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Territorio e Patrimonio_Conoscere per Valorizzare

Il Comune di Muros ha avviato nel febbraio 2006 un progetto pilota di censimento, valorizzazione e promozione dei beni culturali e ambientali compresi nel suo territorio. Le attività di carattere multidisciplinare condotte in quindici mesi di lavoro hanno riguardato:

Programma:Layout 1 16-05-2007 12:07 Pagina 1 Il progetto CONVEGNO Comune di Muros Il Comune di Muros ha avviato nel febbraio 2006 un progetto pilota di censimento, valorizzazione e promozione dei beni culturali e ambientali compresi nel suo territorio. Le attività di carattere multidisciplinare condotte in quindici mesi di lavoro hanno riguardato: il censimento dei beni ambientali, archeologici e architettonici, nonché dei beni materiali e immateriali con particolare riguardo alla produzione enogastronomica e alle tradizioni popolari; la rilevazione del patrimonio e la creazione di un catalogo informatizzato secondo gli standard ICCD, implementati da sezioni di monitoraggio della vulnerabilità del bene (Carta Rischio) e integrati da schede sperimentali elaborate nell’ambito della ricerca universitaria; la georeferenziazione dei beni e l’elaborazione di carte tematiche in ambiente GIS per la creazione di itinerari di trekking archeologico e ambientale mediante tecnologie di navigazione satellitare GPS; la realizzazione di pannelli didattici per la valorizzazione dei siti con l’originale sistema del “libro percorso”; un corso di formazione di 300 ore destinato a quindici giovani di provenienza locale e finalizzato all’avviamento di progetti imprenditoriali di conservazione, gestione e promozione del patrimonio studiato; la redazione di una guida e di una mostra itinerante per la promozione del patrimonio anche al di fuori del territorio comunale. Il progetto, realizzato da GGallery editrice, è stato portato avanti con la consulenza e la supervisione dell’Università di Cagliari, della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici e delle Soprintendenze di Sassari e Nuoro. I risultati del lavoro sono stati raccolti in un volume che riporta anche esperienze significative maturate al di fuori del territorio in esame, ma esemplari e di buon auspicio per la valorizzazione del patrimonio materiale e immateriale del Comune di Muros. COORDINAMENTO: D.R. FIORINO / REALIZZAZIONE: GGallery srl - www.ggallery.it Con il patrocinio di Assessorato Pubblica Istruzione, Beni Culturali, Informazione, Spettacolo e Sport Provincia di Sassari Territorio e Patrimonio Conoscere per valorizzare Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Sardegna Soprintendenza per i Beni Archeologici per le Province di Sassari e Nuoro Soprintendenza Beni Architettonici, Paesaggio e Patrimonio Storico e Demoetnoantropologico per le Province di Sassari e Nuoro Università degli Studi di Cagliari Facoltà di Architettura SEGRETERIA ORGANIZZATIVA Federico Tolu - c/o Comune di Muros Via Brigata Sassari 66 - 07030 Muros (SS) Cell. 328/6443231 - Uff. 079/344.00.44 - Fax. 079/344.00.39 mail: [email protected] ggallery editrice Centro Culturale “Renato Loria“ ore 9.30 Muros 4 giugno 2007 Programma:Layout 1 16-05-2007 12:07 Pagina 2 Programma 9.30 Registrazione dei partecipanti 10.00 Saluto delle autorità Rita Desole Sindaco del Comune di Muros Carlo Mannoni Assessore Regionale Pubblica Istruzione, Beni Culturali, Informazione, Spettacolo e Sport Alessandra Giudici Presidente della Provincia di Sassari Giovanni Azzena Soprintendente per i Beni Archeologici CA OR e SS NU Ercole Contu Università di Sassari Antonio Calzone Presidente Comunità Montana Alto Tammaro Introduzione alle sessioni di lavoro Il progetto Muros: finalità, risultati, prospettive Donatella Rita Fiorino - Curatrice progetto Muros 10.45 Sezione: il paesaggio e la storia Coordina: Paolo Scarpellini Direttore Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Sardegna L’ambiente naturale e il paesaggio Bruno Paliaga - AMP Sinis-Mal di Ventre Il patrimonio archeologico di Muros: prospettive e problematiche Nadia Canu - Università di Sassari Il miliario di Scala di Giocca: alcune riflessioni sulla politica di Nerone in Sardegna Antonio Ibba - Università di Sassari 12.00 La conoscenza e la documentazione del territorio Coordina: Antonello Sanna Direttore Dipartimento di Architettura Università di Cagliari Il sistema informativo per la catalogazione e il monitoraggio del patrimonio Donatella Rita Fiorino - Università di Cagliari Geomatica per il rilievo e la rappresentazione del patrimonio culturale Giuseppina Vacca - Università di Cagliari Il GIS per la promozione e fruizione dei Beni Culturali e ambientali Pier Marcello Torchia - Geo’s Team Oristano Prospettive per un sistema catalografico unico della Sardegna Anna Maria Musu - Servizio Beni Culturali Regione Autonoma Sardegna 13.00 Le fonti e il patrimonio immateriale Coordina: Francesco Guido Direttore Archeologo Coordinatore Soprintendenza per i Beni Archeologici SS NU Le fonti documentarie relative a Muros nell’Archivio di Stato di Sassari Alessandro Soddu - Università di Sassari La presenza nobiliare attraverso l’evoluzione degli stemmi di Casa Martinez Federico Tolu - Comune di Muros Memorie di Casa Martinez Franco Martinez di Montemuros - Discendente Casa Martinez Il centro storico: analisi edilizia e proposte di intervento Caterina Giannattasio - Università di Cagliari Il costruito monumentale Donatella Rita Fiorino - Università di Cagliari Indagini archeologiche nella chiesa parrocchiale di San Gavino Daniela Rovina - Soprintendenza per i Beni Archeologici SS NU San Basilio (CA): un progetto di “riconoscimento” Maria Antonietta Mongiu 16.30 Opportunità e “buone pratiche” per la gestione del progetto culturale Coordina: Tatiana K. Kirova Professore Ordinario di Restauro - Politecnico di Torino La Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Lombardia e i progetti per la valorizzazione del patrimonio Carla Di Francesco - Direttore Regionale per i Beni Culturali Lombardia Il progetto “Conoscenza tutela e valorizzazione di aree e parchi archeologici in Lombardia” Marco Minoja - Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Lombardia Monica Abbiati - Regione Lombardia Raffaella Poggiani Keller - Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia Il territorio di Muros e l’Alto Tammaro: due modi di valorizzazione ambientale a confronto Anna Maria Zeoli - Comunità Montana Alto Tammaro 13.30 Inaugurazione Mostra Itinerante Il Museo di Archeologia Ligure di Genova: esperienze di ricerca scientifica fra collezioni e territorio Guido Rossi - Museo di Archeologia Ligure Genova Buffet 18.00 Tavola rotonda e chiusura dei lavori Il culto di Cerere a Sa Turricula Giampiero Pianu - Università di Sassari Sarà proposta una selezione di prodotti tipici del territorio scelta da Antonella Usai (Direttore Museo del Vino Enoteca Regionale della Sardegna - Berchidda) Le monete di Sa Turricula Francesco Guido - Soprintendenza per i Beni Archeologici SS NU 15.30 Il costruito storico La riscoperta dei materiali dal santuario di Sa Turricula Nadia Canu - Università di Sassari Coordina: Stefano Gizzi Soprintendente per i Beni Architettonici CA OR e SS NU Brevi cenni sul villaggio medioevale di Irbosa Alessandro Soddu - Università di Sassari Tipologie tradizionali dell’ambiente urbano Michele Pintus - Università di Cagliari PROGETTO REALIZZATO CON IL FINANZIAMENTO DELLA REGIONE AUTONOMA SARDEGNA, ASSESSORATO EE.LL. FINANZE E URBANISTICA, L.R. 37/98 Stesura del documento di sintesi a cura dei relatori Al termine dei lavori saranno consegnati gli attestati di partecipazione al corso di orientamento/formazione tenutosi nell’ambito del progetto Visita del percorso urbano Seguirà spettacolo folcloristico di balli e canti tradizionali religiosi e popolari W 4 gtugno 2007 ffi rlS 1g \sK#' Muros Centro Culturale "Renato Lorid' Territori oe Potrimonio ffi$fffi L.i}ruffi'%ff1*1 K V,&9"ffiKlLKK,&KX1 ATTIDELCONVEGNO o curo di DonotelloRitoFigrino lllallerv lw editrice" Territorio e Patrimonio CONOSCERE PER VALORIZZARE Muros Centro Culturale “Renato Loria” 4 giugno 2007 ATTI DEL CONVEGNO a cura di Donatella rirta Fiorina ATTI DEL CONVEGNO (a cura di Donatella Rita Fiorino) TERRITORIO E PATRIMONIO - CONOSCERE PER VALORIZZARE 4 giugno 2007 - Muros (SS) - Centro Culturale “Renato Loria” Con il patrocinio di REGIONE AUTONOMA DELLA SARDEGNA Assessorato Pubblica Istruzione, Beni Culturali, Informazione, Spettacolo e Sport PROVINCIA DI SASSARI MINISTERO PER I BENI E E LE ATTIVITÀ CULTURALI Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Sardegna Soprintendenza per i Beni Archeologici per le Province di Sassari e Nuoro Soprintendenza Beni Architettonici, Paesaggio e Patrimonio Storico e Demoetnoantropologico per le Province di Sassari e Nuoro Università degli Studi di Cagliari - Facoltà di Architettura @ 2007 GGallery srl Piazza Manin 2 b rosso - 16122 Genova Tel. 010.888871 - Fax 010.8598499 www.ggallery.it - e-mail: [email protected] Il volume è stato realizzato nell’ambito del progetto di Censimento, Valorizzazione e Promozione dei Beni Culturali e Ambientali del Territorio Comunale di Muros (Ss) INDICE A MUROS Donatella Rita Fiorino I DATI DEL PROGETTO IL PAESAGGIO TAGLIATO Paolo Scarpellini IL PAESAGGIO DI MUROS Bruno Paliaga LA 13 PORTA D’ACCESSO AL IL TERRITORIO DI GOLFO MUROS DELL’ASINARA: TRA ARCHEOLOGIA DEL PAESAGGIO E PIANIFICAZIONE INTEGRATA Nadia Canu IL 17 MILIARIO DI NERONE A SCALA DI GIOCCA Antonio Ibba IL CULTO DI 23 CERERE A SA TURRICULA Giampiero Pianu LE MONETE DI 27 SA TURRICULA Francesco Guido 29 CENNI SU ALCUNI MATERIALI VOTIVI PUNICI E ROMANI DA SA TURRICULA Nadia Canu TIPOLOGIE 33 TRADIZIONALI DELL’AMBIENTE URBANO Michele Pintus IL 35 CENTRO STORICO: ANALISI EDILIZIA E PROPOSTE D’INTERVENTO Caterina Giannattasio IL 43 COSTRUITO MONUMENTALE Donatella Rita Fiorino SEPOLTURE 53 DI EPOCA BASSO MEDIEVALE PRESSO LA CHIESA DEI SANTI PROTO, GAVINO Daniela Rovina LE E GIANUARIO 63 FONTI E IL PATRIMONIO IMMATERIALE Francesco Guido BREVI CENNI SUL VILLAGGIO MEDIEVALE DI IRBOSA Alessandro Soddu 67 (MUROS-SS) 69 LA PRESENZA NOBILIARE A MUROS ATTRAVERSO L’EVOLUZIONE DEGLI STEMMI DI CASA MARTINEZ Federico Tolu ASPETTI 71 DI CULTURA E TRADIZIONI LOCALI A MUROS Teresa Delrio DALLA 75 CATALOGAZIONE AL SISTEMA INFORMATIVO PER LA TUTELA E IL MONITORAGGIO DEL PATRIMONIO CULTURALE DELLA SARDEGNA: UN PROGETTO PILOTA Donatella Rita Fiorino STANDARD 81 CATALOGRAFICI E GESTIONE DEL DATO Alessandro Pani IL 89 RILEVAMENTO E LA RESTITUZIONE DEI BENI ARCHITETTONICI Annetta Cabras IL 91 RILEVAMENTO E LA RESTITUZIONE DEI BENI ARCHEOLOGICI Carla Giuffrida Trampetta LA 93 GEOMATICA PER IL RILIEVO E LA RAPPRESENTAZIONE DEL PATRIMONIO CULTURALE Giuseppina Vacca CENSIMENTO, 95 VALORIZZAZIONE E PROMOZIONE DEI BENI CULTURALI E AMBIENTALI Pier Marcello Torchia LE 103 PROSPETTIVE DI TUTELA E VALORIZZAZIONE DEI CENTRI MINORI ALLA LUCE DELLE NUOVE DIRETTIVE REGIONALI Marina Vincis ATTIVITÀ 107 DI ANIMAZIONE E FORMAZIONE PER LO SVILUPPO DI IPOTESI DI VALORIZZAZIONE DEL TERRITORIO Bruno Paliaga ASPETTI 113 DI FATTIBILITÀ DEI PROGETTI DI SVILUPPO IMPRENDITORIALE: DAL PROGETTO DI VALORIZZAZIONE ALLO START-UP AZIENDALE Emanuela Fiorino 117 ARCHEOLOGIA PER IL TERRITORIO: IL PROGETTO “CONOSCENZA, TUTELA E VALORIZZAZIONE DI AREE E PARCHI ARCHEOLOGICI IN Monica Abbiati Marco Minoja Raffaella Poggiani Keller IL MUSEO DI ARCHEOLOGIA LIGURE DI LOMBARDIA” 123 GENOVA: ESPERIENZE DI RICERCA SCIENTIFICA FRA COLLEZIONI E TERRITORIO Guido Rossi “IL TERRITORIO DI 131 MUROS E L’ALTO TAMMARO: DUE MODI DI VALORIZZAZIONE AMBIENTALE A CONFRONTO” Angela Maria Zeoli 141 A MUROS Donatella Rita Fiorino Cosa c’è “A Muros”? È l’interrogativo che ci si è posti all’inizio di questo progetto di conoscenza delle risorse ambientali e culturali del territorio di Muros, finalizzato alla loro valorizzazione, ovvero alla divulgazione di una ricchezza che non appartiene solo alla comunità locale, ma che deve essere fruita da quanti, turisti distratti o studiosi appassionati, decidano di passare qualche ora in questo territorio. Ed è così che, guidati dalla curiosità che ha contraddistinto i viaggiatori del passato, ma con le tecnologie e le metodologie scientifiche che caratterizzano il nostro tempo, ci si è messi al lavoro per esplorare il territorio, coglierne le singolarità, riconoscerne le costanti regionali, vivere la comunità e le sue tradizioni e, nello stesso tempo, condividerne i problemi e le difficoltà, le cui motivazioni trovano le loro radici nella storia. Il villaggio di Muros risale all’epoca dei Giudicati e le sue vicende seguono le grandi tappe della storia della Sardegna e delle sue dominazioni. Gli aragonesi, signori nel corso del XIV secolo, lasciano il passo, a partire dalla metà del Seicento, ai marchesi Martinez di Montemuros, cui è legata la crescita urbanistica del piccolo centro e delle sue costruzioni monumentali, in particolare la chiesa parrocchiale dei Santi Gavino, Proto e Gianuario. L’abitato, sorto in posizione geografica strategica sulla gola naturale scavata dal rio Mascari, domina il suo territorio, che si estende oltre la cesura della S.S. 131, fin dove lo sguardo è chiuso dalle vette del monte Tudurighe e dalle aspre pendici di Scala di Giocca. La vera ricchezza del territorio è proprio il suo ambiente naturale, caratterizzato da terreni fertili, abbondanza d’acqua, varietà di vegetazione e molteplicità di specie animali; tutto ciò ha favorito lo stanziamento umano fin dall’età remota del neolitico antico, medio e recente. Il paesaggio, mosso e mutevole, offre la possibilità di interessanti passeggiate nelle campagne, dove natura incontaminata e ambiente antropizzato si incontrano in un inscindibile connubio culturale. Si tratta di percorsi tra paesaggio e archeologia; la storia di questo angolo di Sardegna emerge dalla domus de janas di Rocca Ruja, dalle tombe di giganti di monte Simeone, dai nuraghe di Sa Turricula e Santu Giorzi, dagli ipogei di Badde Ivos, dalle antiche strade romane di Santu Lionardu e Coa de Redulas. Le ripide pareti calcaree regalano, invece, emozionanti percorsi di trekking per chi desidera cimentarsi in impegnativi sentieri montani o esplorare gli anfratti rocciosi e le profonde gole geologiche della Grotta dell’inferno. Ma l’anello di congiunzione tra l’ambiente e l’uomo è, come spesso accade, l’acqua. Numerose sono le sorgenti disseminate sul territorio e, anche all’interno del paese, tale legame è fortemente segnato dalla presenza della fontana monumentale, realizzata nella seconda metà dell’Ottocento per l’approvvigionamento idrico della popolazione. Lo stesso acquedotto è caratterizzato da una attenzione formale, seppur sobria, che si manifesta nella cura degli elementi di dettaglio e delle decorazioni; la stessa cura che si riscontra anche nei graziosi palazzetti liberty, che fanno da cortina alle strette vie dell’abitato, alternandosi all’architettura tradizionale, legata al saper fare contadino e alle esigenze dell’agricoltura. L’acqua ha segnato anche le sorti dello sviluppo industriale del paese e della sua imponente cementeria, che aveva alimentato le speranze di un lavoro sicuro e scongiurato il peri- 5 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare colo dell’emigrazione. Oggi le tre ciminiere, che appartengono oramai all’archeologia industriale, svettano incombenti nello stretto collegamento verso Sassari. La discontinua disponibilità d’acqua, legata ai capricci di un clima troppo variabile per garantire la costanza della portata dei torrenti, ha però decretato la fine della produzione industriale, ridando speranza alla conservazione del paesaggio già profondamente inciso dalle grandi cave. Attualmente la produzione industriale è legata piuttosto alla lavorazione del legno e alla produzione dei formaggi. L’industria non ha però intaccato il saper fare artigianale, che a Muros ha conservato le sue tradizioni: infatti, in occasione delle principali feste religiose e popolari è possibile assaggiare i dolci e il pane, confezionati secondo le antiche ricette tramandate di madre in figlia; alcune associazioni culturali si occupano di conservare inalterati i riti e le usanze che accompagnano la devozione per i Santi patroni dei fedeli muresi e delle comunità limitrofe; l’antico costume tradizionale viene ancora indossato durante le celebrazioni, rallegrate da canti e balli folcloristici del valido coro e del balletto murese. Fede, preghiera e un po’ di magia affiorano dai tradizionali riti per la cura dei mali e per l’abbondanza dei raccolti. Di fronte ad un territorio così ricco di valori, ambientali, archeologici, architettonici, culturali, sconosciuti spesso alla stessa comunità locale, specie alle giovani generazioni, è nata 6 l’esigenza di definire un progetto di Censimento, valorizzazione e promozione dei beni culturali e ambientali del territorio comunale di Muros. Si tratta, certamente, di un programma ambizioso e multidisciplinare, nato dalla lungimiranza dell’Amministrazione Comunale, la quale nel 2005, ha destinato a tale iniziativa i fondi regionali provenienti dalla L.R. 37/98, annualità 2002. Il lavoro è partito dal “progetto di conoscenza”, ovvero dalla fase di ricognizione sul campo del territorio, della sua storia e delle sue risorse, al fine di individuare l’entità e le categorie dei beni da censire. Il primo problema era infatti quello di fissare gli obiettivi del censimento e, di conseguenza, di stabilire modelli di rilevamento adeguati agli obiettivi prefissati. In dettaglio, lo studio ha interessato i principali macroambiti disciplinari caratterizzanti il territorio antropizzato, ovvero: ambiente e paesaggio, con specifico riferimento ai siti naturalistici; archeologia e archeologia industriale; architettura ed edilizia tradizionale; beni materiali storico-artistici e demoetnoantropologici, con specifico riferimento all’artigianato artistico e alle tradizioni alimentari; patrimonio immateriale. Ciascun ambito è stato sviluppato da un consulente scientifico che, dopo la ricognizione sull’entità del patrimonio, ha proceduto alla compilazione dei modelli di scheda predisposti per ciascuna categoria, corredati da rilievi grafici e fotografici. Ampio spazio è stato lasciato alle professionalità del luogo, sulla base del principio secondo cui anche le risorse umane e le competenze locali debbano essere ‘valorizzate’, ai fini della definizione di un modello di gestione delle specializzazioni che possa rappresentare un processo formativo pilota nel contesto regionale, replicabile in altri settori e/o contesti geografici o culturali. Ai due livelli di censimento, preliminare e di catalogo, sono corrisposte due tipologie di scheda, una di individuazione e analisi della consistenza, l’altra sviluppata secondo i parametri ministeriali codificati dall’ICCD (Istituto Centrale di Catalogo e Documentazione) e dall’ICR (Istituto Centrale di Restauro), entrambi facenti capo al Ministero per i Beni Culturali. Lo studio è stato condotto con un costante dialogo con le istituzioni preposte alla tutela dei beni culturali. In particolare, per quanto concerne gli aspetti connessi alla conoscenza del patrimonio archeologico, è stata costantemente interpellata la competente Soprintendenza Archeologica per le province di Sassari e Nuoro. Ogni categoria di beni ha evidenziato diverse problematiche, dal riconoscimento stesso del patrimonio al reperimento della relativa documentazione. Dopo un’iniziale difficoltà a ritrovare segni tangibili della storia della comunità locale, abbandonata la scala delle ‘emergenze’, ci si è concentrati sulle testimonianze diffuse, con risultati tutt’altro che scontati. Muros, infatti, come molti piccoli centri della Sardegna, anche se spesso in maniera non evidente, conserva ancora importanti tracce della sua storia, che è necessario saper riconoscere per impedire che se ne perda inesorabilmente la memoria. Nello specifico, per quanto riguarda l’archeolo- A Muros gia, sono stati riconosciuti e documentati dodici siti, molti dei quali di indubbio interesse scientifico, ma di difficile accessibilità per la mancanza di strade di accesso, di segnalazioni, o perché interclusi in proprietà private. Si è così rilevata la necessità, non solo di incrementare gli studi sui siti, ma di definire progetti di fruizione legati a percorsi non tradizionali. È questo, ad esempio, il caso del trekking a piedi o a cavallo, per il quale sono oggi disponibili tecnologie di promozione sofisticate, ma assolutamente accessibili, come GPS e mappe virtuali in grado di accompagnare il visitatore interessato anche in posti di difficile penetrazione. Il rilievo è stato preceduto da una campagna di diserbo, effettuato con metodologie non invasive, secondo le prescrizioni della Soprintendenza Archeologica di Sassari, ovvero tenendo conto del fatto che la vegetazione costituisce un elemento caratterizzante del paesaggio archeologico, nonché facendo in modo da non compromettere la stabilità e la conservazione dell’integrità delle porzioni archeologiche interessate, specie laddove le strutture vegetali costituivano sostegno strutturale alla stabilità dei sistemi costruttivi, e dunque rimandando ad una fase di restauro archeologico, non contemplata in tale sede, le scelte per una pulitura definitiva. Alcuni siti, neanche leggibili prima dell’intervento, una volta bonificati, hanno evidenziato interessanti strutture, ponendo ancora una volta in evidenza la necessità di una costante manutenzione per la conservazione e la valorizzazione del patrimonio. Alla fase di pulitura è seguita quella di rilievo fotografico, topografico, geometrico, ed in taluni casi fotogrammetrico, al fine di ottenere una documentazione - confluita nella banca dati - capace di cogliere ed illustrare la conformazione morfologica del territorio e l’inserimento dei manufatti nell’ambiente, evidenziando, in particolare, il rapporto con il sistema insediativo, ovvero tutti quegli elementi caratterizzanti il cosiddetto ‘paesaggio culturale misto’. Le attività di rilevamento sono state eseguite da professionisti specializzati in collaborazione con il dipartimento di Disegno dell’Università di Cagliari della Facoltà di Ingegneria, al fine di garantire un edificante scambio culturale tra mondo accademico e imprenditoriale. Tutti i siti monumentali ed ambientali sono stati georeferenziati in modo puntuale o areale mediante rilevazione diretta con sistema GPS a correzione differenziale. Inoltre, per ogni sito rilevato, si è proceduto all’associazione della posizione geografica con le informazioni contenute nella suddetta banca dati. Così, oltre che attraverso il supporto cartaceo, la consultazione delle informazioni può essere eseguita tramite un visualizzatore per sistemi informatici GIS. Un discorso a parte merita l’analisi del costruito storico, con riferimento al quale pochi, ma di notevole rilievo da un punto di vista storico-testimoniale, sono gli esempi di architettura monumentale, quali la chiesa parrocchiale, il cimitero di Muros e Cargeghe e la fonte pubblica. Altra scoperta degna di nota è rappresentata dall’acquedotto, da intendersi come architettura ‘di collegamento’ tra l’insediamento abitativo e le risorse ambientali, segno del progresso avviato verso la metà del Novecento. Il tema dell’archeologia industriale conduce direttamente al rilevante ed autonomo dibattito sul futuro della cementeria, la riqualificazione delle cave. Oggi chi percorre la S.S. 131 nel territorio del Comune di Muros non può rimanere indifferente alle tre grosse ciminiere che interrompono lo skyline naturale del rilievo di Canechervu e impongono nuove riflessioni sulla riconversione dell’enorme patrimonio industriale produttivo ormai quasi interamente dismesso con nuove finalità produttive e turistico-ricettive. All’interno del centro storico - il cui nucleo d’impianto, sia attraverso la lettura della conformazione dei lotti, sia col supporto della cartografia storica, è evidentemente riconoscibile è emersa la permanenza di un costruito tradizionale contraddistinto da tipi edilizi, caratteri costruttivi e segni formali degni di nota, la cui puntuale lettura, coadiuvata dalla consultazione della documentazione archivistica, ha consentito di avanzare un’ipotesi cronologica riferita ad ogni singolo immobile. Tale parte dello studio è stata condotta con la consulenza della Facoltà di Architettura dell’Università di Cagliari. Complessa è stata, poi, l’analisi dei beni materiali, compreso l’artigianato e la gastronomia, fino ad arrivare al patrimonio immateriale delle tradizioni, le usanze, le feste, attraverso l’approfondimento di aspetti sociali e dell’eredità lasciata dal marchesato dei Martinez di Montemuros. 7 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare Tutti i dati raccolti, inclusi quelli di carattere ambientale, geologico, morfologico e flogistico, sono stati sistematizzati in un catalogo informatizzato, concepito in maniera tale da poter far confluire le informazioni nel catalogo ICCD e nel nascente SICPAC regionale sardo. Il catalogo è stato realizzato in ambiente Windows Access, trattandosi di un software ad elevata diffusione e di semplice utilizzo. Sulla base delle esperienze compiute in ambito scientifico, la banca dati è stata implementata con il modulo dell’analisi della vulnerabilità e dello stato di conservazione attinto dalla Carta del Rischio, messa a punto dal succitato ICR. La sezione, che comprende anche la percentuale di diffusione del danno, la gravità e il grado di urgenza dell’intervento, consentirà in futuro all’Amministrazione comunale di determinare, alla fine del rilevamento, un quadro degli interventi di restauro da porre in atto sui monumenti del proprio territorio, in vista di una loro conservazione e manutenzione programmata, e dunque per una gestione consapevole del proprio patrimonio. Anche in questo senso, il progetto si pone come processo formativo pilota nel contesto regionale, estensibile ad altre similari realtà della Sardegna, in modo da giungere ad una conoscenza in rete di territori sempre più ampi, in grado di facilitare la gestione e la messa in rete del patrimonio ambientale e culturale locale. Il progetto non poteva ovviamente trascurare aspetti di valorizzazione, come la segnalazione dei siti e gli strumenti di comunicazione tradi- 8 zionali che hanno portato all’elaborazione della guida del territorio e delle cartine di supporto alla conoscenza del patrimonio. A tal fine, si è provveduto alla realizzazione di un Libro percorso, consistente in pannelli, direzionali e didattici, disposti lungo le strade del paese e in prossimità dei siti di interesse ambientale e archeologico. Ciò nella convinzione che la scoperta di un episodio architettonico o di una bellezza naturalistica sia più facilmente visibile ed apprezzabile in presenza di un immediato e sintetico riscontro posto direttamente sul sito, in grado di fornire le essenziali coordinate culturali e storico-artistiche anche al turista occasionale. Si tratta, in altre parole, non solo di uno strumento per il recupero della memoria collettiva, ma anche di un segno di ospitalità, oltre che di un elemento di carattere permanente, che facilita l’accessibilità, con ricadute di immagine certamente positive sulla comunità e sulle amministrazioni locali. Secondo la stessa logica, si è provveduto alla realizzazione di un Libro guida, di supporto al percorso territoriale ed urbano proposto, di un E-book e di una Mostra itinerante, tutti strumenti illustranti le principali caratteristiche del luogo, riferite all’ambiente, alla geo-morfologia, alla flora, all’archeologia, all’architettura, al patrimonio edilizio tradizionale, alla cultura materiale e immateriale (feste, tradizioni, costumi, ecc.), alla gastronomia, ovvero tutti quegli elementi identitari del luogo in esame. Una tale iniziativa, così articolata, non poteva svilupparsi in maniera avulsa dal contesto locale. Di conseguenza, si è promosso il coinvolgimento diretto di giovani locali, attraverso l’attivazione di un corso di formazione, con percorsi formativi multidisciplinari, includente lezioni frontali, laboratoriali, esercitazioni, visite didattiche, tutoraggio personalizzato, ecc. La riuscita del lavoro si deve anche alla professionalità e competenza della società appaltatrice, GGallery, che, pur avendo sede fuori dal territorio regionale, ha avuto la felice intuizione di affidarsi a professionisti e studiosi del territorio, e che ha messo a disposizione la lunga e consolidata esperienza in editoria, formazione e comunicazione, maturata in numerosi e prestigiosi progetti nazionali. Insomma, mediante la realizzazione di un simile lavoro, l’auspicio è che il fermento e la riflessione sul patrimonio di Muros non si perda nell’eccezionalità di questo progetto, ma diventi la quotidianità della sua comunità preparata e interessata alla conservazione della sua memoria storica e alla riqualificazione del suo paesaggio variamente antropizzato. L’auspicio è, inoltre, che, sulla base di questa esperienza, anche altre realtà regionali comprendano l’importanza e l’utilità di una simile ricerca, e si adoperino per metterla in atto. Il gruppo di lavoro ha interessato complessivamente più di trenta persone tra gli addetti della società appaltatrice, i consulenti, le Soprintendenze e l’Università. A tutti coloro che hanno lavorato e hanno creduto in questo risultato, un sentito ringrazia- I DATI DEL PROGETTO CURA E COORDINAMENTO Donatella Rita Fiorino Responsabile di progetto presso la Soprintendenza per i Beni Archeologici per le Province di Sassari e Nuoro Dott. Francesco Guido, Direttore Archeologo Coordinatore Responsabile di progetto presso il Comune di Muros: Dott.ssa Anna Maria Deliperi, responsabile area socio culturale scolastica CONSULENZE SCIENTIFICHE Ambiente: Bruno Paliaga, biologo, Direttore dell’Area Marina Protetta Penisola del Sinis Isola di Mal di Ventre, esperto di gestione ambientale, VIA, VINCA, ecc., progettazione ambientale, formazione e comunicazione. Botanica: Ivo Piras, esperto botanico, rilevamenti fitosociologici e liste floristiche, fotografo naturalista. Geologia: Vincenzo Solinas, geologo, Essei Oristano. Archeologia: Nadia Canu, dottore in Conservazione dei BB.CC., dottore di ricerca in “Il Mediterraneo in età classica: storia e cultura”, borsista presso il Dipartimento di Storia dell’Università di Sassari. Rilievo e rappresentazione: COORDINAMENTO: Michele Pintus, ingegnere, professore associato di Disegno, Università di Cagliari, Facoltà di Architettura, docente di Disegno II C.I. e Storia dell’Architettura. Nell’ambito della consulenza hanno collaborato l’ing. Carla Giuffrida Trampetta per i rilievi archeologici; l’ing. Annetta Cabras per i rilievi architettonici. Topografia, cartografia e GIS: COORDINAMENTO: Giuseppina Vacca, ingegnere, ricercatore di Topografia e Cartografia presso il Dipartimento di Ingegneria Strutturale, Università degli Studi di Cagliari, Facoltà di Ingegneria, docente di Fotogrammetria. RILIEVI TOPOGRAFICI E GIS: Pier Marcello Torchia, Roberto Defendente Geo’s Team Oristano. Analisi del costruito storico e della morfologia dell’abitato: Caterina Giannattasio, architetto, ricercatore di Restauro presso il Dipartimento di Architettura, Università degli Studi di Cagliari, Facoltà di Architettura, docente di Restauro Architettonico. Nell’ambito della consulenza hanno collaborato le dott.sse Valentina Pintus e Martina Porcu. Architettura monumentale e archeologia industriale: Donatella Rita Fiorino, ingegnere, dottore di ricerca in Conservazione dei Beni Architettonici, ricercatrice a contratto presso l’Università di Cagliari, Facoltà di Architettura. Nell’ambito della consulenza ha collaborato l’ing. Sabrina Vacca. Patrimonio materiale e immateriale, feste e tradizioni: Teresa Delrio, dottoressa in Beni Culturali. Legislazione Beni Culturali: Marina Vincis, avvocato, archivista e paleografa. Censimento, catalogazione e banca dati: Donatella Rita Fiorino. Strutturazione dei dati e informatizzazione: Alessandro Pani, consulente informatico. 9 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare CORSO DI ORIENTAMENTO/FORMAZIONE Docenze Daniele Canepa, lingua inglese Nadia Canu, Storia antica Raffaele Crudele, Scienza della comunicazione Teresa Delrio, Storia, cultura, tradizioni e beni immateriali di Muros Donatella Rita Fiorino, Catalogazione e banche dati Emanuela Fiorino, Imprenditorialità e finanziamenti Caterina Giannattasio, Storia e metodologie del restauro Carla Giuffrida Trampetta, Autocad Francesco Guido, Archeologia Francesco Macrì, Norme di gestione aziendale e Diritto del lavoro e normativa previdenziale Bruno Paliaga, Pianificazione e gestione del turismo sostenibile ed Economia e marketing dei beni culturali Alessandro Pani, Informatica e informatica grafica Michele Pintus, Storia dell’arte e dell’architettura sarda e Storia ed evoluzione del paesaggio rurale e degli insediamenti urbani Ivo Piras, Ambiente e botanica Vincenzo Solinas, Elementi di geologia applicata 10 Pier Marcello Torchia, Istituzioni di documentazione, monitoraggio e gestione del territorio Giuseppina Vacca, Cartografia tradizionale e numerica Marina Vincis, Legislazione dei Beni Culturali Direzione e coordinamento: Donatella Rita Fiorino Istruttore amministrativo Comune di Muros: Federico Tolu REALIZZAZIONE GRAFICA GGALLERY SRL ED EDITING Paolo Macrì (GGallery), professore a contratto dell’Università di Genova, interlocutore unico del progetto nei confronti dell’Amministrazione. Francesca Ferrando (GGallery), dottoressa in lingue e letterature straniere, Responsabile editorializzazione e gestione dei contenuti. Michela Pinasco (GGallery), dottoressa in lingue e letterature straniere, responsabile area lingue e comunicazione. Estelle Schoeter (GGallery), dottoressa in giurisprudenza, Università di Strasburgo, responsabile editing e-book. IL PAESAGGIO TAGLIATO Paolo Scarpellini Il territorio comunale di Muros è tagliato in due parti dalla Strada Statale Carlo Felice, al quale è affiancato il tracciato della linea ferroviaria e, per la prevalenza del suo sviluppo, il corso del rio Mascari (l’antico Melas). Una cesura orizzontale, lunga e continua, che separa drasticamente il lembo sud occidentale dell’agro, aggrappato al soprastante altopiano di Su Padru di Ossi e formato da calcari detritici stratificati coperti di bosco rado a roverella, dal settore meno abitato ma più coltivato, delimitato a nord dalla Badde Olia, dal monte Tudurighe, dal monte Simeone e dai dolci rilievi che degradano da ponente. Ma il paesaggio di Muros è “tagliato” anche dalle cave. Il massiccio di Canechervu (m 390) è stato spianato, nella sua parte più occidentale, per rifornire la sottostante cementeria. Un’altra cava è stata attivata in località San Leonardo, sul versante meridionale del monte Canechervu, ma è stata recentemente abbandonata. Tagli orizzontali alle vedute panoramiche sono invece causati dalla presenza delle ciminiere della cementeria, e dei tralicci degli elettrodotti Tuttavia, benché aspramente tormentato dai recenti “tagli” paesaggistici, lo scenario ambien- tale di Muros conserva i suoi tratti salienti, costituiti dalla contrapposizione dell’erta scala di Ossi e dei soffici colli settentrionali ed orientali, oltre i quali si scorge la Rocca di Osilo, l’abitato di Ploaghe e Codrongianos, e poi, più lontano, il monte Santo e il monte Sant’Antonio. Più piccoli e più antichi tagli furono eseguiti, in epoca remota, per realizzare o adattare cavi ipogei: la domus de janas di Rocca Ruja, la Grotta dell’Inferno, i due angusti invasi di Badde Ivos. E ancora in epoca nuragica, tante pietre furono tagliate per costruire diverse fortezze megalitiche, oggi ridotte allo stato di ruderi ma ancora efficaci testimoni di quella antica e possente civiltà millenaria. Dunque un paesaggio tagliato. Tagliato, ma non spezzato. Frazionato, ma non disperso. Una delicata trama storica e ambientale, a tratti smagliata, non ancora strappata, che merita massima attenzione e profondo rispetto. Segni importanti di una storia lieve, depositati in un ambiente naturale di singolare suggestione… Nel passato, il paese non doveva godere di buona reputazione, come luogo insediativo, poiché “Muros trovasi circondato a più parti da eminenze montuose che impediscono la venti- lazione, fuorché ad una o due parti. Vi si sente molta umidità, si patisce la nebbia, e l’aria è viziata dai miasmi della prossima valle” (V. Angius…). Le diciassette sorgenti stagionali o perenni, presenti negli anni sessanta del Novecento ed ampiamente utilizzate in passato da pastori, agricoltori e viandanti, sono oggi quasi tutte scomparse: la vena d’acqua è stata captata oppure la vegetazione ha ricoperto la fonte rendendola inaccessibile e inutilizzabile. Ma per l’Angius, “le fonti sono poche in numero, e di queste tre sole degne di menzione, quella che sorge dentro l’abitato, quindi il Cantareddu a cinque minuti dal paese, e quella che dicono di Thiarosa entro l’oliveto del Marchese”. Con brillante vigore e scrupoloso rigore, Donatella Fiorino ha censito e catalogato i molteplici valori culturali e ambientali del territorio comunale di Muros, ricomponendone il pregiato e variato tessuto storico e paesaggistico, mettendo in luce ogni aspetto della tradizione locale e dei connotati naturali, offrendoci una rassegna completa dei beni e dei siti di interesse, oggi mete potenziali di una colta esplorazione, da parte di curiosi, studiosi e turisti. 11 IL PAESAGGIO DI MUROS Bruno Paliaga Pochi termini assumono un significato vago come il termine “paesaggio”; termine molto utilizzato correntemente al quale si attribuiscono però significati assai diversi a seconda del contesto del discorso o del punto di vista da cui viene analizzato e descritto in funzione della sensibilità e degli interessi specifici di chi ne parla, di chi lo osserva o di chi si occupa di paesaggio. Secondo diverse definizioni si può rilevare come primo significato quello di “panorama, veduta, più o meno ampia, di un luogo, specialmente campestre, montano o marino”; un secondo significato, ma più ampio come: “complesso di tutte le fattezze sensibili di una località”; o un terzo significato ancor più esaustivo quale: “particolare fisionomia di una regione determinata dalle sue caratteristiche fisiche, antropiche, biologiche, etniche”. Il paesaggio può essere ambìto di interesse per chi si occupa di arte, di geografia, di geologia, di fotografia, di ecologia, di urbanistica, di economia, di architettura, di archeologia e di molte altre discipline. Tanto basti per comprendere che il “paesaggio”, pur essendo argomento vasto e difficilmente circoscrivibile e trattandosi di un “concetto” ha subìto profondi cambiamenti nel tempo. Ai nostri scopi è utile richiamare alcune di quelle considerazioni fondamentali che possono risultare utili ad introdurre quanto seguirà e che tende a descrivere, seppur sinteticamente, il paesaggio di Muros (i paesaggi) secondo l’ottica dell’ecologia del paesaggio. Una delle definizioni possibili di paesaggio può limitarsi o coincidere con “l’immagine percepita di una porzione della superficie terrestre”. una definizione che non soddisfa nella quasi totalità dei casi. Secondo un uso più semplice del termine, il paesaggio è sinonimo di “panorama”; la veduta di una parte di territorio da un determinato punto di visuale. In tale accezione “visiva”, il paesaggio può essere riprodotto, esso perde alcune delle sue caratteristiche; per esempio una fotografia pur fissando alcuni degli aspetti visibili si limita ad una parte della veduta; oppure in un disegno o dipinto, il risultato dipenderà dal pittore, dalla sua ispirazione, dalla tecnica e da altri fattori. La veduta di alcune delle componenti del pae- saggio può variare secondo la distanza e l’angolazione prospettica. Per esempio un rilievo sarà grande e sovrastante se visto dal basso o potrà scomparire fra altri rilievi se visto da lontano, da una rilievo più alto. Ciò rende evidente che una caratterizzazione esclusivamente o prevalentemente “visuale” del paesaggio è tutto sommato riduttiva, perché si fonda su valutazioni estetiche e formali, oltre che soggettive. Ma non esiste un paesaggio migliore di un altro poiché ogni individuo è diversamente sensibile a viste, panorami o paesaggi che più gli sono congeniali perché evocano elementi noti, piacevoli o spiacevoli, talvolta in contrapposizione con il vissuto quotidiano. Per esempio, chi vive in città può prediligere luoghi assolati (quelli estivi per la vacanza), mentre chi vive normalmente in luoghi caldi non preferisce l’esposizione al sole. Superata tale impostazione quando si parla di paesaggio, di qualunque tipo sia, se si fa riferimento ad elementi correlati fra loro costantemente come: la morfologia del terreno e l’altimetria, i volumi, i colori dominanti, la copertura vegetale, il sistema idrico, l’organizzazione 13 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare dei contesti agricoli e di quelli urbanizzati, le tipologie edilizie ed altro. Considerando la modularità e l’articolazione delle componenti che caratterizzano i paesaggi omogenei, comprese le sfumature di raccordo (la transizione) tra ambirti differenti potrebbe essere adottata la definizione di paesaggio di E. Turri: “Identificare il paesaggio significa [...] identificare relazioni che si ripetono in uno spazio più o meno esteso entro il quale il paesaggio esprime e sintetizza le relazioni stesse”. Altra definizione meno soggettiva che si può assegnare al termine paesaggio deriva dall’interpretarlo come “manifestazione sensibile dell’ambiente, realtà spaziale vista e sentita”; una definizione che ancora possiede elementi di soggettività, perché in essa è implicito che l’osservatore metta in gioco la sua sensibilità particolare, la sua cultura, la sua capacità ed il suo modo di vedere. Pur consci della complessità della definizione di paesaggio che è stata sistematizzata anche in sede legislativa (rif. DL 42/2004 - Codice dei beni culturali e del paesaggio, ex art. 10 L. 6 luglio 2002, n. 137) e lungi dal volerne definire un senso compiuto e condiviso del termine, di seguito si propone una descrizione che seppur tecnica mira a dare un contributo per la descrizione di un sistema complesso quale è il territorio di Muros. NATURALITÀ DEL PAESAGGIO (DAL PUNTO DI VISTA VEGETAZIONALE) Premesso che definiamo il paesaggio come una subregione territoriale con caratteristiche fisioniomiche omogenee e tralascindo la 14 descrizione della flora, possiamo, ai nostri scopi, schematizzare e suddividere il territorio nelle seguenti unità di paesaggio (o unità paesaggistiche): - zone adibite a rimboschimento con specie non autoctone quali pini, eucaliptus, ecc. che contribuiscono notevolmente a delineare la fisionomia del paesaggio vegetale; - zone con intensa urbanizzazione turistica (con l’inevitabile impatto e pressione antropica); - zone adibite prevalentemente alla coltivazione di piante erbacee annuali non spontanee; - zone utilizzate per colture legnose permanenti, o perenni, da tempo acclimatizzate (vigneti, uliveti, mandorleti, agrumeti... Le suddette zone costituiscono il cosiddetto paesaggio vegetale antropico o, se si preferisce, umanizzato, in quanto la continua, intensa ed estesa influenza dell’uomo ne ha mutato i connotati di naturalità originaria che potrebbe essere ricondotto a: - zone rupicole in cui è prevalente l’aspetto di roccia nuda quale fattore limitante per la colonizzazione vegetale; - zone caratterizzate da prevalente vegetazione erbacea naturale (pascolo naturale) intercalata a suffrutici (gariga) o arbusti ed alberi sparsi (pascolo cespugliato ed arborato); - zone coperte da macchia mediterranea più o meno evoluta verso l’aspetto basso e monospecifico (landa), o alta e diversificata (macchia-foresta) e comunque sempre caratterizzata dall’aspetto legnoso dei componenti l’associazione; - zone interessate da bosco, ceduo o a fustaia, in cui la struttura è sempre e comunque dettata dalla presenza di specie a portamento arboreo. Tali unità di paesaggio sono contraddistinte da maggior naturalità rispetto al “paesaggio antropico” ma non per questo scevre da influenze umane: esistono, infatti, tutta una serie di condizioni intermedie che sfumano tra le diverse zone. Inoltre, alcuni fattori naturali quali l’acqua, l’ombra, l’elevata umidità, imponenti affioramenti rocciosi verticali (falesie montane rocciose), litosuolo... incrementano la biodiversità creando veri e propri habitat caratterizzati dalla presenza delle seguenti categorie ecologiche di piante: - casmofite degli ambienti cavernicoli freschi, ombrosi ed umidi; - idrofite, igrofite e flora ripariale in genere degli ambienti acquatici e paracquatici; - xerofite delle zone aride e calde; - flora rupicola delle falesie montane; - epifite dei boschi. Va detto che l’habitat, ossia la parte di un determinato paesaggio caratterizzata da condizioni climatiche omogenee, di un determinato biotopo e geotopo, è riferito concettualmente alla “possibilità di vita” e non all’estensione territoriale: va da sé che un habitat si definisce vasto se le condizioni vitali che offre sono adatte a più specie diverse; oppure limitato se Il paesaggio di Muros adatto solo alla vita di pochissime specie. La suddivisione del territorio in ambiti caratterizzati dalla diffusione di unità fitosociologiche o dalla loro combinazione, permette di effettuare una comparazione fra condizioni ambientali e climax visto come associazione finale delle serie dinamica della vegetazione. A tal proposito la naturalità della vegetazione è quindi specchio di quella ambientale generale valutabile secondo i seguenti criteri: - distanza dal climax della vegetazione attuale; - estensione e continuità delle aree con vegetazione naturale; - rapporto percentuale fra vegetazione naturale e vegetazione sinantropica; - degenerazione della vegetazione naturale per progressiva sinantropizzazione; - sostituzione della vegetazione naturale con la vegetazione sinantropica. In riferimento a quanto detto ed in base ai 6 possibili livelli di naturalità definiti dalla Società Botanica Italiana, il territorio di Muros potrebbe essere ricondotto al 3° livello di cui di seguito. LIVELLI DI NATURALITÀ Territori con vasti complessi non frammentati di vegetazione naturale estesa e continua, che comprendono comunità di origine primaria; la vegetazione seminaturale e sinantropica possiede molte caratteristiche originarie; aree con vegetazione sinantropica di scarsa estensione. Territori con vasti complessi di vegetazione naturale con predominanza di comunità con struttura modificata o di origine secondaria; la vegetazione seminaturale e sinantropica presenta numerose caratteristiche naturali; aree con vegetazione sinantropica a distribuzione aggregata. Territori con nuclei di vegetazione naturale, talvolta anche abbastanza estesi, rimasti soltanto in stazioni non adatte per l’agricoltura o per le abitazioni; nella maggior parte del territorio la vegetazione naturale è stata sostituita da comunità sinantropiche e da vegetazione seminaturale di sostituzione delle foreste; si tratta, pertanto, di territori prevalentemente con vegetazione sinantropica, ma con nuclei di vegetazione naturale aggregata. Territori con frammenti di vegetazione naturale rimasti soltanto in stazioni non adatte per l’agricoltura e per le abitazioni (nuclei relitti di vegetazione naturale residua e diffusa) o seminaturale; nella maggior parte del territorio la vegetazione naturale è stata sostituita dalla vegetazione sinantropica. Territori nei quali la vegetazione naturale è stata completamente sostituita dalla vegetazione sinantropica; rari nuclei residui di vegetazione naturale. Territori con vegetazione sinantropica dei coltivi intensivi e del verde pubblico con frammenti di vegetazione ruderale subspontanea. 15 LA PORTA D’ACCESSO AL GOLFO DELL’ASINARA: IL TERRITORIO DI MUROS TRA ARCHEOLOGIA DEL PAESAGGIO E PIANIFICAZIONE INTEGRATA Nadia Canu Nell’ambito del progetto per la valorizzazione e promozione dei Beni Culturali del Comune di Muros è stata condotta una ricerca bibliografica e archivistica in materia di storia del territorio e del patrimonio archeologico, comprendente il censimento e la catalogazione dei beni archeologici noti, mediante i modelli dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione. I risultati esposti sono stati desunti dalla cartografia, dalle pubblicazioni relative ai principali siti, dall’analisi dei documenti dell’archivio della Soprintendenza per i Beni Archeologici delle province di Sassari e Nuoro, dai dati emersi durante una serie di ricognizioni presso le aree di concessione mineraria in località San Leonardo, effettuate per conto della stessa Soprintendenza dalla scrivente, dalle fonti orali. Attualmente manca un censimento organico volto all’individuazione dei beni archeologici del territorio in esame, se intendiamo per “censimento” la ricognizione estensiva dell’intera area in oggetto con l’utilizzo delle metodologie del survey e la successiva catalogazione, motivo per il quale il presente studio costituisce la fase preliminare del censimento vero e proprio. Il territorio del Comune di Muros è quasi interamente compreso nel bacino idrografico del rio Mascari, affluente del rio Mannu, che sfocia a Porto Torres: la valle da esso modellata, attualmente attraversata dalla S.S. 131, si identifica con la principale via di comunicazione tra la costa settentrionale e l’interno dell’isola già in età preistorica e protostorica e successivamente in età punica, romana e medievale. Infatti la gola sinuosa scavata dal fiume tra il massiccio di Canechervu e il monte Venosu ha da sempre costituito un passaggio obbligato dal mare verso l’interno e viceversa. Si tratta quindi di un territorio che ha avuto nei secoli un’importante valenza strategica, grazie al controllo sulla via di comunicazione da una parte, e alla ricchezza delle risorse (abbondanza di sorgenti, buona qualità dei suoli) dall’altra. Ciò ha favorito lo stanziamento umano già dalle età più remote: le prime testimonianze archeologiche risalgono al neolitico antico. La Grotta dell’inferno, situata sullo scosceso versante occidentale del monte Venosu-Tudurighe, ha restituito, tra i vari reperti, frammenti di ceramica cardiale, dalla decorazione impressa con una conchiglia (cardium edule), e datati alla fase più antica del neolitico. In questo periodo le grotte vengono usate a fini abitativi, cultuali e funerari, polarizzando l’antropizzazione del territorio. L’utilizzo della grotta continua per tutto il neolitico, come testimoniano gli altri materiali, parte dei quali è esposta al Museo Sanna di Sassari: è presente un ampio campionario di utensili litici, in selce e ossidiana, ma anche oggetti in serpentino; tra le ceramiche, vasi a collo distinto e spalla arrotondata con piccole anse e finissima decorazione sull’orlo o sulla carena, impressa a tacchette o a puntini, della cultura di Bonu Ighinu del neolitico medio, e frammenti con decorazioni tipiche della cultura di San Michele di Ozieri, del neolitico recente. La relazione scientifica di Fulvia Lo Schiavo, nell’archivio della soprintendenza, sottolinea come la continuità di insediamento attraverso tutte le fasi del neolitico sia un fatto di enorme interesse, e auspica indagini all’interno della grotta per valutare se, nonostante i lavori di estrazione del guano, siano rimasti depositi stratigrafici intatti. Allo stesso orizzonte cronologico deve essere riferito il più celebre reperto proveniente dal territorio di Muros, la statuina femminile ora al Museo Sanna, appartenente alla classe degli 17 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare “idoletti” di stile geometrico e volumetrico, espressione artistica che nasce in relazione alla cultura di Bonu Ighinu: secondo alcuni studiosi rappresentazione di una divinità, sono l’espressione di un culto tipicamente neolitico legato alla fertilità e allo sviluppo della pratica agricola. D’altra parte, l’esplosione demografica, che tocca il suo apice con la cultura di Ozieri, è testimoniata anche dal fiorire di insediamenti e siti funerari, tra i quali i più noti sono le grotticelle artificiali, dette domus de janas: a Muros sono note quelle di monte Terras e Badde Ivos, altre ne risultano in documenti d’archivio (a Su Crastu Covaccadu e a Su Monte de S’Abba de Subra), un’ultima nel database del Piano Paesaggistico Regionale, in località Su Saltu de sa Campana, ma ulteriori devono essere dislocate nel territorio e non registrate, altre ancora potrebbero essere state distrutte e perdute per sempre a causa dei massicci lavori di estrazione mineraria che hanno riguardato il versante meridionale di Canechervu. In relazione ai monumenti funerari afferenti al megalitismo può essere citato il dolmen di Su Muzzigone, di cui si ha notizia dall’archivio della soprintendenza. Non sono ancora state individuate testimonianze dell’età del rame, probabilmente solo per carenza di ricerche sulla totalità del territorio: la tomba di monte Simeone, che inizialmente era interpretata come recinto megalitico o allée couverte (tali sono infatti le motivazioni del decreto di dichiarazione di interesse), a più attente analisi si è rivelata una tomba di giganti. Tra le testimonianze dell’età del bronzo un posto di primo piano spetta al sito di Sa 18 Turricula, caratterizzato da un campo visivo estesissimo, in una posizione di larghissimo dominio che consente, in buone condizioni del tempo, di spingere lo sguardo dal Golfo di Alghero, compreso Capo Caccia, fino al versante meridionale dell’altopiano di Campeda e al monte Santo di Bonnanaro. È il primo insediamento di cultura Bonnanaro riconosciuto nell’isola, collegato anche a un dolmen e un nuraghe. Le indagini archeologiche, concentrate negli anni ’70 e condotte da Maria Luisa Ferrarese Ceruti, hanno riguardato una delle capanne del villaggio, il dolmen situato non molto distante, in località Funtana ‘e Casu (in territorio di Osilo), e il nuraghe, arroccato su uno sperone roccioso lungo lo spartiacque tra il monte Tudurighe e il monte Muros. La capanna ha restituito una serie di materiali omogenei riferibili alla “facies di Sa Turricula” e considerata prodromo dell’età nuragica in senso stretto: le analisi radiometriche sui resti di un focolare hanno indicato una datazione intorno al 1500 a.C. Anche dal dolmen provengono materiali di questo tipo, salvo qualche reperto più tardo che ne indica un riutilizzo in epoca nuragica. Non fu però possibile accertare in sede di scavo una connessione di tipo stratigrafico tra l’insediamento e il nuraghe, perché le indagini in questo edificio rivelarono una rioccupazione in epoca punica e romana. Mentre i materiali preistorici della capanna sono stati studiati e pubblicati, non è avvenuto lo stesso per quelli provenienti dal nuraghe (ad eccezione delle monete, edite nel 1978), da ormai trent’anni nei magazzini in attesa di essere studiati. L’età nuragica è caratterizzata da una presenza relativamente scarsa di nuraghi: oltre a quello di Sa Turricula, nel territorio comunale ne è presente un altro in località Santu Giorzi, entrambi in cattivo stato di conservazione. Quello di Sa Turricula presenta evidenti rimaneggiamenti successivi, con tutta probabilità pertinenti all’età romana; di quello di Santu Giorzi è visibile un solo filare di blocchi, obliterato da un crollo e ricoperto di vegetazione erbacea e arbustiva. Forse le scarse attestazioni di edifici di questo tipo sono dovute al sostrato litologico del territorio, interamente composto di rocce calcaree, mentre per gli affioramenti di basalto è necessario spostarsi nei vicini territori di Cargeghe e Codrongianos, dove infatti sussistono un maggior numero di torri nuragiche e in migliore stato di conservazione. Ciò non implica comunque una minore presenza antropica: abbiamo infatti attestazioni di monumenti funerari, mentre insediamenti di questo periodo potrebbero non essere attualmente in luce. Sono da segnalare due monumenti, entrambi dichiarati di particolare interesse (sottoposti cioè a vincolo archeologico): la tomba di giganti di monte Simeone e l’ipogeo a facciata architettonica di Rocca Ruja. La tomba di giganti di monte Simeone si trova a circa 400 metri da Sa Turricula e a circa 800 da Santu Giorzi, quindi poteva essere connessa sia all’uno che all’altro presidio territoriale. Come si è accennato, inizialmente, non individuando tracce evidenti dell’esedra, si interpretò il monumento come recinto megalitico o allée couverte, in un secondo tempo, il ritrovamento di un frammento della stele centinata con por- La porta d’accesso al Golfo dell’Asinara: il territorio di Muros tra archeologia del paesaggio e pianificazione integrata tello a luce arcuata appena a valle indicò che si trattava di una tomba di giganti. Sia in bibliografia che nel decreto di dichiarazione è sottolineato che la tomba è inesplorata e probabilmente questa è stata la principale causa dello scavo clandestino, scoperto e segnalato dalla scrivente nell’autunno del 2001: dalla camera sepolcrale era stata recentemente asportata una considerevole parte del giacimento stratigrafico, probabilmente con l’ausilio di mezzi meccanici; tra il materiale di risulta depositato lungo il lato occidentale della tomba sono state osservate ossa umane in grande quantità, ma non è mai stata effettuata la setacciatura del sedimento per il recupero dei pochi reperti scampati al furto. Inoltre l’asportazione massiccia ha causato un notevole dissesto statico al monumento, costituito da una serie di ortostati infissi verticalmente nel terreno. In località Rocca Ruja si trova un ipogeo a facciata architettonica, tipologia diffusa in un’area ristretta del sassarese coeva alle tombe di giganti di tipo dolmenico-ortostatico, delle quali riproduce il prospetto, scolpito nella roccia. Purtroppo lo stato di conservazione è cattivo, perché la tomba ha subìto una serie di riutilizzi e rimaneggiamenti, soprattutto durante il periodo della seconda guerra mondiale. Venne infatti usata come rifugio antiaereo e sia l’ingresso sia la camera subirono allargamenti che ne hanno snaturato l’originaria conformazione. Scarsa è la documentazione relativa al periodo punico, consistente in alcuni materiali provenienti dal nuraghe Sa Turricula, segnalati dalla scavatrice senza ulteriori specifiche, ma solo indicando un’occupazione a fini cultuali. Alcune verifiche effettuate solo su alcune delle decine di cassette conservate al museo hanno consentito di individuare frammenti di thymiateria fittili a testa femminile. Dello stesso contesto anche quattro monete puniche della zecca di Sardegna, ora nel medagliere del museo Sanna, datate tra il 241 e il 216 a.C. Le testimonianze del periodo romano sono molto più consistenti, pur non essendo state individuate con ricerche di tipo sistematico: riusciamo ad avere un’idea del tipo di insediamento, finalizzato allo sfruttamento agricolo attraverso la coltivazione del grano, conosciamo abbastanza delle infrastrutture, in particolare della viabilità, e abbiamo tracce della vita religiosa. Per quanto riguarda la viabilità, la valle era attraversata dalla strada a Turre usque Karalis, la cui costruzione, risalente nelle prime fasi alla seconda metà del I secolo a.C., ha favorito l’intensivo sfruttamento agricolo del retroterra turritano. La via partiva dal foro della colonia di Turris Libisonis, passava per Ottava, toponimo che testimonia l’ottavo miglio da Turris e pare seguisse in parte il tracciato dell’acquedotto che aveva origine all’Eba Ciara, oggi conservato solo in minima parte perché distrutto in relazione alla costruzione della ferrovia, che ne ripercorre il tracciato. Il primo miliario con l’indicazione della distanza è stato rinvenuto nel 1823 a Scala di Giocca, presso il ponte situato appena a monte della confluenza tra il rio Bunnari e il Mascari: è datato agli anni finali del principato di Nerone e indica il XVI miglio a Turre (vedi contributo di A. Ibba in questo stesso volume). La distanza indicata pone una problematica, se cioè il percorso aggirasse da ovest l’area attualmente occupata da Sassari, come finora ritenuto, o se passasse per la città, lungo la direttrice del Corso e via Roma proseguendo per via Carlo Felice e Scala di Giocca, come propone Mastino, considerando l’esistenza del toponimo Iscala de Clocha, che sembra implicare un percorso a tornanti già esistente in periodo medievale. In base al miliario si può ipotizzare che anche il ponte, comprendente due arcate realizzate in blocchi di calcare locale, possa nelle sue prime fasi essere pertinente alla viabilità romana, nonostante non sia inserito nella relativa monografia del Fois. Da questo punto la strada seguiva con certezza la valle del Mascari, passando per Campomela, dove abbiamo il ricordo del ponte sul rio Mascari e dell’antico selciato, ancora visibile nel Settecento, attraversando i territori attualmente dei comuni di Muros, Cargeghe e Codrongianos. Nel territorio di Muros tracce della viabilità secondaria sono state individuate durante una serie di ricognizioni a carattere intensivo, effettuate nel 2003 e mirate al riconoscimento di evidenze archeologiche in un’area di concessione mineraria. In località Badde Ivos è visibile un tratto di strada antica, che si dirige verso est, per circa 140 m. La pavimentazione è realizzata con pietrame calcareo, di media e grande pezzatura, di morfologia piuttosto irregolare; i margines sono realizzati con pietre di maggiori dimensioni e si possono osservare delle modine in blocchi squadrati. Dopo circa 140 m, si perdono le tracce della strada antica, ma il sentiero prosegue per 750 m circa, fino ad immettersi nella S.S. 131. Probabilmente si trat- 19 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare tava di una strada secondaria, che collegava la via a Turre a un insediamento rurale. In effetti nella zona di San Leonardo, area utilizzata negli anni passati come cava di sabbia, dove ha inizio il percorso, le fonti orali segnalano la presenza di sepolture in dolio, ad indicare la presenza di una necropoli e quindi di un villaggio dalla fine dell’età punica ai primi secoli dell’occupazione romana. Sembra che in una di queste deposizioni sia stato trovato un anello in oro recante una spiga di grano, ovviamente perduto, perfettamente coerente con la vocazione agricola dell’insediamento e con il culto di Cerere attestato a Sa Turricula a cui accenneremo in seguito. Si aggiunga che il toponimo catastale della strada, Coa de Redulas, significherebbe “il sentiero delle anime”, avvalorando la notizia della necropoli. A tale insediamento è con tutta probabilità ascrivibile il riutilizzo e il rimaneggiamento di una domus de janas che si trova a poche decine di metri dalla strada. L’ingresso è costituito da un vano rettangolare, realizzato in pietrame di medie dimensioni con volta a botte e giustapposto all’ipogeo vero e proprio ricavato nella roccia. All’interno si succedono due vani, il primo, di forma ellissoidale, il secondo subtrapezoidale, nel quale si trova a destra una vasca scavata nella roccia, a sinistra una nicchia. A pochi metri di distanza si trova un secondo ipogeo con sezione grosso modo semicircolare e planimetria sub-rettangolare. Vista la presenza della strada antica e l’uso della volta, si può ipotizzare una fase del riutilizzo in epoca romana o altomedievale, per un uso forse anche abitativo, produttivo o cultuale (presenza della vasca), mentre il secondo ipo- 20 geo può essere interpretato come vano di servizio. In diretta connessione con la strada di Badde Ivos, si può osservare un secondo esempio di viabilità antica: il sentiero di Canechervu, denominato nelle mappe catastali strada di Santu Lionardu; il sentiero si inerpica in direzione nord, verso la cima di Canechervu; dopo 80 m iniziano a riconoscersi i resti della strada. Questa è percorribile per una lunghezza di circa 180 m, poi prosegue, infestata dagli arbusti per un tratto di 140 m; qui è tagliata dal gradone trasversale di un fronte di cava; la pavimentazione è realizzata con la stessa tecnica della strada di Badde Ivos. Si osservano le modine trasversali in grossi blocchi. Considerando la connessione tra i due tratti descritti, si osserva come dalla valle del Mascari (e quindi dalla via principale) si diramasse un deverticulum che in primo luogo portava ad un insediamento (testimoniato dalla necropoli segnalata dalle fonti orali) e in secondo luogo procedeva inerpicandosi sulla cima del monte, dove si rilevano evidenti tracce di frequentazione (un lastricato di età non precisabile), raggiungendo un punto di assoluto dominio sulla vallata circostante. Un confronto molto significativo è la strada di Sos Baiolos, nel vicino territorio di Cargeghe, che si avvicina per tipologia e per essere stata usata e rimaneggiata fino ad epoca recente. La vocazione agricola dell’area in età romana è confermata dalle scoperte nel nuraghe del villaggio di Sa Turricula, dove è attestata una fase di riutilizzo a fini cultuali a partire dall’età punica e per gran parte dell’età romana, testi- moniata da una cospicua serie di materiali di cui si hanno solo laconiche notizie. Nella Rivista di Scienze Preistoriche (volume del 1978) M.L. Ferrarese Ceruti scrive: “In età romana la costruzione era stata adibita ad edificio cultuale e vi si doveva esplicare il culto a Cerere. Numerosi piccoli busti in terracotta di questa divinità si rinvennero… in associazione con lucerne, per lo più bilicni, con o senza bollo di fabbricazione e databili alla prima metà del I secolo d.C.”. Nello stesso anno, insieme a quelle puniche, vennero pubblicate da F. Guido le monete romane, 24 pezzi datati tra il III e il V secolo d.C. Alcuni dei reperti, restaurati nel 1977, sono elencati in un documento dell’archivio della soprintendenza: tra questi, busti fittili di divinità femminile con spiga di grano sul polos, identificabile con Cerere (sul culto vedi contributo di G. Pianu in questo stesso volume). L’accesso ai magazzini del Museo Sanna per gentile interessamento della dott.ssa Luisanna Usai, e l’analisi del contenuto di 4 delle decine di cassette che contengono i reperti, ha consentito di valutarne l’importante consistenza sia qualitativa che numerica. La gran parte è costituita da materiali ceramici, tra i quali numerosi sono pertinenti a statuette del tipo Sarda Ceres, mentre le lucerne sono in prevalenza (la gran parte sono bilicni a volute con ansa plastica del I d.C., ma sono presenti anche lucerne a disco del II-III e un’africana I B Hayes di IV-V d.C.), poiché il culto della dea prevedeva rituali notturni; sono presenti poi reperti bronzei e vitrei (calici su stelo), mentre una percentuale consistente delle cassette contiene ossa animali. Lo studio integrale dei mate- La porta d’accesso al Golfo dell’Asinara: il territorio di Muros tra archeologia del paesaggio e pianificazione integrata riali, accompagnato da una revisione della documentazione dello scavo e finalizzato all’edizione scientifica sarebbe di estrema importanza per la comprensione di un complesso santuariale a sfondo rurale e dei rituali relativi, per un arco temporale esteso dal III secolo a.C. al V secolo d.C., con la possibilità di raffrontarlo con i contesti di questo tipo individuati in Sardegna. Gli elementi esposti contribuiscono a chiarire le dinamiche d’occupazione delle aree a vocazione agricola gravitanti intorno alla via a Turre e alle sue diramazioni in età romana, caratterizzate da una grande concentrazione di insediamenti come provano i rinvenimenti a Cargeghe (sito di Santu Pedru), a Florinas (strutture di epoca romana sotto l’attuale abitato e necropoli in ziro di via Roma e Cantaru Ena), a Ossi (insediamento repubblicano e necropoli di Sant’Antonio), a Codrongianos (necropoli in ziro a La Rimessa). La stessa situazione viene in gran parte mantenuta nelle dinamiche insediative di età medievale: la zona di San Leonardo, frequentata almeno a partire dall’età romana, prende il nome dalla chiesa del villaggio di Irbosa, di cui non sussistono che strutture murarie a livello delle fondazioni e un’ampia area di dispersione di frammenti ceramici. Doveva essere di un certo rilievo se nell’XI secolo vi si tenne una corona presieduta dal giudice Barisone. Il villaggio si spopolò nel XIV secolo, a causa delle epidemie, ma la chiesa rimase attiva almeno fino al 1688, quando venne visitata dal vescovo di Sassari. Nel 1843 Angius dà notizia di un antico villaggio denominato Tatareddu, che aveva per titolare della chiesa San Leonardo, e parla delle rovine di un grande edificio a livello delle fondazioni. Una stessa situazione è ipotizzabile per l’area di Santu Giorzi, dove alle tracce romane presso il nuraghe si sovrappone il ricordo di un antico villaggio. Da verificare sono invece eventuali preesistenze nell’ambito dell’attuale centro urbano di Muros: non risultano in bibliografia o in archivio rinvenimenti di età precedente alla medievale (necropoli dell’XI-XIV secolo, individuata sotto la sacrestia meridionale della chiesa di San Gavino da Daniela Rovina), ma probabilmente solo perché non denunciati. Anche il tracciato della principale strada romana viene ripercorso in età medievale dalla cosiddetta via Turresa, citata in alcuni atti del Condaghe di San Michele di Salvenero (non ci sono riferimenti diretti circa la localizzazione della strada, ma alcuni riferimenti topografici inducono a localizzarla lungo Campomela). Nell’età moderna, caratterizzata dalla riduzione degli insediamenti rispetto alla fase medievale, per il fenomeno dell’abbandono dei villaggi, quale aggregato di un certo interesse resta attivo solo l’attuale centro urbano. La situazione della viabilità è invece ancora sovrapponibile a quella riscontrata in età antica, infatti la costruzione della strada Carlo Felice ricalca volutamente il percorso romano. Per la zona in esame possediamo una descrizione di Alberto La Marmora, che nel suo itinerario dell’isola di Sardegna descrive l’area di Campomela e la gola che, seguendo il fiume, segna il passaggio tra Canechervu e il monte Venosu e immette a Scala di Giocca, porta d’accesso alla città di Sassari. In questa stessa ottica l’area è interpretata dal Piano Paesaggistico Regionale di recentissima adozione: nella scheda dell’ambito 14, che lambisce i limiti comunali, Scala di Giocca e il corridoio ambientale tracciato dai fiumi Mascari e Mannu sono interpretati tra i valori principali in quanto dominanti paesaggistiche; nell’indirizzo 6, Scala di Giocca e il sistema insediativo di Campomela sono considerati elementi qualificanti dell’accesso alla città e al paesaggio del Golfo dell’Asinara. È chiaro quindi che oggi come in età antica, la valle mantiene un’importanza fondamentale non solo come nodo di passaggio, ma anche per il valore paesaggistico: un’attenta programmazione degli interventi futuri dovrà necessariamente tenere conto della fitta rete degli insediamenti storici e promuoverne la conservazione unitamente alle peculiarità ambientali, anche attraverso una coerente opera di riqualificazione della zona industriale e dell’area del cementificio ormai in corso di dismissione e trovando il modo di contrastare lo stato di degrado e abbandono riscontrabile in queste campagne, che per tutta l’antichità e fino a qualche decennio or sono venivano considerate sacre per la loro fertilità. Concludo rivolgendo un pensiero affettuoso alla memoria di zio Paolo Merella, sempre sorridente e gentile, fonte inesauribile di informazioni e amore per ogni angolo di questa terra. 21 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare BIBLIOGRAFIA Sulla cronologia, il quadro archeologico e culturale della Sardegna preistorica e protostorica e per tutti i siti editi in generale E. CONTU, La Sardegna preistorica e nuragica, Sassari 1997; sulla Sardegna in età antica e sulle persistenze in età medievale A. MASTINO, Storia della Sardegna Antica, Sassari, 2005; sulla Grotta dell’inferno E. CONTU, Notiziario-Sardegna, in Rivista di Scienze Preistoriche XXV, 2, 1970, p. 435; R. LORIA - D. TRUMP, Le scoperte a Sa Ucca de Su Tintirriolu e il Neolitico Sardo, in Monumenti Antichi dei Lincei, Roma, 1978, pp. 130-132, 175-176, fig. 11 e tav. X; G. LILLIU, Arte e religione della Sardegna prenuragica, Sassari, 1999, p. 384, scheda 191; sull’idoletto di Su Monte: R. LORIA - D. TRUMP, op.cit., pp. 153-154; G. LILLIU, op.cit., p. 180, scheda 3, con bibliografia precedente; su Sa Turricula: M.L. FERRARESE CERUTI, Nuraghe di Sa Turricula (Muros); abitato di Sa Turricula (Muros); Funtana ‘e Casu (Osilo), in RSP XXXIII, 2, 1978, pp. 444445; EAD., La cultura del vaso campaniforme. Il primo bronzo, in AA.VV., Ichnussa, Milano 1981; EAD., Archeologia della Sardegna preistorica e protostorica, 1997, pp. 224-225; F. GUIDO, Sassari. Museo G.A. Sanna, in Annali di Numismatica 25, 1978, pp. 227-230; su Monte Simeone E. CONTU, Notiziario, Sardegna, in Rivista di Scienze Preistoriche XXIII, 2, 1968, p. 427; Monte Simeone o San Simeone, in Rivista di Scienze Preistoriche XXIV, 2, 1969, p. 378; su Rocca Ruja E. CASTALDI, Domus nuragiche, Roma 1975; sui thymiateria a testa femminile A.M. BISI, Motivi sicelioti nell’arte punica di età ellenistica, in Arch Cl, XVIII, 1966, p. 49; sulla via a Turre e sul miliario neroniano vedi infra scheda di A. IBBA; 22 sull’acquedotto M.C. SATTA, L’acquedotto Romano di Turris Libisonis, Piedimonte Matese (CE), 2000; sulla strada di Sos Baiolos G. MANCA DI MORES, Aspetti topografici del territorio di Cargeghe (SS) in età romana, in L’Africa Romana XII, 2, 767-770; sui ponti romani F. FOIS, I ponti romani in Sardegna, Sassari 1964; sulla tipologia della Sarda Ceres C. VISMARA, Sarda Ceres. Busti fittili di divinità femminile della Sardegna romana, Sassari, 1980; sui materiali di Sa Turricula, vedi infra, scheda di N. CANU; sul periodo medievale G. CANU, D. ROVINA, D. SCUDINO, P. SCARPELLINI, Insediamenti e viabilità di epoca medievale nelle curatorie di Romangia e Montes, Flumenargia, Coros e Figulinas, Nurra e Ulumetu, in La civiltà giudicale in Sardegna nei secoli XI-XIII. Fonti e documenti scritti, Atti del Convegno Nazionale, SassariUsini, 16-18 marzo 2001; a cura di V. TETTI, Il Condaghe di San Michele di Salvennor, Sassari, 1997; A. TERROSU ASOLE, L’insediamento umano medievale e i centri abbandonati tra il secolo XIV e il secolo XVII, Suppl. al fascicolo II dell’Atlante della Sardegna, Roma, 1974; su Irbosa vedi infra contributo di A. SODDU; sull’individuazione della necropoli di età basso medievale vedi infra contributo di D. ROVINA; sul XIX secolo LA MARMORA, Voyage en Sardaigne, II, p. 472 n. 20; V. ANGIUS, s.v. “Muros”, in CASALIS XI, pp. 611-613; Il Piano Paesaggistico Regionale è stato adottato con delibera n° 36/7 del 5 settembre 2006 della Giunta Regionale; Per immagini illustrative dei siti N. CANU, Itinerario Archeologico in Guida del territorio di Muros. IL MILIARIO DI NERONE A SCALA DI GIOCCA Antonio Ibba Fra i cumuli di terra smossi dagli operai durante i lavori per la costruzione della “Strada Reale” fra Sassari e Cagliari, nel 1823, ai piedi della Scala di Giocca e nei pressi di un ponte alla confluenza fra il rio Bunnari e il rio Mascari, Alberto La Marmora ebbe modo di notare fortuitamente una “colonna migliare”. Prontamente recuperata, la pietra fu trasportata a Sassari e conservata dapprima nell’atrio dell’Università, quindi dal 1878 nel Regio Museo Antiquario, allestito nei locali dello stesso ateneo (dove ebbe modo di vederla Theodor Mommsen), infine dal 1931 nel Museo Archeologico “Giovanni Antonio Sanna”, dove attualmente è conservata (inv nr. 4895). Il cippo (fig. 1), in calcare locale, tenero e chiaro, quasi marnoso, è sbozzato grossolanamente in forma cilindrica ed è fratto nella parte inferiore (dim. max. residue cm 159 x 105). Sulla superficie erosa dagli agenti atmosferici si distinguono ancora i profondi tratti filiformi, forse realizzati con la subbia, di una capitale irregolare che conserva tuttavia alcune fattezze dell’eleganza scrittoria di età augustea (l. 1: aste verticali e oblique svasate alle estremità). Il disegno di Salvatore Ganga (fig. 2) segue la proposta di lettura di Maria Giuseppina Oggianu, che pur con leggere differenze, conferma sostanzialmente quanto pubblicato dai precedenti editori: Ed: C. GAZZERA, Di un decreto di patronato e di clientela della Colonia Giulia Augusta Usellis e di alcune altre antichità della Sardegna, Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino, XXXV (1831), pp. 50-51; A. LA MARMORA, Voyage en Sardaigne, Torino 1839, vol. II, p. 472, nr. 20; V. ANGIUS, Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli stati di S. M. il re di Sardegna, vol. XVIII bis, Torino 1851, pp. 569- 570; G. SPANO, Abbecedario storico degli uomini illustri sardi scoperti ultimamente nelle pergamene codici ed in altri monumenti antichi, con Appendice dell’Itinerario antico della Sardegna con Carta topografica colle indicazioni delle strade, città, oppidi, isole e fiumi, Cagliari 1869, p. 40; CIL X 8014; M.G. OGGIANU, Contributo per una riedizione dei miliari sardi, Sassari 1990, p. 121, fig. 57. H. lettere: cm 10 (l. 1), 7,5 (l. 2), 6,5 (l. 3), 6 (l. 4), 5 (ll. 5-7), 4 (l. 8). H. interlinea: cm 6 (ll. 1-3), 3 (ll. 3-5), 4 (ll. 5-6), 3,5 (ll. 6-7), 2,5 (ll. 7-8). 23 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare È possibile notare l’interpunzione puntiforme (ll. 3-4), per i primi editori estesa a tutto il testo, e la soprallineatura sulle cifre (ll. 7-8), in origine presente anche sulla N (l. 4); il modulo delle lettere e l’interlinea tendono a diminuire nella parte inferiore del documento. Rispetto alle letture precedenti, possiamo restituire il nome Nero (l. 2), già parzialmente intravisto da Mommsen (CIL X 8014), confermare il gentilizio Claudi (l. 3; per Vittorio Angius, La Marmora, Giovanni Spano: Claudi), la lacuna (Cae]saris (l. 4; il titolo era integro per Angius; Mommsen leggeva (Caes]aris), l’epiteto Germanic(us) (l. 6, non riportato da Angius) e l’iterazione delle acclamazioni imperiali (l. 8, non vista da Angius; erroneamente per La Marmora e Spano: XIIII; per alcuni studiosi tuttavia Nerone fu acclamato imperatore solo dodici volte. Seguendo Costanzo Gazzera e Mommsen, contro La Marmora e Angius, supponiamo che sin dall’inizio si dovesse integrare la p di potestas (l. 7). Lo spazio sulla pietra alla l. 8 potrebbe far supporre che il ricordo dei consolati precedeva irregolarmente le acclamazioni imperiali (cfr. CIL II 4683; III 6741-6742) o che il titolo imperator era riportato per esteso (in questo caso i consolati erano menzionati in una successiva l. 9). Il cippo fu sistemato XVI miglia da Turris Libisonis, in questa fase caput viae dell’arteria forse non ancora unitaria che attraversava la provincia Sardinia e si dirigeva verso Karales, passando probabilmente per le Aquae Ypsitanae (Fordongianus). Pur non essendo perfettamente chiaro il percorso della strada, si ritiene che questa, abbandonata la colonia 24 Iulia Turris Libisonis, passasse per Predda Longa, la cantoniera Li Pedriazzi, Su Crucifissu Mannu (luoghi tutti in territorio di Porto Torres), raggiungesse una prima mutatio (stazione per il cambio dei cavalli) fra il “vadu de ponte” sul rio di Ottava e la frazione San Giovanni (ad Octavum lapidem), attraversasse il rio Mascari presso Scala di Giocca per poi proseguire verso i territori delle moderne Ossi, Muros, Cargeghe, Codrongianos, Florinas. Gli studiosi si dividono invece riguardo al tracciato intermedio fra San Giovanni e il ponte sul rio Bunnari: per alcuni la strada passava all’interno dell’odierna Sassari (lungo la direttrice Corso Vittorio Emanuele - piazza Azuni) per poi affrontare le rampe della parete rocciosa del Chighizzu; per altri risaliva il corso del Mascari, toccando le località di Pischina, Sa Mandra, Pala de Carru, Preda Niedda, Caniga (mutatio?), Padru. Grazie alla titolatura imperiale sappiamo che il cippo fu posto in opera fra l’ottobre - dicembre 67 e il 9 giugno 68 (XIV tribunicia potestas di Nerone): se confermato il riferimento al V consolato, la forchetta cronologica si potrebbe restringere fra il 1° gennaio o più verosimilmente la metà di aprile e il 9 giugno ’68. Forse nella parte perduta del miliario era ricordato il proconsole ex pretore Cn. Caecilius Simplex, governatore della Sardegna dal 1° luglio ’67 al 30 giugno ’68, console suffeta dal 1° novembre al 31 dicembre ’69, politico non di secondo piano giacché imparentato con importanti senatori di origine orientale e gallica. Sconosciuta l’occasione per la dedica della pietra. Per gli anni seguenti, tuttavia, sempre sulla Fig 1 - Miliario di Scala di Giocca. (foto Nadia Canu) Il miliario di Nerone a Scala di Giocca via a Turre sono ricordati i miliari di Vitellio da Nostra Signora di Cabu Abbas, presso Torralba (CIL X 8016 = ILS, 243: XLIIII miglio) e di Vespasiano probabilmente da Mulargia (CIL X 8023 e 8024: rispettivamente miglio LV e LVI, entrambi dell’anno ’74), questi ultimi esplicitamente riferibili a lavori di restauro della strada: si potrebbe dunque ipotizzare un unitario progetto di ripristino dopo i lavori commissionati da Claudio nell’anno ’46 (ILSard, I, 378, forse EE VIII 744), pianificato da Nerone, ma com- pletato solo dai suoi successori. L’iniziativa potrebbe allora correlarsi a una più ampia riorganizzazione dell’annona (è di qualche anno precedente l’ampliamento dello scalo di Ostia, al quale fu sempre strettamente collegato il porto di Turris Libisonis), forse resa più urgente dalla crisi che afflisse Roma nella primavera del ’68, quando in assenza del frumento egiziano e africano il grano sardo divenne probabilmente fondamentale per gli approvvigionamenti dell’Urbe. BIBLIOGRAFIA Per la titolatura di Nerone, cfr. D. KIENAST, Römische Kaisertabelle. Grundzüge einer römischen Kaiserchronologie, Darmstadt 1996, p. 97 e J.-M. LASSÈRE, Manuél d’épigraphie romaine, Paris 2005, p. 1002; per la via a Turre, E. BELLI, La viabilità romana nel Logudoro-Meilogu, in A. MORAVETTI (a cura di), Il Nuraghe Santu Antine nel Logudoro - Meilogu, Sassari 1988, pp. 338-369; P. MELONI, La Sardegna romana, Sassari 1990, pp. 319-325; R. ZUCCA, Due nuovi miliari di Claudio e la data di costruzione della via a Karalis in Sardinia, Epigraphica, LXIV (2002), pp. 57-68; A. MASTINO, Storia della Sardegna antica, Nuoro 2005, pp. 364-369; sul governatore e la sua famiglia, P. MELONI, L’amministrazione della Sardegna da Augusto all’invasione vandalica, Roma 1958, pp. 25, 188-189; H. HALFMANN, Die Senatoren aus den kleinasiatischen Provinzen des römischen Reiches vom 1. bis 3. Jahrhundert (Asia, Pontus-Bithynia, Lycia-Pamphylia, Galatia, Cappadocia, Cilicia), in Epigrafia e ordine senatorio, (Tituli 5) Roma 1982, pp. 635-636; G.W. BOWERSOCK, Roman senators from the Near East: Syria, Judaea, Arabia Mesopotamia, in ibid., p. 667; sullo scenario politico, P. ROMANELLI, Storia delle province romane d’Africa, Roma 1959, pp. 279-282; E. CIZEK, L’époque de Néron et ses controverses idéologiques, Leiden 1972, pp. 229-230; H. PAVIS D’ESCURAC, La préfecture de l’annone. Service administratif impérial d’Auguste à Constantin, Rome 1976, p. 106; V.A. SIRAGO, Aspetti del colonialismo romano in Africa, in L’Africa Romana, 7, Sassari 1990, pp. 975-976; E. CHAMPLIN, Nerone, Milano 2006, pp. 204-205; su Turris Libisonis, A. MASTINO, Popolazione e classi sociali a Turris Libisonis: i legami con Ostia, in A. BONINU, M. LE GLAY, A. MASTINO, Turris Libisonis colonia Iulia, Sassari 1984, pp. 43-46, 75-77, 79; IDEM, Sardegna, cit., pp. 278-279, 282. Fig 2. Miliario di Scala di Giocca (disegno Salvatore Ganga). 25 IL CULTO DI CERERE A SA TURRICULA Giampiero Pianu Da quando l’uomo, agli inizi dell’età neolitica, smette di essere un cacciatore, abbandona la vita nomade all’eterna ricerca del cibo di sostentamento, bacche, frutti e animali, e diventa stanziale avendo “scoperto” come coltivare le piante ed allevare gli animali, la necessità di un ciclo biologico corretto e continuo, che assicuri anno dopo anno i raccolti e la buona proliferazione degli animali da cortile, diventa essenziale. E perché non affidare tale ciclo alle cure amorevoli di una divinità che possa essere ingraziata ed invocata ed a cui affidarsi anche nei momenti peggiori? Al principio tale divinità era probabilmente tutt’uno con quella preposta al buon andamento della vita umana, regolata dalla nascita e dalla morte dei vari individui, che doveva essere regolato su precisi ritmi per evitare un pericoloso calo della forza lavoro o un incontrollabile aumento delle bocche da sfamare. Per quel che ne sappiamo già in età neolitica, ma probabilmente anche prima, questa divinità fu raffigurata nella figura della donna, capace di creare quel miracolo fantastico che è la riproduzione della vita umana, e con essa, quella degli animali e del mondo vegetale. Le figurine della Gran Madre, come noi la conosciamo solitamente, sono ben presenti anche nel mondo sardo, sia in epoca prenuragica che nuragica. Di particolare pregio è proprio la statuina ritrovata in territorio di Muros. Accanto alla Dea Madre si è soliti affiancare, seppur in maniera subalterna, il principio maschile, personificato dal Dio Toro. Se questa religione primitiva e primordiale fosse realmente basata sui soli due aspetti fondamentali della vita, quello femminile (preponderante!) e quello maschile, non è dato sapere con certezza. Sappiamo invece che le società più evolute culturalmente presentano un insieme di credenze religiose decisamente più articolato. E così nel mondo greco esiste appunto una divinità preposta al buon andamento della vita vegetale ed in particolare delle messi, Demetra. Nel racconto mitologico relativo alla dea sono chiaramente espressi da un lato i risultati nefasti della sua “arrabbiatura”, con tutto il mondo vegetale inattivo e conseguente carestia che ne deriva per il genere umano, dall’altro il rapporto con il mondo sotterraneo, dove la figlia Kore vive col marito per metà dell’anno, per poi tornare sulla terra per l’altra metà, chiara metafora del seme sepolto sotto terra che poi germoglia e fornisce il frutto desiderato. Questo mito, e la religiosità che ne consegue, genera nel mondo greco una serie di rituali abbastanza complessi e differenziati che vanno dalla Demetra misteriosa di Eleusi a quella Thesmoforica, più legata al mondo dei campi. Nel 396 a.C. i Cartaginesi conquistano e distruggono il santuario greco di Demetra di Siracusa e a tale azione sacrilega sarebbero seguiti una serie di rovesci militari che avrebbero indotto i saggi della città a placare le ire della dea instaurando un sacerdozio a lei dedicato. Tale culto importato, a Cartagine, ha avuto, quasi sicuramente, solo la valenza più prettamente agricola. Peraltro, secondo una fonte greca (Ps. Aristotele, De mir. Ausc. 100) sempre interpretata in maniera controversa, gli stessi Cartaginesi, che dominavano la Sardegna già da tempo, avrebbero proceduto all’abbattimento degli alberi da frutto, prevedendo pesanti pene per chi le ripiantasse. Questa fonte è stata spesso contestata per una apparente illogicità economica insita in un simile provvedimento, ed interpretata quindi come 27 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare frutto della propaganda greca contro i Punici sviluppatasi in Sicilia, dove le due etnie erano in perenne scontro. In realtà, come avevo già adombrato in un vecchio scritto, notando la sostanziale assenza di produzione vinaria in Sardegna (G. Pianu, Contributo ad un corpus delle anfore romane in Sardegna, Arch. St. Sardo 1980, p. 11 ss.) agli inizi del dominio romano, oggi buona parte degli storici propende per una rivalutazione della notizia, legata ad una decisione “economica” cartaginese che avrebbe imposto in Sardegna la monocultura cerealicola, destinata a soddisfare le proprie esigenze di grano ed a salvaguardare le culture pregiate del territorio attorno a Cartagine. Ed è normale che l’abbondanza di campi coltivati abbia favorito l’esportazione da Cartagine in Sardegna di un culto come quello di Demetra, culto che d’altra parte, come ho detto, riprendeva sentimenti religiosi atavici della nostra isola. Non è dunque un caso che in siti di pianura o di altipiano dove abbondanti erano le coltivazioni troviamo inseriti culti “demetriaci” o ad essi assimilabili. Cito, fra i più noti, i casi del nuraghe Genna Maria di Villanovaforru e del nuraghe Lugherras di Paulilatino. Nel 238 a.C. i Romani conquistano la Sardegna, ma la politica di destinare le fertili pianure dell’isola alla sola cultura cerealicola non pare abbia avuto modifiche, se è vero che proprio il grano sardo salva Roma da vari momenti di carestia, almeno fino ai primi tempi dell’im- 28 pero. Per i Romani la dea preposta all’abbondanza delle messi si chiama Cerere, che in origine aveva aspetti cultuali abbastanza diversi dalla Demetra greca, ma viene poi ad essa omologata. In Sardegna, soprattutto nella zona Nord, esiste una produzione di specifici ex voto che raffigurano proprio una dea con alto copricapo in cui sono spesso rappresentate in maniera esplicita le spighe. Questa dea, che Cinzia Vismara ha chiamato la Sarda Ceres, è abbondantemente attestata, insieme alle lucerne necessarie al rito, che avveniva di notte, nel materiale proveniente dalla località Sa Turricula di Muros, ma purtroppo tutto ciò non è pubblicato e di conseguenza risulta virtualmente ignoto. Il sito di Sa Turricula è stato infatti scavato vari anni fa da M. Luisa Ferrarese Ceruti, che si è interessata, com’è ovvio, al solo aspetto nuragico dell’insediamento. Si tratta di un sito particolarmente interessante per quanto riguarda l’aspetto relativo all’età del bronzo. Ma anche in epoca romana l’importanza de Sa Turricula doveva essere ugualmente consistente. Il sito controlla, infatti, tutta la vasta e fertile pianura che si apre a valle della cosìddetta Scala di Giocca, verso Sud, cioè il Logudoro e il Meilogu, ma da lì si arriva a vedere, ad Ovest, addirittura Capo Caccia. Non è dunque così stravagante pensare che questo sito, al momento della ripresa dell’insediamento in età romana, sia diventato un luogo di culto della Sarda Ceres, dea specializzata nell’elargire agli esseri umani ottime messi. Questa zona del Logudoro-Meilogu doveva dipendere direttamente dalla grande città romana di Turris Libisonis, odierna Porto Torres, il cui interesse economico non doveva essere legato, come spesso si pensa, alla sola zona della Nurra. In epoca romana la gola del rio Mascari e della Scala di Giocca non era la porta di accesso verso Sassari, come la consideriamo oggi, ma la prospettiva va ribaltata, leggendola da Nord a Sud. Ed i naviculares turritani, attestati nel porto di Ostia da un importantissimo mosaico, non portavano a Roma solo il grano della Nurra ma, io credo, anche quello del Logudoro-Meilogu. Sarebbe quanto mai opportuno effettuare uno “scavo di magazzino” che mettesse in luce tutto il materiale realmente reperito dalla Ferrarese Ceruti nei suoi scavi, per poter capire quali sono stati i diversi sistemi di occupazione del territorio nei vari periodi storici. E in questa moderna fase storica diventa essenziale arrivare ad un radicale ripensamento sul problema generale del paesaggio, che porti ad un momento di studio globale che comprenda, oltre che al semplice censimento, (che spesso risulta una inutile elargizione di fondi per archeologi e società che quasi mai rispettano i protocolli delle moderne tecniche di rilevamento), lo studio di tutti i siti e reperti già scavati. Insomma, uno “scavo dello scavo” potremmo dire, che fornirebbe sicuramente novità forse oggi impensabili. LE MONETE DI SA TURRICULA Francesco Guido Un piccolo gruppo di monete, attualmente conservato nel Medagliere del Museo Nazionale G.A. Sanna, proviene dagli scavi effettuati, a cura della soprintendenza archeologica, negli ultimi mesi del 1976 presso il nuraghe «Sa Turricula» in agro del comune di Muros. Si tratta di 32 esemplari in bronzo; di queste, quattro (nn. 1-4) appartengono a zecca sardo punica (241-238 a.C. circa; 241-215 a.C. circa). Delle monete romane (nn. 5-32) il gruppo più numeroso, tranne la n. 5 (Salonina, dopo il 235 d.C.) appartiene all’età tardo-imperiale (Costantino I. Teodosio I). La frequentazione in età punica è attestata anche da materiale ceramico; uno dei quattro esemplari qui descritti è riferibile al breve periodo della rivolta dei mercenari. Studi recenti hanno collocato l’emissione Core/Toro a d. al periodo della rivolta, attribuendo agli anni dal 241 al 215 quella con Core/Tre spighe. I ripostigli monetali finora osservati hanno messo in evidenza il fatto che la moneta dei ribelli ben difficilmente figura tra quelle in uso nel resto delle genti puniche. MONETE PUNICHE Zecca di Sardegna Rivolta dei mercenari (241-238 a.C. circa). D/Testa di Core, a s. R/ Toro a d.; in alto, astro a otto raggi. Bibl.: SNG, Evelpidis, 727. 1.AE. mm. 13; gr. 4,95; 130°. Zecca di Sardegna (241-215 a.C. circa). D/Testa di Core, a s. R/Tre spighe; su quella centrale, crescente e globo; tra le spighe: a d. lettera mem. a s.; gimel. Bibl.: SNG, Evelpidis, 724. 2. AE; mm. 22; gr. 7,85; 90. D/Testa di Core, a s. R/Tre spighe; su quella centrale, crescente e globo. 3. AE; mm. 20; gr. 3,70; 135°. 4. AE; mm. 19/21; gr. 3,60; 315°. Bibl.: SNG, DNM, North Africa, 251-252. MONETE ROMANE SALONINA Roma; dopo il 253 d.C. D/ [C]OR[NELIA SALONINA AVG]. Busto diad. e drapp a d. R/: VESTA SC. Vesta seduta a s. con patera e scettro. Bibl.: COHEN 145; RIC, V, l, p. 196, 43. 5. AE sesterzio; gr. 16,60; mm. 26/28; 0°. CLAUDIO II Zecca non precisabile; 268.270 d.C. D/ [—]AVD[—]. Testa radiata a d. R/ Indecifrabile. 6. AE antoniniano; gr. 2,05; mm. 8/19. COSTANZO I 7. Alessandria, 296.297 d.C. D/ [FL] VAL CONSTANTIVS [NOB CAES]. Busto rad., drapp. e cor. a d. R/. [CONCORDIA] MI [LlTVM]; ALE in ex. Il principe in piedi a d., in abito militare, riceve una piccola Vittoria su un globo, da Giove, in piedi a S. con scettro. Bibl.: RIC, VI, p. 667, 48 a. 7. AE fraz. di follis; gr. 3,10; mm. 19; 0°. 29 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare COSTANTINO I Treviri, 319 d.C. D/ CONSTANTlNVS MAX AVG. Busto cor. a d. con elmo laur. R/ VICTORIAE LAET AE PRINC PERP. Due Vittorie affrontate reggono uno scudo, posto su un altare, su cui è scritto VOT PR; STR in es. Bibl.: RIC, VII, p. 182, 213. 8. AE follis; gr. 2,70; mm. 17; 0°. COSTANZO II Aquileia, 337.341 d.C. D/ CONSTANT IVSPFAVG. Busto laur. e cor. a d., in paludamentum. R/ GLOR IAEXERC ITVS; A[..] in es. Un’insegna tra due soldati. Bibl.: LRBC, p. 18, 692 b. 9. AE; gr. 1,65; mm. 16; 180°. Roma, 355.360 d.C. D/ DN CONSTAN TIVS PF AVG. Busto diad. e drapp. a d. R/ SPES REI PVBLlCE. Virtus stante con elmo, scettro e globo; R [..] in es. Bibl.: LRBC, p. 60, 691. 10. AE 4; gr. 2,00; mm.17; 180°. Aquileia, 352.354 d.C. D/ DN CONSTA N [TIVS PF AVG]. Busto diad. e drapp. a d. R/ FEL TEMP [REPARATlO]. Virtus a s. colpisce con l’asta un cavaliere che, cadendo, si aggrappa al collo del cavallo. Bibl.: COHEN 45; LRBC, p. 66, 930. 11. AE 3: gr. 2,45; mm. 16;180°. 30 Aquileia, 355-360 d.C. DI [DN CONSTAN] TIVS PF AVG. Busto diad. e drapp. a d. R/ [SPES REI PVBLlCE]; AQ[.] in es. Virtus a s. con elmo, globo e scettro. Bibl.: COHEN 188; LRBC, p. 67, 951. 12. AE 4; gr. 2,00; mm. 15; 0°. Eraclea Tracica, 351.354. d.C. D/ DN CO[NST]AN TIVS PF [AVG]. Busto diad. e drapp. a d. RI [FEL TEMP REPARATIO]; SMHA in es. Virtus a s., colpisce con l’asta un cavaliere che cade da cavallo (braccia alzate). Bibl.: COHEN 45; LRBC, p. 83, 1900. 13. AE 3; gr. 1,80; mm. 17; 135°. Eraclea Tracica, 351-354, d.C. Simile alla precedente. 14. AE 3; gr. 1,55; mm. 17; 180°. Eraclea Tracica, 355.361 d.C. Simile alla precedente. Bibl.: COHEN 45; LRBC, p. 83, 1902. 15. AE 3; gr. 1,45; mm. 18; 270°. 16. Nicomedia, 355-361 d.C. Simile alla precedente. Bibl.: COHEN 45; LRBC, p. 92, 2311. 16. AE 3; gr. 2,15; mm. 18; 0°. Alessandria, 355.361 d.C. Simile alla precedente. Bibl.: COHEN 45; LRBC, p. 103, 2346. 17. AE 3; gr. 2,15; mm. 16; 315°. Zecca non precisabile, 346-361 d.C. 18. AE 3; gr. 2,05; mm. 14; 0°. Zecca non precisabile, 346.361 d.C. 19. AE 3; gr. 1,75; mm. 17; 180°. Zecca non precisabile, 346-361 d.C. Bibl.: COHEN 45. 20. AE 3; gr. l,55; mm. 17; 180°. Zecca non precisabile, 355-360 d.C. D/ [DN CONSTAN] TIVS PF AVG. Busto diad. e drappo a d. R/ SPES REIPVBLlCE. Virtus stante con globo e scettro. Bibl.: COHEN 188. 21. AE 3; gr. 1,65; mm. 18; 180°. Zecca non precisabile, 337-361 d.C. D/ [DN CONSTAN] TIVS PF AVG. Busto diad. e drapp. a d. R/ Indecifrabile. 22. AE 3; gr. 2,10; mm. 17. GIULIANO Zecca non precisabile, 354-363 d.C. Dj DN IVL[IA NVS PF AVG]. Busto diad. e drapp. a d. R/ SPES REI PVBLlCE. L’imperatore stante con globo e scettro. Bibl.: COHEN 42. 23. AE 3; gr. 1,95; mm. 17; 135°. VALENTINIANO I Roma, 367-375 d.C. D/ DN VALENTINI ANVS PF AVG. Busto diad., drapp. e cor. a d. Le monete di Sa Turricula R/ SECVRIT AS REIPVBLlCAE; R PRIMA in es. Victoria a s., con corona e palma. Bibl.: COHEN 37; RIC, IX, p. 121, 24 (a); LRBC, p. 61, 712. 24. AE 3; gr. 2,90; mm. 18; 225°. VALENTE Roma, 367-375 d.C. D/ DN VALEN S PF AVG. Busto diad., drappo e cor. a d. R/ SECVRITAS REIPVBLlCAE; SM[edera]RP in es. Vittoria a S. con corona e palma. Bibl.: COHEN 47; RIC, IX, p. 121, 24 (b); LRBC, p. 61, 725. 25. AE 3; gr. 1,95; mm. 17; 15°. Nicomedia, 364-375 d.C. Simile alla precedente. Bibl.: COHEN 47; RIC, IX, p. 252, 12 (b); LRBC, p. 93, 2329. 26. AE 3; gr. 2,15; mm. 17; 180°. TEODOSIO Zecca non precisabile, 379-395 d.C. D/ [D] N TH [- -]. Testa diad. a d. R/ Indecifrabile. 28. AE 3; gr. 1,4.0; mm. 14. 29-32. AE 3; gr. 1,90, 1,80, 1,25: indecifrabili. Zecca non precisabile, 367-375 d.C. Simile alla precedente. Bibl.: COHEN 47. 27. AE 3; gr. 2,30; mm. 17; 315°. BIBLIOGRAFIA H.Cohen, Description historique des monnaies frappées sous l’empire romain. Rist. Graz 1955. Sylloge Nummorum Graecorum. Grèce. Collection Rèna H. Evelpidis. Athènes, vol. I Italie-Sicilie-Thrace (a cura di T. Hackens - E. Evelpidis). Louvain 1970. Sylloge Nummorum Graecorum. The Royal Collection of Coins and Medals. Danish National Museum. North Africa, Syrtica- Mauretania (ed. G.K. Jenkins), Copenhagen 1969. Late Roman Bronze Coinage. A.D. 324-498. Part I: The Bronze Coinage Of House Of Constantine A.D. 324-346. P.V. Hill and J.P.C. Kent. Part II: Bronze Roman Imperial Coinage of the Later Empire A.D. 346-498. R.A.G. Carson and J.P.C. Kent, London 1960. C.H.V. Sutherland, The Roman Imperial Coinage. Vol. VI, London 1973. P.M. Bruun, The Roman Imperial Coinage. Vol. VII, London 1972. J.W.E. Pearce, The Roman Imperial Coinage, Vol. IX, b London 1972. P.H. Webb, The Roman Imperial Coinage. Vol. V, part I, London 1972. 31 CENNI SU ALCUNI MATERIALI VOTIVI PUNICI E ROMANI DA SA TURRICULA Nadia Canu Fig. 1 - Frammenti di thymiateria: R 293/77 (h 8,4); R 300/77 (h. 5,0); thymiaterion in 5 frammenti (h 13,2). Fig. 2 - Busto fittile femminile, mancante di tutta la parte superiore della testa; sulla parte posteriore, liscia, è inciso a stilo il bollo FRVCT. R 291/77 (h 9,0 cm). Nel dicembre 2006, su interessamento della dott.ssa Usai e con la collaborazione del sig. Stoccoro della Soprintendenza per i Beni Archeologici delle province di Sassari e Nuoro, sono state visionate 4 delle 27 cassette contenenti i materiali provenienti dallo scavo del nuraghe Sa Turricula, condotto nel 1976 da M.L. Ferrarese Ceruti. Nella prima sono conservati reperti restaurati nel 1977, mai esposti al pubblico. È stato presentato alla soprintendenza un progetto per lo studio integrale della documentazione dello scavo e dei materiali, finalizzato all’edizione scientifica e in attesa di finanziamento. Si ritiene utile nel frattempo pubblicare, su concessione del Ministero per i Beni e le Attività culturali, le immagini di alcuni dei materiali votivi fittili che testimoniano una fase di riutilizzo a fini cultuali del nuraghe in età punica e romana. Sono presenti thymiateria e busti femminili del tipo Sarda Ceres. Si rimanda per esigenze di spazio la schedatura analitica degli stessi ad una monografia apposita. Nella didascalia sarà riportato il numero di inventario, quando presente, e l’indicazione delle misure in centimetri. Tra gli altri reperti del contesto, vi sono in prevalenza lucerne bilicni a volute con ansa plastica (Dressel tipo 12-13, Deneauve V B), con e senza bollo, databili al I secolo d.C. 33 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare Fig. 3 - Busti fittili femminili, frammenti di teste. R 295/77 (h. 3,9); 297/77 (h 9,9). Fig. 4 - Busti fittili femminili, ricomposti e integrati dall’intervento di restauro. R 277/77 (h 17,0); 278/77 (h senza integrazione 14,3); 279/77 (h 17,2). Fig. 6 - Frammento di polos, (h 5,3); busti fittili femminili, ricomposti e mancanti della parte superiore. R 286/77 (h 10,2); R 287/77, particolarmente evidenti le tracce di colore rosso e verde (h 9,6). Fig. 5 - Busti fittili femminili, ricomposti e integrati dall’intervento di restauro. R 289/77 (h 14,1); 299/77 (h 16,5). Fig. 7 - Lucerna bilicne a volute con presa plastica in forma di semiluna; disco decorato con disco solare e crescente lunare. Sul fondo bollo QVOLVSIH. Ricostruita da sei frammenti. R 226/77 (lungh. 13,2). BIBLIOGRAFIA Sui thymiateria a testa femminile, espressione del mondo punico in età ellenistica, e la loro diffusione in Sardegna P. REGOLI, I bruciaprofumi a testa femminile dal nuraghe Lugherras (Paulilatino), Roma, 1991; S. MOSCATI, Nuovi studi sull’artigianato tardo-punico in Sardegna, in RSF, XXI, 1993, pp.83-98; G. GARBATI, Religio votiva. Per un’interpretazione storico-religiosa delle terrecotte votive nella Sardegna punica e tardo-punica, tesi di dottorato, 34 Dipartimento di Storia dell’Università di Sassari, AA 2004-2005, pp. 41-43, tab. B; Sui busti di Sarda Ceres, tipologia diffusa nell’area nordoccidentale dell’isola, vedi il catalogo con gli esemplari noti al 1980, esclusi quelli di Sa Turricula, in C. VISMARA, Sarda Ceres. Busti fittili di divinità femminile della Sardegna romana, Sassari, 1980, che ne individua il centro di produzione a Porto Torres, presso il ponte romano; sui ritrovamenti posteriori P. BASOLI, Un busto di Sarda Ceres proveniente da Ozieri (Sassari), in NBAS, 1, 1984, pp. 255-257; M. SOLINAS, D. LISSIA, Sassari. Nuraghe Li Luzzani, in BdA, XLIII-XLIV, 1997, pp. 133-136: Sulle lucerne E. DRESSEL, Lucernarum formae, in CIL X, 2,1, Berolini, 1899; J. DENEAUVE, Lampes de Carthage, Paris 1969. TIPOLOGIE TRADIZIONALI DELL’AMBIENTE URBANO Michele Pintus Una delle condizioni generalmente osservate in Sardegna, per contrarre matrimonio, è che l’uomo abbia una casa, di sua proprietà, possibilmente nuova, dove accogliere la sua compagna e iniziare una nuova vita insieme. Questo certamente era il concetto dominante anche al momento della formazione degli insediamenti, dei centri urbani, come Muros. La casa di riferimento è l’abitazione rurale, composta da un unico locale, almeno nel primo periodo matrimoniale, poi, con l’arrivo dei figli, verrà ampliata in modo da adeguarla via via al numero dei componenti della famiglia. “La casa sarda in modo particolare, dal punto di vista umano, è un elemento dinamico intimamente collegato con la vita dei suoi abitanti… è un elemento in continua innovazione, sensibilissimo e capace di modifiche e di adattamenti fra i più disparati, entro una cornice di arcaismo che sembra sempre più persistente, ma che in effetti è sempre meno reale”.1 Vi è una stretta corrispondenza tra la casa e la famiglia che la abita, come tale quindi è sempre individuale, possibilmente chiusa in se stessa per garantire il massimo della riservatezza. L’accorpamento, quindi l’adattamento nell’ambito urbano impone varianti dimensionali che molto spesso portano a strane e curiose compenetrazioni e sovrapposizioni, soprattutto quando il nucleo principale viene frazionato fra i diversi figli. La caratteristica principale è la semplicità e la sobrietà: nulla di più di quanto non serva, dell’essenziale, e talvolta anche meno. Ciò che porta inevitabilmente a edifici piuttosto poveri non solo dal punto di vista architettonico, ma anche dei materiali impiegati: è sufficiente che assolvano al compito per cui sono stati faticosamente realizzati, cioè protezione, difesa e riservatezza. Le diverse regioni geografiche della Sardegna hanno una propria fisionomia morfologica e ambientale, riscontrabile anche nelle tipologie edilizie; ma possiamo senz’altro dire che, nella parte settentrionale della Sardegna, non esiste un tipo di abitazione nettamente diversa da quella delle altre regioni. Tuttavia, proprio nella parte dove si trova Muros è possibile rilevare alcuni caratteri tipologici omogenei, differenziati rispetto a quelli delle regioni circostanti. Le differenze principali sono rilevabili nelle soluzioni planimetriche, adottate, ma specialmente nella distribuzione interna degli ambienti. Il che determina volumetrie tipiche, assai diverse ad esempio da quelle delle regioni più settentrionali, come la Nurra ma soprattutto la Gallura. Nel quadro delle informazioni che preludono alla fase operativa si ritiene necessario chiarire a quale accezione di “tipo” si fa riferimento; perciò si assume quanto riportato dal Dizionario di Architettura ed urbanistica alla voce “tipo”: “Nell’edilizia, come in ogni altra attività, l’uomo utilizza l’esperienza mediante la memoria, operante a livello di coscienza spontanea, delle risoluzioni di problemi analoghi attuate precedentemente. Queste sono presenti nell’artefice come un corpo di nozioni mutuamente organizzate secondo una finalità unitaria, vero organismo edilizio a priori che, con termine derivante dal greco “tipos”, modello, chiamiamo tipo. In successivi gradi di approfondimento, comprendenti una casistica di possibili organismi similari, sempre più delimitata, il t. giunge ad inglobare un insieme di nozioni sempre più tipiche, in quanto codificazioni di esperienze precedenti, ma difficilmente ripetibili in casi analoghi nel complesso delle loro connessioni: quindi contingenti ed atte, al limite, alla risoluzione di un solo caso particolare, perché derivanti dall’essere l’edificio da realizzarsi indivi- 35 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare duato nel tempo e nello spazio: il t. quindi dà luogo nel suo concretarsi fisico, ad un solo edificio, un nuovo ed unico individuo edilizio... Il t. condiziona l’intera gamma degli oggetti edilizi, senza limitazioni di scala, dal materiale da costruire agli organismi territoriali: è infatti legata al t. la nozione di «materiale», distinto da «materia» in quanto implicante l’uso per il quale è finalizzato, tipico in quanto comprendente, secondo la definizione data, un corpo di cognizioni organizzate mutante organicamente nella storia: un materiale ha forma, dimensioni, resistenza atte ad un uso predeterminato, dal quale si può relativamente prescindere solo a pena di perdita di rendimento; ugualmente tipiche sono le componenti di un organismo territoriale - percorsi, insediamenti, aree produttive, nuclei urbani - e le relazioni intercorrenti tra queste (v. percorso; crinale; controcrinale): tanto che, sulla base di tale tipicità, possiamo verificare, ad esempio, la distribuzione spiccatamente modulare dei nuclei urbani di analoga grandezza, l’omogeneità di comportamento dei percorsi riguardo all’orografia, ecc... Riassumendo possiamo dire che il t. come qui è definito è caratterizzato dall’essere la proiezione logica totale dell’edificio, organismo totale, con una propria storicità dipendente dai differenti margini di individuazione derivanti dall’uso che se ne fa a livello di coscienza critica, in funzione di una scelta pertinente del livello di tipicità adatto; a livello di coscienza spontanea, invece, il t. coincide sempre con il «modello» totale dell’organismo edilizio individuato che viene a formare. Il processo di formazione e di interscambio 36 della tipologia edilizia è dovuto alla derivazione dei vari t. da matrici comuni che, per essere proprie di una base antropica generalizzabile per le differenti culture, anche se realizzata in epoche diverse a seconda dei vari livelli culturali, sono necessariamente simili almeno quanto lo sono gli uomini delle diverse civiltà. A partire infatti da un determinato stadio civile le case di tutte le culture attraversano una fase t. elementare monocellulare di dimensioni attorno ai m 5-6 di diametro o di lato. Abbiamo chiamato altrove questo t. «t. base» o «cellula elementare» in quanto condizionante la formazione dei t. successivi, o «pseudotipi», differenziati per successive aggregazioni e specializzazioni del t. base diversamente caratterizzate a seconda dei vari stadi civili. In ciascun «pseudotipo» il t. base mantiene un certo grado di autonomia, anche nelle associazioni più complesse, divenendo modulo strutturale e funzionale; è anche facile dimostrare che i t. intermedi tra cellula elementare e associazioni più complesse sono leggibili in queste ultime come elementi funzionali-strutturali con una relativa autonomia nell’insieme. Nel processo di variazione del t. assume un ruolo determinante la superficie necessaria alla vita autonoma di ciascuno dei t. base, di dimensioni e forma tipiche, chiamata “area di pertinenza”; questa presenta una persistenza di forma e dimensioni di gran lunga maggiore dell’usuale intervallo cronologico di variazione tra i t., diminuendo la superficie libera di tale area man mano che il t. cresce per lo svolgersi, all’interno di questo, di funzioni anteriormente svolte all’esterno”.2 Va poi chiarita, in particolare, la distinzione tra “edilizia specialistica” ed “edilizia di base”, considerando che: ...l’edilizia specialistica si distingue dall’edilizia di base (residenziale) proprio perché risolve funzioni che non sono residenziali e, quando lo sono (vedi il palazzo), sono secondarie rispetto a quelle che producono la specializzazione del tipo. L’edilizia di base è l’edilizia residenziale, la prima ad essere stata concepita per soddisfare l’esigenza abitativa dell’uomo e quella che resta alla base di ogni processo tipologico. Quindi anche il complesso di esperienze consumate nel campo della edilizia specialistica, ha alla base il processo tipologico dell’edilizia di base.3 Le strutture edilizie presenti nella nostra area di studio risultano essere quasi elusivamente quelle a schiera. Vale pertanto quanto sostenuto da G. Caniggia: ...“I tessuti formatisi nel Medio Evo sono per la gran parte condizionati dai tipi a schiera... caratteri costanti del Tipo a schiera, oltre la misura codificata dell’area di pertinenza in ml 5-6x12-20 circa, sono: le pareti laterali in comune, ovvero adiacenti se con interposto l’ambitus tra case contigue; l’appartenenza al margine di un percorso, di norma utilizzando questo e l’area interna per un duplice affaccio. Ne consegue che le case a schiera tendono a formare tessuti seriali che solo nelle fasi più mature della formazione di un aggregato giungono a formare isolati rigiranti su quattro fronti, mentre usualmente si organizzano linearmente in una prima fase, lasciando vuoti inedificati e seguendo i percorsi matrice...”.4 Concetto, quest’ultimo, ripreso anche da C. Chiappi e G. Villa che sem- Tipologie tradizionali dell’ambiente urbano pre a proposito della casa a schiera affermano: …“Casa a schiera è una casa aggregata in serie con altre dello stesso tipo. Le esigenze poste dalle caratteristiche dell’impianto (fronte esiguo, che ha dimensione di una sola cellula) configura questo tipo edilizio secondo un asse di sviluppo perpendicolare al fronte strada. Tale sviluppo in profondità viene mantenuto durante le fasi (del processo) successive, sino al consolidamento del tipo in linea”.5 L’esame attento del centro storico consente di individuare alcuni «tipi» fondamentali che caratterizzano e qualificano il centro stesso e che pertanto meritano di essere salvaguardati e recuperati al patrimonio culturale della collettività. Il tipo edilizio base trae origine dall’evoluzione de «sa domo» l’abitazione monocellulare primitiva, similmente a quanto è avvenuto per «su casalittu» dell’agro turritano, «su cuile» della Nurra o «su stazzu» gallurese; anche se queste tipologie, per la verità, erano diffuse prevalentemente in campagna, mentre «sa domo» ha costituito il tessuto di base originario del primitivo centro abitato e rappresenta anch’essa la forma più povera ed elementare di abitazione del bracciante o del pastore, non essendo altro che la traduzione «urbana» della capanna rurale. Quest’ultima, infatti, è scomparsa praticamente dappertutto e dove ancora permane è utilizzata solo come ricovero temporaneo. La crescita della famiglia rendeva necessario, come già detto, l’ampliamento della monocellula base, che rispondeva appena ai più elementari bisogni del primo periodo di formazione del nuovo gruppo familiare. Gli ampliamenti andavano di pari passo col suo aumento: essi variano fra la sovrapposizione di una cellula a quella di base e cioè con sviluppo verticale; l’aggiunta di una cellula laterale, con sviluppo in larghezza; l’accrescimento dal lato del cortile con sviluppo in profondità e, infine, le varie combinazioni, con le loro varianti, fra le tre possibilità di sviluppo. Ne risulta una varietà di «tipi» e di costanti, ciascuna delle quali esprime una dimensione familiare, le quali costituiscono altrettanti organismi abbastanza efficienti che si sono confermati in una esperienza plurisecolare. Ancor oggi, a parte le inevitabili innovazioni dovute esclusivamente all’impiego delle nuove tecniche costruttive e dei nuovi materiali, oltre che all’introduzione di quegli indispensabili accessori e servizi di cui nessun consorzio civile può ormai fare a meno, essi si sono mantenuti nella loro impostazione generale e rappresentano le tipologie prevalenti del tessuto urbano. «Sa domo» era all’origine l’alloggio della famiglia appena formata, ma allo stesso tempo rappresentava anche il ricovero notturno degli animali da cortile e dell’asino. Quest’ultimo era utilizzato come animale da lavoro e anche come mezzo di trasporto per raggiungere il campo o l’orto o l’ovile, situati spesso assai lontano dal centro abitato. Condizioni, com’è noto, comuni a molte regioni mediterranee in cui le popolazioni rurali vivono ancora addensate in grossi borghi e che una volta si ponevano in cammino prima dell’alba per raggiungere la campagna circostante da cui facevano rientro al calar del sole. Questa usanza è generalizzata in tutte le zone della Sardegna, al Nord come al Sud. L’uso di dimorare in campagna, come si sa, è nell’Isola quasi sconosciuto, fatta eccezione per il pastore, che una volta lasciava la famiglia in paese e viveva nello stazzo accanto alle pecore, trattenendovisi per lunghi periodi, specie se i pascoli erano reperibili in zone piuttosto lontane. Oggi non è più così ed è sempre più diffusa anche in queste categorie l’abitudine di rientrare in paese alla sera, abitudine facilitata dalla disponibilità, estesa ormai a tutte le categorie sociali, di mezzi meccanici di locomozione. Tutta la vita della piccola famiglia si svolgeva quindi in quest’unico ambiente di 20-30 metri quadrati. Si trattava certamente di uno spazio minimo, appena in grado di soddisfare alle più elementari necessità della vita organizzata, ma il giovane bracciante o il pastore non poteva permettersi di più al momento della formazione della sua famiglia. Provenivano essi infatti, invariabilmente, da famiglie numerose e per potersi sposare dovevano provvedersi di una casa nuova, per quanto piccola, ma di loro proprietà, e soprattutto autonoma rispetto a quelle dei nuclei di provenienza: la coabitazione è infatti un fenomeno inesistente in Sardegna. Tutto era quindi realizzato in grande economia, spesso facendo a meno anche del muratore, al quale essi ricorrevano solo per la soluzione di qualche piccolo problema fuori dall’ordinario. Ma nei casi normali il bracciante e il pastore, capaci di allestire in campagna la capanna per i ricoveri temporanei e i recinti per gli animali erano anche normalmente in grado di costruirsi un alloggio stabile nel centro abitato. 37 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare I materiali non mancavano, perché la natura offriva loro ottime pietre da costruzione, soprattutto la trachite, il basalto, il calcare, e certe arenarie compatte. Queste pietre spesso erano poste in opera promiscuamente, ma talvolta con un certo ordine. I pezzi speciali, come gli stipiti, gli architravi, le soglie, i davanzali, ecc. erano scelti fra pietre di uguale colorazione, solitamente il calcare, ed erano realizzati in elementi monolitici rozzamente sbozzati. Lo stesso dicasi per la copertura, la cui orditura portante poteva essere formata con tronchi di quercia ghiandifera o di frassino o di perastro, una volta assai diffusi, tanto da occupare quasi la metà del territorio. Il manto sottotegola era invece costituito da canne, anch’esse molto diffuse lungo il corso dei tanti ruscelli che scorrono nelle vicinanze. Le condizioni igieniche all’interno de «sa domo» non erano certo eccellenti. L’ambiente, scarsamente illuminato e arieggiato, durante le ore notturne e cioè nel periodo di massimo affollamento, quando la famiglia si riuniva, era anche il solo ricovero per gli animali da cortile (il maiale e le galline erano immancabili) i quali durante il giorno erano liberi di grufolare e di razzolare all’aperto, in mezzo alla strada, ma al calar del sole, venivano raccolti e ricoverati nella capanna. La pavimentazione in terra battuta, su cui gli sposi stendevano la stuoia per la notte, e le pareti spesso prive di intonaco erano comodi ricettacoli per gli insetti. Oltre che per le ragioni sopraddette, le ridotte dimensioni della capanna erano dovute all’addensamento delle cellule elementari all’interno dell’abitato, raccolto attorno a un nucleo origi- 38 nario, costituito molto spesso dai primitivi «muristenes». Questo tipo è inoltre privo di cortile posteriore di modo che il lotto risulta interamente occupato dalla casa. L’indisponibilità di spazi liberi propri rendeva pertanto inevitabile il trasferimento di talune attività familiari nelle aree pubbliche, vie o piazze, che venivano quindi usate alla stregua di corti comuni in cui si lasciavano anche i carri agricoli accanto alle abitazioni dei rispettivi proprietari. Per la stessa ragione la porta di ingresso e la finestra, quando esisteva, erano necessariamente aperte verso la strada, indipendentemente dall’orientamento. Talvolta la cellula dispone di un rozzo soppa1co che occupa solo una parte della superficie. È costituito da un’orditura di tronchi più o meno diritti con un impalcato di rozze tavole o di canne secche affiancate e legate con giunchi. La destinazione tradizionale è quella di deposito di legna da ardere, di pagliaio e di dispensa per viveri (legumi, formaggio, olio, ulive in salamoia, ecc.). Il collegamento a terra avviene mediante scala a pioli, raramente fissa. La copertura è a falda unica, con sgrondo verso la strada (fig. 1). Da questo tipo base, in relazione al crescere della famiglia, del numero dei componenti e di nuovi nuclei che da essa si originano, sviluppano tanti altri che diventano a loro volta tipologie essenziali e caratterizzanti: viene introdotto un disimpegno sul quale si aprono la porta d’ingresso dalla strada e l’accesso alla cellula base, che risulta così un po’ diminuita di superficie. Il disimpegno ha anche la fun- Fig. 1 Fig. 2 Fig. 3 Fig. 4 Tipologie tradizionali dell’ambiente urbano Fig. 5 Fig. 6 Fig. 7 Fig. 8 zione di deposito per la legna e di ricovero notturno per l’asino e gli animali da cortile, che risultano così separati dal resto dell’abitazione (fig. 2); si crea un ampliamento minimo a sviluppo verticale, costituito da due piani monocellula sovrapposti. La sopraelevazione è estesa a tutta l’area di base di modo che la superficie complessiva dell’alloggio risulta di 50+55 mq (fig. 3); In questo caso l’ampliamento rende possibile un minimo di differenziazione funzionale poiché consente la collocazione della camera da letto («s’appusentu») al piano superiore («sa domo ‘e susu») lasciando il vano al piano terreno («sa domo ‘e sutta») per le funzioni diurne: cucina, lavoro, soggiorno, oltre che naturalmente a ricovero degli animali e degli attrezzi e per letto dei figli più grandi. I collegamenti verticali sono assicurati con scale in struttura muraria o in legno, disposte in un angolo interno; avviene poi la sopraelevazione di un tipo base nel quale il disimpegno alloggia la scala in vano proprio, pur conservando, in parte, la funzione di ripostiglio e di deposito di legna da ardere e di altre provviste. La scala è in struttura muraria o in legno, oppure parte in muratura e parte in legno. La parte superiore del vano scala in cui nella versione attuale è possibile ricavare un bagno, è spesso occupata da cassapanche o da una o due brande, destinate ai figli mentre «s’appusentu» attiguo conserva la destinazione esclusiva di camera da letto matrimoniale. Il sottoscala è spesso usato come piccolo deposito di grano da seme («granariu») (fig. 4); Anche in questo tipo il tetto è a falda unica, sovente senza controsoffitto. L’ampliamento minimo è ottenuto con l’aggiunta al piano terreno di una cellula affiancata destinata alla camera da letto, «s’appusentu». Alla cellula primitiva rimangono tutte le altre funzioni di camera da lavoro, cucina «su foghile»), ricovero di attrezzi e di animali. Nella camera da letto spesso è presente una specie di bassa soffitta («su pianu mortu») simile al soppalco già usato nel tipo più elementare, ma esteso a tutta la superficie. L’accesso può aversi pertanto solo attraverso una botola («sa trappa») e il collegamento avviene con una scala di legno raramente fissa. La destinazione di questo ambiente è principalmente a ripostiglio-dispensa (fig. 5); al tipo precedente è aggiunto un disimpegno su cui si apre la porta di ingresso e che immette direttamente a «su foghile» e a «s’appusentu» (fig. 6); si sopraeleva il tipo precedente nel quale il disimpegno è occupato dalla scala, al termine della quale si crea uno spazio di disimpegno che immette nelle due stanze da letto superiori. Anche qui, nella versione moderna, è presente un locale per bagno (fig. 7); al piano superiore dei tipi precedenti è aggiunto un sottotetto («chelarasu» o «isostre») destinato a locale di sgombero e, al solito, a granaio e a deposito di viveri. Il sottotetto talvolta è spezzato e copre solo parzialmente la superficie disponibile, limitandosi al volume avente un’altezza utilizzabile. La parte rimanente è a terrazza e in qualche modo sostituisce il cortile interno mancante (fig. 8); 39 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare il tipo precedente viene esteso all’area di due cellule affiancate. Il sottotetto risulta molto più vasto e costituisce un vero magazzino spesso adoperato come granaio e deposito di legumi da seme, oltre che come rispostiglio e dispensa. Una casa di questo tipo rientra in una speciale categoria, «su palattu», che è l’edificio a due piani con almeno due vani per ciascun piano, oltre al vano scala (fig. 9); il tipo base ha la possibilità di avere un cortile posteriore. In questo caso la cellula elementare dispone di uno spazio libero proprio, il che rappresenta un sensibile miglioramento funzionale. La presenza del cortile, per quanto ridotto, rende possibile ricavarvi il porcile e la stalla per l’asino, la latrina o una piccola tettoia per lo stesso uso. È inoltre possibile trovare uno spazio per accatastarvi la legna da ardere e custodire gli animali da cortile, togliendoli dalla strada. Se lo spazio è sufficiente e il cortile ha un idoneo accesso da una via secondaria è anche possibile introdurre il carro agricolo; in caso contrario esso è lasciato sulla strada (fig. 10); i tipi precedenti si ripetono con il vantaggio del cortile che consente di avere camere in ampliamento che si affacciano su di esso; si arriva al «palattu» che, nella sua forma più completa, è formato da quattro ambienti al piano terra e altrettanti al piano superiore. Un andito centrale, aperto alla strada e al cortile posteriore, disimpegna le quattro stanze ed è abbastanza ampio per contenere anche le scale. Questo disimpegno è a sua volta diviso in due parti: quella anteriore del piano terra, disposta verso la strada, assolve anche al compito di zona di 40 ingresso, mentre quella posteriore immette nelle due camere interne e contiene l‘uscita al cortile. Lo stesso avviene nel piano superiore ove nelle versioni più moderne è anche possibile ricavare una camera da bagno (fig. 11). I primi esempi di questi «palattos», cioè di dimore caratteristiche di grossi proprietari terrieri, risalgono almeno al XVII secolo. La distribuzione prevalente, nella versione, per così dire, più rustica e tradizionale è quella che assegna al piano terreno la cucina, la stanza da lavoro e una o due camere da letto; mentre il piano superiore contiene esclusivamente le camere da letto. Il «palattu» dispone, quasi sempre, del cortile che è costantemente situato nella parte posteriore. Attorno a questo spazio libero, essenziale per il funzionamento della casa agricola, sono posti gli accessori indispensabili: stalle per gli animali da lavoro, fienile, magazzini e tettoie per deposito attrezzi; il porcile, il pollaio, il forno per il pane, il mucchio della legna da ardere, ecc. Il cortile «corrale», ha il suo ingresso carrabile rivolto di solito a una strada secondaria («carrela ‘e segus»), ma esso per la vita d’ogni giorno è certamente il più importante ed è l’unico ordinariamente praticato, essendo quello verso strada riservato come «buono», da aprirsi in caso di visite importanti o per altre occasioni particolari. Per quanto riguarda i materiali da costruzione si è detto che la zona è ricca di giacimenti di trachite, di basalto e di calcare, pietre che localmente assumono nomi un po’ curiosi. Così il basalto, prevalentemente di colore gri- Fig. 9 Fig. 10 Fig. 11 Tipologie tradizionali dell’ambiente urbano terre ad alto tenore di argilla, è quindi la malta adoperata per il collegamento della massa muraria interna. Nel paramento esterno non compare di essa alcuna traccia perché i giunti fra i vari pezzi sono rinzeppati con scaglie di pietrame minuto incuneati a percussione. Si è detto che i muri sono di pietrame grezzo grossolanamente sbozzato disposto in filari sostanzialmente orizzontali. È quasi sconosciuto l’uso della pietra concia che non è adoperata neanche per la formazione delle piattabande delle aperture, ove si ricorre preferibilmente all’impiego di monoliti di trachite o basalto poroso «pedra fumiga» o, più raramente, al calcare. Con gli stessi materiali si inquadrano spesso le aperture aggiungendo agli architravi altri monoliti in corrispondenza sia degli stipiti che delle soglie o dei davanzali. Talvolta questi riquadri sono di tipo e colorazioni diverse da quella del corpo del muro e risaltano rispetto ad esso, introducendo una nota di modesta decorazione. Talvolta gli stipiti e gli architravi sono lavorati allo scalpello con disegni molto semplici. Inizialmente il muro è privo di intonaco, il colore è quindi determinato dal mosaico di pietre naturali che compongono il paramento esterno, ma con il miglioramento delle condizioni economiche, il gusto e il decoro porta alla diffusione dell’intonaco e alla tinteggiatura finale con cromatismi talvolta anche pesanti. Gli orizzontamenti più diffusi sono solai in legno, con orditura di tronchi di quercia o di frassino lasciati allo stato grezzo o grossolanamente squadrati, e impalcato di rozzo tavolate. La volta massiccia è raramente impiegata: il tipo è sempre a botte e la struttura interna in conci di «pedra fumiga» per la sua leggerezza e facilità di lavorazione. I tetti sono prevalentemente a falda unica o a due falde con disposizione «a capanna». Il padiglione è praticamente sconosciuto. Lo sgrondo delle acque avviene senza canali di raccolta, ma direttamente dai coppi disposti a canale che si prolungano all’esterno, sostenuti spesso da un doppio o anche triplo ordine di mensole eseguite con tegole murate e determinano quella caratteristica dentellatura che borda i tetti di quasi tutte le case antiche. 1O. Baldacci, La casa rurale in Sardegna, Centro di studi per la geografia etnologica, Firenze 1952. 3C. 5C. 2Dizionario 4G. gio, è chiamato «pedra ‘e fogu»; il calcare, «su cantone», il basalto poroso, «pedra fumiga», ecc. Infine «pedra ‘e codina» è chiamata un’arenaria molto resistente, impiegata per pezzi speciali. Le pezzature sono irregolari e nella costituzione della struttura muraria interna sono collocate in opera appena sbozzate. Per la formazione del paramento esterno, spesso lasciato a vista, è invece abbastanza ricercata una certa regolarità, anche se spesso le pietre sono di diversa qualità e colore. L’uso del mattone è molto recente: alcuni decenni orsono era del tutto sconosciuto nell’edilizia comune. I legno è largamente usato per la formazione di soppalchi, dei solai intermedi e dei piani sotto tetto e delle coperture. Le essenze più diffuse sono la quercia ghiandifera («chelcu») il frassino («frassu») e, più raramente, il ginepro («zinnibiri»). Il cotto è di uso generalizzato nelle coperture, quasi totalmente in coppi. La struttura portante tradizionale è quindi la muratura massiccia di pietrame di vario tipo e «1udu», fango (lat. lutus). Il fango, formato con NOTE Enciclopedico di architettura e Urbanistica, Istituto Editoriale Romano, 1969. Chiappi - G.Villa, Tipo/Progetto/composizione architettonica, Ed. Alinea, Firenze 1980. Chiappi - G.Villa, op. cit. Caniggia, Strutture dello spazio antropico, Uniedit, Firenze 1976. 41 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare BIBLIOGRAFIA AA.VV., La conoscenza del territorio e dell’ambiente, Enidata S.p.A., Milano 1988. C. Chiappi - G. Villa, Tipo/Progetto/composizione architettonica, Ed. Alinea, Firenze 1980. M. Pintus, Architettura rupestre in Sardegna, Quaderno n. 4, Istituto di Architettura, STEF, Cagliari 1983. AA.VV., Un disegno per il riuso, Edizioni Kappa, Roma 1983. F. Clemente, Relazione introduttiva convegno “Cultura del paesaggio e metodi del territorio”, Cagliari, 20-21 marzo 1986. M. Pintus - P. Piga Serra, Rilievo del quartiere “sas corte” nel centro storico di Bonorva, Quaderno n. 6 Istituto di Architettura, STEF., Cagliari 1983. Dizionario Enciclopedico di architettura e Urbanistica, Istituto Editoriale Romano, 1969. G. Siotto Pintor, Storia Letteraria di Sardegna, Tip. Timon, Cagliari 1843. V. Mossa, Archiettura domestica in Sardegna, Delfino, Sassari 1985. A. Terrosu Asole, Sardegna, Milano 1963. O. Baldacci, La casa rurale in Sardegna, Centro di studi per la geografia etnologica, Firenze 1952. G. Caniggia, Strutture dello spazio antropico, Uniedit, Firenze 1976. 42 IL CENTRO STORICO: ANALISI EDILIZIA E PROPOSTE D’INTERVENTO Caterina Giannattasio Fig. 1 - Muros, il centro storico visto da nord-ovest. Fig. 2 - Muros, espansione edilizia a sud-est dell’abitato tradizionale. Il centro storico di Muros è contraddistinto da un costruito organico e compatto, ricco di significati intrinseci e di secolari stratificazioni, realizzato in una perfetta concordanza di volumi e materiali con il paesaggio (fig. 1), il quale è riuscito a conservare il proprio carattere tradizionale. Ciò, nonostante le incontrollate manomissioni provocate da inopportuni incrementi di superfici e volumi, da sostituzioni edilizie - specialmente in presenza dei rari episodi superstiti di architettura rurale, non più rispondenti alle attuali esigenze funzionali - nonché dalla costruzione di quartieri di nuova espansione, del tutto estranei all’antico agglomerato urbano, che accentuano, peraltro, un inorganico rapporto tra pieni e vuoti (fig. 2). Si tratta, com’è ben noto, di fenomeni perpetuatisi in maniera diffusa nella maggior parte delle nostre città a partire dalla seconda metà del Novecento, e a cui, purtroppo, si continua ad assistere, causati, sostanzialmente, dall’assenza di idonei strumenti legislativi e di un controllo attivo da parte delle autorità responsabili; assenza cui, a livello regionale, si sta cercando di porre rimedio, come dimostra la recente redazione del Piano Paesistico della Regione Sardegna (2006). L’edificato del contesto urbano in esame è ascrivibile, con ogni probabilità, al tardo medioevo - come testimonia la conformazione planimetrica degli isolati - con stratificazioni più tarde, databili al periodo compreso tra il XVI e il XIX secolo, emerse dalla lettura diretta del tessuto edilizio; si tratta, cioè, di episodi di alto valore culturale, tali da imporre la definizione di idonee misure di tutela, rivolte soprattutto agli esempi cosiddetti ‘minori’1, i più vulnerabili al processo di deterioramento per mancanza di riconoscimento dei loro valori intrinseci. L’ipotesi cronologica avanzata, supportata dalle fonti bibliografiche - seppur scarne - iconografiche ed archivistiche, è peraltro coerente con le vicende che hanno investito la cittadina, secondo cui, così come risulta da alcuni documenti2, risalirebbe all’epoca dei Giudicati, quando già compare la denominazione della villa. Nel corso del XIV secolo essa passa agli Aragonesi e, a partire dalla metà del Seicento, ai marchesi Martinez di Montemuros. L’indagine archivistica, tuttora in fieri, ha dimostrato, ancora una volta, le sue potenzialità ai fini della conoscenza, essendo in grado di concorrere efficacemente all’illustrazione della sto- 43 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare Fig. 3 - ASS, Cessato Catasto Terreni, Mappa De Candia, Comune di Muros, Tavoletta 4, 28 decembre 1843, part. Fig. 4 - ASS, Cessato Catasto Terreni, Comune di Muros, Mappa Abitato, Frazione G, s.d. (ma 1852 circa). Fig. 5 - ASS, Cessato Catasto Terreni, Comune di Muros, Mappa Abitato, Frazione G, 1885. 44 ria della coralità edilizia in qualsiasi ambito geografico3. Nello specifico, di grande efficacia è stata la lettura delle piante storiche ottocentesche, e in primo luogo la carta geodetica elaborata da Carlo De Candia4, del 1843 (fig. 3), «al quale il governo aveva affidato il compito di definire su carta, con valore quindi probatorio, i limiti territoriali dei singoli villaggi, fino ad allora stabiliti nella tradizione orale della toponomastica dei luoghi»5. Si è analizzata, inoltre, la prima catastale d’impianto6 (fig. 4), contestualmente al Sommarione7, entrambi redatti conseguentemente all’emanazione della legge n. 1192, del 15 aprile 1851, ove sono indicati, con riferimento a ciascuna particella, accuratamente numerata, i nomi dei proprietari e la consistenza dei rispettivi beni, distinguendo gli spazi liberi (adibiti a «vigneto», «pascolo», «aratorio», «oliveto», «improduttivo», «orto») da quelli edificati (differenziati in «casa», «casa rurale», «civile») al fine di conteggiare la tariffa d’estimo secondo quanto stabilito dalla Direzione del Censimento prediale8. Tali strumenti, com’è noto, si ponevano come base per l’applicazione della riforma tributaria, che si sarebbe attuata a partire dal 1° gennaio 1853; per cui essi, in considerazione dei necessari tempi di esecuzione, possono ascriversi alla fine del 1852, o forse anche a qualche anno dopo. La planimetria, nonostante sia stata redatta in pieno Ottocento, quando, cioè, le tecniche di rilevamento avevano ormai raggiunto un elevato livello di precisione, mostra notevoli inesattezze, derivanti dal fatto che gli operatori catastali incaricati di redigere i nuovi elaborati «concretarono gli abbozzi parcellari in base ai perimetri già segnati» nelle tavolette del De Candia, molto spesso effettuando rilievi non geometrici, bensì a vista. Tali inesattezze si perpetuano altresì nel grafico di aggiornamento della catastale, del 1885 (fig. 5)9, dove, rispetto alla precedente, sono evidenziate le particelle collocate in aree di nuova espansione, ovvero posteriori al 1852. Nonostante le suddette approssimazioni geometriche10, tali elaborati, confrontati con l’ultimo aggiornamento catastale, del 1971, e con l’aerofotogrammetria attuale, hanno consentito di definire, per ogni fabbrica, il limite ante quem, e quindi di elaborare classi cronologiche evidenzianti lo sviluppo edilizio locale (fig. 6). In dettaglio, si sono indicate le strutture d’impianto anteriori al 1843, quelle attuate nel periodo compreso tra il 1843 e il 1852 circa, tra il 1852 e il 1885, tra gli ultimi anni del XIX secolo e i primi del XX secolo, e quelle erette in pieno Novecento, evidenziando altresì le sostituzioni edilizie avvenute negli ultimi decenni. Tale successione è stata inoltre confermata dall’investigazione della veste architettonica prevalente che contraddistingue il patrimonio edilizio, arrivando, in alcuni casi, a puntualizzare cronologie più remote, riferite al XVI-XVII secolo11. In particolare, il confronto tra la cartografia del De Candia e la prima catastale d’impianto attesta che l’apertura dell’attuale via Garibaldi, e quindi dell’edilizia ad essa prospiciente, è avvenuta proprio in questo La pubblicazione dei grafici storici ivi presenti è stata gentilmente concessa dall’ASS con nota n. 202/IX. 4.1 del 20.01.2007. Il centro storico: analisi edilizia e proposte d’intervento Fig. 6 - Comune di Muros, aerofotogrammetria dello stato attuale, con la definizione cronologica delle strutture. I pallini indicano la perimetrazione del centro storico secondo il P.U.C. vigente. Fig. 7 - Muros, centro storico. Planimetria, su base aerofotogrammetrica, con l’indicazione, per ciascuna unità immobiliare, delle destinazioni d’uso e del numero di piani dell’edificato. 45 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare lasso di tempo, non comparendo nella prima, dove gli isolati XIII e XIV - così come numerati nella fig. 7 - sono accorpati. Inoltre, il V, inopportunamente sventrato tra gli anni sessanta e ottanta del Novecento producendo un vero e proprio vuoto urbano, attualmente segnato da un’edilizia del tutto priva di qualità formale, nella iconografia degli anni quaranta del XIX secolo compare come unico blocco, diviso qualche anno dopo in due parti dal vicolo alla Chiesa, asse posto in direzione est-ovest, a collegamento delle attuali vie Roma e Battisti. Un diverso assetto contrassegnava altresì l’isolato XII, il quale formava, verso oriente, una sorta di triangolo isoscele, con ogni probabilità corrispondente ad un’area verde, poi assorbita nel nuovo assetto per tracciare il tratto settentrionale di via Principe Umberto, con i due lati in linea con via Brigata Sassari e via Roma, 12. Tale conformazione era possibile per l’assenza, fino a metà Ottocento, delle unità immobiliari delimitanti, verso ovest, l’isolato XIII. Come si evince dalla seconda catastale d’impianto, dalla metà dell’Ottocento fino al 1885 il tessuto edilizio non conosce sostanziali incrementi, se non in corrispondenza del tratto settentrionale di via Roma (via Marchese), occidentale di via Principe Umberto (via Fonte) e meridionale di via Brigata Sassari (via Cargeghe), nonché del vicolo Ariosto, asse di nuova apertura. È interessante sottolineare, inoltre, che in tutta la cartografia ottocentesca, in prossimità della chiesa, verso occidente, si annota l’esistenza di uno spazio molto più ampio rispetto a quello odierno, che andava a creare una sorta di 46 sagrato, seppure non in perfetta corrispondenza con l’ingresso al luogo sacro, evidentemente adattato ad un assetto edilizio preesistente; spazio ridottosi, tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, con l’accrescimento dell’isolato VIII verso la gradinata di via Cavour. Da essa si è pure desunta la toponomastica dell’epoca, quando: - via Brigata Sassari era denominata, sin dalla prima metà del secolo, via Cargeghe e poi anche Vittorio Emanuele; - via Battisti era detta carela de adde puttu prima, e via Umberto poi; - via Garibaldi era appellata, così come riferito dal De Candia, carela de su Rettore; - via Principe Umberto era intitolata carela du Cantaru e nel 1885 via Fonte, datando la collocazione della fontana alla seconda metà del XIX secolo; - via Roma si chiamava vicolo alla Chiesa nel tratto meridionale e via Marchese in quello settentrionale, suggerendo l’esistenza di beni di proprietà dei Martinez; - via Eleonora d’Arborea era detta carela de Chiesa e adde puttu, poi via Mazzini. La suddivisione particellare deducibile dalla documentazione storica è stata confermata, come già accennato, dall’indagine diretta, da cui è emerso un tessuto edilizio prevalentemente dato da cellule abitative, ad uso residenziale, con uno o due piani in elevazione (fig. 7)13, coperte con falde semplici o doppie, tradizionalmente rivestite con coppi in cotto e contraddistinte, di regola, da un disegno di facciata semplice ed essenziale che realizza un’autonoma identità figurale. Si è registrata, inoltre, la Fig. 8 - Muros, centro storico. Via C. Battisti, 4. Fig. 9 - Muros, centro storico. Via C. Cavour, 2. Il centro storico: analisi edilizia e proposte d’intervento Fig. 10 - Muros, centro storico. Via Mannu, 5. Fig. 11 - Muros, centro storico. Via C. Battisti, 20. sussistenza di piccoli corpi con diversa funzione (cantine, locali ad uso agricolo, depositi, questi ultimi spesso trasformati in garage), costituite dal solo pianterreno, solitamente con tetto ad una falda, eseguite con tecniche costruttive tradizionali peculiari del luogo. Il censimento dell’abitato è stato condotto con l’esame sincronico degli immobili per forma (tipologie edilizie, scale, composizione di facciate, linguaggio decorativo, disegno di singoli elementi architettonici, quali portali, ornie di balconi e finestre, serramenti, elementi ornamentali) e per materia (materiali e tecniche costruttive), nonché annotando il degrado materico e le alterazioni indotte da utilizzazioni incompatibili14. In dettaglio, si sono investigate le modalità di costruzione adoperate per l’esecuzione di murature, volte, solai, coperture, scale, oltre che di elementi di finitura, catalogando i dati in apposite schede riferite a ciascun immobile, corredate da immagini fotografiche15. Come si accennava prima, nel contesto ‘diffuso’ spiccano, oltre alla chiesa dedicata ai Santi Gavino, Proto e Gianuario e alla fonte pubblica, alcuni organismi di notevole pregio, in sporadici casi presumibilmente riferibili al Cinquecento, in altri al marchesato dei Martinez e, più frequentemente, qualificate da una veste architettonica ascrivibile al periodo compreso tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo. La struttura edilizia più antica sembra quella in via Cesare Battisti, 4 (fig. 8), dove il disegno delle cornici in pietra delle finestre al primo piano richiama modelli algheresi del XVI-XVII secolo16. Altro esempio significativo è rappresentato dal manufatto in via Cavour, 2, marcato da spessori murari consistenti, oltre che da un portale a tutto sesto e dal cantonale ad angolo con via Roma, entrambi in bugnato (fig. 9). La lettura della conformazione planimetrica dell’area, ed in particolare l’assenza di un sagrato antistante la chiesa, cui si è già accennato, farebbe supporre che essa sia anteriore all’ampliamento della stessa, avviato tra la fine del XVI e gli inizi del XVII secolo. Numerosi, invece, sono gli episodi edilizi caratterizzati da un apparato decorativo di gusto sette-ottocentesco, spesso di fondazione riferibile ai primi del Novecento, con esiti formali di una certa qualità, tramite l’uso di un linguaggio essenziale, ma raffinato, che definisce un apparato scultoreo in pietra caratterizzante paraste, cantonali, cornici di balconi e finestre, portali, fasce marcapiano, trabeazioni. Significativi in tal senso sono i corpi in via Roma, 1, via Brigata Sassari, 13, via Mannu, 5 (fig. 10) e via Brigata Sassari, 38. In particolare, gli ultimi due mostrano, in facciata, segni di un precedente assetto, ovvero il primo denuncia l’aggiunta di un piano, di recente fattura, attestata dall’interruzione dei cantonali e dalla posizione dell’originaria trabeazione; il secondo, invece, esibisce un tratto di cornice di coronamento appartenente all’attiguo edificio, oggi non più esistente, come si evince da un’immagine storica17. Quest’ultima evidenzia, peraltro, lo stato dei luoghi antecedente allo sventramento di piazza della Repubblica, nonché la consistenza di alcuni edifici prospicienti via Brigata Sassari, prevalentemente caratterizzati da un solo piano in elevazione; condizione, questa, che si è con- 47 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare servata a tutt’oggi, tranne che per il civico 36, attualmente costruito da due piani fuori terra. Riconducibili con certezza al XX secolo sono, invece, alcune costruzioni non risultanti nelle piante storiche di fine Ottocento, tra cui quella in via Cesare Battisti, 20 (fig. 11), segnata da un apparato decorativo riproponente stilemi settecenteschi, impiegati in corrispondenza delle cornici delle finestre e delle sottostanti specchiature a rombi, della trabeazione a dentelli, ecc., i quali testimoniano un apprezzabile impegno verso la ricerca formale, con risultati di indubbio significato culturale. Di fondazione precedente rispetto a quest’ultimo esempio, ma oggetto di un intervento di ristrutturazione novecentesca, è l’immobile in via Eleonora d’Arborea, 8, dove, coerentemente con la maniera eclettica che contraddistingue l’epoca, viene adoperato un linguaggio liberty (fig. 12). Di più incerta datazione sono gli episodi di edilizia ‘diffusa’, strutture molto essenziali ma di grande interesse, che, come già detto, spesso conservano i tratti originari. Tra essi, collocabili al periodo compreso tra gli ultimi anni dell’Ottocento e i primi del Novecento, talvolta utilizzando un carattere tradizionale, in altri casi sperimentando un linguaggio più innovativo, si evidenziano quelli in via Brigata Sassari, 54, 22 e 29, tutti formati dal solo pianterreno: il primo reca un portale a tutto sesto a bugne, così come le cornici delle finestre e le paraste, con portone in legno inciso con decorazioni floreali e geometriche, il tutto sormontato da una trabeazione a dentelli; il secondo mostra anch’esso un ingresso ad arco a tutto sesto, affiancato, come il caso precedente, da 48 due finestre squadrate; il terzo è caratterizzato da paraste bugnate o trabeazione in pietra, oltre che da decori geometrici. Coevo è lo stabile situato al civico 44 della medesima strada, contraddistinto da un cantonale decorato in stile liberty, oltre a quello in via Roma, 23, marcato da una trabeazione in pietra con medaglioni inscritti in quadrati. Degni di nota sono, inoltre, alcuni manufatti con un piano in elevazione, quali quelli: in via Cavour, 1, dal disegno semplice, segnato da una trabeazione in pietra e da una cornice modanata attorno alla finestra del primo livello; in via Cesare Battisti, 10-12, anch’esso con vani di accesso squadrati e finestre con cornice a dentelli, di tono ingenuo ma decoroso, insieme all’attiguo civico 14, dove la continuità della trabeazione suggerirebbe una precedente unione tra le due strutture; in via Brigata Sassari, 28 e in via Roma, 15, esempi entrambi recanti cantonali a bugne e trabeazione a dentelli decorata. Infine, si segnalano piccole fabbriche ad uso agricolo o adoperate come cantine e depositi, che in taluni casi consentono di analizzare le tecniche costruttive tradizionali. Significative in tal senso sono quelle in via Cavour, 4 e in via IV Novembre, le quali conservano solai lignei (fig. 13) e offrono una lettura delle apparecchiature murarie, entrambe in pietra cantone, ma realizzate con elementi lapidei di differente pezzatura e lavorazione; la prima irregolare, contenuta dalla cornice del vano d’ingresso, in conci ben squadrati, la seconda in blocchi regolari, con ogni probabilità di non remota fattura, come certificherebbe il trattamento Fig. 12 - Muros, centro storico. Particolare del portale d’ingresso e del portone ligneo in via Eleonora d’Arborea, 8. Il centro storico: analisi edilizia e proposte d’intervento Fig. 13 - Muros, centro storico. Solaio ligneo presente in un locale in via IV Novembre. Fig. 14 - Muros, centro storico. Apparecchiatura muraria a vista caratterizzante l’edificio in via Principe Umberto, 14. superficiale della pietra. Rilevanti sono anche i corpi tardo-ottocenteschi siti in vicolo Ariosto, mostranti un’apparecchiatura a conci irregolari in pietra calcarea, con riferimento ad uno dei quali si evidenzia la conservazione di un piano pavimentale in battuto di cemento. Di pregio è pure il civico 14 di via Principe Umberto, della metà del XIX secolo (fig. 14), con muratura squadrata in pietra cantone a vista e trabeazione aggettante, anch’essa composta dal solo pianterreno. In definitiva, tale percorso ha consentito di giungere alla conoscenza di ciascuna unità immobiliare del tessuto antico di Muros, registrandone le caratteristiche peculiari ed individuandone le stratificazioni e le recenti alterazioni, indispensabile premessa per la redazione di un progetto di restauro urbano. In altre parole, l’intento è quello di agevolare l’interpretazione e la cronologia dei manufatti architettonici cosiddetti ‘minori’, ovvero di produrre sussidi che facilitino un corretto approccio per la loro conservazione, rispettoso del valore documentale del patrimonio edilizio e dell’autenticità della materia storicizzata. Da tale premessa scaturiscono alcune proposte operative, volte alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio edilizio autoctono, finalizzate a far conciliare le ragioni della storia con le pratiche esigenze della vita quotidiana. In tale prospettiva si ritiene prioritario, all’interno del Piano Urbanistico Comunale vigente (PUC), riperimetrare il centro storico, al fine di estendere la tutela a settori più ampi del tessuto edilizio. Ciò, superando i margini del costruito riportato nelle catastali d’impianto, ed includendovi episodi di epoca tardo-ottocentesca e novecentesca di elevato valore culturale ed ambientale, dove i rapporti volumetrici sono ancora controllati ed i manufatti ben inseriti nel contesto urbano e paesaggistico (fig. 6). Inoltre, come l’analisi dello stato dei luoghi ha dimostrato, l’edificato è caratterizzato dalla presenza di numerosi episodi, prevalentemente di carattere residenziale, ricchi di significato, che meriterebbero, in alcuni casi, di essere sottoposti a vincolo ai sensi D. Lgs. n. 490/9918. In tal senso, si renderebbe fondamentale l’azione dell’Amministrazione comunale, la quale dovrebbe altresì provvedere all’effettuazione di un’opera di sensibilizzazione ed informazione, finalizzata a coinvolgere la cittadinanza nelle scelte operative, partendo, ovviamente, da una consapevolezza del significato storico e architettonico del patrimonio edilizio locale. Infine, occorrerebbe revisionare il vigente piano particolareggiato riferito alla zona A, redatto nel 2002, ad integrazione del PUC, il quale prevede, in alcuni casi, la possibilità di aumentare i volumi esistenti, solitamente in presenza di strutture col solo pianterreno, cancellando, così, uno dei caratteri più significativi di tale tipologia edilizia. D’altra parte, esso, nella definizione delle categorie d’intervento, fa ovviamente riferimento all’unico strumento legislativo esistente in materia, costituito dalla legge 457/78, a proposito della quale, com’è noto, numerosi ed accesi sono stati i dibattiti, trattandosi di un testo non espressamente volto alla tutela del patrimonio edilizio, bensì ideato con la finalità di recuperare le zone degradate 49 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare dei centri storici e di risolvere il problema della scarsa disponibilità di abitazioni. Secondo tale strumento l’edilizia antica, non essendo differenziata da quella contemporanea, può essere sottoposta alle medesime categorie operative di questa (restauro e risanamento conservativo, manutenzione ordinaria, manutenzione straordinaria, ristrutturazione edilizia, ristrutturazione urbanistica); categorie che denunciano un approccio non rispettoso dei principi della conservazione, come prova, in particolare, la voce “ristrutturazione urbanistica”, che offre la possibilità di modificare il disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale, ovvero di cancellare tracce insediative di elevato valore. Di contro, sarebbe opportuno individuare classi operative di carattere generale, più articolate rispetto alla citata legge, accompagnate dall’elencazione degli interventi puntuali necessari, nel rispetto del carattere peculiare dell’ambito in questione e fondate su criteri conservativi, ovvero sui principi di autenticità, distinguibilità, reversibilità, attualità espressiva e minimo intervento. Notai, XVIII e XIX secolo, e dei Processi verbali di delimitazione del territorio di Muros, riferiti agli anni 1843 e 1845, tutti conservati presso l’Archivio di Stato di Sassari (ASS). Qui vi è la descrizione della ricognizione dei limiti territoriali del Comune con le attigue Sassari, Osilo, Cargeghe ed Ossi, effettuata ad opera degli ingegneri di 2a classe delegati dal governo. in “Archivio Storico Sardo”, vol. XVIII, a. 1930, pp. 3-31; A. RAU, Le origini del catasto in Sardegna, in “Studi economico-giuridici”, XLV (1965-68), pp. 333415; I. BIROCCHI, Per la storia della proprietà perfetta in Sardegna. Provvedimenti normativi, orientamenti di governo e ruolo delle forze sociali dal 1839 al 1951, Milano 1982. 4 ASS, Cessato Catasto Terreni, Mappa De Candia, Comune di Muros, Tavoletta 4, 28 dicembre 1843. 9 ASS, Cessato Catasto Terreni Comune di Muros, Mappa Abitato, Frazione G, 1885. 5 10 NOTE 1 Come scriveva Roberto Pane in Napoli imprevista (Torino 1949, pp. 7-8), «Il tono di una città è dato (…) da quella che si può chiamare la sua letteratura architettonica, l’espressione di una continuità ambientale nel pratico svolgimento della vita urbana con le sue peculiarità di costume e di folclore, nel riecheggiamento artigiano e popolare dell’arte aulica; in quello che si suole comunemente dire il colore locale e che non è pura accidentalità destinata a fornire pittorici spunti, ma il volto stesso della storia nella sua stratificazione, la presenza viva del passato nella sua forma più generale». 2 Cfr. G. CASALIS, Dizionario geografico storico-artisticocommerciale degli stati di S.M. il re di Sardegna, vol. X, Torino 1843, pp. 611-613, e in particolare p. 612: «La chiesa parrocchiale ha per titolare il martire San Gavino e un povero fornimento. Nella campagna era già una cappella dedicata a San Giovanni (…). Nel territorio sono vestige di qualche nuraghe. Sono indicate le rovine di un antico paese che dicono Tatareddu, e che aveva per titolare della chiesa San Leonardo. Appariscono le fondamenta d’una gran casa che vuolsi sia stato il palagio marchionale». Cfr. anche M. SCANO (a cura di), Muros, ivi 2004, pp. 1720. 3 Essa necessita sicuramente di approfondimenti, in particolare attraverso la consultazione dell’Archivio dei 50 I. ZEDDA MACCIÒ, Paesaggio agrario e controllo della proprietà fondiaria nella Sardegna dell’Ottocento: il contributo della cartografia, in Ombre e luci della restaurazione (Atti del convegno, Torino, 21-24 ottobre 1991), Roma 1997, p. 471. Cfr. anche A. TERROSU ASOLE, Carlo De Candia e la cartografia geodetica della Sardegna, in “Contributi alla geografia della Sardegna”, III (1956), pp. 55-62. 6 ASS, Cessato Catasto Terreni, Comune di Muros, Mappa Abitato, Frazione G, s.d., ma 1852 circa. 7 Ivi, Cessato Catasto Terreni, Comune di Muros, Sommarione dei beni rurali, Frazione G, s.d., ma 1852 circa. 8 Per approfondimenti circa il catasto cfr. F. LODDO CANEPA, Cenni storici sul catasto in Sardegna in rapporto alla legislazione catastale italiana vigente, estratto dal Dizionario Archivistico per la Sardegna, voce “Catasto”, Cfr. F. LODDO CANEPA, op. cit., p. 11, n. 1, e p. 19. 11 Si precisa che, al momento, l’unico documento in cui si avanzano ipotesi cronologiche, peraltro fondate sulla mera lettura dei caratteri formali, è rappresentato dalle schede di censimento del Catalogo Regionale, A e OA. Compilate nel 1999, esse si riferiscono a soli tre episodi architettonici, ovvero a via Brigata Sassari, 13 (NCTN 10937 e 24062) e 36 (NCTN 10938 e 24063), i quali vengono riferiti al periodo compreso tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, e a via Cavour, 2 (NCTN 10936 e 24060), ascritta alla metà-fine del XIX. 12 D’altra parte, l’icnografia del De Candia riporta semplicemente la conformazione dei lotti, non discernendo i tratti edificati dagli appezzamenti di terreno liberi. 13 L’elaborazione grafica delle figure 6 e 7 è stata curata da Valentina Pintus e Martina Porcu. Il centro storico: analisi edilizia e proposte d’intervento 14 In generale, le patologie e le cause di deterioramento sono date da problemi di umidità di risalita, dalla mancanza di un idoneo sistema di raccolta delle acque meteoriche, dall’assenza di coperture, da scarsa manutenzione o da improprie azioni antropiche. Altro problema diffuso è rappresentato dal disordine formale presente in alcune facciate, provocato, non solo da impropri interventi di ristrutturazione piuttosto recenti, ad esempio con l’inserimento di balconi al posto delle originarie finestre, ma anche dalla disorganica collocazione degli impianti (pluviali, tubazioni, cavi elettrici). Va evidenziato, però, che, nonostante le manomissioni, il costruito ha generalmente conservato l’altezza originaria degli edifici, non superando i due piani. 15 Esse sono state concepite in coerenza con il modello A - ICCD, opportunamente integrato. I dati confluiranno nel SIT del territorio comunale, elaborato nel corso di questo stesso progetto. e l’esecuzione di operazioni diagnostiche tali da consentire la lettura dei paramenti murari, attualmente intonacati. 17 Essa è pubblicata in M. SCANO (a cura di), op. cit., pp. 60-61. 18 È questo, ad esempio, il caso degli edifici in via Cavour, 2 e in via Battisti, 4. 16 Per giungere ad affermazioni più certe si renderebbero necessarie la consultazione dell’archivio dei notai 51 IL COSTRUITO MONUMENTALE Donatella Rita Fiorino Fig. 1 - Veduta di Gaston Vuillier di Scala di Giocca, 1893. L’abitato di Muros è stato trascurato da tutte le rotte dei numerosi viaggiatori che, a partire dal Settecento, hanno percorso la Sardegna, visitando angoli remoti e incontaminati dell’isola e lasciandoci importanti descrizioni delle architetture tradizionali, ma soprattutto monumentali. Anche negli spostamenti tra Sassari e Alghero, gli itinerari seguivano la strada che da Ossi porta verso Tissi, saltando di fatto il piccolo abitato di Muros. Punto di passaggio obbligato era, invece, Scala di Giocca, impropriamente citata dal Vuillier come il vallone di Ossi1, rappresentato in una sua veduta (fig. 1). Significativo è anche un passo de L’itinerario dell’Isola di Sardegna di Alberto Della Lamarmora dove, il vero monumento della tecnica moderna, non va ricercato nelle vestigia del passato o nelle costruzioni dell’abitato, quanto nel piccolo Moncenisio fatto di rampe obbligate e ben condotte dove si gode l’ombra tranquilla dei bellissimi olivi che ricoprono tutto il fianco della montagna. Si tratta dell’“imponente montagna di Scala di Giocca” e della nuova strada tracciata dagli ingegneri piemontesi sotto la direzione del maggiore Carbonazzi, ex allievo del Politecnico, il quale ha preferito attaccare la montagna di fronte piuttosto che girarle intorno, seguendo il tracciato dell’antica via romana, riuscendo a dare sviluppo alla salita in un modo che fa loro il massimo onore. Proprio in prossimità del ponte ai piedi della grande salita per Sassari durante i lavori di costruzione della nuova strada del 1822, lo stesso Lamarmora ritrova il miliario romano risalente all’epoca di Nerone2. Tale scoperta porta ad ipotizzare anche per il semplice ponte a due fornici sul rio Bunnari una remota origine connessa con la rete delle grandi infrastrutture romane che, per l’entità delle dimensioni e l’accuratezza delle tecniche costruttive devono essere annoverate tra il patrimonio monumentale di un territorio. Anche Valery, che nel maggio del 1834 passa per Cargeghe3, non cita il villaggio di Muros. Una tale assenza dalle rotte culturali dei viaggiatori doveva essere determinata dalle condizioni del paese la cui popolazione, come descrive l’Angius nel 1856, non prosperò per le vessazioni degli agenti baronali, nonostante la estensione e la fertilità del luogo4. Trascurato perciò dalle più note e scandagliate fonti dell’architettura della Sardegna, la storia delle fabbriche muresi deve ricominciare dall’analisi diretta del costruito e da una ricognizione più 53 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare attenta delle fonti archivistiche purtroppo ancora non accessibili. L’architettura monumentale, intesa invece come costruito storico con funzione pubblica e valore di rappresentanza, è piuttosto episodica a Muros, limitata alla chiesa parrocchiale, al cimitero e alla fonte urbana con il suo acquedotto, riferibili ad un arco cronologico di ben cinque secoli. LA CHIESA PARROCCHIALE La data di fondazione della chiesa parrocchiale non è documentata. Una lapide murata nella cappella di San Giovanni Battista, consente però di collocarne l’edificazione a fundamentis alla seconda metà del Seicento, per volere del nobile Don Francesco Martinez5, ad esclusione dell’abside, preesistente, con l’altare dedicato ai Santi Martiri Turritani Gavino, Proto e Gianuario, patroni di Muros (fig. 2). La collocazione urbanistica, decentrata rispetto al nucleo insediativo e lo stemma turritano, riprodotto al centro della volta della sacrestia, inducono a ipotizzare una primitiva funzione di oratorio privato o semipubblico di proprietà della nobile famiglia murese. Le indagini archeologiche svolte nel 1992 al di sotto del pavimento della sacrestia hanno però portato in luce una vasta area cimiteriale con tombe e ossario, risalente ai secoli XI-XVI. Tali preesistenze sono dunque da porre in relazione con i registri delle decime conservati nell’archivio Vaticano che attestano, già dal 1341, l’esistenza della Rettoria di Muros. Tali ritrovamenti costituiscono attualmente le uniche testi- 54 monianze della Muros medievale6. L’attuale planimetria della chiesa è il risultato di successive annessioni all’originale impianto che si limitava all’area presbiteriale e all’abside (fig. 3). L’aula centrale, priva di aperture, è coperta con volta a botte, impostata su una esile cornice di imposta modanata. Lo spazio più significativo è però quello costituito dal presbiterio e dal corpo trasversale con le due cappelle laterali affrontate, oggi dedicate a San Giovanni Battista (a sud) e all’Immacolata (a nord), che, per ampiezza e morfologia, acquisiscono dignità di transetto. Prima dei restauri del 1980 il pavimento delle due cappelle era sopraelevato rispetto a quello dell’aula centrale. Le due cappelle sono coperte con volta a botte, impostata su un’ampia fascia modanata, dotata di trabeazione. Quest’ultima presenta, solo per la cappella di San Giovanni, una lavorazione a motivi geometrici, in adesione ai canoni stilistici e decorativi del sottarco a lacunari che divide il catino absidale dal presbiterio (fig. 4). La cappella dell’Immacolata è stata invece annessa solo nei primi anni del Novecento per volere dei coniugi benefattori Marianna Usai e Antonio Giuseppe Tolu, riprendendo le proporzioni e le linee decorative della preesistente cappella, compreso l’oculo reniforme di memoria settecentesca Singolare è, inoltre, la soluzione di copertura dell’incrocio tra l’aula e il transetto, risolta mediante volta a botte con asse nord-sud, ovvero in continuità con le volte delle cappelle laterali, ma impostata ad una quota superiore. Fig. 2 - Lapide a memoria della fondazione della chiesa. Fig. 3 - Planimetria attuale della chiesa. Fig. 4 Trabeazione decorata nella cappella di San Giovanni. Il costruito monumentale Fig. 5 - Cappella dell’Immacolata. Fig. 6 - Veduta verso il presbiterio. Questa sistemazione fa sì che l’attuale aula centrale rappresenti di fatto uno dei bracci della croce planimetrica venutasi a determinare solo dopo le recenti annessioni (figg. 5-8). Ulteriori approfondimenti meriterebbero, a questo proposito, le due finestre unghiate ricavate nella volta a botte centrale, rivolte rispettivamente verso la controfacciata e verso l’abside. Quest’ultima è però attualmente obliterata. Analoghe unghie con aperture sono presenti in entrambe le cappelle laterali. Un’altra apertura doveva essere presente nel muro oltre l’arco di accesso alla cappella di San Giovanni, come testimonia la nicchia con davanzale modanato ancora leggibile sul paramento intonacato. Fig. 7 - Cappella di San Giovani Battista. La porzione più antica della chiesa è però il presbiterio, coperto con volta a crociera e gemma pendula in chiave raffigurante la Vergine Orante. La volta è impostata su peducci due dei quali sono scolpiti con figure antropomorfe, una maschile e una femminile (figg. 9-10). Il catino che copre l’esedra absidale è intagliato a conchiglia e presenta all’apice un motivo a sei foglie, allegoria dei doni dello Spirito Santo (fig. 11). Anche il sottarco, scomposto in lacunari, è decorato con motivi fitomorfi, tipici della tradizione decorativa sarda diffusi tra la fine del ’500 e l’inizio del ’600, così come le paraste sono contraddistinte dal tipico ordine modulare7 ampiamente diffuso nell’architettura sassarese contempora- Fig. 8 - Controfacciata . nea, articolato in bugne verticali alternate a riquadri decorati a motivi fitomorfi, tratti dalla iconografia popolare. Esempi simili si ritrovano a Bonorva o nella chiesa della Madonna della Salute a Pozzomaggiore. Sulla pietra di volta del catino, durante i restauri del 1980 è stato portato alla luce il bassorilievo con la figura di San Gavino a cavallo. Un discorso a parte merita la sacrestia la cui volta, decorata con un bassorilievo in stucco di semplice fattura, ma sicuramente commissionato a stuccatori di provenienza non locale, e realizzato forse a più mani, data la difformità di tecnica esecutiva tra i diversi elementi vegetali rappresentati, ma di cui purtroppo non è stato possibile rintracciare alcuna notizia. Non è 55 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare Fig. 9 - Peduccio sud. Fig. 10 - Peduccio nord. Fig. 11 - Catino absidale. neppure da escludere che una simile decorazione potesse essere presente anche in altre porzioni della chiesa. Infatti la statua lignea del San Giovanni Battista, la balaustra e gli altari in legno rimossi nei primi anni del XX secolo, lasciano la possibilità all’ipotesi che potesse esistere una sovrastruttura barocca della chiesa ormai perduta. Relativamente al prospetto, la semplice facciata è del tipo piano con coronamento a capanna, fortemente caratterizzata dal portale timpanato con nicchia e oculo. Simili composizioni si ritrovano in molte chiese della Sardegna. Alcuni esempi sono il San Teodoro a Paulilatino, il Sant’Andrea a Giave, Santa Maria Maggiore a Bonorva, e anche la parrocchiale di San Giorgio a Semestene, nella partitura centrale, presenta caratteristiche similari. La nicchia ospitava la piccola statua della Madonna con bambino, oggi collocata all’interno della chiesa (fig. 12). Addossato al prospetto sud della chiesa era situato il vecchio cimitero. Alcuni documenti conservano interessanti prescrizioni legate alle pratiche della sepoltura e in particolare agli oneri dovuti in funzione delle onoranze richieste8. In merito alla storia recente della parrocchiale e delle sue vicende costruttive e non, ci è pervenuto un interessante diario di don Renato Loria, che ripropone una lettura degli eventi della comunità ed appunta le spese occorse per la realizzazione di alcuni interventi di manutenzione. Nel 1885 sono documentati pagamenti al muratore Salvatore Piu per il riattamento del cappellone. Nel 1886 si dovette procedere al riattamento esterno del muro laterale della chiesa, nonché alla sostituzione del pavimento a “ismaldu” in terra battuta con ardesie e marmetti. Tra il 1861 e il 1866, essendo rettore Franciscus Alojsius Solinas vennero anche ripristinati gli infissi, e si dovette procedere al riattamento interno, intonaco e bianco, all’apertura di cinque fine- strini, uno in sacrestia e cinque in chiesa, rifatto il portone in legno di pino, la porta del cimitero lavorata alla sarda, fu anche restaurata la porta della sacrestia e la balaustra dell’altare maggiore. È del 1888 la nuova pila per l’acqua santa, costata £. 25, cui fece seguito, nel 1893 la costruzione del fonte battesimale. Si tratta per lo più di lavori di manutenzione. Le più grandi trasformazioni si ebbero, invece, sul principio del XX secolo che si apre, nel 1900, con la riparazione dei tetti. L’anno successivo vennero tinti a finto marmo i gradini e il frontone dell’altare maggiore, sostituito nel 1917 con l’attuale in marmo. Nel 1904 si eseguirono lavori nella cappella di San Giovanni, si sostituì la porta della sacrestia, ma soprattutto venne innalzato il campanile, di cui la chiesa difettava, costato circa tremila lire messe a disposizione dai coniugi Marianna Usai e Antonio Giuseppe Tolu. Agli stessi benefattori si deve nel 1916 la 56 Il costruito monumentale Fig. 12 - Facciata e portale. costruzione di una nuova balaustra e nel 1917 la sostituzione dell’altare maggiore con l’attuale in marmo. Analoga sorte toccò all’altare ligneo nella cappella di San Giovanni Battista che ospitava il simulacro ligneo del Seicento, ancora oggi conservato nella stessa cappella. Entrambi gli interventi della torre e del rinnovo degli arredi sono documentati da una lapide commemorativa. Tale pratica, più che ad una improponibile ispirazione boitiana di documentazione delle stratificazioni architettoniche, si deve al desiderio di immortalare la solita munificenza9 dei benefattori. Altri interventi sono documentati nel 1940 mentre era di stanza a Muros il II Gruppo Artiglieria Reggio Calabria. Il pulpito, del 1951, è invece stato donato dai coniugi Salvatore Marche e Giovanna Maria Morella. Il 12 novembre 1963, in seguito ad una istanza presentata dal Comune di Muros, il parroco don Loria, ottenne dall’economo ordinario diocesano l’autorizzazione all’abbattimento della vecchia casa parrocchiale, fatiscente nonostante i diversi restauri del 1897-98 e del 1908. L’edificio venne quindi raso al suolo e ricostruito a partire dal 1969 sulla parte destra della chiesa ove era situato il vecchio cimitero. Anche lo spazio antistante la chiesa ha subìto delle modifiche. L’attuale scalinata ha sostituito la preesistente ottagonale che caratterizzava il piccolo sagrato, sacrificato alle esigenze della percorribilità veicolare. Di fronte alla chiesa, si conserva ancora un’antica casa, di pertinenza religiosa, l’affitto della quale si applicava, nel 1837, al culto della Vergine del Buoncammino. 57 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare Figg. 13-14 - Planimetria e profili del primo progetto di costruzione del cimitero, recante il visto dell’ingegnere capo dell’ufficio del Genio Civile di Sassari apposto in data 29 marzo 1924. IL CIMITERO MONUMENTALE Dopo la dismissione del piccolo cimitero attiguo alla chiesa parrocchiale, le Comunità di Muros e Cargeghe hanno provveduto alla costruzione del nuovo cimitero monumentale in località Baiolu Mannu. Il progetto è stato avviato nel 1923 dal cav. ing. Gavino Canalis, che nella relazione esplicativa al progetto10, 58 descrive le necessità che hanno portato all’avvio della nuova opera pubblica. Il paese, di 500 abitanti, poteva contare in quel momento del solo cimitero addossato alla chiesa, che occupava una superficie di circa 60 mq. Questo stato di cose aveva come conseguenza il fatto che dovessero essere esumati i cadaveri per poter consentire nuove sepolture. Fig. 15 - Finestre rastremate nel prospetto del cimitero monumentale. Il terreno prescelto per la nuova opera, situato a circa 200 metri a valle dell’abitato, era raggiungibile mediante una strada vicinale la quale, rettificando qualche muro a secco, può essere resa carrozzabile. L’ingegnere dichiara in relazione di aver largheggiato sul dimensionamento dell’area, su esplicita richiesta della stessa Amministrazione, Il costruito monumentale onde far fronte a casi di epidemia, in cui la mortalità viene più che triplicata, e in considerazione dell’aumento del numero degli abitanti. Compresa una zona di rispetto, l’area dell’esproprio venne stimata in 2.016 mq. L’area rettangolare compresa nel recinto di perimetro 23x36 m, secondo il progetto è suddivisa in quattro quadrati, collocando nel centro una colonna recante la croce. Lateralmente all’ingresso sono progettati due vani di servizio, uno adibito a camera di deposito, l’altro dedicato alle autopsie delle dimensioni di 5x3,50 m e altezza media 3,50 m, pavimentate rispettivamente con quadrelle di Livorno e quadrelle di cemento a pressa. Nella parete opposta è collocata la cappella con sottostante ossario. La cappella ha dimensioni 6x8 m per 6 m di altezza, coperta con volta in mattoni forati. Al di sotto, l’ossario è coperto a volta e munito di bottola. Le ferramenta di porta e finestre hanno spessore sufficiente per la loro resistenza e durata. Tutte le finestre sono munite di inferriate. Attorno ai muri di cinta, alti 3 m, è prevista una fascia di 2 m per tombe private (figg. 13-14). La spesa complessiva stimata è di £. 62.000. Il progetto ha poi subìto diverse modificazioni prima dell’attuale realizzazione. Le prime varianti vengono richieste dalla Prefettura di Sassari in quanto la superficie stimata è ritenuta eccessiva in rapporto alla mortalità di 100 individui in 10 anni, e pertanto si richiede di rivedere il progetto e i relativi espropri, evidentemente da ridimensionare11. Sulla base di questo progetto, il 25 marzo 1926 si tiene il secondo esperimento d’asta per la costruzione del cimitero a mezzo di schede segrete ed a unico e definitivo deliberamento, procedura opportunamente pubblicizzata tramite la stampa locale12. Con sollecito del 18.03.1927 il Comune di Muros invita l’ing. Canalis a provvedere alla revisione del progetto con l’aggiornamento dei prezzi sulla base delle indicazioni fornite dall’Ufficio del Genio Civile. L’archivio storico del Comune conserva il computo metrico a firma dell’ing. Canalis della perizia del 1927. Ancora nel 1929, dopo il sopralluogo della apposita Commissione Tecnico Sanitaria13, il progetto viene rinviato all’ingegnere perché lo integri secondo le indicazioni suggerite dall’Ispettore Superiore del Genio Civile addetto al Provveditorato14. In particolare viene richiesta la sezione del terreno per il computo dei movimenti di terra, qualche particolare costruttivo in ispecial modo decorativo, alla scala 1:10 e la tabella delle espropriazioni, tenendo conto delle correzioni in matita apportate. Con lettera del 26/02/193015 la prefettura di Sassari informa il comune che il progetto compilato dall’ufficio del Genio Civile di Sassari è stato esaminato dall’Ispettore Superiore addetto al Provveditorato alle Opere Pubbliche ed è provvisto del regolare visto di approvazione. Nel settembre del 1930 prendono avvio le procedure per l’espletamento della relativa gara d’appalto per un importo di £. 133.00016. I lavori di costruzione, eseguiti dalla ditta Usai, furono collaudati nel 193117. Di esso si conserva il fronte principale con le cappelle cimiteriali affrontate, disposte secondo uno strin- gente criterio di simmetria e caratterizzate da quattro finestre rastremate (fig. 15). Interessanti anche alcune cappelle di famiglia sia nella parte competente al Comune di Muros che in quella di Cargeghe. Dopo i recenti lavori di restauro, i fabbricati si presentano in ottimo stato di conservazione. LA FONTE PUBBLICA E L’ACQUEDOTTO La fonte pubblica è stata costruita alla sommità della via Principe Umberto nella seconda metà del XIX secolo ad opera di maestranze locali, per rendere fruibile alla popolazione l’acqua dell’attigua sorgente. Contraddistinta da una planimetria regolare, la muratura in elevato è realizzata in cantoni di calcare ben squadrati posti in opera su corsi regolari con spessi commenti in malta di calce. Nel prospetto, una nicchia appena accennata in profondità è conclusa da un arco di scarico; al di sopra il cornicione aggettante nasconde il profilo a timpano ribassato del tetto a due falde. Prima che venisse collocato il tubo centrale, l’acqua sgorgava direttamente attraverso due cannule posizionate sui mascheroni. Questi danno alla semplice composizione un tono di elegante monumentalità. La vasca di raccolta, preceduta da tre scalini, viene sporadicamente utilizzata anche come lavatoio, dopo la recente demolizione di quello ottocentesco al posto del quale sorge oggi la cabina dell’Enel18 (figg. 16-17). La datazione è suggerita da un verbale d’adunanza della Giunta municipale del 3 settembre 1891 conservato presso l’archivio comunale che informa che il pubblico lavatoio trovasi in 59 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare disordine, occorrendovi riparazioni nel pavimento, essendo consumato quello esistente come pure occorre rimettere le pietre del davanzale o del parapetto19. Sono ancora documentate, successivamente, altre riparazioni alla fonte e al lavatoio a partire dai primi anni del Novecento. Nel 1916, negli atti del Consiglio Comunale si fa presente che il pubblico lavatoio ha bisogno di essere ingrandito e modificato, onde evitare che alcune malattie si possano comunicare da una famiglia a un’altra; come pure si è riconosciuto il bisogno di modificare l’uso del lavare delle nostre donne di servizio e delle nostre massaie; e ciò affinché l’acqua sia rinnovata con maggiore frequenza e rimanga più pulita. Tuttavia non fu possibile in quel frangente avviare i lavori di riparazione e ampliamento perché non si disponeva dei materiali da costruzione necessari il cui costo era ormai salito a prezzi favolosi. Pertanto il consiglio, pur approvando il progetto dei lavori, sospende di deliberare in merito sino a che non sia terminata la guerra20. Il 24 luglio 1921, il consiglio comunale, riunito in seduta straordinaria, rileva che “la fonte pubblica da cui attinge e si provvede l’acqua necessaria al paese, ha bisogno di urgente riparazione e la giunta ha affidato lo studio all’ingegnere cav. Gavino Canalis, il quale si è recato sul posto e ha comunicato a questa Amministrazione una apposita relazione”. I lavori consistevano nella rimozione della vegetazione sovrastante, nella costruzione di un pozzetto di presa in muratura idraulica coperta con volta in mattoni intonacati a cemento con 60 la platea e l’estradosso in cls, opere stimate in 2.000 lire attinte, per l’urgenza dell’opera dal fondo depositato dall’amm.ne comunale presso “Cassa postale di risparmio” in due distinti libretti, dando incarico che venisse eseguito con la massima celerità. I lavori erano finalizzati all’aumento della portata e ad impedire l’inquinamento dell’acqua. Il 17 aprile 1922 il consiglio comunale, riunito in seduta ordinaria primaverile, delibera di prelevare altre 5.000 lire per i lavori da eseguirsi sulla tubatura della fonte pubblica in quanto l’ing. Canalis aveva ravvisato delle perdite e l’intorbidamento dell’acqua durante la stagione delle piogge. Nei documenti si ritrova la preoccupazione per la situazione della fonte pubblica e il pericolo di condannare la popolazione ad approvvigionarsi d’acqua dalle fonti di campagna collocate a notevole distanza dall’abitato e non sufficientemente affidabili sotto il profilo della salubrità perché scaturite direttamente dal suolo e quindi facilmente inquinabili. Verificato che la fonte attingeva da filtrazioni e non direttamente dalla polla, l’ing. Canalis propose alcuni lavori di sistemazione tra cui le opere per la ricerca delle sorgenti e la realizzazione della relativa galleria di accesso, scavata in trincea, la sostituzione delle tubazioni in cotto con tubi metallici e la realizzazione di un serbatoio. Una lettera del 1925 dell’ing. Capo P.L. Carloni, dichiara, a distanza di due anni dalla realizzazione, avvenuta nel 1923, la buona riuscita dei lavori e il regolare funzionamento degli impianti. Il problema dell’approvvigionamento idrico e Fig. 16 - Il vecchio lavatoio pubblico recentemente demolito. Fig. 17 - Attuale sistemazione dell’area dove sorgeva il lavatoio. Il costruito monumentale Fig. 18 - Attuale stato di degrado della fontana. della qualità dell’acqua è stato sempre molto sentito nel territorio di Muros e in tutti i comuni del I Circondario, come si evince dalla fitta corrispondenza tra le Amministrazioni Comunali e la Prefettura di Sassari a partire dagli anni Venti dello scorso secolo. Una lettera del 6 dicembre 1923 inviata dalla Prefettura segnala che “non ostante i ripetuti richiami e le disposizioni in precedenza impartite, la sorveglianza sulle sorgenti, sulle rispettive zone di protezione, sui serbatoi per l’alimentazione idrica dei centri abitati viene […] qua e là trascurata dalle autorità locali e che il controllo igienico da parte degli ufficiali sanitari sulla manutenzione e cura delle suddette opere viene esercitata troppo saltuariamente o talvolta in modo inadeguato”.21 Bisogna, infatti ricordare che esistevano apposite agevolazioni governative per la derivazione delle acque per uso pubblico a mezzo di apposito acquedotto22. In vista del Piano Regolatore delle Opere Pubbliche avviato dal Ministero dei Lavori Pubblici nel 1924, tenuto conto dell’importanza degli acquedotti per il miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie delle popolazioni, già dal marzo del 192423 venne richiesto ai comuni un censimento dei sistemi di approvvigionamento idrico nei loro territori e in particolare la disponibilità d’acqua in relazione al numero di abitanti, l’esistenza o meno di un acquedotto e, nel caso di risposta affermativa, se fosse ritenuto sufficiente, o se, in assenza di acquedotti, il comune disponesse di una o più fontane, specificando la loro ubicazione rispetto al centro abitato. L’alimentazione idrica dei centri abitati era infatti sentita come “il problema più importante per quest’isola” e pertanto si raccomanda che “alle opere riguardanti detta finalità sia assegnato il primo posto”.24 Anche Muros si attivò per la costruzione dell’acquedotto che nel 1924 è già in progetto25, ma si dovrà aspettare gli anni Cinquanta per vederlo interamente ultimato. L’importanza strategica della fonte pubblica emerge con continuità nei documenti dell’epoca e una loro rilettura consente di comprendere la scelta monumentale fatta nella progettazione del manufatto. Attualmente la fonte pubblica è pressoché abbandonata, dopo i grossolani restauri compiuti mediante ristilature e rappezzi di cemento (fig. 18). Anche l’ambiente circostante andrebbe ripulito, assicurando la continua manutenzione del manufatto e del suo ambiente, ormai piuttosto snaturato dalla attigua presenza del locale Enel. 61 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare NOTE 1 VUILLIER G., Les îles oubliées: les Baléares, la Corse et la Sardigne, impressions de voyage, Parigi 1893. Nella riedizione Le isole dimenticate la Sardegna, a cura di A. Romagnino, ed Ilisso, 2002, pp. 110-111. 2 Cfr. IBBA A., Il miliario di Nerone di Scala di Giocca, in questo stesso volume. 3 Nella riedizione, Viaggio in Sardegna, tradotta da M.G. Longhi, ed. Ilisso, Nuoro 2003, pp. 58-59. 4 8 Una nota del sacerdote Antonico Cerchi, rettore tra il 1829 e il 1837, in merito alle funzioni di sepoltura scrive che “non si paga la croce Parrocchiale negli associati di cadaveri se il sacerdote veste la sola stola e cotta. Se si richiede l’Apparato per l’associamento di un cadavere che è rarissimo si richiedono 10 lire. I poveri si accompagnano gratis nel cimitero e senza cera fumaria. 9 Citato da diario di Don Renato Loria, p. 8. Archivio Parrocchiale Muros. V. Angius, Geografia, Storia e Statistica dell’isola di Sardegna in G. Casalis (a cura di), Dizionario Geografico Storico-Statistico-Commerciale degli Stati di S.M. il re di Sardegna, vol. XVIII quater, Sardegna, III, Torino 1856, pp. 159, 203-207. Lettera del Prefetto di Sassari al sig. Podestà di Cargeghe del 13/09/1923, prot. 14172. Oggetto: Mutuo di £. 62.000 per il cimitero (ASCM). 5 12 Sulla storia della famiglia Martinez cfr. TOLU F., La presenza nobiliare a Muros attraverso l’evoluzione degli stemmi di casa Martinez, in questo stesso volume. 6 Per approfondimenti sulle indagini archeologiche si rimanda a ROVINA D., Sepolture di epoca basso medievale presso la chiesa dei Santi Proto, Gavino e Gianuario, in questo stesso volume. 7 Per ordine modulare si intende la ripetizione di elementi geometrici che conferiscono all’ordine architettonico una forte sensazione di verticalismo. Il modulo può essere costituito da un quadrato, un rettangolo, un cerchio, ma anche da motivi decorativi fitomorfi, tratti dalla fantasia popolare. Sull’ordine modulare cfr. FAGIOLO M., voce L’ordine modulare, in “Grammatica e sintassi del “gran libro dell’architettura”. L’ordine e il disordine. La griglia e il magma” in Barocco Latino Americano, Catalogo della mostra, Roma 1980, p. 84, Sull’ordine modulare in Sardegna cfr. KIROVA K.T., FIORINO D.R., Le architetture religiose del barocco in Sardegna, Cagliari 2003, p. 103. 62 10 Archivio Storico Comune di Muros (ASCM). 11 Quotidiano L’isola, mercoledì 3 marzo 1926 (ASCM). 13 Lettera del Prefetto di Sassari al sig. Podestà di Cargeghe del 26/01/1929, prot. 1213. Oggetto: Cimitero di Cargeghe-Muros (ASCM). 14 Lettera del Prefetto di Sassari al sig. Podestà di Cargeghe del 31/05/1929, prot. 9198. Oggetto: Costruzione cimitero (ASCM). 15 Lettera del Prefetto di Sassari al sig. Podestà di Cargeghe del 26/02/1930, prot. 3758. Oggetto: Cargeghe-Muros Cimitero (ASCM). 16 Lettera del Prefetto di Sassari al sig. Podestà di Cargeghe del 18/09/1930, prot. 19965. Oggetto: Cimitero (ASCM). 17 Lettera del Prefetto di Sassari al sig. Podestà di Cargeghe del 15/12/1931, prot. 24067. Oggetto: Avvisi ad Opponendum (ASCM). 18 La fotografia del lavatoio è stata gentilmente messa a disposizione da Chiara Soggiu. 19 Verbale d’adunanza della Giunta municipale, 3 settembre 1891. Oggetto: Erogazione di somma della spesa occorrente alle riparazioni del pubblico lavatoio (ASCM). 20 Estratto del Registro per gli atti del Consiglio Comunale, 15/10/1916. Oggetto: riparazioni da eseguirsi alla fonte e al pubblico lavatorio (ASCM). 21 Lettera da R. Prefettura di Sassari, prefetto Maggioni, ai Sigg. Sindaci I Circondario. Oggetto: approvvigionamento idrico. Prot. Sanità 1180, del 6.12.1923. Archivio Storico Comune di Muros (ASCM). 22 Lettera da R. Prefettura di Sassari, prefetto Maggioni, ai Sigg. Sindaci I Circondario. Oggetto: acquedotti. Prot. Sanità 1151, del 27.11.1923 (ASCM). 23 Lettera da R. Prefettura di Sassari, prefetto Maggioni, ai Sigg. Sindaci I Circondario. Oggetto: acquedotti. Prot. Gabinetto 457, del 28.03.1924 (ASCM). 24 Lettera da R. Prefettura di Sassari, prefetto Maggioni, ai Sigg. Sindaci I Circondario. Oggetto: Piano regolatore di opere pubbliche in Sardegna. Prot. Sanità 8671, del 18.06.1924 (ASCM). 25 Lettera da Sindaco a R. Prefettura di Sassari, prot. 466 del 08.11.1924. SEPOLTURE DI EPOCA BASSO MEDIEVALE PRESSO LA CHIESA DEI SANTI PROTO, GAVINO E GIANUARIO Daniela Rovina Fig. 1 - Muros (SS). Veduta della chiesa dei Santi Proto, Gavino e Gianuario. Nell’ottobre 1992, in occasione dei lavori di restauro nella chiesa dei Santi Proto, Gavino e Gianuario nel centro abitato di Muros, è stato condotto un breve intervento di scavo archeologico nella sacrestia meridionale dell’edificio, dove, appena sotto il massetto della pavimentazione moderna, affiorava la copertura litica di una grande tomba “alla cappuccina”1 (fig. 1). La parte più antica della chiesa a croce greca è rappresentata dall’abside cinquecentesca, mentre gli altri tre bracci sembrano essere stati edificati, insieme alla sacrestia, nella seconda metà del XVII secolo, con un completamento ottocentesco. Le indagini archeologiche hanno evidenziato la destinazione funeraria dell’area in un momento antecedente alla costruzione della chiesa cinquecentesca, forse in relazione ad un precedente edificio di culto. Al di sotto del pavimento della sacrestia sono infatti venute in luce alcune sepolture di diversa tipologia, ascrivibili ad epoca basso medievale: due tombe di notevoli dimensioni, orientate in senso est-ovest, e con copertura litica a doppio spiovente, tre sepolture in fossa terragna delimitate da un muretto a secco, ed un ossario (fig. 2-3). Una sepoltura “alla cappuccina”2 di grandi dimensioni era situata lungo il lato settentrionale della sacrestia, parzialmente danneggiata dalla fondazione del muro perimetrale dell’abside, evidentemente posteriore. Risultava costituita da una fossa ovoidale rivestita lungo il perimetro interno con pietrame medio-piccolo disposto accuratamente, con copertura, parzialmente danneggiata, realizzata mediante grandi lastre calcaree disposte a doppio spiovente; delle lastre poste di taglio alle due testate, si conservava quella occidentale, di forma quadrata, con una croce incisa su entrambe le facce. All’interno si custodivano i resti scheletrici di un inumato adulto, orientato ad est e deposto con le gambe distese e le mani raccolte in grembo, privo di elementi di corredo. Quasi al centro della sagrestia si trovava un’altra tomba “alla cappuccina”, di fattura analoga ed uguale orientamento, rivestita internamente con pietre irregolari di medie dimensioni, una grande lastra naturale posta di taglio alla testata orientale, e quattro grandi spioventi litici per parte nella copertura. All’interno, sul piano di posa di terra, erano deposti due inumati adulti 63 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare affiancati (uno dei quali lacunoso nella parte inferiore) privi di qualunque elemento di corredo o di ornamento personale. Nell’angolo sud occidentale erano inoltre accumulate, in deposizione secondaria, alcune ossa lunghe e due crani, che documentano un prolungato utilizzo della tomba. Ad una quota leggermente superiore ed in posizione adiacente al lato meridionale di questa tomba, sono state individuate altre tre sepolture in semplici fosse terragne orientate ad est e disposte all’interno di una delimitazione con pietre a secco; la posizione del recinto quasi addossato alla cappuccina potrebbe forse individuarne l’appartenenza ad un gruppo familiare. Si trattava di un individuo adulto, deposto con due bambini, uno più grande ed uno più piccolo, poggiati sul petto. L’individuo adulto presentava oltre quaranta piccole asole di rame disposte in due file doppie verticali sul torace e lungo le braccia dal gomito al polso, evidentemente per il passaggio di stringhe o nastri per allacciare il corpetto della veste e le maniche (fig. 4). Inoltre, in posizione non chiara, forse in relazione alle sepolture infantili, sono stati rinvenuti tre bottoncini sferici, anch’essi di rame, a doppia calotta saldata sulla linea centrale, di un tipo ben noto in Italia ed in Europa a partire dal XIII secolo, ed in Sardegna soprattutto tra XIV e XV secolo3. Nell’angolo nord-ovest infine, di fronte all’ingresso della sacrestia, si trovava parte di una tomba, tagliata dal muro meridionale dell’abside, fondato direttamente su di essa, costituita da una fossa rettangolare, orientata in senso 64 nord-sud, priva di copertura, delimitata da muretti di pietre disposte con regolarità e cementate con malta di fango. La tomba, forse originariamente adibita a sepoltura individuale data la scarsa profondità, nel suo ultimo momento di utilizzo fungeva da ossario, contenente al momento dello scavo oltre venti crani ed ossa umane di ogni tipo, sia di adulti che di bambini. Nel riempimento, costituito prevalentemente da ossa con pochissima terra, si trovavano una moneta piemontese di XII-XIII secolo4, e parte di una coppa di maiolica barcellonese a lustro metallico e decorazione “a tripe trazo” databile alla fine del XVI secolo. Se questo ultimo reperto è verosimilmente riferibile al momento dell’edificazione dell’abside, la moneta, probabilmente appartenente ad una della sepolture confluite nell’ossario in deposizione secondaria, costituisce la testimonianza più antica del cimitero, in uso, sulla base delle asole e dei bottoncini sferici, almeno fino al XIV-XV secolo. Le sepolture della chiesa dei Santi Proto Gavino e Gianuario costituiscono, allo stato attuale delle conoscenze, l’unica testimonianza archeologica di epoca medievale nell’abitato di Muros, e sembrerebbero avvalorare l’ipotesi della coincidenza del paese moderno con l’omonima villa di età giudicale, appartenente alla Curatoria di Figulinas nel giudicato di Torres, citata nei Condaghi di San Michele di Salvennor e di Santa Maria di Bonarcado5. Nel 1545 il villaggio di Muros risulta venduto, insieme a quello di Ossi, da Galcerando Cedrelles a Bernardo di Viramont, e successivamente a Durante Guiò di Alghero, i succes- Fig. 2 - Planimetria generale e sezione N-S dell’area di scavo. Fig. 3 - Planimetria e sezioni delle tombe alla cappuccina e dell’ossario in fase di scavo. Sepolture di epoca basso medievale presso la chiesa dei Santi Proto, Gavino e Gianuario sori del quale, nel 1656, lo cedettero a Don Francesco Martinez, che fece costruire, conservando l’abside precedente, l’attuale chiesa dei Santi Proto, Gavino e Gianuario con la sacrestia6. luogo nel 1993, in territorio di Florinas, vicino alla chiesa distrutta di San Salvatore. medievale nelle curatorie di Romangia e Montes, Flumenargia, Coros e Figulinas, Nurra e Ulumetu, in “La Civiltà Giudicale in Sardegna nei secoli XI-XIII. Fonti e documenti scritti”, Atti del Convegno nazionale (Sassari 16-17 marzo, Usini 18 marzo 2001), a cura dell’Associazione “Condaghe San Pietro di Silki”, Sassari 2002, pp. 395-423, p. 406 e 419. Fig. 4 - Asole metalliche. NOTE 1La notizia dell’intervento di scavo è in D. Rovina, Muros (Sassari). Chiesa dei Santi Proto, Gavino e Gianuario, in “Bollettino di Archeologia del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali”, 19-21, 1993, p. 224. Questa breve nota ne ricalca sostanzialmente il contenuto, con alcune integrazioni e modifiche dovute a successivi approfondimenti. 2Il tipo di sepoltura “a cappuccina”, di tradizione romana, perdura fino alla piena epoca medievale realizzata soprattutto in materiale litico anziché laterizio. In Sardegna altri esempi sono documentati nel cimitero di Geridu a Sorso (SS) (M. Milanese). Una sepoltura di analoga tipologia, danneggiata e lacunosa nella copertura, è stata documentata in occasione di un sopral- 3Per l’inquadramento, i confronti e la cronologia delle asole e dei bottoni sferici, cfr. da ultimo D. Rovina, Gioielli e complementi di abbigliamento in Sardegna, in “Sardinia, Corsica et Baleares antiquae” An International Journal of Archaeology, IV, 2006, pp. 193-211. 4Per l’inquadramento tipologico e cronologico della moneta, ringrazio il collega Francesco Guido. 5Per uno spoglio delle fonti documentarie e storiche sul villaggio medievale di Muros, cfr. G. Canu, D. Rovina, D. Scudino, P. Scalpellini, Insediamenti e viabilità di epoca 6V. Angius, Geografia, Storia e Statistica dell’isola di Sardegna in G. Casalis (a cura di), Dizionario Geografico Storico-Statistico-Commerciale degli Stati di S. M. il re di Sardegna, vol. XVIII quater, Sardegna, III, Torino 1856, pp. 159, 203-207. 65 LE FONTI E IL PATRIMONIO IMMATERIALE Francesco Guido Soltanto nell’ottobre del 2003 l’Assemblea Generale dell’UNESCO, a Parigi, votava una Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale. Dopo secoli di pregiudizi e incomprensioni culturali si arriva al riconoscimento internazionale di patrimoni culturali diversi da quelli occidentali: i patrimoni <altri>. Appariva così, di conseguenza, un gravissimo vuoto nel sistema giuridico internazionale della protezione del patrimonio culturale dell’umanità che, fino ad allora, aveva avuto come oggetto unicamente il bene materiale, a detrimento di quelle culture differenziate dal prevalere della caratteristica immateriale. Evidentissimo lo squilibrio, dato che, nella lista dei capolavori dell’umanità, i beni indicati erano tutti di carattere monumentale e materiale (per la maggior parte fisicamente ubicati in paesi occidentali), mentre mancava la rappresentazione di manifestazioni culturali viventi e in prevalenza immateriali, che si articolavano nel sud del mondo. Con la proclamazione dei Capolavori del patrimonio orale e immateriale del 2001 e del 2003 e con la Convenzione UNESCO del 2003, giungono alla attenzione di tutti i patrimoni etnici immateriali che, lasciando il carattere <folclorico>, sovente venato di considerazioni deteriori, sembrano rivestirsi subito di una dignità culturale simile a quella della cultura occidentale. L’uomo occidentale è ancora lontano dalla conoscenza di culture <altre>, dal riconoscimento della dignità umana a popolazioni etniche, dall’accettare l’idea che tutte le società umane producono cultura, ma soprattutto, è privo di quel senso di autocritica che gli faccia vedere le contraddizioni e i limiti della propria cultura. La natura umana ha da sempre avuto timore del <diverso> cosi come del <troppo simile>; di qui la necessità di differenziarsi, sempre di più. Dal Settecento in poi la demoetnoantropologia, nelle sue diverse espressioni e scuole di pensiero ha reso possibile al pensiero occidentale la visione di nuovi ed immensi lidi culturali; un esempio per tutti, ed in epoca più vicina a noi, il contributo del contenuto del “Ramo d’oro” di J. Frazer. La dinamica dello sviluppo delle società umane va ricercato nelle interazioni tra le diverse maniere di affrontare i problemi della quotidianità e nello scambio di esperienze; è l’influenzamento reciproco che porta la <novità>. Ora nella Convenzione per il patrimonio mondiale culturale e naturale, fin dal 1972, l’UNESCO lancia un appello per la salvaguardia delle tradizioni orali, che non ha portato a nulla; solo dal 1980 si è notata sensibilità al problema, nelle Raccomandazioni sulla salvaguardia della cul- tura tradizionale e popolare. La riflessioni maturate in merito alle differenze delle culture demoetnoantropologiche (DEA, in abbreviazione tecnica) hanno inciso nella definizione del patrimonio culturale immateriale, visto come sorgente di diversità, creatività, identità, e come cerniera tra i beni materiali e quelli immateriali, tra l’oggetto e le dinamiche culturali diacroniche. In ambito nazionale ci fu un momento di attenzione per questi beni nel 1978, nel momento in cui si tentava di catalogare queste realtà. Ora, dietro sollecitazione di associazioni culturali come l’AISEA (Associazione Italiana per le scienze etnoantropologiche) queste realtà sono state riconosciute come beni culturali e rientrano tra le categorie tutelate dal Codice dei beni culturali, sono inserite nei titoli delle Direzioni Generali, dei Dipartimenti, delle Soprinten-denze periferiche, soprattutto quelle ai beni storico artistici, prive però della necessaria autonomia. Le stesse professionalità che sono deputate alla cura di questi beni non sono riconosciute, perché rimangono ancora collocate tra gli storici dell’arte e gli archeologi, e difficilmente vedrà la luce in tempi brevi un Istituto Speciale per i beni Demoetnoantropologici. 67 BREVI CENNI SUL VILLAGGIO MEDIEVALE DI IRBOSA (MUROS-SS) Alessandro Soddu Il villaggio di Irbosa, ubicato approssimativamente nell’area di Badde Ivos e Santu Nenardu, faceva parte nei secoli XI-XIII della curatorìa di Figulinas, uno dei distretti amministrativi del giudicato di Torres1. Tale curatorìa era costituita dal territorio degli attuali comuni di Florinas, Codrongianos, Muros, Cargeghe e Ploaghe, più alcune porzioni degli odierni territori comunali di Ossi e Banari, per una superficie di circa 185 kmq. All’interno di questa area si costituì successivamente la curatorìa di Ploaghe, che doveva comprendere l’attuale territorio comunale dell’omonimo villaggio (circa 96 kmq). La regione di Figulinas può essere suddivisa in tre porzioni. La prima è come racchiusa in una grande conca, delimitata a nord dalle colline di Osilo e a sud dagli altipiani sui quali stanno arroccati i centri di Muros, Cargeghe e Florinas: all’interno si trovano due grandi avvallamenti, il Campomela e il Campo Lazzari, e modeste emergenze collinari che creano un alternarsi di monticelli e piccole valli (Saccargia e Codrongianos). Le restanti due parti sono costituite, a nord-est, dal territorio di Ploaghe, dominato dal monte Santa Giulia (617 m), e, a sud-ovest, dal retroterra di Florinas. Nella sua massima estensione, la curatorìa annoverava i centri di Figulinas o Figulinas de Castellu (odierno Florinas), Cotronianu o Codrongianus Susu (odierno Codrongianos), Cotronianu o Codrongianus Josso, Muros, Carieke (antico Cargeghe, situato a valle rispetto all’attuale ubicazione), Briave, Contra, Irbosa, Muskianu o Muscianu, Novalia, Saccaria o Saccargia, Seve o Sea, Urieke o Urgeghe, Ploaghe (allora sede vescovile), Augustana e Salvènnor (questi ultimi tre villaggi andarono a costituire probabilmente la curatorìa di Ploaghe). Tra le poche. ma significative notizie relative al centro di Irbosa, si ha notizia di un’assemblea giudiziaria (corona) tenuta nel villaggio e presieduta dal giudice di Torres Barisone I (seconda metà XI secolo)2, mentre il condaghe del monastero di San Michele di Salvennor menziona un personaggio originario di Irbosa, Pietro de Serra, vissuto a cavallo tra XII e XIII secolo3. Dopo la caduta del giudicato di Torres, nella seconda metà del Duecento, l’intera curatorìa fu acquisita dai marchesi Malaspina, prove- nienti dalla Lunigiana (regione situata tra Toscana e Liguria), che si affermarono come signori territoriali, edificando i castelli di Bosa e di Osilo a controllo dei distretti di Montes, Figulinas, Coros, Planargia e Costavalle4. I Malaspina furono signori di Osilo (cui facevano capo Montes, Figulinas e Coros) fino al 1343, quando il re d’Aragona Pietro IV ereditò dal marchese Giovanni Malaspina tutti i possedimenti sardi della famiglia. Nei decenni successivi la corte regia aragonese procedette a una serie di concessioni di villaggi, terre e opifici in favore di sudditi iberici e di sardi e còrsi fedeli alla Corona, determinando così un progressivo smembramento del dominio ex malaspiniano5. Nel 1358 il villaggio di Irbosa risulta essere spopolato forse a causa delle guerre o della pestilenza di metà Trecento: una statistica fiscale redatta in quell’anno menziona, infatti, la «villa de Ilvossa, la qual és tota endarrocada, que no y habita nangú»6. Nel 1380 il re Pietro IV concede in feudo al sardo Borsolus Sirgo, abitante di Alghero, le villas di Orsi (Ossi), e Sae (centro situato presso Ossi), «sibi invicem contiguas», insieme 69 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare al «saltu de Ilbos, que antiquitus villa esse consuevit»7. Se il villaggio di Irbosa fu abbandonato dai suoi abitanti, che probabilmente ripararono nel vicino centro di Muros, la sua chiesa, intitolata a San Leonardo, continuò a svolgere per lungo tempo un ruolo attivo, per quanto non appaia citata nei resoconti delle decime che le chiese sarde versarono alla Sede Apostolica tra 1341 e 13598. Nel 1495 il canonico di San Leonardo era compreso tra gli otto che componevano il capitolo della cattedrale di Ploaghe9 (la diocesi venne soppressa nel 1503)10. Ed ancora nel 1688 gli atti della visita pastorale dell’arcivescovo di Sassari Juan Morillo y Velarde registrano l’esistenza della chiesa rurale di San Leonardo11. Nel 1843 Vittorio Angius, parlando delle antichità di Muros, dà notizia delle «rovine di un antico paese che dicono Tatareddu e che aveva per titolare della chiesa San Leonardo. Appariscono le fondamenta d’una gran casa che vuolsi sia stato il palagio marchionale»12. Il ricordo da parte dell’Angius dello scomparso villaggio di Tatareddu (letteralmente “piccolo Thathari”, cioè Sassari)13 e la menzione di tracce di murature, confermano l’esistenza dell’insediamento medievale di Irbosa nell’area in cui, nell’estate del 2002, sono stati rinvenuti i probabili ruderi della chiesa di San Leonardo ed i segni inequivocabili dell’antica viabilità. NOTE 1 Cfr. V. ANGIUS, in G. CASALIS, Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli stati di S.M. il Re di Sardegna, vol. 31, Torino, 1833-1856, vol. 6 (1840), voce Figulina, pp. 625-635; A. TERROSU ASOLE, L’insediamento umano medioevale e i centri abbandonati tra il secolo XIV ed il secolo XVII, Supplemento al fascicolo II dell’Atlante della Sardegna, Roma 1974, pp. 44-45; M.G. DONAERA, L’insediamento umano medioevale nella Sardegna settentrionale: i centri abbandonati della curatoria di Figulina, Tesi di laurea Università di Sassari, A.A. 1982-83; A. SODDU, Curatorie e chiese medioevali. La curatoria di Figulina, Tesi di laurea Università di Sassari, A.A. 1990-91. 2 Cfr. Il condaghe di San Pietro di Silki. Testo logudorese inedito dei secoli XI-XIII, a cura di Giulio Bonazzi, Sassari 1900, scheda 31. 3 Cfr. Il Condaghe di San Michele di Salvennor. Edizione critica a cura di P. Maninchedda e A. Murtas, Cagliari San Michele di Salvennor. Patrimonio e attività dell’ab- 70 bazia vallombrosana, Sassari 1997, pp. 82, 96, 198; p. 271 (repertorio toponomastico). Cfr. P. SELLA, ‘Rationes decimarum Italiae’ nei secoli XIII e XIV. ‘Sardinia’, Città del Vaticano 1945. 4 9 Cfr. A. SODDU, I Malaspina e la Sardegna. Documenti e testi dei secoli XII-XIV, Cagliari 2005. 5 Cfr. F. FLORIS, Feudi e Feudatari in Sardegna, I-II, Cagliari 1996, I, pp. 206-209. 6 Cfr. P. BOFARULL Y MASCARÓ, Repartimientos de los reinos de Mallorca, Valencia y Cerdeña, in “Collección de documentos inéditos del Archivo de la Corona de Aragón”, tomo XI, Barcelona 1856, p. 841. 7 ARCHIVO DE LA CORONA DE ARAGÓN, Cancillería, Reg. 1046, cc. 100r-101v (1380, dicembre 8, Saragozza): edito in A. SODDU, I Malaspina e la Sardegna. Documenti e testi dei secoli XII-XIV, Cagliari 2005, doc. 576. Si tratta molto probabilmente del Bartolo Sirigu infeudato nel 1375 del villaggio di Sennori: cfr. F. FLORIS, Feudi e Feudatari in Sardegna, cit., I, p. 190, II, p. 513. 8 Cfr. F. DE VICO, Historia general de la Isla y Reyno de Sardeña, voll 1-7, a cura di F. Manconi, ed. di M. Galiñanes Gallen, Cagliari 2004, vol. 6, pp. 74, 86-87. 10 Cfr. G. SPANEDDA, Una Diocesi sarda del Medioevo. Ploaghe, Sassari 1991. 11 ARCHIVIO STORICO DIOCESANO DI SASSARI, Fondo Capitolare, S.K.4, c. 18v. Cfr. A. VIRDIS, Il sinodo diocesano dell’arcivescovo Giovanni Morillo y Velarde, in “Archivio Storico Sardo di Sassari”, IV (1978), pp. 85-172. 12 Cfr. V. ANGIUS, in G. CASALIS, Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli stati di S. M. il Re di Sardegna, cit., vol. 11 (1843), voce Muros, pp. 611613. 13 Cfr. V. TETTI, I nomi di luogo. Quarta dimensione della Sardegna, Sassari 1995. LA PRESENZA NOBILIARE A MUROS ATTRAVERSO L’EVOLUZIONE DEGLI STEMMI DI CASA MARTINEZ Federico Tolu Innanzitutto cos’è uno stemma e come sono nati i primi stemmi? Il vocabolo “stemma” è di origine greca, στεµµα (adornare, circondare). Significa anche benda o corona e stava ad indicare la corona d’alloro o il ramo d’ulivo circondato di lana, che portavano i supplicanti durante le loro cerimonie. Dal momento che con le corone si soleva adornare le immagini degli antenati, presso i romani la parola stemma passò ad indicare l’albero genealogico le tavole degli avi. L’uso di figure ornamentali sulle armi risale a tempi remoti; nel mondo romano l’emblema più comune era quello dell’aquila; i franchi, invece, usarono dapprima il leone e più tardi il fiordaliso. L’uso di segni distintivi personali su scudi e corazze si diffuse durante il feudalesimo, quando i cavalieri, coperti fin sul volto dalla visiera dell’elmo, avevano assoluta necessità di farsi riconoscere a distanza; gli studiosi di araldica sono concordi sul fatto che gli stemmi nascano intorno all’XI secolo dagli emblemi che venivano riprodotti sulla bandiere degli eserciti medioevali per identificare i soldati di un determinato feudatario, quindi, per una mera esigenza pratica. Dal momento che i guerrieri erano completamente ricoperti dalle proprie armature non era possibile in alcun modo identificarli in battaglia: da ciò la necessità di poterli individuare mediante un emblema araldico sulla bandiera del vessillifero (colui che portava la bandiera). Col passare del tempo, intorno al XII secolo questi emblemi araldici passarono dalle bandiere sulle armature dei guerrieri, in particolar modo sugli scudi dei soldati e diventarono dei veri e propri distintivi di riconoscimento e vennero riportati su delle matrici di bronzo in modo da essere trasferiti su documenti. Nascono quindi i sigilli araldici, annoverati tra i caratteri estrinseci di maggior rilievo in un documento e che in Italia ebbero un uso quasi esclusivamente limitato ai documenti pubblici1. Il sigillo altro non è che l’impronta positiva su una materia plastica, cera o metallo fuso, su una matrice in negativo di pietra o di metallo, per lo più bronzo o acciaio. La materia più comune sulla quale i sigilli vengono apposti è la cera che può essere di diversissimi colori; bianca, rossa, bruna oppure vergine, di colore neutro. Troviamo però anche sigilli su materiale metallico come piombo, argento od oro: esse pren- dono il nome di bolle, perché ottenuti con un globo “bulla” di metallo compresso tra due matrici. Il sigillo qui raffigurato è quello della famiglia Martinez, originaria della Murcia2, che a partire dal 16573 sino alla fine del 1700, fu feudataria del villaggio di Muros, piccolo centro ora in provincia di Sassari e precedentemente agglomerato alla Curatorìa di Figulinas4. I Martinez, dapprima Signori di Muros, acquisirono il titolo baronale e, sotto il dominio sabaudo, nel 1762 a partire da Pietro Martinez5, furono elevati al rango di Marchesi con il predicato di Montemuros. Si tratta di un sigillo di tipo araldico, ovale6; lo stemma raffigurato presenta uno scudo semirotondo o gotico moderno7, sormontato da un elmo a cancelli, chiuso, di pieno profilo a destra, senza corona, circondato da lambrecchini8. All’interno dello stemma, al centro, è rappresentato un quadrupede recante un bastone terminante con una croce, dal quale sventola un vessillo9 quadripartito a coda di rondine. Il quadrupede potrebbe essere un agnello, anzi con certezza sarebbe il comune Agnus Dei, già raffigurato assieme a numerose statue del San 71 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare Giovanni Battista10. L’animale è presentato “in movimento” con la testa rivolta all’indietro nel verso del vessillo e la zampa anteriore destra sollevata (quasi rampante). Forse calpesta un manto erboso. Sotto di esso sono presenti tre foglie trilobate, presumibilmente di vite o fico (molto probabilmente di si tratta di foglie di vite, si veda nota n. 15), disposte orizzontalmente l’una accanto all’altra. Non compaiono altri simboli. È lecito pensare che, poiché lo stemma era stato eseguito per un sigillo, doveva riportare esclusivamente i simboli principali della Famiglia al fine di un rapido riconoscimento su documenti emanati; ma è pur vero che le figure peculiari non venivano mai eliminate; venivano modificati ed adattati quegli elementi puramente decorativi come svolazzi e montanti non compromettenti al fine di un riconoscimento della Famiglia e, cosa ben importante, del suo rango nobiliare. Talvolta una Famiglia nobile faceva costruire diversi sigilli per diversi motivi: aggiunta di simboli in funzione dell’elevazione al rango nobiliare, erosione della matrice, ecc. Questo sigillo, a differenza del precedente è un troncato, sovrastato da una riconoscibile, seppur stilizzata corona tollerata di marchese, circondato non da svolazzi, ma da dei rami, forse di ulivo. Compaiono gli stessi simboli del precedente sigillo (l’agnello e le 3 foglie trilobate di vite) seppur con qualche diversità: l’agnello non è più in piedi ma sdraiato che guarda avanti e contrario è anche il verso del vessillo. Infine, le tre foglie, in basso, sono rette da un 72 gambo più accentuato. Occorre far notare come lo stemma presente sul sigillo sia molto simile alla raffigurazione presente su una lapide rinvenuta presso la Scuola Materna di Muros11; si tratta di una lastra marmorea opistografa che presenta da un lato lo stemma, come nel sigillo appunto, eccezion fatta per l’agnello evidentemente rampante, e dall’altro lato un’epigrafe in lingua spagnola, ancora da decifrare nella sua totalità. Un altro stemma che ho potuto visionare, probabilmente sempre appartenente alla famiglia Martinez, consiste in uno scudo sannitico, contenente un troncato, sormontato da una corona tollerata di Marchese12, con perle grigie disposte a tre a tre l’una accanto all’altra e collocate sopra altrettante punte. La fascia esterna della corona è tempestata di pietre azzurre e rosse alternate, mentre la fascia interna è di color rosso. Lo scudo è affiancato da entrambi i lati da due leoni rampanti, color oro, a bocca aperta e lingua di fuori rivolti verso l’esterno dello scudo, che, con le zampe anteriori, lo abbracciano. All’interno della metà superiore dello scudo, al centro, compare un agnello13 sdraiato, (chiaramente riconoscibile), con le zampe all’interno e la testa che guarda fuori lo stemma, disteso su di un libro14 chiuso, color rosso, posizionato orizzontalmente col dorso verso l’interno dello scudo; stringe tra le zampe anteriori un bastone ove alla punta è attaccato un vessillo rosso a coda di rondine, il tutto in campo azzurro. Nella parte inferiore compaiono tre foglie verdi trilobate di vite15, (quasi sicuramente si tratta di vite potrebbero essere anche di fico o edera, ma non si sono trovati riscontri in altri stemmi visionati), eguali, disposte a semicerchio in campo rosso. Sotto lo scudo vi è una lista bifida dorata con la dicitura “MARTINEZ di MONTEMUROS” in nero. Questo stemma sembrerebbe essere un’evoluzione di quello presente sulla lapide e sul sigillo; infatti la lapide porta la seguente datazione “IVNIO MDCLX” ossia “GIUGNO 1660” anno in cui Muros era solo un possedimento allodiale, di proprietà del “Don Francisco”16, qui non appare né corona, né appaiono altri simboli, come il libro e diversa è la disposizione di quelli già presenti, pertanto si potrebbe ipotizzare che l’aumento degli elementi araldici sia proporzionale all’elevazione del rango nobiliare della famiglia, quindi quest’ultimo stemma potrebbe essere quello nella sua forma definitiva e ultima, cioè della famiglia “Martinez di Montemuros”. Ciò potrebbe trovare riscontro nel fatto che quando la Sardegna entrò a far parte dei possedimenti dei Savoia, questi non riconobbero i titoli nobiliari precedenti poiché rilasciati da un’istituzione spagnola e comunque non più attiva nell’isola, pertanto Don Pietro Martinez dopo aver acquistato vari terreni nelle pertinenze di Muros, fece domanda di infeudazione ed ottenne dalla nuova Casa regnante l’elevazione al titolo di Marchese col nuovo predicato “di Montemuros”17. Lo stemma dei Martinez di Montemuros trova ancora oggi continuità con l’attuale stemma del Comune di Muros, concesso con DPR 6 agosto La presenza nobiliare a Muros attraverso l’evoluzione degli stemmi di casa Martinez 198818. Araldicamente si tratta di un semipartito troncato: nel primo, di rosso, al leone d’oro, impugnante con le zampe anteriori lo spino di rovo secco, di nero, posto in palo; nel secondo, di azzurro, l’agnello pasquale, d’argento, coricato, munito di gagliardetto con il drappo bifido, posto in banda, di rosso e con l’asta, posta in sbarra, di nero; nel terzo, d’argento, alla ruota dentata, di rosso, raggiata di otto, munita di sedici denti, cui sono intrecciate tre spighe di grano, impugnate, di azzurro. Sono presenti, ovviamente, ornamenti esteriori tipici dell’araldica civile. Occorre infatti notare come nel cantone destro superiore dell’attuale stemma del Comune di Muros appaia l’agnello con il vessillo, già presente nello stemma Martinez, seppur rivolto verso l’interno e senza libro, segno inequivocabile di una continuità nell’attuale identità storica e culturale dell’antica famiglia Martinez di Montemuros. loro funzione, in origine, era quella di protezione dell’elmo e quindi del cavaliere dai raggi solari e dalla polvere durante le battaglie, divenne in seguito mero simbolo d’ornamento, cfr. L. Caratti di Valfieri, Araldica, Milano 1996. 12 NOTE 1 Cfr. A. Pratesi, Genesi e forme del documento medioevale, Roma 1979. 2 Città della Spagna sud-orientale, capoluogo della provincia e della comunità autonoma di Murcia, sul fiume Segura. 3 Anno in cui viene ufficialmente acquistato il feudo di Muros ad un’asta, ricavato dalla baronia di Ossi che apparteneva alla Famiglia Gujo, cfr. Francesco Floris, Feudi e Feudatari in Sardegna, Cagliari 1996. 4 La Curatorìa comprendeva inoltre i villaggi di Bedos, Briaris, Cargeghe, Codrongianos, Contra, Florinas, Ilvossa, Muscianu, Noraja, Ploaghe, Saccargia, Salvennor, Seve e Urgeghe, cfr. Francesco Floris, Feudi e Feudatari in Sardegna, vol. I, pag. 156, Cagliari, 1996. 5 Cfr. Francesco Floris, Feudi e Feudatari in Sardegna, voce “Martinez”, vol. I pag. 209, Cagliari 1996. 6 La forma più comune dei sigilli è quella circolare; esistono poi sigilli ovali, a scudo, a losanga, esagonali ed ottogonali. Cfr. A. Pratesi, Genesi e forme del documento medioevale, Roma 1979. 7 Tipo di scudo che nasce intorno al XV secolo, sostituito poi dal cosiddetto “scudo sannitico”, cfr. L. Caratti di Valfrei, Araldica, Milano 1996. 8 Indica gli svolazzi esterni che ornavano lo stemma, la 9 Più precisamente un guidone ovvero una banderuola formata da una lista di stoffa divisa in fondo in due punte, cfr. L. Caratti di Valfieri, Araldica, Milano 1996. 10 All’interno della parrocchia dei Santi Gavino, Proto e Gianuario, a Muros, è presente nella cappella di San Giovanni, un’antica statua del San Giovanni Battista, assieme ad un agnello, venerata dai Martinez di Montemuros; si dice che proprio quella Cappella, dedicata al Santo, fosse stata fatta edificare dai Martinez e a loro riservata, pertanto non si escluderebbe che la grande devozione cattolica non abbia portato i Martinez a scegliere come simbolo dello stemma proprio l’agnello su citato. 11 Si tratta della scuola materna “Maria Immacolata” di Muros; il sito dove negli anni ’60 è stato costruito l’asilo era adiacente all’antica casa parrocchiale (oggi demolita e costruita adiacente alla Chiesa), ed in particolare al cortile dove, secondo fonti orali erano conservati marmi ed altri oggetti provenienti dalla Chiesa, cfr. Nadia Canu, nella relazione redatta dopo il ritrovamento della lapide. cfr. L. Caratti di Valfrei, Araldica, Milano 1996. 13 L’agnello è simbolo di pazienza, cfr. G.B. di Crollalanza, Enciclopedia araldico-cavalleresca. 14 Con tutta certezza si tratta di una Bibbia, o del Vangelo di Giovanni, comunque di un libro sacro a rimarcare la fede profondamente cattolica della famiglia Martinez. Il libro è simbolo di sapienza, erudizione, rispetto della legge ed amore per le scienze, cfr. G.B. di Crollalanza, Enciclopedia araldico-cavalleresca. 15 La vite è simbolo di unione e concordia, cfr. G.B. di Crollalanza, Enciclopedia araldico-cavalleresca. 16 Si tratta di “Don Francesco Martinez”, (X 1663), assessore alla regia governazione di Sassari, che appare con l’appellativo di “Baron Mon(te) Muros” il quale si era fregiato appunto del titolo di barone di Montemuros che aveva assunto infondatamente in occasione della compera di Muros, villa che faceva parte della baronia di Ossi; con atto 29 novembre 1658 il procuratore regio Iacopo Artaldo di Castelvì, marchese di Cea, inibiva allo stesso Don Francesco di usare il titolo di barone, pena la comminatoria di 200 ducati in caso di disobbedienza, cfr. F. Loddo Canepa, Cavalierato e Nobiltà in Sardegna, le prove nobiliari nel Regno di Sardegna, nuove ricerche sul regime giuridico della Nobiltà Sarda. 73 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare 17 Affermazione deducibile da quanto dichiarato in: Francesco Floris, Feudi e Feudatari in Sardegna, Cagliari 1996. 18 Di seguito si riportano, in ordine cronologico, le varie segnature di registrazione: Ministero del Tesoro Ragioneria Centrale -Ufficio Controllo Atti PCM n. 491 del 5.9.88; Corte dei Conti n. 9/285 del 20.9.88; Registro Araldico dell’Archivio Centrale dello Stato del 15.10.88; Registro Ufficio Araldico n. 67 del 5.11.88. 74 ASPETTI DI CULTURA E TRADIZIONI LOCALI A MUROS Teresa Delrio La ricerca sui beni culturali di Muros ha avuto come oggetto lo studio del patrimonio artistico ed etnografico, includendo in quest’ultimo l’insieme di tradizioni e testimonianze della cultura locale, di carattere sia immateriale, come feste, manifestazioni culturali e testimonianze orali, sia materiale, come gli oggetti che testimoniano la vita e le attività degli abitanti del paese, e la sua tradizione gastronomica. Tra i beni immateriali sono state evidenziate le feste religiose, le manifestazioni folkloriche, e la raccolta delle testimonianze orali, con particolare riferimento alle credenze popolari. Tra gli oggetti della cultura materiale sono stati catalogati quelli legati alle attività artigianali, al lavoro dei campi e alla vita quotidiana, ma anche, in particolar modo, gli abiti tradizionali del paese. Come patrimonio artistico è stato rilevato un unico bene, la tela ad olio della chiesa di San Gavino, che ha destato particolare interesse per la storia della sua realizzazione. Infine è stata evidenziata la tradizione gastronomica, soprattutto relativamente alla preparazione dei dolci tradizionali. Al fine della catalogazione è stata fondamentale la ricerca sul campo, attraverso le interviste agli abitanti del paese, in particolare ai membri dell’associazione Pro Loco, spesso coinvolti nell’organizzazione delle manifestazioni folkloriche. La documentazione è stata integrata dalla raccolta del materiale fotografico, acquisito in fase di rilevamento, o preesistente, messo a disposizione dagli informatori o in possesso della stessa Pro Loco. Il prevalere della ricerca sul campo è stato dettato da ragioni ben precise, infatti, sulle tradizioni di Muros in particolare, non esiste una vera e propria bibliografia, l’unica fonte bibliografica disponibile è il libro scritto da Tonino Deriu, attuale presidente della Pro Loco, che racconta la storia di Muros, dalle prime fonti medioevali fino ai tempi moderni, attraverso i ricordi degli anziani e quelli personali dell’autore. La ricerca bibliografica è stata tuttavia un essenziale strumento di confronto, poiché le tradizioni e le usanze di Muros si inseriscono nel comune contesto sardo, in generale, e logudorese, in particolare, sul quale la bibliografia è molto più ricca. I BENI IMMATERIALI Tra i beni immateriali rilevati, come detto, emergono in particolar modo le feste e le manifestazioni folkloriche, la rassegna del coro “Don Renato Loria”, la rassegna del balletto “Antonio Francesco Ruju”, la festa di San Gavino, la festa della Madonna di Buon Cammino, la festa di San Giovanni, Cantos in carrela e la festa di Santa Barbara. Le prime due rassegne presentano varie caratteristiche comuni: sono organizzate nel periodo primaverile, o estivo, e sono curate rispettivamente dal coro e dal balletto di Muros, i cui membri si occupano di invitare altri gruppi, provenienti da diverse zone della Sardegna, che si esibiscono nella piazza del paese con un repertorio composto di testi e balli tipici del folklore sardo. È consuetudine offrire ai gruppi ospiti un pranzo di ringraziamento e ricambiare la partecipazione all’evento, nei loro paesi di provenienza, in occasione di manifestazioni analoghe; questa pratica è detta “a cambiu torradu” e trova le sue radici nel “do ut des” romano. Questa tradizione si è conservata fino all’età contemporanea, in particolar modo nelle piccole comunità agropastorali, e si esprime nel reciproco scambio di doni e di prodotti delle proprie attività, come olio, formaggio, uva e vino, che, spesso veicolati attraverso i bambini, in particolar modo nei periodi festivi, rinsaldavano rapporti di parentela e amicizia. Tra le feste più sentite del paese c’è di sicuro 75 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare la festa di San Gavino, patrono del paese, i cui festeggiamenti iniziano il 23 ottobre e durano per tre giorni; il momento culminante è il 25, quando si svolge la processione per le vie del paese con le statue dei tre Santi, Gavino, Proto e Gianuario. È tuttora viva l’usanza di chiamare un predicatore esterno, cioè di un altro paese, che affianca il prete di Muros nella celebrazione della Messa, per conferire maggiore solennità all’evento. Questa usanza viene rispettatata non solo per la Messa di San Gavino, ma anche per tutte le altre principali cerimonie religiose del paese, come la Messa per la Madonna di Buon Cammino e quella di San Giovanni. La festa della Madonna di Buon Cammino, invece, si svolge annualmente nella terza domenica di settembre ed è seguita dalla processione per le vie del paese con la statua della Madonna. Questa ricorrenza ha carattere essenzialmente religioso, anche se a volte, nella piazza del paese, la serata è chiusa da musica o altri spettacoli. Anche la festa di San Giovanni, il 24 giugno, ha carattere essenzialmente religioso, con la Messa solenne, ed è seguita dalla processione con la statua del Santo. Per molto tempo questa ricorrenza non è stata celebrata; solo recentemente ripristinata, la sua organizzazione è delegata ad un comitato formato essenzialmente da giovani del paese. Durante questa festa viene organizzato anche il tradizionale “fogarone”, il falò nella piazza del paese, sul quale, come in passato, coloro che vogliono suggellare un rapporto di amicizia, usano saltare insieme, tenendo in mano un lungo 76 bastone e pronunciando delle formule rituali; dopo aver ballato insieme le coppie formate sono “compari” e “comari di fogarone”. Anche a Muros quindi troviamo in questa festa i due elementi tipici che essa presenta in tutto il territorio sardo: il fuoco e la creazione di rapporti di comparatico. In passato la festa di San Giovanni rappresentava il momento di stima del raccolto che si stava per realizzare, e si traevano i presagi per gli anni successivi; come in tutte le feste di passaggio o rinnovamento, il fuoco, o il falò cerimoniale rappresentava un elemento purificatorio, e convalidava anche il legame di comparatico. Anche la manifestazione Cantos in Carrela è stata ripristinata solo recentemente, da circa dieci anni, dopo un periodo di abbandono, su iniziativa della Pro Loco di Muros. Si svolge solitamente nei mesi di gennaio o febbraio, ed è organizzata dal coro di Muros, che invita i cori dei paesi vicini a partecipare all’evento. Viene pianificato una sorta di percorso per le vie del paese, con punti di sosta in alcune vie prescelte, dove i cori si esibiscono con un repertorio di canti della tradizione folklorica. Al termine dell’esibizione le persone che abitano nella via selezionata offrono un piccolo rinfresco a base di salumi, formaggi e dolci. La partecipazione dei cori di altri paesi è sempre regolata dall’uso del “cambiu torradu”. Dal rilevamento sul campo è emersa inoltre un’antica festa attualmente abbandonata, quella dedicata a Santa Barbara. Si svolgeva fino a circa venti anni fa nei pressi della polveriera di Campomela, località situata a valle del paese, che ospitava un deposito di munizioni presidiato da militari, nel giorno di Santa Barbara, patrona degli artiglieri, il 4 dicembre, e si articolava in una Messa seguita da una processione nella zona circostante il deposito, terminava poi tra vari festeggiamenti accompagnati da un lauto rinfresco. Col tempo i civili impiegati nella base di Campomela sono stati sostituiti da militari di leva e anche la festa è stata col tempo dimenticata. I BENI MATERIALI E L’ABBIGLIAMENTO TRADIZIONALE L’individuazione dei beni schedati ha preso spunto da una mostra, organizzata nel mese di aprile 2006 dalla Pro Loco in collaborazione col Comune di Muros, allestita nei locali di recente ristrutturazione in piazza Nassirya, destinati ad ospitare, in futuro, altre mostre o un eventuale museo. Si tratta soprattutto di alcuni pezzi di arredamento, ma anche oggetti legati alle attività produttive, al lavoro dei campi, e alla vita quotidiana. I pezzi in migliore stato di conservazione sono senz’altro due letti, realizzati in ferro, con la tecnica della laminatura e provvisti di testiera e pediera, decorate con motivi floreali policromi racchiusi da una cornice color oro. Oltre i vari oggetti originali è stata rilevata la riproduzione di un antico strumento “musicale”, la raganella, detta roeddula, che emette un suono simile al gracidio delle rane, da cui prende il nome, utilizzata nei tre giorni precedenti la Pasqua per annunciare gli orari delle funzioni religiose in sostituzione delle campane, legate in segno di lutto. Aspetti di cultura e tradizioni locali a Muros In questa sezione è stato inserito anche l’abbigliamento tradizionale di Muros, sia maschile sia femminile; prima di descriverli però è necessario fare una piccola premessa. Il vestiario tradizionale della Sardegna è caratterizzato da un’ampia varietà di fogge, colori e accessori, che caratterizzano prevalentemente l’abbigliamento festivo, e in particolare quello femminile. Tale varietà è dovuta sia alla funzione di riconoscimento sociale che esso assolveva, come distinzione tra comunità e ceti sociali differenti, sia dall’influenza della moda della penisola, e da quella esercitata dai vari ordini religiosi che, in alcuni casi, condizionarono l’evolversi delle fogge, favorendo, o no, determinate soluzioni al posto di altre. L’abbigliamento tradizionale di Muros ricalca il modello diffuso nel Logudoro, il vestiario quotidiano e da lavoro era particolarmente semplice, mentre quello festivo, più elaborato, era arricchito di decorazioni e gioielli. Il modello maschile schedato è una riproduzione di quello utilizzato durante la seconda metà dell’Ottocento, di cui purtroppo non si conservano originali, ed è stato riprodotto circa dieci anni fa grazie all’iniziativa dei membri del balletto di Muros. L’abbigliamento femminile, contemporaneo a quello maschile, è invece totalmente originale, benché alcuni pezzi abbiano subito leggeri interventi di restauro. Il vestiario maschile era composto da vari elementi: sa berritta, tipico berretto a sacco di panno nero; su entone, la camicia di cotone, bianca, con collo e polsi lievemente ricamati e increspati; su cosso, il giubbetto, di velluto nero, senza maniche e chiuso a doppio petto; sas ragas nieddas, gonnellino in velluto nero finemente plissettato, fermato in vita con dei lacci e un cinturone di cuoio, aveva funzione di tenere aderenti e sostenere i pantaloni; sas ragas biancas, pantaloni di cotone, bianchi, ampi e lunghi oltre il ginocchio, chiusi in vita e alle estremità delle gambe con degli elastici; sos busighinos, le ghette di velluto nero, servivano come protezione e per allacciare i pantaloni. La parte superiore è chiusa da un laccio, quella inferiore termina con un elastico nero, passante sotto il tacco delle scarpe, costituite spesso da grossi scarponi. L’abbigliamento femminile, invece era così composto: copricapo, su muncaloru ipastu, di seta, quadrangolare, solitamente bianco; camicia, sa camijia, di tela bianca, con una leggera scollatura e maniche larghe, increspate ai polsi; la sciarpa ricamata, s’isceppa, indossata sopra la camicia, ornata da motivi floreali policromi; il busto, s’imbustu, indossato sopra la camicia, costituito da due parti simmetriche di broccato, decorate da motivi floreali policromi, tenute insieme nella schiena da un lungo nastro di seta color rosa. La struttura interna era costituita da stecche di palma nana e due asticelle di ferro, cucite tra tessuto e fodera, che davano rigidità all’indumento. Sopra il busto si indossava il giubbetto, su corittu, che lasciava scoperto il petto e il dorso, consentendo così al busto di rimanere visibile. Veniva realizzato a mano, in un tessuto pregiato, il tirziopelo, di colore rosso o nero, ricamato da motivi floreali e policromi. Completava l’abbigliamento la gonna, sa punnedda, di panno nero, lunga, ampia, e leggermente increspata, decorata da una corta balza di broccato con disegni floreali, sempre di colore nero, e, infine, il grembiule, su panneddu, indossato sopra la gonna, di broccato nero e forma vagamente trapezoidale, leggermente increspato in vita, allacciato posteriormente, era decorato da motivi floreali policromi. PATRIMONIO ARTISTICO Il patrimonio artistico di Muros è quantitativamente contenuto, si segnala solo un oggetto: la tela esposta attualmente nella cappella sinistra della chiesa dei Santi Gavino, Proto e Gianuario. Si tratta di una tela ad olio, di forma vagamente trapezoidale e dal lato superiore ricurvo, di dimensioni 172 x 265 cm. In primo piano, in basso, sono raffigurati i tre Martiri Turritani, a destra Gianuario, al centro San Gavino a cavallo, tiene in mano lo stendardo del Giudicato di Torres, e a sinistra Proto, raffigurato con la mitria sul capo e in mano un calice e la palma del martirio. Al di sopra delle figure centrali sono raffigurate, in gloria, la Madonna con in braccio il Bambino e a destra San Giuseppe e San Giovanni tra gli angeli. Per la compilazione della scheda della tela sono state fondamentali la ricerca bibliografica e d’archivio. Infatti, da una prima verifica dei documenti esistenti, conservati all’interno della parrocchia di San Gavino, essa è attribuita genericamente ad un pittore sardo del Seicento. Alcune fonti bibliografiche invece, facendo riferimento ad un documento conservato nell’archivio della chiesa di Cargeghe, allora amministrata insieme a quella di Muros, 77 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare lo attribuiscono ad un pittore di origine piemontese, Marco Antonio Maderna, attivo nel confinante comune di Cargeghe. Tale documento sarebbe una quietanza di pagamento del 1594, rilasciata dall’allora rettore di Muros, monsignor Olmo, per la pittura e doratura di un quadro. Dalla ricerca effettuata presso l’archivio della diocesi di Sassari e presso quello della parrocchia di Cargeghe non è stato trovato il documento in questione, ma in quest’ultimo sono conservati una serie di altri documenti dello stesso anno, attestanti la presenza e le attività del suddetto pittore nella parrocchia di Cargeghe, ma nessuno che confermi la contemporanea attività in quella di Muros. Ad ogni modo è possibile che questo documento sia andato perso, bisogna, infatti, ricordare che l’archivio in questione nel passato è stato danneggiato da un incendio, così come non si può escludere che dopo il restauro degli stessi registri, attualmente in cattivo stato di conservazione, si possa effettuare una ricerca mirata. È comunque significativo che nello stesso periodo di realizzazione della tela di San Gavino, sia documentabile nei pressi di Muros l’attività del pittore cui anche fonti bibliografiche più recenti attribuiscono la realizzazione dell’opera. LE TESTIMONIANZE ORALI Le testimonianze orali raccolte sono legate sopratutto a credenze popolari e, come in tutta la Sardegna, sono caratterizzate da uno stretto legame tra magia e religione, in cui gesti scaramantici, forme di scongiuro e operazioni di tipo magico si fondono a preghiere, oggetti consa- 78 crati, e gesti della religione cristiana. Basti ricordare Sa meighina ‘e s’ojiu (la medicina dell’occhio), antico rito magico-religioso contro la sfortuna, che consisteva nel versare chicchi di grano all’interno di un bicchiere d’acqua, recitando nel frattempo delle preghiere. Alla fine del rito, in base alla risalita in superficie dei chicchi di grano, si capiva se la persona interessata aveva, o meno, ricevuto una sorta di maledizione, o se era vittima dell’invidia di qualcuno. Anche gli stessi sacerdoti spesso esercitavano riti a metà tra il magico e il religioso, infatti, con il loro misterioso alone di potere, che proveniva dall’essere detentori e amministratori del sacro, diventarono spesso veicoli di magia. A testimonianza di questo tipo di interventi a Muros si ricorda che, durante il periodo estivo, gli uccelli mangiavano il grano che maturava nei campi, causando così la collera degli agricoltori, che si rivolgevano al sacerdote del paese. Quest’ultimo consegnava loro un foglio dove aveva disegnato delle croci e scritto delle formule in latino, lo metteva all’interno di una canna, cui aveva tagliato un’estremità, e la richiudeva con un pezzo di sughero. Questa veniva poi consegnata all’agricoltore, che aveva il compito di nasconderla nel suo terreno, in un angolo di difficile accesso. Da quel momento in poi gli uccelli non avrebbero più sostato all’interno del terreno ma ne sarebbero stati lontani, come impauriti. Tra gli interventi magico-religiosi c’erano anche rimedi taumaturgici, come ricette di medicina o veterinaria, permeate di simboli religiosi cristiani, usati però magicamente, come immagini e sostanze consacrate. Simile a questo tipo di interventi si segnala quello per la cura dell’ernia dei bambini. Durante la notte di San Giovanni Battista, i familiari del bambino si recavano in una località del paese, su Giardineddu, nell’attuale via Brigata Sassari, dove si trovava un albero di fico; l’uomo che celebrava il rito, chiamato da un paese vicino, tagliava il tronco dell’albero, fino alla metà della sua altezza, prendeva il bambino e, recitando delle formule particolari, lo faceva passare all’interno del taglio dell’albero, facendogli fare un movimento rotatorio. Dopo di che si richiudeva la “ferita” dell’albero con degli stracci, avendo cura di tenerlo ben stretto. Dopo un mese lo stesso uomo tornava in paese e controllava la “ferita” dell’albero: se questa era “guarita”, anche il bambino non avrebbe più avuto disturbi. Tra le consuetudini, invece, si ricorda quella di chiedere sos responsos, una sorta di previsione sull’esito di processi in corso. Infatti quando in paese c’era qualcuno coinvolto come imputato in un processo, i familiari, il giorno del dibattimento, si rivolgevano ad una donna, che avrebbe dato loro una previsione su quella che sarebbe stata la sentenza. La donna si sedeva di fronte alla finestra e in base alle frasi sentite dai passanti dava la sua interpretazione. Se ad esempio qualcuno passando diceva una frase come paga cosas, l’interpretazione era che all’imputato sarebbe stata data solo una pena leggera; se invece i passanti dicevano parole come nudda l’imputato sarebbe stato assolto, al contrario, se sentiva qualcosa come male, il processo avrebbe avuto un esito negativo per l’interessato. Aspetti di cultura e tradizioni locali a Muros ASPETTI GASTRONOMICI Nello studio del patrimonio gastronomico si è focalizzato sopratutto l’aspetto relativo alla tradizione dolciaria e a quella del pane, entrambe profondamente legate ad occasioni festive, familiari (matrimoni, battesimi, ecc.) o religiose (Natale, Pasqua, ecc.). Tra i dolci ricordiamo in particolar modo gli amaretti, sos amarettes, classico dolce a base di mandorle dolci e amare, tipico di occasioni festive familiari, come battesimi, comunioni, cresime e matrimoni. Tra quelli legati alle festività religiose invece ci sono i bianchini, a base di zucchero, o le formaggelle, kasadinas, a base di formaggio, entrambi preparati solitamente nel periodo pasquale; i papassini, sos papassinos, a base di mandorle, noci e strutto, e le tericche, tericcas o tiriccas, il tipico dolce a base di vino cotto, detto saba, preparato solitamente nel periodo di Ognissanti Questi ultimi due tipi di dolce sono spesso ricoperti da una glassa a base di zucchero e albume d’uovo, detta kappa o branizza. La tradizione dolciaria è ancora particolarmente viva in quasi tutte le famiglie; decisamente persa è invece quella di preparare, nel periodo pasquale su kozzolu ‘e s’ou o kotzula ‘e ou, un pane particolare, che racchiudeva un uovo cotto, preparato nel periodo pasquale come dono per i bambini. Ancora più raro è l’uso del pane degli sposi, preparato tradizionalmente in occasione di matrimoni, come dono di buon augurio per gli sposi, finemente lavorato e abbellito da raffinati decori, come ad esempio delle piccole roselline, che richiede una grande capacità tecnica e un grande impegno per la sua preparazione, ma che ormai in pochi sono in grado di realizzare. A conclusione della ricerca sui beni culturali di Muros si può affermare che il suo patrimonio etnografico è molto più ricco di quelle che potevano essere le aspettative iniziali, e che durante la ricerca, svolta essenzialmente sul campo, si è notata una particolare vivacità e un grande attaccamento del paese alle proprie tradizioni. È sufficiente pensare alla collaborazione degli abitanti, nel fornire testimonianze e materiale fotografico; alle recenti attività della Pro Loco, che negli ultimi dieci anni ha ripristinato la festa di San Giovanni, la manifestazione Cantos in carrela, e cura la partecipazione del paese alle varie fiere. Anche i membri del coro e del balletto sono particolarmente attivi; sempre negli ultimi dieci anni hanno svolto autonomamente ricerche sul costume e sui balli tradizionali, raccogliendo le testimonianze delle persone più anziane e riportandole fedelmente. Le stesse amministrazioni comunali hanno dimostrato interesse al recupero e alla valorizzazione dei beni culturali, con la promozione del progetto in cui si inquadra questa stessa ricerca, o la recente ristrutturazione di un locale da dedicarsi a mostre o ad un eventuale museo, che ha ospitato recentemente una mostra di carattere etnografico, organizzata dalla Pro Loco. Questa mostra ha riscosso grande partecipazione dai residenti, che hanno messo a disposizione svariati oggetti di colle- zioni private, permettendo di esporle al pubblico, che ha partecipato numeroso e con sentito interesse. Nonostante Muros sia quindi un piccolo paese si è dimostrato ricco di tradizioni, la sua popolazione ne è consapevole e collabora spesso alle varie attività o manifestazioni, organizzate il più delle volte dai gruppi folklorici e dalla Pro Loco. Bisogna sottolineare che durante la presente ricerca si è sempre utilizzato il termine “folklorico”, e non quello “folkloristico”, tale scelta non è stata dettata da un fattore puramente stilistico, ma piuttosto dal desiderio di sottolineare che le manifestazioni folk di Muros hanno mantenuto un carattere spontaneo, e sono sentite come elemento fondamentale della propria identità culturale, da recuperare, conservare e tramandare. Negli ultimi anni invece, il continuo evolversi della domanda di turismo culturale, rivolta anche ai beni etnografici, ha determinato lo svolgersi di rappresentazioni “fittizie” delle manifestazioni folkloriche, definite appunto folkloristiche, rivolte esclusivamente alla soddisfazione della domanda turistica e non al manifestarsi di autentici sentimenti di identità culturali; Muros non è stato toccato da questo fenomeno, anche perché estraneo a veri e propri flussi turistici. Lo scopo di questo progetto è tuttavia la promozione del paese a livello turistico che, a mio parere, può essere realizzata attraverso la valorizzazione dei singoli beni e la promozione integrata delle varie tipologie presenti sul territorio: naturali, archeologici e etnografici, ma sopratutto attraverso la collaborazione e l’inte- 79 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare grazione tra i vari centri limitrofi, che solo proponendosi come territorio, unitario e caratterizzato dalle peculiarità di ogni singolo Comune, può attrarre e sostenere un vero flusso turistico, che favorisca il fiorire di attività economiche ad esso correlate. BIBLIOGRAFIA Atzori M., Paulis G. (a cura di), Antologia delle tradizioni popolari in Sardegna, 2005. Delitala E., Come fare ricerca sul campo, Edes, Sassari, 1992. Atzori M., Tradizioni popolari della Sardegna: identità e beni culturali, 1997. Deriu T., Piccolo antico Muros, Stampacolor, Muros, 1999. Atzori M., Satta M.M., Credenze e riti magici in Sardegna: dalla religione alla magia, Sassari 1980. Satta M.M., Riso e pianto nella cultura popolare: feste e tradizioni sarde, Sassari 1982. Carta Mantiglia G. L’abbigliamento tradizionale in La Provincia di Sassari, ambiente storia e civiltà, Cinisello Balsamo 1987. Scano M.G., Pittura e scultura del ’600 e del ’700, Ilisso Edizioni, Nuoro 1991. 80 Turchi D., Lo sciamanesimo in Sardegna: da lontani miti ancora presenti nell’immaginario collettivo dei sardi, Roma 2001. Storia dei Pittori sardi e catalogo descrittivo della privata pinacoteca del can. G. Spano, Cagliari dalla tipografia A. Alagna, p. 317. DALLA CATALOGAZIONE AL SISTEMA INFORMATIVO PER LA TUTELA E IL MONITORAGGIO DEL PATRIMONIO CULTURALE DELLA SARDEGNA: UN PROGETTO PILOTA Donatella Rita Fiorino L’attuale istanza di conoscenza e documentazione del patrimonio culturale della Sardegna, al centro del dibattito regionale e oggetto di interessanti progetti di censimento e catalogazione, non è certamente un fatto recente. Le metodologie e le tecniche di schedatura e di trattamento del dato si sono evolute nel corso di due secoli, seguendo le trasformazioni che hanno contraddistinto il concetto stesso di bene culturale e di tutela. Prima di parlare di un sistema informativo, in quanto contenitore moderno delle conoscenze che si sono stratificate nel corso di decenni di studi e ricognizioni sul territorio, sembra dunque opportuno soffermarsi a ricostruire, per tappe significative, l’evoluzione del concetto e delle prassi di catalogazione che hanno contrassegnato l’attività degli uffici preposti alla tutela e al governo del territorio nell’isola. La difficile e travagliata esperienza dei cataloghi trova oggi risposta nell’ambizioso progetto di sistema catalografico unico, recentemente proposto dalla Regione Autonoma della Sardegna, nei confronti del quale il progetto portato avanti per il comune di Muros si pone come tassello compiuto e significativo al nascente SICPAC regionale. Le esperienze condotte in ambito accademico e quelle provenienti da altre realtà geografiche hanno però permesso di fare un passo in più rispetto alla tradizionale schedatura ministeriale, implementando i modelli catalografici ICCD con il modulo della vulnerabilità della Carta del Rischio, al fine di convertire lo statico sistema di conoscenza che è il catalogo in uno strumento di programmazione strategica degli interventi sui beni culturali, a supporto degli enti preposti alla tutela e al monitoraggio del patrimonio culturale dell’isola. LE RADICI DELLA CATALOGAZIONE IN SARDEGNA La ricognizione dello scenario normativo e dello stato delle conoscenze in materia di catalogazione in Sardegna dall’Ottocento ad oggi, alla luce delle contemporanee iniziative poste in atto in altre realtà italiane, fa risaltare una certa inerzia in merito all’attività censuaria e rilevanti ritardi nel raggiungimento degli obiettivi. Mentre già sul finire del XVIII secolo nell’Italia pre-unitaria si delineano le prime esperienze di catalogazione per la conservazione dei beni culturali1, in Sardegna l’attività di censimento ed elencazione dei beni si limita alle proprietà ecclesiastiche, al solo fine di salvaguardarne il possesso, e alle postazioni militari, per iniziativa del governo sabaudo, interessato a fortificare la presenza dell’autorità dello Stato, ponendo ordine in un territorio in mano ai privilegi di feudatari ed ecclesiastici. La prima reale volontà di conoscenza della storia della Sardegna matura nella prima metà del XIX secolo e si manifesta con una intensa produzione storiografica, accompagnata da accurate ricerche archivistiche. Un tale fervore non trova, però, riscontro sul piano della storiografia artistica, dove l’unica voce di prestigio rimane quella del canonico Giovanni Spano, che manifesta la triste consapevolezza del ritardo della Sardegna nell’acquisizione della conoscenza dei monumenti antichi e medioevali. Nel primo numero del “Bollettino Archeologico Sardo, ovvero della Raccolta dei Monumenti antichi della Sardegna” ricorda, a tal proposito, che “ogni terra, per piccola che sia, ha avuto qualcheduno che con amore abbia saputo raccogliere i monumenti sparpagliati, ed unirli in un sol corpo. La Sardegna mancava di questa gloria, mentre che parte- 81 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare cipa nello sviluppo di ogni genere di scienza e di progresso”2. Questa prima esperienza, definita una “massa informe di notizie minuziose”3 di un uomo che “scorrazzò anche nella storia dell’arte, ma da saraceno e non da cristiano”4, contiene, quasi come in un censimento, sezioni dedicate alla scoperta di architetture medioevali, accompagnate da riferimenti alle fonti archivistiche e un adeguato supporto iconografico, tanto da potersi considerare la prima sommaria esplorazione sulla storia dell’architettura sarda, ristretta per motivi ideologici, alla produzione antica e giudicale. Mentre la conoscenza dell’isola si diffondeva in tutto il mondo grazie agli scritti non sempre attendibili, ma decisamente suggestivi, dei viaggiatori, giunti numerosi in una Sardegna a dir poco sconosciuta, gli ingegneri regi La Marmora e De Candia ponevano le basi per la conoscenza topografica del territorio, realizzando le prime carte geometricamente attendibili dell’isola e delle sue coste che costituiscono, di fatto, il primo lavoro organico di rappresentazione del territorio, segnando la fine della cartografia empirica5. Nel clima ottocentesco denso di attività speculative, maturano le premesse alla nascita dei primi censimenti in ambito regionale nell’accezione moderna del termine. Tra il 1867 e il 1892, mentre nel resto dell’Italia vengono poste in atto le prime significative esperienze di catalogazione, le neonate strutture consultive ministeriali attive sul territorio6 non producono risultati apprezzabili fino agli ultimi anni del secolo, ossia fin quando non si assiste alla 82 stesura delle prime norme nazionali. Oltre che alla carenza di risorse e alla tardiva nascita di una “cultura dell’antico” nella classe intellettuale sarda, tale ritardo è da imputarsi all’enorme numero di monumenti di interesse archeologico e architettonico da censire, per gran parte dispersi su un territorio regionale difficile da raggiungere a causa della inadeguata rete viaria, della scarsità di personale e di mezzi finanziari a disposizione. Tuttavia, per quanto non abbia trovato un concreto ed immediato riscontro, la volontà di una attività di catalogazione si manifesta nel 1866 attraverso il primo decreto di istituzione delle Commissioni Provinciali di Cagliari e Sassari che definisce l’obbligo di “…compilare e tenere in regola gli inventari di tutti gli oggetti d’arte che si trovano nelle loro Province in edifici pubblici, sacri e profani, o che sono esposti al pubblico in edifici privati”7, con precise indicazioni sulle modalità da seguire. Si trattava per lo più di schede per l’inventariazione delle opere mobili, mutuate dal contemporaneo Regolamento redatto per le province di Firenze ed Arezzo. L’anno successivo all’emanazione del decreto, Dionigi Scano non sembra cogliere l’istanza ministeriale e nella sua proposta di “Statuto” per le Commissioni del 1867 non pone il problema dell’inventario, probabilmente per la consapevolezza dell’impossibilità di provvedervi concretamente. In tutto il decennio successivo le Commissioni non attivano di fatto alcuna attività inerente all’inventario, come risulta dall’assenza di documentazione relativa a quegli anni e dalle indicazioni alquanto lacunose in merito all’ar- chitettura sarda indicate nell’“Elenco degli edifici Monumentali”8 approvato dalla Giunta di Antichità e Belle Arti nel 1875. Con la circolare n. 436 dell’11/06/1875, trasmessa a tutti i prefetti, il Ministero rinvia alle Commissioni gli elenchi degli edifici medievali e moderni redatti, accompagnati da un sollecito ad una maggiore attenzione al problema del censimento, rendendo altresì obbligatoria la compilazione degli elenchi distinti in monumenti e oggetti di interesse archeologico e monumenti ed oggetti medievali. Oltre a ricordare l’impegno per un’accurata vigilanza per la tutela dei monumenti, con essa si istituisce l’obbligo dell’invio di un rapporto semestrale sul loro stato di conservazione. Anche le Commissioni Conservatrici, rinnovate nel 1876 e coadiuvate dagli Ispettori locali, non svolgono che una minimale attività. Il passaggio al nuovo secolo è segnato dalla lungimirante figura di Filippo Vivanet, direttore dal 1893 al 1905, uomo di grande cultura, consapevole della necessità di costruire un quadro conoscitivo d’insieme della realtà artistica sarda attraverso apposite campagne di inventariazione. A partire dal primo anno di incarico, dà avvio all’attività di inventariazione, schedatura, ricerca storico-archivistica, rilievo grafico e saggio di prospezione “archeologica” per la compilazione di un elenco degli edifici e ruderi aventi importanza storica, nonché degli oggetti d’arte. L’ufficio inizia così un lungo lavoro di ricerca. “Essendo scarsissimo il materiale raccolto per l’illustrazione dei nostri monumenti tanto dal lato storico, come dal lato artistico, Dalla catalogazione al sistema informativo per la tutela e il monitoraggio del patrimonio culturale della Sardegna: un progetto pilota quale indispensabile preparazione alla desiderata catalogazione dei Monumenti nell’isola, l’ufficio, (….) rivolse le sue cure a mettere insieme tutti quei documenti bibliografici, grafici o storici il cui esame potesse tornare utile ad una completa descrizione (…) dell’architettura e delle altre minori arti nella Sardegna. A tal uopo venne aperta una pratica per ogni rudere, edificio od oggetto d’arte degno d’interesse ed in essa venne consegnato il frutto delle ricerche ora intenzionali, ora semplicemente occasionali fatte sopra di essi. Finora non è che lavoro semplicemente sbozzato, che ha bisogno di tempo per completarsi, ma la sua utilità apparisce incontestabile (…)”9. Tale inventario, conservato quasi interamente presso l’Archivio della Soprintendenza per i Beni Architettonici, Paesaggio, Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico di Cagliari e Oristano, è basato su un modello di scheda ministeriale, sintetico ma efficace, che viene trasmesso a tutti i sindaci dei Comuni, tramite circolare, avente come oggetto i “Monumenti preistorici”, con l’invito a compilarlo secondo precise istruzioni loro impartite. Questa iniziativa ha avuto la funzione di sensibilizzare le amministrazioni locali al riconoscimento e all’inventariazione del proprio patrimonio archeologico e, pertanto, costituisce un modello di prassi metodologica non trascurabile nell’evoluzione della storia della catalogazione nell’isola. Ma la catalogazione introdotta dall’Ufficio in questi primi anni non è solo quella della raccolta dati: una interessante iniziativa presa dal Vivanet è infatti quella della creazione di un archivio costituito da campioni di materiale lapideo prelevato dai monumenti, destinato non solo allo studio delle caratteristiche fisicochimiche, ma anche a quelle di degrado dei materiali e del monumento. Nella sua Seconda Relazione scrive “Ho stimato utile l’iniziare un campionario delle varie pietre adoperate nei monumenti, raccogliendo dati esatti sulla loro durabilità e vario modo di comportarsi rispetto all’azione complessa degli agenti atmosferici (…) Le scuole di applicazione (...) e gli Uffici tecnici (...) hanno mezzi opportuni per determinare gli altri coefficienti, quali il peso specifico, la durezza (…) ma nessuno di essi può come gli Uffici regionali che si adoprano attorno a fabbricati appartenenti ad età assai remote dare notizie attendibili sulla forza di resistenza dei materiali adoperati, di fronte alle influenze telluriche, per lunga età, notizie preziose per l’ingegnere ed il costruttore il quale col loro sussidio può presentire la durata probabile dell’opera sua e proporzionarvi i mezzi di esecuzione (…)”10. Questi continui riferimenti dell’ing. Vivanet all’attività della catalogazione, anche oltre le disposizioni ministeriali che in quegli anni si andavano moltiplicando11, dimostrano un’adesione al significato della catalogazione ben più avanti delle istanze regionali, e non solo, a lui contemporanee. A partire dal 1893 lo stesso Vivanet, nell’ambito dell’inserimento all’interno dei regolamenti edilizi Comunali dei tre articoli a tutela dei monumenti, ruderi e oggetti d’arte, chiede agli stessi comuni di provvedere alla compilazione dell’elenco degli edifici degni di essere conservati sotto il profilo storico e artistico. In linea con la sua attenzione verso l’uso dei materiali, nel 1895 avvia anche il censimento delle antiche cave, nel tentativo di determinare la provenienza e la distribuzione dei materiali utilizzati negli edifici monumentali, secondo un modello di scheda opportunamente predisposto dal Ministero. Il passaggio al Novecento, è segnato dalla presenza a Cagliari di Luca Beltrami che al paragrafo VII della relazione ivi tenuta nel 1902 in occasione del X Congresso degli Ingegneri e Architetti italiani12, espone i più importanti problemi che gli organismi di tutela avrebbero dovuto affrontare. Primario è l’elenco dei monumenti italiani, la loro “valutazione” e una perizia dei lavori da effettuare per il loro mantenimento. “(…) Si tratta di due elementi difficili da concretare: il primo anzi, si dovrebbe ritenere impossibile, poiché se il Governo non è riuscito, dopo oltre 27 anni di continuo dispendio, ad avere l’elenco materiale dei monumenti, tanto meno potrebbe arrivare alla loro valutazione: come valutare Santa Maria del Fiore, il Palazzo Ducale di Venezia (...). Difficile, ma non impossibile, ammessa una certa larghezza di dati (...)”13. La morte di Filippo Vivanet nel 1905 segna un brusco rallentamento di tutte le attività di programmazione. Tra il 1905 e il 1923 si ferma, di fatto, tutta l’attività di inventariazione, rilievo e restauro dei monumenti, specie quella riguardante gli edifici lontani da Cagliari, per i quali risulta impossibile pagare le missioni. Una tale crisi non consente di compiere quel salto di qualità che la nuova normativa e la riorganizzazione del servizio avrebbero reso ormai raggiungibile. 83 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare Con l’istituzione delle Soprintendenze nel 1907, la catalogazione entra a far parte dei compiti istituzionali degli organismi preposti all’attività di tutela, e in pochi anni si susseguono altre importanti puntualizzazioni ministeriali in merito agli inventari14, tra cui, nel 1907, le norme per la redazione dell’inventario dei monumenti e degli oggetti d’arte15. Le schede degli edifici di Cagliari e Sassari sono pubblicate solo nel 192216, in concomitanza con gli ultimi anni dell’attività dello Scano in qualità di Soprintendente. Anche in Sardegna, il tentativo di aggiornare costantemente gli Elenchi tiene faticosamente il passo di una cultura che amplia rapidamente gli orizzonti fino a ricomprendere nel suo alveo categorie di manufatti sempre più diversificate secondo una modalità di pensiero che si allinea con le contemporanee vicende nazionali. L’esito del lavoro di censimento condotto tra il 1892 e il 1923 è stato l’inserimento nei monumenti “nazionali” delle sole basiliche romaniche ed alcune manifestazioni “minori” dell’architettura pisana e aragonese, mentre al rimanente patrimonio architettonico si finisce col riconoscere un interesse “regionale” o “locale” o, più semplicemente, un valore puramente “storico” contrapposto a quello artistico. Una lieve ripresa nei lavori di inventariazione si rileva a partire dal 1934 grazie all’impegno scientifico di Raffaello Delogu, insignito da parte del ministero di un apposito incarico ministeriale atto a colmare i vuoti di conoscenza del patrimonio artistico isolano. Poco più che ventenne, visita con lo scrupolo che contraddistingue tutta la sua carriera, anche i 84 centri più interni ed impervi, compilando un migliaio di accurate schede di un patrimonio per la maggior parte ignorato. A lui si deve la nuova visione in Sardegna della storia dell’arte, non più intesa come “sistematica enumerazione di eventi individuati filologicamente e da classificare per tipi e cronologie”17, quanto, piuttosto, una storia finalizzata a “scorporare e distinguere le cosiddette fasi costruttive degli edifici” attraverso una maturata attenzione verso le strutture e le tecniche costruttive. Il suo lavoro si inserisce nel dibattito produttivo ed articolato della emanazione delle leggi fondamentali della tutela in Italia18. Nel 1969 viene istituito l’Ufficio Centrale per il Catalogo sulla base delle istanze scaturite nell’ambito del dibattito della Commissione Franceschini, che, nel documento finale dal titolo “Per la salvezza dei beni culturali in Italia”, indica la catalogazione “completa e capillare” come imprescindibile premessa ad ogni tentativo di recupero e tutela dei beni artistici e ambientali in Italia. A partire dagli anni Ottanta del Novecento, l’intensificarsi della pianificazione territoriale, comunale e intercomunale, fino a quella paesistica, dà avvio alla creazione di nuclei censori per i beni culturali, circoscritti ad ambiti ristretti e in genere particolarmente significativi in termini di individuazione e prima descrizione del bene culturale censito. Il problema di tali risorse catalografiche consiste però nella disomogeneità del modello informativo anche in termini di qualità del dato che talvolta privilegia alcune categorie di beni scelte sulla base del loro ambito cronologico o stilistico di rife- rimento (archeologia, medioevo, architettura gotico-catalana) rispetto ad altri sovente trascurati (barocco, architettura otto-novecentesca). Ancora nel 1989 un interessante studio di A. Marotta Carboni condotto in ambito di tesi di dottorato lamenta “la carenza di progetti culturali di ampio respiro, in grado di favorire problematizzazioni complesse, approfondimenti e scambi a livello nazionale”, conseguenza anche dell’“assenza di inventari sul patrimonio culturale dell’isola sufficientemente ampi, specifici e documentati, organizzati con l’intento di costituire dei reference books, soprattutto per la consultazione di dati bibliografici e documentari aggiornati”19. L’attenzione verso il censimento si è sempre più spostato dagli uffici di tutela verso gli organi concorrenti in materia di governo del territorio a cui la catalogazione è orientata in maniera sempre più forte. IL PROGETTO MUROS: UN TASSELLO PER IL CATALOGO UNICO DEI BENI CULTURALI A partire dagli anni Ottanta del secolo scorso la Regione Autonoma della Sardegna ha avviato una stagione di censimenti indipendente ed originale. L’attivazione del Catalogo Generale del Patrimonio Culturale della Sardegna segna la definizione di modelli catalografici innovativi specie per tutti i settori dell’archeologia. In particolare, con la promulgazione della prima legge specifica per il riconoscimento di valore, censimento e salvaguardia dell’archeologia industriale si pone in Italia quale modello per la valorizzazione di questa categoria dei beni. Dalla catalogazione al sistema informativo per la tutela e il monitoraggio del patrimonio culturale della Sardegna: un progetto pilota Purtroppo però non altrettanto può dirsi dei livelli di indagine raggiunti relativamente agli altri settori del patrimonio per i quali l’attività effettuata si rivela oggi parziale, in quanto il catalogo dei beni architettonici monumentali risulta sommario, sia in termini di livello di compilazione come di quantità dei beni censiti. Mancano inoltre tutti i beni relativi al patrimonio materiale e immateriale che l’Unesco prima e la legge Urbani, poi, hanno ufficialmente riconosciuto come parte integrante del patrimonio culturale. I cataloghi attualmente esistenti non presentano unitarietà del dato, né sistematicità di rilevazione. Sono estremamente disomogenei sotto il profilo della distribuzione, della qualità ed attendibilità del dato, ma soprattutto scarsamente correlati e di difficile accesso, gestione ed aggiornamento. Negli lavori effettuati per i piani urbanistici a diverso livello si riscontrano legende discordanti, talvolta anche base cartografica diversa, con l’evidente carenza di dialogo tra le banche dati e la difficoltà di gestione del territorio regionale nel suo complesso. Il grande sforzo avviato dalla Regione Sardegna per l’unificazione del Sistema Informativo Territoriale Regionale (SITR) nato in concomitanza con il Piano Paesaggistico Regionale porterà anche per i Beni Culturali alla confluenza delle rilevazioni censuarie in un’unica banca dati condivisa che potrà fornire il necessario supporto alle attività di pianificazione e programmazione. Alla luce del risultato fallimentare delle grandi rilevazioni centralizzate avviate negli ultimi rimentato in altri ambìti scientifici, interessanti ed innovativi approcci tematici alla catalogazione20, si è riconosciuta la necessità primaria non tanto di inventare cataloghi nuovi, lavoro che sarebbe stato tanto dispendioso quanto inutile, quanto di unificare gli strati informativi adeguandoli ai consolidati modelli ministeriali. Solo dopo aver garantito tale livello di conoscenza si è potuto pensare all’ampliamento tematico del catalogo verso campi di interesse legati alla rilevazione e al monitoraggio dello stato di conservazione dei singoli beni. Le tipologie dei beni censiti e i modelli schedografici utilizzati sono sintetizzati nella allegata tabella. Come si vede, accanto ai modelli ministeriali, sono state impiegate delle schede “minime”, ovvero schede sintetiche che riassumono i anni, si ritiene che l’unico strumento efficace sia quello del “mosaico”, ovvero la costruzione di una griglia ben strutturata nella quale far confluire i tasselli conoscitivi provenienti da rilevazioni di ambiti geografici o tematici circoscritti e controllabili. Il catalogo deve quindi essere uno strumento work in progress ovvero in continuo mutamento, fruibile e aggiornabile con facilità, ma sotto il controllo di personale qualificato. Il progetto di catalogazione del patrimonio ambientale e culturale del comune di Muros si è dato, come obiettivo primario, non quello di costituire una isolata esperienza conoscitiva, ma, forte della consapevolezza degli errori compiuti nel passato, proporsi come primo test di apporto al nascente SICPAC Regionale, nonché al catalogo unico ICCD del Ministero Beni Culturali. Infatti, dopo aver speCategoria del bene beni ambientali Specifica bene Modello ministeriale siti di pregio ambientale e paesaggistico, specie botaniche e monumenti vegetali Modello non ministeriale Informatizzazione nr scheda beni ambientali X 13 scheda specie botaniche X 13 scheda tipi geologici X 13 Scheda minima X 13 X 13 beni archeologici beni immobili modello MA-CA beni architettonici siti monumentali e architettura tradizionale del centro storico modello A beni storico artistici dipinti modello OA Scheda minima 1 beni immateriali: feste, tradizioni, danze… Modello DBI scheda beni immateriali 13 oggetti: strumenti della quotidianità, costumi tradizionali, giochi… Modello DBM scheda beni materiali 9 beni demoantropologici 85 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare campi più significativi del bene censito. Tali schede minime sono state utilizzate per l’implementazione del GIS. Le schede compilate costituiscono una banca dati informatizzata per quanto concerne i beni ambientali, archeologici e architettonici, mentre non è stato informatizzato il catalogo relativo ai beni demoetnoantropologici. Il formato scelto per l’informatizzazione è stato l’ambiente windows access in quanto il più diffusamente utilizzato a livello di pubblica amministrazione e ricerca scientifica. La struttura informatica realizzata potrà così essere utilizzata anche con finalità di formazione tecnico-professionale per l’avviamento alla pratica del catalogo, ponendo le basi per l’aggiornamento continuativo e la consultazione consapevole delle banche dati da parte di tecnici specializzati21. La scheda non ministeriale dei beni ambientali è stata composta utilizzando sezioni coerenti della scheda MA-CA relativi a identificazione, uso e preesistenze, fonti, georeferenziazione, allegati e compilazione cui sono state aggiunte le schede sintetiche degli elementi floro-faunistici significativi e delle specifiche geologiche. La scheda contiene anche una immagine-icona di immediato riferimento visivo al bene, l’anteprima della miniatura e il collegamento alle immagini ad alta definizione, l’anteprima e il collegamento alla cartografia indicante il punto di scatto della documentazione fotografica. Questi ultimi dati costituiscono delle significative implementazioni a tutte le schede informatizzate rispetto alla relativa scheda ministeriale e si sono rivelate di particolare utilità sia per la 86 compilazione delle maschere che per la fruizione del catalogo a stampa. Tutte le schede prevedono, inoltre, accanto al nr di catalogo proposto che contraddistingue il bene nel catalogo specifico, anche il nr di catalogo del bene nella banca dati dell’istituzione nella quale i dati confluiranno in modo da consentire di riversare i dati in maniera semplice ed automatica sia nel futuro SICPAC che nel catalogo ICCD, dopo il collaudo del sistema che si intende richiedere al fine di verificare le compatibilità e le correlazioni. Tutti i campi delle singole schede coerenti con i cataloghi ICCD sono stati infatti creati secondo gli standard normati al fine di consentire l’interfaccia diretta. IL PROGETTO MUROS: UN MODELLO INNOVATIVO PER IL MONITORAGGIO E LA PROGRAMMAZIONE DEGLI INTERVENTI SUI BENI CULTURALI Le schede ICCD, con la loro rigida struttura, seppur di complessa compilazione, presentano grande potenzialità di descrizione del bene censito. La qualità della documentazione e della conseguente informazione che possono fornire in sede di consultazione da parte di terzi dipende dalla capacità dei soggetti preposti alla compilazione che deve essere fatta da personale specializzato. Infatti esperienze di catalogazione condotte in assenza di una specifica formazione dei compilatori hanno restituito un risultato lacunoso dal punto di vista della qualità dell’informazione e limitato nel numero di manufatti esaminati. Tali schede si configurano pertanto come ottimi strumenti di conoscenza, ma risultano carenti sotto il profilo della documentazione dello stato di conservazione, lasciato a valutazioni di tipo soggettivo come “buono, medio, mediocre” ed in ogni caso di tipo esclusivamente qualitativo. Le sperimentazioni condotte in altri ambiti22 hanno suggerito di ovviare a questo problema attraverso l’implementazione della scheda con moduli già testati nel tracciato schedografico della Carta del rischio, sperimentazione che risale al Piano Pilota per la Manutenzione Programmata dell’Umbria voluto da Giovanni Urbani, che propone una lettura del manufatto non fine a se stessa, ma esaminata nelle sue interrelazioni con il territorio. Il Sistema informativo predisposto in questa sede rileva dalla Carta del rischio la Scheda dei dati di vulnerabilità, sia nel primo che nel secondo livello di approfondimento e della descrizione dello stato di conservazione. La vulnerabilità delle singole porzioni del bene o dell’intero complesso è analizzata in relazione a 6 categorie di danno ritenute le più significative e relative specifiche, codificate secondo un vocabolario chiuso, con l’indicazione della gravità, della diffusione e della localizzazione dei danni stessi sulla base di dati quantitativi oggettivamente individuabili. Una tabella esplicativa correla il dato qualitativo a un dato numerico. La standardizzazione della categoria e dell’entità del danno consente in questo modo di superare i criteri discrezionali propri della catalogazione ICCD. La codifica del grado di urgenza del danno consente inoltre una lettura del territorio per Dalla catalogazione al sistema informativo per la tutela e il monitoraggio del patrimonio culturale della Sardegna: un progetto pilota priorità di intervento, trasformando il catalogo in uno strumento di programmazione indispensabile per l’intervento sui manufatti e quindi di supporto alle pubbliche amministrazioni nella definizione delle strategie di intervento attuabili in funzione delle risorse disponibili. La scheda A è stata inoltre testata sull’architettura minore e implementata con specifici collegamenti ai parametri urbanistici. Tale scelta rappresenta un’apertura verso l’utilizzo del catalogo come base di pianificazione degli interventi nei centri storici, soprattutto in vista dell’adeguamento dei Piani Urbanistici Comunali e dei Piani Particolareggiati dei Centri Storici alle linee di indirizzo del Piano Paesaggistico Regionale. Lo screening realizzato dal catalogo, collegato al GIS urbano costituisce l’ideale premessa conoscitiva per l’individuazione dei centri matrice di un abitato. Infatti, in assenza di una cartografia sto- rica specifica, il nucleo urbano antico può essere individuato solo con una lettura capillare delle unità costruttive che non può essere né solo tipologica, né solo urbanistica, ma deve tener conto delle tecniche costruttive, dei materiali, delle stratificazioni, del contesto ambientale e paesaggistico. Tali implementazioni consentono di passare dal tradizionale concetto statico di catalogo a quello più direttamente operativo di uno strumento di programmazione, in grado di vagliare e gestire le priorità di intervento sul territorio in funzione del reale stato di rischio dei manufatti e indirizzare la tutela e le norme di gestione del territorio in maniera efficacie e capillare. L’intervento di manutenzione tempestivo e continuativo, in luogo dei grandi interventi di restauro, consente, infatti, di rallentare i processi di degrado, con conseguente riduzione dei costi ed ottimizzazione degli investimenti (criterio del minimo intervento). Contestualmente, la verifica della condizione d’uso degli edifici consentirà di monitorare la compatibilità delle funzioni e di incentivare la valorizzazione culturale e turistica del costruito storico. Tale percorso risponde a reali necessità manifestate dagli Enti preposti alla tutela a livello regionale e locale (Soprintendenze, Regione, Provincia, Comuni), fornendo un concreto strumento di supporto alla gestione della tutela e alla definizione e controllo degli interventi. In questo modo, pone le basi per garantire la conservazione, non solo degli episodi architettonici emergenti, ma soprattutto della cosiddetta “architettura minore” che, nella gran parte dei casi, nonostante sia testimonianza irripetibile di cultura materiale, è quella maggiormente compromessa, proprio a causa della mancanza di opportuna conoscenza. Nuova Antologia, (19/1/1903), Roma 1903, p. 3. Monumenti ed Oggetti di Antichità e di Belle Arti: una nella Provincia di Cagliari, l’altra nella Provincia di Sassari, art. 5, riportato in INGEGNO A., op. cit., Allegato 4, pp. 373-374. NOTE 1 Le origini della catalogazione nell’Italia preunitaria sono riconosciute dalla bibliografia specialistica nell’iniziativa di Antonio Maria Zanetti nel 1773, volta a trasformare le antiche usanze di redigere inventari in uno strumento di controllo e prevenzione contro il furto e il trafugamento delle opere. 2 SPANO G., B.A.S. I, 1855, p. 1. 3 INGEGNO A., Storia del restauro dei monumenti in Sardegna dal 1892 al 1953, Editrice S’Alvure, Oristano 1993, p. 43. 4 RAFFA GARZIA, Storia dell’Arte in Sardegna, estratto da 5 AST, Carte Topografiche, s. III, n. 43 (1856). 6 Si tratta del Commissariato, delle due Commissioni Provinciali per la Conservazione e pe’ restauri de’ Monumenti ed Oggetti di Antichità e di Belle Arti per le Province di Cagliari e Sassari e degli Ispettorati Circondariali che poterono contare ben poco sulla dotazione finanziaria fornita dallo Stato e sulla sensibilità e collaborazione fornita dai Comuni. 7 Regio Decreto 22/09/1866 che istituisce in Sardegna due Commissioni per la conservazione e pe’ restauri de’ 8 BENCIVENNI M., DALLA NEGRA R., GRIFONI P., Monumenti e Istituzioni, Ministero per i beni culturali e ambientali, Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici per le Province di Firenze e Pistoia, Sezione didattica, 1987, 1992, Parte I, p. 294. 9 VIVANET F., Prima Relazione dell’Ufficio Regionale per la Conservazione dei Monumenti della Sardegna (U.R.C.M.S.), Cagliari 1894, p. 6. 87 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare 10 IDEM, Congresso degli Ingegneri e Architetti italiani, Cagliari 1902, p. 15. Seconda Relazione…, cit., p. 5. 11 Tra i principali riferimenti normativi di quegli anni in termini di catalogazione si ricordano: RD 21 agosto 1892: istituzione della Commissione Centrale per la Compilazione del Catalogo dei Monumenti, avente funzione di coordinamento del lavoro dei diversi Uffici Regionali Italiani; Circolare n. 1028 dell’11/09/1891 che chiarisce le modalità di compilazione delle schede degli edifici monumentali; Circolare n. 1034 del 29/09/1891 sull’inventario dei beni di proprietà degli enti pubblici; Circolare n. 1043 del 05/10/1891 sull’inventario dei beni di proprietà di province e comuni; Circolare n. 1047 del 19/10/1891 sulla Catalogazione della parte monumentale del patrimonio dello Stato; Circolari del 26/06/1891 e 29/06/1892 relative all’obbligo di inserire nell’ambito dei Regolamenti Edilizi Comunali alcuni articoli a tutela dei monumenti; Circolare n. 48 del 07/05/1894 relativa all’obbligo di far compilare ai Comuni l’elenco dei monumenti, ruderi e oggetti d’arte per sottoporli all’esame delle Commissioni Conservatrici; Circolare n. 64 del 14/08/1896 che attribuisce al censimento valore di tutela e detta norme per la compilazione del catalogo. 12 BELTRAMI L., Per la difesa dei nostri monumenti, X 88 13 Ivi, p. 20. 14 Nel 1909 la commissione presieduta dall’on. Rosaldi stabilisce in un disegno di legge modifiche alle operazioni di censimento del patrimonio artistico del paese e negli anni 1923 e 1927 con due decreti regi viene prevista per la prima volta la compilazione di schede mobili corredate da documentazione fotografica degli oggetti descritti. 15 R.D. 26 agosto 1907 n. 707, Norme per la redazione dell’inventario dei monumenti e degli oggetti d’arte. 16 Elenco degli Edifici Monumentali della Provincia di Cagliari, LXVIII, Roma 1922 e Elenco degli Edifici Monumentali della Provincia di Sassari, LXIX, Roma 1922. 17 INGEGNO 18 A., op. cit., p. 51. Nel 1938 durante il suo intervento alla Conferenza dei Soprintendenti, Roberto Longhi propone una sostanziale modifica alle schede di catalogazione precedentemente messe a punto. Tale variante rispecchia la nuova funzione attribuita dallo studioso all’opera di catalogazione nel raggiungimento “tanto delle esigenze identificative allo scopo amministrativo, quanto quelle qualificative a fine sostanzialmente scientifico”. 19 MAROTTA CARBONI A., Storia e cultura del territorio nella Sardegna degli Stati Sardi (1720-1847), Tesi di Dottorato in Conservazione dei Beni Architettonici (II ciclo), 1989, p. 21. 20 FIORINO D.R., Censimento, catalogazione e monitoraggio per la conservazione: morfologia, sistemi costruttivi e materiali delle torri campanarie in Sardegna dall’eredità medievale al sopralzo barocco e alle realizzazioni eclettiche, tesi di Dottorato in Conservazione dei Beni Architettonici, XVI ciclo, Politecnico di Milano, Relatore: prof. arch. Tatiana K. Kirova, Correlatore: arch. Maria Mascione, Coordinatore: prof. arch. Alberto Grimoldi. 21 Per le specifiche tecniche della struttura informatica e le problematiche di gestione del dato si rimanda all’articolo di A. Pani in questo stesso volume. 22 Cfr. FIORINO D.R., Censimento, catalogazione e monitoraggio, cit. STANDARD CATALOGRAFICI E GESTIONE DEL DATO Alessandro Pani INTRODUZIONE L’attuale standard catalografico adottato dell’ICCD, la versione 2.0, è stata la base di partenza per la realizzazione del database per la catalogazione dei beni culturali del comune di Muros, parte integrante del progetto di “Valorizzazione e promozione dei beni culturali e ambientali del territorio comunale di Muros”. STRUMENTI UTILIZZATI Per la realizzazione del database si è deciso di utilizzare Microsoft Access 2007. Tale scelta è stata dettata dalla volontà di contenere i costi di sviluppo e manutenzione dello strumento. Inoltre Access gode di ampia diffusione e, una volta implementata la struttura del database, è di immediato utilizzo in qualsiasi personal computer dotato di Microsoft Office Professional, senza la necessità di usare alcun server dedicato. Access ha tuttavia costretto, a operare alcune scelte in merito alla struttura delle tabelle e delle relazioni. Infatti Access limita il numero di relazioni per ciascuna tabella a 32, per cui non è stato possibile implementare tutte le ripetitività previste nella struttura del catalogo ICCD. IMPLEMENTAZIONE Nonostante i limiti imposti dallo strumento uti- Esempio di campo ripetitivo. Per ogni Bene MA-CA esistono più scavi, ognuno con i propri campi descrittivi. lizzato, la strutturazione dei campi ricalca con buona fedeltà la struttura delle schede AMB, A e MA-CA del catalogo ICCD. Tali schede si riferiscono a beni ambientali, architettonici e archeologici. L’implementazione è stata resa possibile grazie al fatto che l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione rende disponibili le specifiche per la compilazione delle schede di catalogo. Ogni scheda, relativa ad un singolo bene, è suddivisa in diverse sezioni; ogni sezione è costituita da più campi. Ciascun campo, a seconda del contenuto, può essere ripetitivo o non ripetitivo. Ad esempio, per un dato bene architettonico (scheda di tipo A) vi possono essere uno o più autori, e in questo caso si parla di ripetitività del campo; vi sarà, altresì, un solo comune di appartenenza, e in tal caso si parla di non ripetitività del campo. La presenza di numerosi campi ripetitivi, con ulteriori sotto-ripetitività, ha reso piuttosto complessa la struttura realizzativa delle tabelle integrate nel database; infatti essa include 75 tabelle e 96 relazioni. Ciascun campo è stato implementato sotto forma di campo testo rispettando le specifiche di lunghezza definite dall’ICCD; inoltre, è stato rispettato il codice 89 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare del campo definito dallo standard e, laddove è previsto un vocabolario chiuso, questo è stato rispettato e conformemente riportato. Tutto ciò è finalizzato a favorire la futura esportazione dei dati raccolti nel presente progetto verso il catalogo ufficiale dell’ICCD. Per le necessità di questo progetto si è scelto di aggiungere ulteriori tabelle e campi rispetto a quelli proposti dallo standard 2.0 dell’ICCD; ciò ha permesso di inserire informazioni che sarebbe stato difficile includere in maniera organica e coerente utilizzando la struttura standard. In particolare, alle specifiche dell’ICCD sono state aggiunte altre sezioni relative alla vulnerabilità del bene, sia per le schede A che per le schede MA-CA, e altre sezioni relative ai parametri urbanistici per le schede A. Inoltre, le schede AMB sono state integrate con schede sintetiche relative agli elementi florofaunistici e alle specifiche geologiche. IMMISSIONE DEI DATI All’apertura del database viene mostrata una finestra che permette di scegliere su quale tipo di scheda (A, AMB, MA-CA) operare. Una volta scelto il tipo di scheda viene presentata una maschera di immissione suddivisa in pagine, selezionabili mediante linguette, allo scopo di suddividere gli argomenti in macrocategorie quali: Identificazione, Ambito Culturale, Cronologia, ecc. Ciascuna pagina mostra i vari campi raggruppati in sezioni omogenee per argomento (es. Localizzazione, Oggetto). L’utilizzo di un sistema di selezione a linguette permette di razionalizzare la disposizione degli elementi nell’interfaccia utente, suddividendo 90 le informazioni in pagine facilmente raggiungibili. In presenza di campi con vocabolari chiusi è possibile selezionare i valori consentiti mediante l’uso di un menù a cascata. FRUIZIONE DEI DATI Il contenuto del database è visualizzabile sotto forma di report strutturati. Ogni report mostra tutti i campi compilati, fornendo una scheda identificativa completa per ciascun bene. Ciascun report include, oltre ai campi testuali, anche un’anteprima delle fotografie catalogate ed allegate alla scheda. Per ogni foto è prevista anche una visualizzazione del punto di scatto. Inoltre, il database genera automaticamente dei report contenenti un numero ridotto di informazioni che si integrano col GIS realizzato nell’ambito di questo stesso progetto. Vengono così realizzate delle schede descrittive, una per ciascun bene, che possono essere associate a precisi punti cartografici ottenendo la massima fruibilità delle informazioni raccolte. IL RILEVAMENTO E LA RESTITUZIONE DEI BENI ARCHITETTONICI Annetta Cabras L’operazione conoscitiva condotta su un centro storico pone in evidenza il problema della strutturazione dell’immagine formale ovvero dell’individuazione dei legami esistenti tra le sue diverse componenti. Strumento fondamentale per la conoscenza del costruito in generale è il rilievo. Qualsiasi organismo architettonico si presenta ad un osservatore come un sistema tridimensionale, più o meno complesso, nel quale risultano strettamente connesse parti esterne visibili e parti interne non visibili. Il rilievo dell’elemento di un contesto urbano si attua attraverso un sistema di lettura che va oltre la semplice misurazione del manufatto e parte dalla schematizzazione manuale su carta sino ad arrivare alla restituzione informatizzata mediante diverse metodologie evolutesi negli anni. La raccolta dei dati dipende numericamente e qualitativamente da molteplici fattori. È cioè strettamente dipendente dallo scopo documentale, dalla scala di rappresentazione dei risultati, e, operativamente, dall’accessibilità del manufatto, dei suoi dettagli costruttivi e Fg. 1 - Muros - Restituzione grafica bidimensionale. Edificio in via Roma, 1 - Prospetti e dettaglio portone. decorativi, nonché dagli strumenti tecnici a disposizione. È quindi evidente la necessità di un progetto logico del rilievo tendente ad individuare le scelte strategiche più opportune atte a minimizzare gli errori derivanti dalle imprecisioni strumentali o dallo scambio di dati tra le diverse competenze coinvolte nell’operazione. Esso si conclude sempre e comunque con una valutazione ed interpretazione dei risultati, parziali o sovrabbondanti, che, nel caso dell’edificio storico, non può mai prescindere dal confronto coi paradigmi architettonici formali culturalmente acquisiti. La fase della restituzione costituisce il momento di sintesi (fig. 1) e di ricucitura dei vari aspetti dell’oggetto del rilevamento rappresentato nel suo stato attuale, ma spesso risultato dell’avvicendarsi di modifiche derivanti dal suo uso nel tempo. Diversi sono gli strumenti utilizzabili in questa fase. Ai fini della semplice rappresentazione bidimensionale sono di importante ausilio i software destinati al fotoraddrizzamento che, utilizzando gli algoritmi della fotogrammetria, consentono di correggere deformazioni foto- 91 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare grafiche, identificare le linee di fuga e calibrare in scala, di effettuare cioè i rilievi di massima dalle sole immagini digitali. (fig. 2) Per ciò che riguarda invece la restituzione di architetture articolate ci si può avvalere di software dedicati alla grafica tridimensionale avanzata che permettono l’inserimento diretto dei dati rilevati con gli strumenti topografici (in formato ASCII o grafico) rendendo possibile la generazione di modelli virtuali di inequivocabile lettura e oggettiva validità documentale. (fig. 3) Il loro uso fornisce, oltre l’esatta rappresentazione formale dell’oggetto nello spazio, la creazione di una banca dati intrinseca al modello costantemente aggiornabile e di facile consultazione ai fini del monitoraggio dei beni architettonici. Fig. 2 Muros - Fotoraddrizzamento e restituzione grafica bidimensionale. Edificio in via Roma, 15. Software utilizzati: Allplan 2006, Allplan Photo. Fig. 3 - Muros - Restituzione grafica tridimensionale. Edificio in via Roma, 1 - Modello 3d. 92 IL RILEVAMENTO E LA RESTITUZIONE DEI BENI ARCHEOLOGICI Carla Giuffrida Trampetta Il rilievo di dettaglio dei siti archeologici ha preso avvio nel mese di ottobre 2006 sulla base delle risultanze della prima fase di rilevazione topografica e georeferenziazione. Considerata la ridotta accessibilità ai siti, per la maggior parte difficili da raggiungere, è stato necessario limitare i sopralluoghi a non più di due per sito, durante i quali si è anche proceduto ad un infittimento dei punti topografici che potessero costituire opportune basi per la restituzione fotogrammetrica dei prospetti, come per esempio nel caso di Rocca Ruja e Badde Ivos1. Nell’operazione di restituzione degli 11 siti rilevati, si è cercato di porre l’accento su elementi di particolare rilevanza per lo studio archeologico come l’orientamento, le tecniche costruttive, la dimensione degli elementi lapidei, oltre che la forma e le dimensioni complessive del sito. L’accuratezza del dettaglio perseguita nella restituzione è utile a documentare anche lo stato di consistenza e conservazione dei manufatti che si trovano attualmente in stato di abbandono. Soprattutto nel caso dei siti archeologici abbandonati, la fedele rappresentazione degli elementi costruttivi è di particolare importanza a causa del rischio di perdita dei manufatti stessi per degrado, incuria o vandalismo. La scala di restituzione utilizzata varia da 1:50 per le planimetrie generali a 1:20 per gli elementi costruttivi. I rilievi, corredati da indica- zioni metriche e riferimenti ai punti di scatto della campagna fotografica, costituiscono parte del sistema informativo, implementando la specifica sezione della scheda ministeriale MACA2. 1 Sulla metodologia di rilievo fotogrammetrico cfr. VACCA G., La geomatica per il rilievo e la rappresentazione del patrimonio culturale, in questo stesso testo. 2 Per il sistema informativo cfr. FIORINO D.R., Dalla catalogazione al sistema informativo per la tutela e il monitoraggio del patrimonio culturale della Sardegna: un progetto pilota, in questo stesso testo Sa Turricula. Rilievo della muratura riconducibile alla fase nuragica e relativo rilievo fotografico. Sa Turricula. Planimetria generale del sito quotata con punti di appoggio alla georeferenziazione. 93 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare Tomba di giganti presso monte Simeone. Planimetria generale quotata con punti di appoggio alla georeferenziazione Strada romana Coa de Redulas, rilievo di una sistemazione a gradino e di un tratto di pavimentazione. Tomba di giganti presso monte Simeone. Sezione longitudinale quotata. Su Nuraghe: planimetria generale del sito quotata con punti di appoggio alla georeferenziazione e punti di scatto fotografici Ipogeo di Rocca Ruja. Prospetto quotato con punti di appoggio alla georeferenziazione. Ipogeo di Rocca Ruja. Sezione longitudinale quotata. 94 Su Nuraghe: viste laterali. LA GEOMATICA PER IL RILIEVO E LA RAPPRESENTAZIONE DEL PATRIMONIO CULTURALE Giuseppina Vacca INTRODUZIONE L’Italia “patria dell’arte” e “museo diffuso” è uno degli Stati con il patrimonio di beni culturali tra i più importanti e ricchi al mondo. Ciò è anche confermato dall’UNESCO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione la Scienza e la Cultura) che, sulla base della lista World Heritage 2002/3, classifica l’Italia come il Paese che detiene il maggiore patrimonio culturale del mondo, con circa il 6% dei beni classificati come patrimonio dell’umanità. Aldilà di queste statistiche, è facile per chiunque passeggiare per le città e paesi italiani e scoprire l’esistenza di una moltitudine di beni, più o meno importanti dal punto di vista storico, architettonico, ambientale, e rimanerne affascinati. Alcune volte però troviamo questi siti in stato di totale abbandono o in decadenza, altre volte non si riesce a reperirne notizie né sulle guide, né sui siti internet, né presso gli uffici turistici. Capita spesso, inoltre, che le stesse amministrazioni, proprietarie dei beni, non conoscano completamente ed esaustivamente il loro patrimonio culturale. Con l’ovvia conseguenza che ciò che non si conosce non può essere catalogato e quindi valorizzato e conservato al meglio. Il progetto “Valorizzazione e promozione dei beni culturali e ambientali del territorio comunale di Muros” nasce proprio con questo obiettivo: conoscere il proprio patrimonio culturale per una buona conservazione, valorizzazione e promozione ai fini turistici e culturali dei beni presenti nel territorio comunale di Muros. Per raggiungere questi obiettivi è di fondamentale importanza la “conoscenza” del bene sia dal punto di vista storico, architettonico e artistico sia dal punto di vista geospaziale: georeferenziazione sul territorio, studio della forma, colore e dimensione del bene, materiali utilizzati. La geomatica, vista come l’insieme di tecniche per il rilevamento, si fonde con la storia dell’arte, l’architettura e l’archeologia per fornire una conoscenza profonda del bene tale da permetterne la sua documentazione, la sua valorizzazione, la sua conservazione e, nel caso fosse necessario, il suo rispristino attraverso operazioni di restauro. Basata sulla struttura scientifica della geodesia, la geomatica usa “sensori” di diversa tipologia terrestri, marini, aviotrasportati e satellitari che insieme a diverse metodologie permettono di acquisire, analizzare e modellare dati spaziali per gli scopi più vari inerenti il rilevamento e la rappresentazione del territorio. Le discipline della geomatica hanno conosciuto, in questi ultimi anni, un profondo rinnovamento che offre nuove prospettive di intervento in diversi campi. In particolar modo in quello dei beni culturali, grazie sopratutto all’integrazione e alla complementarietà di tecniche e tecnologie diverse, quali i laser scanner, le termocamere, la fotogrammetria digitale, i GIS, ecc. Alcune di queste tecniche sono state utilizzate a supporto delle fasi di rilevamento e di valorizzazione del patrimonio dei beni culturali di Muros: dal rilevamento satellitare GPS per i rilievi dei percorsi turistici e per la georeferenziazione dei siti, alla fotogrammetria digitale e alla topografia classica per i rilievi dei beni ed infine i Sistemi Informativi Territoriali (GIS) per una migliore gestione e diffusione dei dati raccolti. METODOLOGIE E TECNICHE GEOMATICHE PER IL RILEVAMENTO DEI BENI CULTURALI Il rilevamento dei beni culturali, sia per la variegata tipologia di beni (edifici, dipinti, siti archeologici, ecc.) sia per la differente e a volte complessa forma geometrica, presenta delle 95 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare caratteristiche che possono renderlo di difficile esecuzione attraverso le normali metodologie geomatiche. Negli ultimi anni la tecnologia ha, sicuramente, offerto un contributo sostanziale alle tecniche di rilievo utilizzate per i beni culturali, permettendo di realizzare rilievi che, solo alcuni anni fa, era impossibile immaginare. Basti citare ad esempio il laser scanner che permette di rilevare, in modo esaustivo, beni, anche di piccolissime dimensioni, con la precisione sub-millimetrica. Le problematiche legate a tali rilievi sono varie e dipendenti da diversi fattori: dall’ambiente in cui ci si trova a lavorare, alle precisioni richieste, alla scala di rappresentazione. Entrando maggiormente nel dettaglio, uno degli aspetti da tenere in considerazione è quello della rappresentazione multiscala. Spesso, infatti, gli esperti del settore richiedono sia il rilievo di dettaglio del bene (scala 1:50 o più grande) sia il suo inquadramento in un contesto più ampio quale l’ambito urbano o territoriale (scala 1:200 o più piccola). Ci si trova, dunque, di fronte a strumenti e tecniche di rilievo differenti, che operano con diverse precisioni e in differenti sistemi di riferimento (locali o nazionali), ma che alla fine devono colloquiare tra loro. Un altro aspetto, legato al precedente, è l’accuratezza stessa richiesta dal rilievo. Questa può essere molto elevata (millimetrica o sub-millimetrica) per studi finalizzati, ad esempio, alla diagnostica, al monitoraggio del degrado o delle deformazioni o per una riproduzione stessa del bene, oppure la precisione può passare in secondo piano nei casi in cui il rilievo è finalizzato alla mera visualizza- 96 zione ed esplorazione del bene all’interno di prodotti multimediali. Ciò che è importante, quindi, quando ci si trova a progettare un rilievo di un bene, è capire le esigenze dell’archeologo sia in termini di precisione metrica richiesta, sia i termini di finalità del rilievo stesso così da individuare le tecniche e gli strumenti più idonei da utilizzare. Altri problemi possono derivare dall’ambiente in cui si opera, spesso infatti i beni sono ubicati in zone non facilmente accessibili o liberi da ostacoli, altre volte è fatto divieto al rilevatore di entrare in contatto con il bene stesso per motivi di sicurezza e di salvaguardia. In questi casi l’operatore si trova costretto ad utilizzare tecniche e dispositivi speciali (trabattelli, carrelli elevatori, palloni, aquiloni, ecc.) per poter eseguire il rilievo o per accelerarne i tempi onde evitare di ostacolare il lavoro degli esperti del settore durante gli scavi o lo studio del sito. I dati geospaziali ottenuti dai rilievi topografici, fotogrammetrici vanno poi ad integrarsi con tutta un’altra serie di dati di tipo storico, archeologico, architettonico, ambientale creando quindi una mole di dati non indiferrente. Per la loro integrazione e per una loro maggiore fruibilità vengono in aiuto quegli strumenti identificati come GIS (Geographic Information System) ovvero i Sistemi Informativi Territoriali che hanno la funzione di collegare dati alfanumerici quali informazioni, dati, immagini, filmati a dati geografici univocamente identificati sul territorio. Questi sistemi permettono inoltre di effettuare analisi di diverso tipo a supporto della gestione e della valorizzazione degli stessi beni. Con la diffusione di Internet, inoltre, viene offerta anche la possibilità di distribuire i dati presenti in un GIS in rete attraverso i WEBGIS, ovvero Sistemi Informativi Territoriali consultabili direttamente via WEB attraverso i normali browser (Internet Explorer, Netscape ecc). Ormai sono davvero tante le amministrazioni che stanno sviluppando questo tipo di prodotti con l’intento di offrire una maggiore diffusione del proprio patrimonio culturale, dando vita così a quello che oramai viene definito “turismo tecnologico”, che fa uso di strumenti altamente performanti quali PDA, cellulari di ultima generazione, Ipod o PSP (Play Station Portable) per ottenere la massima assistenza negli spostamenti e nelle ricerche di informazioni turistico-culturali sul territorio. Quanto detto finora, ha mostrato una panoramica sulle problematiche e sulle potenzialità delle tecniche della geomatica finalizzate al rilievo e alla rappresentazione del patrimonio culturale. Nei paragrafi successivi verrà data una descrizione più dettagliata delle tecniche e degli strumenti utilizzati per il rilievo e la rappresentazione del patrimonio culturale del Comune di Muros, così come previsto dal progetto di “Valorizzazione e promozione dei beni culturali e ambientali del territorio comunale di Muros”. In particolare i rilievi effettuati sono stati finalizzati alle seguenti operazioni: - georeferenziazione del patrimonio archeologico nel sistema cartografico nazionale Gauss-Boaga; La geomatica per il rilievo e la rappresentazione del patrimonio culturale - rilievo e rappresentazione dei siti archeologici e architettonici; - realizzazione di percorsi di trekking turistico tra i beni culturali e ambientali di Muros con metodologia GPS/GIS; - realizzazione di un GIS per la gestione e la fruizione del patrimonio culturale di Muros. LA GEOREFERENZIAZIONE DEL PATRIMONIO ARCHEOLOGICO L’inquadramento dei beni archeologici del comune di Muros nel sistema cartografico nazionale Gauss-Boaga è stato realizzato utilizzando il sistema satellitare GPS (Global Positioning System). Il GPS è un sistema di posizionamento utilizzato sia per scopi navigazionali, in cui la precisione richiesta non è molto elevata (ordine del metro), sia per scopi geodetici dove le precisioni richieste sono sub-centimetriche. Il sistema GPS è formato da: - un segmento spaziale costituito da 24 satelliti che ruotano attorno alla Terra su orbite fisse ad una quota di circa 20.200 km dalla superficie terrestre; - un segmento di controllo costituito da stazioni a terra che hanno il compito di calcolare le orbite reali dei satelliti e gli errori legati agli orologi a bordo dei satelliti; - un segmento utente costituito dai ricevitori a terra. La posizione delle orbite e il periodo di rotazione dei satelliti intorno alla Terra di ogni satellite, sono studiati in modo che in ogni punto della superficie della Terra e in qualsiasi momento della giornata siano sempre visibili almeno 4 satelliti. I satelliti emettono con continuità dei segnali su due frequenze L1 ed L2, in forma di onde elettromagnetiche, che vengono modulate secondo due codici, il codice C/A libero a tutta l’utenza civile e il codice P criptato ad uso esclusivo per i militari e gli utenti autorizzati. Ogni segnale trasporta informazioni di tempo, di posizione e stato di salute dei satelliti e permettono al ricevitore a terra di determinare la sua posizione tridimensionale rispetto al sistema di riferimento proprio del GPS chiamato WGS84 (World Geodetic System). Il posizionamento GPS può essere effettuato secondo differenti tecniche: 1) Posizionamento assoluto: la posizione di un punto si determina con un’incertezza dell’ordine di ± 10-15 m. Si tratta di una tecnica di precisione sufficiente per la navigazione o per tracciamenti speditivi. In questo tipo di tecnica è sufficiente utilizzare un solo ricevitore e stazionare sul punto il tempo sufficiente affinché il ricevitore riceva il segnale da almeno 4 satelliti. Il posizionamento assoluto può essere eseguito con misure di pseudorange, sfruttando la componente “codice” del segnale, che si basa sulla misura dell’intervallo di tempo t di propagazione del segnale, oppure con misure di fase, eseguite sulla componente “portante” del segnale, che si basa sulla misura di sfasamento tra l’onda portante del satellite e quella replicata dal ricevitore; 2) Posizionamento relativo: la posizione di un punto (rover) si determina rispetto ad un altro punto considerato noto (master). In pratica viene determinato il vettore posizione (baseline) tra i due punti nelle sue tre componenti rispetto a una terna cartesiana assegnata. La precisione è dell’ordine di qualche milionesimo della distanza, pari quindi, o superiore, a quella di operazioni geodetiche classiche eseguite con la massima accuratezza. Con tale tecnica si possono eseguire rilievi in diversa modalità: - statica, nella quale il rover staziona sul punto incognito per un certo periodo di tempo, la precisione che si ottiene è subcentimetrica; - cinematica nel quale il rover si muove lungo una traiettoria, la precisione che si ottiene è di qualche centimetro. All’interno di questa tecnica vi sono diverse modalità operative una delle quali è detta “stop&go”, nella quale il rover staziona qualche secondo sui punti da rilevare, a differenza del “continuo” nel quale il rover è in continuo movimento; - statico-rapida in cui il rover staziona alcuni minuti sul punto da rilevare e poi si sposta nel punto successivo, la precisione che si ottiene è di qualche centimetro. 3) Posizionamento differenziale DGPS (Differential GPS). In questa tecnica si usano due o più ricevitori: uno posto su un vertice di riferimento A (master), di posizione nota, ed uno su B (rover), solita- 97 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare mente in movimento, che occupa i punti di nuova determinazione. La stazione master calcola le correzioni di pseudorange PRC (pseudo range correction) e le loro variazioni nel tempo RRC (range rate correction) per poi inviarle al rover. Questo, applica le correzioni alle sue misure di pseudorange e determina la sua posizione con i range corretti, migliorando la precisione delle coordinate rispetto al posizionamento assoluto in tempo reale. Il posizionamento differenziale può essere applicato al range di codice o di fase. La correzione differenziale può essere trasmessa in tempo reale dal ricevitore base alla stazione rover, oppure in post processamento. Le correzioni vengono inviate al rover nel formato standard RTCM o nei formati proprietari delle ditte costruttrici dei ricevitori. Nelle misure di pseudorange di codice la tecnica è chiamata “Differential GPS” e la precisione è metrica o sub-metrica; nelle misure di fase prende il nome di RTK (Real Time Kinematic) e la precisione è centimetrica. 4) Posizionamento differenziale Wide Area (WADGPS), utilizza le correzioni trasmesse dai satelliti geostazionari dei sistemi SBAS (Satellite-Based Augmentation System). Il sistema SBAS europeo EGNOS è basato sull’utilizzo dei sistemi di posizionamento satellitare americano GPS e russo GLONASS integrati dall’utilizzo di 3 satelliti geostazionari INMARSAT 3 (AOR-E (Atlantic Ocean Region East), IOR (Indian Ocean Ragion) e ARTEMIS. Il sistema è costituito da una serie di stazioni di monitoraggio denomi- 98 nate RIMS (Ranging and Integrity Monitoring Stations) connesse ad una serie di centri di controllo e di elaborazione dati denominati MCC (Master Control Centre). Le RIMS hanno il compito di calcolare le correzioni differenziali per ciascun satellite della costellazione GPS o GLONASS monitorato, il ritardo ionosferico e le effemeridi dei satelliti geostazionari. Queste informazioni sono inviate alle stazioni NLES (Navigation Land Earth Stations) che le trasmette ai satelliti geostazionari i quali, a loro volta, le ritrasmettono agli utenti a terra. Il segmento utente è costituito dai ricevitori GPS abilitati a ricevere le correzioni dai satelliti geostazionari di sistemi di questo tipo. La precisione del posizionamento si aggira intorno al metro. Il sistema di riferimento adottato per il GPS, come già detto, è il sistema WGS84. L’origine del sistema coincide con il centro di massa “convenzionale” della terra, l’asse Z è diretto come l’asse di rotazione terrestre “convenzionale”, l’asse X è formato dall’intersezione tra il piano meridiano di riferimento e il piano equatoriale e l’asse Y è tale da formare una terna ortogonale destrorsa. A questo sistema geocentrico cartesiano è associato l’ellissoide WGS84, definito dal DMA (Defence Mapping Agency), avente centro ed assi coincidenti con quelli della terna OXYZ. Le tecniche di posizionamento GPS sono state utilizzate ampiamente all’interno del progetto “Valorizzazione e promozione dei beni culturali e ambientali del territorio comunale di Fig. 1 - Siti archeologici e ambientali georeferenziati. La geomatica per il rilievo e la rappresentazione del patrimonio culturale Muros” sia per la georeferenziazione dei siti archeologici sia per la creazione dei percorsi turistici tra i beni culturali di Muros. La georeferenziazione dei siti archeologici è stata realizzata con il GPS in modalità staticorapida. La stazione master utilizzata è la stazione permanente GPS ubicata nel comune di Alghero che fa parte della rete regionale GPS di proprietà della società “Geodesia Tecnologia” srl di Cagliari. Le coordinate WGS84 sono state trasformate nel sistema di riferimento Roma40 utilizzando il software ufficiale dell’IGM (Istituto Geografico Militare) Verto2. Nella fig. 1 sono indicati i siti rilevati all’interno della cartografia del comune di Muros. RILIEVO E RAPPRESENTAZIONE DEI SITI ARCHEOLOGICI E ARCHITETTONICI Per la valorizzazione dei beni culturali, come già detto precedentemente, è di fondamentale importanza la conoscenza della forma e della geometria del bene stesso, che contribuisce a fornire una rappresentazione spaziale precisa ed esaustiva del bene. Il rilevamento e la rappresentazione dei beni sono stati realizzati dal gruppo di rilevatori (ingg. A. Cabras e C. Giuffrida), coordinato dal Prof. Michele Pintus dell’Università di Cagliari, supportato dal gruppo di topografi della Società Geos’Team di Oristano, coordinato dall’Ing. Giuseppina Vacca dell’Università di Cagliari. Oggetto dei rilievi sono stati tutti i beni archeologici ubicati in agro di Muros e alcuni edifici rappresentativi dell’architettura del Comune di Muros. Sulla base dei sopralluoghi dei siti da rilevare sono state definite le tecniche geomatiche e gli strumenti da utilizzare. In alcuni siti è stato sufficiente eseguire dei rilievi con una Stazione Totale con tecnologia DR (Direct Reflex), in altri casi si è optato per un rilievo di tipo fotogrammetrico. La prima scelta è ricaduta per tutti quei siti che presentavano un’architettura semplice e senza forme complesse, per i quali il rilievo di strategici punti tridimensionali ha permesso, insieme alle tecniche tradizionali, di inquadrare il bene e di darne una sua rappresentazione a grande scala 1:50 e 1:20 (Strade romane di San Leonardo e Ponte romano sul rio Badde Olia). In atri casi si è optato per un rilievo fotogrammetrico digitale integrato con rilievi topografici classici e tecniche di rilievo tradizionali. In particolare, con tali tecniche, sono stati rilevati i prospetti frontali di alcuni beni (Domus di Rocca Ruja e gli ipogei di Badde Ivos). Lo sviluppo della fotogrammetria digitale nel campo dei beni culturali, nota anche come fotogrammetria dei vicini, è dovuta soprattutto alla caratteristica di essere una tecnica che non richiede il contatto con l’oggetto, di rapida esecuzione e di elevata precisione. Il rilievo fotogrammetrico può sinteticamente suddividersi in diverse fasi: progetto della presa, presa dei fotogrammi, appoggio a terra, orientamento e restituzione dei fotogrammi. A seconda dell’oggetto da riprendere e soprattutto degli aggetti presenti, le prese possono essere stereoscopiche o monoscopiche. Nel caso di un oggetto piano, ovvero di un oggetto i cui aggetti possono essere ritenuti piccoli e, sotto certi aspetti, trascurabili, possono eseguirsi delle prese monoscopiche. In tal caso l’orientamento e la restituzione dei fotogrammi risulta di più facile realizzazione anche per i non addetti ai lavori. L’orientamento consiste in un semplice raddrizzamento che può essere eseguito da moltissimi software CAD presenti sul mercato. Il raddrizzamento si basa sull’applicazione di un’omografia tra il piano del fotogramma e il piano che contiene l’oggetto. I parametri dell’omografia vengono stimati sulla base di almeno 4 punti noti sia nel sistema di riferimento esterno X, Y sia nel sistema interno dell’immagine (posizione di riga e colonna dei pixel). Le immagini raddrizzate, quindi, sono a tutti gli effetti delle proiezioni ortogonali e come tali possono essere restituite in forma grafica con l’ausilio di software di tipo CAD. Questa è la tecnica utilizzata per le facciate dei siti di Rocca Ruja e di Badde Ivos, si trattava infatti di prospetti piani per i quali il raddrizzamento fornisce buone precisioni e tempi di realizzazione veloci a costi limitati. Le prese sono state effettuate con una camera digitale amatoriale Sony DSC-T7, il raddrizzamento con il software fotogrammetrico GcartoGDS della Geosoft (vedi fig. 2) e la restituzione con il software AutoCad dell’AutoDesk (vedi fig. 3). L’appoggio dei fotogrammi è stato realizzato con una Stazione Totale DR della Trimble. 99 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare REALIZZAZIONE DI UN PERCORSO DI TREKKING TURISTICO TRA I BENI CULTURALI E AMBIENTALI DI MUROS Seguendo la politica del Club Alpino Italiano (CAI) che promuove il motto “Camminare per conoscere e tutelare” e che in questi ultimi anni l’ha visto impegnato nell’informatizzazione dei sentieri e nella creazione del “Catasto dei Sentieri”, si è voluto progettare e realizzare un percorso turistico finalizzato alla conoscenza del patrimonio culturale di Muros, dai beni archeologici a quelli ambientali. Per facilitare la creazione del “Catasto dei Sentieri”, il CAI ha intrapreso due strade: per primo la creazione di un database dei Sentieri CAI che si propone di censire la sentieristica italiana dandone una descrizione dettagliata a cui segue lo sviluppo di SIWGREI, un WEBGIS della rete escursionistica italiana. Il sistema WEBGIS SIWGREI si prefigge diversi obiettivi. Dal punto di vista gestionale il sistema permette di quantificare la rete dei sentieri in Italia, di individuare quelli con problemi di degrado da sottoporre a lavori di manutenzione e di fornire informazioni di tipo ricettivoturistico presenti lungo i sentieri. Dal punto di vista escursionistico consente la programmazione di escursioni definendone il percorso, i dislivelli, le pendenze, i tempi di percorrenza e le difficoltà del percorso progettato. A scopo divulgativo costituisce la prima banca on-line dei sentieri in Italia, evidenziandone le bellezze naturalistiche, ambientali, storiche, archeologiche. Tale sistema, permetterà la creazione di carte escursionistiche e lo scambio d’informazioni con altri WEBGIS di questo 100 Figg. 2 e 3 - A sinistra immagine ingresso ipogeo Badde Ivos raddrizzata, a destra restituzione del prospetto. tipo. Infine, dal punto di vista istituzionale permetterà lo scambio e l’integrazione di dati con gli altri gestori di reti di sentieri: regioni, parchi, comunità montane, ecc. Per quanto riguarda il progetto Muros si è deciso di studiare alcuni percorsi all’interno del territorio, con l’obiettivo di offrire all’escursionista-turista una passeggiata tra i siti di maggiore interesse sia dal punto di vista storicoarcheologico sia dal punto di vista naturalistico-ambientale. Per rilevare il percorso è stato utilizzato un sistema integrato GPS-GIS. Questi sono degli strumenti che offrono la possibilità di rilevare, in tempo reale e con discrete precisioni, ele- menti presenti sul territorio e di associare a questi, informazioni e attributi consentendone la loro rappresentazione direttamente all’interno di un sistema informativo territoriale. Sono costituiti essenzialmente da un sensore GPS navigazionale, con la possibilità di correzione differenziale del dato, accoppiato ad un controller tipo PDA (Personal Digital Assistant) o un notebook su cui è installato un software in grado di trasferire la posizione GPS rilevata, direttamente all’interno del GIS. I principali vantaggi legati all’utilizzo di questi strumenti sono essenzialmente la loro facilità d’uso, il ridotto peso e le limitate dimensioni che permettono agli utenti di effettuare il rilievo del La geomatica per il rilievo e la rappresentazione del patrimonio culturale Fig. 4 - Percorso n. 1 Badde Ivos - Canechervu. percorso attribuendogli, direttamente sul campo, informazioni e dati utili ai fruitori futuri di quel percorso. Il percorso così realizzato, può essere convertito nei formati standard GPS più diffusi, come ad esempio il formato Garmin, così da essere utilizzato dagli escursionisti in possesso di un GPS per la guida al percorso. Il sistema GPS-GIS utilizzato nel rilievo del percorso è composto dal GPS GeoXT della Trimble integrato in un PDA con sistema operativo Windows CE 3.0. Il ricevitore funziona sia in modalità DifferentialGPS sia in modalità WADGPS. I dati GPS possono essere anche corretti in fase di post-processamento con il software della Trimble PathFinder. La correzione differenziale può utilizzare dati provenienti da una stazione master oppure, molto utile per i meno esperti, scaricati direttamente dalla rete internet attraverso un sistema di classificazione di PathFinder chiamato “Integrity Index” che fornisce un elenco, costantemente monitorato, dei provider di dati di stazioni permanenti di tutto il mondo. Il post-processamento differenziale può avvenire sia sul codice, sia sulla fase della portante, permettendo, quindi, precisioni migliori. Il software PathFinder esporta i dati corretti in diversi formati vettoriali DXF, shp, SSF Trimble ecc. e diversi formati immagine (jpeg, tif, ecc.). Il software GIS, connesso al GPS, utilizzato nel rilievo dei sentieri è ArcPad della ESRI che permette di ottenere il rilievo direttamente in formato shapefile e attribuire i dati alfanumerici agli elementi rilevati. Globalmente sono stati rilevati 2 percorsi ubicati uno a nord della S.S. 131 e uno a sud, così da evitare ai turisti di dover attraversare l’arteria principale della Sardegna che collega Cagliari a Sassari. I dati rilevati in tempo reale sono stati successivamente corretti con il software PathFinder utilizzando la stazione permanente GPS ubicata ad Alghero con correzione differenziale di fase. La precisione ottenuta si aggira intorno a qualche decimetro. Il percorso indicato come “Percorso 1” parte dalla chiesa parrocchiale e tocca i seguenti siti storico-archeologici: gli ipogei di Badde Ivos, la Strada romana (Santu Lionardu, Coa de Redulas), i resti della chiesa medievale di San Leonardo e la domus de janas di Rocca Ruja. Il percorso termina nel sito ambientale Canechervu. (fig. 4) Il “Percorso 2” parte dalla Scala di Giocca per arrivare al Ponte romano e proseguire per i siti monte Fenosu, Grotta dell’Inferno, Sa Crabola, monte Tudurighe, l’insediamento abitativo di Sa Turricula, del recinto megalitico di monte Simeone, le domus de janas di S’Isteri e di monte Terras, il rio Mascari, il nuraghe Santu Giorzi fino ad arrivare al monte Frundas. REALIZZAZIONE DEL GIS PER LA GESTIONE DEL PATRIMONIO CULTURALE DI MUROS Tutte le informazioni spaziali ottenute con i metodi sopra descritti, insieme a quelle ottenute dagli studi degli archeologi e degli storici, relative ai beni di Muros sono state archiviate in un sistema informativo territoriale tale da consentirne una facile accessibilità, gestibilità e disponibilità a tutti gli utenti coinvolti nella conservazione e valorizzazione di tale patrimonio. Un sistema informativo territoriale SIT o GIS (Geographic Information System) è, 101 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare secondo la definizione di Burrough (1986), un sistema informatico composto di una serie di strumenti software per acquisire, memorizzare, estrarre, trasformare e visualizzare dati spaziali dal mondo reale e in grado di produrre, gestire e analizzare dati associando a ciascun elemento geografico una o più descrizioni alfanumeriche. Nei GIS sono presenti tre tipologie d’informazioni: - informazioni geometriche, relative alla rappresentazione dell’oggetto quali le primitive (punto, polilinea, area) e la posizione geografica; - informazioni topologiche, riferite alle relazioni reciproche tra gli oggetti (connessione, adiacenza, inclusione, ecc.); - informazioni riguardanti gli attributi (numerici, testuali, ecc.) associati ad ogni elemento geografico. Il GIS prevede la gestione di queste informazioni in un database di tipo relazionale, che presenta normalmente delle funzionalità di analisi spaziale, ovvero di trasformazione ed elaborazione degli elementi geografici e degli attributi quali ad esempio: l’overlay topologico, le query spaziali, il buffering, ecc. Per quanto riguarda il Comune di Muros è stato realizzato un GIS in cui sono stati fatti convergere tutti i dati rilevati, durante tutte le fasi del progetto “Valorizzazione e promozione dei beni culturali e ambientali del territorio comunale di Muros”, dalle diverse figure coinvolte nel progetto: archeologi, storici, topografi, rilevatori, geologi, biologi, ecc. Le informazioni alfanumeriche sono state archiviate nelle schede ICCD (Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione) e nel database che le contiene (vedi articolo D. Fiorino). Il database è stato successivamente collegato, all’interno del GIS, alle informazioni spaziali dei beni culturali ottenute nelle diverse campagne di rilievi. Il software utilizzato per il GIS è ArcGIS 8.3 della ESRI. Con tale sistema è stato possibile elaborare carte tematiche sulla diverse tipologie che caratterizzano i beni quali l’epoca di costruzione, la tipologia costruttiva, ecc. CONCLUSIONI In questo articolo sono state presentate alcune tecniche geomatiche utilizzate nel progetto “Valorizzazione e promozione dei beni cultu- rali e ambientali del territorio comunale di Muros”, finalizzate principalmente a misurare e a georiferire i beni culturali di Muros sul territorio. All’interno del progetto le tecniche geomatiche sono state in alcuni casi di supporto al meticoloso lavoro dei rilevatori, in altri hanno offerto la possibilità di fornire degli strumenti agli amministratori e ai turisti per fruire meglio del patrimonio di Muros. Il progetto, nel suo complesso, si è rivelato interessante sopratutto grazie alle sinergie che sono confluite. I contributi di tutti gli operatori, i tecnici e gli studiosi hanno permesso di fare un lavoro di ricerca, di rilievo, di misura e di catalogazione che ancora non esisteva per la maggior parte dei beni di Muros. Tutto il lavoro prodotto all’interno di questo progetto, rappresenta sicuramente un buon punto di partenza, per l’amministrazione comunale, per la gestione, la conservazione e la valorizzazione del proprio patrimonio che in questi mesi di lavoro a Muros abbiamo imparato ad amare e ad apprezzare. BIBLIOGRAFIA Bruciatelli L., Casadei M., De Donatis M., Piantelli E., Selandari S., “Il rilievo di sentieri secondo specifiche CAI tramite sistemi integrati mobile-GIS e GPS”. Atti della X Conferenza Nazionale ASITA, Bolzano 2006. Vacca G., GPS-GIS integrated system for in real time applications in cartography. The Middle East GIS Magazine Bi- Monthly Vol. 1 Issue 5 September-October 2005, Dubai UAE. Breveglieri M., Geri A., Sala E., SIWGREI: Sistema Informativo WEBGIS per la gestione della rete Sentieristica Italiana, Atti della 7a Conferenza Nazionale ASITA, Verona 2003. Deruda G., Falchi E., Pusceddu L., Vacca G., Tecniche e metodologie per il rilevamento del sito archeologico di Sant’Eulalia, in “Il quartiere di Marina a Cagliari. Ricostruzione di un contesto urbano pluristratificato” Edicom Edizioni Monfalcone (Gorizia) ISBN 88-86729-78-2. Sanna G., Vacca G., L’impiego di sistemi integrati GPSGIS in tempo reale per applicazioni cartografiche. 7° Conferenza Italiana Utenti ESRI Roma 21-22 aprile 2004. Bitelli G., Moderne tecniche e strumentazioni per il rilievo dei beni culturali, Atti della 7a Conferenza Nazionale ASITA, Verona 2003. 102 CENSIMENTO, VALORIZZAZIONE E PROMOZIONE DEI BENI CULTURALI E AMBIENTALI Pier Marcello Torchia RILIEVI TOPOGRAFICI Il lavoro di “Censimento, valorizzazione e promozione dei beni culturali e ambientali del territorio Comunale di Muros” è stato progettato affinché ogni sito abbia una precisa collocazione sulla cartografia tradizionale e sui sistemi cartografici informatizzati. È stato necessario quindi eseguire una rilevazione topografica per determinarne con elevata precisione le coordinate cartografiche. Con l’Università di Cagliari, nella persona dell’ing. Giuseppina Vacca, ricercatore nel raggruppamento ICAR06-Topografia e Cartografia Dipartimento di Ingegneria Strutturale, è stata preventivamente studiata una modalità operativa per l’esecuzione delle operazioni di rilevamento che prevedeva l’uso combinato del GPS (Global Positionig System) e di strumentazione celerimetrica tradizionale (Stazione totale con rilevazione elettro-ottica delle distanze). Lo studio prevedeva che presso ogni sito dovevano essere posizionati un numero sufficiente di punti di appoggio necessari per l’esecuzione del successivo rilievo di dettaglio. Si è resa necessaria quindi la rilevazione di circa 140 punti con sistema GPS e sono stati utilizzati ricevitori a doppia frequenza della Trimble modello 5700. Considerato l’elevato numero di punti da rilevare abbiamo optato per una tecnica di rilevazione denominata “Stop&Go” (cinematico) che prevede la rilevazione delle coordinate con una velocità di circa 15 secondi per ogni punto. La rilevazione con GPS richiede la correzione dei dati mediante l’uso simultaneo di almeno due ricevitori (compreso quello di rilevazione). A tal proposito sono state utilizzate due “stazioni permanenti” che mettono a disposizione la correzione dei dati dati GPS 24 ore su 24. Le stazioni utilizzate sono posizionate ad Alghero e ad Oristano, e fanno parte di una rete di 13 stazioni operanti su tutto il territorio regionale. I dati forniti dalle “basi permanenti” hanno quindi consentito di “postprocessare” i dati rilevati e determinare le coordinate in tre diversi sistemi: coordinate geografiche WGS84 per l’utilizzo con navigatori satellitari, coordinate cartesiane UTM (Universal Transverse Mercatore) WGS84 ed ED50 per l’interscambio con altri sistemi informativi territoriali a livello mondiale, e coordinate cartesiane nel sistema 103 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare Gauss-Boaga Roma40 per consentire la sovrapposizione dei dati rilevati con gli strumenti urbanistici e di pianificazione territoriale vigenti in Sardegna. Le elaborazioni sono state eseguite con il software della Trimble e le trasformazioni tra i diversi sistemi sono state eseguite con il programma “Verto2”, prodotto dall’Istituto Geografico Militare, che offre un’elevata qualità grazie all’utilizzo di apposite griglie di compensazione. Per raggiungere i siti oggetto di rilievo è stato preventivamente svolto, dai colleghi che si sono occupati della catalogazione dei beni culturali, un lavoro di ricognizione diretta e individuazione cartografica grossolana. Questo lavoro è stato svolto mediante l’utilizzo di sistemi GIS (Geographic Information System) che hanno consentito di acquisire la cartografia raster prodotta dall’Istituto Geografico Militare in scala 1:25.000 su cui sono stati posizionati i riferimenti in corrispondenza dei siti visitati. Abbiamo quindi determinato approssimativamente le coordinate cartografiche dei siti, preventivamente acquisite nel sistema GPS di rilevazione, che in una prima fase ha consentito alla squadra addetta ai rilievi di raggiungere i siti. Giunti in prossimità dei siti sono stati posizionati i punti di appoggio opportunamente monografati (di ogni punto di appoggio rilevato è stata prodotta una scheda descrittiva) quindi è stata eseguita la misurazione GPS. Questi punti sono stati utilizzati successivamente per l’esecuzione dei rilievi di dettaglio 104 delle opere. Per questa operazione sono state utilizzate stazioni totali della Geodimeter e Trimble che hanno consentito, attraverso la misurazione di angoli e distanze, di determinare le coordinate dei punti. Al termine delle operazioni di rilevazione sono state eseguite le acquisizioni e le opportune trasformazioni che hanno consentito di produrre lo strato informativo per la consultazione dei siti attraverso il GIS, e la restituzione delle singole planimetrie di dettaglio dei siti. SISTEMA INFORMATIVO TERRITORIALE “GIS” (GEOGRAPHIC INFORMATION SYSTEM) L’utilizzo del sistema GIS è stato indispensabile in numerose fasi del lavoro di censimento. Nella prima fase del lavoro, attraverso il GIS è stato possibile produrre alcune carte che sono state fondamentali per le operazioni di studio. Tra queste, ad esempio, è stata riprodotta la carta Tecnica Regionale nella scala 1:10.000, la Carta di Uso del Suolo elaborata dalla RAS, l’ortofotocarta a colori scala 1:10.000 ed altre carte di dettaglio. Riveste però particolare importanza l’utilizzo del GIS per il collegamento cartografico delle informazioni agli elementi grafici riportati sulla cartografia. Oltre alle informazioni sono state inoltre collegate immagini e disegni tecnici. Per tutte le elaborazioni è stato utilizzato il software prodotto dalla ESRI, denominato ArcView versione 8.3. Per quanto riguarda i siti rilevati, attraverso il GIS è possibile consultare le schede descrittive dei siti con le relative immagini e disegni di dettaglio. Censimento, valorizzazione e promozione dei beni culturali e ambientali Ma sarà possibile soprattutto leggere altre informazioni come ad esempio il risultato dello studio ambientale, vegetazionale e geologico eseguito dai colleghi del gruppo di lavoro. Il GIS infatti permette di acquisire qualunque tipologia di “strato informativo”, a condizione che sia georeferenziato (le cui informazioni posseggono le relative coordinate cartografiche) nel medesimo sistema. Grazie a questa peculiarità sarà possibile, in un secondo tempo, implementare il sistema con altre informazioni quali ad esempio itinerari, ricettività, sentieristica, ecc. A tale riguardo è stato eseguito (sempre con sistema GPS) il rilievo di un percorso che, grazie all’inserimento nel GIS, viene ulteriormente valorizzato dalle altre informazioni contenute nel sistema informativo territoriale. Il sistema ha inoltre consentito di realizzare una carta di sintesi riportata sui pannelli informativi, su cui la morfologia del territorio è stata rappresentata con gradazioni di colore generati in automatico dal software. Grazie infatti all’applicativo 3D Analist prodotto dalla ESRI (software house produttrice di ArcView 8.3) è stato possibile creare il DTM (Modello Digitale del Terreno) mediante l’acquisizione dell’altimetria direttamente dalla Carta Tecnica Regionale alla scala 1:10.000. La produzione del DTM consentirà inoltre di generare automaticamente profili sull’andamento altimetrico delle parti di territorio di Muros desiderate. La consultazione delle informazioni raccolte avverrà con due diversi sistemi: 1) attraverso ArcView 8.3 (software di cui l’amministrazione potrà dotarsi in un secondo tempo) che oltre a consentire la consultazione delle informazioni permette di implementare il sistema e modificare i dati geografici; 2) attraverso un visualizzatore che consente la sola consultazione delle informazioni raccolte, ma la mancanza degli strumenti di “editing” rendono l’utilizzo estremamente semplice; CONCLUSIONI Le operazioni sopradescritte hanno richiesto un grande sforzo organizzativo derivante dall’elevata interdisciplinarietà del gruppo di lavoro, ma i risultati raggiunti dimostrano che questa procedura è indispensabile per mettere a “sistema” i diversi patrimoni del territorio di Muros. Le informazioni rilevate e catalogate diventano anch’esse un ulteriore patrimonio che, grazie alla semplicità di relazione con informazioni prodotte da altri, il Comune di Muros può spendere. Diventano però indispensabili il mantenimento/aggiornamento ed implementazione delle informazioni raccolte affinché resti un “patrimonio indispensabile” per l’Amministrazione Comunale e per tutti gli operatori (turistici, ambientali, ricercatori, ecc.). 105 LE PROSPETTIVE DI TUTELA E VALORIZZAZIONE DEI CENTRI MINORI ALLA LUCE DELLE NUOVE DIRETTIVE REGIONALI Marina Vincis La legislazione sui centri storici, se pure ha seguito l’evoluzione nel nostro ordinamento del problema di una organica normativa disciplinante il recupero del patrimonio edilizio esistente, si è preoccupata di fare ciò quasi esclusivamente sotto il profilo tecnico-culturale, piuttosto che prendere coscienza della necessità di intervenire sul tessuto urbano degradato. È mancata, in passato, una più stretta connessione tra leggi urbanistiche e leggi di tutela anche se sia nelle une che nelle altre, si è tentato qualche reciproco aggancio. In tal senso la cosiddetta “legge ponte”1, facendo propria la tematica relativa alla possibilità di salvaguardia e valorizzazione dei centri storici, solo se inserita nella pianificazione urbanistica, tendeva a un nuovo modo di coordinamento anche fra le competenze di amministrazioni diverse. Successivamente, al fine di incentivare la produzione, nel tentativo di risolvere la crisi edilizia, sono stati predisposti nuovi strumenti legislativi: le leggi n. 865/712 e n. 457/783 e le leggi regionali attinenti in materia, nelle quali il legislatore si è preoccupato di predisporre strumenti e mezzi, ma poco o nulla era detto sugli obiettivi da raggiungere. I piani particolareggiati sui centri storici erano rari e non sempre validi. La citata legge 457/78, tendendo al superamento del blocco costituito dalla legge ponte, al titolo quarto “Norme generali per il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente”, prevalentemente considerato come una normativa quadro per le amministrazioni comunali, costituì una netta frattura con tutta la politica e la prassi precedente introducendo un sistema organico con cui si concretizzava la sistemazione disciplinare del recupero edilizio. Il principio cardine era costituito infatti dalla decisa sostituzione del meccanismo dei piani particolareggiati, con il nuovo strumento del piano di recupero individuato all’interno della perimetrazione delle zone di degrado. Parallelamente a queste leggi, ma senza momenti di contatto ben chiari e definiti in appositi regolamenti, continuarono ad essere valide le leggi di tutela del 19394. Tali leggi, generate da una cultura idealistica, si sono rivelate dotate di una certa duttilità nella loro applicazione seppure limitandosi ad una sorta di tutela passiva soprattutto se opportuna- mente affiancate dalla strumentazione legislativa urbanistica. La spinta riformistica che caratterizzò gli anni ’60 coinvolse direttamente anche i centri storici. Infatti nel settore della tutela dei beni culturali ed ambientali sorse un problema circa la collocazione dei centri storici nell’ambito di questo settore o in quello della materia urbanistica. Tale questione fu oggetto di particolare attenzione della “Commissione d’indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, artistico e del paesaggio” definita “Commissione Franceschini”5. Principale compito di questa commissione era la revisione delle leggi di tutela e valorizzazione delle cose di interesse culturale, legandole quando risultava necessario con la legislazione urbanistica e formulare proposte per un nuovo assetto strutturale del settore. Le discussioni ed il dibattito interno alla commissione furono lunghi e complessi. Nel 1966 la commissione Franceschini lamentava situazioni pericolose e carenze legislative che a tutt’oggi permangono: l’abbandono dei centri minori che ancora esiste, mentre i centri mag- 107 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare giori, i più importanti e quindi più appetibili, venivano soffocati da nuovi modi di concentrazione. Contemporaneamente a questo la Commissione lamentava la mancanza di tutela e faceva pertanto delle proposte concrete, allora innovative, benché ancora in parte interessanti. Ad esempio veniva proposta, previo censimento, la scelta dei centri da salvaguardare ed in cui operare con priorità, ed inoltre l’applicazione di vincoli cautelativi sui centri, la formazione conseguente al vincolo di piani particolareggiati, l’inserimento della pianificazione urbanistica e tutela paesistica, l’emanazione di norme generali di guida per gli interventi, l’emanazione di norme generali per l’inserimento degli edifici pubblici nei centri storici. I lavori della commissione affermarono, conclusivamente, che il centro storico era inserito nei beni culturali, ricomprendendo nella definizione di bene culturale sia i centri storici racchiusi, - come parti più antiche - in una struttura più vasta, sia quelli costituenti un insediamento abitativo in sé compiuto, come i piccoli centri che non hanno subìto un processo di espansione. Individuati i centri storici si affermò la necessità della loro tutela, da attuarsi mediante misure cautelari e mediante i piani regolatori, redatti tenendo conto della perimetrazione delle aree. Da allora, certamente dei passi avanti sono stati compiuti: se non altro ad una concezione di natura statica del problema, così come è andata maturandosi fino agli anni sessanta, quando il concetto di tutela si è venuto arricchendo anche con finalità di salvaguardia e 108 valorizzazione, se ne è aggiunto un altro, qual è quella di recupero, con caratteristiche dinamiche. Il compito di riunire e coordinare la normativa degli ultimi 60 anni, a salvaguardia del nostro imponente patrimonio artistico e paesaggistico, è stato affidato al Testo Unico sui beni culturali e ambientali 6. In esso, oltre alle funzioni di tutela e conservazione tradizionalmente assegnate al Ministero, si sono affiancate quelle di valorizzazione e promozione del patrimonio culturale. In questo ambito il Testo Unico ha riservato un ruolo forte alle Regioni e agli enti locali, dando così attuazione al decentramento voluto dalla legge n. 59/19977 e dal regolamento di attuazione (decreto legislativo n. 112/1998)8. In coerenza con ciò la Sardegna si è dotata di una legge specifica sulla tutela e valorizzazione dei centri storici, la legge 13 ottobre 1998 n. 29. Espressamente tra le finalità cui la legge mira, viene considerato il preminente interesse per il recupero, la riqualificazione ed il riuso dei centri storici e degli insediamenti storici minori, rispettandone i valori socioculturali, storici, architettonici, urbanistici, economici ed ambientali. Con tale legge la Regione annualmente (Bando Domos), invita i Comuni, a fronte di un finanziamento, a presentare progetti di “programmi di valorizzazione dell’edificato storico” perseguendo obiettivi e finalità dedotte dagli strumenti di pianificazione e dalle leggi regionali di finanziamento. Tra le finalità del “Bando Domos” vi è la valorizzazione dell’edificato storico con la riqualifi- cazione ed il recupero del tessuto insediativo dei centri minori, anche come occasione di sperimentazione di modelli di ricomposizione spaziale e figurativa dell’assetto urbanistico, per una corretta definizione paesaggisticoambientale dell’insieme. Per perseguire tali obiettivi la legge n. 29/98 ha previsto l’istituzione di un repertorio regionale dei centri storici (art.5)9, nel quale vengono iscritti i comuni che abbiano nel loro territorio presenze significative delle collettività locali dal punto di vista storico, culturale ed ambientale e che attestino, a seguito del confronto fra i catasti storici antecedenti l’anno 1940, l’esistenza di un tessuto urbano consolidato, sostanzialmente invariato e l’esistenza di un patrimonio edilizio formato da tipologie caratterizzanti l’insediamento storico per le caratteristiche costruttive e tecnologiche, nonché per gli elementi architettonici. Con riferimento a quella che è considerata la prima legge di tutela dei beni culturali, la legge 29 giugno 1939 n. 1497, “Protezione delle bellezze naturali”, in sede di prima applicazione sono stati inseriti nel Repertorio i Comuni che avessero centri storici vincolati ai sensi di tale legge. Al fine di valorizzare e soprattutto non perdere l’identità dei centri minori, gli interventi regionali finanziari prevedono che ai piccoli comuni venga assicurata una riserva non inferiore al quaranta per cento delle risorse stanziate 10. La valorizzazione viene quindi attuata attraverso interventi di riqualificazione urbana e recupero primario degli edifici dei centri storici, e per far ripopolare i centri sono inoltre previste agevolazioni agli emigrati. Le prospettive di tutela e valorizzazione dei centri minori alla luce delle nuove direttive regionali L’orientamento della Regione nella salvaguardia dei centri minori prosegue con il POR Sardegna obiettivo 1, misura 4.14 del 2006, che riguarda la “promozione dell’adeguamento e dello sviluppo delle zone rurali”. Tra gli obiettivi si persegue il rinnovo e lo sviluppo di villaggi attraverso la tutela e la conservazione del patrimonio rurale, l’incentivazione del turismo e dell’artigianato correlati alle attività delle aziende agricole. La misura promuove l’attivazione, nell’ambito di progetti a dimensione locale, di interventi che integrano attività di tutela, manutenzione, recupero e valorizzazione turistica del patrimonio rurale con le attività produttive, agricole e no, con il fine di generare sia conservazione e qualità territoriale, sia reddito e occupazione, partendo dalle vocazioni del territorio di riferimento. Ci si prefigge di consolidare e qualificare il patrimonio archeologico, architettonico, storico-artistico, paesaggistico, naturalistico, quale strumento di sviluppo qualificato ed equilibrato nei territori rurali mediante il sostegno alla diversificazione delle attività economiche locali che riguarderà anche le piccole e medie imprese e il turismo rurale. La misura riguarderà i centri minori rurali e verrà attuata mediante specifiche azioni volte prioritariamente alla valorizzazione del patrimonio rurale e ambientale a fini turistici e culturali. La Regione Sardegna che vanta, ai sensi degli articoli 3 e 4 dello Statuto speciale di autonomia11, competenze primarie in materia di urbanistica ed edilizia, mentre, in relazione alla tutela paesaggistica, è vincolata dalle disposizioni statali in materia, ed in particolare dagli artt. 131 e seguenti del codice dei beni culturali e del paesaggio, ha esercitato la propria competenza legislativa esclusiva in materia di “edilizia ed urbanistica” dettando una disciplina volta a fronteggiare una situazione particolarmente grave ed urgente attraverso la salvaguardia del territorio e dell’ambiente, emanando con legge regionale n. 8/200412 - nel rispetto dell’art. 135 del codice dei beni culturali e paesaggistici - il proprio piano paesaggistico13. Il Piano Paesaggistico Regionale rappresenta sicuramente una novità sotto l’aspetto dell’approccio operativo alle trasformazioni edilizie ed urbanistiche in Sardegna e, in un certo qual modo, precede e coordina diversamente la procedura urbanistica, fino ad ora applicata, che si muoveva sostanzialmente sulla sola zonizzazione del territorio. Fino ad oggi si era andato sviluppando in Sardegna un modello turistico legato fondamentalmente all’insediamento costiero sia di tipo ricettivo-alberghiero che nelle forme di residenza turistica. Ciò ha comportato un progressivo e forte consumo del territorio costiero a discapito della conservazione e della valorizzazione di habitat di importante valore ambientale e paesaggistico. Nel corso degli anni, il carico antropico che si è generato ha comportato la nascita, spesso disordinata, di borgate e frazioni marine a ridosso della parte più delicata della costa isolana. Il Piano Paesaggistico Regionale si propone di invertire questa tendenza, rilanciando la fun- zione turistica e ricettiva dei centri abitati situati nella fascia costiera attraverso la valorizzazione dei centri storici, delle tradizioni culturali e agro alimentari a servizio del turismo. Ribadito che l’orientamento principale espresso dal Piano è la conservazione e valorizzazione dell’intero patrimonio costiero ancora intatto dal punto di vista delle trasformazioni e che le infrastrutture turistico-ricettive dovranno insediarsi prioritariamente nei centri abitati, la riqualificazione urbanistica si attua nel rispetto di tutti i vincoli e valori riconosciuti negli studi degli assetti storico culturale ed ambientale, sulla base delle volumetrie esistenti per le quali le norme prevedono un definito premio di cubatura in contropartita ad evidenti e significative compensazioni paesaggistiche nell’azione di riqualificazione. Tale politica viene perseguita anche prevedendo delle limitazioni nella fascia di 2000 metri dalla linea di battigia marina, anche per i terreni elevati sul mare, e nella fascia entro i 500 metri dalla linea di battigia marina, anche per i terreni elevati sul mare e per le isole minori. Di rilievo nel piano paesaggistico è la tutela riconosciuta alle aree caratterizzate da insediamenti storici e da preesistenze di manufatti o edifici che costituiscono, nel loro insieme, testimonianza del paesaggio culturale sardo, che ove non sia stato già effettuato dal P.P.R., sono perimetrate dai Comuni interessati ai fini della conservazione e tutela e della migliore riconoscibilità delle specificità storiche e culturali dei beni stessi nel contesto territoriale di riferimento. 109 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare Per salvaguardare i centri rurali, si prevede in particolare che per l’insediamento sparso (stazzi, medaus, furriadroxius, boddeus, bacili, cuiles) i Comuni, in sede di adeguamento degli strumenti urbanistici al P.P.R, provvedano a censire e perimetrare il tessuto dei nuclei sparsi presenti sul proprio territorio. Gli interventi di recupero e di modificazione devono essere realizzati considerando il carattere di grande essenzialità e sobrietà dell’architettura rurale dei nuclei sparsi, secondo dei principi puntualmente indicati nella legge paesaggistica14. È inoltre previsto che i piani urbanistici comunali introducano provvedimenti di salvaguardia del patrimonio dei recinti in pietre murate a secco che costituiscono, con la varietà locale delle tecniche e dei materiali, un fattore insostituibile di identità paesaggistica e culturale. In generale si può dire che scopo del piano paesaggistico è quello di regolare e ottimizzare la pressione del sistema insediativo sull’ambiente naturale, migliorando la vivibiltà dell’ambiente urbano e i valori paesaggistici 110 del territorio. Viene dettata una disciplina edilizia orientata al mantenimento delle morfologie e degli elementi costitutivi tipici, correlata alle tipologie architettoniche, alle tecniche e materiali costruttivi tipici del luogo, con la previsione che il piano comunale dovrà contenere pertanto opportuni piani del colore, degli abachi, delle facciate e delle tipologie ammissibili nelle diverse zone urbane. Nella sua politica di perseguimento di tutela e valorizzazione dei centri minori, la Regione con l’approvazione del “Bando CivisRafforzamento centri minori”15 ha messo oltre 90 milioni di euro a disposizione dei comuni per il 2006 per la riqualificazione e il recupero dei piccoli centri al fine di contrastare lo spopolamento delle aree interne, integrare i servizi scolastici, culturali e sociali e ottimizzare i servizi per le attività produttive. Altro obiettivo è quello di sostenere gli interventi di recupero della qualità urbana finalizzata al riutilizzo di abitazioni vuote nei centri storici per iniziative di ricettività diffusa. Infine è bene ricordare che nel rispetto dell’art. 117 della Costituzione16 e del Codice dei beni culturali e del paesaggio17 per la prima volta nella sua storia autonomistica, la Sardegna ha una legge per la tutela, la valorizzazione, la fruizione del suo straordinario patrimonio culturale, che comprende il settore di musei, biblioteche e archivi, e ancora i parchi archeologici e gli ecomusei18. La legge sarda amplia il concetto di patrimonio culturale, così come definito del Codice Urbano per i beni culturali e il paesaggio, ai beni immateriali, di cui la Sardegna ha esempi straordinari, riconoscendo ad essi lo stesso diritto alla tutela e alla valorizzazione riservato ai beni materiali. C’è la volontà di valorizzare le punte di eccellenza, ma nello stesso tempo di far crescere le piccole realtà, attraverso procedure di riconoscimento e standard di qualità. Le prospettive di tutela e valorizzazione dei centri minori alla luce delle nuove direttive regionali NOTE 1 7 2 L. 22 ottobre 1971 n. 865, Programmi e coordinamenti dell’edilizia residenziale pubblica; norme sull’espropriazione per pubblica utilità; modifiche ed integrazioni alle leggi 17/08/1942 n. 1150; 18/04/1962 n. 167; 29/09/1964 n. 847. 8 L. 6 agosto 1967 n. 765, Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942 n. 1150. 3 L. 5 agosto 1978 n. 457, Norme per l’edilizia residenziale (v. ora L.17/02/1992 n. 179). 4 L. 1 giugno 1939 n. 1089, Tutela delle cose di interesse artistico e storico e L.29/06/1939 n. 1497, Protezione delle bellezze naturali, che hanno regolamentato la materia sino all’emanazione del D.Lvo 29 ottobre 1999 n. 490 Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, poi sostituito dal D.Lvo 22 gennaio 2004 n. 42 Codice dei beni culturali e del paesaggio. 5 La legge n. 310 del 26 aprile 1964 istituì una commissione d’indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico e del paesaggio. Questa commissione, nota come Commissione Franceschini, dal nome del suo Presidente, concluderà i lavori nel 1966. L’istituzione della commissione fu segno della presa di coscienza della necessità che l’azione pubblica si rivolgesse con maggiore consapevolezza e con risultati più efficaci ai compiti di protezione del patrimonio culturale ed ambientale. 6 Il Testo Unico (T.U.) ha avuto vita breve, infatti a cinque anni dalla sua emanazione, è stato sostituito dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, emanato come abbiamo detto con D.Lgs 22 gennaio 2004 n. 42. Il nuovo codice si è reso necessario in considerazione del mutamento dell’assetto istituzionale: l’attuazione della riforma del titolo V della Costituzione dedicato alle Regioni, Province e Comuni, avvenuta con legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3, ha previsto un nuovo riparto delle competenze tra Stato e Regioni in materia di tutela e valorizzazione di beni culturali. L. 15 marzo 1997 n. 59 Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa (Bassanini 1). D. Lvo 31 marzo 1998 n. 112 Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997 n. 59. 9 Il repertorio previsto dall’art. 5 della legge n. 29/98 costituirà il quadro generale di riferimento per gli atti di programmazione regionale di settore. Il successivo art. 6 prevede poi una programmazione pluriennale con una predisposizione e aggiornamento annuale del programma per i centri storici. 10 Con legge regionale n. 12 del 2 agosto 2005, Norme per le unioni di Comuni e le comunità montane. Ambiti adeguati per l’esercizio associato di funzioni. Misure di sostegno per i piccoli comuni, sono stati inseriti e modificati dal capo IV intitolato “Interventi per la valorizzazione ed il sostegno dei piccoli comuni”, articoli della legge n. 29/98. La legge ha introdotto anche la definizione di piccoli comuni, e cioè quelli con meno di 3000 abitanti il cui centro disti almeno 15 Km dal mare. 11 Legge costituzionale 26 febbraio 1948 n. 3, Statuto speciale per la Sardegna. Sulla competenza in materia v. inoltre il D.P.R. 22 maggio 1975 n. 480 (Nuove norme d’attuazione dello Statuto speciale della Regione autonoma della Sardegna) art. 6 comma 2, che definisce i confini delle competenze esclusive della Regione in materia di “edilizia ed urbanistica”, attribuendole anche “la redazione e l’approvazione dei piani territoriali paesistici di cui all’art. 5 della legge 29 giugno 1939 n. 1497 (e, implicitamente, il potere di emanare le relative misure di salvaguardia). 12 L.R. n. 8 del 25.11.2004, Piano Paesaggistico Regionale, approvato con Delibera n. 36/7 del 5 settembre 2006. 13 In esso viene individuato lo strumento della pianifi- cazione paesaggistica (rivolta non più soltanto ai beni paesaggistici o ambientali, ma all’intero territorio), e affida alle Regioni la scelta di approvare “piani paesaggistici” ovvero “piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici”, con ciò confermando l’alternativa tra piano paesistico e piano urbanistico-territoriale già introdotta con l’art. 1-bis del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312 (Disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale), così come convertito in legge ad opera della legge 8 agosto 1985, n. 431. Va aggiunto, infine, che proprio sulla base dell’esplicito trasferimento di funzioni di cui alle norme di attuazione dello statuto speciale contenute nel D.P.R. n. 480 del 1975, la Regione - già con la legge n. 45 del 1989, Norme per l’uso e la tutela del territorio regionale - aveva appositamente previsto e disciplinato i piani territoriali paesistici nell’esercizio della propria potestà legislativa in tema di “edilizia ed urbanistica”. 14 V. art. 81 e segg. L. n. 8/04 e in particolare il Titolo II - Assetto storico-culturale. 15 Con determinazione n. 473/cs del 30/06/2006 la regione ha approvato il Bando Civis “Rafforzamento centri minori” POR Sardegna 2000-2006, Asse V - Città misura 5.1 “Politiche per le aree urbane”. 16 L’art. 117 Cost., al secondo comma, lettera s), attribuisce alla potestà esclusiva dello Stato la “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”, mentre al terzo comma, prevede che sono materie di legislazione concorrente: “la valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali”. 17 L’art. 7 del Codice fissa i principi fondamentali in materia di valorizzazione del patrimonio culturale e “nel rispetto di tali principi le Regioni esercitano la propria potestà legislativa”. 18 L.R. 20 settembre 2006 n. 14 Norme in materia di beni culturali, istituti e luoghi della cultura. 111 ATTIVITÀ DI ANIMAZIONE E FORMAZIONE PER LO SVILUPPO DI IPOTESI DI VALORIZZAZIONE DEL TERRITORIO Bruno Paliaga Di seguito si descrive il quadro entro il quale sono state svolte le attività rivolte ad un gruppo di giovani del luogo attraverso le quali ci si è posti l’obiettivo di avviare un percorso che, nel futuro, sia capace di generare, sostenere e promuovere, iniziative, attività e progetti, il cui fine ultimo dovrebbe essere quello di “valorizzare il territorio in senso turistico”. Pur nei limiti del tempo disponibile si è trattato di un percorso attuato tra la formazione e l’animazione che ha necessitato definire cosa si dovesse valorizzare, perché valorizzarlo, con chi e per chi valorizzarlo prima di iniziare a ragionare su come valorizzarlo. Con tali presupposti si è operato sia sul piano del metodo (come valorizzare) che su quello dei contenuti (cosa valorizzare). L’APPROCCIO Data la composizione del gruppo e la formazione di base degli allievi, preliminare alla trattazione dei contenuti posti alla base delle attività è stata una fase di riflessione sul significato della conoscenza del territorio in relazione agli obiettivi del progetto. In tal senso ed in generale, non è sembrato retorico, sottolineare che nell’esperienza vissuta ed in quella quotidiana è possibile verificare come processi/percorsi di conoscenza autoreferenziati, non basati sull’approfondimento, sul riconoscimento, sul confronto, ecc., alimentano forme di campanilismo puro e semplice. Per non cadere in tale equivoco, la visione del territorio è stata proposta in termini problematici, ovvero di quali sono le sue articolazioni, le sue funzioni, i suoi valori e così via, prestando molta attenzione al fatto che tutti i partecipanti alle attività, ovviamente, conoscevano i luoghi del proprio vissuto, della memoria, della storia ecc., ma tenendo conto che si trattava di conoscenze, percezioni, interpretazioni non sempre riconducibili a validità oggettiva. Durante il percorso di animazione/formazione si è inteso definire quei livelli di conoscenza e quei valori affinché fossero condivisi e condivisibili e soprattutto riconoscibili anche fuori dalla comunità locale. Per riconoscere prima e per condividere poi i valori si è reso necessario sviluppare la capacità di uscire dal ristretto ambito individuale o di piccola comunità; ovvero sviluppare la capa- cità di riconoscersi in uno spazio fisico-geografico ed in un contesto di relazioni ben più ampio. Sono contesti dove il poco, il piccolo, il solo, l’unico, ecc. assumono la loro vera dimensione ed importanza. Pur consci che acquisire tale capacità non è facile e necessita di tempi e strumenti adeguati, tale approccio lo si è ritenuto fondamentale per l’eventuale buon avvio di processi di valorizzare situazioni, fatti, fenomeni e luoghi del territorio da parte dei corsisti. È stato un percorso attraverso il quale si è cercato di attribuire un giusto peso, o comunque un peso diverso da quello attribuito ad un territorio tradizionalmente non turistico, che, comunque, è un territorio nel quale le storie, i cicli naturali, i cicli della cultura materiale, ecc., posseggono significati e valori intrinseci. Altro presupposto di fondo del lavoro è stato considerare la realtà del luogo, nel suo complesso dipendente dalle dinamiche della natura e della cultura locali, potenzialmente valorizzabile senza cadere in un riduttivo processo di valorizzazione non contestualizzato nell’ambito geografico-naturalistico di riferimento. La dimensione geografico-naturalistica ben più 113 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare ampia del “luogo in sé” ed alla quale, nel nostro caso, lo stesso Muros appartiene. Per tale motivo l’analisi del contesto allargato è stato un riferimento importante e funzionale all’ipotesi di lavoro: la valorizzazione. Tutto ciò senza ignorare il vissuto degli allievi e della loro esperienza come risorsa per le attività d’aula, ma sostenerli nel recupero della fiducia sul valore, o sui valori del loro territorio, che in una piccola realtà dove le funzioni economiche e sociali interne sono marginali o comunque più funzionali a logiche economiche esterne, al polo sassarese, a Sassari città, piuttosto che al paese di Muros. Sono valori spesso percepiti, intesi o vissuti come residuali, almeno rispetto all’ipotetico e potenziale sviluppo economico in senso turistico. I valori territoriali rispetto ai quali si doveva ragionare per una loro possibile valorizzazione sono valori che vengono vissuti ed intesi come residuali sia perché, a scala locale, tutto è più piccolo (…e l’erba del vicino è sempre migliore) sia perché sono ancora valori di secondo piano rispetto ad ambiti territoriali sardi la cui funzione turistica è ormai consolidata. Dunque, si è trattato di sviluppare un ragionamento coerente con lo sforzo, ancora incompiuto e poco diffuso, di creare un’offerta turistica fondata sull’accoglienza, sull’identità, sulla specificità, prescindendo da suggestioni estive e spesso banali, così come vuole l’approccio dell’industria turistica di consumo di massa che sta mostrando i suoi limiti. Altro spunto interessante è stata la valorizzazione del concetto di sostenibilità del turismo 114 che, guarda caso, coincide con i concetti di identità, di localismo, di originalità, di specificità, ecc., tutti attributi di nuove forme di turismo che altrove stanno cominciando ad affermarsi. Secondo tale visione ha senso ipotizzare che un piccolo centro della Sardegna come Muros sia potenzialmente suscettibile a forme di sviluppo turistiche senza dover invidiare niente a nessuno e soprattutto a quei luoghi già accreditati come luoghi turistici che tuttavia non soddisfano ancora i criteri di sostenibilità ambientale e talvolta di sostenibilità sociale. LA (RI)LETTURA DEL TERRITORIO FUNZIONALE ALL’IPOTESI DI VALORIZZAZIONE IN CHIAVE TURISTICA L’ipotesi di lavoro è stata perseguita definendo cosa fosse necessario per effettuare sia una ricognizione delle risorse suscettibili di nuove forme d’uso, sia gli approfondimenti del caso (attualizzazione), il tutto secondo l’ottica di un turismo sostenibile declinabile nel senso del turismo naturalistico, culturale, enogastronomico, ecc. Con tali presupposti, in estrema sintesi, le risorse del territorio sono state definite secondo lo schema seguente: 1. aspetti fisici 2. aspetti biotici 3. aspetti paesaggistici 4. aspetti storici e culturali 5. aspetti etnografici 6. aspetti socio economici Il tutto è stato analizzato attraverso diversi contributi disciplinari (specialistici) cercando di valorizzare gli elementi di naturalità affinché potessero essere essi stessi degli attrattori oltreché dei descrittori di un territorio che ha legami e relazioni con la zona più vasta, introducendo così la visione di Muros appartenente ad una rete territoriale più ampia del proprio contesto. Oltre alle questioni di metodo, i temi dei quali si è occupato chi scrive sono quelli compresi tra 1) e 3), mentre per quanto indicato da 4) a 6) sono stati valorizzati i contributi di altri docenti proponendoli come ambiti che sarà necessario esplorare sistematicamente. Ad ogni buon conto, a fronte di trattazioni che non hanno potuto essere esaustive è stato delineato il quadro degli elementi di conoscenza al quale un ipotetico processo di valorizzazione anche turistico dovrebbe necessariamente riferirsi. 1) Per quanto riguarda gli aspetti fisici, le attività del corso sono state rivolte a: - inquadramento geografico generale della macro area di appartenenza, il Logudoro; - geomorfologia, idrografia e topografia della vasta area; - armatura urbanistica di riferimento (centri abitati vicini, sistemi viari, ecc.). 2) Per quanto riguarda gli aspetti biotici essi sono stati interpretati attraverso: - vegetazione, flora e fauna. Nell’analisi di tali elementi sono stati valorizzati quegli aspetti naturali che hanno caratterizzato e che sostengono le attività tradizionali con particolare riguardo all’agricoltura e all’allevamento. Attività di animazione e formazione per lo sviluppo di ipotesi di valorizzazione del territorio 3) Gli aspetti paesaggistici sono stati proposti in termini di: - paesaggi geo-morfologici, paesaggi vegetali, paesaggi culturali, con particolare riguardo a quello archeologico; - paesaggio agrario ed urbano (uso del suolo). Secondo tali chiavi di lettura e/o di interpretazione delle risorse particolare significato ha assunto l’osservazione del grado di antropizzazione che è inversamente proporzionale al grado di naturalità del territorio. 4) Gli aspetti storico culturali sui quali è opportuno effettuare le dovute riflessioni sono stati: - storia dell’area vasta e del luogo (il marchesato?); - l’archeologia e l’architettura (p.e. gli edifici religiosi); - l’arredo urbano e le case storiche (nucleo urbano storico...). 5) I caratteri etnografici, funzionali al potenziale recupero dell’identità ai quali è stato fatto cenno sono stati: - folclore (costume, ballo, gioielli…); - cicli della cultura materiale, p.e. lana, grano, pane, dolci, olio, vino; - feste religiose (San Gavino, Proto e Gianuario, San Giovanni, riti della Pasqua); - enogastronomia; - prosa e poesia, teatro in lingua, storie e leggende del luogo… 6) Infine a supporto di quello che deve essere il profilo del territorio di Muros vi sono i tratti socio-economici di riferimento, ovvero: - popolazione (struttura), istruzione, occupazione, struttura produttiva; - categorie/attività produttive; - servizi; - ecc... DALLA CONOSCENZA ALL’OPERATIVITÀ Le azioni preliminari Se lo sviluppo di quanto prima consente di delineare un quadro del territorio abbastanza completo si è ritenuto utile far riflettere, per grandi linee, su “Come e cosa si potrebbe fare” che, orientativamente, potrebbe articolarsi nelle seguenti fasi: 1) analizzare le risorse di cui prima e valutarne lo stato in termini di punti di forza e/o di debolezza; 2) confrontare l’armatura, le risorse con la realtà di area vasta per la ricerca di elementi specifici e/o unici; 3) ipotizzare alleanze, collaborazioni con le comunità confinanti (p.e. Cargeghe, Tissi, Ossi); 4) scegliere su quali elementi (tra quelli di cui prima) agire, ma valutandone la fattibilità sia in termini di condivisione di obiettivi con diversi soggetti (attori, settori o componenti della comunità locale, pubblici e privati), che in termini di partecipazione degli stessi al processo di recupero dei valori spendibili individuati (validazione). Strumento possibile potrebbe essere l’attiva- zione di forum, di gruppi di discussione tematici di discussione (interlocutori istituzionali, gruppi di lavoro ecc.): si tratta di strumenti piuttosto efficaci per interloquire con organizzazioni, Enti strumentali, Enti Pubblici, Enti tecnici, Comune, Pro Loco, associazioni ed organizzazioni di categoria, ecc. 5) verificare la coerenza con l’ipotesi generale (valorizzazione anche economica); 6) verificare la disponibilità effettiva del bene/prodotto/servizio oggetto di possibile valorizzazione (utilizzando l’output della fase di analisi). Va da sé che la sequenza ed il numero delle fasi potrà variare in rapporto alla capacità di operare del soggetto che si cimenterà in un percorso simile oltreché dalle competenze e capacità che lo stesso possiederà. A prescindere dalla forma sotto la quale tali attività dovranno essere svolte (società coop. Associazione o altro), sarà fondamentale: - ricercare l’accordo con gli operatori/attori del settore prescelto definendo l’interesse reciproco (le ricadute per l’operatore del settore, per chi promuove e per il territorio, ecc.) - condividere e stabilire la definizione dei ruoli (chi fa, cosa e quando); - definire un Sistema per l’ospitalità fondata su Itinerari per l’escursionismo, le strutture disponibili, ecc. (gli attrattori) ed in sub ordine, ma non di importanza, si tratterà di 115 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare predisporre un’offerta per la recettività (b&b, agriturismo, ristorazione, servizio guida, prodotti tipici, ecc.); - definire, con il soggetto intermediario (promotore), il/i prodotto/i (attrattori) a matrice ambientale e culturale. Leonardo, Strada romana, il centro urbano, Chiesa, Artigianato, Enogastronomia, Etnografia (folklore, coro, ecc.). Si intende che per concretizzare gli itinerari di cui prima le operazioni preliminari e fondamentali da compiere dovrebbero essere: - predisposizione fisica dei luoghi in accordo con l’Amministrazione Comunale (accessibilità, restauro, sistemazione, l’orientamento, l’informazione, ecc.); - connessioni tra itinerari, strutture, situazioni, ecc. Esemplificativi di tale approccio potrebbero essere la realizzazione di: - itinerario ambientale - Grotta dell’Inferno, Rocca Ruja, Su Monte, Punta Canechervu; - itinerario culturale - Sa Funtana, San 116 - realizzare supporti alla comunicazione (pannelli info, mappe, carto-guide, miniguide, brochure…). Ovviamente per realizzare quanto prima sarà necessario individuare i destinatari dell’offerta, in altri termini si deve definire a chi vendere il prodotto. Si tratta di operazioni da realizzare previa ricerca/analisi del mercato che deve essere effettuata sui dati (ufficiali) acquisiti presso organizzazioni di categoria, istituti o altro (p.e. ISTAT, indagini specifiche di settore, rapporti). ASPETTI DI FATTIBILITÀ DEI PROGETTI DI SVILUPPO IMPRENDITORIALE: DAL PROGETTO DI VALORIZZAZIONE ALLO START-UP AZIENDALE Emanuela Fiorino Il territorio di Muros presenta caratteristiche morfologiche, naturalistiche, ambientali e archeologiche di notevole interesse. Tuttavia, siti archeologici e ricchezza di varietà botaniche e faunistiche, non sono tra le fonti reddituali dell’economia Comunale. Il settore turistico è completamente assente, nonostante il patrimonio culturale, materiale ed immateriale, ancora riconoscibile sul territorio urbano ed extraurbano. La mancanza di attenzione verso la valorizzazione degli aspetti culturali rischia di indurre ad un processo di graduale perdita della memoria storica e dell’identità del popolo murese. La valorizzazione della cultura, delle tradizioni e delle tipicità locali sono le tematiche principali sulle quali indirizzare attenzioni, risorse e attività: il turismo ambientale di qualità è il settore più delicato, ma anche il più promettente, per lo sviluppo economico dei territori meno dotati di attrattori turistici architettonici e non ubicati sulle facili rotte costiere. Lo sviluppo del turismo contribuisce alla crescita ed alla valorizzazione della realtà economica locale, promuovendo la conoscenza delle problematiche relative alla fruibilità dei siti, dei servizi e delle relative attrezzature, da parte di una fascia più ampia possibile di utenti. Affinché il turismo possa rappresentare un’importante risorsa in grado di riqualificare strategicamente il territorio, è imprescindibile approfondire l’analisi del contesto in cui il medesimo territorio risulta inserito, anche al fine di individuare tutte quelle ulteriori realtà turistiche cui esso può sinergicamente correlarsi. Un prodotto turistico efficace deve essere pensato e sviluppato per “vendere” il territorio, ossia per dare allo stesso forma e sostanza, nell’ambito di una mirata politica di comunicazione e promozione. Di certo si tratta di un impegno non semplice, ma sicuramente di sicura riuscita se, unitamente a competenza ed investimenti mirati, è guidato da un forte attaccamento al territorio ed alle proprie radici. Credere nelle proprie risorse culturali ed ambientali diventa, allora, fondamentale soprattutto quando devono essere proposte ai turisti destinazioni poco conosciute. Il turismo costiero, che nell’area di riferimento rappresenta la quota maggiore del settore, deve essere coinvolto nella conoscenza di un entroterra che, a pochi chilometri di distanza, offre ricchezza di elementi culturali e naturali- stici, apprezzabili anche da un viaggiatore non esperto. Questo, accompagnato lungo gli itinerari meno consueti, si immerge nei percorsi dove profumi ed essenze, sapori tipici dell’eno-gastronomia locale, fanno da contorno ai segni che un passato più o meno lontano ci ha tramandato. L’assenza di un sistema di offerta è uno dei maggiori limiti nel processo di valorizzazione delle risorse. Il patrimonio del territorio non risulta organizzato in un sistema che colleghi tra di loro i siti; manca, o è carente, una programmazione congiunta della loro valorizzazione turistica e della relativa promozione, non solo a livello prettamente comunale. Manca, cioè, l’integrazione dei singoli beni in un sistema di offerta del patrimonio archeologico, culturale ed ambientale, affinché gli attrattori turistici siano inseriti in un circuito in cui cultura, ricettività, ristorazione e produzioni tipiche, sono sinergicamente coordinate per garantire al turista, o generico fruitore, un servizio completo. La frammentazione dell’offerta culturale non può essere sostituita dalla sola politica di comunicazione e promozione che, avulsa da un’azione coordinata, tenda a valo- 117 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare rizzare e a far conoscere le ricchezze. Nel territorio che attrae turismo si genera valore e si innescano scambi e relazioni con aree e mercati diversi, da quello locale fino a quello internazionale. Questo significa produrre offerte strutturate, vendibili, comunicabili, sostenibili sui mercati del turismo nelle loro diverse espressioni. Laddove esistano già degli itinerari, la realtà locale deve potenziare gli attrattori turistici, sostenere la propria offerta con una campagna di promozione verso il mercato turistico non solo locale, ma anche nazionale e internazionale; diventa essenziale differenziare le strategie di comunicazione per Bisogna, in sostanza, produrre un piano di turismo integrato, cui partecipino forze politiche, culturali e sociali, che sia in grado di attrarre e fidelizzare turismi dalla diverse esigenze, che, soprattutto, sentano la necessità di sostare e “vivere” più a lungo i territori che li ospitano, assaporandone con calma e consapevolezza la cultura, l’ambiente i patrimoni religiosi, culturali e ambientali. Il turismo in Sardegna si caratterizza, troppo spesso, per una distribuzione di presenze altamente concentrata nei mesi di luglio ed agosto, con un periodo medio di permanenza troppo ristretto; diventa importante, allora, far sì che le nuove iniziative di promozione turistica riescano ad attrarre flussi di presenze anche negli altri mesi dell’anno, durante i quali si può scoprire un territorio più vero e godere di atmosfere meno commerciali e più autentiche. In questo quadro, va tenuto conto delle tipologie di attrattori presenti nel territorio e della loro diversa potenzialità. In funzione della 118 “notorietà”, gli attrattori possono essere classificati come segue: - di primo livello o grandi attrattori, costituiti da siti e località di nota importanza; - di secondo livello o attrattori, costituiti dall’insieme delle testimonianze di varia natura e importanza, ma noti soprattutto alla specifica tipologia di turista: - di terzo livello o attrattori minori, costituiti dall’insieme delle testimonianze della cultura locale sparse nel territorio, ma poco conosciuti al grande pubblico. A questo proposito, si possono individuare alcune tematiche forti per lo sviluppo del settore, potenziali spunti per dar vita ad un progetto di valorizzazione di alcuni attrattori turistici, attraverso oggetti e immagini fruibili a livelli diversi di approfondimento: Attrattive “culturali” - Aree archeologiche - Luoghi della cultura - Edifici storici Attrattive “naturalistiche e ambientali” - Grotte - Parchi, aree protette e riserve Attrattive “religiose” - Luoghi sacri Attrattive “sportive” - Cicloturismo - Trekking - Escursioni in fuoristrada Attrattive “rurali e tipicitò” - Tradizioni popolari - Sagre - Luoghi e strade della tipicità - Produzioni tipiche Attrattive “affari ed eventi - Eventi di cultura-arte-spettacolo - Mostre temporanee - Eventi sportivi Il contesto territoriale di riferimento presenta differenti elementi di criticità e punti di forza. Con riferimento ai primi, si evidenziano: l’assenza di strutture ricettive, di qualsivoglia genere; l’assenza di offerta turistica; la conseguente inesistenza di un’immagine caratterizzante dal punto di vista turistico; la carenza di figure professionali specializzate in campo turistico; scarsa conoscenza del mercato; assenza di fruibilità dei beni, materiali e immateriali, presenti nel territorio; rischio di risentire del fenomeno della “stagionalità” turistica, che identifica il settore locale e regionale, che si caratterizza, inoltre, per essere prevalentemente “monoprodotto”; assenza di circuiti per i turisti che arrivano nella bassa stagione; scarso utilizzo dei metodi di promozione e comunicazione via web; carenze di sinergie con i territori limitrofi. D’altro canto, non mancano i punti di forza per la realizzazione di una valida offerta turistica; tra questi vale segnalare: il patrimonio archeologico, culturale, naturale e paesaggistico a disposizione; la presenza di risorse umane in età da lavoro che, pur gravitando nell’area urbana di Sassari, fanno facilmente ritorno al Comune di provenienza; una buona presenza di giovani laureati e diplomati; la vicinanza ad Aspetti di fattibilità dei progetti di sviluppo imprenditoriale: dal progetto di valorizzazione allo start-up aziendale importanti mete turistiche estive a visibilità internazionale, all’aeroporto di Alghero, con le sue tratte low-cost, e al porto di Porto Torres; la possibilità di offrire un prodotto turistico complementare a quello marino-balneare, sfruttando la maggiore visibilità delle località costiere; la presenza di attività produttive tipiche; la facilità di accesso dalla strada statale 131; l’aumento della domanda di turismo ambientale; la propensione dei turisti stranieri, molto più spiccata di quella degli italiani, a recarsi in vacanza in Sardegna nei periodi di bassa e media stagione, climaticamente più adatti ad un turismo naturalistico; possibilità di “veicolare” la propria offerta durante tutto l’anno, grazie alle tradizioni religiose, feste e sagre di grande richiamo per l’area occidentale della Provincia. La comprensione del più complesso sistema in cui una realtà locale deve muoversi e relazionarsi, l’approccio alle diverse problematiche, che, esulando dal puro e semplice aspetto turistico, connotano l’iter di realizzazione di un’iniziativa economica, in particolare quando questa intende valorizzare patrimoni intangibili e tangibili ad un tempo, sono stati il punto di partenza ed il leit motiv nell’esplorazione degli elementi di fattibilità dei progetti imprenditoriali proposti. L’obiettivo del corso è stato quello di conciliare la tutela e la conservazione dei beni materiali e immateriali presenti sul territorio comunale, con la valorizzazione delle risorse, naturali, ambientali e culturali, mediante la creazione di un progetto economico di gestione sostenibile ed innovativa del patrimonio, in grado di esal- tarne il valore economico ed ambientale e la qualità di attrattore turistico. Sulla scorta del bagaglio conoscitivo appreso durante i corsi precedenti, l’analisi del contesto locale si è meglio delineata con riferimento sia alle potenzialità presenti nel territorio, sia agli elementi di criticità, sia alle possibili azioni da intraprendere concretamente nel medio-breve periodo. Il lavoro svolto durante le ore dedicate alla finanza agevolata, ha cercato di sviluppare un’analisi di fattibilità dei progetti imprenditoriali scaturenti dalle linee guida del corso, focalizzando, infine, l’attenzione sul progetto: “Itinerari di trekking archeologico e ambientale mediante metodologie tradizionali, GPS e orienteering”, ossia la creazione di itinerari naturalistici, archeologici, didattici, culturali, religiosi e folklorici, finalizzata a recuperare e tutelare una consapevole attenzione alle testimonianze culturali del proprio territorio. L’aspetto innovativo del progetto, oltre al contenuto, è la dotazione tecnologica in termini di strumentazione GPS, che pone l’iniziativa all’avanguardia nel panorama dei servizi turistici di tipo naturalistico, e ancor di più se questi sono integrati in un itinerario in cui si alternano a beni archeologici e architettonici. La prima fase si è caratterizzata per un’indagine conoscitiva dei principali strumenti agevolativi comunitari, nazionali, regionali. I partecipanti hanno appreso il significato della finanza agevolata, comprendendone il sistema di funzionamento ed i suoi attori: soggetti erogatori e soggetti beneficiari sono stati analizzati attraverso i loro elementi distintivi. Dall’analisi generale degli strumenti agevolativi europei, si è passati all’individuazione delle principali leggi di finanziamento nazionali e regionali, evidenziando, di volta in volta, le tipologie di contributo, le misure delle agevolazioni e le procedure di erogazione. Ampio risalto è stato dato al concetto di “aiuto di Stato” con particolare attenzione alla dimensione delle Piccole e Medie Imprese ed alla regola del “de minimis”. Particolarmente interessante è stato il confronto, basato anche sulle esperienze personali di alcuni partecipanti, sulla scelta degli incentivi disponibili. Si è cercato di individuare i criteri per orientarsi tra le numerose leggi, al fine di comprendere le opportunità da non perdere, riuscendo a coglierle con la massima efficacia. Lo scopo che ci si è prefissi in questa prima fase, è stato quello di dare ai partecipanti gli strumenti minimi necessari per porsi di fronte al panorama legislativo della finanza agevolata quali soggetti “consapevoli”. Accedere ai finanziamenti agevolati è un passo fondamentale per lo sviluppo dell’impresa in quanto consente di acquisire risorse per affrontare problemi e difficoltà che impediscono all’impresa di svilupparsi. L’imprenditore ricopre un ruolo importantissimo: deve innanzitutto definire il suo obiettivo di spesa, poi l’ambito di intervento economico, e quindi le differenze, i vantaggi e gli svantaggi, che intercorrono tra i diversi tipi di agevolazione. La seconda fase del corso sulla finanza agevolata, ha avuto l’obiettivo di sviluppare concretamente uno dei progetti proposti dai partecipanti. L’analisi condotta sui principali strumenti 119 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare agevolativi attualmente operativi, o di più probabile apertura nell’immediato futuro, ha portato alla scelta della Legge Regionale 24 gennaio 2002 n. 1, che favorisce lo sviluppo di nuova imprenditorialità nel territorio della Sardegna e l’ampliamento della base produttiva ed occupazionale attraverso la promozione di nuova imprenditorialità, agevolando le piccole e medie imprese costituite prevalentemente da giovani dai 18 ai 35 anni, che intendono avviare iniziative nei settori della produzione di beni e servizi, del turismo, delle opere complementari alle attività turistiche e della produzione di servizi turistici. Poiché attualmente non è aperto alcun bando per la selezione delle iniziative imprenditoriali, il lavoro è stato condotto utilizzando l’ultimo bando disponibile e le relative Direttive di attuazione approvate con deliberazione della Giunta Regionale n. 22/1 del 21.07.2003, che ne hanno regolato il funzionamento. Gli strumenti conoscitivi appresi nella prima fase del corso, hanno consentito ai partecipanti di valutare consapevolmente lo strumento agevolativo prescelto: analizzata la Legge 1/2002 nella sua globalità, lo studio si è concentrato sulle Direttive di attuazione, al fine di verificare l’esistenza dei requisiti necessari, la rispondenza del progetto imprenditoriale alle finalità della legge ed individuare gli aspetti di criticità e/o non rispondenza da affrontare. Il gruppo di lavoro ha iniziato con l’analisi del Titolo II delle predetti Direttive, verificando attentamente i requisiti soggettivi che le imprese beneficiarie devono possedere. Aspetti particolari, quali la forma societaria ed 120 il contenuto del relativo statuto, sono stati discussi alla luce anche delle nozioni apprese in altre materie oggetto del corso. L’individuazione e la verifica concreta dei numerosi e precisi requisiti che i partecipanti al capitale e gli esponenti aziendali devono obbligatoriamente possedere, hanno impegnato il gruppo di lavoro, che si è infine ampiamente riconosciuto nei soggetti beneficiari, così come indicati dalla Legge. Più agevole è stato, invece, individuare il settore in cui all’iniziativa verrà applicato il regime di aiuti: il progetto imprenditoriale è stato, infatti, inserito nel settore turismo, opere complementari alle attività turistiche e produzione di servizi turistici. Terminata l’analisi del Titolo II, è iniziata la fase critica della verifica della rispondenza del progetto di spesa concreto, cuore del progetto imprenditoriale, agli aiuti agli investimenti previsti dalla L.R. 1/2002. Con grande interesse i partecipanti hanno valutato le spese in capitale fisso ammissibili, i limiti di ammissibilità di alcune tipologie, la non ammissibilità di altre. Possedere i requisiti soggettivi previsti da uno strumento agevolativo non implica, infatti, che questo risponda alle esigenze del programma di investimento. Si è trattato di un momento di confronto importante, durante il quale i partecipanti hanno analizzato ogni singolo aspetto del loro progetto, concentrandosi sugli strumenti necessari per poterlo realizzare, attribuendo ad ogni servizio che si proponevano di offrire, la più appropriata dotazione tecnica. E’ stato, inoltre, affrontato l’aspetto finanziario relativo all’apporto di capitale proprio ed ai contributi in conto capitale ed in conto interessi. Terminata l’analisi degli investimenti in beni durevoli, è stato affrontato l’aspetto gestionale dell’attività oggetto del programma agevolato. Avviare un’iniziativa imprenditoriale non significa soltanto munirsi dell’apparato tecnico consistente in attrezzature, macchinari, impianti, software, automezzi; significa anche capire le esigenze quotidiane dell’azienda, programmarle, prevederle, per poterle gestire. Ogni ente economico ha alcuni aspetti gestionali comuni, ed altri suoi peculiari, determinati dalla tipologia di attività che esso svolge. Il gruppo di lavoro, in tal senso, ha enucleato una serie di costi di gestione, così individuabili: costi specifici, in quanto legati alla tipologia ed alla natura dei servizi che si intende fornire; costi amministrativi; costi commerciali; costi generali; oneri finanziari; oneri straordinari; oneri fiscali. Tale distinzione, oltre a permettere una migliore conoscenza dell’azienda, è stata indispensabile per l’individuazione delle spese di gestione ammissibili agli aiuti al funzionamento previsti dall’art. 7 della L.R. 1/2002. L’analisi delle Direttive di attuazione si è conclusa con l’esame del Titoli V, VI e VII, relativi alle modalità istruttorie del bando, all’erogazione delle agevolazioni ed ai controlli, aspetti non meno rilevanti dei precedenti. Avere una buona proposta imprenditoriale a volte non è sufficiente: conoscere gli indicatori usati per la definizione della graduatoria delle domande, ed i criteri di premialità, significa conferirle maggiori chance di finanziabilità. È importante, allora, determinare il punteggio Aspetti di fattibilità dei progetti di sviluppo imprenditoriale: dal progetto di valorizzazione allo start-up aziendale massimo cui il progetto può aspirare, agendo sugli indicatori, massimizzando quelli i cui fattori possono essere variati senza ledere l’equilibrio finanziario e strutturale dell’iniziativa. L’iter procedurale di una legge agevolativa si conclude con l’erogazione del contributo. Un’idea imprenditoriale può avere tempi di realizzazione più o meno lunghi, determinati da elementi interni o esterni: requisiti professionali o tecnici in possesso o meno dei proponenti, autorizzazioni amministrative e/o sanitarie da richiedere, disponibilità della sede e, nel caso specifico, fruibilità dei territori e delle infrastrutture in cui operare. Diviene, allora, fondamentale valutare il percorso di ottenimento dei titoli autorizzativi e formativi (se non in possesso) in relazione ai tempi massimi concessi dalla legge agevolativa per la realizzazione dell’intervento. Per contro, i tempi previsti dall’iter istruttorio delle domande di concessione si potrebbero mal conciliare con le esigenze di avvio a realizzazione, sminuendo l’importanza dello strumento agevolativo. Quest’ultimo va, dunque, valutato attenta- mente anche in riferimento alla compatibilità fra tempi di realizzazione, tempi di disponibilità dei finanziamenti, e tempi di spendibilità degli stessi. L’erogazione del contributo non avviene mai in un’unica soluzione e, di solito, è correlata agli stati di avanzamento; poiché, dopo una tranche anticipata, le erogazioni successive avvengono a consuntivo, i proponenti hanno valutato le capacità finanziarie interne e le risorse da apportare, al fine di determinare l’impegno finanziario che possa garantire il completamento degli investimenti e l’avvio dell’attività sino alla generazione dei primi flussi di ricavi. I contributi concessi possono essere revocati al verificarsi di determinate condizioni, ben evidenziate dalle Direttive di attuazione. Nel caso della L.R. 1/2002, l’arco temporale di permanenza e sussistenza di vari requisiti soggettivi ed oggettivi copre un periodo fino a quindici anni; vengono stabiliti anche gli scostamenti percentuali massimi consentiti degli indicatori che hanno determinato il punteggio della graduatoria. Il gruppo di lavoro ha analizzato le condizioni che determinano la revoca dei contributi, cercando di prevedere i possibili ostacoli e le soluzioni adottabili; è stato sviluppato uno scenario futuribile, in cui ad ogni condizione di revoca è stata contrapposta un’azione volta a ripristinare i requisiti presenti ab origine. Conclusa l’analisi dello strumento agevolativo prescelto e delle direttive di attuazione, i partecipanti hanno redatto lo studio di fattibilità nella misura in cui devono essere presentati i soggetti proponenti, le finalità e le motivazioni che hanno portato all’idea imprenditoriale, le aree interessate dall’iniziativa, l’analisi del contesto locale, fattibilità dell’ipotesi progettuale considerata, risultati attesi. La redazione ha riguardato le parti più descrittive del businessplan: data la difficoltà insita nella determinazione della sostenibilità economico-finanziaria (appannaggio degli esperti in contabilità e bilancio), non è stato possibile, per il gruppo di lavoro, elaborare i bilanci previsionali, gli indici di bilancio ed il break-even point. BIBLIOGRAFIA Regione Autonoma della Sardegna, Assessorato alla programmazione, bilancio, credito e assetto del territorio, Rapporto d’Area, Executive Summary, Laboratorio territoriale della Provincia di Sassari. Regione Puglia, Studio di fattibilità per il potenziamento di una rete regionale di attrattori turistici territoriali, Termini di riferimento, Forum Regionale del Turismo novembre 2006 121 ARCHEOLOGIA PER IL TERRITORIO: IL PROGETTO “CONOSCENZA, TUTELA E VALORIZZAZIONE DI AREE E PARCHI ARCHEOLOGICI IN LOMBARDIA” Monica Abbiati Marco Minoja Raffaella Poggiani Keller PREMESSA La Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Lombardia, la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia e la Regione Lombardia, con il coinvolgimento di tre diverse Direzioni Generali (Culture, Identità e Autonomie della Lombardia; Territorio e Urbanistica; Qualità dell’Ambiente) hanno condiviso la predisposizione e l’avvio di un progetto di conoscenza e valorizzazione delle aree e dei parchi archeologici del territorio regionale: la sottoscrizione congiunta del progetto avvenuta il 19 luglio 2006 ha formalmente dato avvio alla fase attuativa, sancendo un primo punto di arrivo in un processo di condivisione avviatosi già dall’anno precedente. L’avvio di processi di collaborazione e cooperazione tra gli enti a diverso titolo coinvolti nell’attività di valorizzazione del patrimonio, in coerenza con le indicazioni del Codice dei Beni Culturali e del paesaggio1, rappresenta un elemento di non trascurabile importanza per la costruzione di un quadro normativo e regolamentare di riferimento coerente e organico. All’integrazione tra bene culturale e paesaggio, già prefigurata dal Codice, si aggiunge così la possibilità di un intervento integrato sul territorio che tenga conto anche delle componenti urbanistiche e delle specificità locali, favorendo nel contempo processi di crescita culturale e promozione della persona. L’OGGETTO DELL’ANALISI: AREE E PARCHI ARCHEOLOGICI Aree e parchi archeologici sono stati individuati come oggetti destinati alla tutela e alla valorizzazione a partire dalla redazione del Testo unico sui Beni Culturali n. 490/1999, che ne ha per la prima volta tentato una definizione circostanziata e al contempo ne ha riconosciuto la valenza di luoghi per la promozione culturale al pari dei musei, delle biblioteche e degli archivi storici2. Gli unici precedenti nell’ordinamento nazionale possono essere rintracciati in una circolare del Ministero per i Beni Culturali3 del 1990, dove il Parco Archeologico veniva definito come «un’area protetta nella quale, per la consistenza di presenze monumentali, può individuarsi e definirsi uno spazio di particolare valenza quale Museo all’aperto»; e nella legge istitutiva della «Soprintendenza speciale» di Pompei, che fa esplicito riferimento alle «aree archeologiche» della città vesuviana. Le definizioni di «area archeologica» e «parco archeologico» sono state ulteriormente sviluppate e compiutamente articolate nell’ambito del Codice dei beni culturali e del paesaggio4 che ha individuato nella «presenza di resti di natura fossile o di manufatti o strutture preistorici o di età antica» la caratterizzazione delle aree archeologiche, recuperando invece quanto già espresso dal Testo Unico a proposito dei parchi archeologici, vale a dire la caratterizzazione di un ambito territoriale attraverso «importanti evidenze archeologiche», laddove siano compresenti anche «valori storici, paesaggistici o ambientali» e la organizzazione del sito 123 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare come «museo all’aperto». A partire pertanto da questi riferimenti normativi è possibile cercare di approfondire le caratteristiche di questi specifici oggetti individuati a tutti gli effetti come luoghi della cultura. Nella definizione di area archeologica contenuta nel codice, l’elemento caratterizzante risulta essere la semplice presenza di resti, manufatti, strutture archeologiche in una determinata area: è rilevante la variazione rispetto al testo del 1999, dove la descrizione fornita sembra connotare piuttosto un monumento o un complesso archeologico (insieme edilizio concluso per funzione o destinazione) piuttosto che un’area con presenze archeologiche di qualsivoglia natura. La definizione non specifica ulteriori caratteristiche, né per quanto riguarda l’area in cui tali resti si trovano, né per quanto riguarda il contesto territoriale del quale essa fa parte. Il riferimento ai resti di natura fossile sembra portare ad includere tra le aree archeologiche anche i giacimenti paleontologici, assimilati ai beni archeologici peraltro anche in altri strumenti della normativa di tutela5. L’estensione cronologica dei beni considerati, dalla preistoria a tutta l’età antica, con la significativa esclusione di ogni oggetto di epoca medievale, risente di una più generale e discutibile caratterizzazione dei beni archeologici nell’ambito della medesima normativa di tutela, che assegna agli organi di tutela archeologica del ministero competenze in ordine allo scavo di manufatti medievali, ma non in relazione alla loro tutela e valorizzazione; ma appare in questo caso forse ancora più opina- 124 bile, in considerazione della significativa presenza sul territorio italiano di evidenze monumentali di epoca medievale che vengono correntemente percepite come evidenze aventi a che fare con la “caratterizzazione archeologica” dei luoghi. Più articolata e naturalmente più ricca di spunti appare la definizione di parco archeologico, che sembra incardinare su tre differenti e ben esplicitate caratteristiche la connotazione degli oggetti in questione. Tali caratteristiche sono evidentemente la presenza di evidenze archeologiche definite importanti, terminologia che assimila tali evidenze a tutti i beni culturali suscettibili di tutela; la compresenza di valori storici, paesaggistici o ambientali, e pertanto una connotazione non indifferente del contesto all’interno del quale i resti archeologici si trovano collocati, quale che sia il tipo di considerazione che si intende riservare ai succitati «valori»; infine una specifica attività di valorizzazione riservata ai beni e al loro contesto, che tende ad assimilare, quanto meno per questa specifica connotazione, i parchi archeologici ad altri più tradizionali luoghi della cultura come i musei. Tra le relazioni che si vengono a istituire tra queste articolate caratteristiche quella che evidentemente riveste il maggiore interesse è senz’altro quella che tende a collegare i resti archeologici al loro contesto territoriale: si tratta innanzitutto di un principio fondamentale di corretta lettura dei beni archeologici, per i quali il dato contestuale non riveste evidentemente il valore puramente amministrativo di «luogo di rinvenimento», ma costituisce una delle ragioni stesse della loro esistenza e della loro specifica collocazione, e per gli archeologi rappresenta un dato di analisi al pari di tutte le altre caratteristiche del bene. In questo senso la definizione del Codice, che specifica il valore ambientale e paesaggistico, ma anche storico, anzi principalmente storico, quanto meno per mera collocazione dei termini, del contesto all’interno del quale i resti archeologici si collocano, nell’ambito di un parco archeologico, aiuta a porre nella giusta ottica la considerazione relativa ai medesimi valori; in altri termini, nel pensare a un parco archeologico, il contesto territoriale di riferimento non andrà inteso come semplice giustapposizione di una componente naturalistica, per quanto pregevole o correttamente preservata, ad un’altra di natura archeologica di per sé importante; ma andrà visto come quel complesso di componenti naturalistiche, con ciò intendendo le componenti geomorfologiche e idrogeologiche, biologiche e vegetazionali dei luoghi, paesaggistiche, vale a dire quegli elementi di modellazione dell’ambiente che ne fanno lo sfondo su cui si collocano le attività dell’uomo, che concorrono a determinare le caratteristiche di un territorio, sulla base delle quali esso ha costituito il punto di definizione di una determinata manifestazione archeologica, per esserne a sua volta ulteriormente modellato e ridefinito, in un processo continuo di reciproca determinazione, che costituisce in ultima analisi il dato storicamente e culturalmente rilevante da comprendere e valorizzare. In questo senso il riferimento al criterio di valorizzazione come museo all’aperto andrà Archeologia per il territorio: il progetto “Conoscenza, tutela e valorizzazione di aree e parchi archeologici in Lombardia” inteso, al di là degli aspetti “strumentali” della valorizzazione, nel senso di una omologia con quei casi in cui il museo costituisce un significativo elemento di testimonianza della storia di un territorio, cosa che peraltro avviene in molte, ma non certo in tutte le tipologie di museo riconosciute; ferme restando peraltro le significative differenze che intercorrono tra i due oggetti, laddove il parco archeologico, proprio per la sua caratteristica di testimone delle interazioni prodottesi in un determinato contesto territoriale, richiederà un processo di valorizzazione che per un verso evidenzi il contributo dell’archeologia alla storia del territorio, per un altro si faccia carico anche del potenziale di condizionamento del territorio stesso che la sua caratterizzazione archeologica comporta. I CONTENUTI E GLI STRUMENTI DEL PROGETTO Il progetto di conoscenza e valorizzazione che qui si presenta si è posto come obiettivo la catalogazione di tutti i beni esistenti in Lombardia, aventi le caratteristiche di area e parco archeologico, a partire da una selezione di un campione di dieci parchi ed aree variamente strutturati e distribuiti sul territorio regionale. Come si comprende dall’articolato sistema delle definizioni, che nel paragrafo precedente si è cercato di esaminare, l’oggetto del lavoro è caratterizzato da una significativa varietà, relativamente alla tipologia dei beni indagati, alla loro estensione, proprietà e livello di valorizzazione. La realtà lombarda affianca ad esempio parchi archeologici strutturati e di importanza mondiale riconosciuta, come il Parco delle incisioni rupestri della Valle Camonica, sito inserito nella lista del patrimonio culturale dell’UNESCO, o il comprensorio delle ville gardesane di epoca romana, in cui il solo sito delle “Grotte di Catullo” fa registrare presenze superiori alle 200.000 unità di visitatori annui, ad aree di recente grande sviluppo sul piano della valorizzazione, come alcuni parchi archeologici in aree urbane quali Brescia o Milano, ad aree ancora da valorizzare appieno, in cui spesso i rinvenimenti archeologici sono all’interno di contesti ambientali e naturali protetti, distribuite su tutto il territorio regionale. Molta parte di questo patrimonio peraltro, che un’analisi preliminare ha quantificato in oltre un centinaio di realtà tra aree e parchi archeologici, ampiamente diffuse su tutto il territorio regionale, risulta tuttora assai poco o per nulla conosciuto: può essere interessante, a questo proposito, segnalare come il sito della Direzione Generale Beni Archeologici ascriva alla Lombardia soltanto cinque importanti complessi archeologici tra parchi (Parco delle Incisioni Rupestri in Valle Camonica, Parco di Castelseprio), aree archeologiche (Villa romana di Desenzano) e monumenti (Grotte di Catullo); il dato peraltro sembra potersi associare ad una generale percezione del territorio lombardo come di una regione scarsamente caratterizzata da presenze archeologiche rilevanti e attraenti sul piano della valorizzazione e della fruizione. Per cercare di controbilanciare questa diffusa percezione, e per rendere conto dell’effettiva consistenza del patrimonio archeologico regionale, il piano di intervento prevede un approfondito approccio conoscitivo ai parchi e alle aree archeologiche, attraverso la schedatura complessiva di tutti i beni, effettuata con strumenti di catalogazione allineati agli standard nazionali. I tracciati catalografici individuati corrispondono alle schede SI e MA/CA, successivamente integrate dalla scheda IRweb6 per la schedatura delle rocce incise: la banca dati contenente i risultati della schedatura contribuirà ad arricchire i sistemi informativi di Ministero e Regione relativi ai beni culturali7. La scheda SI - Sito Archeologico è stata individuata per la descrizione dell’area di ciascun parco, o, in caso di articolazioni territoriali più complesse, delle diverse aree su cui ciascun parco è distribuito; a ciascuna scheda SI si collega un numero variabile di schede MA/CA Monumento/Complesso archeologico, a seconda dell’articolazione dei monumenti o complessi monumentali all’interno di ciascun sito. L’utilizzo di strumenti di catalogazione standardizzati a livello nazionale e forniti di specifiche norme e vocabolari è stato ritenuto quello più idoneo per la produzione di un livello informativo che si allineasse agli altri livelli descrittivi dei beni culturali inseriti nei diversi sistemi informativi; per questo motivo si è deciso di utilizzare le schede SI e MA/CA, anche indipendentemente dall’attuale revisione della normativa relativa, optando in sede di progetto per uno sforzo di elaborazione e integrazione coerente con le indicazioni già pubblicate sia 125 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare sulle normative che sui vocabolari, attivando nel contempo le procedure necessarie per effettuare su tali elaborazioni un confronto puntuale con l’Istituto Centrale del Catalogo e della Documentazione, che certifichi e renda condivise le soluzioni adottate; un confronto che in questa fase del progetto è stato avviato e che potrebbe condurre, come risultato auspicabile, alla costituzione di un gruppo di lavoro, che possa affrontare in maniera approfondita tanto la problematica delle diverse tipologie di beni, quanto quella degli strumenti di catalogazione più idonei. In questa ottica di sperimentazione, a livello locale, di strumenti di catalogazione per il patrimonio nazionale, il progetto potrà inoltre costituire un’utile applicazione di modelli di scheda che non solo sono stati oggetto di una revisione significativa, ma risultano ancora essere tra gli strumenti di catalogazione meno utilizzati, contribuendo alla diffusione e adozione degli stessi anche da parte delle altre Regioni. Nell’ambito della catalogazione delle aree e dei parchi, in linea con quanto contenuto nei nuovi modelli catalografici, è prevista la georeferenziazione di tutti i beni schedati; la georeferenziazione delle aree indagate consentirà l’utilizzo dei dati rilevati come ulteriori livelli da collegare ai sistemi informativi territoriali, alimentati dai diversi enti e tra loro in stretta correlazione, consentendo ricadute immediate nelle attività di pianificazione urbanistico-territoriale sia a livello di pianificazione regionale, per quanto attiene tutti gli strumenti derivanti dall’applicazione della legge 12/20058, sia a livello locale. 126 DALLA CONOSCENZA ALLA VALORIZZAZIONE: LE «SCHEDE DI GESTIONE» Una significativa ricaduta dell’indagine è attesa inoltre nel settore della promozione culturale e turistica del patrimonio archeologico regionale. Il complesso dei sistemi informativi interessati dal progetto, destinati a raggiungere, attraverso la Rete, non solo l’utenza specialistica, ma anche il pubblico più allargato dei navigatori di Internet, potrà rappresentare infatti un efficace volano per la conoscenza turistica delle aree segnalate. In questo senso il lavoro sulle realtà archeologiche lombarde potrà giovarsi del significativo potenziamento che, a livello ministeriale, si sta riservando alla comunicazione on line, attraverso il progetto Portale della Cultura che, oltre a prevedere l’aggiornamento e il potenziamento dei siti web delle Soprintendenze e delle Direzioni regionali9, comporta la realizzazione di un punto privilegiato di accesso alle informazioni culturali prodotte e veicolate dalla struttura centrale e periferica del MiBAC; i dati raccolti contribuiranno inoltre ad alimentare i consolidati canali di comunicazione on line della Regione Lombardia10. Proprio in considerazione dell’importanza degli aspetti connessi alla fruizione e valorizzazione delle aree in esame, prioritari in una logica di sensibilizzazione e crescita culturale della regione, all’indagine conoscitiva sulle caratteristiche dei luoghi della cultura indagati si sta accompagnando un approfondito monitoraggio delle attività di valorizzazione delle aree. Tale analisi viene effettuata attraverso l’im- piego di uno specifico modulo catalografico, appositamente studiato e realizzato nell’ambito di questo progetto, a integrazione delle informazioni contenute nella scheda Sito; il modulo denominato «GLCP Gestione Luoghi della Cultura - Parchi e Aree Archeologiche» consentirà il rilevamento di un’articolata serie di informazioni relative alle strutture di gestione delle aree e dei parchi archeologici, pertinenti alla loro organizzazione, alla descrizione delle strutture del parco, delle sue attività, dei servizi proposti ai visitatori, dell’offerta culturale e didattica. La scheda è suddivisa in otto sezioni, costruite per descrivere i diversi aspetti dell’attività di gestione dei parchi e delle aree archeologiche: la prima sezione, dedicata alla Caratterizzazione organizzativa della struttura, contiene tutti i dati anagrafici e quelli relativi all’istituzione della struttura, nonché la qualificazione e i caratteri dell’ente proprietario e dell’ente gestore. Nella seconda sezione, Descrizione struttura, è possibile offrire una descrizione complessiva dell’area e delle caratteristiche relative all’allestimento e didascalizzazione della stessa. La terza contiene le informazioni relative alla Accessibilità: è destinata a raccogliere i dati relativi a giorni, modi e tempi di apertura al pubblico, precisando anche la presenza di barriere architettoniche nonché la percorribilità del percorso di visita. Nella quarta sezione vengono registrati i Dati sull’affluenza: i dati sono articolati in modo da consentire, ove possibile, l’elaborazione di statistiche circa la provenienza e l’età dei visitatori, oltre ovviamente a quelle relative alla Archeologia per il territorio: il progetto “Conoscenza, tutela e valorizzazione di aree e parchi archeologici in Lombardia” quantificazione numerica complessiva. I diversi servizi offerti dalla struttura, distinti in servizi al pubblico (caffetteria, aree sosta, servizi, ecc), servizi didattici (visite guidate, laboratori), e servizi culturali (biblioteca, sala conferenza, ecc.) sono registrati nella quinta sezione Descrizione servizi. La successiva sezione Descrizione funzioni e attività intende esaminare in particolare l’attività scientifica svolta dal parco o dall’area sia al suo interno sia sul territorio circostante, e quindi la capacità di costituire un centro di promozione di attività di ricerca, considerando anche la relativa attività di comunicazione (allestimento di mostre, conferenze, pubblicazione di testi specifici). Le ultime due sezioni consentono di analizzare i diversi aspetti del bilancio gestionale: nella sezione Descrizione risorse sono raccolti i dati relativi sia alle risorse umane professionali e volontarie11, sia alle risorse finanziarie; l’organizzazione dei dati distingue le risorse ordinarie, quelle straordinarie e quelle legate allo svolgimento di progetti specifici; nell’ultimo set di dati, Descrizione costi, le informazioni sono raccolte in modo da risultare speculari rispetto a quelle presenti nella sezione precedente, differenziando i costi legati all’attività ordinaria da quelli per specifiche attività. L’organizzazione delle informazioni nella scheda, strutturate in paragrafi, campi e sottocampi, è coerente con il modello utilizzato dai tracciati messi a punto dall’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione. Come si evince dalla sintetica descrizione delle sezioni ci si propone di rilevare in modo quanto più possibile organico, accanto ai dati descrittivi degli aspetti di valorizzazione (sezioni 2-3-5), anche i dati relativi alle parti strutturali delle aree oggetto di analisi (sezione 1), gli elementi correlati alle attività di tipo tecnico scientifico e divulgativo (sezione 6), nonché i dati relativi al funzionamento della struttura (sezioni 4-78). La scelta dello strumento catalografico, apparentemente più faticosa rispetto alle modalità di raccolta dati comunemente utilizzate per il rilevamento di informazioni di questa natura, è finalizzata, oltre che all’integrazione coerente con il tracciato della scheda Sito ICCD, all’acquisizione quanto più possibile uniforme dei dati, come premessa a tutte le possibili analisi e confronti tra le diverse situazioni sul territorio regionale. L’analisi comparata delle differenti situazioni consentirà infatti di progredire, anche mediante la sperimentazione su siti campione, nello studio dei modelli di gestione più adeguati alle diverse tipologie, nella prospettiva di giungere alla definizione di standard di funzionamento, applicabili ai parchi e alle aree archeologiche, analogamente a quanto effettuato per altri più tradizionali luoghi della cultura come i musei. Tale percorso risulta funzionale non solo all’astratta definizione di un modello di funzionamento delle aree e dei parchi archeologici, ma può fornire ai soggetti gestori delle stesse un parametro di riferimento per le attività, costituendo altresì uno strumento di valutazione in un’ottica di pianificazione degli interventi degli enti di governo. Altra caratteristica del progetto è quella di valutare la situazione di tutela e valorizzazione delle aree e dei parchi archeologici in stretta correlazione con la realtà ambientale e paesaggistica, in un’ottica di tutela integrata e condivisa tra i diversi soggetti coinvolti nel progetto, dalla quale si prevedono importanti ricadute sulle strategie di governo del territorio. Molte delle realtà archeologiche lombarde sono infatti, come sopra ricordato, collocate all’interno di territori individuati come aree protette, e spesso devono la loro conservazione anche alla tempestiva apposizione di vincoli ambientali: un simile collegamento tra tutela di tipo culturale e paesaggistico, coerente con la definizione unitaria della materia prevista del Codice dei beni culturali e del paesaggio oltre a costituire una significativa potenzialità nell’ambito della valorizzazione delle strutture archeologiche, rappresenta indubbiamente un’ulteriore attrattiva per i visitatori, ai quali si offre la possibilità di godere ad un tempo delle bellezze naturalistiche e del fascino delle strutture archeologiche, in contesti a volte molto evocativi grazie a una realtà ambientale ben preservata. IL PERCORSO DI LAVORO La necessità di elaborare, condividere ed attivare in tempi ristretti una proposta progettuale che coordinasse le competenze di numerosi soggetti, è stata sicuramente l’aspetto predominante nella prima fase di lavoro. A tal fine è stato costituito un gruppo di progetto, composto da rappresentanti di Regione e Ministero, specificamente delegati dalle strutture di appartenenza. Frutto del lavoro del 127 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare gruppo è stata la stesura di una bozza di progetto che quantificava costi e tempi di svolgimento del lavoro, elaborando un dettagliato cronoprogramma. La bozza è stata quindi sottoposta a tutti i soggetti coinvolti nell’attività e modificata in funzione delle specifiche esigenze segnalate. L’intento perseguito è stato infatti quello di ottenere un risultato comune, rispettando le specifiche competenze, evitando se possibile le sovrapposizioni, garantendo altresì a tutti la gestione delle attività di competenza abituali. Si è quindi tenuto conto nell’elaborazione dei tracciati informativi delle caratteristiche dei sistemi già in uso, configurando in alcuni casi la raccolta di dati come un’integrazione di archivi già esistenti12. Ognuno dei soggetti coinvolti ha a tal fine garantito la messa in comune del proprio bagaglio di conoscenze (elenchi dei vincoli, ortofoto del territorio in esame, ecc.). In assenza di un unico specifico finanziamento per la realizzazione dell’attività si è attinto a canali differenziati per le diverse fasi di lavoro, distinguendo interventi di implementazione del sistema informativo e raccolta dati. L’individuazione delle aree in cui avviare la sperimentazione ha privilegiato, per parte regionale, le realtà contenute all’interno di parchi naturali, attivando in tal senso anche una forma di collaborazione sussidiaria con gli enti parco coinvolti. Il Ministero ha quindi integrato tale elenco, in un’ottica di copertura e massima rappresentatività delle realtà presenti nel territorio. La versione finale del progetto è stata illustrata e condivisa in una riunione plenaria 128 con tutti i soggetti coinvolti. Non essendo previsto alcun obbligo reciproco di natura finanziaria, l’approvazione dello stesso è avvenuta mediante sottoscrizione del verbale della riunione da parte delle strutture apicali degli enti coinvolti. Lo stesso verbale ha inoltre consentito ai partecipanti di segnalare e registrare anche numerose altre opportunità connesse alla realizzazione dell’attività. La fase successiva di lavoro ha previsto lo sviluppo di due sistemi informativi per la raccolta dati, distinti e perfettamente e compatibili, per Regione e Ministero. Sono quindi stati individuati i catalogatori incaricati della raccolta dati. Visto il carattere sperimentale del progetto (soprattutto per quanto attiene la scheda GLCP) la formazione relativa alla compilazione delle schede si è svolta in forma seminariale, prevedendo la realizzazione di incontri periodici nel corso di tutte le attività di raccolta dati. UN’ESPERIENZA AVANZATA DI VALORIZZAZIONE: IL PARCO DELLE INCISIONI RUPESTRI DELLA VALCAMONICA Nel quadro delle aree e dei parchi archeologici lombardi, la Valle Camonica, ubicata nella parte nord-orientale della regione, in provincia di Brescia, rappresenta, con il suo articolato sistema di realtà espositive, un campione territoriale significativo come esempio di valorizzazione, attuata e in corso di ulteriore potenziamento, dell’esteso sito “Arte Rupestre della Valle Camonica” riconosciuto nel 1979 patrimonio mondiale nella World Heritage List dell’UNESCO. Le incisioni, che coprono un arco cronologico di oltre 12.000 anni, a partire dall’Epipaleolitico fino ad età storica, romana e medioevale, con persistenze fino all’età moderna, sono distribuite su un ambito territoriale molto vasto comprendente l’intera Valle, estesa per più di 80 km, su una superficie di oltre 1300 kmq. In ben 24 dei 41 comuni della Valle sono attestate oltre 180 località con incisioni rupestri, per un totale - con una stima per difetto - di almeno 2400 rocce istoriate, collocate in una fascia altimetrica compresa tra 200 e 1300 m/slm, pur non mancando attestazioni, soprattutto di arte schematica, anche a quote prossime o superiori ai 2000 m/slm. Si tratta quindi di un sito complesso per estensione, durata e varietà dei temi figurativi e dei contesti archeologici. Questa situazione ha determinato negli anni vari interventi di valorizzazione che si sono concretizzati nella creazione di parchi archeologici (ben otto per la preistoria e protostoria13) dallo storico Parco Nazionale delle Incisioni Rupestri, fondato nel 1955, ai due nuovi Parchi aperti nel 2005 a Capo di Ponte (il Parco Archeologico Nazionale dei Massi di Cemmo ed il Parco Archeologico Comunale di Seradina-Bedolina), nell’allestimento, in corso, del Museo Nazionale della Preistoria della Valle Camonica, nel centro storico di Capo di Ponte, e nella progettazione di Percorsi pluritematici attorno a siti archeologici di recente indagine (a Dosso Poglia di Cedegolo e Lòa di BerzoDemo). Nel 2004 la richiesta rivolta dall’UNESCO al governo italiano (tenuto agli adempimenti Archeologia per il territorio: il progetto “Conoscenza, tutela e valorizzazione di aree e parchi archeologici in Lombardia” derivanti dalla Convenzione sulla tutela del Patrimonio mondiale, culturale e naturale, Parigi 16 novembre 1972) di adeguare tutti i siti del Patrimonio mondiale iscritti prima del 2002 con un Piano di Gestione ha comportato un impegnativo lavoro di concertazione da parte di un consesso di Enti territoriali e locali (Provincia di Brescia; Comunità Montana di Valle Camonica; Consorzio dei Comuni del Bacino Imbrifero Montano di Valle Camonica (B.I.M.); Comuni di Darfo Boario Terme, Capo di Ponte; Sellero; Sonico; Consorzio della Riserva Regionale di Ceto, Cimbergo e Paspardo), unitamente alla Soprintendenza che lo ha coordinato per incarico del Ministero per i Beni e le Attività Culturali14. Insieme sono stati definiti obiettivi, strategie, progetti e tempi di attuazione per la tutela, la conservazione e la valorizzazione del sito, con l’intento di conciliare l’identità dei luoghi e la loro tutela e conservazione con le esigenze dello sviluppo socio economico. Il Piano di Gestione, elaborato nel 2005, ha perseguito un disegno complessivo di valorizzazione della valle sulla linea di alcuni obiettivi prioritari: - tutelare e conservare il patrimonio d’arte rupestre della Valle Camonica considerato nel contesto archeologico e territoriale al quale è strettamente legato; - promuoverne e potenziarne la conoscenza, con interventi sistematici e coordinati di documentazione, di ricerca e di studio; - valorizzare il sito nelle forme e con gli strumenti più idonei, nel rispetto, prioritario e imprescindibile, dell’integrità e dell’identità del bene, all’interno del contesto territoriale e cul- turale nel quale esso è inserito; - svilupparne con sapienza l’inserimento nel circuito del turismo culturale e, più in generale, di un sistema turistico; - operare in modo da rendere compatibili tali priorità con lo sviluppo sostenibile del territorio, per il quale il sito arte rupestre costituisce elemento promotore di sviluppo economico e sociale. Sono stati definiti vari piani di intervento (Piano di intervento per l’adeguamento e la valorizzazione dei Parchi d’Arte Rupestre; Piano di intervento per la realizzazione del Museo Nazionale della Preistoria della Valle Camonica; Piano di intervento per la valorizzazione dei siti archeologici pre-protostorici; Piano di intervento per il rilevamento, la documentazione e la valorizzazione degli altri siti d’arte rupestre della Valle Camonica non compresi nei Parchi d’Arte Rupestre; Piano di intervento sulla rete dei percorsi storici; Piano di intervento per il ripristino paesaggistico del fondovalle). I problemi conservativi, che riguardano tanto le singole rocce quanto gli insiemi ed i comprensori in cui esse si trovano, sono stati affrontati nel Piano di conservazione sui tre diversi livelli della salvaguardia, manutenzione e restauro conservativo. La serie di Piani, che si articola operativamente anche nei Piani dell’accessibilità, dell’accoglienza, della formazione e altri ancora, comporta l’identificazione degli Indicatori per un attento monitoraggio sugli esiti delle strategie adottate e sulla validità dei progetti, finalizzati principalmente alla tutela, alla conservazione e alla valorizzazione del sito. La sfida in campo è quella di far sì che il Piano di Gestione aiuti la Valle Camonica, un comprensorio a forte tradizione industriale e artigianale, a riconvertirsi in “distretto culturale”, facendo perno su un patrimonio di arte rupestre senza pari al mondo, diffuso capillarmente sul territorio e aggregato per ora attorno a otto Parchi, nazionali e comunali, ma destinato ad una più estesa valorizzazione che dovrà, con grande attenzione e scelta lungimirante di metodi e di risorse, integrarsi in modo strategico con il nuovo sistema turistico della Valle. Questo processo virtuoso ricerca-scoperta-studio-valorizzazione con apertura al pubblico di siti, parchi e aree archeologiche, musei, attuato e via via potenziabile, con attenzione non solo alle espressioni d’arte rupestre ma a tutto l’ambito archeologico territoriale nei suoi vari aspetti (la trama dei percorsi storici, i contesti archeologici, i segni di devozione, di memoria legati all’arte rupestre) si completa con quanto programmato per l’altrettanto importante sistema dell’archeologia di età romana che ruota attorno al polo di Cividate Camuno (interessato da un Accordo di Programma tra Enti, cui partecipano unitamente ad altri, Ministero e Regione), con una strategia complessiva, coordinata ed incisiva, di promozione (Piano del Marketing territoriale), che si giocherà tuttavia sulla capacità di coinvolgimento delle comunità locali. 129 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare NOTE 1 DL 42/2004 Codice dei beni culturali e del paesaggio, Articolo 102 «Fruizione degli istituti e luoghi della cultura di appartenenza pubblica». 2 Articolo 99 «Apertura al pubblico di musei, monumenti, aree e parchi archeologici, archivi e biblioteche»; le definizioni adottate sono le seguenti: - area archeologica: sito su cui insistono i resti di un insieme edilizio originariamente concluso per funzione e destinazione d’uso complessiva; - parco archeologico: ambito territoriale caratterizzato da importanti evidenze archeologiche e dalla compresenza di valori storici, paesaggistici o ambientali, attrezzato come museo all’aperto in modo da facilitarne la lettura attraverso itinerari ragionati e sussidi didattici. 3 Circolare n. 12059 del 15.11.1990 4 DL 42/2004 Codice dei beni culturali e del paesaggio, Articolo 101 «Istituti e luoghi della cultura». 5 DL 42/2004 Codice dei beni culturali e del paesaggio, Articolo 10, comma 4: «Sono comprese tra le cose indicate al comma 1 e al comma 3, lettera a): a) le cose che interessano la paleontologia, la preistoria e le primitive civiltà». 6 Tracciato cartografico appositamente sviluppato per la catalogazione delle rocce incise della Valle Camonica. 7 SIGeC (Sistema Informativo Generale Catalogo), IDRA (Information Database of Regional Archaeological Regional Archaeological-Artistic-Architectural heritage) - Atlante dei beni culturali della Lombardia, GIS dei parchi e dei siti archeologici della Valle Camonica, 130 per quanto riguarda i sistemi informativi del Ministero; SIBA (Sistema Informativo Beni Ambientali), SIAP (Sistema Informativo Aree Protette), Lombardia Beni Culturali, SIRBeC-NaDIR (Sistema Informativo Regionale Beni Culturali/Navigatore geografico tra Dati e Informazioni sulle Risorse culturali), Lombardia Luoghi della Cultura per quanto riguarda i sistemi informativi della Regione. 8 Legge Regionale 11 marzo 2005, n. 12 Legge per il governo del territorio. 9 Per quanto riguarda lo specifico di questo progetto: www.lombardia.beniculturali.it www.archeologica.lombardia.beniculturali.it. 10 Sito della Regione www.regione.lombardia.it, della Direzione Culture Identità e Autonomie www.lombardiacultura.it, della Direzione Qualità dell’ambiente www.ambiente.regione.lombardia.it. 11 Si sono adottate le definizioni delle figure professionali presenti nel DM 10 maggio 2001 Atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei e recepite nell’ambito della Delibera regionale sul riconoscimento dei musei, D.g.r. 20 dicembre 2002 n. 7/11643 Criteri e linee guida per il riconoscimento dei musei e delle raccolte museali in Lombardia, nonché linee guida sui profili professionali degli operatori dei musei e delle raccolte museali in Lombardia, ai sensi della l.r. 5 gennaio 2000, n. 1, commi 130-131. 12 Nello specifico completando i dati del sistema informativo regionale sui beni ambientali, e integrando quelli relativi alle aree protette. 13 Risalendo nella Valle, il Parco Comunale di Luine, Darfo Boario Terme; la Riserva Regionale delle Incisioni Rupestri di Ceto, Cimbergo e Paspardo; il Parco Nazionale delle Incisioni Rupestri, Capo di Ponte; il Parco Archeologico Nazionale dei Massi di Cemmo, Capo di Ponte; il Parco Archeologico Comunale di Seradina-Bedolina, Capo di Ponte; il Parco Comunale di Sellero; il Parco pluritematico del “Còren de le Fate”, Sonico. A questi nel 2005 si è aggiunto il Parco archeologico di Ossimo-Anvòia, dedicato ad un sito di culto con monoliti istoriati calcolitici. 14 Il Piano è in corso di stampa: R. POGGIANI KELLER, C. LIBORIO, M.G. RUGGIERO, Il sito UNESCO n. 94 “Arte Rupestre della Valle Camonica”. Piano di Gestione, Breno 2005, c.s. Il Gruppo di lavoro per l’elaborazione del Piano, oltre agli Enti sopra indicati, era formato da una segreteria tecnico-scientifica e da un secondo “Gruppo di Lavoro Tecnico-scientifico” aperto alle Istituzioni culturali e scientifiche che si occupano in Valle dello specifico tema dell’arte rupestre e alle quali fosse riconosciuto un ruolo autorevole nello studio delle incisioni e, anche, alle istituzioni che si occupano localmente di coordinamento e gestione di aree a tutela paesaggistico-ambientale di interesse sovracomunale (Parco dell’Adamello). IL MUSEO DI ARCHEOLOGIA LIGURE DI GENOVA: ESPERIENZE DI RICERCA SCIENTIFICA FRA COLLEZIONI E TERRITORIO Guido Rossi ABSTRACT Le collezioni archeologiche della città di Genova sono per la prima volta esposte in una sede autonoma nel 1929 alla Villetta Di Negro e ben presto spostate nella Villa Pallavicini a Genova Pegli dove, dal 1936, ad opera di Luigi Cardini, e di Cardini e Luigi Bernabò Brea poi, con il riordinamento e la riapertura nel dopoguerra (1954), costituiscono il Museo di Archeologia Ligure. È stata proprio l’opera di questi due studiosi e l’azione dell’Istituto Italiano di Paleontologia Umana, assieme alla forte volontà della civica amministrazione, a dar vita a quell’importantissima stagione di ricerche nei principali siti paletnologici della Liguria che culminò con gli scavi e le conseguenti straordinarie scoperte nella grotta delle Arene Candide a Finale Ligure (SV), dove fu possibile riconoscere una delle prime e più importanti sequenze neolitiche del Mediterraneo e mettere in luce la serie delle sepolture paleolitiche ed epipaleolitiche. Questa stagione di studi ha in effetti profondamente segnato anche le successive esperienze del Museo, non solo dal punto di vista espositivo, ma anche da quello della gestione scien- tifica del Museo, poiché molti dei progetti di ricerca ed analisi effettuati da studiosi di tutto il mondo vedono ancora protagonista lo straordinario patrimonio messo in luce da Cardini e Bernabò Brea. Aldilà dell’organizzazione del lavoro sull’intero patrimonio archeologico conservato nel Museo, di cui interessa comunque evidenziare le operazioni di schedatura, monitoraggio conservativo, interventi di restauro, progettazione e/o partecipazione a programmi di ricerca che coinvolgono i nostri materiali, un altro aspetto attinente la gestione scientifica è quello della ricerca sul campo. Si è scelto, in questa sede, di segnalare l’esperienza del Progetto Santu Antine-Meilogu che dal 1994 al 2001 ha operato al fine di analizzare le caratteristiche della presenza umana su un’area che comprende uno dei nuraghi più noti della Sardegna e il suo territorio, durante l’Età del Bronzo, associando ricercatori della Soprintendenza Archeologica delle province di Sassari e Nuoro, del Museo di Archeologia Ligure e di varie Università italiane e straniere. Alcuni risultati sono già stati oggetto di pubblicazione. I PRIMI INDIRIZZI DELLA RICERCA, DA ARTURO ISSEL A LUIGI BERNABÒ BREA Come per molti musei archeologici italiani, anche per il Museo Civico di Archeologia Ligure di Genova1 la prima fase di formazione delle collezioni è in stretta relazione con le vicende collezionistico-antiquarie della città ed è quindi legata a rinvenimenti fortuiti avvenuti nel passato, come ad esempio per la Tavola di Polcevera2, a depositi da altre Istituzioni3, a lasciti importanti quali quello del Principe Odone di Savoia4, ad acquisti sul mercato antiquario come nel caso delle collezioni del noto scultore Santo Varni5 . Il lungo processo di acquisizione conosce una tappa fondamentale nella Mostra d’Arte Antica organizzata in Genova, a Palazzo Bianco, per l’occasione delle celebrazioni colombiane del 1892 e che, fungendo da catalizzatore per molti dei materiali archeologici raccolti fino ad allora in città, costituì anche il nucleo di un “museo cittadino” che vide la luce fra il 1906 e il 1908, dedicando appunto alcune sale espressamente alle collezioni archeologiche. È in questa fase che al Museo confluiscono i corredi delle tombe della necropoli preromana 131 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare di Genova che, fra il 1898 ed il 1910, viene alla luce negli scavi per la costruzione della nuova arteria di via XX Settembre (Pastorino, 1991, p. 20). A partire da questi anni, la figura di Arturo Issel (Rossi, in corso di stampa), ponendo l’attenzione con i suoi studi (Issel, 1908) sull’importanza della Liguria nell’ambito della preistoria, si attiva per raccogliere e far acquisire alla fruizione pubblica le importanti collezioni preistoriche che, nel corso della seconda metà dell’800 soprattutto, erano state costituite da un gruppo attivissimo di ricercatori e collezionisti operanti prevalentemente nel Ponente della nostra regione (Isetti-Rossi, in corso di stampa; Traverso, in corso di stampa; Odetti, in corso di stampa; Odetti, in corso di stampa a; BoaroDe Pascale-Venturino Gambari, in corso di stampa). La sua azione si colloca nel più ampio fenomeno di consolidamento della paletnologia italiana come disciplina a sé stante (Guidi, 1988, p. 28), in rapporto alla più blasonata e consolidata archeologia classica, e trova in Liguria un fertile bacino d’accoglienza sia per la ricchezza dei siti presenti sia per la consolidata tradizione degli studi scientifici (Doldi, 1990). Questa importante operazione si rivelerà di fatto determinante nell’aprire il solco lungo il quale si incanaleranno gli sviluppi più significativi della ricerca condotta negli anni seguenti presso il Museo Archeologico, quando esso diverrà un’istituzione autonoma dal punto di vista della sede espositiva e delle scelte di indirizzo scientifico. Peraltro, ben prima del trasferimento nella sede della Villetta Di Negro (1929) (fig. 1), 132 dove alle raccolte preistoriche già acquisite dal Comune di Genova6 si aggiunsero quelle del Museo Geologico dell’Università voluto da Issel (Issel, 1914), lo stesso Issel forniva, in una bozza di percorso guidato del Museo di Storia ed Arte (Bonci-Firpo-Rossi, in corso di stampa), un’ampia disamina delle grotte e delle sepolture preistoriche della Liguria, sottolineando l’importanza della Sezione Paletnologica dello stesso Museo. In questo clima favorevole, agli inizi degli anni ’30, la municipalità di Genova, nella figura di Orlando Grosso, Direttore dell’Ufficio di Antichità, Belle Arti e Storia, chiama l’Istituto Italiano di Paleontologia Umana a far parte della Commissione Archeologica Comunale che si proponeva la tutela e l’incremento del Civico Museo di Archeologia, ma anche di dare un indirizzo alle ricerche e agli scavi cui il Comune di Genova contribuiva finanziariamente (Garibaldi-Rossi, 2004, p. 187 ss.). L’Istituto Italiano di Paleontologia Umana è espressione di quella “scuola fiorentina” di preistoria certamente all’avanguardia nel panorama della paletnologia del tempo (Tarantini, 2004, p. 6-16) e che se da un lato era impegnata nel riconoscimento e nello studio del Paleolitico Superiore italiano, sul piano metodologico fondava le ricerche della preistoria più antica su indispensabili basi naturalistiche atte a ricostruire il paleoambiente in cui l’uomo era vissuto (Tarantini, 2004, pp. 7-8). Direttore scientifico della Sezione di Genova dell’IIPU fu Luigi Cardini e membro il giovane Soprintendente della neonata Regia Soprintendenza alle Antichità della Liguria Fig. 1 - Il Museo alla Villetta Di Negro Il Museo di Archeologia Ligure di Genova: esperienze di ricerca scientifica fra collezioni e territorio Fig. 2 - L’esterno della caverna delle Arene Candide (SV) durante gli scavi di Cardini e Bernabò Brea. Fig. 3 - La sepoltura paleolitica del cosiddetto “Principe” delle Arene Candide. (1939) Luigi Bernabò Brea, cioè gli studiosi che, con le loro ricerche, in particolare nella caverna delle Arene Candide di Finale (SV) (Bernabò Brea, 1946; Bernabò Brea 1956; Cardini, 1942) (fig. 2), determinarono la natura dell’ordinamento espositivo del nuovo Museo di Archeologia Ligure,7 ma anche il taglio principale della ricerca operata negli anni ’40 e ’50. In modo estremamente marcato, infatti, il Museo esprimeva (ed esprime in buona parte ancora oggi) i risultati delle ricerche condotte in Liguria, con una rilevanza significativa attribuita alla preistoria in generale ed agli scavi nelle caverne del Ponente ligure in particolare. La modernità delle ricerche condotte da Cardini e Bernabò Brea, la quantità e la straordinaria importanza dei dati messi in luce, l’ampio rilievo nazionale e internazionale assunto dalle loro scoperte hanno fatto sì che, fino ad oggi, continuino ad alimentare un’inesauribile serie di studi condotti da allora sui vari record messi in luce, in particolare nella caverna delle Arene Candide8 (fig. 3). L’organizzazione del lavoro scientifico del Museo si è in seguito concentrata quindi, per molto tempo, su attività e su programmi di ricerca spesso in stretta connessione con le rilevanti testimonianze preistoriche e protostoriche che attraverso eventi, politiche museali e personalità di studiosi hanno arricchito l’istituzione. Parallelamente si è andata consolidando quella serie di attività caratteristiche di una moderna gestione scientifica, incentrate su una capillare opera di schedatura del materiale e sul suo conseguente aggiornamento scientifico, su un continuo monitoraggio dello stato conservativo dei reperti e sui conseguenti interventi di restauro, sull’organizzazione o la partecipazione a progetti di studio riguardanti direttamente o indirettamente il patrimonio archeologico conservato9. ALCUNI ASPETTI DELLA RICERCA OGGI Se dunque è tradizione consolidata che un’istituzione museale che opera nel campo dell’archeologia abbia fra le sue attività quella di ricerca anche sul campo, la sintesi fornita riguardante il passato del Museo di Archeologia Ligure in questo ambito non fa che confermarlo. A partire dalla fine degli anni ’8010, la gestione scientifica si è nuovamente espletata nell’organizzazione di autonomi filoni di ricerca, alcuni dei quali, come ad esempio quello sul collezionismo ligure o sull’utilizzo delle “pietre verdi” nell’ambito del Neolitico, hanno certamente avuto origine dalla natura delle collezioni conservate in Museo. A titolo d’esempio si ricorda proprio quest’ultimo ambito che ha dato vita ad interessanti sviluppi di lavoro che sono ad oggi in corso. L’importanza della “pietra verde” alpina (soprattutto giadeititi, eclogiti ed onfacititi) per la confezione di asce, accette ed altri strumenti nel Neolitico, di cui in Liguria esiste una delle pochissime fonti di approvvigionamento nell’Europa Occidentale, appare ben evidenziata nella bibliografia archeologica nazionale ed internazionale della seconda metà dell’Ottocento e dei primi del Novecento ed in Liguria con autori come Issel (Issel, 1908), 133 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare Morelli (Morelli, 1901) e Bartolomeo Gastaldi (Gastaldi, 1869). Gli ulteriori sviluppi degli studi in tempi più recenti (ad es. Ricq De Bouard-Fedele, 1993; Venturino Gambari, 1996) hanno ribadito la significatività del fenomeno all’interno delle problematiche della preistoria, rimarcandone anche le prospettive su scala continentale (Pétrequin et alii, 2005) (fig 4). Una prima fase della ricerca, condotta attraverso esperienze di lavoro comuni fra archeologi, petrografi e geomorfologi, ha messo a fuoco l’importanza dell’ingente record archeologico presente in Museo (ed in Liguria in generale) (Gaggero et alii, 1993), ed ha impostato le prime ipotesi relative alla localizzazione dei reperti, alla provenienza della materia prima e alla sua circolazione in ambito regionale ed extraregionale (Firpo et alii, 1996; Garibaldi-Isetti-Rossi, 1998). Attualmente il gruppo di lavoro facente capo al Museo è impegnato in un progetto di ricerca internazionale (JADE-Inégalités sociales et espace européen au Néolithique: la circulation des grandes haches en jades alpins, coordinato da Pierre Pétrequin) che permetterà di tentare risposte più articolate per un fenomeno comprensibile appieno soltanto in una prospettiva di scala europea e, se possibile, di avviare indagini archeologiche sul territorio. Particolarmente in relazione con l’ambito geografico e tematico di questo incontro ci sembra una delle esperienze maturate in questi ultimi anni nell’ambito dell’attività di ricerca sul campo del Museo di Archeologia di Genova. La collaborazione con la Soprintendenza 134 Archeologica delle province di Sassari e Nuoro ha portato nel 1994 alla nascita del Progetto Santu Antine-Meilogu, finalizzato allo studio della presenza umana su un territorio che comprende l’area occupata dal nuraghe S.Antine (Torralba, SS) durante l’età del Bronzo, indagato negli aspetti della ricostruzione ambientale in relazione all’impatto antropico (Bafico et alii, 1996) (fig. 5). Come noto, il nuraghe Santu Antine, un sito pluristratificato frequentato dalla Media Età del Bronzo fino all’età Tardo Antica, è uno dei nuraghi più interessanti per lo stato di conservazione e la complessità dell’architettura e costituisce uno dei monumenti più visitati dell’isola (Moravetti, 1988); si trova nel territorio del Meilogu, una piana fertile, storicamente di grande importanza per lo sfruttamento agricolo e come crocevia di due delle principali direttrici che attraversavano l’isola, già percorse in età protostorica e sistematizzate dalla viabilità romana. Nel corso degli anni il progetto si è articolato affrontando problematiche relative al sito, al villaggio di età nuragica, al suo immediato territorio, alla geomorfologia e all’occupazione in età antica di un areale più ampio coincidente con la cosiddetta “valle dei nuraghi” nel Logudoru-Meilogu. Di pari passo con l’aumento della complessità delle indagini, la partecipazione al Progetto è stata necessariamente ampliata ad altri soggetti appartenenti a varie istituzioni, soprattutto Università italiane e straniere. Uno degli aspetti più interessanti per quanto riguarda le indagini sul sito è stato lo studio di Fig. 4 - Asce neolitiche in pietra verde dalle collezioni del Museo di Archeologia Ligure. Fig. 5 - Il nuraghe Santu Antine di Torralba (SS). Il Museo di Archeologia Ligure di Genova: esperienze di ricerca scientifica fra collezioni e territorio Fig. 6 - L’edificio tardo romano interpretato come magazzino nei pressi del nuraghe Santu Antine. Fig. 7 - Uno degli “alti morfologici” (Planu Altu) che circondano la piana del nuraghe Santu Antine. tipo architettonico del nuraghe condotto da Salvatore Lanza (Università di Genova, Istituto di Tecnologia dell’Architettura e dell’Ambiente) che ha permesso di formulare importanti ipotesi circa le modalità e le fasi costruttive dell’intero complesso ed anche di studiare un programma di lavoro finalizzato agli interventi conservativi e a quelli connessi alla valorizzazione (Lanza, 2003); a cura dell’Università di Venezia (Istituto Universitario dell’Architettura di Venezia) è stato inoltre realizzato il rilievo topografico, fotogrammetrico e diretto del nuraghe (Guerra-Balletti, 2003). Una serie di campagne di scavo, condotte con finanziamenti della Regione Sardegna, sono state effettuate in relazione a problematiche riguardanti l’interpretazione del monumento principale e del villaggio nuragico circostante, per i quali uno studio dei reperti degli scavi degli anni ’60, rimasti a lungo inediti, aveva proposto ipotesi di tipo cronologico da verificare sul campo (Bafico-Rossi, 1987; BaficoRossi, 1992). Le campagne 1994-1995 sono state finalizzate quindi alla comprensione della sequenza abitativa del sito e delle sue caratteristiche di sviluppo dall’Età del Bronzo fino al periodo Tardo Antico, in particolare all’indagine del grande edificio di età tardo romana, interpretabile come magazzino (fig. 6), e alla conoscenza della stratigrafia già messa in luce in precedenti sondaggi e trincee, con particolare riferimento al substrato geologico su cui insiste il nuraghe (DIPTERIS Università di Genova, Ufficio Geologico del Comune di Genova). Parallelamente veniva effettuata la survey del territorio immediatamente circostante che confermava una notevolissima frequentazione preistorica e protostorica, concentrata in particolare sugli “alti morfologici” (fig. 7) attorno a Santu Antine (Neolitico Antico-Eneolitico). La necessità di una migliore e più articolata comprensione delle dinamiche geomorfologiche della zona spingeva inoltre il Dipartimento per lo studio del Territorio e delle sue Risorse (DIPTERIS) dell’Università di Genova (Marco Firpo e Agostino Ramella) ad estendere l’analisi all’intera area della valle dei nuraghi, circa 100 kmq. fra i comuni di Torralba, Giave e Bonorva. Negli anni 1996-1997 venivano condotti due sondaggi, uno all’interno di un ambiente laterale del primo piano della torre centrale e l’altro ad indagare i livelli archeologici pertinenti la costruzione (e successive fasi di vita) dei bastioni del nuraghe; quest’ultimo sondaggio ha permesso di confermare stratigraficamente una cronologia per la costruzione del nuraghe Santu Antine alle fasi finali del Bronzo Medioinizi Bronzo Recente (Bafico et alii, 1996 a; Bafico et alii, 2003); inoltre veniva effettuata un’indagine magnetica preliminare del sottosuolo, condotta con Geoscan FM 36 dal topografo Alan Mc Pherron dell’Università di Pittsburgh (USA) nel tentativo di individuare la presenza di strutture sepolte. Ultimo terreno d’azione del Progetto è stato, ad oggi, un intervento di prospezione che, nell’autunno 2001, ha permesso di evidenziare alcuni aspetti delle dinamiche insediative nell’ampia area della Valle dei nuraghi (fig. 8) per l’ambito cronologico dell’Età del Bronzo. In 135 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare base alla distribuzione dei nuraghi in relazione ad alcune caratteristiche geomorfologiche del territorio, al carattere dei terreni, alla presenza di materia prima e ad altre variabili di tipo economico-ambientale, è stato possibile evidenziare un primo quadro dell’occupazione umana in un territorio caratterizzato da forte variabilità ambientale e conseguente disponibilità di nicchie ecologiche e di risorse variate (Bafico et alii, 2002). Assieme alla coesistenza accertata nella valle di quasi tutti i monumenti considerati durante il Bronzo Recente, uno dei dati più significativi sembra essere quello del posizionamento di tutti i nuraghi complessi nelle aree di pianura fra i 300 ed i 400 m circa di altitudine e della loro disposizione ai margini delle odierne aree pianeggianti, interessate dalle bonifiche nove- 136 centesche (Bafico et alii, 2003), un comportamento che sottolinea fortemente l’importanza economica dell’agricoltura nelle comunità nuragiche della valle. Un ragionamento a parte è quello che interessa il nuraghe Santu Antine per il quale i condizionamenti tecnici legati al reperimento della materia prima e ai caratteri dei terreni di fondazione non sono stati determinanti nella scelta del luogo sul quale fu costruito che rispondeva invece ad altre esigenze, forse di ordine culturale, ad oggi non ancora comprese. Al momento sono allo studio elaborazioni cartografiche digitalizzate in 3D e una fotointerpretazione dell’area, mentre saranno comunque necessari altri interventi sul terreno. Fig. 8 - Una vista parziale della valle dei nuraghi con al centro il cono del vulcano spento Cujaru. Il Museo di Archeologia Ligure di Genova: esperienze di ricerca scientifica fra collezioni e territorio NOTE L’attuale denominazione è stata adottata a partire dalla collocazione del Museo in Villa Pallavicini dal 1936. 1 L’iscrizione riporta la sentenza d’arbitrato emessa da Roma in relazione ad una controversia territoriale fra le tribù liguri dei Genuati e dei Langenses. Datata al 117 a.C., è la più antica iscrizione romana in Liguria e dal momento del suo rinvenimento, nel 1506, ha sempre costituito uno dei documenti più importanti della romanità in Liguria, assumendo spesso significati anche politici per giustificare la supremazia regionale di Genova o, in tempi più recenti, proprio in relazione all’azione “civilizzatrice” di Roma. Da sempre comunque conservata in importanti edifici pubblici della città (il Palazzo dei Padri del Comune, Palazzo Ducale, Palazzo Tursi sede del Municipio) solo recentissimamente (1994) ha trovato collocazione nel Museo genovese dopo che un convegno (Pastorino, 1995) ed un’esposizione ne hanno sottolineato l’importanza anche come documento storico della cultura ligure della tarda età del Ferro. 2 Ricordiamo fra i primi quello effettuato dall’Università di Genova in occasione della Mostra d’Arte Antica del 1892 con il deposito, fra gli altri, della statua-stele di Zignago e di collezioni dalla città romana di Libarna. 3 Il lascito di Vittorio Emanuele II di Savoia delle collezioni del Principe Odone (1846-1866), suo figlio, è 4 all’origine delle raccolte di molti musei cittadini. Particolarmente significativa era la sua collezione di antichità greche e romane, di cui uno studio recente (Pastorino, 1996) ha precisato le modalità e le logiche di formazione, la provenienza dei pezzi e le vicende fino alla donazione. Alla sua morte (1887) il Comune di Genova riuscì ad acquistare all’asta due lotti di oggetti fra cui i marmi antichi oggi esposti in Museo. 5 L’azione di Issel aveva permesso l’acquisto da parte del Comune di Genova, con modalità diverse, delle collezioni preistoriche di Pietro Deogratias Perrando (1886), di Giambattista Rossi (1909), di Nicolò Morelli (1914). 6 L’ordinamento del 1936 è dovuto principalmente a Luigi Cardini; dopo il trasferimento delle collezioni in luogo più sicuro durante la Seconda Guerra Mondiale, il nuovo allestimento del 1954 fu progettato da Luigi Bernabò Brea e condiviso da Luigi Cardini (GaribaldiRossi, 2004 p. 190) 7 8 Un bellissimo esempio di come lo spirito metodologico che informava i ricercatori maggiormente all’avanguardia in quegli anni abbia richiesto un completamento del lavoro possibile solo negli anni successivi, ci viene proprio dalle parole di Luigi Bernabò Brea nella prefazione al volume curato da R. Maggi sui livelli olocenici della grotta delle Arene Candide: “Per studi specialistici sulle varie classi di reperti e soprattutto per quelli di carattere naturalistico, da noi raccolti con la stessa cura con cui si raccoglievano gli elementi archeologici, non era stato allora possibile trovare studiosi che potessero occuparsene” (Maggi, 1997 p. 9). Per il livelli paleolitici si veda Bietti, 1994. 9 Oltre alla pubblicazione ancora in corso dei cataloghi scientifici del Museo (ad es. Bettini-GiannattasioPastorino-Quartino, 1998), sono da ricordare, fra gli altri, gli studi preparatori e le relative esposizioni temporanee allestite in Museo o in Palazzo Ducale a Genova che hanno permesso un moderno inquadramento scientifico di notevoli testimonianze dell’archeologia ligure o della storia del collezionismo ligure. Ricordiamo, fra le altre, la mostra sulla figura di collezionista del Principe Odone (Giubilei-Papone, 1996) che ha permesso, come già detto, la revisione delle collezioni archeologiche, la mostra “Le meraviglie dei primi liguri” (1996) con il recupero della collezione di frottages e disegni dei graffiti del Monte Bego di Clarence Bicknell; la mostra sui “Vetri antichi nelle collezioni del Museo di Archeologia ligure di GenovaPegli” (1992) (Pastorino, 1992); l’operazione di complesso restauro del sarcofago e della mummia del sacerdote egizio Pasherienaset, conclusasi con l’esposizione di Palazzo Ducale “Io vivrò per sempre. Storia di un sacerdote nell’antico Egitto” (Leospo, 1999). Quando l’organico del Museo ha potuto prevedere in pianta stabile la presenza di archeologi. 10 137 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare BIBLIOGRAFIA S. Bafico, P. Garibaldi, E. Isetti, A.M. Pastorino, G. 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Chi opera nei territori comunemente definiti “marginali”, perlopiù situati nelle aree interne collinari e montane, ha il compito, non facile, di cercare una sintesi intelligente tra conservazione e sviluppo, tra ambiente ed economia, tra promozione del territorio a scopi turistici e gestione dell’accoglienza, in sostanza; tra utopia e realtà, per utilizzare al meglio le risorse spesso considerate scontate, a volte poco conosciute persino ai residenti e generalmente mal conservate - di cui dispone. È quanto si sforza di fare, fin dalla sua costituzione, la Comunità Montana dell’Alto Tammaro che ha la fortuna di poter vantare, sul proprio territorio, un tracciato storico-naturalistico millenario qual è quello del regio tratturo Pescasseroli-Candela. INQUADRAMENTO TERRITORIALE DELLA COMUNITÀ MONTANA ALTO TAMMARO La Comunità Montana dell’Alto Tammaro, che prende la denominazione dal suo fiume più grande, il Tammaro, si estende su 36.000 ettari di territorio interno della regione Campania, nel cuore dell’antico Sannio, al confine con il Molise. I suoi 23.000 abitanti sono distribuiti in 11 comuni che condividono un’origine antichissima (anno 1000 d.C.), caratteristici centri storici in pietra calcarea locale, bellissime tradizioni, paesaggi gradevoli e un legame profondo con il regio tratturo. I TRATTURI DELLA TRANSUMANZA “Settembre andiamo, è tempo di migrare…” scriveva D’Annunzio e in genere ai pastori e alla transumanza si associa poco più del ricordo scolastico di una poesia, ma delle antiche vie armentizie, le piste erbose che come fiumi d’erba collegavano i territori montani dell’Abruzzo e del Molise con il Tavoliere delle Puglie, parla già Marco Terenzio Varrone che, nel 118 a.C., scrive: “…quelle greggi, che si fanno pascolare nelle terre salde, e che son lontane dalle case, portan seco graticci, reti per costruire delle chiuse in luoghi solitari ed ogni altro utensìle; perché si vuole condurle a pascolare in luoghi lontani ed anche tra di essi distanti ed avviene non di rado che i pascoli dell’inverno sieno lontani molte miglia da quelli 141 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare dell’estate”. Ed aggiunge: “Ciò io so bene, perché le mie greggi passavano l’inverno nella Puglia e l’estate sui monti di Rieti; giacché tra questi due luoghi vi sono dei pubblici sentieri (calles pubblicae), che congiungono le pasture distanti, come l’arconcello riunisce le ceste da soma”. I tratturi, però, hanno un’origine ancora più remota e vanno ricollegati ai tracciati delle antichissime piste di epoca protostorica, al servizio delle popolazioni che abitarono il territorio prima della conquista romana, poi battuti dalle greggi transumanti. Le “calles publicae” vennero, dai Romani, protette e regolate con leggi, così, lungo il loro percorso, venivano tutelate mandrie e mandriani, greggi e pastori. Il privilegio degli allevatori al libero passaggio ed al pascolo gratuito per le “calles publicae” venne chiamato, nei codici degli imperatori Teodosio e Giustiniano, “tractoria” e le piste ad essi aperte “tratturi”. I Romani capirono l’enorme ricchezza che poteva derivare dalla pastorizia - il termine “pecunia”, infatti, deriva da “pecus” (pecora) -e proteggendo i pascoli proteggevano i tratturi. Al tempo dei Romani le greggi venivano condotte verso i monti all’inizio del periodo estivo, mentre in autunno si riconducevano in pianura, dove trascorrevano l’inverno, ma la pratica dell’alpeggio costituisce una consuetudine ben più antica. I tratturi hanno rappresentato, infatti, un grande sistema viario esteso in tutta Europa. In Spagna le piste maggiori, di 75 metri di larghezza venivano chiamate “vias pecurias”, mentre le minori, di 37,5 metri di larghezza, erano definite “cordeles”. In Francia i tracciati 142 erano definiti “carraires”. La storia dei tratturi dell’Italia centrale e meridionale non può prescindere dalla storia del Tavoliere delle Puglie che comprendeva circa 400.000 ettari di pascolo. Tale area, fin dal tempo dei Romani, veniva concessa al pascolo per la pastorizia errante dietro pagamento di un tributo (publicum vectigal) che variava secondo il numero e la taglia degli animali; non risulta, però, che tale uso fosse disciplinato da speciali ordinamenti. Ordinamenti veri e propri vennero stabiliti, nel Medioevo, per opera del re Alfonso I d’Aragona che, nel 1447, istituì la “Dogana per la mena della pecore in Puglia” che, con sede prima a Lucera poi a Foggia, funzionò fino al 1806. Sotto gli Aragonesi la transumanza assunse modelli e forme industriali, interessando milioni di capi di bestiame, e i tratturi divennero larghi come autostrade, fino a 60 passi napoletani, corrispondenti a 111,11 metri (un passo napoletano = 1,852 m). Risale all’epoca aragonese (1574, ad opera del vicerè Granvela) anche la prima apposizione di termini lapidei, delimitanti il confine tra il tratturo e i proprietari terrieri frontisti, per arginare le continue usurpazioni da parte dei frontisti che si giustificavano affermando che i confini non erano ben visibili. Gli stessi frontisti, a quel punto, per ostacolare lo sconfinamento delle greggi nei campi coltivati, iniziarono, lungo i confini, a costruire muretti a secco e ad impiantare siepi. Dopo aver raggiunto l’apogeo nel periodo aragonese la transumanza va in declino e con essa i tratturi che sono stati, però, per più di 2.000 anni, non solo pascoli per le greggi in transito, ma strade di grande comunicazione (le autostrade del passato con un verde manto d’erba al posto dell’asfalto e i tratturelli come svincolo per ogni centro urbano), dotati di servizi e attrezzature per uomini e animali, usati per scopi militari, come itinerari religiosi e per gli scambi commerciali. La transumanza, d’altra parte, è stata, per secoli, un fenomeno non solo economico e pastorale - con punte di 6 milioni di capi in transito su 3.000 chilometri di tracciati distinti in 83 diversi percorsi - ma anche politico, sociale e culturale, che ha influenzato, lungo il tracciato dei tratturi, la gastronomia, il linguaggio, la religiosità, l’abbigliamento e ha dato origine, addirittura, ad una particolare razza ovina, la Pagliarola, frutto dell’incrocio tra la razza Gentile di Puglia e la pecora Appenninica. Dismessi ormai da tempo come vie di comunicazione, in parte soppressi con legge del 1908 che, degli 83 esistenti, ne ha conservati solo quattro ritenuti di importanza nazionale, i tratturi hanno riconquistato l’attenzione che meritano entrando a far parte del progetto APE (Appennino Parco d’Europa) che prevede la riscoperta e valorizzazione dei sentieri storiconaturalistici che attraversano, senza soluzione di continuità, tutta l’Europa. IL REGIO TRATTURO PESCASSEROLICANDELA Il tratturo in questione, uno dei quattro considerati di importanza nazionale e preservati dalla legge del 1908, prende il nome dai 2 capisaldi: Pescasseroli, in Abruzzo e Candela, in “Il territorio di Muros e l’Alto Tammaro: due modi di valorizzazione ambientale a confronto” Fig. 2 - Termine feudale. Puglia; con una lunghezza complessiva di 211 chilometri è delimitato da termini lapidei numerati progressivamente a partire da Pescasseroli, con i numeri pari sul lato destro e i dispari sul lato sinistro e ha una larghezza di 30 passi napoletani cioè 55,55 metri lineari. Poiché i Romani utilizzavano il tratturo come via militare e i consoli davano il loro nome ai tracciati, il tratturo Pescasseroli-Candela, che collegava i porti pugliesi con Roma, passando per Isernia, prendeva il nome di “via consolare Minucia”, dal console romano Minucio (305 a.C.); è forse per questo specifico utilizzo che il suo tracciato alterna vallate e altopiani; da questi ultimi si dominano le zone circostanti, condizione ideale per le sentinelle che avrebbero così scoperto per tempo eventuali attacchi nemici. Nel 181 a.C. il tratturo PescasseroliCandela fu utilizzato per la deportazione di un intero popolo, quello dei Liguri Apuani che, sconfitti dai romani, furono trasferiti nel Sannio in numero di 49.000. Essi compresero subito l’importanza di quella grande via di comunicazione e lungo il suo tracciato fondarono la propria capitale che chiamarono Bebio. Ancora oggi si possono ammirare i resti delle mura dell’antica capitale e la Tabula Alimentaria, una grande piastra metallica che, datata all’anno 101 d.C., elenca i fondi e i proprietari ai quali era stata concessa, per volontà dell’imperatore Traiano, una somma di danaro in prestito, all’interesse del 2,50%. Il ricavato degli interessi andava a favore dei fanciulli poveri, assicurandone gli alimenti. IL PROGETTO DI VALORIZZAZIONE Il trasporto delle greggi a mezzo ferrovia e il trasferimento, nel 1977 con DPR n. 616, della competenza sui tratturi alle regioni hanno determinato un progressivo disinteresse delle istituzioni per il tratturo. Di conseguenza, quello che era un territorio meticolosamente tutelato è stato abbandonato a se stesso, con le siepi di confine, in alcuni tratti, estirpate, i muretti a secco crollati e i confini, a tratti, abusivamente superati. Per tentare di arginarne il degrado, dal 1988 la Comunità Montana dell’Alto Tammaro, sul cui territorio ricadono 25 chilometri del tracciato tratturale, ha intrapreso iniziative per la riscoperta, la tutela e la valorizzazione del regio tratturo Pescasseroli-Candela. Appunto nel 1988 è stata pubblicata, in collaborazione con il CAI (Club Alpino Italiano) e con le comunità montane limitrofe, una “Guida al trekking della transumanza” sui 90 chilometri del tratto campano del tracciato del tratturo. Questa prima guida ha risvegliato l’interesse per l’itinerario e ci ha messi di fronte alle prime difficoltà rappresentate dal fatto che, mentre per il passato l’intero percorso era perfettamente identificabile, una volta crollati i muretti ed estirpate le siepi, il tracciato si confondeva con i pascoli e i turisti non riuscivano ad orientarsi. È sorta così l’esigenza di ridelimitare il percorso e dotarlo di segnaletica per promuoverne l’utilizzo come tracciato naturalistico, ippovia e pista cicloturistica, recuperandone anche la vocazione storica di itinerario religioso. A differenza dell’Abruzzo, del Molise e delle Puglie, però, che avevano emanato una propria legge regionale di tutela, la regione Campania non 143 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare aveva mai dato attuazione alla delega per cui le comunità montane campane non disponevano del supporto legislativo per progettare interventi sul tracciato tratturale. Finalmente, grazie alle continue pressioni delle comunità interessate, nel 1996 è stata emanata la legge regionale che disciplina gli interventi sul demanio pubblico e, in particolare su quello armentizio, per cui si è potuto iniziare ad operare. Un primo fondamentale intervento, tuttora in fase di realizzazione per stralci annuali, riguarda il ripristino dei muretti a secco, che vengono ricostruiti sulla fondazione dei vecchi muri, e il reimpianto delle siepi di confine con essenze autoctone, allo scopo di rendere il tracciato fisicamente individuabile; questi interventi vengono attuati con gli operai forestali che lavorano alle dipendenze della comunita’ montana; la seconda iniziativa, oggetto di “comparazione” con il progetto di valorizzazione del Comune di Muros, riguarda la ricerca documentaria, le indagini in campo e la posa in opera di segnaletica e cartellonistica e la promozione del percorso. La ricerca documentaria e quella in campo sono state sicuramente le fasi più affascinanti della progettazione. Le prime tappe della nostra ricerca sono state quelle presso l’Istituto Storico “Galanti”, di cui la comunità montana è socio fondatore, che ci ha fornito gli atti dei tre convegni nazionali realizzati sul tema della Civiltà della transumanza e quella presso l’Archivio di Stato di Foggia, che conserva copia della documentazione secolare riguardante i tracciati dei tratturi. 144 Qui abbiamo trovato, tra l’altro, una mappa accuratissima redatta da un agrimensore che, nel 1837, ha percorso a piedi i 211 chilometri del tracciato, ha indicato la posizione dei circa duemila termini lapidei posti ad ogni deviazione, con la distanza, in passi napoletani, di ciascun termine con il successivo e l’angolazione della deviazione stessa, ha verbalizzato le occupazioni abusive indicando superficie occupata e nominativi degli occupanti, ha indicato la lunghezza del percorso ricadente in ciascun comune attraversato e il tratturello che collegava (e collega tuttora) il regio tratturo con ogni centro urbano, ha elencato la flora prevalente del pascolo e ha disegnato le emergenze ambientali più significative. Questo documento ci ha guidati nella ricerca in campo che ci ha consentito di ritrovare 158 termini lapidei su 180 complessivi e di tracciare la mappa della situazione attuale del tratturo comparata con quella originaria. L’esame accurato del tracciato ci ha riservato non poche sorprese, come la presenza di termini lapidei posizionati al centro del tratturo, scolpiti con stemmi diversi nei due lati. Risalire ai titolari degli stemmi ha comportato non poche difficoltà in quanto i documenti in nostro possesso indicavano i termini di confine laterale, ma non davano spiegazioni su quelli centrali, per cui non si avevano informazioni né su cosa rappresentassero, né sul motivo della loro particolare posizione. Gli stemmi poi, in parte cancellati dalle intemperie, non si distinguevano a sufficienza per poter riprodurre l’intero disegno. Fortuna ha voluto che fosse ancora individua- Fig. 3 - Mappa storica. “Il territorio di Muros e l’Alto Tammaro: due modi di valorizzazione ambientale a confronto” Fig. 4 - Stesso termine della fig. 2 visto dal lato opposto. bile la somiglianza di uno degli stemmi del tratturo con quello scolpito sull’architrave della chiesa di San Sebastiano, patrono di Santa Croce del Sannio (il cui territorio è in gran parte delimitato dal tratturo), fatta edificare dal barone Del Balzo nel 1536 d.C. Rintracciato il primo feudatario e il periodo storico di riferimento, l’Archivio di Stato di Napoli ci ha fornito le risposte mancanti e cioè che il tratturo era una strada così importante da essere oggetto di contesa all’epoca del feudalesimo, per cui quando il tracciato correva lungo il confine di due feudi la gestione veniva divisa esattamente a metà, con l’apposizione di termini lapidei scolpiti con gli stemmi dei due feudatari interessati… e per evitare tentazioni di sconfinamento, gli stemmi erano scolpiti anche nella parte interrata, ad oltre un metro di profondità, in modo da rendere inutile una eventuale decapitazione della pietra. Quegli stessi stemmi sono poi divenuti, nella maggior parte dei casi, gli stemmi civici dei nostri comuni. Un’altra scoperta interessante ha riguardato la flora e la microfauna del tracciato. La prima immagine che colpisce chi percorre il tracciato della transumanza è quella di un verde fiume d’erba, ma il pascolo del tratturo, mai coltivato da millenni, riserva, ad occhi attenti, molte sorprese e costituisce un piccolo mondo a sé, con una flora particolare e una microfauna perfettamente distribuita ed equilibrata. I tratti di siepe che hanno resistito all’incuria offrono, con l’alternarsi delle stagioni, un panorama sempre diverso, ma sempre affascinante, con i cespugli di rosa canina (Rosa canina), caprifo- glio (Lonicera caprifolium), e biancospino (Crataegus monogyna), che regalano, in primavera, splendide e profumatissime fioriture nelle tonalità dal bianco al rosa pallido e, in autunno, una distesa di bacche rosse per nutrire gli uccelli fino ad inverno inoltrato, con il rovo (Rubus ulmifolius) che, in piena estate, fornisce le more per gustosissime marmellate, con l’acero montano (Acer Pseudoplatanus) e la berretta di prete (Euonymus europaeus) i cui fiori, durante la transumanza, offrivano ai pastori un ottimo rimedio contro le pulci, e con la presenza, qua e là, del maggiociondolo (Laburnum anagyroides), con i suoi grappoli di fiori gialli. Nel pascolo crescono anche splendidi fiori ed erbe aromatiche: dall’orchidea selvatica (Ophrys apifera) al ciclamino (Cyclamen hederifolium), dal gladiolo (Gladiolus segetum) al cipollaccio (Muscari comonus), dal croco (gen. Crocus), alla menta (mentha piperita) al timo selvatico (Thymus serpyllum) è tutta una sinfonia di colori e profumi che accompagnano piacevolmente le escursioni. Nelle zone umide è comune il giunco (Juncus spp.) che veniva usato dai pastori per intrecciare le “fascère” per il formaggio e la ricotta, mentre le pendici sono ricche di ginestre (Spartium junceum) dai profumati fiori giallooro. Sul tratturo, accuratamente nascosti da cardi e cespugli, si trovano anche ottimi funghi mangerecci come il prataiolo, (Psalliota campestris), il prugnolo, (tricholoma spp.) e il cardarello (Pleurotus eryngii); molto più visibili, ma decisamente meno gustose, sono le vescie 145 Territorio e Patrimonio - Conoscere per valorizzare (Lycoperdon), che possono raggiungere anche notevoli dimensioni. Lungo i confini o al centro del tracciato troviamo, infine, maestosi esemplari di cerro (quercus cerris) che offrono riparo alla calura estiva. Non meno attenzione merita la fauna. Il tratturo è il paradiso di talpe e arvicole, di coccinelle e farfalle, di cavallette e mantidi, di libellule e bombus, di vespe e api, di rane e rospi, di lucertole e ramarri, di ricci e chiocciole, di lucciole e cetonie ma, soprattutto, è il paradiso dei grilli, tanto numerosi che il loro canto è l’accompagnamento costante e inarrestabile delle escursioni. L’ultima appassionante tappa del nostro percorso di riscoperta del tratturo è stata quella delle interviste agli anziani residenti lungo il tracciato; veri “custodi della memoria”, i vecchi pastori e contadini ci hanno riportato nell’atmosfera un po’ magica del nostro recente passato, all’epoca non lontana (ancora negli anni ’50 e ’60), in cui migliaia di capi di bestiame, ovini e bovini, attraversavano il tratturo due volte l’anno - in primavera verso l’Abruzzo e in autunno verso i pascoli pugliesi - guidati da pochi pastori accompagnati da muli carichi di attrezzature e coadiuvati da splendidi cani di razza abruzzese-maremmana che venivano guidati da fischi variamente modulati. Al calar della sera, nelle valli ricche di sorgenti e giuncaie, si costruivano, con il materiale scaricato dai muli, gli stazzi mobili per le greggi; i giunchi venivano intrecciati per preparare le fascere e il latte appena munto era utilizzato sul posto per produrre formaggi e ricotta che veni- 146 vano ceduti alle famiglie contadine in cambio di pane e olio. Da questa secolare collaborazione ha avuto origine una gastronomia “della transumanza” sostanzialmente a base di pane raffermo, olio, erbe aromatiche, formaggi e ricotta. Acquisito il quadro sufficientemente completo del tratturo e della sua storia, abbiamo realizzato: - un volume intitolato “Sulle vie della transumanza”, che vuol essere una guida ad un percorso non solo fisico, ma anche della memoria, dove vengono riportate non solo la storia del tracciato, ma anche le leggende e le tradizioni legate al tratturo; - un filmato che ha come filo conduttore il tratturo e illustra il legame socio-economico dei centri urbani dell’Alto Tammaro con questo straordinario tracciato; - un CD-rom contenente tutto il materiale realizzato nel progetto; - 29 pannelli-libro che sono stati posizionati nei punti significativi del tracciato e consentono, a chi percorre il tratturo, di “leggere” la sua storia e le emergenze ambientali e archeologiche che lo caratterizzano e riportano le informazioni logistiche relative alla propria posizione e ai recapiti delle aziende agrituristiche più vicine; - 11 pannelli-libro posizionati negli 11 centri urbani per indicare la posizione del tratturo, il tratturello di collegamento e una breve sintesi sulle caratteristiche del percorso; - 50 pannelli-libro di piccole dimensioni, posizionati alla confluenza dei tratturelli e in punti particolari del percorso, riportanti indicazioni sulle emergenze architettoniche, storiche e ambientali raggiungibili dal tratturo; Fig. 5 - Pannello-libro sul regio tratturo. “Il territorio di Muros e l’Alto Tammaro: due modi di valorizzazione ambientale a confronto” - posters, cartine e segnalibro; - un sito internet. Sia i pannelli-libro che il rimanente materiale sono stati realizzati dalla Editrice GGallery di Genova, con la quale abbiamo iniziato, con questo progetto, un positivo rapporto di collaborazione, che continua tuttora. LE ULTERIORI PROGETTAZIONI L’interesse sempre crescente per il turismo verde, lo sviluppo del settore agrituristico che ormai conta, nell’Alto Tammaro, 500 posti letto e 4.000 posti mensa e, non ultimo, il profondo legame che amministratori e tecnici hanno riscoperto con il tratturo, sono stati un ulteriore incentivo a continuare nell’impegno di salvaguardia e valorizzazione del tracciato. È stato così realizzato nel 2005, in collaborazione con le Comunità Montane campane e molisane confinanti, il progetto: “Salvaguardia e valorizzazione del patrimonio dei tratturi”, inerente la messa in sicurezza e continuità del tracciato, con la realizzazione di ponti in legno (fino a 40 metri di campata) sui fiumi più grandi, per rendere il percorso fruibile anche nel periodo invernale, e con la posa in opera di apposita segnaletica agli incroci con le strade, per rendere il percorso più sicuro. È, inoltre, in fase di realizzazione, a cura del partenariato locale, composto di 93 membri di cui 10 comuni e le CC.MM. Alto Tammaro e Fortore, il Progetto Integrato Rurale “Terre dei tratturi e della transumanza” che prevede, tra l’altro, il recupero dei tratturelli di collegamento tra i due grandi tratturi Pescasseroli-Candela e Castel di Sangro-Lucera, in modo da aggiungere, ai tracciati verticali dei tratturi che possono essere percorsi solo nella direzione nordsud, anche un percorso naturalistico a circuito di circa 130 chilometri, che collega i due tracciati verticali e tocca i centri urbani di 10 comuni; tale percorso consente di collegare le zone interne del Tammaro e del Fortore ma anche di raggiungere la città di Benevento e il comune di Pietrelcina, paese natale di Padre Pio, ricreando l’originario itinerario religioso. È, infine, in fase di idea progetto, il coinvolgimento degli allevatori di ovini per la produzione di carne e formaggio di qualità sul pascolo del tratturo. Tale produzione dovrebbe essere realizzata nel rispetto di un disciplinare di produzione, anche per uniformare la qualita’ del prodotto. Il mercato di tale produzione sarebbe costituito dagli stessi turisti che usufruiscono del tracciato naturalistico e soggiornano nelle aziende agrituristiche. Il pascolamento costante del prato, assicurerebbe, inoltre, la manutenzione naturale del pascolo stesso che, dove viene ancora utilizzato con regolarità dalle greggi, si presenta perfettamente bilanciato con presenza equilibrata di leguminose e graminacee, al contrario delle aree non pascolate dove prevalgono le infestanti e le graminacee scarsamente appetibili. Quest’ultimo progetto “chiuderebbe il cerchio” degli interventi di salvaguardia e valorizzazione del tracciato del tratturo, assicurando una sorta di autotutela, senza la necessità di ulteriori iniziative, oltre quelle eventualmente aggiuntive e migliorative dell’offerta turistica, come la realizzazione di stazioni di sosta per il cambio dei cavalli e il ristoro dei cavalieri, posizionate a distanza regolare. In ogni caso, le progettazioni già eseguite ci consentono, fin da subito, di offrire un piacevole soggiorno nella terra dei tratturi. BIBLIOGRAFIA CC. MM. Alto Tammaro-Fortore-Ufita: Guida al trekking della transumanza- 1988. Istituto Storico G.M. Galanti - Atti del convegno: Sulle vie della transumanza, Guida editore. Comunità Montana Alto Tammaro: Sulle vie della transumanza. Un affascinante itinerario lungo il tracciato del regio tratturo Pescasseroli-Candela, 2005; Regione Campania-Comunità Montana Alto Tammaro: Nel territorio dell’Alto Tammaro c’è…, Edizione ’96. CC. MM. Alto Tammaro-Fortore: Itinerari del tratturo, 2005. 147