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Valori paesaggistici e sviluppo locale

Urbanistica DOSSIER VISIONI DI TERRITORIO: DALLE UTOPIE AGLI SCENARI 89 Rivista mensile monografica Anno IX Supplemento al n.208 di Urbanistica Informazioni ISSN 11288019 € 9,50 INU Edizioni a cura di Francesco Domenio Moccia Urbanistica DOSSIER In questo senso, le politiche per il paesaggio non contemplano implicitamente obiettivi di sviluppo locale, ma costituiscono la “premessa necessaria” alle politiche di sviluppo, strutturate intorno ad un sistema di invarianti non negoziabili individuate preliminarmente, nel cui rispetto si dovrà muovere la pianificazione delle trasformazioni (D’Auria, 2004). Traspare una contraddizione di non facile risoluzione che tuttavia proviene da una legittima interpretazione dell’art. 9 della Costituzione, secondo il quale: «La Repubblica […] tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione», ribadita negli anni scorsi anche da una sentenza della Corte Costituzionale che riconosce «la primarietà del valore estetico-culturale che non può essere subordinato ad altri valori, ivi compresi quelli economici» (sent. C.C. n°151/186). E anche secondo la CEP, gli stati che hanno sottoscritto questo documento applicano al paesaggio l’impegno di «consacrarlo giuridicamente come bene comune, fondamento dell’identità culturale e locale delle popolazioni, componente essenziale della qualità della vita e espressione della ricchezza e della diversità del patrimonio culturale, ecologico sociale ed economico». Alla luce di questi principi, il paesaggio, in quanto bene pubblico per eccellenza, “bene collettivo della civiltà” (Braudel, 1966) con tutte le sue implicazioni di unicità, rarità, irriproducibilità, dovrebbe essere gestito (come tuttora è) in maniera autoritaria dagli Enti Statali, proprio al fine di garantirne la conservazione al di sopra degli altri valori in gioco. A ciò si aggiunga che al paesaggio possono essere attribuite le caratteristiche tipiche di un bene culturale complesso, inteso come merit good, bene relazionale, multi-dimensionale e multi-valoriale spesso dalla valenza globale (si pensi ai “paesaggi culturali” riconosciuti dall’UNESCO patrimonio mondiale dell’umanità). Tuttavia, omettendo di connettere paesaggio, territorio ed economia, si evita di coinvolgere le popolazioni locali nella definizione degli obiettivi di qualità paesaggistica (come peraltro richiesto dalla CEP). Gambino (1997) suggerisce che per ridare senso al paesaggio bisogna “ripartire dai processi di territorializzazione”, per arginare la frammentazione dei valori e la radicale irreversibile atomizzazione dell’esperienza paesistica. Questo non può tuttavia significare che è possibile agire solo sul territorio, cercando di elaborare azioni significative, sperando così di Lasciare libero il paesaggio! (Anche di notte) Valori paesaggistici e sviluppo locale Alessio D’Auria* Paesisticizzare il territorio “Tutto il territorio è paesaggio”. Sembra essere questa la cifra connotante della Convenzione Europea del Paesaggio (CEP), per la quale il paesaggio è «una porzione determinata di territorio quale è percepita dall’uomo, il cui aspetto risulta dall’azione di fattori umani e naturali e dalle loro interrelazioni». Anche il Codice Urbani (CU) intende per paesaggio «una parte omogenea di territorio i cui caratteri derivano dalla natura, dalla storia umana o dalle reciproche interrelazioni». Lo “sconfinamento” del concetto di paesaggio fuori dal contenitore logico e fisico del semplice “bene mobile o immobile”, sino ad investire tutto il territorio, compresi i suoi aspetti funzionali e produttivi, è talmente significativo da essere uno dei pochi aspetti sul quale pare esservi convergenza tra CEP e CU. Se entrambi i documenti (comunque confrontabili solo dal punto di vista culturale e non normativo) considerano l’intero territorio come sistema di paesaggi – da identificare, valutare, tutelare, pianificare, gestire – allora tutte le politiche territoriali non possono che armonizzarsi con le politiche per il paesaggio. Questa considerazione, tuttavia, apre scenari apparentemente non complementari: una prima derivazione di questo assunto è che le politiche per il paesaggio non possano non tenere conto delle dinamiche e delle specificità territoriali; una seconda derivazione, invece, sostiene che le politiche per il paesaggio debbano indirizzare le dinamiche socio-economiche di un territorio. Nel primo caso il paesaggio è il risultato delle dinamiche territoriali, che ci si propone di governare con i piani (la cosiddetta territorialità del paesaggio); nel secondo caso è il paesaggio a dare senso compiuto al governo delle dinamiche territoriali (la paesaggisticità del territorio) (Corti, 2005). Paesisticizzare il Territorio, dunque, vuol dire sostenere il valore primo del paesaggio rispetto alle dinamiche territoriali che pure incidono sulla sua tutela e/o trasformazione. 299 Urbanistica DOSSIER “produrre” paesaggio: in tal caso la territorializzazione delle politiche paesaggistiche apparirebbe come una battaglia di retroguardia, probabilmente riduttiva e semplicistica. Appare non sufficiente, insomma, elaborare un progetto di territorio da cui determinare le azioni di tutela del paesaggio, ma nemmeno individuare un progetto di paesaggio da cui trarre implicazioni territoriali: la prima azione è riduttiva, la seconda incompleta. È necessario quindi porre le condizioni affinché si affermi una visione più matura delle politiche per il paesaggio attraverso un rinnovato atteggiamento di governo, “sperimentale e selettivo”, in grado di interpretare in maniera tempestiva i luoghi di mutamento del paesaggio e di accompagnarne la trasformazione attraverso una combinazione preventiva delle strategie dei diversi attori ed interessi in gioco, un atteggiamento insomma che si affidi alla «produzione condivisa di carte di paesaggio e agende strategiche riferite ai luoghi del mutamento», effettuando una combinazione flessibile e virtuosa tra governo e partecipazione (Clementi, 2005). 2005) costituito dalla sostanza sensibile del paesaggio non può certamente tradursi in un insieme dato di significati, ma si iscrive in un processo perennemente aperto (Dematteis, 1998). La dinamica delle cose (l’ecosfera e la antroposfera) è inseparabile dalla dinamica dei significati (la semiosfera) e quindi dagli stessi processi sociali in cui essa si produce. E allora il paesaggio non può ridursi a quello “cognitivamente perfetto” che le scienze della terra tendono a proporci (Socco, 1998). Ridotto a realtà oggettivabile e neutralmente quantificabile, il paesaggio perderebbe il suo significato primario di “processo interattivo, osservazione incrociata tra idee e materialità” (Bertrand, 1998). L’interpretazione semiologica del paesaggio risulta certamente scomoda da tradurre nei dispositivi di pianificazione, ma sarebbe senz’altro sbagliato ridurre la questione “paesaggio” alla dimensione oggettivamente descrivibile (e regolamentabile), considerando solo la dimensione ambientale ed economicosociale (Cagnardi, 1991). Per attivare politiche realmente sostenibili per il paesaggio, è necessario tenere conto di due fattori fondamentali: 1. Del gruppo sociale che produce o che ha prodotto quel paesaggio e del fatto che il medesimo gruppo sociale risulta anche essere l’unico possibile candidato alla sua “manutenzione evolutiva” (Castelnovi, 2002). In tal modo lo stesso gruppo sociale se ne sente “proprietario culturale”, poiché proietta nel paesaggio il proprio senso di identità, o meglio perché lo deriva da esso. Il paesaggio si trova così a svolgere nel tempo una funzione importante per il senso di identità permanente delle popolazioni, cioè non solo del passato ma anche proiettato nella sua configurazione “attualizzata”. 2. Dell’evoluzione del gusto e del senso dei luoghi dato dalla memoria degli abitanti e dei fruitori, quelle che Castelnovi definisce le “modalità dello sguardo”. In questa prospettiva qualsiasi tutela del paesaggio non può evitare di confrontarsi con le esigenze e le opzioni operative e culturali dei suoi produttori, dei suoi abitanti, dei suoi fruitori. Nella visione di paesaggio presente nella CEP, si riconosce che il paesaggio ha sempre una dimensione “culturale” (va notato che il documento non parla mai di “paesaggio culturale”), giacché è legato alle modalità dell’esperienza paesisitica, ai legami inscindibili tra esosfera e semiosfera: ogni paesaggio, insomma, è paesaggio culturale. Ciò mette in evidenza la intrinseca necessità dell’intervento La costruzione di valori condivisi Il paesaggio ha a che vedere con le caratteristiche sociali, produttive, architettoniche, con le modalità di insediamento e di utilizzo delle risorse ambientali; ma contiene una dimensione di tipo “antropologico”, ovvero non è solo un concetto di tipo oggettivo, misurabile attraverso parametri e indicatori, ma ha a che fare anche con la rappresentazione che del territorio danno coloro che lo vivono, con il tipo di immaginario e di aspettative che questo suscita, con le complesse dinamiche di identità, di appartenenza. Eugenio Turri (2003) con la sua efficace immagine del “paesaggio come teatro” ci ricorda che il paesaggio è lo spazio all’interno del quale individui e società recitano le loro storie, si comportano come attori che trasformano l’ambiente di vita e soprattutto come spettatori che colgono, attraverso di esso, il senso del loro operare. Non possiamo, insomma, considerare il paesaggio intessuto solo sulle due grandi trame della geografia “naturale e perenne” (l’aspetto fisiconaturale del paesaggio, cioè l’ecosfera) e della storia in cammino continuo (l’aspetto storicoculturale del paesaggio, cioè la antroposfera), ma è necessario andare oltre considerando una dimensione estetico-semiotica del paesaggio. Se infatti si riconosce un duplice fondamento dell’esperienza paesisitica, occorre anche riconoscere che il “palinsesto di segni” (Forte, 300 Urbanistica DOSSIER dell’uomo nella produzione del paesaggio (quanto meno del suo sguardo!): “il paesaggio non esiste in natura” direbbe Croce, giacché esso non è dato, ma è un costrutto sociale, ed esiste nel momento in cui viene pensato (Gambino, 2004). In tal senso lo scienziato indaga solo apparentemente la realtà, mentre si misura davvero sulle interpretazioni del fenomeno, alla ricerca di valutazioni intersoggettive, che esprimano una sorta di codice di valori permanenti e condivisi. Appare indispensabile, a tal fine, codificare preliminarmente una moderna “stele di Rosetta” di sistemi segnici elementari, attraverso l’utilizzo dei paradigmi semiotici, mantenendo gli elementi di incertezza e complessità della plurivalenza dei rapporti tra soggetti ed oggetto, facendo anzi di essi un punto di forza. Sebbene manchino strumenti consolidati di indagine per la valutazione del paesaggio mediante esercizi di riconoscimento di codici palesi o latenti iscritti nella materialità dei luoghi e della loro influenza sui modelli di comportamento e sul senso di identità, è possibile fare riferimento ad alcune esperienze avviate sul Paesaggio Alpino (Rabino e Scarlatti, 2004) e sul Delta del Po (Gissi et al, 2005). In queste esperienze sono state utilizzate metodologie quali le statistiche testuali, il conceptual mapping ed il criterio delle probabilità condizionate delle reti bayesiane, al fine di superare la critica positivistica della apparente non-scientificità delle valutazioni intersoggettive. Grazie a queste metodologie di valutazione è possibile sperimentare nuovi procedimenti di costruzione del valore, volti all’oggettivizzazione della percezione sociale, attraverso un processo di feed-back basato sulle “interferenze” tra il sapere comune ed il sapere esperto (Nijkamp et al., 1990). Questo approccio rinnovato al paesaggio, che tuttavia non sarà approfondito in questa sede, come forma sensibile condivisa, si insinua perfettamente nelle pieghe di indeterminatezza offerta dal CU, quando con estrema vaghezza recita (art.131): «La tutela e la valorizzazione del paesaggio salvaguardano i valori che esso esprime quali manifestazioni identitarie percepibili» omettendo di specificare “da chi”. Clementi (2005) suggerisce appunto di sfruttare questo margine di vaghezza per sciogliere la apparente antinomia tra governo istituzionale e partecipazione delle popolazioni nelle politiche del paesaggio a favore di una visione più articolata. Paesaggio e sviluppo locale Nella prospettiva sin qui delineata emerge che il concetto di paesaggio, con le sue componenti oggettive (quella geografico-spaziale e quella storico-antropica) ma soprattutto con quelle soggettive (ovvero la componente estetica), non costituisce solo un elemento passivo, una derivazione automatica della struttura economica e sociale, ma al contrario costituisce una risorsa strategica di fondamentale importanza, un ingrediente primario del processo di sviluppo, proprio in virtù di questa sua proprietà transcalare e multidimensionale. Paradossalmente, il paesaggio è al tempo stesso un concetto evolutivo e statutario. È evolutivo dal momento che non è un dato immutabile ma “un processo creativo permanente”, non più confrontabile con un suo stato naturale originario. È statutario poiché indirizza nella definizione delle invarianti strutturali, delle modalità di trattamento dei valori territoriali, delle regole di trasformazione. In tal senso, il paesaggio si configura come vero e proprio atto “costituzionale”, per lo sviluppo locale. Questo paradosso è alla base di una visione “patrimoniale” del paesaggio, inteso come un patrimonio attivo di risorse identitarie, che per essere conservate e valorizzate richiedono la comprensione dei processi di accumulazione selettiva dispiegati nel tempo, attraverso la costante interazione tra quadri ambientali, dinamiche insediative, pratiche di vita e di lavoro delle società locali e valori culturali e simbolici dell’epoca (Clementi, 2002). Il PTCP della provincia di Siena, ad esempio, fa emergere con estrema chiarezza la centralità del paesaggio, proponendone una lettura come fattore di produzione. Secondo le analisi del piano, le attività collocate a Siena hanno un valore aggiunto derivante dal fatto di essere svolte in una zona in cui il paesaggio ha un posto di rilievo nell’immaginario degli acquirenti: in altre parole, i prodotti marchiati “terre di Siena” vendono di più e meglio rispetto ad altri prodotti qualitativamente analoghi, ma sprovvisti di questo marchio di qualità implicita. E questo marchio di qualità non è certificato. È fornito dall’immaginario collettivo che identifica -in buona parte a ragione- la provincia senese come terra del buon vivere, del ben essere e del ben produrre. In termini metaforici, il paesaggio è l’elemento con cui la provincia di Siena ha accesso alle reti globali, e quindi l’Amministrazione provinciale, governando il paesaggio (attraverso il PTCP) 301 Urbanistica DOSSIER governa i rapporti di Siena col globale. In una qualunque provincia cinese, per proseguire la nostra metafora, dove per ipotesi l’accesso al globale è dato dalla produzione di capi di abbigliamento, la amministrazione provinciale non gestisce questa produzione e quindi non ha capacità di governare i rapporti col globale. Il portato di questa presa di coscienza all’interno di un dispositivo di governo del territorio, segnala l’esigenza di un necessario avvicinamento tra le tesi che postulano il paesaggio come un prius, un valore fisso del territorio, e le tesi volte invece a coglierne lo spessore problematico come elemento capace di determinare nuovo valore aggiunto al territorio stesso. Si può affermare che al paesaggio senese sia possibile attribuire una particolare categoria di valore intrinseco, il cosiddetto cognitive value (Bergstrom e Reiling, 1997), dovuto alla consapevolezza dell’esistenza di quel determinato bene (il bene “paesaggio sensese”, appunto). Secondo un processo largamente spontaneo e non intenzionale, questo particolare bene si è trasformato da experience good (ovvero “bene esperienza”, la cui qualità è accertabile solo dopo l’atto di scambio mercantile) in credence good (ovvero “bene fiducia”, la cui qualità non può essere accertata neanche dopo l’acquisto) (Nelson, 1970). Dal punto di vista economico, il marchio di qualità implicitamente attribuito al credence good “paesaggio senese” rappresenta un segno distintivo che serve a ridurre l’asimmetria informativa che caratterizza molto spesso le parti nell’atto di scambio. Grazie a questo segno distintivo, strettamente legato all’immaginario per la sua capacità di evocare qualità intrinseca, il paesaggio senese “produce economia”, nel senso che influenza direttamente prezzi, rendite e livelli di redditività degli investimenti: a partire da un valore intrinseco, insomma, si generano valori d’uso e valori di mercato (Fusco Girard, 2005). Il PTCP, governando gli usi del suolo, incide sui valori d’uso, i quali, a loro volta, genereranno nuovi valori intrinseci fondati sulla hidden quality (nel senso che non è – più – necessario verificarla) dei prodotti del paesaggio agrario senese. Questo complesso rapporto fra i valori del paesaggio va inserito in un sistema reciproco ed interattivo, nel senso che le azioni rivolte alle componenti oggettive – gli usi del suolo, appunto, e quindi la geografia e la storia del paesaggio – modificheranno l’intelligibilità e la percezione delle stesse, ma, allo stesso tempo, cambiamenti nell’immaginario simbolico collettivo (magari dettate da mutamenti nelle preferenze sociali a livello globale) potranno potenzialmente incidere sulla qualità del territorio. Proprio da questo corto circuito valoriale scaturisce l’esigenza di un avvicinamento tra saperi esperti e sapere comune nelle politiche e nelle determinazioni che riguardano il paesaggio, cui si faceva cenno precedentemente (Palazzo, 2003). Si potrebbe obiettare che quello senese non è un modello esportabile dappertutto, giacché ci troviamo in un contesto storicamente dotato di una spiccata cultura del governo del territorio per l’interesse comune. Ciò vuol dire che la qualità dei paesaggi diventa azione produttiva consapevole e condivisa solo quando vi è un capitale umano adeguato (ed in quel caso le stesse economie fanno marketing con i paesaggi che creano!). Risulta essenziale, dunque, comprendere l’importanza del paesaggio non solo come fattore di identità territoriale, ma anche come risorsa economica per uno sviluppo di qualità che non deve temere la delocalizzazione delle imprese o la contraffazione dei marchi (Clementi, 2005). In termini economici questa progettualità significa conservazione del paesaggio attraverso la formazione di paesaggio, nel senso che possiamo conservare un paesaggio solo se lo ri-produciamo attraverso il processo economico. Queste considerazioni, infine, rinviano inequivocabilmente al significato progettuale che la CEP attribuisce al paesaggio ed alla sua funzione come risorsa strategica per incentivare le economie locali, in quanto capace di legare la coscienza storica ed i valori estetico-culturali (le “ragioni del paesaggio”) alle attese e ai progetti di cambiamento dello spazio sociale locale (le “ragioni dei territori”): di tradurre cioè, mediante politiche di sistema, la valorizzazione del paesaggio in autentico e durevole valore aggiunto territoriale (Gambino, 2005). * Centro Interdipartimentale di Ricerca in Urbanistica “A. Calza Bini”, Università “Federico II” di Napoli [email protected] Bibliografia Balletti F., Soppa S. 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