Mario Ascheri
I giuristi: categoria professionale e presenza culturale
Qualche premessa
Questa mi sembra una buona occasione per togliere dal giurista quel velo
d’oblio con cui è stato spesso nascosto quando la storiografia recente ha
voluto soffermarsi sulle figure sociali del tardo Medioevo o del
Rinascimento1: forse, è giustificato solo il silenzio cui lo costringe la
storiografia sulla donna, che però deve comunque occuparsi, eccome, di
diritto... - ma questa, si dirà, è un’altra storia.
È un dato di fatto che il giurista tende a rimanere in ombra di fronte a papi e
cardinali, principi, condottieri e banchieri, umanisti, contadini e artigiani –
financo rispetto ai giullari… Un po’ perché le sue opere sono ed erano già nel
loro tempo di difficile approccio, e un po’ forse anche perché essi furono più
oggetto passivo degli strali degli umanisti che non soggetti attivi della
polemica: penso ad esempio alla notissima grande sortita contro Bartolo che
costrinse il Valla a lasciare Pavia2. O forse, in questa difficoltà di metterli a
V. ad esempio L’uomo medievale, a cura di J. Le Goff, Roma-Bari 1987.
Avverto che questo intervento è integrativo del mio precedente Il diritto comune dal medioevo all’età
moderna: un punto di vista italiano, in Life, Law and Letters: Historical Studies in honour of Antonio García y
García, ed. by P. Linehan, Roma 1998 ( “Studia Gratiana” 28), pp. 23-29. Informo anche che sul tardo
diritto comune, dal Medioevo all’età moderna, è stato approvato un progetto di ricerca di rilevanza
nazionale diretto da Italo Birocchi (Roma, La Sapienza).
2
Sulla polemica ho raccolto aggiornamenti nel mio I giuristi, l’umanesimo e il sistema giuridico dal medioevo
all’età moderna, in El dret comú i Catalunya, a cura di A. Iglesia Ferreirós, Barcelona 1992, pp. 145-166;
importante le raccolte di studi di D. Maffei, Studi di storia delle Università e della letteratura giuridica,
Goldbach 1995, e di H. E. Troje, Humanistische Jurisprudenz. Studien zur europäschen Rechtswissenschaft
unter dem Einfluss des Humanismus, Goldbach 1993. In particolare sull’attacco valliano v. ora M.
Regoliosi, L’Epistola contra Bartolum del Valla, in Filologia umanistica. Per Gianvito Resta, a cura di V. Fera
e G. Ferraù, II, Padova 1998, pp. 1501-1571 (con edizione del testo e una noticina sulla edizione
inglese accolta in O. Cavallar, S. Degenring, J. Kirshner, A Grammar of Signs, Berkeley 1994).
1
fuoco, si dovrà pensare che incida il loro variegato e incerto profilo,
professionale e sociale?
Come oggi, e forse ancor più di oggi, il giurista era un operatore dall’identità
complessa – anche quanto all’origine sociale, dato che la figura includeva, ad
esempio, anche esperti di diritto canonico, che potevano essere religiosi o
secolari di modeste origini. Certo il giurista si distingue facilmente dagli
operatori forniti di nozioni giuridiche solo elementari, più di rango esecutivo
e lontani dalle teorizzazioni, come furono tipicamente i notai, operatori
purtuttavia essenziali per i privati e nerbo della mobilissima e non proprio
insignificante burocrazia del tempo.
Ma è più incerto il confine quando si parli di ‘giudici’, perché a certi livelli
certamente questi possono riconoscersi come giuristi, e del resto lo iurista, e
talora persino il doctor in iure con un minimo di anni di anzianità, rispondeva a
una denominazione tecnica, prevista in taluni statuti cittadini sin da fine
Duecento come requisito per il reclutamento degli ufficiali più importanti.
Poteva poi esser giurista l’avvocato, operatore nelle corti giudiziarie cittadine
grazie alla sua appartenenza alla corporazione dei ‘giudici’ locale, oppure
l’ambasciatore, oppure il consigliere del principe, oppure ancora il consultore
in iure di una Repubblica o l’occasionale membro di una commissione
incaricata di redigere o di revisionare gli statuti cittadini.
Il giurista assumeva quindi varie funzioni nella società, anche se la sua figura
più tipica e caratteristica – quella che qui più ci interessa perché più
storicamente rilevante - rimaneva quella del professore universitario, raro,
ricercato, spesso pagato molto perché il suo nome era talora in grado di
mobilitare le schiere degli studenti da un ateneo all’altro, e in grado perciò di
determinarne il successo o il crollo – nel tardo Quattrocento ancora, anche se
senza le proporzioni con cui ciò avveniva intorno al 1200 e 13003.
Il giurista in senso stretto è solo lui, e se mai gli può essere accostato lo
scrittore non universitario di questioni giuridiche: ma è una figura tutto
sommato rara e marginale, che riconosciamo come autore di opere di
contorno, di aggiornamenti bibliografici, per la cura dell’edizione di opere
altrui, o come autore di repertori, dizionari e così via – la populaer Literatur
alla Sebastian Brandt studiata tanto bene e con grande pazienza da Emil
Seckel4, perché la vedeva come strumento essenziale di espansione nella
Germania del Cinquecento della cultura di diritto comune tra gli operatori
giuridici dei livelli meno elevati.
Il giurista che connota in modo peculiare – e cercheremo di accennare perché
e in che termini – la nostra società, è sopra ogni altro il professore, che sarà
volta a volta docente, e perciò anche scrittore di commentari ai testi sacri del
diritto, oppure consulente individuale o collegiato, con i colleghi della
corporazione e allora in taluni casi anche giudice giudicante per così dire5;
sempre comunque fu redattore di consilia, i pareri tecnici richiesti da giudici (e
allora si parla tecnicamente di consilia sapientum) oppure da privati che
intendevano con essi rafforzare la loro posizione in diritto in vista di una
possibile causa o quando questa già era iniziata6, oppure ancora scrittore di
La ricca documentazione raccolta da padre Armando Verde (Lo Studio fiorentino. Ricerche e
documenti 1473-1503, Firenze-Pistoia1973-1995) lo mostra chiaramente per il periodo che più ci riguarda.
Tipiche le vicende di un Bartolomeo Socini (ampiamente esaminato nell’opera sotto ricordata, a nota
18), o di un Giason del Maino.
4
E. Seckel, Beiträge zur Geschichte beider Rechte im Mittelalter, I, Tübingen 1898; più recentemente ad
esempio N. Horn, Die legistische Literatur der Kommentatorenzeit, in Handbuch der Quellen und Literatur der
neueren europäische Privatrechtsgeschichte, hrsg. von H. Coing, Band I, München 1973, p. 351 s.
5
V. ad esempio M. C. Zorzoli, Il collegio dei giudici di Pavia e l’amministrazione della giustizia, in
“Bollettino della Società pavese di storia patria” 81 (1981), pp. 56-90.
6
Tipologia complessa sulla quale sono ritornato nel mio contributo in “Bullettino dell’Istituto
storico italiano per il Medioevo e Archivio muratoriano”, 105 (2003), pp. 305-334.
3
tractatus, che costituiscono un genere letterario per così dire sempre praticato,
sin dai primordi nella scuola, e che tuttavia ora assunsero un nuovo rilievo: e
più avanti dovremo accennare anche al perché.
Ma con l’autunno del Medioevo non sono lontani i tempi eroici delle tombe
destinate ai giuristi nei luoghi pubblici di Bologna?
Certo, i giuristi sono ormai oggetto da tempo della polemica su due fronti
caldissimi. Intanto, dal tempo del Petrarca7 com’è notissimo, sono sotto tiro
da parte dei dotti, loquacissimi, umanisti. Anche nel Quattrocento gli
abbandoni degli studi giuridici in favore degli studia humanitatis sono frequenti
e a livelli altissimi; basti pensare a un personaggio come Enea Silvio
Piccolomini – che comunque mise certamente a frutto quel po’ di diritto che
imparò a Siena8 mentre si divertiva a scrivere romanzi d’amore.
Sul secondo fronte c’è la più antica e pervasiva polemica, più terra terra,
dell’uomo comune per così dire, quello che si esprime e condivide gli adagi
correnti contro Bartolo e Baldo, elevati a simboli dei giuristi fonti di
ambiguità, di litigiosità e di spese e perciò da tener lontano dalla propria casa
come la peste9; in Francia ci sono le accuse raccolte e amplificate da un
Rabelais10; altrove, in Germania, nell’acceso clima di contrasto religioso, si
forgiarono
adagi
significativi,
come
quando
Lutero
introdusse
il
fortunatissimo Juristen böse Christen: la diffidenza che prima circondava i
mercanti cala in certi ambienti, e ora si rivolge piuttosto di preferenza – e
V. in particolare M. Manzin, Il petrarchismo giuridico. Filosofia e logica del diritto agli inizi
dell’umanesimo, Padova 1994.
8
Tema ancora meritevole di ricerca; v. comunque G. Kisch, Enea Silvio Piccolomini und die
Jurisprudenz, Basel 1967.
9
È rimasto addirittura a livello di proverbi popolari; anche in Spagna, attesta Antonio García y
García, è verificabile la stessa popolarità negativa dei grandi giuristi presso l’opinione pubblica
medievale.
10
Classico D. Maffei, Gli inizi dell’umanesimo giuridico, Milano 1956; postille e altre riflessioni nel
mio Giuristi, umanisti e istituzioni del Tre-Quattrocento, in Diritto medievale e moderno, Rimini 1991, pp. 101155.
7
questa sì fu una svolta epocale - contro gli ecclesiastici filo-papali corrotti e
ignoranti, cui venivano accostati i giuristi, i propugnatori d’un diritto nuovo,
sovvertitore delle antiche ‘buone’ consuetudini germaniche ora accantonate e
quasi annullate dal diritto comune importato nel Paese con una decisione
autoritaria, presa dall’alto; un ‘trapianto’ epocale – che ha cambiato la storia
della Germania11 – e che ebbe come protagonisti i giuristi italiani per motivi
che ci riguardano qui da vicino: lo vedremo.
I canonisti: una presenza europea
Polemiche ovunque, dunque, e non solo in Italia. Lagnanze europee contro il
giurista che non fa finire le liti, che è costoso e intrigante: sembra una
prefigurazione del futuro Azzeccagarbugli e di polemiche che danno fiato a
dei topoi rimasti vivi attraverso i secoli – e la sconcertante esemplificazione
presentata dal mondo a noi contemporaneo credo che sia di per sé molto
eloquente.
Ma in Italia, nell’Italia delle cento città, c’è di più; nel giurista si vede
l’operatore locale, certo, ma si sente anche il pericolo di quella sua cultura
non solo cittadina: di una cultura sovranazionale addirittura, epperciò non
controllabile: come quella della Chiesa. Il giurista come intellettuale
‘cosmopolita’, quindi, come quelli che Antonio Gramsci indicava come
caratteristici della nostra tradizione, la cui quantità è tanto evidente nelle
nostre città da divenire qualità, un dato certamente caratteristico, peculiare del
nostro Paese ancora in questa svolta tra Quattro e Cinquecento – mentre altri
saranno più connotati dalla cultura militare e cavalleresca, ad esempio.
È un tema sul quale esiste naturalmente una bibliografia enorme che si segue bene, per gli
ultimi anni, dalla rivista “Ius commune”; in italiano v. ad esempio F. Wieacker, Storia del diritto privato
moderno, Presentazione di U. Santarelli, I-II, Milano 1980.
11
Certo, un numero di giuristi più o meno robusto c’era ovunque in Europa –
non foss’altro perché ovunque c’era quella specie di comunità europea ante
litteram data dalla Chiesa romana con le sue articolazioni locali. Un carattere
fondamentale della sua storia, che sul piano del diritto comportava tribunali
che operavano con la stessa lingua, con le stesse regole processuali e
applicando le stesse norme ovunque; ebbene, i loro operatori ricevevano una
formazione analoga - che si trattasse di sedi come Salamanca o Coimbra o
Cambridge o Parigi o Praga ecc.
La peculiarità viene soprattutto quando si guardi all’aspetto qualitativo e
quantitativo del problema sul piano laico. Credo allora che l’Italia in questo
nostro autunno abbia giocato un ruolo speciale in Europa quale che sia la
figura di giurista cui vogliamo riferirci: molto numerosi erano i notai – dato
che la scrittura aveva tradizioni radicatissime e assai risalenti - e gli avvocati
operanti in corti locali (spesso si trattava della stessa figura). Ma molto
numerosi (o comparativamente numerosi) erano anche i giuristi tecnici, i
professori, i consiglieri di principi e di città, i giudici di alte corti di giustizia,
gli ambasciatori-giuristi.
E c’è di più, anche se è difficile quantificare – almeno per me. Tra gli stessi
ecclesiastici in Italia, fossero essi regolari o secolari, molto presenti erano i
licenziati o dottorati almeno in diritto canonico, e non solo tra gli operatori
dei tribunali vescovili o dell’Inquisizione; tra le massime cariche pontificie - ci
dice un qualsiasi manuale di storia ecclesiastica12 - continuava la tradizione
Ma v. ora ad esempio gli studi sulla Penitenzieria dell’Istituto storico germanico in Roma; utili
molti contributi in Roma capitale (1447-1527), a cura di S. Gensini, Pisa 1994. Esistono molti significativi
studi di dettaglio, anche eccellenti come D. Girgensohn, Ein Kardinal und seine Neffen. Prälaten der
Venezianer Familie Lando im 15. Jahrhundert, in“Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und
Bibliotheken“, 80 (2000), pp. 164-265 (con un esempio, tra i tanti, di borse di studio istituite per seguire
corsi di giurisprudenza).
12
della cultura giuridica che aveva contraddistinto la grande stagione del
Duecento.
La ‘Chiesa del diritto’ era sempre più corposa e invadente, e perciò c’era una
fortissima domanda di operatori esperti, che sapessero districarsi nelle
subtilitates di quel diritto canonico che si era chiuso come redazione entro il
primo Trecento e che quindi doveva essere applicato a una realtà talora
profondamente diversa. Lo scisma e i grandi concili hanno significato anche
dibattiti con un forte connotato giuridico13 anche quando interessanti in
primo luogo teologi e predicatori: chi era stato giustamente eletto? Chi
giustamente deposto? Quali i poteri del concilio ecc. ecc.?
Ad altri livelli il diritto aveva un ruolo chiave in conflitti tra religiosi, come
quello coinvolgente gli Osservanti14, o tra francescani e domenicani sulla
questione del debito pubblico e dei Monti di pietà15, o sui problemi della
stregoneria e dell’usura16.
Nel complesso, a livello di letteratura giuridica ci sono alcune presenze
francesi e iberiche, qualche raro scrittore inglese17 e, sul finire del secolo,
Si pensi soltanto a una figura come Niccolò de’ Tedeschi (v. infine Niccolò Tedeschi (abbas
Panormitanus) e i suoi commentari in Decretales, a cura di O. Condorelli, Introduzione di M. Bellomo, Roma
2000), o al rilievo del diritto per un Niccolò Cusano; per il coinvolgimento delle università, v. R. N.
Swanson, Universities, Academics and the Great Schism, Cambridge 1979.
14
Studiato in particolare da Celestino Piana, ad esempio Scritti polemici fra Conventuali ed Osservanti a
metà del ‘400 con la partecipazione dei giuristi secolari, in “Archivum Franciscanum Historicum” 71-72 (197879) pp. 339-405, 37-105.
15
V. ad esempio J. Kirshner (in Reading Bernardino’s Sermon on the Public Debt, in Atti del simposio
internazionale cateriniano-bernardiniano, a cura di D. Maffei e P. Nardi, Siena 1982, pp. 547-622) e R. Fubini,
Prestito ebraico e Monte di pietà a Firenze (1471-1473), nel suo Quattrocento fiorentino. Politica diplomazia cultura,
Pisa 1996, pp. 159-216.
16
Per l’una e l’altra ci fu notoriamente una recrudescenza della repressione sul finire del
Medioevo: gli stessi monti di pietà (v. ora M. G. Muzzarelli, Il denaro e la salvezza, Bologna 2001), il
Malleus maleficarum ecc. ne sono eloquenti testimonianze.
17
Le presenze sono bene rilevabili attraverso il repertorio degli incunaboli giuridici costituito
presso il Max-Planck-Institut fuer europaische Rechtsgeschichte di Francoforte sul Meno da Douglas
Osler, che ha pubblicato l’indice dei libri giuridici dal 1525 al 1600 ivi esistenti (Frankfurt, 2000).
L’autore ha già anticipato riflessioni sull’andamento delle scelte editoriali nel suo The Myth of European
Legal History, in “Rechtshistorisches Journal”, 16 (1997), pp. 393-410.
13
nell’area di lingua tedesca un fiorire di giuristi - specie di canonisti non a caso,
e su temi di rilievo etico come per l’usura o per la stregoneria 18. Ma la grande
maggioranza dei canonisti era pur sempre italiana come lo erano i prelati, sia
all’inizio che alla fine del Quattrocento, quando incontriamo il dottissimo
Felino Sandei, i cui preziosi libri oggi conservati a Lucca attendono ancora
pazienti ricerche19.
I civilisti e la loro mediazione
Sul piano civilistico dovrà farsi un discorso analogo. I ‘civilisti’, come sono
detti i giuristi specialisti di diritto laico, proseguono a fine Quattrocento e
inizio Cinquecento la grande tradizione per lo più incuranti delle accuse degli
umanisti20 sul piano storico e filologico: le accuse di scarsa o punta
dimestichezza col latino classico e con la storia antica non scalfivano il
prestigio sociale dei giuristi, né scalfivano i loro livelli salariali negli Studi –
come si vede bene sfogliando i repertori documentari relativi alle nostre
università del tempo. Del resto, il Poliziano per la sua grande impresa di
collazione del Digesto tra redazione vulgata e littera Fiorentina non avrebbe
potuto riferirsi che a un giurista di formazione tradizionale per quanto
brillante e colto; e si trattò del senese Bartolomeo Socini21, bell’esempio di
grande professore e consulente, ma anche diplomatico e uomo politico.
Il Malleus non richiede presentazioni, a differenza della letteratura specialistica sul problema
delle obbligazioni pecuniarie; v. in particolare I. Birocchi, La questione dei patti nella dottrina tedesca dell’usus
modernus, in Towards a General Law of Contract, ed. by J. Barton, Berlin 1990, pp. 139-195.
19
Dopo le prime già effettuate, ad esempio, da M. Montorzi, Taccuino feliniano. Schede per lo studio
della vita e l’opera di Felino Sandei, Pisa 1984.
20
Sul loro rapporto sempre interessante M. P. Gilmore, Jurists and Humanists, Cambridge Mass.
1961.
21
Cui è stata finalmente dedicata la monografia postuma di R. Bargagli, Bartolomeo Sozzini giurista e
politico (1436-1506), Milano 2000 (v., in particolare sul punto, p. 229 ss.). Per l’episodio nella storia
personale del Poliziano v. il mio Poliziano filologo del diritto tra rinnovamento della giurisprudenza e della politica,
in Agnolo Poliziano poeta scrittore filologo, a cura di V. Fera e M. Martelli, Firenze, 1998, pp. 323-331.
18
I giuristi potevano essere di solito ignoranti al di fuori del loro sapere tecnicospecifico, ma erano indispensabili per far funzionare non solo la Chiesa, ma il
sempre più complesso sistema giuridico dei nostri Stati regionali. Questi si
reggevano ormai per lo più su statuti ormai antiquati o solo raramente
riformati, variamente aggiornati da deliberazioni e provvisioni a getto
continuo e purtuttavia lacunosi e di difficile interpretazione, che coesistevano
con quelli dei centri minori pur appartenenti allo stesso ordinamento
giuridico22. Aveva auspicato Poggio23 l’unificazione giuridica della Toscana
fiorentina per esaltare la grandezza di Firenze, ma l’opportunità politica aveva
sempre vietato l’estensione della cittadinanza alle comunità soggette 24, qui e
altrove, realtà urbane o rurali che fossero. Perciò si era di fronte ad un
sistema giuridico divenuto complicatissimo, che rendeva stranieri in patria
solo che si uscisse dalle mura delle propria città in un mondo che ovviamente
conosceva grande mobilità e molti matrimoni misti25; il tutto complicato dal
particolarismo indotto dalle ‘capitolazioni’ che conferivano uno status di
diritto pubblico diverso ad ogni realtà urbana di un certo spessore26. Un
Considerazioni a vari livelli interessanti nelle raccolte di studi recenti dedicate a Legislazione e
prassi istituzionale nell’Europa medievale. Tradizioni normative, ordinamenti, circolazione mercantile (secoli XI-XV), a
cura di G. Rossetti, Napoli 2001, e “Faire bans, edicts et statuz”: légiférer dans la ville médiévale, sous la
direction de J.-M. Cauchies et E. Bousmar, Bruxelles 2001; situazioni emblematiche illustrate e discusse
in Intorno allo stato degli studi sulla Terraferma veneta, in “Terra d’Este”, 9 (2000); inoltre L’organizzazione del
territorio in Italia e Germania: secoli XIII-XIV, a cura di G. Chittolini e D. Willoweit, Bologna 1994, e Lo
Stato territoriale fiorentino (secoli XIV-XV). Ricerche, linguaggi, confronti, a cura di A. Zorzi e W. J. Connell,
Pisa 2001 (e si v. le sintetiche conclusioni di Giorgio Chittolini a pp. 591-604). Utili le relazioni di Diego
Quaglioni, Gian Maria Varanini e Giorgio Chittolini in Principi e città alla fine del Medioevo, a cura di S.
Gensini, Pisa 1996.
23
Su di lui v. in particolare R. Fubini, Umanesimo e società civile in Poggio Bracciolini, nel suo
Quattrocento fiorentino, cit., pp. 219-234.
24
Lanciata solo in stato di necessità dalla Pisa ribelle: v. M. Luzzati, Una guerra di popolo. Lettere
private del tempo dell’assedio di Pisa (1494-1509), Pisa 1973.
25
V. ad esempio Dentro la città. Stranieri e realtà urbane nell’Europa dei secoli XII-XVI, a cura di G.
Rossetti, II ed. riv., Napoli 1999, e Strutture del potere ed élites economiche nelle città europee dei secoli XII-XVI, a
cura di G. Petti Balbi, Napoli 1996.
26
È un leit-motiv di ogni lavoro sulla storia territoriale, dal Veneto alla Toscana, come si verifica
nei volumi sopra ricordati.
22
sistema che solo la mediazione del giurista poteva far funzionare – ha ben
mostrato per il Fiorentino Lauro Martines, mentre il ‘Guicciardini avvocato’
di Osvaldo Cavallar lo ha confermato nei particolari27. Una situazione che
richiama quella che sarà della Napoli studiata da Raffaele Ajello e dai suoi
allievi: caratterizzata fortemente da un ‘ceto togato’ essenziale per
fronteggiare la complessità giuridico-istituzionale, costoso ma indispensabile28
- mentre Marino Berengo chiariva da par suo la complessa situazione della
città europea nella continuità tra tardo Medioevo e prima età moderna29.
Perciò il prestigio dei giuristi, per quanti sospetti i ‘politici’ potessero nutrire
nei loro confronti – ed erano tanti30. Perciò essi possono disquisire in dotti
trattati della loro qualità di conti palatini dopo vent’anni di insegnamento e
del loro diritto di nominare notai: si bada al sodo, altroché alla precedenza
delle discipline31! Gli stessi prìncipi delle nuove corti, a Milano, a Mantova
come a Ferrara, hanno giuristi nei loro consigli32, e spesso ne vengono
ricambiati con dediche solenni sulla scia di quanto fatto da Baldo degli Ubaldi
quando dedicò a Giangaleazzo, mentre terminava la sua esperienza didattica e
umana a Pavia, un’importante opera feudale affidata a un elegantissimo
L. Martines, Lawyers and Statecraft in Renaissance Florence, Princeton 1969; O. Cavallar, Francesco
Guicciardini giurista. I ricordi degli onorari, Milano 1991.
28
Si vedano le sue pagine spesso poste a introduzione dei volumi della collana ‘Storia e diritto’
dell’editore Jovene di Napoli; inoltre, ad esempio, il “formalismo giuridico come strumento di governo”
di cui parla nel suo Il problema storico del Mezzogiorno. L’anomalia socio-istituzionale napoletana dal Cinquecento al
Settecento, Napoli 1994.
29
V. infine l’opera maggiore: M. Berengo, L’Europa delle città, Torino 1999.
30
Mi riferisco naturalmente alla diffidenza dei legislatori comunali: v. il mio Il ‘dottore’ e lo statuto:
una difesa interessata, in “Rivista di storia del diritto italiano” 69 (1996), pp. 95-113.
31
Si v. S. Di Noto, “Doctores”. Contributo alla storia degli intellettuali nella dottrina di diritto comune, I-II,
Padova 1994, e v. ad esempio G. Borelli, “Doctor an miles”: aspetti della ideoloogia nobiliare nell’opera del
giurista Cristoforo Lanfranchini, in “Nuova rivista storica”, 73 (1989), pp. 151-168; utili gli atti del
convegno Sapere e/è potere, III: Dalle discipline ai ruoli sociali, a cura di A. De Benedictis, Bologna 1990.
32
Manca tuttavia un lavoro d’assieme – come manca del resto su questi ‘consigli’, che bisogna
inseguire in ogni Stato ‘regionale’.
27
manoscritto33. Il buon giurista dotto, chiamato nel consilium principis e
all’occasione anche nello Studio locale (come si vede spesso per Ferrara, ad
esempio) ha prestigio sociale e politico, e perciò ne conferisce anche a chi se
ne circondi: prestigio e legittimità, dato che essi ne sono i cultori. Tanto è
vero che a volte si è fatti consiliarii per così dire onorari, pur rimanendo nella
propria residenza abituale lontana, senza partecipazione effettiva al consiglio
quindi, com’avvenne a Ludovico Bolognini, un tipico giurista bolognese della
transizione34.
La questione ‘giustizia’: la svolta ‘comunale’ e l’alternativa veneziana
Non è un caso che nel secondo Quattrocento comincino a comparire quei
consigli del principe che a volte sono specificamente designati come di
‘giustizia’35: con ciò il principe avoca a sé la giustizia superiore o d’appello e
vela l’attentato più o meno grave alla tradizione comunale sulla quale si è
sovrapposto36; ma lo fa avendo cura di mettersi accanto dei professionisti a
fungere da oracoli di giustizia. E non solo; in più, sul modello pontificio e
delle grandi monarchie (tipica la giurisdizione di equity inglese), cominciano
anche le istanze di grazia ad avere un ascolto in organi peculiari, a volte
ancora confusi o addirittura paralleli a quelli di giustizia, per rafforzare la
credibilità del principe come fonte di ogni giustizia37 (e non si dimentichi che
Con miniatura con ritratto dell’Autore, ora utilizzata per il convegno di Perugia in occasione del
VI centenario dalla morte di Baldo, i cui atti sono ora in corso di stampa, già riprodotta come figura 1
in V. Colli, L’esemplare di dedica e la tradizione del testo della Lectura super usibus feudorum di Baldo degli Ubaldi,
in “Ius commune” 27 (2000), pp. 69-117.
34
S. Caprioli, Indagini sul Bolognini. Giurisprudenza e filologia nel Quattrocento italiano, Milano 1969
35
Pionieristico l’esame del consiglio milanese in Martines, Lawyers, cit. Su più esperienze v. ora
Berengo, L’Europa, cit., p. 358 ss.
36
Ho seguito l’esempio estense in Il processo civile tra diritto comune e diritto locale da questioni preliminari al
caso della giustizia estense, in “Quaderni storici”, 34 (1999), pp. 355-387.
37
Naturalmente la giustizia papale poté essere un modello esemplare, come del resto lo fu la Rota
romana per le altre ‘rote’.
33
la giustizia che interessava era soprattuto quella civile, perché la nostra ottica
tanto sensibile al ‘penale’ non è certo di quel tempo!)38.
I giuristi sono quindi essenziali nella creazione di questi apparati pubblici che
aspirano a legittimità e credibilità. E quanto ne aveva bisogno, ad esempio,
l’invasore Alfonso il Magnanimo! Il quale, infatti, nel suo nuovo ruolo
napoletano non si circonderà solo del grande umanista ricercato per le sue
arditezze polemiche (naturalmente si tratta del Valla), ma di un Sacro Real
Consiglio che si arrogherà sempre una giurisdizione amplissima e pronta ad
andare al di là del ius strictum pur nel tardo Cinquecento: come il principe, esso
pretende di avere il diritto in scrinio pectoris39.
A tanto non arriveranno – e non potevano arrivare per rispetto della loro
storia e della loro stessa composizione - i grandi tribunali delle Repubbliche.
Ma la creazione della Rota a Firenze nel 1502, presto imitata nelle altre
Repubbliche40, come si sa, indica la piena coscienza di dover scegliere strade
nuove per placare l’insoddisfazione crescente dell’opinione pubblica per le
disfunzioni nell’amministrazione della giustizia (ricordo come fonti le pagine
fiorentine importanti di Alamanno Rinuccini41, ma non c’è epistolario o
memoria del secondo Quattrocento che non parli del problema, e non a caso
Ricordiamo l’aureo Guicciardini, esperto come pochi altri: “Nelle cose criminali è necessario si
osservi la giustizia, pure vi si può qualche volta andare con più larghezza; ma nella civile è necessario
tenere una regola ferma e stretta, che le vadino nette e sincere, e che ha lo Stato in mano non se ne
travagli, perché anche questa è una di quelle cose che apartiene alla sicurtà assai, che gli uomini
intendino che per mezzo de’ iudici non possa esser tolto loro quello che e’ tengono iustamente…” (da
G. Cozzi, La Repubblica di Venezia e Stati italiani, Torino 1982, p. 6).
39
Per le origini, prima del 1449, v. G. Cassandro, Sulla origine del Regio Consiglio napoletano, in Studi
in onore di R. Filangieri, II, Napoli 1969, pp. 1-17. Com’è noto, è il ‘grande tribunale’ all’origine della più
antica raccolta a stampa di giurisprudenza ‘italiana’: v. G. Vallone, Le ‘decisiones’ di Matteo d’Afflitto, Lecce
1988; v. poi M. N. Miletti, Stylus iudicandi. Le raccolte di ‘decisiones’ del regno di Napoli in età moderna, Napoli
1998, e in generale il mio Tribunali, giuristi e istituzioni dal medioevo all’età moderna, ed. riv., Bologna 1996.
40
Dopo i lavori di Gino Gorla e miei, v. Grandi tribunali e Rote nell'Italia di Antico regime, a cura di
M. Sbriccoli e A. Bettoni, Milano 1993.
41
Si v. V. R. Giustiniani, Alamanno Rinuccini 1426-1499. Materialen und Forschungen zur Geschichte des
florentinischen Humanismus, Koeln-Graz 1965. Si farà poi riferimento ai molti lavori di Andrea Zorzi, in
gran parte segnalati nella bibliografia che correda il volume sopra citato (nota 22) su Lo Stato territoriale.
38
a Firenze c’è un Bartolomeo Scala42, cancelliere della Repubblica, che ‘deve’
occuparsi della ‘questione giustizia’)43.
Ebbene, si scelse la via ‘rotale’, cioè con tribunali che comportarono una
parziale rottura con la tradizione medievale del pluralismo delle corti e della
breve durata delle cariche giudicanti, ma ci fu anche chi (il Savonarola
addirittura!) aveva auspicato addirittura di abbandonare la regola del giudice
forestiero: un influsso del modello veneziano, sempre più ammirato 44 ma
poco praticato nei fatti?
Questo è un punto credo cruciale. Nella svolta tra Quattro e Cinquecento le
discussioni di riforma costituzionale investirono anche il ruolo dei giuristi
tutte le volte che si parlò di giustizia45. Perché? Perché la tradizione comunale,
con la sua diffidenza ufficiale e formale più o meno marcata per i giudici
locali pur potenti e stimati in città, aveva dovuto far ricorso – com’è ben noto
- a podestà e capitani forestieri46; solo un escamotage, che aveva potuto
rafforzare l’immagine di una guida imparziale delle istituzioni e quindi
allargato il consenso ad esse, ma che non aveva certo messo in un angolo il
prestigio dei giuristi locali, variamente ‘collegiati’ (ora con, ora senza i notai) 47,
e non a caso sempre detti non a caso ‘giudici’. Con la pratica del consilium
Sul quale v. A. Brown, Bartolomeo Scala, 1430-1497, a cura di L. Rossi, Firenze 1990 (dall’ed.
Princeton 1979).
43
Per Genova v. ora R. Savelli, Il problema della giustizia a Genova nella legislazione di primo
Cinquecento, in Studi in onore di Franca De Marini Avonzo, Torino 1999, pp. 329-350.
44
Si v. soprattutto gli studi raccolti in Florence and Venice: Comparisons and Relations, ed. by S.
Bertelli, N. Rubinstein, C. H. Smith, I-II, Firenze 1979-80, e, degli stessi curatori, Florence and Milan:
Comparisons and Relations, I-II, Firenze 1989.
45
Cenni bibliografici nel mio Il processo civile (nota 36).
46
Su questi ‘ufficiali’ è intervenuta una prima importante ricognizione fino a metà Trecento (I
podestà dell’Italia comunale, I-II, a cura di J.-C. Maire Vigueur, Roma 2000), di poco anticipata da Gli
officaili negli Stati italiani del Quattrocento, Premessa di F. Leverotti, Pisa 1997 (ma 1999 =“Annali della
Scuola Normale Superiore di Pisa”, s. IV, Quaderni 1).
47
Un importante capitolo di storia corporativa e del diritto ancora poco studiato. V. intanto le
sempre ricche pagine di Berengo, L’Europa cit., p. 367 s.
42
sapientis sempre48, oppure talora anche con la investitura del collegio come
giudice d’appello (come ad esempio a Pavia), i giuristi locali recuperavano un
ruolo proprio, e notevole, nell’amministrazione della giustizia. Il passo
ulteriore sarebbe stato quello della tradizione veneziana, che non affidava a
giuristi professionali, ma solo a esponenti dell’élite di governo, a mercantipolitici per intendersi, anche la cura della giustizia. Ai saggi locali,
responsabilizzati al massimo, si affidava un settore delicatissimo di interessi
pubblici, sottraendolo ai professionisti49.
Venezia perciò costituisce un’eccezione vistosa nel panorama italiano
imperniato sul prestigio dei giuristi – ben rilevabile sin dal Trecento anche già
soltanto grazie allo specchio della legislazione suntuaria50. Per quanto
possibile – cioè finché non le facesse comodo, per rapportarsi con le altre
istituzioni con il comune linguaggio giuridico del tempo, di rivolgersi al
giurista di diritto comune, fosse ora un Riccardo Malombra, ora un Baldo
degli Ubaldi o Raffaele Fulgosio o Tommaso Diplovatazio su su fino a Paolo
Sarpi -, Venezia cercò di evitare di alimentare un mercato locale di giuristi.
Questi, sapevano bene quei consumati imprenditori-politici per necessità,
avrebbero solo contestato il primato dei politici, complicato le procedure
giudiziarie e il dibattito giuridico-politico, coprendo con un linguaggio arcano
e iniziatico la realtà dei problemi politico-sociali.
Raccolte di studi ora di riferimento sono: Consilia im späten Mittelalter. Zum historischen Aussagewert
einer Quellengattung, Sigmaringen 1995, hrsg. I. Baumgärtner, e Legal consulting in the Civil Law Tradition,
eds. M. Ascheri, I. Baumgärtner, J. Kirshner, Berkeley 1999.
49
Sui problemi che ciò comportava classico lo studio di G. Cozzi, Repubblica di Venezia e Stati
italiani. Politica e giustizia dal secolo XVI al secolo XVIII, Torino 1982.
50
Sulla quale v. ora Disciplinare il lusso, a cura di M. G. Muzzarelli e A. Campanili, Roma 2003.
48
In ciò Venezia era più nella regola europea (che tuttavia si andava
indebolendo51) rispetto alle altre città comunali italiane, immerse nel mondo
del diritto comune in modo pesante, e quindi dominate dai dibattiti dei
giuristi, fossero o meno ammessi nei governi e consigli cittadini 52. Venezia
resisté, e con ciò segnò un’eccezione: il trionfo della cultura mercantile locale,
‘volgare’ e imprenditoriale, contro la cultura latina, accademica, scolastica 53.
Ad essa credo sia possibile accostare la mercantile Lucca nella sua diffidenza
per i giuristi54.
Non a caso, probabilmente, nelle città che erano sedi di Studio o in cui la
cultura accademica e giuridica era più forte, non si riuscì a costruire una vera
giustizia mercantile indenne da influssi dotti. L’esempio della Mercanzia di
Siena che ho seguito analiticamente55 mi sembra significativo, ma certo sono
altre le realtà del genere56.
Berengo (L’Europa, cit., p. 364) ha notato che “nelle città italiane, tuttavia, non sembra essersi
verificata quella sistematica conquista del potere municipale da parte degli uomini di legge che, tra
Quattro e Seicento, si è effettuata in Francia e in Spagna”. Già: la città comunale italiana aveva dovuto
difendersi ben prima!
52
Impressionante ed esemplare il caso di conflitto Stato-giuristi illustrato da J. Kirshner, Consilia
as Authority in Late Medieval Italy: The Case of Florence, in Legal Consulting cit., pp. 107-140.
53
Si v. comunque – anche per rinvii alla cospicua bibliografia in argomento - il recente contributo
di V. Crescenzi, Il problema delle fonti nell’esperienza giuridica della Repubblica di Venezia. Lo statuto e la sua
intepretatio, in A Ennio Cortese, I, Roma 2001, pp. 364-389 (ma non trascurerei che un contenuto
precettivo dello statuto del 1242 è che proprio ‘tutti’ siano ad esso, a proprio ad esso medesimo,
vincolati; inoltre, che l’esclusione del diritto romano potrebbe essere dovuto proprio al suo supremo
trionfo nell’esperienza veneziana: che la ‘norma di chiusura’ fosse soluzione ‘troppo moderna’ per
essere pensata allora, non mi sembra un grande argomento per escluderla…). Naturalmente utile
Berengo, L’Europa, cit., ad es. in particolare a p. 343.
54
Berengo, L’Europa cit., p. 363 per l’esclusione dei giuristi dal governo lucchese dal 1392; p. 343
per la segnalazione che a Lucca i giuristi furono “contenuti tra i 10 e i 15”; il dato successivo su Siena è
però fondato su segnalazione sbagliata, perché la notula doctorum richiamata riguarda certamente i
professori di diritto dello Studio e non i dottori nel loro complesso – che erano varie decine nel solo
Concistoro, cioè al governo cittadino, nei primi decenni del Cinquecento, come consente di affermare
la ricognizione sul personale politico di Riccardo Terziani ora messa in rete nel sito medievistico
dell’Università di Firenze.
55
In Tribunali, giuristi e istituzioni (nota 38).
56
Per Firenze v. ora A. Astorri, La Mercanzia a Firenze nella prima metà del Trecento, Firenze 1998;
per Pisa L. Ticciati, L’Ordine dei Mercanti a Pisa nel XIII secolo, Pisa 1998; per Genova, il rilievo che
assumono le questioni giudiziarie mercantili nel giurista di diritto comune studiato più volte da Vito
51
Non voglio affermare una causalità biunivoca, per cui in ogni specifica realtà
locale la forza della cultura imprenditoriale debba essere in funzione della
debolezza di quella giuridica e viceversa, ma certo sui tempi lunghi il
prevalere ‘egemonico’ in larghissime aree del nostro Paese della cultura
giuridica, in simbiosi con quella ecclesiastica (con quella omogenea per larghi
tratti), è da considerarsi tra i fatti più peculiari della nostra storia. Pur senza
considerare quel che pure si può aggiungere, ossia che questo fatto da un lato
può aver favorito il rafforzamento delle istituzioni locali, ma dall’altro può
aver anche indotto alla loro chiusura, alla loro gerarchizzazione, e con ciò a
quel clima dominante di stasi rassicurante e assistenziale che si avverte in
molte città italiane d’antico regime. Qui la concorrenza e la creatività
imprenditoriale di un tempo divengono un ricordo o si affievoliscono molto almeno fino al primo Settecento.
Coerente con questi sviluppi c’è, operante già nel Quattrocento, la
tendenziale convergenza dei giuristi nel ceto dirigente e/o nella nobiltà
locale57, nonché la tendenziale chiusura, sempre localistica e specie per gli
insegnamenti dei giuristi, del mondo accademico58, elemento essenziale dei
nuovi equilibri politico-istituzionali in città ed espressione delle élites dirigenti.
C’è da supporre anche che, quando rileviamo che l’insegnamento tese a farsi
più professionalizzante, concentrandosi su certe parti soltanto dei sacri testi
Piergiovanni è di per sé una risposta; v. in particolare il suo Diritto e giustizia mercamtile a Genova nel XV
secolo: i ‘consilia’ di Bartolomeo Bosco, in Consilia im späten Mittelalter (nota 46), pp. 65-78 (e v.
l’aggiornamento nel mio Le fonti e la flessibilità del diritto comune: il paradosso del consilium sapientis, in Legal
Consulting cit., p. 35 nota 87).
57
Sempre Berengo, L’Europa cit., p. 367 s.
58
Dato risultante dalle varie ricostruzioni storiche relative alle singole università. Utile e
ricchissimo A. Belloni, Professori giuristi a Padova nel secolo XV, Frankfurt/Main 1986. Ma si v. anche A.
De Coster, La mobilità dei docenti: Comune e Collegi dottorali di fronte al problema dei lettori non-cittadini nello
Studio bolognese, in Studenti e dottori nelle università italiane (origini-XX secolo), a cura di G. P. Brizzi e A.
Romano, Bologna 2000, pp. 227-241.
tradizionali, più precisamente su quelli di interesse più pratico, ci muoviamo
all’interno d’un trend omogeneo59.
Primato italiano e Rezeption tedesca
Venezia resisté al fascino discreto – ma per essa, appunto, resistibile – dei
giuristi, mentre questi nelle altre città esercitarono un ruolo di
‘normalizzazione’, discreto ma continuo, non clamoroso, importante ma di
scarsa evidenza. Altrove, invece, dove si puntò a unificare il Paese, a darsi
degli spazi comuni e moderni al di sopra delle antiche e fiere tradizioni, i
giuristi con il loro mondo del diritto comune parvero irresistibili – come già
lo erano apparsi a un Federico II legislatore e fondatore dell’università
partenopea. Mi riferisco naturalmente non tanto alla Francia, dove il
‘nazionalismo’ giuridico fu precoce60, anche se seppe largamente profittare
della cultura romanistica (ad esempio per la redazione scritta delle coutumes61),
quanto alla già anticipata Rezeption ufficialmente attuata a partire dal 1495 in
Germania, ma di fatto iniziata ben prima e non solo nelle corti ecclesiastiche.
Helmut Walther sta giustamente valorizzando la marea di Gutachten, di consilia,
che i giuristi quattrocenteschi hanno dato ad esempio alla città di
Norimberga, tanto spesso vicina a Venezia commercialmente, eppure sul
59
Si v. i significativi libri di lezioni (recollectae) analiticamente schedati in I codici del Collegio di Spagna
di Bologna, a cura D. Maffei et alii, Milano 1992; si v. poi ad esempio A. Belloni, L’insegnamento giuridico in
Italia e in Francia nei primi decenni del Cinquecento e l’emigrazione di Andrea Alciato, in Le istituzioni universitarie
dal Medioevo ai nostri giorni, a cura di A. Romano, Catanzaro-Messina 1995, pp. 137-158; per la Germania
utile il contributo complessivo di K. H. Burmeister, Das Studium der Rechte im Zeitalter des Humanismus im
deutschen Rechtsbereich, Wiesbaden 1974.
60
Tra gli studi in lingua italiana v. V. Piano Mortari, Cinquecento giuridico francese. Lineamenti generali,
Napoli 1990, e ora I. Birocchi, Alla ricerca dell’ordine.Fonti e cultura giuridica nell’età moderna, Torino 2002.
61
Uno dei problemi centrali della storia giuridica francese: v. ora i saggi raccolti in Droit romain, jus
civile et droit français, sous la direction de J. Krynen, Toulouse 1999; perciò tanti studi territoriali come da
noi per gli statuti; v. ad esempio di nuovo J. Vendrand-Voyer, Reformation des coutumes et droit romain.
Pierre Lizet et la coutume de Berry, in «Université de Clermont I. Annales de la Faculté de droit et de
science politique», 18 (1981), pp. 315-381.
piano giuridico tanto lontana in prospettiva, mentre lo storico della città
tedesca che più interessa dal nostro punto di vista, ossia Eberhard Isenmann,
ha infine convenuto sulla necessità di valorizzare quella fonte – così ‘italiana’
– e la relativa dottrina per lo studio del tardo Medioevo urbano tedesco62.
La ‘recezione’ la introduco qui non certo solo per motivi cronologici. Il fatto
è che la recezione tedesca ci riguarda direttamente perché essa comportò,
coeva come fu alla diffusione della stampa, un’incredibile diffusione di
materiale giuridico italiano in Germania. Mai i giuristi italiani ebbero un
prestigio e una diffusione come allora, e direi fino al secondo Cinquecento,
quando nuovi indirizzi metodologici e le rafforzate nuove università tedesche
cominciarono a poter fare a meno o quanto meno a usare meno i materiali
giuridici italiani63. Ma ci fu un momento, proprio intorno al 1500, in cui
l’Italia del diritto ebbe in Germania una ventata di prestigio incredibile (e
unico, ripeto, nella storia): i giuristi italiani vennero invitati ad insegnare nelle
università tedesche64, perché erano tanti in patria ed erano gli unici ‘civilisti’
Tra i tanti contributi in tedesco (ultimo Die Bibliothek des gelehrten juristischen Praktikers, in
Juristische Buchproduktion cit., pp. 805-818) v. H. G. Walther, Le città imperiali tedesche nel Quattrocento: il loro
ruolo ed importanza nella formula “Kaiser und Reich”, in Principi e città alla fine del Medioevo cit., pp. 129-149; E.
Isenmann, Die deutsche Stadt im Spaetmittelalter 1250-1500. Stadtgestalt, Recht, Stadtregiment, Kirche, Gesellschaft,
Wirtschaft, Stuttgart 1988, e ora Gesetzgebung und Gesetzgebungsrecht spätmittelalterlicher deutscher Städte, in
“Zeitschrift für historische Forschung“, 28 (2001), pp. 1-94, 161-261, e ancora Rercht, Verfassung und
Politik in Rechtsgutachten spätmittelalterlicher deutscher und italianischer Juristen, vornehmlich des 15. Jahrhunderts, in
Recht und Verfassung im Übergang vom Mittelalter zur Neuzeit, II, hrsg. Von H. Boockmann, L. Grenzmann,
B. Moeller, M. Staehelin, Göttingen 2001, pp. 47-245. Utile per verificare la presenza italiana I.
Baumgärtner, Messbares Wissen. Juristische Handschriften an spätmittelalterlichen deutschen Kollegien und
Universitäten, in Juristische Buchproduktion cit., pp. 741-803, e il caso particolare illustrato da D.
Girgensohn, Studenti e tradizione delle opere di Francesco Zabarella nell’Europa centrale, in Studenti, università, città
nella storia padovana, a cura di F. Piovan e L. Sitran Rea, Trieste 2001, pp. 127-176.
63
Mi riferisco, ad esempio, al diffondersi della ‘sistematica’ e del ‘ramismo’, che rimasero invece
(di regola) esclusi dal nostro mondo universitario ed editoriale. V. ora A. Mazzacane, Sistematiche
giuridiche e orientamenti politici e religiosi nella giurisprudenza tedesca del secolo XVI, in Studi di storia del diritto
medievale e moderno, a cura di F. Liotta, Bologna 1999, pp. 213-252. Sempre fondamentale R. Orestano,
Introduzione allo studio del diritto romano, Bologna 1987.
64
Tipico il caso di Pietro Tomai (ca. 1448-1509-10), sul quale v. ora la scheda di D. Girgensohn,
Petrus Ravennas, in Neue deutsche Biographie, XX, Berlin 2001, p. 230 s. Non conosco sul punto studi
62
con una formazione adatta per diffondere il nuovo verbo, mentre chi poteva
– come il dotto basileese Bonifacio Amerbach ben noto per la vicenda
erasmiana65 – si recava in Italia direttamente (sempre fortemente frequentata
dai tedeschi fino a tutto il Cinquecento: Padova, Bologna, Siena…) o ad
Avignone, il possesso papale che garantiva un insegnamento secondo il
prestigiosissimo (sembra incredibile ora!) mos italicus66.
E il mercato tedesco volle dire anche, per alcuni decenni almeno, un successo
incredibile della stampa italiana, con una presenza forte, in particolare, della
stampa giuridica veneziana67 – paradossalmente della città che non usava di
quei libri, anche se li mandava con profitto all’estero e nella propria
Terraferma, immersa nel mondo del diritto comune e alimentata dalla potente
formazione professionale nella dotta Padova – non a caso mai tanto appetita
dagli studenti tedeschi.
In definitiva, quindi, attenzione: solo con un teleologismo pericoloso, solo
con l’anacronismo si può attribuire a questi decenni un crollo del prestigio e
della cultura giuridica in Italia. Molti indicatori sono in tutt’altra direzione, e si
tratta di ben altro che delle lapidi in chiese e conventi o dei ricchi ritratti di
personaggi in nero che rinviano per lo più a tanti austeri legulei di successo.
Gli indicatori sono ben altri, anche se una tradizione storiografica
prevalentemente incentrata sul XII e XIII secolo (l’età detta del ‘diritto
sistematici o comunque ricchi (come, per intenderci, quelli di Agostino Sottili sui legami italo-tedeschi
in Italia nel Quattrocento; v. il suo Università e cultura. Studi sui rapporti italo-tedeschi nell'età dell'Umanesimo,
Goldbach 1993).
65
Tra i contributi più recenti v. H.-R. Hagemann, Die Rechtsgutachten des Bonifacius Amerbach. Basler
Rechtskultur zur Zeit des Humanismus, Basel 1997.
66
L’espressione stessa ricorre – credo per la prima volta – in un contratto di condotta avignonese
del 1518: v. il mio Un maestro del ‘mos italicus’: Gianfrancesco Sannazari della Ripa (1480 c.-1535), Milano
1970.
67
Tra breve il repertorio di Douglas Osler darà un’evidenza palmare di questa presenza, pur
senza ricorrere ai tanti cataloghi a stampa di cinquecentine o ai fondi librari antichi ora on-line.
comune classico’) ha sfuocato l’attenzione da riservare a questi anni 68. Si deve
pensare infatti che la professionalizzazione del mondo del diritto che ebbe
luogo in Germania con la recezione del diritto romano così come inteso e
insegnato nelle università soprattutto italiane riguardò anche altre aree finora
rimaste meno investite dal fenomeno – anche se non esenti.
È da fine Quattrocento - ci ha ricordato Ennio Cortese – che si può
cominciare a rintracciare un’attività dotta, di diritto comune, in Sardegna, con
note inequivocabili in un manoscritto della Carta de logu69, ma è poi
l’Università di Catania ora studiata tra gli altri da Ennio Cortese, o le raccolte
di consilia sulle quali ha richiamato l’attenzione Andrea Romano che ci dicono
dell’invasione delle pratiche del diritto dotto in Sicilia nel corso del
Quattrocento70.
Last, but not least, ricordiamo un fatto notissimo e non più di moda nella
nostra storigorafia, e tuttavia di grande importanza sul breve e sul lungo
periodo: nell’Italia che esaminiamo – e spesso nelle università tradizionali
come Bologna – nasce il cosiddetto ‘umanesimo giuridico’ dopo le
anticipazioni valliane, ed è da qui che esso mosse alla conquista della Francia
(e poi d’Europa) con il dottissimo milanese Andrea Alciato71.
Importanti notazioni storiografiche (che spaziano lungo i secoli) ora in R. Ajello, Il collasso di
Astrea.Amniguità della storiografia giuridica italiana medievale e moderna, Napoli 2002.
69
Secondo Antonio Era la serie di quaestiones che correda il più antico manoscritto della Carta è
successiva al 1479: E. Cortese, Il diritto nella storia medievale, II, Roma 1995, p. 353 s.
70
Si v. E . Cortese, Ai primordi della facoltà di giurisprudenza catanese, ora nei suoi Scritti, a cura di I.
Birocchi e U. Petronio, II, Spoleto 1999, pp. 1167-1177, e (tra le molte pubblicazioni pertinenti) A.
Romano, Giuristi siciliani dell’età aragonese. Berardo Medico, Guglielmo Perno, Gualtiero Paternò, Pietro Pitrolo,
Milano 1979, e il suo “Legum doctores” e cultura giuridica nella sicilia aragonese. Tendenze, opere, ruoli, Milano
1984; di Cortese importante anche, per il periodo ora qui considerato, Sulla scienza giuridica a Napoli tra
Quattro e Cinquecento, in Scuole, diritto e società nel Mezzogiorno medievale d’Italia, I, Catania 1987, pp. 31-134
(ora nei suoi Scritti cit., II, pp. 841-942).
71
Oltre alla bibliografia prima richiamata, v. ad esempio Andrea Alciato umanista europeo, “Periodico
della Società storica comense”, 61 (1999), ove si vedrà per il basileese prima richiamato B. R. Jenny,
Andrea Alciato e Bonifacio Amerbach: nascita, culmine e declino di un’amicizia fra giureconsulti, pp. 83-99.
68
Il trionfo del diritto comune: la grande novità della stampa
Non tanto crisi del diritto comune, quindi, in questi decenni decisivi,
supervalutando – come si tende a fare - la critica umanistica; o certo non crisi
più grave di quella consueta di cui sempre vive il mondo del diritto – in
quanto normativa tendenzialmente immobile in tensione dialettica con una
realtà politica e socio-economica in movimento per definizione. Ma, anzi, a
giudicare dalle diffusione di questa cultura, a giudicare dal maggior radicarsi
della professionalizzazione di cui si parlava, si ebbe un rafforzamento del
diritto comune e dei suoi cultori – del resto già osservato da altri punti di
vista: ad esempio studiando statuti e cultura giuridica72. Non a caso fioriscono
persino le opere postume nel corso del Cinquecento: c’è una corsa a
pubblicare opere ed operette di ascendenti per riceverne in qualche modo
gloria e onori – arrivando addirittura, come credo di aver dimostrato a
proposito di un giurista di Novara, a falsificare, a creare ex novo dei consilia di
Bartolo pur di far comparire dei propri antenati in certi uffici laici ed
ecclesiastici importanti, in modo da potersi presentare come nobili nell’agone
sociale del proprio tempo73.
Ma a parte la patologia editoriale – sulla quale ha scritto tante novità
Domenico Maffei74 -, il prestigio italiano è appunto ben verificabile dalla
presenza delle opere giuridiche entro l’editoria tardo-quattrocentesca, nel
meraviglioso mondo degli incunaboli. I dati quantitativi sono grosso modo
sicuri e inequivocabili. Nell’ambito della produzione complessiva si può
E. Fasano Guarini, Gli statuti delle città soggette a Firenze tra ’400 e ’500: riforme locali e interventi centrali, in
Statuti città territori in Italia e Germania tra medioevo ed età moderna, a cura di G. Chittolini e D. Willoweit,
Bologna 1991, pp. 69-124.
73
V. il mio Streghe e ‘devianti’: alcuni consilia apocrifi di Bartolo da Sassoferrato?, in Scritti di storia del diritto
offerti dagli allievi a Domenico Maffei, a cura di M. Ascheri, Padova 1991, pp. 203-234.
74
Il suo contributo principale sul punto è Giuristi medievali e falsificazioni editoriali del primo
Cinquecento, Frankfurt/Main 1979.
72
stimare che forse sino a un 10% delle opere stampate fossero giuridiche: non
poco, se si tien conto dello spazio che ebbe la letteratura religioso-teologica e
letteraria in senso stretto; ma soprattutto ci riguarda il fatto che entro la quota
del diritto la produzione 1) fu quasi interamente italiana quanto ai luoghi di
stampa e 2) quanto agli autori, quasi esclusivamente di giuristi italiani 75. Cosa
questo significhi in termini di trasmissione del sapere al Cinquecento è
facilmente intuibile!
Vero che la stampa di per sé non dice che un’opera fosse letta, oggi come ieri;
vero che all’abbazia maggiore di Monte Oliveto – tanto per ricordare un
esempio studiato concretamente76 - entrarono a fine ’400 splendidi incunaboli
giuridici che sembra siano rimasti intonsi fino ai giorni nostri; ma i libri erano
comparativamente ben più cari di oggi, per cui è difficile pensare che fosse
stampato il libro giuridico, per definizione non illustrato, certamente poco
divertente e leggibile solo da iniziati, in mancanza di domanda di mercato
(come può avvenire oggi, che si stampa anche a fondo perduto o per
rispondere a motivi politici ecc.).
La domanda c’era eccome77, e fu disordinatissima, in tutte le direzioni,
proprio perché la ricchezza delle argomentazioni, il ponderamento delle
opiniones più diverse in mancanza di un potere politico efficiente e
monopolizzante, si riteneva garanzia di maggiore equità e giustizia della
In attesa d’un repertorio generale, possiamo basarci su quanto accertato da V. Colli, Consilia dei
giuristi medievali e produzionel libraria, in Legal Consulting cit. (nota 48), pp. 173-225. O su accertamenti
locali, quali quelli romani ricordati da M. G. Blasio, L’editoria universitaria da Alessandro VI a Leone X: libri
e questioni, in Roma e lo Studium Urbis. Spazio urbano e cultura dal Quattro al Seicento, Roma 1992, pp. 289-312
(p. 308, per “l’appannaggio detenuto sull’insegnamento dagli esponenti della municipalità romana
specialmente prima della riforma leonina”).
76
Nel mio Un trittico da Siena nel Quattrocento, in Excerptiones iuris: Studies in honor of André Gouron, ed. by
B. Durand and L. Mayali, Berkeley 2000, pp. 17-34.
77
V. ad esempio A. Modigliani, Il commercio a servizio della cultura a Roma nel Quattrocento, in Roma e lo
Studium cit., pp. 248-276, che parla di “boom del libro giuridico…di straordinario interesse per il diritto”
(p. 266).
75
decisione in un sistema aperto, ‘dottrinale’ (perché fatto dai ‘dottori’) qual era
quello di diritto comune. Ma si stampò anche l’obsoleto (per un giurista
tradizionale
tali
erano
gli
scritti
dei
glossatori
oppure
repertori
quattrocenteschi, che non potevano non essere con citazioni fuori moda,
come del resto le fortunatissime decisioni rotali romane del Trecento 78) pur di
gettare novità editoriali su un mercato vivacissimo.
Se mai si può osservare che si deve sempre fare molto attenzione a non
rimanere succubi dei dati grezzi che ci danno gli elenchi degli incunaboli, nel
senso che ovviamente non sempre furono stampate le opere più necessarie o
migliori; è chiaro, ad esempio, che di Bartolo c’erano molti esemplari
manoscritti in circolazione79, per cui la sua stampa (quale che sia stata
relativamente ad altre opere) sottostima ovviamente la sua circolazione; lo
stesso avveniva per tante altre opere ed operette d’uso corrente che i
professionisti si trasmettevano di padre in figlio o tra colleghi. Viceversa,
possono essere sovrarappresentate opere nate dalla presenza attiva di un
docente in loco, eventualmente un veterano dell’insegnamento o in qualche
modo largamente influente per mille motivi anche se solo sul breve periodo –
cosa che, si sa, è tipica del mondo accademico anche oggi…
Ho presente l’esempio istruttivo di Siena, ove sono stati prodotti a quanto
pare 74 incunaboli80. Bene, di questi, ben 56 pezzi – a volte miscellanei, con
varie operette al loro interno – sono giuridici: 2/3, quindi! Si dirà che è un
caso-limite essendo sede universitaria di un certo prestigio per il diritto;
comunque, entro i 56 molti pezzi sono di Giovan Battista Caccialupi, docente
78
Tra i vari contributi sul tema di Gero Dolezalek, si v. quello più generale scritto in collaborazione con Knut W. Nö
Sui problemi della tradizione libraria dei testi e del loro passaggio alle stampe v. ora in
particolare i saggi in Juristische Buchproduktion im Mittelalter, hrsg. V. Colli, Frankfurt/Main 2002.
80
Elencati in C. Bastianoni, G. Catoni, Impressum Senis. Storie di tipografi, incunaboli e librai, Siena
1988, pp. 62-73.
79
per tanti anni fino agli inizi della stampa in città e guarda caso uomo potente
a Palazzo81; poi ci sono altri giuristi senesi del tempo82. Ma l’interesse dello
specimen senese non si esaurisce qui: il rilevamento effettuato ci dice che i
classici come Bartolo, Baldo e Giovanni d’Andrea, ma anche un Tedeschi che
pure aveva autorevolmente insegnato nel primo Quattrocento in città, furono
totalmente assenti! A fortiori, poi, lo sono i più famosi autori del tempo: i vari
Alessandro Tartagni, Pier Filippo della Corgna (Corneo), Giason del Maino; il
fatto non dice tanto della storia universitaria del tempo (e non solo, ripeto)?
Ciò precisato, c’è un altro ‘se mai’ oltre quello sopra ricordato, ossia che ci fu
un boom della forma tractatus che non è fuori luogo ricordare in questa sede.
Con il tractatus si dice tutto di un certo istituto o problema da un punto di
vista giuridico: esso mette in guardia sui problemi e indica le soluzioni
plausibili comunque sostenibili, salvo diverse scelte del potere politico locale
(statuti, provvisioni ecc.). Il tractatus era sempre stato un potente mezzo di
penetrazione della dottrina, perché repertoriava i problemi e indicava le
soluzioni che i giuristi avevano trovato; era per loro un modo per prolungare
la propria egemonia al di là della formazione professionale nelle aule o al di là
della soluzione del caso concreto dato in una causa.
Ebbene, i tractatus si moltiplicarono ora, mentre tendeva a isterilirsi la forma
commentarium. Il che indica un trend verso la pratica più forte, ma si tratta di
nuovo di un elemento di forza del diritto comune, perché indica che le sue
fonti tradizionali e i loro cultori sapevano risolvere i problemi, nonostante
tutti i dubbi filologici sui quali gli umanisti amavano (come loro, i giuristi,
pensavano) schiamazzare.
Si v. P. Nardi, Giovanni Battista Caccialupi a Siena: giudice delle riformagioni e docente nello Studio, in
“Studi senesi”, 109 (1997), pp. 83-124.
82
Come Bulgarino Bulgarini, sul quale v. G. Minnucci, L. Kosuta, Lo Studio di Siena nei secoli XIVXVI. Documenti e notizie biografiche, Milano 1989, ad ind.
81
C’è poco di più istruttivo da questo punto di vista che un esame dei titoli
delle grandi raccolte di tractatus fino a quella veneziana dei Tractatus universi
iuris del 158483. Qui il giurista gustava il piacere di trovare il mondo ai suoi
piedi sub specie juris: i vari temi dal diritto pubblico, feudale, ecclesiastico,
privato e così via erano trattati da varie penne in tutti i loro aspetti. Andrà se
mai fatto attenzione – cosa che il giurista dotto del tempo certamente sapeva
– che la raccolta presupponeva la selezione. Pertanto, certe operette furono
senz’altro escluse per motivi ‘ideali’ (siamo in periodo controriformistico, per
cui le ‘usure’, ad esempio, erano scottanti84), ed altre per motivi di spazio.
Trattati apparsi prima singolarmente non vi vennero inclusi per i motivi più
vari; ad esempio, non c’è il De principatu del Salamonio studiato dal D’Addio,
mentre per esperienza personale ho accertato che dei tre tractatus De peste
scritti da tre giuristi diversi nell’arco di soli tre anni caldi dal punto di vista
epidemico (all’inizio degli anni ’20 del ’500) solo uno, e non il più
significativo, vi è stato pubblicato.
L’Italia dei Senati e delle Università
Ma è tempo di chiudere. E visto che abbiamo parlato delle Rote, bisogna
aggiungere che non vanno trascurati i Senati, a partire da quello milanese
istituito durante la dominazione francese, guarda caso nel 149985. Siamo alle
origini d’una istituzione che non sarà solo giudiziaria e che avrà un avvenire
Elaborazione in G. Colli, Per una bibliografia dei trattati giuridici pubblicati nel XVI secolo. Indici dei
Tractatus universi iuris, Milano 1994.
84
V. ora il ricco R. Savelli, La censura dei libri di diritto nella seconda metà del Cinquecento, in A Ennio
Cortese cit., III, pp. 226-250 (250 nota 108, per l’omissione dalle ‘opere’ del trattato sul concilio di
Basilea di Niccolò de Tedeschi). Si v. anche la sempre ricca trattazione di H. E. Troje, Graeca leguntur.
Die Aneignung des byzantinischen Rechts und die Entstehung eines humanistischen Corpus iuris civilis in der
Juripsrudenz des 16. Jahrhunderts, Koeln-Wien 1971.
85
V. ora, dopo quelli dedicati appunto al Senato milanese, lo studio complessivo di U. Petronio, I
Senati giudiziari, in Il Senato nella storia, II: Il Senato nel Medioevo e nella prima età moderna, Roma 1997, pp.
355-453.
83
illustre fino alle contestazioni illuministiche – sapendo resistere anche di
fronte alle esigenti richieste provenienti da Madrid. Si badi: esso fu formato
non tanto da notabili locali, ma da professionisti, giuristi che anzi troveranno
tramite il Senato la via dell’ascesa sociale sicura per la propria famiglia e la
conferma definitiva del loro prestigio di giuristi – proprio mentre il collegio
dei giuristi milanesi diveniva l’acropoli dell’aristocrazia cittadina.
L’Italia comunale o con un passato fortemente comunale fu in primo piano
nella valorizzazione del giurista. Forse anche perché è l’Italia delle molte
università, mentre nel Regno il quadro complessivo è piuttosto in sintonia
con l’Europa: d’un ordinamento monarchico in cui le città hanno salvo
eccezioni (come Napoli e Messina) un ruolo limitato e i giuristi dotti, d’alto
livello,
sono
ancora
numericamente
pochi,
una
minoranza
poco
significativa86. Anche l’Italia centro-settentrionale presenta comunque un
quadro assai mosso per i suoi scompensi ed eccezioni.
Una cosa è l’area dall’intenso passato comunale e talora ancora comunale –
non solo Firenze, Genova, Lucca e Siena, ma anche Bologna, Perugia,
Padova e poi Milano, Pavia, Verona -, insomma l’area di città che talora
ancora hanno fiorenti università; altra cosa è l’area centro-settentrionale dal
passato comunale meno intenso, rimaste ai margini in aree periferiche e
feudali, come quelle da qualche tempo ormai sottoposte a un regime
principesco grosso modo efficiente come quello dei Savoia.
È comunque contrapposizione da prendere naturalmente con cautela, perché
c’è anche un’area di centri minori e tuttavia attivi produttori di operatori del
diritto. Certe aree prodighe di militari, lontane dai grandi centri e traffici, nelle
Marche, in Romagna, nell’Umbria, hanno alimentato intere generazioni di
Ma dove arriva l’università la presenza dei giuristi aumenta e cambia la vita della città: v.
Berengo, L’Europa cit., p. 204.
86
giuristi, forse creando i presupposti, ad esempio, per la fioritura moderna
dell’Università e della Rota di Macerata.
Ci sono quindi tre diverse aree pur nella sola Italia esterna al Regno - e non
dimentichiamo la deviazione veneziana in campo giuridico. I tentativi di
sanarla si faranno intensi in età moderna – come Cozzi e la sua scuola ci
hanno indicato in tanti puntuali studi –, ma la sua particolarità resisterà in
questo autunno del Medioevo. Niente università, niente giuristi né giudici e
avvocati professionali nel capoluogo.
Era un’evidente alternativa all’Italia comunale non solo per il suo governo
nobiliare equilibrato, ‘misto’, ma anche in campo giuridico. Quel suo diritto
applicato da giudici locali che si alternavano nel ruolo di legislatori e che si
ispiravano a criteri di equità, e quindi lato sensu politici, erano in netto
contrasto con l’esasperato culto della legge che l’Italia comunale coltivava
pur con tutte le sue contraddizioni - che erano molte. È quella l’Italia
medieval-rinascimentale storicamente dei giuristi che tanto influsso ha
esercitato in Europa - anche se nei secoli successivi, in modo quasi empirico,
pur senza tanti apparati universitari, il Mezzogiorno recupererà i ritardi
rapidamente e spesso brillantemente.
Ma fortunatamente, visti gli imbarazzanti esiti attuali (e, sia chiaro, non solo
di questi ultimi anni), non è del peso della cultura giuridica nella storia italiana
di lungo periodo che si doveva scrivere.
AGGIORNAMENTO al 2009 per Keip (dove è nota 87)
Il lavoro, risalente al 2002, può essere qui aggiornato solo con pochissimi tra i
tanti rinvii possibili. Come: J. Krynen, Les légistes ‘idiots politiques’. Sur l’hostilité
des théologiens à l’égard des juristes, en France, au temps de Charles V, in Théologie et
droit dans la science politique de l’Etat moderne, Rome 1991, pp. 171-198 ; P. Gilli,
Les consilia politiques de la fin du Moyen Age en Italie: sources et problèmes, relazione
del 2000 in biblioteca/scaffale di RM e il mio Some dark aspects of ius commune,
in How Nordic are the Nordic Medieval Laws?, ed. by D. Tamm & H. Vogt,
Copenhagen 2005, pp. 62-74; ma soprattutto da vedere E. Brambilla,
Genealogie del sapere, Milano 2005, per la ricca trattazione e la bibliografia (ove
si raccomandano i volumi di P. F. Grendler sulla storia universitaria, di L.
Tedoldi su avvocati, procuratori e giudici a Brescia e Verona, e quello a cura
di M. Meriggi e A. Pastore sulle regole dei mestieri e professioni).
Aggiornamento Aprile 2017
Almeno Tiziana Faitini, Il lavoro come professione, di fine 2016 per la collana
‘Monete di Dio’, Aracne, Roma; credo che sia utile anche il volume
L’Università in tempo di crisi. Revisioni e novità dei saperi e delle istituzioni nel Trecento,
da Bologna all’Europa, a cura di B. Pio, R. Parmeggiani, Bologna, Clueb,
2016.
Qualche
avvertenza
nel
mio
appunto
in
https://www.academia.edu/10398165/Al_libro_di_P._Gilli_La_Noblesse_d
u_Droit