della ricezione del salario. La cosa, a sua volta, trova nel lavoro umano il vero luogo decisivo della propria valorizzazione. Non è qui chiaramente il caso di riprendere le note analisi de Il Capitale: ci si limita a sottolineare come esse costituiscano il punto di partenza di molte riflessioni weberiane, le quali muovono essenzialmente dalla constatazione che il passaggio attraverso la dimensione del mercato, come ambito primario e privilegiato di associazione (come comunità di mercato), rappresenti il luogo di una differente strutturazione del rapporto tra uomini e cose. 79 Cfr. D. Lindenlaub, Richtungskämpfe im Verein für Sozialpolitik (1890-1914), 3. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E BUROCRAZIA 211 famosa confessione sull’importanza di Marx e Nietzsche fatta ad uno studente lungo la Ludwigstraße a Monaco nel febbraio del 192080. Vengono qui dati per scontati quegli ulteriori processi di cosificazione che si producono all’interno del luogo del mercato: la formazione del capitale, su cui Weber non aggiunge nulla di originale, ma nella quale riconosce il massimo veicolo della calcolabilità delle prestazioni economiche; la trasformazione dell’attività lavorativa in lavoro (Arbeit) e direzione di lavoro altrui (Leistung); la distinzione tra produzione e consumo e i correlati processi di direzione della domanda da parte dell’imprenditore; la crescente importanza, anche in termini politici, di quella forma di lotta quantitativamente misurabile concernente l’ammontare dei salari. Una trattazione un po’ più diffusa merita invece lo strumento del denaro, in quanto permette di far emergere ancor più chiaramente quel nesso tra mutamento delle relazioni sociali e crescente calcolabilità insito nel processo di cosificazione. Ne Le categorie sociologiche fondamentali dell’agire economico il denaro viene inserito all’interno di una classificazione più comprensiva delle forme possibili di scambio81, di cui rappresenta una funzione specifica. In particolare, esso viene definito come «un mezzo di pagamento convenzionale, che sia anche mezzo di scambio»82. È opportuno porre brevemente l’attenzione sul termine conven- 2 voll., Wiesbaden, Steiner, 1967, pp. 274-291; D. Beetham, La teoria politica di Max Weber, Bologna, Il Mulino, 1989, p. 35. 80 «L’onestà di un intellettuale, e specialmente di un filosofo del nostro tempo, può essere misurata dalla sua posizione nei riguardi di Nietzsche e di Marx. Chi non ammette che senza l’opera di questi due pensatori non sarebbero state possibili neanche parti essenziali della propria opera, inganna se stesso e gli altri. Lo stesso mondo spirituale nel quale noi viviamo è in larga misura un mondo segnato da Marx e da Nietzsche». La frase è riportata da E. Baumgarten, Max Weber. Werk und Person, Tübingen, Mohr, 1964, p. 554. Cfr. anche Hennis, Il problema Max Weber, cit., p. 193. 81 Una definizione di scambio viene offerta da Weber in WuG, I, p. 37 (ES, I, p. 67): «Per i nostri scopi è necessario definire provvisoriamente come scambio, nell’accezione più vasta, ogni offerta – fondata su un accordo formalmente libero – di prestazioni di utilità di qualsiasi specie che siano attuali, continuative, presenti o future, in cambio di qualsiasi specie di prestazioni reciprocamente offerte». 82 WuG, I, p. 39 (ES, I, p. 70). 212 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ zionale (chartal), ripreso esplicitamente dalla Staatliche Theorie des Geldes di Knapp83, scopo della quale è quello di analizzare il denaro come una «creazione dell’ordine giuridico», considerandolo anche dal punto di vista storico-giuridico84. La stretta interrelazione, più volte sottolineata, tra l’istituzione statale e la potenza del mercato trova qui una specifica ricaduta teorica all’interno di una definizione categoriale. Per motivi di opportunità (non di necessità), è possibile parlare di una «situazione di mercato» solo in presenza di uno scambio in denaro85. Il motivo di ciò risiede nel fatto che solo quest’ultimo è in grado di garantire un’«espressione numerica unitaria»86 di tutti i beni e delle prestazioni, garantendo quindi il massimo grado di comparabilità, di quantificazione e di prevedibilità delle transazioni. Questo incremento di calcolabilità ha tuttavia esso stesso un prezzo, consistente nella standardizzazione e nella omogeneizzazione delle merci che consegue alla primaria accentuazione della loro quantificabilità rispetto alla loro specifica qualità. Il processo di universale quantificazione dei fenomeni coinvolge di necessità le prestazioni d’utilità87 nella loro complessità: non solo i beni quindi, ma anche le prestazioni di utilità umane, siano esse «disponenti» oppure «orientate in base a disposizioni»88. Persone e cose quindi, sotto forma di merci, forza lavoro e attività direttive, si ritrovano tutte immerse in questo necessario processo di uniformazione che, nel renderle tutte quantificabili, le assimila 83 Cfr. WuG, I, p. 41 (ES, I, p. 74) e Knapp, Staatliche Theorie des Geldes, cit., in particolare pp. 20 ss. 84 Cfr. Knapp, Staatliche Theorie des Geldes, cit., p. 1. 85 Cfr. WuG, I, p. 43 (ES, I, p. 78). 86 Ibid. 87 Sul concetto di prestazione d’utilità cfr. WuG, I, p. 34 (ES, I, p. 62): «Per “prestazioni di utilità” si debbono intendere sempre le singole possibilità concrete (reali o supposte) – valutate come tali da parte di uno o di più soggetti economici – di impiego presente o futuro, in vista della cui importanza quale mezzo per conseguire gli scopi del soggetto economico (o dei soggetti economici) può essere orientato il suo (o il loro) agire». Le prestazioni di utilità possono essere prestazioni di oggetti non umani (materiali): in questo caso si deve parlare di beni (Güter); oppure possono essere prestazioni umane, e pertanto si deve parlare di prestazioni (Leistungen). 88 Cfr. WuG, I, p. 62 (ES, I, p. 110). 3. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E BUROCRAZIA 213 all’interno del medesimo processo produttivo. La stessa vita e la libertà di movimento individuali, considerate giuridicamente come res extra commercium e in quanto tali distinte dalle cose (che ora si presentano sempre più come merci, dentro e fuori dal mercato), sono ora inglobate, in quanto fattori produttivi calcolabili, all’interno del medesimo processo che coinvolge la vita sociale delle cose. Ciò rende possibile, come si vedrà oltre più analiticamente, la massima calcolabilità delle prestazioni di utilità, del bilancio e del calcolo del capitale. Il denaro è quindi pensabile come effetto collaterale di altri due processi rilevanti e, ancora una volta, correlati: l’omogeneizzazione della merce (compresa la forza lavoro), al fine di rendere possibile la sua quantificazione, ed una nuova, differente strutturazione del rapporto tra persona e cosa, nei termini di una reciproca cosificazione e personificazione89. In altre parole, nel penetrare il processo di quantificazione e economicizzazione di cui il denaro è una componente rilevante, Weber vuole segnalare l’intensità del mutamento da esso provocato all’interno delle forme di relazione sociale. Dopo aver descritto analiticamente le funzioni del denaro, egli evidenzia come quest’ultimo, proprio per le stesse ragioni che lo rendono il «mezzo di calcolo economico “più perfetto”»90, non sia pensabile di fatto come una mera «“unità di calcolo”»91, puramente nominale. Esso è infatti, scrive Weber, «denaro», il che significa che nella sua valutazione è sempre implicito un «apprezzamento di rarità»92 di ciò che ne permette la formazione (quindi delle merci, del capitale, delle prestazioni e del lavoro), e delle possibi- 89 Riprendendo l’espressione marxiana, di una «personificazione dell’oggetto e oggettivazione della persona» (Personificirung der Sache und Versachlichung der Personen), cfr. Il Capitale, 7a ed., Roma, Editori Riuniti, 1973, vol. I, p. 123 (MEGA, Abt. II, Bd.10, p. 106). Cantimori traduce con «oggettivazione» il termine tedesco Versachlichung, che si è preferito rendere in questo testo con “cosificazione”. 90 Cfr. WuG, I, p. 45 (ES, I, p. 81). 91 WuG, I, p. 42 (ES, I, p. 74). 92 Ibid. 214 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ lità economiche (e non solo economiche!)93 che esso rende possibili. Pertanto: Il “denaro” non è una innocua “designazione di prestazioni di utilità indeterminate”, che possa venire alterata arbitrariamente senza incidere in modo fondamentale sul carattere dei prezzi stabilito mediante la lotta tra gli uomini; esso è in primo luogo un mezzo di lotta e un prezzo di lotta, e costituisce un mezzo di calcolo soltanto nella forma di espressione valutativa, in termini di quantità, delle possibilità di una lotta di interessi94. Tra le pieghe della calcolabilità, dei processi economici di quantificazione e di quelli reali di cosificazione delle relazioni sociali, si cela pertanto quello scendere a patti di caso in caso tra individui e gruppi sociali sul terreno solo in apparenza neutrale del mercato. Il denaro e il calcolo del capitale95, dietro la forma avalutativa e universale delle leggi economiche che ne descrivono i flussi, rappresentano di fatto una delle forme più importanti della lotta e del compromesso, non più di gruppi sociali caratterizzati da una (possibile) appartenenza extra commercium, ma tra gruppi direttamente coinvolti all’interno della logica del mercato. Sono mutate forse le forze in campo, ed è certamente mutato il campo di battaglia, ma non è certo venuto meno lo scontro e la lotta degli interessi tra differenti raggruppamenti sociali, di cui la lotta tra possidenti e non rappresenta ora certamente la cesura essenziale, seppur non l’unica modalità del suo darsi. Su quali siano le regole del gioco, vale a dire gli assetti materiali che defi93 Cfr. ibid. Su ciò, il testo di riferimento obbligato è tuttavia ancora Simmel, Filosofia del denaro, cit., che Weber conosceva molto bene. 94 Cfr. WuG, I, p. 58 (ES, I, p. 103). Anche in questa formulazione sociologica (come in molte altre, per esempio nella stessa espressione «apprezzamento di rarità») sulle conseguenze materiali dell’uso tipico del denaro secondo la definizione data è implicita l’acquisita lezione mengeriana relativa alle leggi sulla formazione del prezzo. Cfr. C. Menger, Grundsätze der Volkswirtschaftslehre, 2a ed., Wien, Hölder-PichlerTempsky, 1923. Cfr. inoltre P. Breiner, The Political Logic of Economic and the Economic Logic of Modernity in Max Weber, «Political Theory», 1/23, 1995, pp. 25-47, qui in particolare pp. 35-36: l’articolo è comunque prevalentemente dedicato ad un confronto, a tratti piuttosto analitico, tra alcune definizioni weberiane in ambito economico (tra cui quella appunto di denaro) e le formulazioni della scuola marginalista, con particolare riferimento a Menger. 95 Cfr. WuG, I, p. 49 (ES, I, p. 88). 3. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E BUROCRAZIA 215 niscono le condizioni del conflitto, ci si soffermerà in un successivo paragrafo del presente capitolo. Si analizzerà nel capitolo successivo come questo patteggiare, questa lotta, coinvolgano di necessità le stesse regole; fuor di metafora: come essi si producano anche all’interno del conflitto politico. 3. Entsittlichung: la fine della tradizione Seguendo le argomentazioni con cui Weber lega determinati processi materiali ai mutamenti delle relazioni sociali, è possibile cogliere un’ulteriore radicalizzazione dell’autonomizzazione (si potrebbe qui parlare forse anche di sublimazione)96 delle cose (merci), e del conseguente incremento proporzionale dell’impersonalità delle relazioni sociali. Ancora una volta Weber è interessato al nesso tra relazione sociale e calcolabilità, emergente in questo caso tra le pieghe di quella forma prevalente di relazione sociale rappresentata dallo scambio contrattuale. Ad una prima approssimazione, lo scambio in genere si presenta già di per sé dotato di una certa dose di impersonalità; il luogo nel quale si produce, il mercato, assume originariamente le forme di una sociazione tra estranei, vale a dire tra non consociati (Ungenossen). Una sua forma caratteristica può essere rintracciata nell’esempio dello «scambio muto», nel quale i due contraenti, tra loro estranei, evitano il contatto personale, e presentano la loro offerta depositando la merce in un luogo stabilito, finché uno dei due porta con sé la merce dell’altro, o se ne va insoddisfatto97. 96 Con il termine sublimazione, che Weber applica in verità al processo di sistematizzazione (nel senso del divenire sistema) e di razionalizzazione del diritto, si intende quel processo per cui le cose si staccano sempre più dal loro luogo e dalle persone che le producono o le utilizzano, per dar vita, anzitutto tramite il loro inserimento sistematico all’interno del processo sociale di scambio, a dinamiche le quali, seppur siano determinate al fondo sempre da scelte umane (in particolare dallo scontro di interessi), conquistano una loro autonomia di movimento, che le rende sempre più descrivibili in termini nomologici: la forma tipico-ideale di questo processo è costituita dalle speculazioni della borsa. 97 MWG I/22-1, p. 195 (Comunità p. 176 - ES, II, p. 315). MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ 216 Una tale considerazione sul grado relativo di impersonalità dello scambio può concernere numerosissime forme di scambio storicamente date. Una prima sublimazione rispetto a questa forma generica ha luogo nel darsi dello scambio come processo sociale. Al suo interno, infatti, nessuna permuta ha più carattere personale, ma è mediata da condizioni esterne ed eterocefale rispetto alle volontà dei singoli contraenti, le quali sono ora componenti di una «volontà sociale fittizia»98; essa è a sua volta determinata dal prezzo di mercato, nonché dai costi di produzione della merce, i quali rendono la singola contrattazione, nella maggior parte dei casi, un evento nel quale le possibilità di mediazione personale sono pressoché ininfluenti. Le condizioni dello scambio non sono stabilite, in altre parole, dalla singola volontà ma sempre a partire dalla contemporanea e potenziale volontà di tutti gli aderenti al mercato. Un’ulteriore significativa sublimazione ha luogo nel momento in cui ad essere inserita nel processo sociale di scambio, e quindi ad essere trasformata in merce, è quella stessa realtà sostanziale che permetteva il legame tra l’uomo e il luogo della propria attività lavorativa, tra l’essere umano e la sua opera: la terra. Ci ricorda ancora Marx come gli uomini abbiano fatto dell’uomo stesso, nella forma dello scambio, il materiale organico del denaro, ma mai della terra: ciò poteva succedere solo in una società borghese già perfezionata, nella quale uomini, autonomi rispetto ad altri legami (la terra, la comunità), si presentano liberi sul mercato, pronti a legarsi a chiunque permetta loro di soddisfare il «pungolo della fame»99. Allo stesso modo, con la mercificazione anche della terra, tutto diventa potenzialmente merce, il 98 Cfr. Tönnies, Comunità e società, cit., p. 66. Sulla singolarità della proprietà esclusiva della terra vale la pena ricordare anche la nota affermazione hegeliana: «Sono già millecinquecento anni che, mediante il Cristianesimo, la libertà della persona ha iniziato a fiorire ed è divenuta, in una parte peraltro piccola del genere umano, principio universale. La libertà della proprietà, invece, è stata qui e là riconosciuta come principio, si può dire, appena ieri». Cfr. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, cit., § 62, p. 161. 99 3. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E BUROCRAZIA 217 che significa, all’interno del presente ragionamento: tutto è potenzialmente alienabile, e tutto può entrare in movimento, tutto è potenzialmente calcolabile. Ed è questo movimento, producendosi effettivamente, che determina una differente strutturazione del rapporto tra uomini e cose. È decisamente possibile ora parlare della definitiva esautorazione di quel processo di Verdinglichung dei rapporti sociali descritto nel capitolo precedente, incentrato appunto sull’osmosi tra persone e luoghi nelle quali esse lavorano e si relazionano tra loro, e dell’emergere di un processo di cosificazione, nel quale tutto si fa cosa, ed è la cosa ad essere forma elementare delle relazioni. Con la possibilità della mercificazione della terra, ad essere cosificato, infatti, non è un mero oggetto, ma il luogo stesso del darsi delle relazioni. Rientrando anch’essa nei flussi impersonali ed oggettivi delle merci e della forza lavoro, la terra trascina con sé, destrutturandolo sensibilmente, anche quell’elemento che, come ampiamente sottolineato nel precedente capitolo, garantiva il darsi della reciprocità delle relazioni: la tradizione. Con la mercificazione della terra, la tradizione perde progressivamente proprio quello specifico spazio che consentiva lo strutturarsi delle relazioni sulla base di usi, costumi, consuetudini, diritti locali sedimentati. Un esempio, ripreso dalla Staatliche Theorie des Geldes di Knapp, può chiarire ulteriormente il passaggio. In riferimento alla funzione del denaro come «portatore interlocale di valore»100, egli segnala come anche il lavoratore più legato alla terra (ad esempio un contadino che possieda una casa, un campo e del bestiame da allevare) possa, se in possesso di sufficiente denaro, vendere tutto e ricollocarsi in qualsiasi luogo egli ritenga più opportuno, e ove trovi qualcuno disposto a vendergli il terreno che gli è necessario101. L’Haushalt stesso, da «fonda- 100 Cfr. Knapp, Staatliche Theorie des Geldes, cit., p. 8. L’espressione tedesca è interlokaler Wertträger. 101 Ibid. Cfr. inoltre K. Knies, Geld und Kredit, 2a ed., Berlin, Weidmannsche Buchhandlung, 1885, vol. I, pp. 233 ss. 218 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ mento di numerose comunità umane al di fuori di esso», è divenuto, inglobato nel processo di livellamento generale operato dal processo sociale di scambio e dal denaro, una merce come tutte le altre. Al posto della terra e della tradizione, è ora il denaro a definire le relazioni, distruggendo status e reciprocità, e creando altre differenze, strutture e associazioni, purché siano disposte a passare attraverso la sfera del mercato. D’altronde, vi sono per lo più costrette. In sintesi, la possibilità del venir meno dell’elemento della terra come luogo di sedimentazione di relazioni, pratiche, usi e consuetudini porta conseguentemente con sé la progressiva esautorazione dell’elemento della tradizione nel senso con cui questo termine viene utilizzato all’interno della Sociologia del dominio. Il definitivo esaurimento dell’elemento tradizionale ha luogo tuttavia solamente con il venir meno di un’altra componente fondamentale del concetto di tradizione, vale a dire la sua specifica temporalità. Come evidenziato nel capitolo precedente, è infatti la possibilità che le relazioni sociali acquistino lentamente una loro stabilità negli usi e nei costumi a rendere possibile la formazione di quell’insieme di consuetudini definite appunto come tradizionali. La messa sul mercato della terra non è tuttavia l’ultimo passo del processo di sublimazione qui delineato. Proprio davanti agli occhi attenti di Weber se ne sta svolgendo un altro: il suo luogo è la borsa di Berlino. Di fronte alle sue speculazioni vige un’ostilità intellettuale palpabile e diffusa, dalla quale tuttavia Weber non si fa coinvolgere più di tanto, affrontando, come di consueto, la questione sine ira et studio, e giungendo quindi alla conclusione, tutt’altro che avalutativa e neutrale, che la borsa rappresenti un fenomeno necessario della moderna economia di mercato102. La borsa è difatti il luogo in cui si rendono evidenti le conseguenze di un altro evento altrettanto fondamentale quanto la 102 Per quanto concerne gli scritti sulla Borsa, cfr. K. Borchardt, Einleitung, in MWG I/5, pp. 1-111; Id., Max Weber’s Writings on the Bourse: Puzzling Out a Forgotten Corpus, «Max Weber Studies», 2/2, 2002, pp. 139-162; S. Lestition, Historical Preface to Max Weber, “Stock and Commodity Exchanges”, «Theory and Society», 3/29, 2000, pp. 289-304. T.M. Kemple interviews C. Meyer-Stoll, The Last Hand: on 3. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E BUROCRAZIA 219 mercificazione della terra, seppur nell’immediato meno percepibile: si tratta della disancorazione, protetta e autorizzata dalla legislazione, del fondamentale strumento della contrattazione rispetto alla proprietà, che consente ora l’utilizzo del contratto come mero mezzo di speculazione, e quindi rende possibile un mercato degli stessi capitali103. Ci si trova di fronte ad uno dei fattori decisivi della commercializzazione del diritto privato, adeguata al crescente economicismo della commercialistica tedesca104, non a caso in buona parte influenzata proprio da quel Levin Goldschmidt con cui Weber scrisse la sua tesi di dottorato. Vale la pena ricordare come Weber indichi a più riprese nella borsa il luogo in cui ha quotidianamente sede la forma più impersonale, e al contempo più perfettamente razionale di agire economico. Nella borsa, la cui diffusione rappresenta un evento a lui contemporaneo, egli vede raggiunto il punto culminante del processo di razionalizzazione dell’agire (economico); se colto dal lato dei processi materiali che lo hanno reso possibile, si constaterà che essa rappresenta il luogo specifico della compiuta cosificazione delle relazioni sociali. Considerato dal punto di vista della sua incidenza materiale, va segnalato come anche l’emergere della speculazione comporti delle conseguenze rilevanti, perlomeno quanto quelle legate alla mercificazione della terra, alla quale è d’altronde collegato. Si è sottolineato come la mercificazione comporti la cosificazione di uno dei fattori decisivi che garantiva, all’interno dei rapporti tradizionali di dominio, il loro darsi secondo delle forme di reciprocità. Ora, se la trasformazione della terra in merce può essere definita come il venir meno dello spazio della tradizione, la possibilità della speculazione rappresenta l’elemento predomi- the Craft of Editing Weber’s ‘Börsenschriften’, «Max Weber Studies», 2/3, 2003, pp. 169-198; Swedberg, Afterword: The Role of the Market in Max Weber’s work, cit. 103 Si potrebbe dire una mercificazione dei capitali, espressione che suona certo come una contradictio in adjecto, ma che rende in maniera incisiva l’idea di che cosa si intenda per processo di sublimazione della merce. 104 Cfr. V. Piergiovanni, Diritto commerciale nel diritto medievale e moderno, in Digesto delle discipline privatistiche. Sezione commerciale, Torino, Utet, 1989, vol. IV. 220 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ nante dell’esautorazione della sua specifica forma di temporalità. Un’istituzione fondata solamente sulla prevedibilità e sul calcolo, qual è la borsa, non può essere rivolta al passato, ma sarà di necessità strutturata primariamente sull’aspettativa del futuro, in quanto solo le rappresentazioni rivolte al futuro sono pienamente commensurabili105. In altre parole, con l’emergere della calcolabilità come base del processo di produzione, è destinata a mutare la stessa concezione del tempo, il quale diviene ora una risorsa scarsa, al pari delle altre, e in quanto tale deve essere economizzata106. Su questo aspetto, ripreso soprattutto dalle riflessioni economiche della scuola austriaca, Weber non fa tanto riferimento ad un mutamento concettuale della nozione di tempo, quanto alla profonda differenza nelle pratiche economiche quotidiane. I titoli di credito, il risparmio, il bilancio, il conto profitti e perdite, la stima delle attività e delle passività, fino agli investimenti in borsa: si tratta di pratiche, e, in ultima analisi, di azioni, primariamente orientate sulla base di possibilità future di impiego, profitto, rendita ecc. Il calcolo è, quindi, l’elemento che scardina definitivamente il ciò che è da sempre che caratterizzava l’agire tradizionale; esso è rivolto al futuro, e sulla base del futuro si orientano le conseguenti scelte e disposizioni107. 4. Cosificazione dell’economia La specificità storica dell’epoca capitalistica, però, e quindi anche l’importanza della teoria dell’utilità marginale (come di ogni teoria economica 105 Cfr. su ciò E. Böhm-Bawerk, Teoria positiva del capitale e excursus, Torino, Utet, 1957, p. 311. 106 Cfr. L. von Mises, L’azione umana. Trattato di economia, Torino, Utet, 1959, p. 97: «L’uomo è soggetto al passare del tempo. Viene al mondo, cresce, invecchia e muore. Il suo tempo è scarso. Deve economizzarlo come tutti gli altri fattori scarsi». 107 Cfr. Böhm-Bawerk, Teoria positiva del capitale e excursus, cit., p. 309: «Infatti il futuro ha larga parte nella nostra vita economica, una parte più larga di quanto ordinariamente si pensa. È una verità banale, a ben vedere, che la nostra condotta economica propriamente è diretta solo in minima parte al presente e per la parte preponderante al futuro, ma tuttavia questa verità è di rado colta nella sua intera portata». 3. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E BUROCRAZIA 221 del valore) per la comprensione di quest’epoca, poggia sul fatto che – mentre la storia del passato è stata a ragione designata come storia della non-economicità – nelle condizioni di vita odierne l’avvicinamento della realtà ai principî teorici è in costante aumento, coinvolgendo il destino di strati sempre più ampi della popolazione, e per quanto ci è dato di prevedere andrà sempre più aumentando108. Come ha giustamente osservato Landshut, nell’espressione Entsittlichung der Ökonomie è rintracciabile un processo che non può coinvolgere l’economia come scienza ma necessariamente l’economia intesa come realtà109. Ciò significa, e Weber lo sapeva bene, che dietro ai trionfi dell’economia teorica, dietro l’indiscutibile funzionalità e precisione delle sue leggi, si celava una precisa costituzione materiale dei rapporti sociali, che era volta a garantire non una vita associata più adeguata o più felice110, ma piuttosto la funzionalità e la continuità di determinati assetti strutturali, che vanno ora nominati. Avvicinamento costante della realtà ai principi teorici significa quindi cosificazione dei rapporti sociali, vale a dire costituzione della realtà in modo tale da garantire la prevedibilità e la calcolabilità, e quindi la continuità delle dinamiche fondamentali sulle quali essa si fonda. Gli elementi determinanti di questa costituzione, da un punto di vista per ora primariamente economico, sono nominati da Weber sia nelle Categorie sociologiche fondamentali dell’agire economico che nelle lezioni di storia economica111. Il presupposto generale è quello della presenza di una comunità politica (lo Stato), che abbia provveduto alla monopolizza108 GL, WL, p. 395 (Metodo, p. 377). Landshut, Historische Analyse des Begriffs des Ökonomischen, cit., p. 42. 110 Sul rifiuto da parte di Weber a qualsiasi tipo di ideale eudemonistico cfr. Mommsen, Max Weber e la politica tedesca, cit., p. 179; B. Accarino, Le frontiere del senso. Da Kant a Weber: male radicale e razionalità moderna, Milano, Mimesis, 2005, pp. 129 ss. 111 Essi sono: 1. la libera appropriazione di tutti i mezzi materiali di produzione (terra, apparecchiature, macchine, strumenti ecc.) come libera proprietà da parte di imprese autonome volte all’acquisizione. 2. la libertà di mercato del lavoro e dei beni, che implica di necessità l’eliminazione di tutte le realtà cetuali, a meno che esse non ruotino (o si riformino attorno) alla possibilità di sfruttamento (monopolio) delle risorse del mercato stesso. 3. tecnica razionale, cioè altamente calcolabile, e che richiede 109 222 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ zione dell’uso della violenza legittima e della legislazione generale, e che regoli, tramite autorizzazioni e diritti speciali (ad agire liberamente), i propri soggetti, i quali a loro volta si accomunano attorno alla comunità di mercato. Proprietà e appropriazione Il primo elemento materiale che contribuisce a garantire la massima calcolabilità dell’agire economico consiste nell’appropriazione da parte dell’imprenditore di tutti i mezzi materiali di produzione. È chiaro come una prima giustificazione di tale esigenza consista nella possibilità di consentire al massimo grado il calcolo del capitale, sul quale si fonda il bilancio e in ultima analisi l’intero esercizio dell’attività imprenditoriale, tuttavia non è questa l’unica motivazione addotta. Solo un’appropriazione esclusiva di tutti i mezzi di produzione – tra i quali Weber nomina la terra, le apparecchiature, le macchine, gli strumenti – consente a colui che è dotato della facoltà di svolgere la prestazione di utilità direttiva (Leistung) di porsi di fronte alle cose secondo una mera disposizione calcolatoria. In altre parole, solo se l’imprenditore si è appropriato112 – non da ultimo anche grazie alla legislazione – dell’esclusiva sulla disposizione di cose e persone, egli potrà agire in maniera da calcolare quale migliore assetto quindi la meccanizzazione, sia nella produzione sia nel commercio. 4. diritto razionale, cioè suscettibile di calcolo. 5. lavoro libero, che vi siano cioè delle persone non solo in grado giuridicamente di vendere in modo libero la loro forza di lavoro sul mercato, ma che siano anche economicamente costrette a farlo. 6. commercializzazione dell’economia, vale a dire la possibilità di un esclusivo orientarsi della copertura del fabbisogno sulla base di opportunità di mercato e di un calcolo di redditività. Cfr. MWG III/6, pp. 319-320 (Wg, pp. 239-240 - SE, pp. 196-197). Per un’inquadratura generale sulla storia economica weberiana, vale a dire sulle lezioni di storia economica del semestre invernale del 1919-1920, cfr. K. Tribe, Max Weber’s ‘Conceptual Preface’ to General Economic History: Introduction and Translation, «Max Weber Studies», Beiheft 1, 2006, pp. 11-38. 112 Sul concetto di appropriazione, può rivelarsi utile cogliere l’utilizzo del termine alla luce della lettura di un altro autore molto noto a Weber, Rudolf von Jhering, cfr. in particolare R. von Jhering, Sul fondamento del possesso: una revisione della teoria del possesso, Milano, Vallardi, 1872. 3. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E BUROCRAZIA 223 gli consenta la massima razionalizzazione delle risorse, e quindi di ottenere il massimo profitto possibile. Sono state qui nominate sia le cose che le persone, in quanto solo conseguentemente all’appropriazione unilaterale è possibile considerare anche l’attività lavorativa nei termini di una res calcolabile (in definitiva, in termini di forza lavoro). All’interno del contesto dell’impresa, il lavoratore, materialmente provvisto della sua sola forza lavoro, funge pertanto da mero strumento al fine dell’ottenimento del profitto. All’interno della logica economica dell’impresa113, non deve sviare il fatto che il lavoratore sia concepibile solo come persona, e non sia trattabile pertanto al pari di uno schiavo. In termini economici, infatti, come acutamente rilevato da Weber, finché la sua capacità giuridica in quanto persona viene riconosciuta solamente nel suo lato formale, ciò rappresenta per l’impresa certamente un vantaggio, anzitutto (ma non esclusivamente) in quanto il lavoratore sarà costretto a portare sulle sue spalle tutto ciò che non lo coinvolge in quanto mera forza lavoro, quindi la famiglia, i figli, in una parola: la propria sussistenza e quella dei suoi cari114. È possibile comprendere pertanto con maggiore chiarezza per quale motivo Weber, nelle pagine della Sociologia del dominio, abbia paragonato le condizioni del lavoratore di fabbrica a quelle degli schiavi accasermati cartaginesi. Dal punto di vista sociologico le condizioni sono di fatto assimilabili, in quanto in entrambi i casi, mancando qualsiasi possibilità materiale di mediazione tra dominanti e dominati, il potere di disposizione del dominante si risolve nel concreto in un esercizio non passibile di alcuna forma di resistenza. Ciò vale anche nel caso delle condizioni di fabbrica, le quali possono essere rifiutate 113 Sono dunque qui per il momento escluse ulteriori considerazioni di carattere politico. 114 Cfr. WuG, I, pp. 94-95 (ES, I, p. 162), dove Weber, dopo aver riconosciuto che il «lavoro non libero (in particolare la schiavitù)» assicura «una disposizione più illimitata sui lavoratori, dal punto di vista formale, che non l’impiego di salario», sintetizza, in alcuni punti, i motivi fondamentali per cui la schiavitù presenti di fatto una serie di componenti materialmente irrazionale che andrebbe ad inficiare, in ultima analisi, la redditività dell’impresa. MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ 224 (ma il rischio, troppo grosso, è quello di perdere la propria unica possibilità di sussistenza), oppure possono essere modificate solo tramite una pressione sulla legislazione, vale a dire mediante un intervento esterno rispetto alle sue condizioni strutturali. Libertà del mercato del lavoro e dei beni Questo punto concerne la possibilità che le cose e le persone possano aggirarsi liberamente sul luogo del mercato, le prime in cerca della loro più appropriata utilizzazione, le seconde della loro possibilità di sopravvivenza. Su questo aspetto si è già insistito nei paragrafi precedenti. Qualcos’altro può essere detto relativamente al carattere formale dell’uguaglianza e delle garanzie per il cittadino. Riconoscere libertà e uguaglianza a tutti, ma a tutti astrattamente e nella stessa misura, secondo una semplice uguaglianza aritmetica, ha indubbiamente il vantaggio di favorire la calcolabilità delle prestazioni: per poter procedere al calcolo è necessario poter disporre di elementi omogenei, quindi assommabili. Se la calcolabilità è garantita, lo è anche la funzionalità, perlomeno fino ad un certo punto (cioè fino a che ciò non produrrà un’ipertrofia di burocratizzazione). Al contempo, è necessario guardarsi bene dal pensare che l’uguaglianza astrattamente concepita (in opposizione al contesto tradizionale in cui a ciascuna relazione corrispondeva un diritto!) costituisca una «diminuzione di vincoli» e un «aumento della libertà individuale»115. Nelle pagine della Sociologia del diritto, Weber è consapevole di questo aspetto, che egli avrebbe definito un «risvolto» materialmente irrazionale di una compiuta razionalità formale116. La libertà, egli afferma, è garantita da un’«autonomia 115 MWG I/22-3, p. 425 (WuG, II, p. 439 - ES, III, p. 85). Giustamente W.J. Mommsen sostiene che queste considerazioni weberiane venivano in parte ad anticipare quella che sarebbe stata la successiva critica di H. Marcuse. Cfr. Mommsen, Max Weber e la politica tedesca, cit., pp. 183-184; Id., The Age of Bureaucracy. Perspectives on the Political Sociology of Max Weber, Oxford, Blackwell, 1974, pp. 67 ss.; H. Marcuse, Cultura e società. Saggi di teoria critica, 3a ed., Torino, Einaudi, 1969; Id., Industrializzazione e capitalismo, in O. Stammer (a 116 3. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E BUROCRAZIA 225 di autorizzazione regolamentata mediante schemi giuridici»117: il cittadino è libero solo nei limiti di tale autorizzazione, la quale, spesso e volentieri, è volta a garantirgli la possibilità di agire in maniera formalmente libera sul mercato. Pertanto, per comprendere il grado di effettiva libertà da parte del cittadino o del gruppo, si dovrà guardare non ciò che l’autorizzazione consente, ma piuttosto i luoghi sui quali al contrario l’autorizzazione tace, e che quindi, all’interno di un sistema giuridico razionalizzato e sistematico, non prende neppure in considerazione. Inoltre, all’interno di una società dominata dal rapporto contrattuale tra privati, che Weber definisce una «comunità di contratto», la possibilità di determinare ad arbitrio il contenuto di un contratto non garantisce affatto che tale possibilità sia accessibile a tutti. E ciò anche ed anzitutto perché tale libertà, individuale e formale, lascia fuori dal diritto tutto quel «terreno della disuguaglianza» che è costituito dal possesso: come afferma Weber, «a ciò [al fatto che la libertà sia garantita a tutti] fa ostacolo anzitutto la differenziazione dell’effettiva distribuzione del possesso, garantita dal diritto»118. Il diritto formale di un lavoratore di concludere un contratto di qualsiasi contenuto con qualsiasi imprenditore non implica praticamente che il lavoratore in cerca di occupazione abbia la minima libertà di determinare le proprie condizioni di lavoro, e di per sé non gli garantisce nessuna influenza in questo senso. Da ciò deriva soltanto, in primo luogo, la possibilità per il più potente sul mercato – in questo caso, normalmente, l’imprenditore – di fissare a suo arbitrio quelle condizioni e di offrirle al lavoratore in cerca di lavoro perché questo le accetti o le rifiuti; il che – data la normale maggiore urgenza economica del bisogno di lavoro per chi cerca lavoro – si traduce in un’imposizione unilaterale. Il risultato della libertà contrattuale è quindi in primo luogo quello di offrire la possibilità di usare senza limitazioni giuridiche del possesso di determinati beni, per farne – mediante un accorto impiego sul mercato – uno strumento di acquisizione di potere. I soggetti che hanno interesse a una posizione di potere sul mercato sono anche i soggetti cura di), Max Weber e la sociologia oggi, Milano, Jaca Book, 1967, pp. 199-225. 117 «[…] einer durch Rechtsschemata reglementierten Ermächtigungsautonomie», MWG I/22-3, p. 425 (WuG, II, p. 439 - ES, III, p. 85). 118 Ibid. MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ 226 interessati a un ordinamento giuridico di questo genere. Al loro interesse risponde in prevalenza la creazione di “principi giuridici di autorizzazione” che creano schemi di stipulazioni valide, i quali – se formalmente sono liberi a tutti – di fatto sono accessibili soltanto ai possidenti, e perciò favoriscono in ultima analisi soltanto la loro autonomia e la loro posizione di potenza119. Questa libertà formale, garantita tramite schemi giuridici, nel momento in cui sostiene e garantisce la continuità del sistema d’impresa, contribuisce al contempo a scardinare qualsiasi forma di realtà cetuale, a meno che essa non si fondi su un monopolio acquisito mediante lo sfruttamento delle possibilità di mercato. Tecnica razionale Su questo aspetto, che meriterebbe una più approfondita trattazione specifica120, ci si limita a rilevare solamente come Weber, nel cogliere la differenza sostanziale tra razionalità tecnica e razionalità economica, insista al contempo sulla loro stretta interrelazione. Il sorgere di una tecnica razionale è stato possibile solo all’interno del moderno sistema di impresa, in quanto solo qui la necessità di innovazione ai fini dell’aumento del profitto ha permesso lo sviluppo di quel circolo virtuoso tra innovazione tecnica e massimizzazione del profitto che ha accelerato enormemente le possibilità di sviluppo tecnico121. A sua volta, la tecnica è essenziale alla moderna economia d’impresa soprattutto per la sua capacità di garantire un’alta calcolabilità, sia nella produzione che nel commercio. 119 MWG I/22-3, pp. 425-426 (WuG, II, p. 439 - ES, III, pp. 85-86). Su ciò cfr. G. Schöllgen, Handlungsfreiheit und Zweckrationalität: Max Weber und die Tradition der praktischen Philosophie, Tübingen, Mohr, 1984. 121 Cfr. su ciò J. Vogel, Wissen, Technik, Wirtschaft. Die modernen Wissenschaften und die Konstruktion der „industriellen Gesellschaft“ in H. Berghoff, J. Vogel (a cura di), Wirtschaftsgeschichte und Kulturgeschichte. Dimensionen eines Perspektivenwechsel, Frankfurt am Main/New York, Campus Verlag, 2004, pp. 295-323. 120 3. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E BUROCRAZIA 227 Calcolabilità e diritto La moderna economia razionalizzata esige un diritto formale. Il principale motivo di ciò risiede nella constatazione che il potere di disposizione acquisito dal singolo imprenditore (per effetto di eredità, o tramite contrattazione sul mercato), per poter essere esercitato razionalmente, deve richiedere una garanzia giuridica, un riconoscimento giuridico della sua legittimità, che consenta l’estrinsecarsi degli elementi fondamentali dell’agire economico continuativo dell’impresa: la sicurezza e, soprattutto, la prevedibilità della conseguenza delle proprie azioni. Ecco quindi che quel «tardo prodotto del pensiero giuridico»122 rappresentato dalla sistematica giuridica svolge in ultima analisi questa funzione essenziale di garanzia (di continuità) del potere privato di disposizione. L’esautorazione di quell’immenso laboratorio costituito dalla tradizione del diritto comune, che ancora nel tardo Medioevo aveva consentito lo sviluppo delle principali istituzioni commerciali, e l’emergere del «razionalismo giuridico» comportano necessariamente un «impoverimento»123 e una perdita di elasticità nella creazione delle forme giuridiche; al contempo la razionalizzazione del diritto, pur perdendo in elasticità, guadagna la possibilità di una accresciuta calcolabilità e quindi prevedibilità delle azioni. Il venir meno della precedente tradizione giuridica, come è stato giustamente sottolineato, coincide con la fine della parabola del diritto romano124, per favorire «l’elaborazione di un ordine giuridico formale costruito intorno alle figure della proprietà e del contratto, interpretate come concetti così forti da irradiare la loro forma sulle stesse categorie di sovranità e di libertà»125. In questo mutamento della concezione del diritto si 122 MWG I/22-3, p. 302 (ES, III, p. 15). MWG I/22-3, p. 348 (ES, III, p. 41). 124 Anche (ma certo non solo) per le stesse motivazioni tecnico-formali che ne avevano permesso l’espansione. 125 Cfr. A. Schiavone, Ius. L’invenzione del diritto in Occidente, Torino, Einaudi, 2005, p. 17. Cfr. anche lo stesso Max Weber, il quale, nelle lezioni di storia economica, afferma: «L’alleanza tra Stato e giurisprudenza formale favorì indirettamente il capitalismo» (cfr. MWG III/6, p. 374 - Wg, p. 293 - SE, p. 240), appunto perché «contribuì 123 228 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ ritrova una delle motivazioni essenziali di quella correlata esautorazione della tradizione, weberianamente intesa, sulla quale ci si è concentrati nel precedente capitolo. Questo perché la calcolabilità, all’interno della mutata situazione strutturale, porta con sé anche una differente disposizione nei confronti del tempo; non è più conveniente, dal punto di vista economico, orientare l’azione sulla base di ciò che è da sempre, ma, nevroticamente rivolti al futuro e alle sue potenziali possibilità di profitto, si esige che il diritto abbia carattere astratto, che significa anche qui predeterminato, e che il rapporto tra istituti economici e regole del diritto si dia in un costante tentativo di adeguazione dell’uno sull’altro; ciò avviene secondo delle modalità differenti rispetto al passato, in quanto a dover essere garantita non è qui la sussistenza di ciò che si è sedimentato, ma la continuità della possibilità di calcolo. Ad ogni situazione deve corrispondere una determinata conseguenza e per ogni situazione deve esistere una norma giuridica: la quale non deve però contraddire le altre. La necessità di seguire i percorsi di razionalizzazione dell’economico impone una razionalizzazione del diritto e la sua configurazione come sistema. Anche qui, ciò è possibile solo se il diritto ha carattere formale, vale a dire se esso procede da principi giuridici che, intersecandosi tra loro, danno luogo alle differenti fattispecie giuridiche e cercano di inglobare nella loro rete ogni singolo caso. Con l’espressione «sublimazione logica del sistema»126 o, in maniera ancor più incisiva, «sublimazione tecnico-giuridica»127, Weber fa riferimento proprio a questo processo di correlata formalizzazione e crescente calcolabilità. a introdurre quegli elementi di prevedibilità di cui quest’ultimo aveva bisogno» (cfr. C. Trigilia, Introduzione, in SE, p. XLIII). 126 MWG I/22-3, p. 303 (WuG, II, p. 396 - ES, III, p. 15); cfr. anche MWG I/22-3, p. 620 (WuG, II, p. 505 - ES, III, p. 190). 127 MWG I/22-3, p. 304 (WuG, II, p. 397 - ES, III, p. 16). L’espressione tedesca è “fachmäßige juristische Sublimierung”. 3. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E BUROCRAZIA 229 Lavoro libero È significativo come Weber, nel riprendere sinteticamente i punti essenziali del rapporto tra capitalismo e calcolabilità, dopo aver nominato la libertà di mercato del lavoro e dei beni, dedichi ancora un punto specifico all’elemento del lavoro libero. L’insistenza è giustificata dal fatto che, in questo punto specifico, si tocca con maggiore evidenza sia l’incisività dei fenomeni di cosificazione, sia l’irrazionalità materiale implicita nel processo di razionalizzazione. La libertà formale del lavoratore di mettere sul mercato la propria forza lavoro consiste infatti in una garanzia giuridica di quella che, dal punto di vista economico, è una costrizione, vale a dire la necessità imprescindibile da parte del lavoratore di gettarsi sul mercato per garantirsi la sussistenza. Si tratta di una costrizione necessaria per il lavoratore, come per l’intero sistema. Senza l’esistenza di un «gruppo sociale non possidente», infatti, non potrebbe sussistere neppure la possibilità del calcolo del capitale. Pertanto, essa è possibile solo «in seguito alla presenza di lavoratori che si offrono – dal punto di vista formale liberamente, di fatto costretti dal pungolo della fame –», in quanto solo in questo modo è possibile calcolare in anticipo i «costi dei prodotti»128. La presenza di una massa di non possidenti è pertanto necessaria al sistema economico capitalistico, in quanto costituisce uno dei presupposti materiali dello sviluppo della sua massima razionalità formale. Weber può pertanto affermare che l’assenza di un tale gruppo sarebbe «in contraddizione con la natura del capitalismo» e renderebbe «impossibile il suo sviluppo»129. Commercializzazione dell’economia Weber sintetizza la questione ribadendo la necessità dell’orientamento esclusivo della copertura del fabbisogno sulla base 128 MWG III/6, p. 320 (Wg, p. 240 - SE, p. 197). Ibid. L’appropriazione dei mezzi di produzione da parte degli operai, sotto forma di cooperative di produzione, non era in grado, secondo Weber, di garantire la 129 230 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ di opportunità di mercato e di un calcolo di redditività130. Il punto concerne ulteriori processi materiali, qui già nominati, il cui sviluppo implica gradi crescenti di calcolabilità. Anzitutto, la democratizzazione del lusso, che qui significa anzitutto la possibilità che tutti i beni (e le prestazioni, quindi la stessa forza lavoro) trovino la loro collocazione come merci all’interno del mercato. Solo una volta che questo processo si è sedimentato è possibile pensare ad una copertura esclusiva del fabbisogno sulla base delle opportunità di mercato. Questo è tuttavia solo il primo passo di una serie di ulteriori sublimazioni, nella quale rientrano i due processi già menzionati della possibilità della mercificazione della terra, e, in ultima analisi, dello stesso patrimonio. Solo nel momento in cui quest’ultimo diviene stabilmente un titolo negoziabile131 è possibile pensare allo sviluppo di quell’estrema propaggine della commercializzazione consistente nei fenomeni di speculazione, in primis dei fenomeni di borsa. Anche questo sviluppo ha avuto luogo solo nell’Occidente moderno. Le leggi dell’economia «[…] cette Science si vivante et si réelle avec tous ses triomphes et tous ses espoirs: qu’est-elle? – Rien»132. È particolarmente indicativo, all’interno del presente percorso, segnalare come uno dei luoghi essenziali per comprendere la portata della riflessione weberiana sull’avvicinamento tra realtà e principi teorici e della correlata possibilità di cogliere attraverso dei saperi di tipo nomologico i fenomeni societari (in primis i fenomeni economici) sia contenuta in un paragrafo dei Concetti sociologici fondamentali dedicato all’uso e al costume. Ciò non è sorprendente, stessa calcolabilità dell’azienda imprenditoriale, ed avrebbe comportato pertanto gravi svantaggi economici. Cfr. MWG I/15, pp. 597-633. 130 MWG III/6, p. 320 (Wg, p. 240 - SE, p. 197). 131 Ibid. 132 G.H. Bousquet, Essais sur l’évolution de la pensée économique, Parigi, M. Giard, 1927, p. 303. 3. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E BUROCRAZIA 231 se si considera che l’aspetto dell’uniformità di comportamento, fondamentale per la potenziale descrizione in termini nomologici dell’agire, sta alla base della definizione di uso, e indirettamente anche di quella di costume. L’elemento più rilevante è che a questi due tipi si affianca, e al contempo si oppone, la cosiddetta «situazione di interessi», che si rileva nel momento in cui la «possibilità della sussistenza empirica» dell’agire «risulta condizionata semplicemente da un orientamento puramente razionale rispetto allo scopo dell’agire degli individui, in vista di aspettative omogenee»133. Nel passaggio in questione, costume e situazione di interessi vengono direttamente contrapposti; la seconda rappresenta infatti «l’antitesi estrema rispetto a ogni forma di vincolo interno, fondato sull’adesione a un “costume” acquisito»134. Per costume Weber intende qui far riferimento a quella disposizione tradizionale nei confronti dell’agire che, in altri luoghi della sua produzione, egli ha etichettato come tradizionalismo. Tuttavia, se seguiamo analiticamente l’argomentazione weberiana, è possibile notare come la stessa situazione di interessi non sia pensabile concretamente se non in presenza di una sorta di abitudine ad agire in base ad essa, sedimentata nell’uso. Tale situazione si produce infatti nel momento in cui «il modo d’agire dei partecipanti corrisponde in una certa media, e in modo naturale, ai loro normali interessi, soggettivamente stimati, e che essi orientano il proprio agire in base a questa prospettiva soggettiva e a questa conoscenza». L’agire in base alla situazione di interessi non è possibile senza un costume acquisito quanto il capitalismo non sarebbe possibile senza la specifica formazione, storicamente prodottasi, di una mentalità ad esso adeguata. È proprio tale costume acquisito ad agire in base ad una situazione di interessi a determinare la possibilità di traduzione di comportamenti, scelte, azioni in termini nomologici. 133 134 WuG, I, p. 15 (ES, I, p. 26). WuG, I, p. 15 (ES, I, pp. 27-28). MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ 232 Quanto più rigorosamente essi agiscono in modo razionale rispetto allo scopo, tanto più reagiscono in maniera simile di fronte a date situazioni; e da ciò sorgono omogeneità, uniformità e continuità di disposizione (Einstellung) e di azione, le quali molto sovente sono assai più stabili di quanto l’agire si orienta in base a norme e doveri che effettivamente abbiano valore “vincolante” in un ambito di uomini. Che l’orientamento in base alla nuda situazione di interessi, propri ed altrui, produca effetti che equivalgono a quelli che si cerca di ottenere – e assai spesso inutilmente – mediante una fissazione di norme, ha naturalmente suscitato grande attenzione soprattutto nel dominio dell’economia; e tale fenomeno è stato addirittura una delle fonti da cui è sorta l’economia politica come scienza135. La possibilità del sapere nomologico si fonda appunto su questa peculiare massificazione di una libera scelta obbligata, vale a dire sul fatto che un agire soggettivamente intenzionato (in quanto tale, formalmente libero), ma di fatto necessitato dalla struttura stessa della situazione (economica, ma anche politica), produce delle dinamiche che sono calcolabili e prevedibili, quindi sottoponibili ad essere concettualizzate sotto forma di leggi136. Le “leggi” – così si designano di solito parecchi principi della sociologia comprendente, ad esempio la legge di Gresham – rappresentano possibilità tipiche, confermate dall’osservazione, di un certo corso dell’agire sociale che è possibile attendersi in base alla presenza di determinati fenomeni – possibilità che risultano intelligibili in rapporto a motivi tipici e al senso tipico intenzionato di coloro che agiscono137. Discostandosi dalle interpretazioni troppo ostili alla teoria, tipiche di alcuni esponenti della vecchia scuola storica dell’economia, e dagli effimeri trionfalismi degli economisti teorici alla Menger, i quali identificano le prestazioni teoriche della scienza economica con la comprensione di una parte importante della realtà138, Weber coglie come l’«avvicinamento della realtà ai 135 WuG, I, p. 15 (ES, I, p. 27). Sul rapporto tra causalità e legalità dell’agire umano, con alcuni riferimenti alla scienza economica, cfr. E. Massimilla, Tre studi su Weber. Fra Rickert e von Kries, Napoli, Liguori, 2010, in particolare pp. 104 ss. 137 WuG, I, p. 9 (ES, I, p. 16). 138 Cfr. a proposito C. Menger, Sul metodo delle scienze sociali, Macerata, Liberilibri, 1996, in particolare pp. 72-75. 136 3. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E BUROCRAZIA 233 principi teorici» assuma le forme di una approssimazione reciproca, da un lato dei processi reali alle formulazioni nomologiche, dall’altro delle scienze sociali all’esattezza delle proprie costruzioni teoriche. Al di là di ciò, la fecondità della prestazione teorica ed epistemologica weberiana consiste nel rilevare come tale avvicinamento non assuma in realtà le forme del semplice accostamento, ma produca a sua volta un reciproco mutamento. La realtà, da quel luogo di libertà in cui si pensava di poterla ricollocare dopo averla liberata dai legami cetuali e feudali, si ripresenta agli occhi dell’osservatore come una gabbia d’acciaio, della quale si possono descrivere le dinamiche, senza poterle più dominare. La scienza stessa diventa sempre più, secondo un’espressione nota, un «razionalismo del dominio del mondo»139: essa deve «servire all’esercizio del potere»140, non più sulla natura, ma sulla seconda natura degli uomini, vale a dire sulle loro azioni e sulle loro sociazioni, avvicinandosi sempre più a quella che Sombart avrebbe definito, riprendendo a sua volta Max Scheler, un «sapere della prestazione» o «del lavoro»141. Nel paradosso del termine scienza di realtà si nasconde pertanto la più produttiva delle contraddizioni della riflessione weberiana: accettando eroicamente il destino del proprio presente e, in quanto studioso, identificando nelle possibilità della scienza la sola possibilità di cogliere utili connessioni causali, egli si colloca completamente all’interno del suo contesto socio-politico. Rilevandone la matrice teorica, definendo criticamente le condizioni di possibilità all’interno delle quali esso si inscrive, e cogliendone quindi al contempo i limiti, egli si pone oltre i paletti della specializzazione e dell’avalutatività da lui stesso rigidamente fissati. 139 L’espressione riprende il titolo del noto libro di W. Schluchter, Rationalismus der Weltbeherrschung. Studien zu Max Weber, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1980, tr. it. Il paradosso della razionalizzazione, cit. 140 «[…] soll dienen, Herrschaft zu üben». Cfr. W. Sombart, Die drei Nationalökonomien: Geschichte und System der Lehre von der Wirtschaft, München, Duncker & Humblot, 1930, p. 19. 141 Ibid. 234 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ Lo svincolamento da parte weberiana rispetto all’evoluzionismo e alle filosofie della storia è completo. La legge svolge solamente la funzione di dominare una serie di processi, la quale, grazie alla sua strutturazione, è potenzialmente atta ad essere dominata. La determinazione di leggi corrisponde pertanto all’atto di questo dominio, che coincide qui, ancora una volta, con un elevato grado di prevedibilità e calcolabilità dei fenomeni. La legge non descrive la realtà, né è in grado di comprenderla; allo stesso modo, la sua formulazione, nel momento in cui viene creata, permette ai soggetti che la richiedono di orientare il proprio agire in base ad essa. La legge economica viene qui a svolgere un ruolo assimilabile alla creazione di istituti giuridici, i quali, come afferma Weber, allo stesso modo degli strumenti tecnici, per esser messi al servizio della comunità devono prima essere inventati. Razionalità materiale e razionalità formale La distinzione tra razionalità formale e materiale, finora data per scontata ed emersa necessariamente tra le pieghe dell’argomentazione, può essere qui interpretabile nei termini di una esemplificativa ricaduta concettuale del nesso tra razionalizzazione e cosificazione. In relazione a ciò, si ricorda come l’origine della separazione sia di provenienza giuridica, e risalga alla riflessione di Paul Laband. Nella distinzione tra legge materiale e formale, introdotta da Laband nel suo testo sul Budgetrecht142, e sconosciuta fino ad allora alla dottrina dello Stato tedesca, è possibile cogliere un mutamento rilevante nella concezione stessa del diritto. Vale la pena ricordare come, nella giuspubblicistica tedesca, il diritto venisse considerato come un antecedente logico e storico dello Stato. Ne conseguiva che la legge non era pensa142 Cfr. P. Laband, Das Budgetrecht nach den Bestimmungen der preußischen Verfassungsurkunde, in Id., Abhandlungen, Beiträge, Reden und Rezensionen, Teil 5: Dissertationen, Abhandlungen und Beiträge (1858-1917), Leipzig, Zentralantiquariat der DDR, 1983, pp. 131-213. 3. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E BUROCRAZIA 235 bile se non come «concretizzazione in termini istituzionali di valori storici già consolidatisi nella collettività intera»143. È qui significativo rilevare come in questa concezione del diritto, superiore rispetto alla legislazione statale in quanto fondato su una tradizione giuridica, la separazione tra materialità e formalità della legge non sia neppure pensabile. La distinzione concettuale è pertanto il prodotto storico di un mutamento costituzionale, all’altezza dell’emersione dello Stato come istituzione che detiene il monopolio della legislazione. Si torna pertanto a quella dicotomia tra tradizione e statuizione, che già segnava la differenza sostanziale tra il codice francese e l’Allgemeines Landrecht prussiano, e soprattutto a quel primo, fondamentale, processo di separazione tra istituzione statale, detenente il monopolio della violenza e della legislazione legittima, e comunità di mercato, primo campo di battaglia dello scontro di interessi, sul quale si fondano tutti i successivi fattori materiali che favoriscono l’emergere di una razionalità formale. Se si prende ora in considerazione la nota distinzione weberiana tra razionalità formale e razionalità materiale, si potrà notare come essa, presa così come si presenta, vale a dire come distinzione concettuale, appaia criticabile, o comunque dotata di una capacità di classificazione solo parziale. Il tentativo di farsi carico di tale distinzione, eventualmente migliorandola o perfezionandola, per classificare sulla base di essa istituzioni, associazioni, forme di azione e quant’altro, è certo del tutto legittimo. Si tenta qui tuttavia di considerare brevemente la separazione a partire dalla prima nota aggiunta da Weber subito sotto la celebre definizione delle due razionalità, nella quale si specifica appunto che la designazione proposta «si propone soltanto una maggiore univocità dell’impiego linguistico del termine “razionale”»144. Anche in questo caso, come aveva già fatto in luoghi significativi dell’Etica protestante, Weber si propone quindi solamente di delimitare e 143 Cfr. Fioravanti, Giuristi e costituzione politica nell’Ottocento tedesco, cit., p. 307. 144 WuG, I, pp. 44-45 (ES, I, p. 80). 236 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ precisare, a scanso di equivoci, l’utilizzo del termine razionale. La razionalità che Weber intende qui meglio specificare è anzitutto la razionalità definita per prima, vale a dire quella formale. Di essa viene infatti data una definizione «intrinseca»: il razionale in senso «formale» va definito sulla base della «misura di calcolo tecnicamente possibile» che un’istituzione, un agire, un’associazione, un’impresa ecc. sono in grado di produrre o di inglobare nella loro struttura. Del tutto «estrinseca», al contrario, è la definizione di razionalità «materiale», nella quale Weber comprende un agire configurato appunto sulla base di qualcosa di «esteriore», un postulato valutativo, il quale può essere di qualsiasi genere: di quale materialità si tratti va determinato di volta in volta a seconda del caso specifico. Questa sottolineatura weberiana, perlomeno nelle argomentazioni svolte all’interno del presente capitolo, rileva un aspetto cruciale della questione, che consiste nel mostrare la necessità di dover definire, tra le pieghe dei processi e delle relazioni sociali, degli strumenti concettuali in grado di cogliere la loro crescente calcolabilità. Inteso in questo senso, il concetto di razionalità formale non qualifica pertanto delle istituzioni, delle relazioni sociali come razionali piuttosto che altre, ma coglie, secondo definizione, il grado di calcolabilità possibile insito all’interno di ciascuna istituzione, relazione ecc. Il fatto che la distinzione comporti una conseguente gerarchia di istituzioni, relazioni, processi più o meno razionali (formalmente) è una conseguenza, ma non lo scopo della formulazione concettuale. Più che sulla tenuta in termini concettuali di una tale separazione, è importante rilevare la necessità di dover approntare uno strumento concettuale, rappresentato dalla formulazione di una razionalità formale, il cui ambito di definizione si misuri esclusivamente nel grado di calcolabilità possibile insito all’interno di un processo, di un’istituzione, di una relazione sociale. Se colta letteralmente, la razionalità formale non identifica tali istituzioni, processi o relazioni, ma ne coglie solo trasversalmente il grado di calcolabilità. 3. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E BUROCRAZIA 237 5. Il surrogato della tradizione: la disciplina Il concetto di disciplina145 è stato nominato anche nel capitolo precedente, in riferimento a quelle forme di relazione tra dominanti e dominati in cui la necessità, da parte dei primi, di ottenere il massimo grado di obbedienza privo di resistenza, si risolveva nella pratica di una ferrea disciplina, in modo da poter inculcare quell’obbedienza sotto forma di una pratica di educazione. A tal proposito era stato nominato, proprio in quanto caso limite, l’esempio delle truppe di giannizzeri. In questi gruppi di giovani soldati, stranieri e quindi privi di qualunque legame che non sia quello con il loro signore, e perlopiù educati fin da giovani ad un’obbedienza pressoché totale volta al solo fine di trasformarli in perfetti guerrieri, Weber vedeva un esempio di come la disciplina potesse costituire, proprio grazie alla sua capacità di livellare qualsiasi potenziale reciprocità tra dominanti e dominati, il veicolo della più pronta, assoluta (e pericolosa) obbedienza al comando. Nella definizione del concetto di disciplina ritroviamo ora nominato, come elemento discriminante, l’obbedienza esclusiva al comando: 145 Sul tema della disciplina e del disciplinamento in riferimento all’opera di Weber cfr.: P. Schiera, La conception weberienne de la discipline et le thème de la “Lebensführung”, «Quaderni di scienza politica», 8/5, 1993, pp. 133-156; Id., Legittimità, disciplina, istituzioni: tre presupposti per la nascita dello Stato moderno, in G. Chittolini, A. Molho, P. Schiera (a cura di), Origini dello Stato. Processi di formazione statale in Italia, Bologna, Il Mulino, 1994, pp. 17-48; Id., Disciplina, Disciplinamento, «Annali dell’Istituto storico italo-germanico di Trento», 18, 1992, pp. 315-334; Id., Disciplina, Stato moderno, disciplinamento: considerazioni a cavallo fra la sociologia del potere e la storia costituzionale, cit.; S. Breuer, Die Evolution der Disziplin. Zum Verhältnis von Rationalität und Herrschaft in Max Webers Theorie der vorrationalen Welt, «Kölner Zeitschrift für Soziologie und Sozialpsychologie», 3/30, 1978, pp. 409-437; Id., Sozialdisziplinierung. Probleme u. Problemverlagerungen eines Konzepts bei Max Weber, Gerhard Oestreich und Michel Foucault, in C. Sachße, F. Tennstedt (a cura di), Soziale Sicherheit und Soziale Disziplinierung, Frankfurt, Suhrkamp, 1986, pp. 45-69; J. O’Neill, The disciplinary society: from Weber to Foucault, «British Journal of Sociology», 1/37, 1986, pp. 42-60. MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ 238 Sul piano del contenuto essa non è altro che l’esecuzione (Ausführung) coerentemente razionalizzata del comando ricevuto – ossia insegnata con metodo, precisa, incondizionatamente sorda ad ogni critica autonoma –, nonché l’incessante orientamento interiore (innere Eingestelltheit) volto soltanto a questo scopo. A questo carattere si aggiunge l’ulteriore nota dell’uniformità dell’agire comandato; i suoi effetti specifici si fondano sulla qualità di agire comunitario di una formazione di massa (eines Massengebildes) – dove coloro che obbediscono non devono in alcun modo essere necessariamente una massa unita a livello locale che obbedisca nello stesso momento o sia particolarmente grande sul piano quantitativo. È decisiva l’uniformazione razionale dell’obbedienza di una pluralità di persone146. Se è vero che la disposizione all’obbedienza è – all’interno delle categorie weberiane – la fonte della legittimità del comando, vale la pena sottolineare al contempo la sensibile differenza tra l’obbedienza di tipo tradizionale e il tipo di obbedienza a cui ci si trova di fronte nel passo citato. La prima – lo si è dimostrato con numerosi esempi – è per definizione obbedienza anzitutto nei confronti della tradizione, e secondariamente nei confronti di colui che maggiormente la rappresenta, vale a dire il dominante. Questo doppio binario garantiva tuttavia in tutti i casi147 – seppur con differenti gradazioni – la possibilità di non obbedire da parte dei dominati, nel caso il comando esorbitasse eccessivamente rispetto ai dettami della tradizione. Nel passo citato, il riferimento al binomio autorità/tradizione scompare del tutto, e la disposizione interiore del dominato si risolve in un’obbedienza «insegnata con metodo, precisa», e soprattutto «incondizionatamente sorda ad ogni critica autonoma» al contenuto del comando. Anche in questo caso particolarmente feconda si rivela un’analisi degli esempi concreti addotti a sostegno dell’argomentazione. Gli opifici e i lavori edilizi dei faraoni, come le piantagioni cartaginesi e romane, le miniere del tardo Medioevo, le piantagioni di schiavi dell’economia patrimoniale come l’organizzazione del lavoro nella fabbrica moderna: sono tutti luoghi i quali, seppur 146 MWG I/22-4, p. 542 (Dominio, pp. 583-584). A parte il caso del dominio sultanistico, in cui la tradizione coincide con il flatus vocis del dominante. 147 3. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E BUROCRAZIA 239 nella loro diversità, presentano la disciplina come loro denominatore comune. Nell’approfondire ulteriormente l’analisi del concetto, Weber riprende nuovamente l’esempio degli schiavi delle antiche piantagioni148. Essi vivevano senza matrimonio e privi di proprietà; al mattino, dopo essere stati allineati in squadre, venivano guidati al lavoro dai sorveglianti; non possedevano neppure i loro oggetti d’uso, i quali venivano loro forniti solo a seconda del fabbisogno. L’assimilazione di questa situazione di schiavitù con le moderne condizioni di fabbrica non è chiaramente motivata sulla base di un paragone della miseria nelle condizioni di lavoro, bensì su una mera considerazione oggettiva della struttura materiale che, in entrambi i casi, consente l’estrinsecazione del rapporto e il darsi della disciplina come sua base fondante. In entrambi i casi, infatti, l’appropriazione dei mezzi di produzione è posta esclusivamente nelle mani dei dominanti, e le cose (gli strumenti di lavoro) sono messe a disposizione ai dominati solo secondo necessità. Dal punto di vista della strutturazione del rapporto, il fatto che lo schiavo sia proprietà del signore fondiario alla stregua di una cosa, mentre il lavoratore si sottometta volontariamente (ma di fatto costretto dal pungolo della fame) al rapporto di lavoro è qui inessenziale. In entrambi i casi l’assenza di qualsiasi forma di reciprocità rende possibile il potere di disposizione unilaterale ed arbitrario da parte dei dominanti, e il fenomeno della disciplina come unica possibilità del darsi (con successo) di un rapporto di comando e obbedienza. Una prova per viam negationis dell’interpretazione del passo weberiano – oltre alle numerose conferme addotte nel precedente capitolo – si ritrova all’interno di questo stesso paragrafo nel momento in cui Weber nomina la disciplina del lavoro servile nel Medioevo. Qui la disciplina si presenta in maniera «più lasca»149, in quanto la stereotipizzazione su base tradizionale del rapporto di lavoro porta con sé anche una limi- 148 149 Cfr. MWG I/22-4, pp. 556-558 (Dominio, pp. 595-597). MWG I/22-4, p. 557 (Dominio, p. 596). MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ 240 tazione della potestà del signore150. Sul concetto di stereotipizzazione ci si è già soffermati: esso indica la formazione di una relazione sociale tra dominanti e dominati conseguente ad una struttura materiale e ad una distribuzione delle risorse in grado di garantire una reciprocità del rapporto, la quale, proprio in quanto accettata e introiettata nelle disposizioni all’azione di ambo le parti, si è sedimentata negli usi, nei costumi e infine in una tradizione. Il disciplinamento di uno schiavo, di un operaio, o di un soldato, presenta chiaramente delle forme differenti, le quali tuttavia condividono la medesima logica, proprio in quanto procedono sulla base delle stesse condizioni strutturali. Nel caso della schiavitù, la mancanza totale di qualsiasi forma di mediazione, dovuta essenzialmente all’impossibilità del darsi del rapporto secondo le forme di una relazione tra persone (non si può parlare quindi, a rigore, né di relazione sociale, né di rapporto di comando e obbedienza) rende l’elemento della costrizione «il solo elemento efficace che rimane» ai fini di ottenere l’obbedienza. In tutti gli altri casi, nonostante la coercizione rimanga in ultima analisi il caput mortuum della possibilità di ottenere obbedienza, possono e devono subentrare tutta una serie di altri fattori, che Weber nomina come «qualità “etiche”». Il campo di esercizio volto a far introiettare queste specifiche qualità dell’obbedienza è naturalmente piuttosto vario, ma in linea generale esse hanno a che fare con il dovere e la coscienziosità: ove l’elemento della disciplina rientra come riferimento strutturale del darsi di una relazione sociale, lì al man of honour subentra ovunque il man of conscience151. Se l’onore, tipico della conduzione di vita su base cetuale, solo con difficoltà può essere scalfito senza stravolgere le sorti dell’intero gruppo sociale, la coscienza, la quale si pone anzitutto su base individuale, è sempre informabile, modificabile: essa può sempre essere «arata»152. La possibilità che anche in 150 151 152 Cfr. ibid. MWG I/22-4, p. 544 (Dominio, p. 585). Il termine è ripreso da P. Schiera, Specchi della politica: disciplina, melanco- 3. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E BUROCRAZIA 241 contesti dominati dall’«onore di ceto» lo strumento del disciplinamento, al pari della «stereotipizzazione» e della «cura del prestigio cetuale e della condotta di vita»153, risulti un fattore essenziale per il mantenimento dell’obbedienza, non inficia l’efficacia dell’argomentazione, in quanto, come Weber afferma esplicitamente, anche in questi casi il disciplinamento dev’essere qualcosa «di consapevolmente e razionalmente voluto». Anche in questo caso, pertanto, deve sussistere la possibilità di un esercizio di disciplinamento dei dominati sulla base di una serie di disposizioni soggettivamente intenzionate, calcolate e previste da parte del dominante. Questo disciplinamento potrà essere ottenuto con «mezzi emotivi di ogni sorta», dal fomentare volontariamente l’«ispirazione» fino al «più raffinato mezzo di disciplinamento religioso: gli exercitia spiritualia di Ignazio»154. In tutti i casi, si tratta comunque di disposizioni unilaterali. La disciplina, in quanto «esecuzione del comando ricevuto» sottratta ad ogni critica, qual che sia il modo in cui essa viene ottenuta, si presenta in ogni caso come l’antitesi più palese rispetto alle forme di obbedienza sedimentate sulla base di un’acquisita reciprocità. Nel momento in cui si afferma che la disciplina costituisce un fenomeno tipico della moderna costituzione socio-politica non si vuol affatto dire che essa non sia mai esistita in passato, ma piuttosto che nel contesto moderno essa diviene condizione strutturale del funzionamento di un intero apparato. Il suo porsi come criterio strutturale dipende dal fatto che qui il singolare concatenarsi degli eventi ha reso possibile lo sviluppo di una disciplina razionale. Che una disciplina sia razionale significa anzitutto che essa è in grado di garantire – a tutti i livelli dell’organizzazione sociale – quella calcolabilità e prevedibilità dell’agire sulla quale l’apparato stesso si fonda. Ci si trova di fronte ad un ulteriore e lia, socialità nell’Occidente moderno, Bologna, Il Mulino, 1999, cfr. in particolare pp. 59-105. 153 MWG I/22-4, p. 543 (Dominio, p. 584). 154 MWG I/22-4, p. 544 (Dominio, p. 585). 242 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ decisivo aspetto collaterale di quel processo di cosificazione di cui sono già state descritte le fondamentali condizioni di possibilità. In altre parole, è possibile affermare che la disciplina costituisce la cifra specifica delle moderne condizioni di esistenza in quanto essa rende possibile l’estrinsecazione completa del processo di Versachlichung155. Dal punto di vista formale, la disciplina si presenta qui, infatti, come qualcosa di oggettivo. Ciò significa che essa è in grado di garantire quella cosa «decisiva»156 ai fini della calcolabilità che è «l’uniformazione razionale dell’obbedienza di una pluralità di persone»157. L’«“ammaestramento” a un’abilità meccanizzata»158, l’uniformità di comportamento precisa e sistematica è qui decisiva proprio in quanto, grazie alla sua costanza e alla sua prevedibilità, consente il dispiegamento della massima calcolabilità possibile dell’agire sociale. A questo riguardo, Weber evidenzia come gli «effetti specifici» della disciplina si fondino «sulla loro qualità di agire comunitario di una formazione di massa»159. La massa, che qui viene definita nei termini di un peculiare «agire comunitario», rivela pertanto in maniera più adeguata di altre forme di agire gli effetti specifici che la disciplina è in grado di produrre, in particolare quell’uniformità di comportamento che ne costituisce uno degli aspetti decisivi. Alla luce di questa sua peculiare caratteristica, e di ciò che essa comporta, si può affermare che l’agire di massa rappresenta il terreno ideale per un esercizio e un’introiezione strutturale di comportamenti uniformi tramite forme di esercizio disciplinare. In quanto tale, la disciplina «estirpa oppure trasforma razionalmente nel suo effetto anche l’organizzazione fondata sull’onore 155 Sul rapporto sussistente fra disciplinamento e cosificazione delle forme di potere cfr. P. Schiera, Introduzione, in Id. (a cura di), Società e corpi, Napoli, Bibliopolis, 1986, pp. 9-20, qui p. 15. 156 MWG I/22-4, p. 542 (Dominio, p. 584). 157 Ibid. 158 MWG I/22-4, p. 544 (Dominio, p. 585). 159 MWG I/22-4, p. 542 (Dominio, p. 583). 3. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E BUROCRAZIA 243 di ceto»160. Nella sua forma razionale, essa è ostile a tutte quelle comunità intermedie che rappresentano un ostacolo a quell’uniformazione dei comportamenti che ne costituisce la cifra specifica. Essa pertanto le estirpa, oppure le trasforma in modo che la loro presenza non impedisca la prevedibilità e pertanto la calcolabilità dei comportamenti, in modo da ottenere la cosa «decisiva», vale a dire «l’uniformazione razionale dell’obbedienza di una pluralità di persone». Tale pluralità non deve necessariamente consistere di «una massa unita a livello locale che obbedisca nello stesso momento o sia particolarmente grande sul piano quantitativo». Di agire di massa si può parlare ovunque sussista la possibilità di un’uniformità di comportamento da parte di una molteplicità di esseri umani, indipendentemente che questa massa sia visibile in piazza, ammassata ai margini della città, o rinchiusa in un numero indefinito di piccole abitazioni. Nella massa il fenomeno della disciplina, se introiettato con successo, può spingersi fino a divenire una consuetudine ad obbedire: «Il concetto di “disciplina” comprende la “consuetudine” all’obbedienza priva di critica e di resistenza da parte delle masse»161. Nella formazione della massa, e nella correlata necessità del suo disciplinamento calcolato, è inevitabile cogliere uno di quegli aspetti essenziali della moderna organizzazione politica, che proprio negli anni della matura attività intellettuale weberiana aveva trovato un proprio radicamento disciplinare all’interno di una serie di studi specifici162. In un contesto di progressiva autonomizzazione e differenziazione delle sfere, la massa diviene uno 160 Ibid. WuG, I, p. 29 (ES, I, p. 52): «Der Begriff der „Disziplin“ schließt die „Eingeübtheit“ des kritik- und widerstandlosen Massengehorsams ein». 162 Cfr. anzitutto G. Le Bon, Psicologia delle folle, 5a ed., Milano, Longanesi, 1996; Cfr. inoltre V. Pareto, I sistemi socialisti, Torino, Utet, 1951: «Un organismo governativo […] è principalmente in rapporto non con individui isolati, ma con “folle”; ora, gli studi recenti sulla psicologia della folla hanno fatto vedere che questa ha caratteri i quali, sotto vari rapporti, sono peggiori di quelli degli individui che la compongono. Finché i caratteri di queste “folle” non mutano, i governi che si succedono in un paese, qualunque sia la loro forma, devono ricorrere quasi agli stessi mezzi, per durare e prosperare». 161 244 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ degli oggetti della politica. Su ciò, però, si tornerà nel prossimo capitolo. Si segnala qui come lo stretto nesso tra Herrschaft razionale e statale e il concetto di disciplina, rilevato da Weber anche all’interno dei Concetti sociologici fondamentali, vada compreso all’interno di un contesto di razionalizzazione dell’agire di una «formazione di massa». Esiste uno strettissimo rapporto, quasi una consustanzialità, tra il concetto di disciplina e il processo di cosificazione. Nella versione curata da Winckelmann di Economia e Società, tale nesso è ricordato fin dal titolo del paragrafo che spesso viene citato come il luogo in cui Weber si occupa della questione della disciplina: Disciplinamento e cosificazione delle forme di potere163. Non la disciplina, né la cosificazione, ma è lo stretto rapporto tra processi di cosificazione e processi di produzione di disciplina a costituire qui il fulcro dell’argomentazione. Per comprendere il ragionamento di Weber nella sua compiutezza è però necessario integrarlo con una riflessione concernente la seconda «grande educatrice» alla disciplina, vale a dire la grande impresa industriale moderna, con la quale, coerentemente, egli conclude la propria argomentazione. Quando Weber, nella lettera scritta ad Aby Warburg nel 1907, parla della «pressione dei poteri economici, che esigono uno stile di vita a sé»164, ha in mente primariamente proprio quella «società acquisitiva», oramai in grado di «esercitare una sorta di determinazione completa dell’esistenza»165, il cui fulcro centrale è costituito appunto dall’impresa: la quale, come luogo tipicoideale di produzione di processi di Versachlichung, è massimamente disciplinata e costantemente bisognosa di disciplinamento. La rigida regolazione dei comportamenti individuali richiesta all’interno delle grandi imprese sia agli impiegati che agli operai 163 Cfr. WuG, II, p. 681 (ES, IV, p. 260). Nella Gesamtausgabe, il testo weberiano si trova in MWG I/22-4, pp. 542 ss. (Dominio, pp. 583 ss.). 164 Cfr. Brief an Aby Warburg 1906-1908, in MWG II/5, pp. 390-391. 165 Si è ripresa qui l’argomentazione di Pierangelo Schiera, adattandola alla struttura del presente ragionamento. Cfr. Schiera, Disciplina, Stato moderno, disciplinamento: considerazioni a cavallo fra la sociologia del potere e la storia costituzionale, cit., p. 24. 3. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E BUROCRAZIA 245 trova la propria principale motivazione nella necessità di ottenere il massimo grado di calcolabilità; essa ha pertanto lo scopo di renderli in grado di adattarsi nel modo più efficiente (dal punto di vista dell’impresa) alle esigenze produttive. Come detto, all’interno del luogo dell’impresa si tocca il punto in cui l’intreccio tra razionalizzazione formale (cioè, secondo definizione: grado di calcolabilità dei processi) e strutture materiali raggiunge la sua massima evidenza, fino a penetrare negli stessi corpi dei lavoratori, per plasmarli alle esigenze della produzione. La disciplina d’impresa, a differenza della piantagione, si fonda qui interamente su base razionale, calcola sempre più, con l’aiuto di appropriati metodi di misurazione, anche il singolo lavoratore secondo il suo optimum di redditività, come un qualunque mezzo di produzione materiale. L’ammaestramento e l’avvezzamento alle prestazioni lavorative così strutturate celebrano i massimi trionfi, notoriamente, nel sistema americano dello “scientific management” che trae le estreme conseguenze dalla meccanizzazione e dal disciplinamento dell’impresa. Qui l’apparato psico-fisico dell’uomo viene adeguato interamente alle esigenze che gli presentano il mondo esterno, lo strumento, la macchina, in breve la funzione; egli viene spogliato del suo ritmo, dato dalla propria complessione organica, e nuovamente sintonizzato mediante la sistematica scomposizione in funzioni dei singoli muscoli e la creazione di un’economia ottimale delle forze secondo le condizioni del lavoro. Questo intero processo di razionalizzazione, qui come ovunque, e soprattutto nell’apparato statale burocratico, corre parallelamente alla centralizzazione dei mezzi materiali d’impresa nella potestà discrezionale del signore (Verfügungsgewalt des Herrn)166. Versante politico ed economico dei fenomeni di disciplinamento non vanno disgiunti, ma vanno concepiti in una relazione che Weber acutamente quanto avalutativamente riconosce e sottolinea. L’uomo della massa, individuo non possidente ma dotato della propria libera forza lavoro, la cui assenza sarebbe in contraddizione con lo spirito del capitalismo, formalmente uguale a tutti gli altri uomini e quindi provvisto di una capacità giuridica astratta e individuale, libero di votare secondo coscienza chi ha i mezzi economici e politici per farsi votare, e di cercarsi 166 MWG I/22-4, pp. 557-558 (Dominio, pp. 596-597). 246 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ liberamente un lavoro per non morire di fame: quest’uomo trova nel rapporto di fabbrica il luogo ultimo della propria dis-individualizzazione, che lo penetra e lo trasforma mediante una scomposizione sistematica in grado di calcolarne l’efficienza fin nelle funzioni dei singoli muscoli. Stato e impresa, interessi politici ed economici, autorizzazioni ad agire liberamente e indiretti ostacoli tacitamente prodotti nelle zone d’ombra della razionalizzazione giuridica appaiono qui evidentemente intrecciati, in una costituzione che il Weber scienziato si limita semplicemente a segnalare: Quanto più comprensive diventano le formazioni la cui esistenza poggia in modo specifico sulla “disciplina” – come ad esempio le imprese industriali capitalistiche – tanto più indiscriminata può essere, in date circostanze, la coercizione autoritaria che si esercita in esse, e tanto più ridotta diventa la cerchia di coloro che concentrano nelle proprie mani il potere (Macht) di esercitare questa forma di coercizione contro gli altri e di far garantire questo potere (Macht) da un ordinamento giuridico. Perciò un ordinamento giuridico – per quanto grande sia il numero dei “diritti di libertà” e delle “autorizzazioni” che esso garantisce, e per quanto piccolo sia invece quello delle norme di comando e proibizione in esso contenute – può, nei suoi effetti pratici, favorire una notevole accentuazione non soltanto della coercizione in generale, ma anche del carattere autoritario dei poteri coercitivi167. 6. Una nuova Verfassung? Nel passaggio dal tradizionale al razionale Weber compendia alcuni processi che sono stati qui in buona parte presi in considerazione: fine della comunità domestica e nascita dell’impresa; dissoluzione delle comunità giuridiche autonome e sedimentazione delle due formazioni di potenza dello Stato e del mercato; fine di legami fondati prevalentemente su usi e costumi ed emersione onnipervasiva della disciplina come fondamento delle relazioni sociali; venir meno di un contesto sociale fondato sullo scendere 167 MWG I/22-3, pp. 428-429 (WuG, II, p. 440 - ES, III, p. 87). La traduzione italiana è stata modificata, in linea con l’originale tedesco, attribuendo all’ordinamento giuridico il compito di garantire questo esercizio di Macht, e non la coercizione (Zwang). 3. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E BUROCRAZIA 247 a patti di caso in caso di formazioni sociali concorrenti, e nascita di una dimensione di concorrenza (e di burocrazia) che anticipa e formalizza il patteggiamento, relegandone le possibilità di estrinsecazione nelle forme che ne permettono la continuità formale (il denaro, le autorizzazioni). La singolarità delle moderne e razionali (formalmente!) relazioni sociali è ricavabile solo enucleando i luoghi essenziali che ne hanno permesso la formazione a partire dalle maglie universalmente diffuse di un contesto tradizionale, di cui essa rappresenta quindi, in ultima analisi, una peculiare possibilità di sviluppo, seppur forse irreversibile. Il fatto che razionalizzazione e cosificazione, in quanto processi caratterizzanti la singolarità qualitativa del mondo moderno, non siano fenomeni universali, ma siano piuttosto il frutto di una precisa costellazione di circostanze, e di una serie di processi materiali ben determinata, indica con chiarezza il loro carattere di processi storicamente determinati, che serbano entro sé nulla meno e nulla più che una determinata configurazione di un insieme di chances. Sono venute meno le forme del paktieren, ma non si è certo pacificato – anzi, si è probabilmente acuito – lo scontro tra individui e gruppi, ora sempre più concentrato sui campi di battaglia rappresentati dallo Stato e dal mercato. Si sono sensibilmente modificate le forme di dominio dell’uomo sull’uomo, ma non è certo venuta meno la Herrschaft: al contrario, essa si esprime sotto forme forse ancor più autoritarie che in passato; non esistono più piantagioni cartaginesi né romane, e con esse è venuta meno la possibilità di concepire un uomo alla stregua di una cosa, ma al contempo è emersa la possibilità di disciplinare un operaio fin nei singoli muscoli con lo scopo di farlo operare liberamente al pari di una macchina. Una volta allontanato il pericolo di un’assolutizzazione dei termini168, diviene ora possibile indagare ulteriormente quel 168 In termini disciplinari (nel senso delle discipline accademiche) è certo possibile definire questa singolarità del mondo moderno nei termini di un peculiare rapporto tra economia e politica, a patto che ci si intenda sui termini. Solo nelle condizioni moderne di esistenza l’economia è finalmente nominabile come un sapere autonomo slegato da qualsiasi contesto di non-economicità, a patto però di lasciar definitivamente cadere il 248 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ rapporto tra politico ed economico all’interno del quale Weber continua a scavare. Egli rileva come le forme dell’autorizzazione e dell’uguaglianza giuridica astratta rappresentino di fatto delle precise opzioni costituzionali169, dalle quali procedono determinate possibilità di associazione e altre al contempo vengono escluse. Weber evidenzia inoltre come cosificazione e organizzazione delle relazioni su base funzionale richiedano al contempo, per potersi produrre razionalmente, determinate condizioni materiali, che presuppongono un intreccio peculiare tra dimensione statale e dimensione del mercato. L’appropriazione di beni e prestazioni economiche da parte dell’imprenditore è necessaria, e ciò per la duplice ragione di garantire la massima calcolabilità del capitale e la presenza costante sul mercato di forza lavoro formalmente libera. La continuità di una tale situazione, essenziale al capitalismo, dev’essere garantita dallo Stato e dalla giurisprudenza formale. La stessa associazione all’interno del mercato (per esempio la società per azioni), in quanto fondata su una mera convergenza di interessi, è per definizione «effimera», in quanto, da un punto di vista sociologico, «cessa con la consegna dei beni di scambio»170. Affinché ci possa essere un accomunamento strut- riflesso dell’origine etimologica del termine presente sia in Ökonomie che in Wirtschaft, e che per essa si intenda quel compiuto processo di Versachlichung che si è qui cercato sommariamente di delineare, e che trova una conferma indiretta nella poderosa istituzionalizzazione delle scienze economiche e delle loro leggi. La stessa scienza politica costruisce almeno in parte la propria autonomia disciplinare per sottrazione rispetto alle dinamiche considerate peculiarmente economiche. Economico, giuridico, sociale sono concetti che rimandano ad un proprio specifico oggetto disciplinare, costruito per negazione rispetto a ciò di cui non ci si può occupare, in quanto ha già conquistato il campo della propria autonomia. Eppure, all’interno di queste distinzioni disciplinari, che pur bisogna attraversare, qualcosa rimane sempre al di fuori. Ed è proprio questa costante eccedenza che Weber – pur convinto della necessità della settorializzazione disciplinare – continua a percorrere. 169 MWG I/22-3, p. 382 (ES, III, p. 61): «La regola per la quale il nascituro viene considerato come portatore di diritti soggettivi e di doveri al pari di qualsiasi cittadino – mentre non viene considerato lo schiavo – rappresenta il mezzo tecnico-giuridico per produrre determinati effetti. In questo senso la personalità giuridica è altrettanto artificiale del concetto giuridico di “cosa”, che viene definito in base a caratteristiche giuridiche opportunamente scelte». 170 Cfr. MWG I/22-1, p. 193 (Comunità p. 174; ES, II, p. 313). 3. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E BUROCRAZIA 249 turale, di carattere continuativo, è necessario un ordinamento che addossi agli autori dello scambio, di fronte alle controparti, la garanzia dell’acquisizione giuridica del bene di scambio. L’uguaglianza giuridica formale perde qui qualsivoglia connotazione di carattere etico-giuridico per presentarsi nella sua cruda funzionalità, che è quella di garantire, tramite la continuità della relazione tra possidenti e non possidenti, la possibilità dell’agire economico continuativo delle associazioni presenti sul mercato. La formalità del diritto, se da un lato garantisce la calcolabilità, dal punto di vista materiale si presenta come una garanzia di autonomia di fatto della potenza economica dei possidenti. Le possibilità di vita si costruiscono pertanto inevitabilmente attorno alle sole due potenze oggettive che ne permettono il dispiegamento: lo Stato e il mercato. Venendo meno la possibilità di comunità giuridiche, vale a dire di associazioni che siano esse stesse fonti di autonoma produzione giuridica, la società è destinata a costellarsi di associazioni eteronome, la cui formazione non può altro che rafforzare ulteriormente la potenza statale: scuole, istituti di carità, banche statali, istituti assicurativi, casse di risparmio ecc.171 Prima di formarsi, associarsi, votare, ecc. l’uomo deve anzitutto provvedere alla propria sopravvivenza. E se non è un possidente, o un funzionario statale, la sola possibilità che gli resta è quella di offrirsi, spinto dal pungolo della fame, come libera forza lavoro sul mercato. Allo stesso modo la comunità di mercato è destinata a veder proliferare attorno a sé una serie di istituti la cui costituzione è primariamente orientata alle possibilità di mercato, ma soprattutto la cui formazione non è più pensabile nella forma 171 Cfr. MWG I/22-3, p. 399 (ES, III, pp. 69-70): «Bisogni essenzialmente tecnico-amministrativi della moderna amministrazione istituzionale dello Stato hanno poi condotto alla creazione tecnico-giuridica di innumerevoli imprese pubbliche – come scuole, istituti di carità, banche statali, istituti assicurativi, casse di risparmio ecc. – alle quali non si adattava la costruzione della corporazione, non esistendo in esse dei membri e dei diritti fondati sulla qualità di membro, ma soltanto organi eteronomi e eterocefali: ciò doveva portare al concetto giuridico autonomo di istituzione» Sul processo di differenziazione sociale, cfr. un testo che Weber conosceva bene, G. Simmel, La differenziazione sociale, 4a ed., Roma-Bari, Laterza, 1998, in particolare i capitoli IV e V. 250 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ della corporazione. Ad associarsi, infatti, sono individui la cui primaria differenza determinata (in parte direttamente, in parte indirettamente garantita dallo Stato) è la disuguaglianza del possesso. Da qui la proliferazione di una serie di istituti, la cui regolamentazione è disciplinata anzitutto dal codice di diritto commerciale: società semplici, società in accomandita, società commerciali, società per azioni ecc. L’impersonalità e l’oggettività delle relazioni economiche e politiche trovano una loro compiuta formulazione ancora una volta per viam negationis, in riferimento al contesto tradizionale, nella constatazione che, nell’odierno mondo razionalizzato e cosificato, sono venute meno le possibilità di regolazione etica delle relazioni stesse, proprio in quanto è venuta meno la possibilità del darsi di relazioni personali, alle quali solamente può essere attribuita una qualificazione etica. Diversamente da tutte le altre forme di dominio, il dominio economico del capitale (ökonomische Kapitalherrschaft) non è regolamentabile sul piano etico, per via del suo carattere “impersonale”. Già esteriormente appare per lo più in una forma “indiretta”, tale che non si riesce affatto a scorgere il vero “sovrano” („Herrscher“) e perciò non si possono avanzare nei suoi riguardi neppure pretese etiche. Ci si può accostare attraverso postulati etici, cercando di sottometterli a norme pregne di contenuto, ai rapporti tra il padrone di casa e il domestico, tra il maestro e l’apprendista, tra il signore fondiario e il servo o il funzionario, tra il signore e lo schiavo, tra il principe patriarcale e i sudditi – trattandosi di relazioni personali e rappresentandone i servizi da prestare un esito e una componente. Infatti, all’interno di confini ampi, sono qui in gioco interessi personali, molto elastici, e il volere e l’agire puramente individuale causano modifiche decisive nella relazione e nella condizione dei partecipanti. È invece molto difficile che vi sia un rapporto tra il direttore di una società per azioni, che è obbligato a salvaguardare gli interessi degli azionisti in quanto “signori” veri e propri (eigentliche „Herren“), e gli operai della loro fabbrica, e non esiste rapporto alcuno tra il direttore della banca che finanzia la società per azioni e quegli operai né quello tra il titolare di un’obbligazione ipotecaria e il possessore di un bene ipotecato dalla banca in questione. La “capacità concorrenziale”, il mercato – il mercato del lavoro, il mercato del denaro, il mercato dei beni –, le valutazioni “oggettive” („sachliche“), né etiche né antietiche, ma semplicemente anetiche, slegate da ogni etica, determinano l’atteggiamento nei punti essenziali e insinuano tra gli individui in gioco istanze impersonali. Questa “schiavitù senza signore” 3. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E BUROCRAZIA 251 („herrenlose Sklaverei“), in cui il capitalismo imbriglia l’operaio o il debitore ipotecario, è eticamente discutibile solo come istituzione, non lo è invece – in linea di principio – l’atteggiamento personale di un partecipante, sia sul versante dei dominanti o dei dominati, che gli è sostanzialmente imposto da situazioni oggettive, sotto pena di una rovina economica sotto ogni aspetto inutile, e che ha – qui è il punto decisivo – il carattere del “servizio” rispetto a un fine oggettivo impersonale172. Eppure Weber non intende certo affermare che il mondo moderno sia sprovvisto di un proprio specifico ethos. Al contrario, come è stato più volte ribadito173, il suo lavoro può essere interpretato come una ricerca spassionata di uno specifico ethos borghese. Weber lo vede incarnato, seppur come caput mortuum di un sentimento religioso, nei residui secolarizzati della mentalità calvinista dell’imprenditore, nelle relazioni di borsa tra gli azionisti, nell’obbedienza rigorosa al potere del funzionario burocratico, nella deontologia professionale del ricercatore, nell’etica della responsabilità del politico, e in generale nell’esigenza dell’uomo responsabile di seguire la propria «esigenza del giorno», espressione di goethiana memoria174, che agli occhi di Weber coincide sempre più con l’adempimento del proprio dovere professionale all’interno delle istituzioni esistenti175. L’ethos però non concerne il comportamento delle masse disorganizzate, il cui agire non è né tradizionale né razionale, ma prevede uniformità di comportamento che possono essere comunque calcolate e, tutt’al più, disciplinate razionalmente (di una razionalità che, per chi la subisce, procede dall’esterno e quasi sempre dall’alto). E non concerne neppure l’agire degli operai nelle fabbriche, di cui il Weber scien- 172 MWG I/22-4, pp. 635-636 (Dominio, pp. 683-684). Sul rapporto tra capitalismo e le differenti concezioni relative ad un eventuale «rilancio dell’etica», cfr. il contributo di G. Fitzi, Differenziazione e conflitto delle sfere di valore. Weber e le sfide etiche del tardo capitalismo, «La società degli individui», 24, 2005, pp. 47-63. 173 Anzitutto dal solito Hennis, Il problema Max Weber, cit. 174 Cfr. J.W. Goethe, Maximen und Reflexionen, II, 31: «Was aber ist deine Pflicht? Die Forderung des Tages». 175 Cfr. a proposito il commento di Hennis alla conferenza tenuta da Weber nell’autunno del 1917 al Burg Lauenstein, in Hennis, Il problema Max Weber, cit., pp. 82-83. 252 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ ziato sostiene l’impossibilità di tener conto delle esigenze personali ed etiche; la loro azione dev’essere regolata infatti secondo le esigenze della redditività176, e comunque la loro situazione, i loro «modi di vita»177 rendono difficile quel superamento della mera condizione di necessità nella quale già Aristotele identificava la possibilità del sorgere di un ethos178. Si tratta di necessari aspetti irrazionali al fine di rendere possibile una compiuta razionalizzazione: irrazionalità che però, proprio in quanto sono costituite da uomini e relazioni, sono destinate a premere contro le istituzioni dominanti, mettendo in questione la stabilità del nesso cosificazione-razionalizzazione, rendendo più complesso il quadro associativo. La cosificazione delle relazioni economiche implica quella delle relazioni politiche: così come lo scontro di interessi per l’appropriazione delle risorse sul mercato trova il proprio luogo nell’oggettività del denaro e del capitale, in maniera assimilabile lo scontro politico trova la propria dimensione nello scontro tra gruppi di interesse per l’acquisizione di autorizzazioni e possibilità economiche. Classi, sindacati, partiti sono le forme associative che, non previste né all’interno del quadro delle autorizzazioni statali né di quello delle associazioni di mercato, in quanto non fondamentali in vista della continuità razionale di queste due fondamentali formazioni di potenza, sorgono comunque, divenendo sempre più poli determinanti dello scontro economico-politico. In nessun caso si tratta di comunità, e ciò proprio in quanto manca ad esse 176 Cfr. su ciò anzitutto M. Weber, Erhebungen über Auslese und Anpassung (Berufswahl und Berufsschicksal) der Arbeiterschaft der geschlossenen Großindustrie, in MWG I/11, pp. 63-149. 177 Cfr. Weber, Max Weber. Una biografia, cit., p. 200. 178 A tal proposito può essere utile leggere una lettera scritta da Helene Weber, la quale, da persona credente e di «buoni principi» non può accettare l’idea del giovane Weber secondo la quale «una parte dell’umanità esisterebbe davvero soltanto per lavorare per gli altri, e, meccanicamente, per il buon pane». Cfr. Weber, Max Weber. Una biografia, cit., p. 168. In questa idea giovanile di Weber, più che la sua mancanza di fede o di altruismo, è possibile segnalare la profonda quanto precoce consapevolezza (che una lettura delle lettere giovanili potrà confermare) della complessità e ineluttabilità dei processi materiali nei quali, da borghese, egli si vedeva inserito. 3. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E BUROCRAZIA 253 quella autonomia che, al contrario, permetteva a Weber di nominare i ceti, e in generale le comunità giuridiche del passato, come Gemeinschaften, appunto. La loro costituzione è in ogni caso eteronoma, quindi eterocefala, in quanto fondata a partire dalle due sole comunità fondamentali dello Stato e del mercato. 7. La burocrazia Solo dopo aver delineato i mutamenti strutturali che determinano il passaggio da un dominio tradizionale ad uno razionale è possibile comprendere in modo più adeguato la rilevanza del tema della burocrazia all’interno della Sociologia del dominio. Un sistema burocratico compiuto si è sviluppato solo in stretto rapporto con quella che Weber chiama «economia monetaria»179. La burocrazia è il sistema massimamente adeguato al modo di produzione capitalistico, in quanto è l’unico sistema in grado di garantire la massima uniformità, calcolabilità e prevedibilità del suo funzionamento180. Inoltre, la burocrazia è quella forma di organizzazione politico-amministrativa in grado di assicurare la continuità di quell’insieme di istituti eteronomi ed eterocefali che, previa autorizzazione statale, costituiscono le primarie forme di associazione all’interno della comunità statale e di mercato. La burocrazia è anzitutto amministrazione, ma anche scheletro della peculiare struttura politica della modernità. La burocrazia è, infine, il vero trait d’union tra la forma politica moderna (incarnata principalmente dall’Anstalt dello Stato) e la sua economia, che fa riferimento anzitutto al modo di produzione capitalistico e alla fantasmatica comunità di mercato181. Nell’affrontare il tema della burocrazia si cercherà di tirare le fila dell’argomentazione del presente capitolo, incentrato soprattutto sul rapporto tra struttura economica e mutamenti nelle forme di associazione, per avviare così la riflessione sul capitolo conclusivo, dedicato 179 180 181 MWG I/22-4, p. 169 (Dominio, p. 71). MWG I/22-4, pp. 186 ss. (Dominio, pp. 89 ss.). Cfr. Ferraresi, Il fantasma della comunità, cit., p. 187 e p. 191. 254 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ principalmente alla questione della forma politica della modernità. Saranno ripresi tutti gli elementi finora affrontati: l’organizzazione burocratica rappresenta infatti la sintesi storicamente prodottasi della compiuta separazione tra uomo e cosa, dell’emergere dell’endiadi Stato/mercato, e della disciplina come collante fondamentale del funzionamento complessivo del sistema. Oltre a quanto sopra accennato182, è importante considerare il fatto che la burocrazia è il prodotto storico di un grande processo di appropriazione, il quale, seppur iniziato all’interno dei sistemi patriarcali dell’assolutismo, nel suo caput mortuum rappresentato dallo Stato moderno possiede un versante propriamente politico ed uno primariamente economico, in corrispondenza dei due grandi vettori di appropriazione: la comunità politica statale e il mercato. A tal proposito è stato giustamente sottolineato come esista in Weber un parallelo tra espropriazione del lavoratore dai mezzi di produzione e quella del corpo amministrativo dai mezzi di amministrazione183; infatti, a quella separazione che permette alla comunità domestica di trasformarsi in impresa razionale, descritta da Weber già nella dissertazione di dottorato, si affianca qui il suo pendant politico-amministrativo, la separazione della sede dell’ufficio, dei mezzi e delle finanze dal possesso privato del funzionario. La separazione tra uomo e cosa trova qui pertanto il suo correlato politico-amministrativo, che coinvolge sia lo spazio pubblico che quello privato: il processo di burocratizzazione degli «organi di autorità» statali è del tutto 182 Sui tratti essenziali della burocrazia la bibliografia è, com’è noto, sterminata, e non è possibile indicarne in maniera esauriente neppure i riferimenti essenziali. Ci si limita pertanto a segnalare i lavori che sono stati presi in particolare considerazione nella presente ricerca: A. Anter, Max Webers Theorie des modernen Staates. Herkunft, Struktur und Bedeutung, Berlin, Duncker & Humblot, 1995, pp. 172-188; Mommsen, The Age of Bureaucracy. Perspectives on the Political Sociology of Max Weber, cit.; C. Senigaglia, Razionalità e politica: fondamenti della riflessione di Hegel e di Weber sulla burocrazia, Milano, Franco Angeli, 1996; P.P. Portinaro, Max Weber: la democrazia come problema e la burocrazia come destino, Milano, Franco Angeli, 1987. 183 Il parallelo è stato fatto da Giddens, Capitalismo e teoria sociale. Marx, Durkheim e Max Weber, cit., p. 376. Cfr. anche C. Morgante, Max Weber e la burocrazia, Roma, Carocci, 1984, p. 53. 3. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E BUROCRAZIA 255 assimilabile a quello dell’«impresa»184, tant’è che Weber si spinge fino a ricordare come la concezione che l’azienda economica rappresenti da questo punto di vista qualcosa di differente da un ufficio statale è un’idea «europea-continentale e, in antitesi a noi, del tutto estranea agli americani»185. L’affermazione weberiana contiene qualcosa in più di una mera notazione culturale, in quanto permette di avvicinarsi alla comprensione di un aspetto specifico dei processi di burocratizzazione: quello di costituire il peculiare trait d’union tra comunità statale e comunità di mercato. Non è un caso, d’altronde, che burocrazia e mercato condividano lo stesso «motto»186, vale a dire quel «senza riguardo alla persona» che è proprio anche di «ogni schietto perseguimento di interessi economici»187. La funzione della burocrazia è essenziale, in quanto consente alle forme di associazione propriamente moderne di trovare una loro unità, una loro forma di organizzazione in quanto sistema. In termini weberiani: «La burocratizzazione è il mezzo specifico per tradurre l’“agire comunitario” in “agire sociale” razionalmente ordinato»188. Tramite la burocrazia, le uniche due comunità della modernità, Stato e mercato, trovano una loro unità, una propria forma di organizzazione, un proprio ordine funzionante in maniera continuativa e, a detta di Weber, razionale. Ciò richiede naturalmente la presenza di una serie di elementi strutturali, prodottasi storicamente, la cui sedimentazione è stata resa possibile primariamente dal diffondersi onnipervasivo del modo di produzione capitalistico, con i suoi inevitabili effetti sociali. Un primo elemento è appunto quello che qui 184 MWG I/22-4, p. 157 (Dominio, p. 59). Il termine Behörde viene tradotto qui, in linea con la traduzione operata in ES, IV, p. 59, con «organo di autorità». Palma traduce semplicemente con «organo», affiancando comunque l’originale tedesco tra parentesi. 185 MWG I/22-4, p. 159 (Dominio, pp. 61-62). 186 MWG I/22-4, pp. 186-187 (Dominio, p. 90). 187 Ibid. 188 MWG I/22-4, p. 208 (Dominio, p. 110): «Die Bürokratisierung ist das spezifische Mittel „Gemeinschaftshandeln“ in rational geordnetes „Gesellschaftshandeln“ zu überführen». MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ 256 abbiamo definito come separazione dell’uomo dalla cosa. Come nel modo di produzione la separazione dell’uomo lavoratore dal prodotto e dai mezzi del proprio lavoro rende pensabile da un lato la presenza della merce in quanto cosa presente sul mercato, dall’altro l’individuo lavoratore disponibile come merce particolare definita forza lavoro, in modo assimilabile la separazione del notabile dal suo ufficio rende pensabile la presenza della figura del funzionario, vale a dire del singolo individuo disciplinabile mediante la formazione e la prospettiva di carriera, ed educabile alla fedeltà all’ufficio. Questo richiede però la diffusione a livello politico-amministrativo di ciò che in fabbrica ha luogo mediante l’incorporazione della forza lavoro nel sistema di produzione, ovvero un certo grado di livellamento dei dominati189, senza il quale non sarebbe pensabile il sistema di reclutamento dei funzionari che la burocrazia strutturalmente richiede. Assume qui particolare rilevanza quel processo storico di democratizzazione, avviatosi a partire dalla Rivoluzione francese, ulteriormente rafforzato dal Bonapartismo e dalla fondamentale pubblicazione del Codice Napoleonico, e divenuto infine elemento strutturale di una forma di organizzazione socio-politica grazie al livellamento prodotto dalla statalizzazione del reclutamento militare e dalle assunzioni in massa nella grande industria. Il nesso tra processi di burocratizzazione e di democratizzazione è ripetutamente sottolineato da Weber, per quanto egli lo ritenga in ultima analisi non necessario190. La burocrazia razionale richiede quindi essenzialmente la presenza dell’individuo, o meglio di una massa di individui, i quali rappresentano la sua base di reclutamento, e al contempo la forma specifica che deve assumere l’utenza del sistema burocratico stesso. L’elemento collante della disciplina, rilevante nel caso della formazione dei funzionari, è, per quanto concerne l’utenza, un fattore davvero essenziale. Solo la disciplina, corrispondente in questo caso alla «disposizione degli uomini a osser189 190 MWG I/22-4, p. 201 (Dominio, p. 103). MWG I/22-4, p. 213 (Dominio, p. 115). 3. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E BUROCRAZIA 257 vare le norme e i regolamenti abituali», è in grado di garantire in maniera continuativa e prevedibile quell’agire sociale che costituisce, come detto, il prodotto specifico dei processi di burocratizzazione. D’altronde, come esplicitamente affermato da Weber, la formazione di un agire sociale può emergere solo a partire da un agire di massa: e la massa, in questo caso, è data dalla presenza di un gran numero di individui disciplinati a seguire le norme e i regolamenti promulgati dagli organi di autorità, siano essi privati o statali. Come non può esistere modo di produzione capitalistico senza una massa di individui nullatenenti (vale a dire, separati dalle cose, e quindi liberamente costretti a vendere la forza del corpo come forza lavoro), così non può esistere dominio burocratico senza la presenza di una massa di individui non possidenti, agglomerati al sistema in qualità di cittadini, il cui agire è quindi disponibile all’attività di disciplinamento. Per continuare con l’analogia: come la fabbrica richiede la presenza del singolo corpo disponibile in qualità di forza lavoro, così la burocrazia richiede la presenza del corpo dotato singolarmente di diritti e doveri, ovvero del singolo cittadino, giuridicamente autonomo, e in quanto tale soggetto di diritto. Se la burocrazia richiede la presenza del singolo individuo, l’individuo dev’essere però prima creato, e in ciò il diritto gioca un ruolo di primaria importanza. L’elemento giuridico – che già assumeva un ruolo cruciale nel favorire la continuità e la prevedibilità dei processi economici – mostra ora il suo peculiare peso politico nella configurazione del dominio di tipo burocratico; a tal proposito, è interessante notare come Weber subordini la presenza di un diritto soggettivo e oggettivo alla presenza stessa di processi di burocratizzazione. Solo la burocratizzazione dello Stato e del diritto vede in generale anche la possibilità definitiva di una netta distinzione concettuale tra un ordinamento giuridico “oggettivo” e i diritti “soggettivi” degli individui che quest’ultimo garantisce, e così la distinzione del “diritto pubblico”, che riguarda le relazioni degli organi (Behörden) gli uni con gli altri e con i “sudditi”, dal “diritto privato”, che regola le relazioni dei singoli dominati gli uni con gli altri191. 191 MWG I/22-4, p. 228 (Dominio, pp. 126-127). 258 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ Non c’è separazione compiuta tra diritto soggettivo e oggettivo senza un adeguato processo di burocratizzazione degli organi di autorità. La presenza di singoli individui massificati e socializzati dalla comunità di mercato e dalla stessa organizzazione burocratica porta con sé una strutturazione giuridica polarizzata nei due estremi di un diritto soggettivo, individuale, del singolo corpo del cittadino, e un diritto oggettivo, che determina da un lato l’organizzazione degli organi di autorità (diritto pubblico), dall’altro le possibilità di agglomerazione dei singoli individui in associazioni di tipo eteronomo ed eterocefalo (in primis a fini commerciali). Da un lato l’individuo, o meglio una massa di individui, dall’altra la comunità statale e il mercato messi in comunicazione tra loro dalla burocrazia, la quale, attivando processi di autorizzazione a vari livelli di stratificazione, contribuisce alla strutturazione di differenziate forme associative, in ultima analisi inglobate funzionalmente in un sistema che solo ora presenta le caratteristiche dell’agire sociale. Rimane da capire come si passi concretamente da un polo all’altro, dall’individuo all’organo di autorità, dal singolo cittadino alla formazione dell’Anstalt statale: si apre qui un altro punto cruciale dell’argomentazione weberiana, che definiremo tradizionalmente come problema dell’ordine politico, al quale sarà dedicato l’intero quarto ed ultimo capitolo. Capitolo quarto La singolarità del moderno: capitalismo e democrazia Dal punto di vista sociologico, lo Stato moderno è un’“impresa”, né più né meno di una fabbrica: questo è appunto il suo carattere storico specifico. E condizionato in modo analogo è, nei due casi, anche il rapporto di potere (Herrschaftsverhältnis) all’interno dell’impresa1. Carl Schmitt, in una relazione del 1934, oggi raccolta nel testo Über die drei Arten des rechtswissenschaftlichen Denkens2, nel tentativo di definire l’economizzazione e la correlata cosificazione del mondo, non può far altro che affidarsi ad una sorta di paradosso etimologico, che, come abbiamo visto, era noto allo stesso Weber: nelle condizioni del mondo moderno è «la fattualità impersonale»3 a dominare. Il paradosso è evidente nell’accostamento del termine Herrschen (che appare immediatamente legato alla dimensione personale, tant’è che anche in Weber esistono solo Herrscher e mai possessori di Herrschaft) alla impersonalità della Sachlichkeit. Oltre ad evidenti accenti weberiani4, 1 Cfr. M. Weber, Parlament und Regierung im neugeordneten Deutschland. Zur politischen Kritik des Beamtentums und Parteiwesens, in MWG I/15, pp. 421-596 qui p. 452 (anche in GPS, pp. 306-443, qui p. 321, tr. it. in PG, p. 81). 2 C. Schmitt, Über die drei Arten des rechtswissenschaftlichen Denkens, 2a ed., Berlin, Duncker & Humblot, 1993. Si tratta della raccolta delle relazioni tenute presso la Kaiser-Wilhelm-Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaften (21 febbraio 1934) e al Tagung der Reichsgruppenrates der Referendare presso il Bund Nationalsozialistischer Deutscher Juristen a Berlino (10 marzo 1934), tr. it. I tre tipi di scienza giuridica, Torino, Giappichelli, 2002. 3 Cfr. Schmitt, I tre tipi di scienza giuridica, cit., p. 16. “Fattualità” traduce qui il tedesco Sachlichkeit. 4 Sul rapporto tra Weber, Marx e Schmitt in riferimento al tema dell’economiciz- 260 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ risuonano nelle parole di Schmitt le gravi riflessioni dello stesso Simmel, nel momento in cui riconosceva l’inesorabile «dominio delle cose sull’uomo» non solo come la specifica «tragedia del moderno», ma anche come la specifica «trascendenza della vita», il suo «volgersi verso l’Idea», espressione che si pone a sua volta inevitabilmente in un contrasto quasi grottesco con la concezione platonica5. Schmitt affianca all’espressione un esempio meno ardito rispetto a quello simmeliano, ma non meno incisivo: riprendendo la tradizionale e cruciale figura del traffico economico, mantenendo l’omonimia, egli la affianca a quella del traffico stradale6. L’uomo si troverebbe a viaggiare all’interno di una strada trafficata, in cui le vie segnate da una legislazione opportunamente predeterminata, prevedibile e perciò calcolabile, lo conducono nei luoghi che egli non ha scelto, e i cui tempi sono scanditi da macchine (i semafori), la cui impersonalità coincide con la loro ineluttabile precisione, e di fronte alle quali egli non può disobbedire, perché, se gli altri non lo seguono, la cosa porterà inevitabilmente verso uno scontro mortale. Allo stesso modo, il destino dell’uomo è dominato da un avvicinamento inesorabile tra le leggi dell’economia teorica e la realtà, che lo lasciano schiacciato proprio nel mezzo di quei princìpi teorici che in un zazione, cfr. G. L. Ulmen, Politischer Mehrwert. Eine Studie über Max Weber und Carl Schmitt, Weinheim, Acta Humaniora, 1991. 5 Dove è l’uomo che, sciogliendo le catene, si libera dalle false verità costituite dalle ombre degli oggetti riflessi sulla caverna. Qui, al contrario, sono le ombre stesse che paiono prender vita, per dominare definitivamente colui che le può solo osservare. Cfr. Löwith, Max Weber e Karl Marx, cit., p. 379, con riferimento a G. Simmel, Der Begriff und die Tragödie der Kultur, in Id., Aufsätze und Abhandlungen 1909-1918, Bd. 1, Gesamtausgabe Bd. 12, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 2001, pp. 194-223, tr. it. Concetto e tragedia della cultura, in Id., Arte e civiltà, Milano, ISEDI, 1976. Cfr. inoltre MWG I/17, pp. 88 ss. (tr. it.: Scienza e Politica, pp. 22 ss.). È stato consultato anche La scienza come professione. La politica come professione, Torino, Edizioni di Comunità, 2001. Un’interessante argomentazione a partire proprio dal riferimento weberiano al mito della caverna si trova in B. Accarino, Chiarezza senza amore. Scienza e leadership politica tra Max Weber e Hans Blumenberg, «Filosofia Politica», 2/7, 1993, pp. 197-232. 6 Cfr. Schmitt, I tre tipi di scienza giuridica, cit., p. 16. 4. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E DEMOCRAZIA 261 tempo non lontano avevano rappresentato delle salde convinzioni morali, ed erano presupposti di Weltanschauungen anche opposte tra loro. Egli però aggiunge una riflessione ulteriore, e propone (ri-propone?) il vero scarto concettuale che gli permette appunto di distinguere tra loro i modi del pensare giuridico, come da proposito: Schmitt afferma che il sapere «economico-sociologizzante», se da un lato può essere adeguato alla sfera dell’economico, è al contempo completamente inadeguato, anzi «distruttivo», se applicato ai cosiddetti «ambiti istituzionali», tra i quali Schmitt cita la famiglia, il matrimonio, l’esercito. Se l’economia è divenuta il «destino dell’uomo»7, se Versachlichung (processo reale) e Ökonomisierung (processo teorico) sono in costante avvicinamento, allora la distruzione è già avvenuta, ed è ancora in atto. Ciò corrisponde tuttavia ad un altro ordine di questioni. Quello che qui interessa è notare come, citando la famiglia, il matrimonio e l’esercito come ambiti istituzionali, e considerandone quindi la comprensione come irriducibile alla sfera dell’economico, Schmitt riapra un problema che avevamo lasciato alla fine del terzo capitolo. In termini introduttivi, lo si potrebbe definire come il problema dell’ordine politico8. Senza dubbio Weber avrebbe sostenuto che la democrazia è l’orizzonte in cui ci muoviamo, o più precisamente – visto che egli si batteva per l’affermazione di un compiuto sistema democratico – essa è l’orizzonte in cui ci si deve muovere9. In questa 7 Löwith, Max Weber e Karl Marx, cit. Sul rapporto tra il politico e l’economico, in un’argomentazione molto attenta alle stratificazioni lessicali della prosa weberiana, cfr. C. Colliot-Thélène, Le Désenchantement de l’État. De Hegel à Max Weber, Paris, Éditions de Minuit, 1992, pp. 193 ss. 9 Sul tema della democrazia in Weber cfr. K. Palonen, La relegitimation de la democracia por Max Weber. Aspectos de la rétorica de revisión conceptual, «Res publica», 16, 2006, pp. 153-170; S. Egger, Herrschaft, Staat und Massendemokratie. Max Webers politische Moderne im Kontext des Werkes, Konstanz, UVK, 2006, testo che costituisce un attraversamento sia della Sociologia del potere che degli scritti politici weberiani; C. Colliot-Thélène, La fin du monopole de la violence légitime?, in Coutu, Rocher, La légitimité de l’État et du droit. Autour de Max Weber, cit., pp. 23-46; R. Schroeder (a cura di), Max Weber, Democracy and Modernization, New York, Macmillan Press, 1998 (in riferimento alle argomentazioni del presente capitolo 8 262 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ convinzione non è tuttavia possibile rintracciare alcun contenuto valoriale, tendente a vedere nel regime democratico il sistema della libertà o ancor meno il miglior governo possibile. Non solo non si ritrova in Weber alcuna affermazione che vada in questa direzione10, ma non ve n’è alcuna in cui egli concepisca la democrazia secondo la definizione volgare che si ritrova ancor oggi sedimentata perlomeno nel linguaggio quotidiano, come pure nel comune dibattito politico, vale a dire come il governo di tutti, del cfr. in particolare gli articoli di S. Breuer, The Concept of Democracy in Max Weber’s Political Sociology, pp. 1-13; R. Collins, Democratization in World-Historical Perspective, pp. 14-31; S. Eliaeson, Max Weber and Plebiscitary Democracy, pp. 47-60; R. Axtmann, State Formation and the Disciplined Individual in Weber’s Historical Sociology, pp. 32-46); Y. Sintomer, La démocratie impossibile? Politique et modernité chez Weber et Habermas, Paris, Découverte, 1999, in particolare la prima parte intitolata La politique comme entreprise de domination, pp. 25-55; S. Breuer, Max Weber et les formes de démocratie, «Revue européenne des sciences sociales», 101/33, 1995, pp. 39-50; J.M. Vincent, Max Weber ou la démocratie inachevée, Paris, Ed. du Félin, 2009; P. Breiner, Max Weber and democratic politics, Ithaca, Cornell University Press, 1996; G. Fitzi, Sovereignty, legality and democracy: Politics in the work of Max Weber, «Max Weber Studies», 1-2/9, 2009, pp. 33-49; F. Ferraresi, La comunità politica in Max Weber. La legittimità democratica come assenza, «Filosofia politica», 2/11, 1997, pp. 181-210; S. Segre, Max Weber e il capitalismo, Genova, Ecig, 1983, capitoli 7-8; Id., Concezioni alternative di democrazia: Weber e Schumpeter, «Rassegna italiana di sociologia», 3/32, 1991, pp. 313-333; M. Nickmann, Der Demokratiebegriff Max Webers, Graz, Univ. Dipl. Arb., 1997; F. Tuccari, Carisma e leadership nel pensiero di Max Weber, Milano, Franco Angeli, 1991, in particolare pp. 165 ss.; Id., I dilemmi della democrazia moderna: Max Weber e Robert Michels, Roma-Bari, Laterza, 1993; Rebuffa, Nel crepuscolo della democrazia. Max Weber tra sociologia del diritto e sociologia dello stato, cit.; F. Ferrarotti, Max Weber: fra nazionalismo e democrazia, Napoli, Liguori, 1985; W. Falk, Democracy and Capitalism in Max Weber’s Sociology, in B.S. Turner (a cura di), Max Weber. Critical responses, 2 voll., London/New York, Routledge, 1999, pp. 70-83; J.L. Villacanas, Max Weber y la democracia, «Debats», 57-58, 1996, pp. 97-116; L. Cavalli, Max Weber: il governo della democrazia, «Annali di sociologia», 9, 1993, pp. 41-75; Portinaro, La democrazia come problema e la burocrazia come destino, cit.; D. Sternberger, Max Weber und die Demokratie, in Id., Herrschaft und Vereinbarung, Frankfurt am Main, Insel Verlag, 1980, pp. 135-158; T. Maley, Democracy and the Political in Max Weber’s Thought, Toronto, University of Toronto Press, 2011; C. Galli, Max Weber: la democrazia ordinata, ovvero la politica della ragione, «Il Mulino», 5/32, 1983, pp. 839-850. Altri testi e articoli legati al tema della democrazia, ma concernenti aspetti più specifici, saranno citati nel corso del testo. 10 Un punto di vista differente su questa questione viene espresso da S. Segre, Fondamenti giusnaturalistici della democrazia parlamentare secondo Max Weber, in R. Treves (a cura di), Max Weber e il diritto, Milano, Franco Angeli, 1981, pp. 183-196. 4. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E DEMOCRAZIA 263 popolo o della maggioranza. Per Weber la democrazia, o meglio il processo che conduce verso di essa, la cosiddetta democratizzazione, era una necessità, da un lato, e una forma di compromesso, dall’altro. Una necessità in quanto, come vedremo, non esisteva secondo lui nessun altro modo per governare uno Stato di massa dominato dalla lotta tra gruppi di interesse prevalentemente incentrati attorno alla potenza del mercato, nel quale lo scontro con altre potenze nazionali appare all’ordine del giorno, e in cui è scomparsa ormai – anche per motivi di carattere strutturale – qualsiasi forma di raggruppamento che goda di un’autonomia che non sia frutto di autorizzazione da parte della stessa istituzione statale, nel senso insomma di quelle che egli stesso definiva le comunità giuridiche, ormai appartenenti al passato. Una forma di compromesso in quanto egli ben sapeva che la democrazia non è costituita da un «mucchio di individui isolati»11 di fronte ad un sovrano, ma che entro essa si agitano le più variegate lotte tra gruppi di vario genere, i quali non considerano l’apparato statale come un luogo neutrale o in grado di neutralizzare i conflitti, ma bensì come uno spazio di conquista in grado di conferire loro quel potere di disposizione per l’ottenimento dei propri scopi di carattere politico, economico, religioso12. 11 Cfr. PE II, p. 312 (SR, I, p. 309). Le affermazioni più evidenti in questo senso si trovano nelle Anticritiche e nei lavori su Le sette protestanti e lo spirito del capitalismo. Cfr. GAR, pp. 207-236 (SR I, pp. 205-230), in cui Weber si occupa diffusamente della democrazia americana. Cfr. per esempio PE II, p. 312 (SR, I, p. 309): «Fin tanto e fino a quando dominava il genuino spirito yankee, la democrazia americana, anche senza trust o sindacati, non è mai stata un semplice mucchio di individui isolati, ma è stata in forte misura un intreccio di circoli esclusivi di cui la setta costituiva il tipo originario, che stabiliscono e coltivano nei loro membri, come condizione ovvia di appartenenza, le qualità che costituiscono l’uomo di affari gentleman di cui il capitalismo ha bisogno». Cfr. inoltre GAR, p. 215 (SR, I, p. 212): «[…] in passato e fino ai nostri giorni un contrassegno della democrazia specificamente americana consisteva nel fatto che essa non è un’accumulazione informe di individui, bensì un intreccio di gruppi sociali rigorosamente esclusivi, ma volontaristici». Cfr. ancora M. Weber, „Kirchen“ und „Sekten“ in Nordamerika. Eine kirchen- und sozialpolitische Skizze, «Die christliche Welt», 24/20, 1906, pp. 558-562 e 25/20, 1906, pp. 577-583 (tr. it. SR, I, pp. 189-204, qui pp. 199-200): «Chi per “democrazia” intende una massa di uomini polverizzati a mo’ di atomi – come amano fare i nostri romantici – si sbaglia completamente, almeno nella misura in cui si riferisce 12 264 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ In una conferenza sul socialismo tenuta a Vienna il 13 giugno del 191813 Weber, dopo essersi posto la domanda «Che cos’è oggi la democrazia?», risponde che «in sé» essa significa «semplicemente che non c’è differenza formale di diritti politici tra le singole classi della popolazione»; seguono alcune pagine in cui delinea brevemente quali differenti significati questa affermazione possa assumere. Al di là delle argomentazioni specifiche, ciò che qui interessa rilevare – ancora ad un livello introduttivo – è il fatto che Weber concepisse la democrazia anzitutto come un luogo di lotta, di scontro, di compromesso tra classi e gruppi. Dopo aver affrontato nel secondo capitolo l’analisi della Sociologia del dominio, ed aver rilevato, sulla scorta delle stesse affermazioni weberiane, che lo scontro e il compromesso tra gruppi (preva- alla democrazia americana: non la democrazia, bensì il razionalismo burocratico ha di solito per conseguenza tale “atomizzazione”, che non viene poi eliminata attraverso la prediletta imposizione dall’alto di “strutture”. La società americana genuina – e qui parliamo appunto anche degli strati “medi” e “inferiori” della popolazione – non è stata mai un mucchio di sabbia del genere, e neppure un edificio in cui chiunque arrivi trova, senza distinzione, le porte aperte: essa era, ed è, compenetrata di “esclusivismi” di ogni specie. Ovunque sussistono ancora gli antichi rapporti, l’individuo non acquista mai una posizione stabile, né all’università né nella vita degli affari, se non gli riesce di venir cooptato in un gruppo sociale – un tempo quasi sempre un gruppo ecclesiastico, oggi un gruppo di qualsiasi altra specie – e di affermarsi al suo interno»; cfr. infine, con riferimento all’ambito europeo, M. Weber, The Relations of the Rural Community to Other Branches of Social Science, in MWG I/8, pp. 200-243, in particolare pp. 220 ss. (una traduzione italiana del testo si trova in appendice al saggio di P.L. di Giorgi, “Max Weber a St. Louis Mississipi”. L’esperienza americana di Max Weber, «La Critica Sociologica», 92, 1989, pp. 151-163). In termini riassuntivi, è possibile affermare, in accordo con A. Scalone, che per Weber, «il passaggio alla democrazia di massa e al suffragio universale, o quantomeno allargato, non significano presenza immediata delle masse sulla scena politica. Al contrario, enfatizzano la necessità di un apparato di mediazione, organizzazione, rappresentazione dei nuovi soggetti politici che solo per questo tramite diventano tali». Cfr. A. Scalone, Rappresentanza politica e rappresentanza degli interessi, Milano, Franco Angeli, 1996, pp. 62-63. Sull’esperienza americana di Weber cfr. in particolare L.A. Scaff, Max Weber in America, Princeton, Princeton University Press, 2011; S. Eliaeson, Max Weber: made in the USA?, «Etica & Politica/Ethics & Politics», 2/7, 2005, pp. 1-30; F. Ferraresi, Professione e disciplina nell’Occidente moderno. Max Weber tra Europa e Stati Uniti, in M. Ricciardi (a cura di), L’Occidente sull’Atlantico, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2008. 13 Cfr. Der Sozialismus, in MWG I/15, pp. 597-633, tr. it. Scritti politici, Roma, Donzelli, 1998, pp. 101-130. 4. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E DEMOCRAZIA 265 lentemente a carattere cetuale) costituiscono l’essenza del feudalesimo, e in particolare dello Stato per ceti, viene da chiedersi per quale motivo Weber parli ora di democrazia, e ne dia una definizione per molti versi assimilabile. Perché parlare ora di democrazia? E qual è lo specifico di questo «metodo democratico»?14 Per rispondere a questa domanda è necessario tenere presenti i mutamenti fondamentali nelle relazioni sociali introdotti dall’avvento e dalla sedimentazione delle due potenze razionalizzatici dello Stato e del mercato, e dalla loro interazione reciproca, tema che è stato affrontato nel precedente capitolo. 1. La critica weberiana alla rappresentanza degli interessi Solo quando il compromesso era il fondamento giuridico dell’azione politica, anche l’articolazione corporativo-professionale era, secondo la sua essenza, opportuna. Però non dove governa la scheda elettorale, cioè per un’elezione parlamentare15. In una lettera al fratello Alfred del 17 dicembre del 188816, Max Weber mostra apertamente di considerare lo Stato come una fonte di diritto accanto ad altre possibili, come altri Stati, o le comunità religiose, e considera possibile, nello scontro tra Stato e Chiesa, che ci sia una sfera d’azione nella quale le norme giuridiche statali non possono intervenire. Weber presenta qui una 14 Si utilizza qui un’espressione ripresa da J.A. Schumpeter, Capitalismo, Socialismo, Democrazia, Milano, Etas, 2001, p. 280: «[…] il metodo democratico è lo strumento istituzionale per giungere a decisioni politiche, in base al quale singoli individui ottengono il potere di decidere attraverso una competizione che ha per oggetto il voto popolare». La definizione non è immediatamente adeguata alla riflessione weberiana, in quanto Weber associa alla razionalizzazione delle procedure una loro intrinseca validità, e quindi una legittimità, che è estranea alla riflessione schumpeteriana, perlomeno in questo passaggio. Allo stesso modo, la riflessione di Schumpeter, in particolare tra i capitoli XXI e XXII del libro, è la conseguenza logica e per certi versi il proseguimento di molte considerazioni weberiane. Su questioni che incrociano le riflessioni weberiane e schumpeteriane cfr. C. Colliot-Thélène, L’ignorance du peuple, in G. Duprat (a cura di), L’ignorance du peuple. Essai sur la démocratie, Paris, PUF, 1998, pp. 16-40. 15 M. Weber, Wahlrecht und Demokratie in Deutschland, in MWG I/15, pp. 344-396, qui p. 368 (GPS, pp. 245-291, qui p. 264, tr. it. DD, p. 32). 16 Cfr. Brief an Alfred Weber, 17.11.1888, in Jugendbriefe, pp. 310-312. 266 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ visione dello Stato che è simile a quella di Gierke e di Bähr, per i quali appunto l’istituzione statale non è la fonte prima ed esclusiva del diritto, ma è una fonte tra le altre, e fa parte di un ordinamento giuridico che la sovrasta. Si tratta di una convinzione che certamente il Weber realista e nazionalista degli anni maturi si rifiuterà di prendere in considerazione, ma che mostra perlomeno come egli avesse recepito quello che fu nient’altro che il retroterra culturale della sua formazione giuridica, e come avesse piena consapevolezza delle questioni in gioco nella concezione dello Stato a seguito della svolta gerberiana e soprattutto labandiana. Una consapevolezza che va chiaramente di pari passo con la convinzione dell’impossibilità di un ritorno al passato, e che al contempo si rivela apertamente quando, a partire anzitutto dalla fase successiva alla sconfitta tedesca, comincia ad emergere con evidenza la crisi di quelle dottrine del diritto pubblico che avevano fino ad allora dominato la scena. La coscienza dello schiacciamento della Verfassung sulla Konstitution da queste operato, fino a produrre una vera e propria sovrapposizione, viene a galla già negli scritti pubblicistici weberiani di questo periodo17, fino a sfociare in aperta frattura in due autori, la cui produzione più rilevante è immediatamente successiva, come Rudolf Smend e lo stesso Carl Schmitt, che riconosceranno esplicitamente l’influenza weberiana sulla loro opera. È possibile immaginare che la coscienza dello scarto, e della necessità della riapertura del problema dell’ordine politico, sia sorta in Weber anche alla luce 17 Non si ritrova in Weber una distinzione netta tra Verfassung e Konstitution quale si ritrova in altri autori. Cfr. su ciò G. Duso, Potere e costituzione in Hegel, in Id. (a cura di), Il Potere. Per la storia della filosofia politica moderna, cit., pp. 297-316. Vi sono luoghi della produzione weberiana in cui egli si avvicina di molto all’utilizzo del termine Konstitution in senso materiale. Cfr. in particolare MWG I/22-4 p. 259 (Dominio, p. 194), in riferimento ad una relazione patriarcale di dominio in cui i consociati si presentano come «consociati di diritto (a prescindere se in senso giuridico o meno)», e incarnata sotto forma tipico-ideale nelle leges al tempo di Adriano e nei «diritti curtensi» del Medioevo. Cfr. inoltre WuG, I, p. 27 (ES, I, p. 49), in cui Weber afferma di utilizzare un concetto di costituzione nello stesso senso in cui lo utilizza Lassalle. Cfr. infine sul tema P. Schiera, Max Weber e Otto Hintze: storia e sociologia o dottrina della Ragion di Stato?, in G. Duso (a cura di), Max Weber. Razionalità e politica, Venezia, Arsenale cooperativa editrice, 1980, pp. 77-89. 4. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E DEMOCRAZIA 267 delle cognizioni acquisite negli anni decisivi della sua formazione. Se di problema antico si tratta, non v’è dubbio tuttavia che esso si ponga all’interno di un contesto del tutto irriducibile rispetto alle modalità in cui esso era stato posto fino a quarant’anni addietro. Lo Stato non è un valore assoluto, è anzi proprio questa convinzione che comincia ormai seriamente a vacillare: tuttavia è indubitabile che attorno ad esso ed alla comunità di mercato si sia costruito un intero complesso associativo. I termini Versachlichung e Ökonomisierung, utilizzati anche da un autore come Schmitt, richiamano quella che è possibile definire una vera e propria realtà costituzionale sedimentatasi attorno alle potenze razionalizzatici dello Stato e del mercato, intesa in quel senso ampio di costituzione che all’epoca si stava diffondendo nelle trasformazioni del sapere storiografico secondo le forme della Sozial- e Verfassungsgeschichte, e che comincerà presto ad affacciarsi anche al dibattito sulla politica. All’interno di questa nuova realtà, definitivamente svincolatasi da quell’ordine sociopolitico (o ancor più, immediatamente sociale e politico) che in passato aveva permesso il costituirsi di un contesto plurale, nessuna corporazione può più fungere da corpo intermedio tra la potenza statale e la sempre più complessa rete della societàmercato, formata oramai da una serie di associazioni (imprese, banche, istituti di carità ecc.) ad adesione volontaria ed orientate allo scopo. Come tali, simili gruppi umani sono eteronomi ed eterocefali, e pertanto non più assimilabili alle comunità giuridiche: termine con cui Weber categorizzava quell’insieme di realtà all’interno di un contesto pluralistico nel quale la stessa comunità politica era qualificabile come una tra le altre. Più in generale, i nuovi raggruppamenti non sono più definibili, in senso assoluto, come Gemeinschaften, come vere e proprie comunità. Ciò vale in Weber anche per quelle forme associative costituitesi a fini politici e quindi non immediatamente previste all’interno della logica primariamente economica della cosificazione – come partiti, classi, sindacati – per le quali egli nega allo stesso modo la qualificazione di comunità. 268 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ Sono stati delineati nel precedente capitolo i lineamenti essenziali della costituzione socio-politica peculiarmente moderna, e il loro scarto rispetto alle strutture tradizionali. È chiaro che non si tratta affatto di una questione indipendente dal problema della forma politica; al contrario, se è la lotta all’interno del sistema democratico che bisogna pensare, allora è proprio nella società che bisogna rintracciare le matrici di questa lotta, secondo le tipologie che essa ha assunto nei modi di vita razionalizzati e cosificati tipici del moderno. Weber sostiene pertanto che la domanda di fondo sul carattere organizzativo-economico della società costituisce una necessaria questione preliminare nel momento in cui si voglia affrontare la questione politica18. Ciò che va pensato perciò non è tanto l’economia capitalistica come cosmo oggettivo indipendente dallo Stato di diritto, né tanto meno quest’ultimo come luogo delle decisioni indipendenti dalla realtà socio-economica, quanto piuttosto il costante intreccio tra lotta economica e lotta politica, tra decisione politica e interessi materiali19, presente anche all’interno di un compiuto sistema parlamentare. Che ciò comporti da un lato il definitivo venir meno di quell’immagine pulita di una razionalizzazione dell’economia puramente concorrenziale20, e dall’altro l’esaurimento di qualsiasi ornamento valoriale appiccicato all’espressione costituzione democratica, è una conseguenza inevitabile sia del ragionamento, sia dell’approccio adottato, che per Weber è però l’unico possibile. 18 Cfr. M. Weber, Deutschlands künftige Staatsform, in MWG I/16, pp. 91-146 (GPS, pp. 448-483, tr. it. Scritti politici, cit., pp. 131-167). 19 Cfr. WuG, p. 176 (ES, I, p. 297) «Das Wirtschaftsleben wird politisiert, die Politik ökonomisiert». La frase fa riferimento ad un contesto sociale favorevole alla diffusione dei partiti. Cfr. su ciò A. Scott, Capitalism, Weber and Democracy, «Max Weber Studies», 1/1, 2000, pp. 33-55. 20 La sola lettura di un testo come le Erhebungen è sufficiente per scardinare ogni dubbio su un improbabile carattere neutrale e indolore dei moderni processi di cosificazione. A questo proposito, sostenere che Weber ha visto razionalità ovunque Marx vedeva alienazione è affermazione fuori luogo, in quanto semplifica eccessivamente la questione. Cfr. Erhebungen über Auslese und Anpassung (Berufswahl und Berufsschicksal) der Arbeiterschaft der geschlossenen Großindustrie, in MWG I/11, pp. 63-149. 4. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E DEMOCRAZIA 269 La riflessione sui rimedi da apportare ai fenomeni – anzitutto economicamente condizionati – di democratizzazione e massificazione, diffusa sull’intero continente, coinvolge in particolare nell’area tedesca una serie di soluzioni tendente a rintracciare nella rappresentanza delle categorie professionali una possibile via d’uscita, tra l’altro specificamente tedesca. Una tale concezione incontra la forte opposizione di Weber, il quale la etichetta nientemeno che come una «dilettantesca bolla di sapone»21. Va notato come la serie di critiche mosse a simili concezioni non abbia luogo a partire dalla questione dell’unità o dell’ordine politico, ma dalle ineluttabili esigenze dell’economia capitalistica, di certo uno dei vettori indispensabili della battaglia per la politica di potenza mondiale. Secondo Weber tutti coloro che sostengono tali posizioni condividono anzitutto una profonda ignoranza circa l’essenza del capitalismo. Esso è dominato infatti da associazioni in funzione di uno scopo22, le quali non derivano da «rapporti comunitari e strutture che si siano sviluppati “organicamente” sul terreno delle relazioni cresciute naturalmente oppure a partire dalle primarie e intime relazioni umane», e non sono dotate di quelle caratteristiche che ancora portavano in sé «la famiglia, il parentado, il comune, i rapporti feudali e signorili, e ancora le consorterie, le corporazioni e perfino le unioni di classe del Medioevo»23. Le strutture associative che costituiscono la vita del modo di produzione capitalistico sono infatti del tutto irriducibili a queste forme premoderne di associazione: Chi non ha ancora un’idea dell’opposizione di tutte le moderne associazioni razionali finalizzate ad uno scopo di contro a quelle altre, costui si dedichi innanzitutto allo studio dell’abc della sociologia, prima di cominciare a molestare il mercato librario con la sua vanità letteraria24. Di per sé, una rappresentanza di interessi non sarebbe un’assurdità, e il fatto che il singolo giungesse ad appartenere di fatto 21 22 23 24 MWG I/15, p. 355 (DD, p. 17). Cfr. MWG I/15, p. 359 (DD, p. 22). MWG I/15, p. 358 (DD, p. 20). Ibid. MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ 270 a più di una cerchia – cosa che accadeva anche all’interno dei contesti tradizionali precedentemente nominati – non nega in linea di principio la possibilità di un sistema che ha già mostrato nel passato di funzionare. L’argomentazione weberiana mostra però come sia la struttura stessa dell’economia moderna ad essere del tutto irriducibile ad una sua organizzazione sulla base di corporazioni elettorali. La nostra moderna economia, a differenza dell’economia vincolata corporativamente, si caratterizza proprio per il fatto che dalla posizione esterna non si può quasi mai dedurre quale funzione economica sia propria dell’individuo, e anche perché la più approfondita statistica professionale non rivela ancora nulla della struttura interna dell’economia25. Alla difficoltà (secondo Weber un’impossibilità) strutturale di inserire le moderne professioni all’interno di una serie di categorie formali si aggiunge la specifica caratteristica della mobilità dei moderni modi di produzione, i quali si muovono su vere e proprie «sabbie mobili», vale a dire su assetti di unità aziendali, direzioni produttive e forze lavorative che ogni nuova macchina o possibilità di smercio possono radicalmente ristrutturare26. La struttura argomentativa tendente ad intrecciare costantemente l’esercizio della Herrschaft con le forme dell’ordinamento economico emerge in tutta evidenza nel momento in cui Weber si sofferma sulle ragioni strutturali che impedirebbero qualsiasi forma di rappresentanza corporativa all’interno del moderno assetto socio-economico. Il ragionamento weberiano si sviluppa attraverso un confronto di carattere comparativo con il modello di riferimento delle aspirazioni attualizzanti dei letterati, vale a dire lo Stato per ceti. Non solo lo stesso concetto di istituzione (Anstalt)27, ma quella stessa istituzione storicamente determi25 Cfr. MWG I/15, pp. 358-359 (DD, p. 21). Cfr. MWG I/15, p. 359 (DD, p. 22). Sullo stesso tema, cfr. H. Kelsen, Il problema del parlamentarismo, in Id., La democrazia, Bologna, Il Mulino, 1995, pp. 155-188, in particolare pp. 169 ss. 27 Cfr. MWG I/22-3, p. 397 (ES, III, p. 69): «Dal punto di vista puramente tecnicogiuridico, la concezione dell’istituzione è stata sviluppata soltanto nella teoria moderna». Cfr. inoltre MWG I/22-3, p. 399 (ES, III, pp. 69-70). 26 4. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E DEMOCRAZIA 271 nata che oggi definiamo Stato si è formata mediante uno scontro secolare con i gruppi articolati per ceti, i quali erano di fatto proprietari dell’apparato amministrativo (amministrazione della giustizia, equipaggiamento militare, approvvigionamento per la guerra)28. È interessante notare come Weber veda un «perfetto parallelo» di questa progressiva espropriazione dei mezzi di amministrazione e coercizione da parte dello Stato nei confronti dei ceti nello sviluppo dell’impresa capitalistica, attraverso la progressiva espropriazione dei produttori indipendenti29. La specificità del mondo moderno si è prodotta anzitutto attraverso queste due grandi forme di progressiva appropriazione, storicamente intrecciate tra loro, da parte dello Stato e dell’impresa nei confronti di tutte le comunità preesistenti. Queste in passato si presentavano e si potevano presentare secondo le forme di un’autonomia non frutto di autorizzazione statale, perché in grado di reggere autarchicamente la propria esistenza, anzitutto dal punto di vista economico e militare. Non solo, ma Weber riconosce inoltre come, all’interno del presente contesto di funzionalizzazione delle dimensioni della vita associata, di divisione del lavoro e di intensificazione dei processi di socializzazione, queste due appropriazioni, oramai sedimentate sotto forma di ordinamenti e istituzioni, costituiscano la condizione di possibilità della loro razionalità formale, e pertanto del loro stesso funzionamento continuativo. Come l’appropriazione da parte dell’imprenditore dei mezzi di produzione, e la correlata presenza di una massa di non possidenti disponibili al lavoro, costituiscono per Weber due delle essenziali condizioni di possibilità della calcolabilità che caratterizza il moderno sistema d’impresa, allo stesso modo l’appropriazione non solo della legislazione e del monopolio della violenza fisica, ma degli stessi mezzi di lavoro e di attività in genere, costituisce la condizione di possibilità del suo funzionamento razionale, nonché uno dei fattori essenziali di garanzia 28 Cfr. Politik als Beruf, in MWG I/17, pp. 113-252, qui pp. 164-165 (GPS, pp. 505-560, qui pp. 510-511, tr. it. Scienza e Politica, pp. 58-59). 29 MWG I/17, p. 165 (Scienza e Politica, p. 58). 272 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ di esistenza di un’amministrazione burocratica30. I due grandi luoghi dell’appropriazione, l’impresa industriale e lo Stato (quindi la burocrazia, sia pubblica che privata), determinano pertanto le condizioni di possibilità del funzionamento di quel sistema «che domina inevitabilmente l’economia e, mediante questa, il destino quotidiano degli uomini»31. Da essi diparte quella distribuzione di professioni, ruoli e responsabilità che certo non coinvolge l’intero della popolazione (su ciò si tornerà oltre), ma che, per la parte coinvolta, produce un ethos di gran lunga superiore a qualsiasi etica economica del passato. Agli occhi di Weber quest’argomentazione è decisiva per l’impossibilità di qualsivoglia recupero di una dimensione corporativa del vivere associato, sia essa di carattere politico, economico o di entrambi, a meno che non si voglia procedere ad una espropriazione degli espropriatori, obiettivo che tra l’altro costituiva al tempo di Weber una delle prospettive politiche particolarmente vivaci, ma che era chiaramente del tutto estranea dall’orizzonte di ciò che Weber riteneva non solo opportuno, ma anche effettivamente realizzabile32. L’aspetto peculiare dello Stato corporativo non era infatti «l’articolazione organica della società secondo “naturali gruppi economico-professionali”»33, ma una specifica forma economica che, pur non producendolo, lo rese però di fatto possibile34. Nel suo completo sviluppo, raggiunto soltanto in Europa35, esso comportò «l’acquisizione di diritti politici da parte di individui e corporazioni nella guisa di possesso privato di “privilegi eredi- 30 Cfr. per esempio MWG I/22-4, p. 197 (Dominio, p. 99): «La struttura burocratica va di pari passo con la concentrazione dei mezzi materiali d’impresa nelle mani del signore». 31 Cfr. MWG I/15, p. 357 (DD, p. 19). 32 È noto come Weber non considerasse il socialismo una prospettiva alternativa all’ulteriore sviluppo capitalistico. Cfr. su ciò MWG I/15, pp. 597-633. Cfr. inoltre Sukale, Max Weber - Leidenschaft und Disziplin. Leben, Werk, Zeitgenossen, cit., pp. 332-348. 33 Cfr. MWG I/15, p. 366 (DD, p. 30). 34 Cfr. MWG I/15, p. 367 (DD, pp. 30-31). 35 Cfr. MWG I/15, p. 367 (DD, p. 31), ma anche: Vorbemerkung, p. 3 (SR I, p. 7). 4. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E DEMOCRAZIA 273 tari”», che è paragonabile oggi – continua Weber – solamente al possesso della propria corona da parte del re. È questa frammentazione in mani diverse di ciò che oggi noi siamo abituati a pensare come «materia dell’unitario “potere dello Stato”» a costituire non solo l’elemento caratteristico di questa forma di «Stato per ceti», ma anche della sua peculiare modalità di gestione degli affari politici. Mancando di fatto un’istituzione come quella statale, «ogni azione politica» richiedeva pertanto «una unione di questi titolari di prerogative in linea di principio indipendenti l’uno dall’altro, e procurare ciò era lo scopo delle assemblee degli stati (Ständeversammlungen)»36. Queste naturalmente non conoscevano in linea di principio «né votazioni né una deliberazione vincolante per colui che non assentiva»; semmai, la vera forma dell’accordo politico era costituita da un patto raggiunto di volta in volta: si trattasse di un concordato, di una «transazione», di un «licenziamento», l’accordo consisteva sempre, in ultima analisi, in una qualche forma di compromesso tra le parti. L’affondo weberiano sulla questione, seppur all’interno di un testo di carattere pubblicistico, presenta, come appare evidente, delle forti affinità con la definizione del compromesso come forma specifica dell’accordo politico all’interno della struttura feudale del dominio, descritta nelle pagine della prima Sociologia del dominio. Le moderne condizioni di esistenza, nonostante il progressivo livellamento indotto dai processi di industrializzazione e dalla burocratizzazione, non hanno eliminato l’esistenza di differenze tra i cittadini, né quella di raggruppamenti sociali di ogni tipo, tra i quali dominano ancora le più svariate forme di compromesso. Il caso tipico, citato da Weber, è quello che ha luogo tra lavoratori e proprietari, anzitutto per la determinazione dei salari37. Accordi di ogni tipo si possono ritrovare ogni giorno all’interno delle associazioni di mestiere ad adesione volontaria, come le camere dell’agricoltura, del commercio, dell’artigianato, e, seppur decisi 36 Cfr. MWG I/15, p. 367 (DD, p. 31). La specificità moderna di questa forma di compromesso consiste soprattutto nel fatto decisivo che esso dev’essere sempre in qualche modo quantificabile e misurabile. 37 274 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ in anticipo e lì semplicemente recitati, anche all’interno degli stessi parlamenti. Weber si dimostra particolarmente attento a queste differenze, a suo avviso molto più dei letterati che approverebbero per partito preso qualsiasi forma di sistema elettorale a voto plurimo. Un redditiere che abbia sfruttato con astuzia l’economia in tempo di guerra e un proprietario di fabbrica che ottenga il proprio profitto tramite l’esercizio continuativo della propria prestazione non sono affatto entrambi assimilabili sotto l’etichetta di capitalisti. Se si dà – come indubbiamente accade – scontro tra singoli e gruppi all’interno della lotta economica per l’esistenza, operare queste distinzioni diventa fondamentale per comprendere quali siano le matrici dello scontro e le parti in causa. Lo stesso fatto, in apparenza puramente economico, che le entrate di un redditiere provengano da cedole azionarie o da obbligazioni statali, diviene allora essenziale, in quanto al di sotto di questa differente speculazione sta una differente forma di lotta economica, che coinvolge rispettivamente dirigenti commerciali, impiegati, quadri, operai, oppure l’impiegato doganale, l’agente delle tasse e i contribuenti. In termini generali, certamente il possesso e la mancanza di possesso costituiscono un primo criterio di differenziazione, allo stesso modo del poter fruire di un’istruzione di tipo superiore, nella quale Weber vede la vera differenza in grado di produrre distinzioni di ceto tra i cittadini. Tuttavia, sarebbe assurdo fondare un sistema elettorale conferendo un peso specifico a qualcuna di queste differenze. Altrettanto assurdo sarebbe sovrapporre alle moderne distinzioni professionali delle corporazioni elettorali, di modo che in parlamento si trovino radunate concretamente le rappresentanze dei variegati interessi professionali e lavorativi della nazione. Non solo sarebbe di fatto impossibile fissare delle classificazioni per un gran numero di professioni, e risulterebbe impossibile inserire ciascuna attività all’interno di una categoria appropriata, ma, all’interno della rete della moderna economia, il tentativo si risolverebbe in un dominio ancor più marcato dei gruppi più potenti: «Migliaia sono i fili coi quali le forze capitalistiche 4. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E DEMOCRAZIA 275 farebbero danzare alle elezioni, secondo il loro volere, non solo il negoziante al minuto e l’artigiano “autonomi”, ma anche il fabbricante indipendente»38. Ovunque siano stati sperimentati sistemi elettorali basati sulle «categorie professionali» – Weber cita il caso austriaco e quello della Duma russa elaborato da Bulygin39 – si sono prodotti esiti tutt’altro che soddisfacenti, per non dire disastrosi. Soprattutto, non si è raggiunto lo scopo che principalmente ci si prefiggeva, vale a dire quello di rendere manifeste, attraverso questo sistema, le dipendenze e i legami tra potere politico ed economico di fatto esistenti. Le trasformazioni di carattere anzitutto economico (ma non solo) che hanno condotto da raggruppamenti di carattere corporativo-cetuale a eteronome ed eterocefale associazioni di scopo, e l’attuale realtà socio-politica organizzata funzionalmente attorno alla doppia potenza dello Stato e del mercato, rappresentano pertanto la motivazione essenziale per dimostrare la non praticabilità di un sistema di organizzazione corporativa nella produzione della volontà politica. Oltre a quanto già nominato, la convinzione weberiana che le associazioni in grado di rappresentare un gruppo di interesse abbiano nel contesto a lui contemporaneo un carattere necessariamente volontaristico merita un’attenzione un po’ più diffusa. Ciò vale in particolare per quelle organizzazioni che pretendono di avere una certa influenza nell’ambito delle decisioni politiche. L’importanza della volontà individuale nella definizione di qualsiasi forma di appartenenza corrisponde certo alla peculiarità delle forme moderne di associazione. Lo stesso ingresso dell’operaio all’interno della fabbrica – per citare quello che per molti versi è un caso limite – seppur di fatto costretto dal pungolo della fame, è determinato in maniera formalmente libera, quindi teori- 38 Cfr. MWG I/15, p. 359 (DD, p. 22). Per una breve descrizione di tale sistema Cfr. M. Weber, Zur Lage der bürgerlichen Demokratie in Rußland, in MWG I/10, pp. 70-219 in particolare pp. 103-106, (tr. it. parziale Sulla Russia 1905-1906/1917, cit., qui pp. 33 ss.). 39 276 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ camente volontaria. Negli scritti pubblicistici di Weber questa considerazione è di carattere primariamente empirico, ed è volta a rilevare una differenza rispetto a molti contesti associativi prestatuali. Va sottolineato però, al contempo, come essa possegga un’affinità evidente con le rigorose definizioni concettuali delineate all’interno dei Concetti sociologici fondamentali. Caratteristica dell’agire sociale, oltre al necessario (per definizione) atteggiamento in qualche modo rivolto verso l’altro, è di essere soggettivamente intenzionato. Si ricorda come questa sottolineatura risulti di importanza primaria nel distinguere l’agire determinato sulla base di una situazione di interessi – il quale è sempre in qualche misura soggettivamente intenzionato – rispetto all’agire determinato sulla base di usi e costumi, il quale, nei casi-limite, può anche non esserlo. Non a caso Weber individua nella possibile mancanza di senso intenzionato nell’azione la possibile esclusione di alcuni atteggiamenti tradizionali dalla categoria dell’agire sociale40. Si ricorda inoltre come Weber definisca in questo contesto lo Stato stesso nei termini di un insieme di «processi e connessioni dell’agire specifico di singoli uomini, poiché questi soltanto costituiscono per noi il sostegno intelligibile di un agire orientato in base al senso»41. I Concetti sociologici fondamentali si muovono certamente all’interno della sfera di definizione di una scienza – la cosiddetta sociologia comprendente – e, presi isolatamente, non possono essere interpretati immediatamente in chiave politica. La rilevazione di alcune affinità argomentative tra questo scritto teorico e gli scritti pubblicistici dimostra al contempo come in Weber 40 Cfr. WuG, I, p. 12 (ES, I, p. 22): «1. L’atteggiamento rigorosamente tradizionale – al pari della pura imitazione passiva […] – sta precisamente al limite, e spesso al di là di ciò che si può definire, in generale, un agire orientato “in base al senso”. Infatti esso è assai sovente una specie di oscura reazione a stimoli abitudinari, che si svolge nel senso di una disposizione una volta acquisita». 41 Cfr. WuG, I, p. 6 (ES, I, p. 13) E ancora, poco oltre (WuG, I, p. 7 - ES, I, p. 13): «Uno “Stato” moderno sussiste come un complesso di uno specifico agire in comune di uomini, in larga misura proprio perché determinati uomini orientano il loro agire in vista della rappresentazione che esso sussista o debba sussistere, cioè che valgano ordinamenti di carattere giuridico […] ». 4. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E DEMOCRAZIA 277 sussista una certa relazione tra senso intenzionato, volontà individuale e razionalità dell’agire, che non è priva di ricadute all’interno delle argomentazioni di primario carattere storico-politico. Una tale disposizione subliminalmente presente nella Weltanschauung weberiana riemerge nel momento in cui si tratta di definire – una volta scartata irrimediabilmente come una bolla di sapone qualsiasi ipotesi di carattere corporativo – un’alternativa nelle forme di produzione della decisione politica. 2. Democratizzazione e calcolabilità Il livellamento democratico, per il quale il valore di chiunque è uguale a uno e nessuno vale di più, è il correlato o la premessa di questo procedimento di calcolo in cui la maggior o la minor quantità aritmetica di unità anonime esprime la realtà interna di un gruppo e assume la guida di quella esterna. Questa essenza dell’età moderna, fatta di misure, di pesi, di conti esatti è la più pura rappresentazione del suo intellettualismo, che certo produce anche qui, al di sopra dell’eguaglianza astratta, la più egoistica particolarizzazione degli elementi (G. Simmel).42 La questione del diritto elettorale rappresenta un punto di ancoraggio ideale per comprendere la complessa compresenza in Weber di considerazioni di carattere storico-costituzionale e argomentazioni correlate alla sua profonda analisi dei processi di razionalizzazione. Il diritto elettorale paritario è una ineluttabile necessità della moderna configurazione dello Stato di massa. Weber constata come esso rappresenti una questione dalla forte carica valoriale, e quindi un problema peculiarmente politico, mai riducibile ad una questione tecnica, e che, ovunque si siano diffuse le organizzazioni di partito, si è ormai imposto come una sorta di parola d’ordine, persino in una «nazionalità dominante e politicamente così avveduta contro il diritto elettorale»43 come quella unghe- 42 Simmel, Filosofia del denaro, cit., p. 628. Sul rapporto tra uguaglianza e individualismo cfr. Id., La differenziazione sociale, cit., pp. 66 ss. 43 MWG I/15, p. 348 (DD, p. 9). MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ 278 rese. La paritarietà del suffragio è pertanto un elemento con cui è necessario confrontarsi; al contempo, esso può «dare buoni risultati in prove politiche decisive, se si sa governare con esso e si ha la buona volontà di far ciò»44. In queste considerazioni Weber pare ritenere tale diritto come un dato che è necessario prendere in esame. Al di là della lotta politica per ottenere il suffragio universale, all’interno della quale il Weber borghese trova opportuno cedere, «se si vogliono evitare sterili battaglie»45, egli vede nel riconoscimento del suffragio paritario la ricaduta a livello giuridico di una situazione di livellamento sedimentatasi all’interno del moderno contesto socioeconomico. La standardizzazione delle condizioni di vita non è solamente un corollario del venir meno di qualsiasi realtà di carattere corporativo o cetuale, ma è anzitutto un correlato delle moderne condizioni di esistenza all’interno del modo di produzione capitalistico, quindi del moderno sistema di fabbrica, e ancor più della crescente burocratizzazione degli organi di autorità46. Quest’ultima, in particolare, esige – ai fini dell’ottimizzazione delle proprie prestazioni – un allargamento della propria base di reclutamento, che va di pari passo con la necessità dell’esistenza di una massa di potenziale personale da assumere, di uguale condizione, all’interno della quale individuare il futuro funzionario. «Tutti gli uomini sono uguali di fronte alla morte»: con questa sentenza, di stampo hobbesiano, Weber indica inoltre quell’ulteriore elemento di democratizzazione passiva47 incarnato nel rientro di masse di soldati dalla guerra, delle quali è necessario tener conto nell’elaborazione delle forme di organizzazione politica. Questi fenomeni di massificazione – sui quali non si insisterà qui oltre – sono attentamente considerati da Weber: essi non 44 MWG I/15, p. 349 (DD, p. 10). Ibid. 46 Cfr. Beetham, La teoria politica di Max Weber, cit., p. 117. 47 Cfr. per esempio G. Hübinger, “Democratizzazione” nello stato, nella società e nella cultura: Max Weber tra politica e scienza politica, in Losito, Schiera, Max Weber e le scienze sociali del suo tempo, cit., pp. 455-479, qui p. 462; Tuccari, I dilemmi della democrazia moderna: Max Weber e Robert Michels, cit., pp. 117 ss. 45 4. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E DEMOCRAZIA 279 vanno interpretati ovviamente nei termini di una crescente uguaglianza di condizioni dell’intera popolazione, bensì di un processo di livellamento che ne coinvolge una grossa parte, e pertanto non vanno esclusi da considerazioni concernenti questioni di organizzazione politica. Esiste tuttavia un altro versante della riflessione di carattere più prettamente teorico, seppur strettamente intrecciato alle constatazioni relative alla struttura dello Stato di massa appena nominate. Si tratta della necessaria razionalizzazione della sfera politica, che acquisisce qui una propria autonomia, e che Weber concepisce in stretto rapporto ai fenomeni di razionalizzazionecosificazione della sfera economica, precedentemente analizzati. L’argomentazione teorica essenziale per sostenere l’opportunità della paritarietà del suffragio consiste nella calcolabilità delle preferenze, rispetto alla quale il sistema della scheda elettorale secondo il criterio una testa-un voto si rivela massimamente adeguato. Da un punto di vista puramente politico non è un mero caso che oggi si faccia ovunque innanzi il “diritto elettorale paritario basato sulle cifre”. Infatti questa paritarietà del diritto di voto corrisponde nella sua natura “meccanica” all’essenza dello Stato attuale. Solo allo Stato moderno appartiene il concetto di “cittadino”. E innanzitutto il diritto elettorale paritario non significa in ogni modo altro che, a questo punto della vita sociale, il singolo non si deve ormai più considerare, come sempre in passato, secondo il suo particolarizzarsi in determinate collocazioni professionali e familiari e secondo le diversità della sua condizione materiale o sociale, ma per l’appunto soltanto come cittadino. In ciò si manifesta l’unità del popolo di uno Stato al posto della dissociazione delle sfere della vita privata48. In questo passo, oltre al riferimento al concetto di cittadino49, Weber sostiene con chiarezza l’adeguatezza del voto basato su cifre all’essenza meccanica dello Stato moderno. Anche in questo caso egli pare incrociare le considerazioni sull’effettiva e crescente 48 MWG I/15, p. 369 (DD, p. 33). Sul concetto di cittadino in Weber come forma di status minimale, costruito per sottrazione, cfr. Tuccari, I dilemmi della democrazia moderna. Max Weber e Robert Michels, cit., pp. 120 ss. 49 280 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ omogeneità sostanziale di una grossa parte della popolazione con quelle relative alla necessità di razionalizzazione dei processi di formazione dell’unità politica. Va chiarito come livellamento (Gleichmacherei) non significhi affatto l’adattamento ad una finalmente acquisita «“uguaglianza” naturale», e tanto meno ad un’uguaglianza sostanziale delle condizioni materiali degli uomini. Weber lo afferma esplicitamente, dichiarando di sostenere esattamente il contrario. Accanto ai fenomeni di massificazione e di livellamento indotti dai processi di industrializzazione e burocratizzazione, che egli considera come una «realtà»50, un sistema elettorale basato su una paritarietà del suffragio costituirebbe una specie di «elemento equilibratore» per i «ceti socialmente dominati, superiori in quantità» nei confronti dei ceti privilegiati. Esso rappresenterebbe quindi una sorta di contrappeso rispetto alla «disuguaglianza delle condizioni esterne della vita»51, oggi fondata in particolare sulla possibilità di acquisire una preparazione professionale, quindi una «cultura», e sulle disuguaglianze nel possesso di beni. Anche nel momento in cui ribadisce l’opportunità politica del suffragio paritario, Weber considera l’instaurazione di un sistema democratico come un luogo di scontro di interessi tra ceti52, classi, e più spesso tra quelle potenze che sono in grado di 50 MWG I/15, p. 396 (DD, p. 63): «La “democratizzazione”, nel senso del livellamento dell’articolazione delle classi mediante lo Stato burocratico, è un dato di fatto. Si ha solo questa scelta: o far vivere la massa di cittadini, privi di diritti e di libertà, in un burocratico “Stato autoritario” con un parlamentarismo fittizio, “amministrandoli” come un gregge, oppure inserirli nello Stato come condomini dello Stato medesimo. Ma un popolo di signori (e solo un popolo siffatto ha la capacità e il permesso di condurre in generale una “politica mondiale”) non ha a questo riguardo alcuna scelta. Si può benissimo (per ora) mandare a monte la democratizzazione. Infatti sono alleati contro di essa forti interessi, pregiudizi e codardie. Ma si paleserebbe presto che ciò avverrebbe al prezzo dell’intero avvenire della Germania». 51 MWG I/15, pp. 369-370 (DD, p. 33). 52 Il termine ceto non va inteso nel senso in cui esso viene utilizzato all’interno di un contesto di dominio tradizionale. La formazione di ceti all’interno del moderno contesto associativo è possibile solo attraverso la mediazione della sfera del mercato; i ceti moderni sono rappresentati pertanto in particolare da coloro che sono riusciti a monopolizzare una fetta di mercato. Cfr. MWG I/22-1, pp. 252 ss. (Comunità, pp. 255 ss.); WuG, II, pp. 531 ss. (ES, IV, pp. 28 ss.). 4. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E DEMOCRAZIA 281 determinarne la direzione politica: i grossi industriali e i potenti funzionari burocratici. Accanto ad essi si verrebbe a schierare, in un compiuto sistema parlamentare, il politico di professione, salito al potere tramite l’acquisizione massificata di consensi individuali, e quindi potenzialmente in grado di esprimere le esigenze e le necessità delle masse. Si cercherà di chiarire in seguito in quale misura Weber creda di fatto in questa possibilità di un’improbabile rappresentanza degli interessi delle masse, e quanto invece questa considerazione possieda un certo grado di retorica. Per ora, accanto a queste considerazioni di carattere empirico, va ancora una volta sottolineata la convinzione weberiana sul carattere razionalizzante del sistema elettorale basato su un voto paritario. Quella che, riprendendo Ostrogorski, si potrebbe definire «canonizzazione del numero»53, rappresenta infatti per Weber una condizione necessaria per la razionalizzazione della formazione della volontà statuale, nella quale egli vede il versante politico del medesimo processo che investe la moderna industria e l’incipiente burocratizzazione degli organi di autorità. Nel precedente capitolo si è cercato di porre in evidenza come il processo di razionalizzazione dei modi di produzione proceda parallelamente ad un processo di cosificazione delle relazioni sociali, generando quell’avvicinamento della realtà ai principi teorici che determina la condizione di possibilità di una crescente calcolabilità dell’agire. Procedendo ora nell’indagine della razionalizzazione delle forme di produzione dell’unità statale, si va inevitabilmente a cozzare contro la problematica schmittiana espressa all’inizio del presente capitolo: l’espressione «l’impersonale oggettività domina» indica quel processo di cosificazione della decisione politica che Schmitt considera strutturalmente impossibile, nonché distruttivo di qualsiasi istituzione. In maniera simile alle argomentazioni del precedente capitolo, si cercherà qui di affrontare il nodo della razionalizzazione della sfera poli53 Cfr. M.Y. Ostrogorski, La democrazia e i partiti politici, Milano, Rusconi, 1991, p. 107: «La canonizzazione del numero nello Stato complicò le cose: come avrebbe potuto la folla di vecchi e giovani, colti e ignoranti, ricchi e proletari, ora arbitri dei loro destini politici, messa insieme alla rinfusa, dar corpo al nuovo ruolo di “sovrano”?». MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ 282 tica, cercando di tenere presente la tensione tra realtà e principi teorici, al fine di constatare se anche in questo caso si produca un crescente avvicinamento, ed eventualmente quali conseguenze esso produca. 3. Massa e disciplina «La società tuttavia, essendo un meccanismo, è una formidabile macchina per fare uomini.»54. Ovunque si sia diffuso il sistema della scheda elettorale e quindi del conteggio dei voti i partiti politici sono saliti alla ribalta, e con la loro organizzazione capillare sono diventati i «vettori della lotta»55. È noto come, nonostante le divergenze di opinione rispetto ai suoi principali punti di riferimento sulla questione56, Weber considerasse l’organizzazione di partito uno strumento inevitabile della moderna democrazia di massa. Le motivazioni addotte intrecciano ancora una volta riflessioni relative alla calcolabilità delle prestazioni, quindi alla più volte nominata necessità di razionalizzazione, con argomenti che tengono conto dell’effettiva struttura della moderna società di massa. Per comprendere il rapporto tra partito e la modalità specificamente moderna di formazione dell’unità della volontà politica è necessario far riferimento ancora – stavolta in chiave politicoistituzionale – al concetto di massa57. Se si considera con attenzione il suo utilizzo nei testi weberiani, si possono ricavare delle indicazioni costanti, non immediatamente veicolate da quell’insieme di significati che esso assume nell’uso quotidiano. Una formazione di massa non deve essere necessariamente 54 J. Ortega y Gasset, L’uomo e la gente, Milano, Giuffrè, 1978, p. 24. MWG I/15, p. 360 (DD, p. 23). 56 Ci si riferisce anzitutto ai lavori di Ostrogorski, Bryce e Michels. Cfr. Ostrogorski, La democrazia e i partiti politici, cit.; J. Bryce, The American Commonwealth, 7a ed., London, The Mcmillan Company, 1958; R. Michels, La sociologia del partito politico nella democrazia moderna, Bologna, Il Mulino, 1966. 57 Cfr. P. Baehr, The ‘masses’ in Weber’s political sociology, «Economy and Society», 2/19, 1990, pp. 243-252. 55 4. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E DEMOCRAZIA 283 costituita da persone riunite contemporaneamente nello stesso luogo. Non è decisivo neppure che si tratti di un numero quantitativamente grande, o che esse agiscano o obbediscano nello stesso momento. Una massa può essere pertanto anche una «massa dispersa»58, espressione usata nei Concetti sociologici fondamentali e che designa una moltitudine di individui collocati in luoghi differenti, ma al contempo unificati da un «atteggiamento di più persone» che opera «simultaneamente o successivamente» su di essa. L’elemento «decisivo» nella definizione di un agire di massa è pertanto la possibilità, da parte di tali persone, di ottenere una uniformità di obbedienza da parte dei singoli massificati59. Forme di «agire condizionato di massa»60 si sono date in tutti i tempi e luoghi; al contempo esse si presentano oggi – a causa della singolarità strutturale delle moderne condizioni di esistenza – con peculiare frequenza, come indirettamente confermato dall’accostamento della specificazione di massa accanto a concetti come Stato, società, democrazia, consumo ecc. Se si considera l’agire condizionato di massa si noterà come esso sia istituito da un dominante (termine che qui fa riferimento a quelle persone in grado di attivare, con il loro agire, una reazione uniforme da parte di una massa di individui) e da un dominato, ossia la massa di individui che reagiscono uniformemente61 allo stimolo. Si tratta quindi, come Weber esplicitamente riconosce62, di una relazione di Herrschaft, di cui è analizzabile la peculiare struttura. Nel secondo capitolo sono state esaminate le forme di 58 WuG, I, p. 11 (ES, I, p. 20). MWG I/22-4, p. 542 (Dominio, pp. 583-584). 60 WuG, I, p. 11 (ES, I, p. 20). L’agire della massa, nel senso definito, è possibile solo nel momento in cui un insieme di persone irrelate viene motivato ad agire da parte di un qualche stimolo proveniente dall’atteggiamento di altre persone, le quali, nel momento in cui producono nella massa una reazione uniforme, non fanno più parte di essa. 61 Il termine uniformemente non implica che essi reagiscano esattamente nella stessa maniera. La reazione di ciascun individuo della massa può essere anche estremamente differenziata, ma essa rimane un tassello di quella che nel complesso è qualificabile come una reazione uniforme allo stesso stimolo. 62 Cfr. a proposito MWG I/22-4, p. 542 (Dominio, p. 583). 59 284 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ dominio tradizionali; si è cercato di mostrare come usi, costumi e infine il concetto più comprensivo di tradizione costituiscano nel complesso una forma di mediazione tra dominanti e dominati, resa possibile da fattori di vario genere (il legame di sangue, la terra, l’autoarmamento, gli interessi reciproci ecc.), i quali, attraversando trasversalmente la relazione, creano delle forme di reciprocità che rendono strutturalmente impossibile che il dominio si configuri secondo la mera disposizione dell’arbitrio del dominante. Si è mostrato inoltre come, in questi contesti, dominio assoluto si dia solamente in assenza di qualsiasi forma di reciprocità e di mediazione tra le parti, come nel caso del rapporto tra il pater familias e lo schiavo, o nel caso del dominio sultanistico, vale a dire svincolato da qualsiasi forma di agire tradizionale. Se si procede ora alla valutazione della relazione sociale instaurata nel caso di un agire condizionato di massa alla luce di queste categorie, si noterà come ci si trovi di fronte ad un rapporto di tipo peculiare, esorbitante rispetto alle forme precedentemente descritte. Le forme moderne della vita associata rendono infatti possibile l’estensione generalizzata di una serie di relazioni in grado di oltrepassare, senza attraversarle, tutte le forme di mediazione che nel caso delle relazioni tradizionali erano generalmente possibili. Se consideriamo per esempio il caso citato da Weber, quello della stampa63, è possibile notare come si crei in questo caso un rapporto tra un insieme di persone (il direttore del giornale e i giornalisti) e una massa dispersa di individui isolati, dei quali, in quanto lettori, è assolutamente indifferente, da un punto di vista sociologico, determinare quali siano le caratteristiche da cui sono individualmente definiti. Sono tutti lettori, indipendentemente dal fatto che singolarmente si abbia a che fare con artigiani, operai, ricchi, poveri, possidenti o meno. L’unica forma di mediazione che consente il rapporto è in effetti la condivisione 63 Il tema della connessione tra stampa e opinione pubblica nella riflessione di Weber è l’oggetto degli articoli di C. Senigaglia, Parlament und Presse: Weber und die Nachfolger, «Parliaments, Estate & Representation», 23, 2003, pp. 179-194; Id., Parlament und Presse im Zeitalter Max Webers, «Parliaments, Estate & Representation», 22, 2002, pp. 215-232. 4. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E DEMOCRAZIA 285 della lingua comune, che non a caso Weber considera come uno degli elementi in grado di cementare le masse64 e di formare una «coscienza nazionale»65. A fronte dei mutamenti essenziali che hanno investito la società moderna, questa forma impersonale di relazione è diventata in assoluto la più diffusa. Se nel rapporto tra imprenditore e azionisti esiste ancora una mediazione, rappresentata dalle quote investite da ciascun azionista66, essa viene a mancare nel caso del rapporto imprenditore-operai (principalmente a seguito dell’appropriazione dei mezzi di impresa da parte 64 Cfr. Hübinger, “Democratizzazione” nello stato, nella società e nella cultura: Max Weber tra politica e scienza politica, cit., p. 475: «I giornali sono i fattori che “al massimo grado sanno cementare le masse” perché la lingua, scrive Weber, è “il primo e soprattutto l’unico bene culturale, cui le masse, nell’aprirsi della cultura, abbiano accesso”»; Beetham, La teoria politica di Max Weber, cit., p. 172: «Con la democratizzazione della cultura – scriveva alla fine del 1916 – la comunanza della lingua riveste un carattere di esclusività tra le masse, le contraddizioni nazionali diventano necessariamente più stridenti, più strettamente connesse, nelle singole lingue nazionali, con l’interesse ideale ed economico dell’attività letteraria di massa». 65 Cfr. Mommsen, Max Weber e la politica tedesca, cit., p. 111. In questo esempio della stampa si ritrova un rapporto di comando ed obbedienza che aderisce in un grado elevato, nella sua dinamica empirica, alla definizione della Herrschaft formale e razionale, e che al contempo non pare immediatamente legato alla vicenda storica dello Stato moderno e della sua crisi. Il rapporto tra direttore del giornale e lettori non è tale in quanto è inserito all’interno di un’istituzione politica statale, ma per la forma intrinseca assunta in questo caso dalla relazione sociale: una relazione tra un singolo (o un gruppo) e una massa dispersa, che fa sì che ad un input da parte del primo possa corrispondere una reazione da parte della massa, indipendentemente dalla specificità del contenuto espresso. Affermare che l’elaborazione concettuale di Weber sui tipi di dominio sia storicamente determinata, e sia riconducibile al «problema dello Stato e della situazione di crisi in cui si trova» (cfr. Duso, Tipi del potere e forma politica moderna in Max Weber, cit., p. 483) rimane un’argomentazione basilare: questo esempio dimostra semmai come essa vada ulteriormente indagata, vale a dire come le realtà dello Stato e del mercato moderni, e della relativa separazione tra politico e sociale, producano delle dinamiche in grado di penetrare fin nei gangli più nascosti delle relazioni sociali. In altre parole, lo Stato e il mercato moderni producono una propria realtà, in grado di avvicinare la realtà ai principi teorici (l’esito massimo del processo di razionalizzazione) e in grado di avvalorare, in termini descrittivi, le formulazioni teoriche della sociologia. Una prestazione filosofica può consistere nello svelare le strutture materiali e sociali, e storicamente determinate (in questo caso, il rapporto singolo-massa dispersa e l’assenza di mediazioni tra le due parti), che rendono possibile l’estrinsecarsi di questi processi di razionalizzazione ai massimi livelli di adeguatezza. 66 Tant’è che Weber definisce l’assemblea degli azionisti come il sovrano dell’imprenditore. Cfr. MWG I/17, p. 182 (Scienza e Politica, p. 74). MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ 286 del primo), perlomeno finché i lavoratori non fanno valere come fattore di potenza la forza del loro numero, utilizzando lo strumento dello sciopero come resistenza che va a toccare gli interessi del proprietario. Al di là della forma potenzialmente spuria della fabbrica, tipi più puri di tale relazione si incontrano per esempio nel rapporto tra produttori e consumatori, tra mass media e utenti, e ovunque all’interno dell’amministrazione burocratica. Se queste relazioni sono il frutto di un mondo razionalizzato, allora esiste una sostanziale affinità tra processi di razionalizzazione e produzione di relazioni sociali coinvolgenti un agire condizionato di massa. Accanto alle numerose considerazioni sull’opportunità di una compiuta parlamentarizzazione del Reich, che vanno sempre sempre tenute presenti, Weber mostra chiaramente, nelle numerose argomentazioni sulla calcolabilità introdotta dalla scheda elettorale, di vedere in essa l’elemento di una compiuta razionalizzazione della sfera di produzione dell’unità politica. Il fatto che una tale razionalizzazione porti con sé inevitabilmente dei fenomeni di massificazione è una conseguenza inevitabile, ma non un motivo sufficiente per vituperare il «diritto elettorale paritario come “democrazia delle cifre”, a favore di altre elezioni eventualmente a base “corporativo-professionale”»67. In effetti, un sistema fondato sull’«ultima ratio della scheda elettorale» introduce inevitabilmente una relazione sociale del tipo qui specificato68. I partiti, in ultima analisi, non sono altro che delle organizzazioni sorte a seguito della possibilità di gestire un sistema fondato sull’espressione individuale del consenso69: «In ogni caso è chiara in ciò una cosa sola: dovunque dominano le 67 MWG I/15, p. 368 (DD, p. 32). L’argomentazione weberiana concepisce chiaramente qualsiasi forma di rappresentanza degli interessi come un’alternativa non componibile in alcun modo con il sistema una testa-un voto. Qualsiasi tentativo di introdurre una rappresentanza degli interessi commista ad un’«urna per il conteggio dei voti», condurrebbe inevitabilmente ad un sistema in cui il calcolo dominerebbe sulla rappresentanza vincolata. 69 Cfr. WuG, I, p. 167 (ES, I, p. 282): «I partiti possono utilizzare qualsiasi mezzo per acquistare potenza. Laddove la direzione è costituita mediante un’elezione (formalmente) libera, e la statuizione avviene mediante il voto, essi sono in primo luogo orga68 4. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E DEMOCRAZIA 287 schede elettorali e l’agitazione, i partiti politici in quanto tali sono già ora predisposti a diventare i vettori della lotta. Già per il fatto che essi dispongono dell’apparato a questo scopo»70. Anche alla luce delle approfondite analisi di Michels e Ostrogorski, Weber rileva come il diritto elettorale paritario introduca una scissione tra coloro che si occupano della gestione dell’apparato e la massa, più o meno disinteressata, dei votanti. Tale sistema comporta inevitabilmente un agire condizionato di massa – quello degli elettori – guidato da coloro che cercano di carpirne il consenso. Differentemente da tutte le forme sociali ove è strutturalmente possibile un compromesso tra le parti (tipicamente presente nel sistema feudale, ma anche tra imprenditore e azionisti, nella formazione del bilancio preventivo dello Stato71 e, a certe condizioni, anche tra imprenditore e operai), in questo caso la riduzione del rapporto ad un’espressione unilaterale di volontà da parte dei dominanti rende la relazione potenzialmente riconducibile alle forme dell’agire di massa. Le conseguenze che questo modo di produzione di consenso introduce sono inscritte nella forma stessa della relazione. In primo luogo, si tratta sempre di un rapporto tra un ristretto numero di persone e un’ampia massa di elettori, che rappresenta la base potenziale dell’acquisizione di consenso. La «logica del piccolo numero»72 è una conseguenza inevitabile della struttura stessa del sistema elettorale. Essa opera anzitutto tra tre gruppi: nizzazioni costituite per la raccolta dei suffragi e – nel caso che la votazione proceda nel senso stabilito – partiti legali». 70 MWG I/15, p. 360 (DD, p. 23). 71 MWG I/15, p. 368 (DD, p. 32). 72 Su questo punto Weber ha molti elementi in comune con le argomentazioni di Ostrogorski e con i cosiddetti teorici delle élites, da Gaetano Mosca, di cui si è già ribadita l’importanza all’interno delle pagine dedicate all’analisi delle forme tradizionali di dominio, a Vilfredo Pareto, oltre ovviamente al più volte citato Robert Michels. Per quanto riguarda le argomentazioni weberiane, cfr. Beetham, La teoria politica di Max Weber, cit., in particolare pp. 144 ss.; Hübinger,“Democratizzazione” nello stato, nella società e nella cultura: Max Weber tra politica e scienza politica, cit., p. 472; R. F. Titunik, The Continuation of History: Max Weber on the Advent of a New Aristocracy, «The Journal of Politics», 3/59, 1997, pp. 680-700; Tuccari, I Dilemmi della democrazia moderna: Max Weber e Robert Michels, cit., in particolare pp. 305 ss. 288 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ le élites dominanti, le svariate istanze di intermediazione, che garantiscono l’esercizio amministrativo della produzione e acquisizione del consenso, e la massa della popolazione votante73. Qui le istanze di intermediazione operano primariamente come mero vettore di comunicazione tra i dominanti (gli eleggibili) e i dominati (gli elettori). Il fatto che tutti siano formalmente eleggibili74 non muta nulla nella struttura della relazione che si viene a creare tra dominanti e dominati. La sua specificità fa sì che si crei un rapporto fortemente assimilabile a quello che si instaura tra produttore e consumatore all’interno della logica economica di distribuzione: se dal punto di vista della teoria marginalistica è il consumatore a determinare la produzione, di fatto, nella situazione di mercato, è l’imprenditore a dirigere i bisogni del consumatore – dotato di una certa capacità di acquisto – secondo le esigenze della produzione75. Allo stesso modo, se dal punto di vista giuridico-formale è l’elettore – avente diritto di voto – a scegliere il rappresentante secondo le sue esigenze, di fatto è quest’ultimo (o meglio il partito) a suscitare la preferenza e il voto. Di fronte ad una massa dispersa di votanti, è solamente la sollecitazione del membro di partito interessato ad essere eletto a mettere in forma la reiterata espressione individuale di consenso in grado di conferirgli il numero sufficiente per ottenere l’ele- 73 Riprendo qui un’argomentazione di Hübinger, “Democratizzazione” nello stato, nella società e nella cultura: Max Weber tra politica e scienza politica, cit., p. 472. 74 Anche in questo caso il termine formalmente va sottolineato: nei casi di normalità – con l’esclusione quindi delle persone dotate per qualsiasi motivo di un peculiare carisma – la possibilità di proporsi alle elezioni è accompagnata dalla possibilità/necessità di riuscire a sostenere le spese elettorali. Ne consegue che, come rileva lo stesso Weber, anche nel partito socialdemocratico, è particolarmente gradita ed opportuna la presenza di membri che siano in grado di autofinanziarsi, ed eventualmente di finanziare il partito. Il criterio del patrimonio – escluso formalmente – rientra materialmente come criterio preferenziale per l’accesso al ruolo di rappresentante. Cfr. MWG I/15, p. 360 (DD, p. 23). 75 Cfr. WuG, I, p. 49 (ES, I, p. 88): «Per la teoria economica, è il consumatore marginale a determinare la direzione della produzione. Di fatto, secondo la situazione di mercato, ciò è oggi esatto soltanto entro certi limiti, perché in larga misura l’“imprenditore” “suscita” e “dirige” i bisogni del consumatore – quando questi può comprare». 4. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E DEMOCRAZIA 289 zione. Nella sezione di Economia e Società dedicata all’analisi dei partiti Weber conclude coerentemente che, all’interno di un’organizzazione politica fondata sul voto individuale e sui partiti, l’esercizio della politica «è nelle mani dei capi e degli apparati di partito». I militanti – le istanze di intermediazione – «compaiono per lo più soltanto come acclamati, e in certe circostanze, come istanze di controllo, di discussione di appello o di risoluzione», e soprattutto «i membri non attivi, insieme con le masse associate (degli elettori e dei votanti) sono soltanto oggetto di reclutamento nel periodo di elezione e votazione»76. Riprendendo la logica argomentativa esplicitata nei paragrafi della Sociologia del dominio, è possibile affermare che nel caso del rapporto tra rappresentante (e partito) ed elettore si crea una relazione sociale del tutto simile a quella che si produce nella definizione di agire condizionato di massa. Se la correlazione è corretta ne consegue che tra elettore ed eletto non è strutturalmente presente nessuna forma di mediazione in grado di vincolare in qualche modo il secondo al primo. La forma stessa della relazione esclude che possano entrare in gioco delle forme di reciprocità (di interessi, o quant’altro) e si struttura secondo la logica propria dell’agire di massa, ossia un esercizio unilaterale (in questo caso di produzione di consenso) da parte del dominante. Da qui sorge, tra l’altro, la necessità di strutturare la relazione secondo le forme di una rappresentanza libera, in cui si produce un rapporto nel quale il rappresentante è esplicitamente il «signore» (Herr) dei suoi elettori, non vincolato a «nessuna istruzione», «obbligato soltanto dalle proprie convinzioni oggettive, e non alla tutela degli interessi di coloro che lo hanno delegato»77. D’altronde, quali interessi dovrebbe tutelare? Se l’unica forma di mediazione è anche in questo caso rappresentata dall’informazione e dall’espressione linguistica78, è inevitabile che solo ed esclusivamente su questo 76 WuG, I, p. 167 (ES, I, p. 283), corsivo mio. Cfr. WuG, I, p. 172 (ES, I, p. 291). 78 Su ciò cfr. K. Palonen, Max Weber, Parliamentarism and the Rhetorical Culture of Politics, «Max Weber Studies», 2/4, 2004, pp. 271-290. 77 290 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ terreno si giochi l’intera forma della relazione. Ne consegue che essa si configura indipendentemente dagli interessi, secondo una logica propria costituita dagli strumenti della pubblicità, della propaganda, del controllo, della demagogia, e, in ultima analisi, della disciplina79. Questo ultimo termine – disciplina – rappresenta effettivamente la chiave di volta del rapporto. La relazione analizzata ricorda infatti molto da vicino, nella sua struttura, le argomentazioni weberiane relative al legame tra disciplina e cosificazione delle forme di Herrschaft inserite nelle pagine della Sociologia del dominio. D’altra parte, seguendo la logica del ragionamento, ovunque manchino delle mediazioni sostanziali tra dominanti e dominati che permettano il sorgere di determinati elementi di reciprocità, la relazione sociale si configura inevitabilmente secondo un disciplinamento unilaterale di una parte nei confronti dell’altra80. Al di là della classificazione, a rivelarsi particolarmente interessante è qui proprio il rapporto nominato tra disciplinamento e cosificazione della Herrschaft, in quanto proprio su di esso si 79 Su questo punto in particolare l’influenza di Ostrogorski pare decisiva. Cfr. a proposito l’efficace sintesi di F. L. Viano, Una democrazia imperiale: l’America di James Bryce, Firenze, Centro Editoriale Toscano, 2003, p. 168: «Questo era il quadro che faceva da sfondo al saggio ostrogorskiano: i partiti che Ostrogorski descriveva in Democracy rubavano alle imprese commerciali e alle società finanziarie l’arte di attribuire alle cose un valore “nominale” superiore a quello reale, fingendo “di rappresentare forze reali” quando in realtà erano semplici “forze convenzionali”. E mentre, da una parte, richiamavano nuovi adepti e li plagiavano con tecniche pubblicitarie all’avanguardia, dall’altra cercavano di riprodurre all’interno del partito i vincoli “religiosi” con i quali la chiesa legava i fedeli alle gerarchie ecclesiastiche. Così riuscivano a costruire intorno ai boss, gente rozza e senza principi, un’aura di prestigio spirituale, e a fare della regularity, ossia l’adesione incondizionata ai membri di partito e alle decisioni prese all’interno del caucus, una specie di dogma di fede». 80 Ad essere precisi, esiste una forma di mediazione tra elettori ed eletto, rappresentata dalla stessa scheda collocata singolarmente nell’urna. Ne è prova che il momento dell’elezione è l’unico in cui effettivamente gli elettori possono richiedere con efficacia – se sono in grado di organizzarsi in qualcosa che non sia solamente una massa di individui – qualcosa al rappresentante. Questi però, come spesso accade, può semplicemente promettere verbalmente di adempiere alla richiesta. Non è affatto scontato che, al momento del rinnovo del mandato, gli elettori si ricordino delle promessa non mantenuta, la quale riguarderebbe in ogni caso solamente quella fetta di elettori che sono stati in grado di porre unitariamente la loro richiesta. 4. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E DEMOCRAZIA 291 gioca il punto cruciale delle questioni poste all’inizio del capitolo. Se consideriamo la definizione di Herrschaft fornita da Weber sia nelle pagine dei Tipi di dominio, sia nella sezione ad essa dedicata nella Sociologia del dominio, è possibile constatare come in entrambi i casi essa preveda, secondo definizione, «la possibilità per specifici comandi (o per qualsiasi comando) di trovare obbedienza da parte di un determinato gruppo di uomini», all’interno di un rapporto in cui: L’“obbedienza” indica che l’agire di colui che obbedisce si svolge essenzialmente come se egli, per suo stesso volere, avesse assunto il contenuto del comando per massima del proprio atteggiamento – e ciò semplicemente a causa del rapporto formale di obbedienza, senza riguardo alla propria opinione sul valore o sul non-valore del comando in quanto tale81. Come si è cercato di mostrare nel secondo capitolo, nelle forme tradizionali di dominio una relazione di Herrschaft nel senso formale-razionale qui definito non è in linea di principio mai realizzata, né realizzabile. Questo perché la relazione tra dominanti e dominati si presenta sempre mediata da alcuni fattori (la terra, l’autoarmamento, una serie di credenze ecc.) che rende possibile il sorgere di situazioni di reciprocità (sedimentate in usi, costumi, tradizioni), le quali impediscono di fatto alle forme dell’obbedienza di strutturarsi secondo un rapporto formale, senza riguardo all’opinione sul valore o meno del comando in quanto tale. È questo il motivo per cui, partendo dalla distinzione weberiana tra una Herrschaft determinata sulla base del rapporto personale e una determinata dalla situazione di interessi82, si è proposto di tradurre la prima forma di Herrschaft con il termine “dominio”, evidenziando così maggiormente l’aspetto personale concernente la natura del rapporto di sottomissione. La possibilità che la Herrschaft possa essere caratterizzata formalmente si presenta quando le mediazioni tra dominanti e dominati sono a tal punto ridotte da rendere possibile il rapporto 81 Cfr. WuG, I, p. 123 (ES, I, p. 209). Ci si riferisce alla distinzione proposta da Weber nella Sociologia del dominio, già presa in considerazione nell’ultimo paragrafo del secondo capitolo, a cui si rimanda. 82 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ 292 sulla base di un disciplinamento unilaterale da parte dei dominanti, vale a dire di coloro che mettono in forma la reazione (l’obbedienza) dei dominati. In questo caso la forma stessa del comando, indipendentemente dal suo contenuto e dall’effetto prodotto, si rivela determinante nella configurazione del rapporto. L’efficacia del ragionamento è confermata non solo dall’accostamento weberiano tra disciplinamento e cosificazione della Herrschaft, ma ancor più dalla evidente affinità tra la definizione di Herrschaft (e di obbedienza) precedentemente citata e quella di disciplina razionale, che riportiamo qui nuovamente: Sul piano del contenuto essa non è altro che l’esecuzione coerentemente razionalizzata del comando ricevuto – ossia insegnata con metodo, precisa, incondizionatamente sorda ad ogni critica autonoma –, nonché l’incessante orientamento interiore volto soltanto a questo scopo. A questo carattere si aggiunge l’ulteriore nota dell’uniformità dell’agire comandato; i suoi effetti specifici si fondano sulla qualità di agire comunitario di una formazione di massa – dove coloro che obbediscono non devono in alcun modo essere necessariamente una massa unita a livello locale che obbedisca nello stesso momento o sia particolarmente grande sul piano quantitativo. È decisiva l’uniformazione razionale dell’obbedienza di una pluralità di persone83. Tale relazione è resa possibile al massimo grado nelle forme di disciplinamento indotte all’interno del meccanismo di produzione del consenso da parte delle macchine di partito. L’affinità, già rilevata nel riferimento al parallelo tra elettore e consumatore e tra impresa economica e impresa politica statale, raggiunge qui l’apice. Queste due ultime forme di associazione, nonostante i loro differenti obiettivi (entrambe vengono in questo punto specifico concepite come associazioni di scopo), presentano infatti elementi assimilabili. Come la struttura stessa dell’organizzazione economica della produzione permette all’imprenditore formalmente di contrattare con l’operaio, ma di fatto di disciplinarlo fin nei singoli muscoli ai fini dell’ottenimento del massimo profitto, il politico è formalmente eletto sulla base della volontà degli elettori, ma di fatto egli è il loro signore, ed agisce in linea di principio in modo 83 MWG I/22-4, p. 542 (Dominio, pp. 583-584). 4. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E DEMOCRAZIA 293 del tutto svincolato da essi. In maniera conseguente al ragionamento weberiano, si potrebbe a questo punto definire questa relazione, formalmente libera, ma di fatto vincolata unilateralmente alle direttive del comando, come relazione di potere, data l’accentuazione dell’aspetto formale nella personalità del comando. Esiste pertanto una stretta correlazione tra potere e disciplina razionale, e questa relazione di potere è, per la struttura stessa delle moderne condizioni di esistenza, una caratteristica peculiare del mondo moderno84. 4. Legittimità e ordinamento Si è cercato di mostrare come l’assetto socio-politico peculiarmente moderno renda possibile il dispiegarsi di una forma di dominio di carattere formale, impensabile all’interno di condizioni strutturali differenti da quelle moderne. Solo all’interno di quella particolare relazione sociale che prende forma nell’agire condizionato di massa e nella correlata massificazione di pratiche di disciplinamento individualizzate si rende possibile l’esercizio di un comando al quale corrisponda una pronta ed automatica obbedienza, indipendentemente dal contenuto immediato di ciò che viene ordinato. Tutto ciò non esaurisce tuttavia la problematica della Herrschaft formale; al contrario, l’argomentazione finora presentata apre ad una serie di problemi. Prima di tutto, è lecito chiedersi su che cosa si regga un tale assetto e le conseguenti relazioni sociali in esso inscritte, o, detto con altre parole, che cosa ne consenta la continuità, il suo inesorabile perseverare nell’esistenza, fino ad essere definito, secondo la celeberrima definizione weberiana, una gabbia d’acciaio. Si tocca in questo modo il tema 84 Nei Concetti sociologici fondamentali, il termine Herrschaft e quello di Disziplin vengono definiti uno di seguito all’altro. Cfr. WuG, p. 28 (ES, I, p. 52): «Per potere si deve intendere la possibilità di trovare obbedienza, presso certe persone, ad un comando che abbia un determinato contenuto; e per disciplina si deve intendere la possibilità di trovare, in virtù di una disposizione acquisita, un’obbedienza pronta, automatica e schematica ad un certo comando da parte di una pluralità di uomini». 294 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ della validità dell’ordinamento, ovvero, aderendo letteralmente alla definizione che ne dá Weber, ci si domanda su che cosa si fondi quell’insieme di rappresentazioni (Vorstellungen) che, riconoscendo un ordinamento, lo rendono legittimo. L’introduzione di questo termine chiave – legittimità – non può essere evitata85: un ordinamento che fondi la garanzia della sua continuità solamente sulla forza o sulla situazione di interessi si presenta inevitabilmente assai labile86. Diverso è il discorso per quanto concerne l’ulteriore elemento che permette il dispiegarsi duraturo di relazioni sociali, l’abitudine (e i correlati uso e costume): a questo riguardo, l’opposizione tra legittimità formale (fondata sulla correttezza delle procedure) e tradizionale (fondata sull’abitudine di ciò che è da sempre) può a malapena reggere ad una categorizzazione di tipo generico e astratto. L’abitudine come garanzia di continuità delle relazioni sociali, infatti, non può essere prerogativa di un assetto, e il problema è quindi semmai un altro: capire su quale tipo di abitudini si regga l’ordinamento socio-politico moderno. 85 Tra la sterminata bibliografia sul tema, si segnala perlomeno: C. Schmitt, Legalità e legittimità, in Id., Le categorie del politico, cit., pp. 211-244; W. Lübbe, Legitimität kraft Legalität. Sinnverstehen und Institutionenanalyse bei Max Weber und seinen Kritikern, Tübingen, Mohr, 1991; R. Grafstein, The Failure of Weber’s Conception of Legitimacy: Its Causes and Implications, «The Journal of Politics», 2/43, 1981, pp. 456-472; A. Anter, Max Webers Theorie des modernen Staates. Herkunft, Struktur und Bedeutung, Berlin, Duncker & Humblot, 1995, pp. 58-92; J. Winckelmann, Legitimität und Legalität in Max Webers Herrschaftssoziologie, Tübingen, Mohr, 1952; V.M. Bader, Max Webers Begriff der Legitimität. Versuch einer systematisch-kritischen Rekonstruktion, in Weiß, Max Weber heute, cit., pp. 296-334; D’Attorre, Perché gli uomini ubbidiscono. Max Weber e l’analisi della socialità umana, cit.; Coutu, Rocher, La légitimité de l’État et du droit. Autour de Max Weber, cit.; N. Bobbio, La teoria dello stato e del potere, in Rossi, Max Weber e l’analisi del mondo moderno, cit., pp. 215-246; J. Heidorn, Legitimität und Regierbarkeit. Studien zu den Legitimitätstheorien von Max Weber, Niklas Luhmann, Jürgen Habermas und der Unregierbarkeitsforschung, Marburg, Duncker & Humblot, 1980; S. Breuer, Rationale Herrschaft. Zu einer Kategorie Max Webers, «Politische Vierteljahresschrift», 1/31, 1990, pp. 4-32; M. Eberl, Die Legitimität der Moderne. Kulturkritik und Herrschaftskonzeption bei Max Weber und bei Carl Schmitt, Marburg, Tectum Verlag, 1994. 86 Cfr. WuG, I, pp. 17-18 (ES, I, pp. 28-30). 4. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E DEMOCRAZIA 295 Nei Concetti sociologici fondamentali il tema dell’ordinamento legittimo viene posto, non a caso, a seguito del paragrafo sull’uso e il costume. La legittimità di un ordinamento è un qualcosa che si regge su usi e costumi, e al contempo non è mai interamente in essi inglobabile, in quanto contiene inevitabilmente un che di ulteriore. Questa ulteriorità trova espressione in una varietà lessicale relativamente complessa, sfaccettata, certo non unificabile all’interno di un’univoca definizione. La legittimità viene definita come una forma di «prestigio di esemplarità o obbligatorietà»87, come una «particolare consacrazione»88, o semplicemente come «la possibilità che il potere sia ritenuto tale»89, e che da ciò derivino azioni pratiche. Esiste una «pretesa di legittimità»90, una «validità della legittimità»91, come naturalmente una «credenza nella legittimità»92. La legittimità può essere legata a degli interessi, a dei principi, a delle rappresentazioni, oltre naturalmente che a delle credenze e abitudini. Altrettanto variegato è lo spettro terminologico di ciò che alla legittimità è immediatamente connesso, vale a dire l’obbedienza. Obbedienza non è infatti soltanto Gehorsam; essa può assumere nominazioni differenti a seconda delle differenti forme che assume la legittimità. Il legame tra legittimità, obbedienza e i relativi spettri terminologici andrebbe certo indagato nel dettaglio: ciò che è qui interessante segnalare è, in primo luogo, che la legittimità può essere fondata su una debole e vaga Fügsamkeit, una generica disponibilità; in secondo luogo, va rilevato come, tra le varie forme che può assumere la legittimità, Weber parli di una «intesa di legittimità» (Legitimitätseinverständnis). La posizione moderna delle associazioni politiche poggia sul prestigio che conferisce loro la specifica convinzione, diffusa tra i membri, di una particolare “consacrazione”, della legittimità (Rechtmäßigkeit) dell’agire comunita87 88 89 90 91 92 WuG, I, p. 16 (ES, I, p. 29). MWG I/22-1, pp. 207-208 (Comunità, p. 193). WuG, I, p. 123 (ES, I, p. 209). WuG, I, p. 122 (ES, I, p. 208). WuG, I, p. 124 (ES, I, p. 210). WuG, I, p. 122 (ES, I, p. 208). MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ 296 rio da essi ordinato, anche e proprio nella misura in cui esso comprende la coazione fisica, inclusa la decisione sulla vita e sulla morte: di qui la specifica intesa sulla legittimità (Legitimitätseinverständnis) a ciò riferita. Questa convinzione della specifica “legittimità” (Rechtmäßigkeit) dell’agire dell’associazione politica – che ha luogo di fatto nelle condizioni moderne – può aumentare finché esclusivamente certe comunità politiche (sotto il nome di “Stati”) sono considerate tali che, in forza di un loro mandato o permesso, venga esercitata “legittima” coercizione fisica da parte di qualunque altra comunità in genere93. Il passo qui riportato fa parte di un paragrafo del frammento weberiano sulle Comunità politiche, che si potrebbe citare per intero, in quanto rappresenta un sunto eloquente di buona parte del percorso che si è cercato di fare nel presente capitolo. Un’intesa di legittimità diventata finzione, ma retta su una docile e massificata Fügsamkeit: in modo introduttivo e semplificato, si potrebbe forse definire così la legittimità che si diffonde nel moderno. All’interno di questa stratificazione terminologica, ciò che emerge con evidenza è che la legittimità è sempre e comunque correlata ad un ordinamento. Ciò significa, tra le altre cose, che la legittimità rientra necessariamente nell’ambito concettuale della Herrschaft. Detto ancor più esplicitamente, solo della Herrschaft (e della Gewalt, ma solo in quanto inglobata in una Herrschaft) si può porre il problema della legittimità o meno. Non esiste né può esistere la legittimità di una Macht; il problema della legittimità della Herrschaft, invece, non solo emerge in primo piano, ma ha trovato in Weber una formulazione divenuta celebre. Il plesso semantico ruotante attorno alla Herrschaft è tale da non essere mai immediatamente autogiustificantesi. Come sottolineato anche nella ricognizione terminologica svolta al termine del secondo capitolo, la Herrschaft si colloca sempre all’interno di un quadro delimitato, che ha assunto una forma nella quale non solo vi è necessariamente chi comanda e chi obbedisce, ma la relazione 93 MWG I/22-1, pp. 207-208 (Comunità, p. 193). 4. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E DEMOCRAZIA 297 di comando-obbedienza ha acquisito una qualche configurazione strutturata, definita, circoscrivibile. Un problema rilevante che la bibliografia secondaria ha tematizzato più volte concerne proprio la delimitazione dell’ordinamento legittimo: è stato più volte sottolineato, sotto questo aspetto, come l’orizzonte di senso nel quale si muove Weber sia quello dell’unitarietà dello Stato come istituzione. Tale lettura è certamente confermata dall’incrocio, effettuato anche in questo capitolo, tra riflessioni pubblicistiche weberiane e definizioni categoriali. Dalla riflessione sul suffragio, alle preoccupazioni per il rientro dei soldati dalla guerra, ai temi più teorici della razionalizzazione della volontà politica: dalla lettura dei cosiddetti Scritti politici risulta con evidenza come la posizione del tema dello Stato come orizzonte politico di senso sia per Weber al contempo un dato e una scelta valoriale di fondo. È stato inoltre giustamente rilevato come questa posizione si riverberi anche nelle formulazioni concettuali, mostrando come il modo di porre la questione della legittimità (non solo nella tripartizione del potere legittimo) presupponga una configurazione del rapporto di comando-obbedienza che ripropone subliminalmente, al di là delle applicazioni storiche, l’assetto teorico e concettuale proprio della modernità94. Le osservazioni svolte in questa direzione sono condivisibili, e costituiscono uno sfondo rilevante dell’ulteriore affondo che viene tentato qui, ove si cercherà nello specifico di approfondire ulteriormente la tematizzazione della legittimità legale-razionale, che è poi la legittimità peculiare della singolarità del contesto socio-politico moderno. Per quanto gli scritti weberiani rappresentino un retroterra ideale per sviluppare la questione della legittimità in termini sistemici, è evidente che l’idea di una legittimità svincolata da tematiche di tipo normativo o assiologico (che Luhmann definirebbe 94 Cfr. O. Brunner, Osservazioni sui concetti di dominio e legittimità, «Filosofia Politica», 1/1, 1987, pp. 103-120; G. Duso, Razionalità e decisione: la produttività della contraddizione, in Id., Weber. Razionalità e politica, cit., pp. 91-107; L. Manfrin, Max Weber: tra legittimità e complessità sociale, in Duso, Il Potere. Per la storia della filosofia politica moderna, cit., pp. 393-408. 298 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ come residuali di un atteggiamento metafisico) è al di fuori del raggio di pensiero dello studioso tedesco. Il problema di Weber è piuttosto quello di tenere assieme l’unità del politico, ove per politico – come già ripetuto – egli intende l’istituto dello Stato, il suo sistema economico, e l’insieme di associazioni eteronome che lo compongono. Tenere assieme queste componenti significa trovare una modalità di espressione della volontà politica di carattere reiterabile, continuativo, e tale da neutralizzare quelle forme di conflitto che renderebbero impossibile il perseverare dell’unità politica concepita, e assunta valorialmente, sotto questa forma, mantenendo al contempo l’inevitabile conflittualità circoscritta all’interno dell’ordinamento. Garanzia di questa unità politica è stato, per molto tempo, quell’insieme di termini, significati, ma soprattutto di massime e strategie organizzative che ruotano attorno a ciò che Weber definisce diritto naturale, facendo rientrare nel termine esperienze giuridiche anche molto differenziate. Nelle pagine della Sociologia del diritto, le più esaustive dedicate a questo tema, Weber delinea la sua ricostruzione del diritto naturale nel suo rapporto con l’istituzione statale, ma lo fa tenendo sempre sotto osservazione l’istituzionalizzazione del diritto nel suo rapporto con l’evolversi delle dinamiche economiche e, in particolare, con gli assetti di proprietà. Da questo punto di vista, le pagine della Sociologia del diritto sono esemplari nel mostrare quanto stretto sia in Weber il rapporto tra istituzionalizzazione dei processi giuridici (del diritto pubblico e privato, Weber minimizza di molto la distinzione), economia e dinamiche di potenza. Va da sé che ogni diritto naturale è penetrato da istanze di giustizia. Weber sottolinea più volte la «forza obbligatoria» delle massime giuridiche valide indipendentemente da ogni diritto positivo, anzi preminenti rispetto ad esso in virtù delle loro «qualità puramente immanenti»; non solo, egli evidenzia varie declinazioni giuridico-politiche che i «principi giuridici» che stanno a fondamento del diritto naturale possono assumere, a seconda della commistione che di volta in volta essi (inevitabilmente) creano con 4. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E DEMOCRAZIA 299 criteri di carattere materiale95. Al contempo, Weber insiste molto sulla rilevanza storica del diritto naturale per la razionalizzazione dei processi giuridici ed economici. Rispetto all’entusiasmo della dichiarazione dei diritti, egli privilegia l’assenza di ogni «esortazione etica», ma anche la «teatralità epigrammatica»96 e la «genialità» (che precede e fonda la legittimità)97 del Còde Napoleon. È infatti nel diritto del Code Civil del 1804, il «terzo diritto di importanza mondiale»98, che emerge con chiarezza una nuova forma di razionalismo giuridico capace di creare norme di carattere formale: una formalità che, come si è cercato di chiarire nel precedente capitolo, non è sinonimo di neutralità, ma che significa anzitutto calcolabilità, prevedibilità degli esiti, omogeneità, e orientamento al futuro della norma. La posizione e la progressiva affermazione di questo diritto naturale codificato ed espresso sotto forma di principi giuridici disegna di fatto quindi un doppio binario sul quale scorre una buona parte della storia dell’Ottocento. Weber ne delinea alcune direzioni fondamentali nelle pagine della Sociologia del diritto, e rileva al contempo anche delle tappe di allontanamento, e inesorabilmente di crisi, rispetto alla sua configurazione originaria: dalla legittimazione giusnaturalistica dei poteri autoritari, alle teorie socialiste, al diritto naturale piccolo-contadino della rivoluzione agraria russa, ecc. In tutte queste manifestazioni il tentativo di piegare gli assiomi del 95 Sul rapporto tra formalità e materialità del diritto in relazione a queste pagine weberiane risulta interessante l’articolo di C. Nitsch, «Coactus voluit». Prospettive dalla riflessione weberiana sulle condizioni del lavoro negli Stati Uniti, «Materiali per una storia della cultura giuridica», 2/37, 2007, pp. 337-372. Sul tema del diritto naturale, un confronto critico rilevante con le tesi weberiane rimane quello di L. Strauss, Diritto naturale e storia, Genova, Il melangolo, 1990, in particolare il secondo capitolo (pp. 42-89). 96 MWG I/22-3, p. 594 (ES, III, p. 175, dove si traduce «teatralità enigmatica»); cfr. su ciò inoltre R. Marra, La religione dei diritti. Durkheim, Jellinek, Weber, Torino, Giappichelli, 2006, p. 103. 97 MWG I/22-3, p. 594 (ES, III, p. 175). 98 Naturalmente accanto al diritto anglosassone e al diritto comune romano. Cfr. MWG I/22-3, pp. 592-593 (ES, III, p. 174). L’affermazione è volta soprattutto a porre in secondo piano l’importanza del diritto territoriale prussiano e delle codificazioni tedesche. 300 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ diritto naturale ad esigenze di tipo materiale e valoriale convive con lo sforzo di organizzare ordinamenti politici che si configurino inesorabilmente come ordinamenti dei molti, di moltitudini di uomini. A partire dalla seconda metà del secolo, tali ordinamenti devono tenere assieme, mantenere in unità, delle masse, se non addirittura – è il caso del contesto politico in cui lo stesso Weber si ritrova a vivere – riuscire a fare in modo di produrre strategie di partecipazione politica (certo più o meno nominali) per le masse stesse. Come si è cercato di ricordare in precedenza, ove la politica ha a che fare con la moltitudine99, e ancor di più ove ha a che fare con delle masse, necessariamente la forza del numero acquista una sua cogenza, entra di forza nella logica delle cose e ne altera la forma. Essa reclama anzitutto una separazione tra aspetti formali ed aspetti materiali, non come contrapposizione meramente teorica, ma come necessità pratica di funzionamento di un ordinamento politico. Ne consegue che, per fare alcuni esempi tra i più generici e comuni, il contratto tra liberi ed eguali diventa al contempo – nel diritto pubblico – garanzia formale del principio giuridico dell’uguaglianza e norma di funzionamento di un meccanismo amministrativo-burocratico di formazione di una volontà politica; nel diritto privato, il contratto diventa l’unico criterio di formazione di associazioni eteronome e al contempo garanzia di continuità degli scambi economici; in ambito burocratico, l’uguaglianza aritmetica di masse di cittadini garantisce il funzionamento continuativo del processo di formazione e selezione dei funzionari. E così via. Se quanto detto ha un senso, allora ne consegue che quell’omogeneità delle pratiche che Weber indaga, a livello pubblicistico, negli Scritti politici e, in termini categoriali, nei concetti di disciplina e di Herrschaft, trova nello sforzo per mantenere l’unità del politico inteso nel suo complesso solo un versante, per quanto estremamente rilevante, della questione. Esiste infatti, 99 Non si intende in alcun modo caricare qui il termine della complessa stratificazione di significati che esso ha assunto solo in tempi più recenti. Per moltitudine si intende qui banalmente un insieme, non ulteriormente definibile, di molte persone, che non assume tuttavia l’unità di una massa. 4. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E DEMOCRAZIA 301 d’altro lato, un’omogeneità rivolta verso l’interno, consistente nell’elaborare strategie e dispositivi in grado di garantire la continuità dei processi politici ed economici, delle inevitabili nervature dell’ordinamento politico-economico. Ecco che quella Gleichmacherei, quella omogeneità livellatrice delle condizioni precedentemente nominata, diventa una condizione storica che pone le basi teoriche di una situazione media omogenea, sulla quale si installa una precisa configurazione della norma. La possibilità di una normazione razionale, calcolabile e prevedibile, è contemporaneamente un correlato inevitabile di processi storici che sono sotto gli occhi di Weber, e dall’altro è una conseguenza altrettanto inevitabile dei processi di razionalizzazione, della forza del numero che diviene criterio di misura. Detto in altri termini, non c’è formazione di volontà politica di una massa senza quell’uguaglianza nell’espressione del voto che ne consente la misurabilità dell’esito; non c’è continuità degli scambi economici senza la presenza formalmente uguale di una serie di associazioni eteronome sul mercato; non c’è garanzia di giudizio senza una deduzione da un insieme di principi giuridici formali, ecc. Il criterio di legalità della norma, inteso in questo senso, è sociologico prima che giuridico100. È su questo versante che va giudicata quella validità della legalità che Weber definisce di carattere formale e razionale. Se è indubbio che questo tipo di legalità affondi su una serie di presupposti di carattere valoriale e strutturale (su ciò si tornerà più avanti), nel sottolinearne la validità Weber intende mettere in evidenza la capacità di dispositivi (economici, giuridici, politico-istituzionali) di garantire una continuità di funzionamento grazie all’omogeneità, alla calcolabilità e alla prevedibilità delle proprie procedure. Questo tipo di legalità non è affatto slegata da elementi di tipo carismatico o tradizionale, non è affatto avulsa 100 Su questo punto si seguono le argomentazioni di H. Hofmann, Legittimità contro Legalità. La filosofia politica di Carl Schmitt, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 1999, in particolare p. 96 nota 111. Sul rapporto tra norma e validità tra diritto e sociologia del diritto cfr. inotre N. Bobbio, Diritto e potere. Saggi su Kelsen, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1992, in particolare il capitolo ottavo (pp. 159-177) dedicato ad un confronto tra Max Weber e Hans Kelsen. 302 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ da usi, costumi, abitudini; inoltre, essa è tutt’altro che neutrale, e soprattutto è fortemente legata a forme massificate di disciplinamento. La legalità di tipo formale non è semplicemente un modello: essa è una modalità di funzionamento del potere all’interno di una situazione storico-politica determinata; essa deve la sua forza, la sua specifica potentia, al fatto di garantire una modalità di funzionamento di un ordinamento politico fondato primariamente sulla gestione politica delle masse all’interno di un ordinamento economico di tipo capitalistico. Insistendo su questo punto, Schumpeter trasformerà i dispositivi di formazione della volontà politica in un metodo democratico; Luhmann andrà anche oltre, sbarazzandosi di ogni residuo assiologico, e fondando la legittimità del sistema sulla continuità fattuale delle procedure che lo caratterizzano. Non c’è dubbio che in Weber siano rintracciabili riferimenti, anche testuali, che permettono uno sviluppo della sua riflessione che proceda in queste direzioni. Tuttavia, se rimaniamo sulla lettura del solo Weber, è necessario ribadire che la sua ricerca è tutta interna al contesto storico-politico in cui egli si ritrovò immerso: la sua formulazione e la difesa di una specifica legittimità della legalità è una precisa scelta politica tanto quanto diventerà una categoria sociologica. Come è stato giustamente rilevato101, la legalità formale-razionale in Weber è una forma di Vergesellschaftung specificamente moderna. Non è un caso che essa trovi una formulazione che diverrà così celebre in un autore quale Weber, e in un contesto politico in cui essa si trova già in un momento di massima tensione, nell’incipit della sua crisi. Su questo intreccio tra questa potenza della razionalità formale (potenza storica, ma anche teorica, visto che in autori successivi essa diventerà quasi un trascendentale, o perlomeno una condizione di possibilità del ragionamento) e la sua inevitabile determinatezza storica vale la pena insistere ulteriormente, in quanto è proprio su questo versante che si rivelano gli aspetti più problematici – ma anche i più interessanti – della riflessione weberiana. 101 Cfr. Sintomer, La démocratie impossible? Politique et modernité chez Weber et Habermas, cit., p. 36. 4. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E DEMOCRAZIA 303 5. Ordinamento e finzione: la Herrschaft formale-razionale «Ah, quante delusioni dovrai patire! Concetti quali la “volontà del popolo”, la vera volontà del popolo, hanno perduto ogni significato per me da tempo; sono finzioni»102. Questo passo della lettera scritta a Michels nel 1908 rappresenta una buona sintesi della posizione di Weber. Da un lato, egli considera definitivamente tramontata la possibilità che gli assiomi del diritto naturale possano evocare nelle rappresentazioni collettive quel senso di prestigio ed esemplarità che forse un tempo – a fianco della loro potenza razionalizzatrice – ha rappresentato un veicolo della loro legittimità. Dall’altro, nell’uso del termine finzione, egli riconosce la capacità di prestazione sempre più meramente funzionale che tali formulazioni sono in grado di produrre. Espressioni quali «il potere emana dal popolo» (art. 1)103, o «la volontà della popolazione»104 (art. 18) – contenute nella costituzione di Weimar che lo stesso Weber contribuì a redigere – costituiscono pertanto meri riferimenti funzionali, il cui legame con un’intrinseca legittimità è problematico e che sono volti soprattutto a costruire quel sistema razionale di produzione di unità politica, la cui prevedibilità dei meccanismi non coincise in questo caso – com’è noto – con la loro continuità. La questione è chiarita meglio, anche in questo caso, nelle pagine della Sociologia del diritto. Qui Weber sottolinea come gli «assiomi giusnaturalistici» siano caduti in «profondo discredito», perdendo di fatto «la loro capacità di funzionare come fondamento di un diritto»; la causa 102 Cfr. Brief an Roberto Michels, 4.8.1908, in MWG II/5, pp. 615-620, cfr. inoltre Mommsen, Max Weber e la politica tedesca, cit., p. 581. Beetham ha affermato a proposito come «la sua teoria del governo parlamentare non può definirsi democratica, perché non si giustifica sulla base di valori, quali la maggiore influenza del popolo sulle decisioni dei governanti, che possano definirsi immediatamente come democratici». Cfr. Beetham, La teoria politica di Max Weber, cit., p. 143. 103 Cfr. Weimarer Verfassung, Dokumentarchiv.de, <http://www.documentarchiv.de/wr/wrv.html>, aprile, 2013; tr. it. La costituzione di Weimar, Firenze, Sansoni, 1946. 104 «Die Wille der Bevölkerung». Nel testo della costituzione l’espressione volontà del popolo non compare mai. Mortati traduce «volontà delle popolazioni», al plurale, ma nel testo tedesco il termine è al singolare. MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ 304 di ciò è dovuta all’«insanabile contraddizione» tra assiomi del diritto naturale formale e del diritto naturale materiale, ma anche alla «dissoluzione e relativizzazione di tutti gli assiomi meta-giuridici», compiuta dallo stesso razionalismo giuridico, dallo scetticismo moderno e dalla diffusione della dottrina evoluzionistica. Egli individua inoltre in questo processo di dissoluzione il motivo principale dell’ascesa inarrestabile del «positivismo giuridico»105. Uno degli aspetti più problematici ma anche più fecondi della posizione weberiana sta proprio in questa crasi tra assiomi giusnaturalistici e razionalizzazione dell’ordinamento politico (ed economico). Da un lato, i primi hanno perso gran parte della loro intrinseca validità e di quella potenza aggregatrice in grado di creare unità politica, e di mantenerla. Essi sono diventati mere finzioni, o – così si dirà in seguito – mere funzioni. Dall’altro, la razionalizzazione e la funzionalizzazione dei processi politici è innervata di questa concettualità di matrice giusnaturalistica, la quale dà forma ai dispositivi che permettono la reiterazione dei processi di carattere burocratico e amministrativo che presiedono alla formazione di una volontà politica (e non solo). Lo stesso Weber riconosce l’influenza latente di questi assiomi e, seppur essi siano caduti in discredito da tempo, afferma che è molto difficile pensare che quest’influenza possa venir eliminata completamente106. L’ordinamento politico è retto da un insieme di principi che non conta più nulla, ma la cui formulazione è funzionale al perseverare dell’impresa Stato e della comunità di mercato. È a questa regolarità che si obbedisce, e a questo proposito è corretto distinguere, oltre a differenti tipi di legittimità, anche differenti tipi di obbedienza107. L’obbedienza all’ordinamento politico moderno è un’obbedienza automatica, passiva, omogenea in 105 Cfr. MWG I/22-3, p. 611 (ES, III, p. 184). Così si esprime Weber, più o meno letteralmente, in ibid. 107 Utili indicazioni riguardo alle differenti tipologie di obbedienza si trovano in Heidorn, Legitimität und Regierbarkeit. Studien zu den Legitimitätstheorien von Max Weber, Niklas Luhmann, Jürgen Habermas und der Unregierbarkeitsforschung, cit., pp. 13 ss.; P. Baumann, Die Motive des Gehorsams bei Max Weber: eine Rekonstruktion, «Zeitschrift für Soziologie», 5/22, 1993, pp. 355-370. 106 4. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E DEMOCRAZIA 305 quanto indifferente, non riflessa. La Gehorsam (obbedienza) che prende forma qui non ha a che fare né con l’Einverständnis (consenso, approvazione), né con la Gesinnung (buona disposizione d’animo) che si ha di fronte al dominio carismatico, ma è prevalentemente una mera Fügsamkeit, una docile e arrendevole disponibilità. È la tipica obbedienza delle masse, che proprio negli anni in cui Weber scrive comincia ad attirare un intenso interesse teorico. Ci si dispone nei confronti della burocrazia così come ci si pone di fronte agli elettrodomestici che si hanno in casa: non si sa come funzionano, quali congegni ne permettano il funzionamento, ma si sa quale pulsante si dovrà schiacciare per attivarli108. Portando fino in fondo questo ragionamento, si potrebbe giungere fino al considerare gli elementi valoriali del diritto naturale come residui, che ora finalmente possono essere spazzati via da una concezione trans-ideologica, meramente funzionale e sistemica dei processi di legittimazione. È giusto ripetere come Weber rappresenti certamente un punto d’appoggio importante per esiti di questo tipo, ma si ritiene al contempo che possa essere altrettanto interessante tentare di insistere sulla determinatezza storica del problema. Da questo punto di vista è importante ricordare come l’autore sottolinei più volte la rilevanza tutta politica delle questioni da lui poste. Nella Sociologia del diritto egli sottolinea con forza come la legalità propria del positivismo giuridico, ben lungi dall’eliminare o anche solo sublimare il proprio retroterra ideologico, lo rafforzi semmai ulteriormente. La sempre minore dignità attribuita ai singoli principi giuridici e il discredito nei confronti di qualsiasi criterio meta-giuridico vengono definiti esplicitamente dallo stesso Weber come uno «sviluppo ideologico» che di fatto «ha aumentato straordinariamente nel complesso la disposizione ad obbedire di fatto al potere – ormai valutato soltanto più utilitaristicamente – delle forze che di volta 108 Un esempio simile si ritrova in Heidorn, Legitimität und Regierbarkeit cit., p. 27. MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ 306 in volta si pretendevano legittime»109. La trasformazione della Herrschaft in una razionalità fattuale (Sachrationalität: una razionalità della cosa si potrebbe dire) non elimina, ma potenzia ulteriormente la matrice ideologica che soggiace al suo funzionamento e che allarga al massimo grado – come si è visto nel capitolo precedente – le forme del disciplinamento sociale. È lo stesso Weber a rimarcare questi aspetti con forza: è significativo rilevare come anche nelle famose pagine dedicate ai cosiddetti tipi di dominio, egli non manchi di sottolineare il fatto che «la legittimità di un potere – in quanto presenta relazioni molto precise con la legittimità del possesso – non ha affatto una portata esclusivamente ideale»110. La legittimità legale-razionale si regge pertanto su un preciso assetto della vita associata – di cui si è cercato nel capitolo precedente di definire i lineamenti essenziali – che trova nel mercato il suo fantasmatico accomunamento, e nello Stato la sua forma di sociazione; un assetto che ha bisogno inoltre di tenere assieme masse associate come fonte di produzione (dal punto di vista economico) e di legittimazione (dal punto di vista politico-istituzionale). Lo stesso Schmitt – aderendo qui pienamente alla lezione weberiana – ricorderà come questa forma di ordinamento, la sua legittimità, più in generale la sua tenuta, è destinata a durare finché a reggere sarà questo preciso assetto politico-sociale111. La definizione di gabbia d’acciaio, la quale – è bene ricordarlo – fa riferimento alla burocrazia prima che all’istituzione statale, è, significativamente, una metafora, e non diventa mai una categoria politica. In questo modo essa non viene mai assolutizzata, resa matrice di un sistema, ma mantiene nella sua stessa formulazione tutta la immane potenza della sua storicità. 109 Cfr. MWG I/22-3, p. 612 (ES, III, p. 184). WuG, I, p. 123 (ES, I, p. 208). 111 Cfr. per esempio Schmitt, Le categorie del politico, cit., p. 126: «Che lo Stato sia un’unità ed anzi l’unità decisiva, dipende dal suo carattere politico. Una teoria pluralistica è o la teoria dello Stato propria di uno Stato giunto ad unità attraverso un federalismo di gruppi sociali minori oppure solo una teoria del superamento e della fine dello Stato». 110 4. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E DEMOCRAZIA 307 È stato giustamente rilevato come la questione della legittimità in Weber si configuri sempre come un sistema a tre poli: da un lato coloro che comandano, dall’altro coloro che ubbidiscono, e, infine, l’apparato che consente la comunicazione tra comando e obbedienza112. Si è ripetuto più volte nel corso del presente e del precedente capitolo come un aspetto molto rilevante dell’ordinamento politico moderno sia quello di consentire l’esplicazione di una Herrschaft formale, nella quale al comando corrisponde una pronta ed automatica obbedienza, indipendentemente dai contenuti dello stesso. Dall’attraversamento del secondo capitolo si è potuto rilevare come questa riflessione tripolare si manifesti con evidenza anche nei luoghi in cui Weber attraversa configurazioni storiche di assetti di dominio differenti dalla singolarità del moderno. Ora, l’esito per molti versi estremo raggiunto dall’ordinamento moderno – che dal punto di vista prettamente storico non mancherà di mostrare esiti a dir poco terrificanti solo qualche anno dopo la morte di Weber – permette al contempo di rivelare alcune matrici del suo assetto, consentendo – perlomeno dal punto di vista prettamente teorico – di mettere in questione questa stessa polarità. Per fare ciò è necessario considerare la Herrschaft formale in tutto il suo peso, vale a dire come una configurazione storicamente determinata delle relazioni sociali, e non solo come una categoria formale. Formulazioni teoriche (la sublimazione in chiave meramente funzionalistica degli assiomi del diritto naturale) e il complesso delle esigenze materiali che emergono affrontando le concrete situazioni storiche talvolta si fondono assieme, altre volte retroagiscono le une sulle altre, altre volte ancora si respingono; in ogni caso, comunicano e producono realtà. Ancora una volta, si pone il problema dell’avvicinamento della realtà ai principi teorici, riprendendo una già citata espressione weberiana. Hobbes ipotizzava la formalità della relazione tra uomini come finzione necessaria per la fondazione di un ordine; svincolata da ogni riferimento fondativo, essa diventa in Weber la base di una relazione sociale che si diffonde fin nei 112 Cfr. Heidorn, Legitimität und Regierbarkeit cit., pp. 12 ss. 308 MAX WEBER. ECONOMIA E POLITICA FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ gangli più impensati del sociale. Il potere, da criterio di fondazione, diventa matrice del sociale. Herrschaft formale non è solo quella che presiede alla formazione di una volontà politica: essa è anche condizione di funzionamento di un potere burocratico, che pertiene allo Stato tanto quanto alla grande impresa. Nelle fabbriche essa diviene un criterio di organizzazione aziendale, nonché una modalità privilegiata di massimizzazione della forza lavoro113. Com’è noto, non sarà Weber ad estendere questo processo di indagine anche ad altri luoghi del sociale come il carcere, la scuola o il manicomio, ma si trovano qui certamente suggestioni alle quali un autore come Foucault non sarebbe certo rimasto indifferente. È estremamente rilevante qui segnalare come Weber mostri nelle sue argomentazioni una felice ambivalenza, che lascia nei suoi pertugi spazi di riflessione sui quali è possibile scavare ulteriormente: da un lato egli è un sociologo avalutativo di questi processi, un analista distaccato ed estremamente preciso, dall’altro è lo storico che, nel rivelare i processi, ne mette in luce anche la genesi; e la genesi della possibilità che si producessero relazioni di potere di questo tipo sta in quel complesso di fenomeni che, nel loro disarmonico insieme, hanno dato vita alla singolarità qualitativa del mondo moderno. Alcuni di questi fenomeni – dei quali Weber compirà un breve ma magnifico sunto nella tarda Premessa agli scritti sulla Sociologia della religione – sono stati presi in considerazione e analizzati nel presente percorso114. Nell’insistenza weberiana – una precisa scelta politica – nel difendere comunque ad oltranza la specificità di questo ordina113 Ho cercato di approfondire questo tema all’interno delle indagini weberiane sul lavoro industriale in M. Basso, Natura e disciplinamento. Max Weber sul lavoro industriale, «Materiali per una storia della cultura giuridica», 1/39, 2009, pp. 125-140. Cfr. inoltre l’ottimo articolo di M. Ricciardi, Il lavoro come professione: macchine umane, ontologia e politica in Max Weber, «Etica & Politica/ Ethics & Politics», 2/7, 2005, pp. 1-19. 114 Cfr. Vorbemerkung, in GAR, pp. 1-16, tr. it. Premessa, SR I, pp. 5-18. È stato invece considerato solo in modo molto parziale l’altro versante dell’imponente ricerca weberiana sull’unicità del moderno sistema socio-economico, che ha avuto la sua ricaduta principale negli scritti sulla Sociologia della religione, e che trova anche qui 4. LA SINGOLARITÀ DEL MODERNO: CAPITALISMO E DEMOCRAZIA 309 mento politico va letta una motivazione essenziale del perseguire con ogni sforzo l’unità e la politica di potenza nazionale di fronte alle molteplici forze disgreganti che sembravano minacciarla115. Nel leader carismatico egli vide l’ultimo baluardo possibile per mantenere o in qualche modo recuperare questa unità. Se questo è l’esito del Weber pubblicista, dell’uomo politico e delle sue scelte determinate dal contesto in cui si è ritrovato a vivere, la lezione dello studioso è di lunga gittata, e può essere assunta per esercitare il tentativo di procedere oltre Weber, attraverso Weber. Al momento non ci è dato sapere fino a che punto la modernità sia orientata a perpetuare la propria singolarità qualitativa, a perseverare nel suo destino; non è facile neppure individuare fino a che punto di fatto lo stia facendo, e dove siano da misurare eventuali scarti. La lezione di Weber ci offre però da questo punto di vista alcuni punti di orientamento. La Herrschaft peculiarmente moderna è strettamente legata alle caratteristiche fondamentali dell’assetto socio-economico che ne costituisce la matrice del suo funzionamento formale: polarizzazione delle relazioni sociali attorno alle potenze dello Stato e del mercato, separazione tra casa e impresa, tra lavoratore e mezzi di produzione, tra uomini e cose, e riappropriazione a partire dalla peculiare associazione eteronoma (ma lo è ancora oggi?) dell’impresa, favorita da forme peculiarmente moderne di particolarismo giuridico; allo stesso tempo ulteriore radicalizzazione dei processi che assumono la dinamica delle masse associate (pensiamo ai processi di informatizzazione) e la conseguente, inevitabile, configurazione delle un magnifico sunto nelle cosiddette Considerazioni intermedie. Cfr. Zwischenbetrachtung. 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Sono solo alcuni degli aspetti che si è qui cercato di prendere in considerazione, attraversando i testi weberiani. È a partire da questi processi, dal loro inesorabile mutamento, ma anche dalla constatazione della permanenza che pare davvero granitica di alcuni assetti di fondo, che vanno misurati eventuali scarti, oscillazioni ed eventuali novità. A ciò si accompagna, oltre lo stesso Weber, anche la disponibilità a mutare le proprie formulazioni concettuali, cercando un dire il presente che non sia un mero reiterare un lessico acquisito, ma un tentativo di trovare le parole per comprendere ciò che ci troviamo di fronte. Bibliografia Letteratura critica Abramowski G., Das Geschichtsbild Max Webers. Universalgeschichte am Leitfaden des okzidentalen Rationalisierungsprozesses, Stuttgart, Klett, 1966. Accarino B., Le frontiere del senso. Da Kant a Weber: male radicale e razionalità moderna, Milano, Mimesis, 2005. –, Chiarezza senza amore. 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Indice dei nomi A Abramowski, G. 118 Accarino, B. 65, 205, 221, 260 Adams, J. 97 Adriano, imperatore romano 116, 266 Alberti, L.B. 50, 53, 54, 59, 72 Aldenhoff, R. 9 Anter, A. 254, 294 Antonino da Firenze 52 Aristotele 46, 53, 252 Axtmann, R. 262 B Bachofen, J.J. 77 Bader, V.M. 294 Baehr, P. 282 Bähr, O. 266 Baier, H. 9 Basso, M. 308 Baumann, P. 304 Baumgarten, E. 211 Baumgarten, H. 26 Beetham, D. 211, 278, 285, 287, 303 Beloch, K.J. 28 Below, G. von 105 Bendix, R. 100, 118 Berghoff, H. 226 Bernardino da Siena 52 Beyerle, K. 161 Bianco, F. 55 Biral, A. 70, 90 Bismarck, O. von 57, 182 Bobbio, N. 294, 301 Bodei, R. 55 Böhm-Bawerk, E. von 28, 220 Borchardt, K. 9, 218 Bousquet, G.H. 230 Brazzini, G. 47 Breiner, P. 214, 262 Brentano, L. 77 Breuer, S. 97, 118, 137, 191, 237, 264, 294 Bruhns, H. 59, 147, 157 Brunner, O. 18, 28, 41, 44, 53, 62, 75, 76, 121, 151, 297 Bryce, J. 282 Bücher, K. 28, 44, 77, 85, 149 Bulst, N. 179 Bulygin, A. 275 Bunyan, J. 185 Bürger, T. 181 C Calasso, F. 191 Camic., C. 97 Canale, D. 180 Cantimori, D. 213 Capogrossi Colognesi, L. 144 Cavalli, L. 262 Chignola, S. 20, 200 Chiodi, P. 205 Chittolini, G. 237 Choi-Ho-Keun 27 Clavero, B. 191 Collins, R. 262 336 INDICE DEI NOMI Colliot-Thélène, C. 16, 28, 55, 145, 261, 265 Commodo, imperatore romano 116 Corni, G. 57, 202 Coutu, M. 191, 261, 294 D Dahlmann, D. 9 D’Andrea, D. 66 D’Attorre, A. 66, 165, 168, 294 Derks, H. 28, 36 Dickson, T. 52 Diener, A. 28 Dilcher, G. 9, 40, 157, 160, 161 Duprat, G. 265 Durkheim, E. 137, 205 Duso, G. 20, 21, 55, 89, 105, 268, 285, 297 E Eberl, M. 294 Egger, S. 261 Egner, E. 62 Ehlert, T. 62 Ehrlich, E. 137 Eisermann, G. 27 Eliaeson, S. 262, 264 F Factor, R.A. 191 Falk, W. 262 Ferraresi, F. 40, 82, 148, 157, 182, 184, 253, 262, 264 Ferrarotti, F. 36, 262 Filtner, E. 125 Fimiani, A. 89 Fioravanti, M. 180, 181, 235 Fitzi, G. 43, 95, 251, 262 Foucault, M. 308 Franklin, B. 51, 52, 53 Freyer, H. 196 Frigo, D. 47 Frommer, S. 9 Fusco, S.A. 103, 164 G Galli, C. 262, 309 Gephart, W. 10 Gerber, K. 266 Ghosh, P. 32 Giacomini, B. 55 Giddens, A. 51, 254 Gierke, O. von 41, 45, 57, 76, 112, 117, 120, 131, 132, 137, 153, 194, 199, 266 Giordano, G. 45, 205 Giorgi, P.L. di 264 Gneist, R. von 57, 112, 113, 181 Goethe, J.W. von 251 Goldschmidt, L. 40, 219 Gorski, P.S. 97 Gottl-Ottlinienfeld, F. von 23, 24, 28 Goy, J. 179 Grafstein, R. 294 Grenyer, J.Y. 47 Groebner, V. 62 Grosse, E. 77 Grossi, P. 160, 191, 195 H Halbwachs, M. 209 Hamilton, G.G. 94, 97 Hanke, E. 10, 33, 99, 125 Hansen, R. 28 Hasebroeck, J. 28 Hatschek, J. 112 Häuser, K. 28 Hegel, G.W.F. 72, 146, 194, 195, 196, 199, 200, 201, 202, 204, 216 Heidorn, J. 294, 305, 307 Hennis, W. 27, 29, 57, 95, 186, 211, 251, 252 Hermes, S. 10, 97, 118 Heurtin, J.P. 191 Hintze, O. 18, 61, 62, 89, 131, 188, 189 Hobbes, T. 278, 307 Hofmann, H. 301 Hoock, J. 179 Hübinger, G. 9, 278, 285, 288 INDICE DEI NOMI 337 I Lukács, G. 56 Iggers, G.G. 28 M J Maine, H.S. 132, 134 Maley, T. 262 Manfrin, L. 297 Marcuse, H. 224, 225 Marra, R. 40, 103, 153, 182, 299 Marx, K. 29, 33, 34, 51, 86, 144, 152, 210, 211, 213, 216, 259, 268 Massimilla, E. 232 Mauss, M. 89, 197 McLachlan, H.V. 52 Melot, R. 40 Menger, C. 28, 58, 214, 232 Menze, E.A. 52 Meyer, E. 28 Meyer, G. 28 Meyer, M. 10 Meyer-Stoll, C. 9, 218 Mezzadra, S. 182 Michels, R. 284, 287, 290, 303 Mises, L. von 220 Mitzman, A. 118 Missiroli, A. 57 Mitteis, H. 126, 127, 131 Mohl, R. von 181 Mohnhaupt, H. 28 Molho, A. 237 Mommsen, T. 106 Mommsen, W.J. 9, 10, 27, 33, 94, 125, 182, 221, 224, 254, 285, 303, 309 Montchrétien, A. de 47 Montesquieu, C.L. 126 Moore, B. Jr. 49 Morgan, L.H. 77 Morgante, C. 254 Morgenbrod, B. 9, 10 Mortati, C. 303 Mosca, G. 99, 287 Jaffè, E. 32 Jagd, S. 37 Jhering, R. von 137, 222 Judenau, C. 10 K Kaelber, L. 40 Kant, I. 198, 200 Kelsen, H. 270, 301 Kemple, T.M. 218 Kervégan, J.F. 28 Kippenberg, H.G. 10 Klein, E.F. 180 Knapp, G.F. 208, 212, 217 Knies, K. 28, 217 Kocka, J. 118, 157 Koselleck, R. 179 Koslowsky, P. 63 Kroll, T. 10 Kronman, A. T. 191 Krüger, D. 27 Kurth, P. 9 L Laband, P. 234, 235, 266 Lambert, E. 137 Landolfi Petrone, G. 198 Landshut, S. 61, 221 Lassalle, F. 266 Le Bon, G. 243 Lehmann, H. 49, 53 Lenger, F. 33 Lepore, E. 103 Lepsius, S. 9 Lestition, S. 218 Lichtblau, K. 43 Lindenlaub, D. 210 Losito, M. 27, 33, 45, 58, 105, 278 Löwith, K. 56, 260, 261 Loyola, I. da 241 Lübbe, W. 294 Luhmann, N. 65, 297, 32 N Nau, H.H. 10, 28 Nickmann, M. 262 Niemeyer, J. 10 Nietzsche, F. 211 Nippel, W. 10, 147, 157 338 INDICE DEI NOMI Nitsch, C. 299 O Oertel, F. 28 Oertmann, P. 137 O’Neill, J. 237 Oppenheimer, F. 64 Ortega y Gasset, J. 282 Osterhammel, J. 27 Ostrogorski, M.Y. 281, 282, 287, 290, 292 P Palma, M. 13, 15, 16, 67, 79, 122, 126, 164, 255 Palonen, K. 56, 261, 289 Palyi, M. 140, 147 Pankoke, E. 72 Pareto, V. 243, 287 Pasquino, P. 33 Pellicani, L. 49, 205 Perrot, J.C. 47 Petrillo, A. 40, 152, 159 Piergiovanni, V. 219 Poggi, G. 38, 49, 63, 118 Pöhlmann, R. von 28 Polanyi, K. 62, 65, 66, 88 Ponsetto, A. 183 Portinaro, P.P. 254, 262 Prodi, P. 186 Pütz, M. 52 R Racinaro, R. 55 Rainer Lepsius, M. 9, 10, 95 Rebuffa, G. 191, 204, 262 Rehbinder, M. 191 Ricciardi, M. 264, 308 Richarz, I. 62, 63 Riehl, W.H. 41, 44, 53, 62, 75, 76, 91 Riesebrodt, M. 9, 182 Ringer, F. 56 Rocher, G. 191, 261, 294 Rodbertus, K. 28, 44, 85 Roscher, W. 28, 34, 91 Rossi, P. 15, 24, 55, 90, 103, 294 Rostovtzeff, M. 28 Roth, G. 49, 53, 95 Roversi, A. 27, 202 Rudhard, B. 10 S Sachße, C. 237 Savigny, F. von 161, 181 Scaff, L. 103, 264 Scaglia, A. 147 Scalone, A. 264 Schäffle, A.E.F. 91, 146 Scharfen, K. 10 Scheler, M. 233 Schellhos, H. 56 Schiavone, A. 227 Schiera, P. 27, 28, 33, 45, 57, 58, 62, 63, 105, 186, 202, 237, 240, 242, 244, 266, 278 Schilm, P. 10 Schluchter, W. 9, 10, 26, 36, 58, 94, 233 Schmitt, C. 62, 68, 259, 261, 266, 267, 281, 294, 306 Schmoller, G. 28, 149, 209 Schöllgen, G. 226 Schönberg, G. von 149 Schön, M. 10 Schreiner, K. 157 Schröder, J. 10 Schroeder, R. 261 Schumpeter, J.A. 49, 265, 302 Schwentker, W. 9 Schwineköper, B. 161 Scott, A. 268 Segre, S. 262 Senigaglia, C. 254, 284 Senofonte 53 Siebeck, P. 35, 93 Simmel, G. 205, 206, 214, 249, 260, 277 Sintomer, Y. 262, 302 Smend, R. 268 Smith, A. 53, 194 Sombart, W. 28, 32, 53, 152, 233 Speer, H. 118 Stammer, O. 224 Stammler, R. von 137 Sternberger, D. 262 INDICE DEI NOMI Strauss, L. 299 Suarez, C.G. 180 Sukale, M. 55, 272 Swedberg, R. 83, 86, 154, 219 T Tarello, G. 180 Tenbruck, F.H. 44, 88, 95 Tennstedt, F. 237 Tieck, K.P. 191 Tiefel, M. 10 Tilly, R. 29 Tiryakian, E.A. 89 Titunik, R.F. 287 Tocqueville, A. 186 Tommaso D’Aquino 52, 53, 194 Tönnies, F. 41, 45, 46, 47, 48, 61, 76, 85, 134, 137, 216 Toscano, M.A 191 Treiber, H. 55, 56, 191 Treves, R. 262 Tribe, K. 29, 95, 103, 222 Trigilia, C. 228 Trubek, D.M. 97 Tuccari, F. 262, 278, 279, 287 Turner, B.S. 118, 191, 262 U Ulmen, L. 260 V Veblen, T. 125 Veca, S. 55 Viano, F. L. 290 Vidari, G. 198 Villacanas, J.L. 262 Vincent, J.M. 262 Vinogradov, P. 144 Voegelin, E. 55 Vogel, J. 226 W Wagner, G. 29, 181 Warburg, A. 244 Weber, A. 265 Weber, H. 252 339 Weber, M. 39, 140, 147, 252 Weigelin, E. 137 Weintraub, K.J. 52 Weiß, J. 55, 56, 88, 296 Weiss, S. 28, 62 Winckel, H. 77 Winckelmann, J. 9, 40, 94, 244, 294 Z Zeitlin, M. 118 Zingerle, A. 103 Zipprian, H. 29, 181 Zitelmann, E. 137