FIGLINE NEL XIV SECOLO
Andrea Barlucchi
La vicenda singolarissima dell’abitato di Figline, fatta di ricorrenti edificazioni e
distruzioni, prosegue puntualmente durante tutto il Trecento fino a trovare compimento nella costruzione della cinta muraria che congela la situazione esistente
consegnandola alle epoche successive1. Qui come altrove, il secolo XIV si conferma come il periodo cruciale nella vita delle comunità del territorio, quello nel
quale si fissano le strutture insediative ed ambientali destinate a durare sostanzialmente inalterate fino alle soglie dell’età contemporanea. Gli studi condotti su
una documentazione che diviene a questo punto abbastanza consistente permettono di tracciare le linee principali di evoluzione del nostro centro in questo
secolo, sia negli aspetti concreti dell’insediamento «di pietra» che in quelli relativi alla collettività degli abitanti2. Appare quindi interessante ed opportuno fare il punto delle nostre conoscenze, in attesa di qualche nuovo elemento in grado di illuminare meglio gli aspetti ancora problematici. In sintonia con l’impostazione del Convegno articolerò il presente intervento su tre temi: «il castello»,
intendendo con questo termine l’operosità edilizia messa in atto a Figline nel corso del XIV secolo, sia in relazione alla cerchia muraria che alle principali realizzazioni architettoniche ed urbanistiche; «i borghigiani», cioè la comunità degli
abitanti che cominciamo ad apprezzare meglio nella fisionomia e nella consistenza
1 F. GURRIERI, C. PAGANI, Le mura di Figline: il restauro, in Le mura di Figline. Storia, immagini, restauro, catalogo della Mostra (Figline Valdarno 9 aprile-12 giugno 1988), Firenze,
Opus Libri, 1988, pp. 75-95: 77.
2 Fondamentali sono gli studi di Paolo Pirillo, in particolare: P. PIRILLO, Figline Valdarno dalla fine del Duecento all’edificazione della cinta muraria, in Un pittore del Trecento. Il Maestro di Figline, presentazione e catalogo delle opere in occasione della mostra didattica organizzata dal Comune di Figline Valdarno 21 dicembre 1980/4 gennaio 1981, Firenze, S.P.E.S.,
1980, pp. 53-58; ID., Le mura di Figline: la storia, in Le mura di Figline, pp. 9-57; ID., Famiglia
e mobilità sociale nella Toscana medievale. I Franzesi Della Foresta da Figline Valdarno (secoli
XII-XV), Comune di Figline Valdarno, Opus Libri, 1992. Per l’aspetto economico molte indicazioni in: C.M. DE LA RONCIÈRE, Firenze e le sue campagne nel Trecento, Firenze, Leo S. Olschki, 2005.
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numerica; «la piazza», lo spazio del mercato che riassume ed esalta tutta l’attività
produttiva dispiegata nei diversi settori economici.
1. Il castello
Il Trecento si apre a Figline con il cantiere della nuova fabbrica di Santa Croce,
la chiesa francescana duecentesca che a questa epoca è già diventata antica e angusta per la popolazione in crescita: ad una data imprecisata verso la fine del secolo precedente si è quindi deciso di ristrutturarla, ampliandola e facendola più
bella e ricca3. Il progetto, agevolato dalla scarsa urbanizzazione dell’area adiacente
il convento4, appare grandioso: in pratica, solo la parete nord dell’edificio originale avrebbe dovuto rimanere inalterata, il resto rielaborato e allargato in tutte le
direzioni. Il disegno rifletteva il naturale ottimismo di una società che era in
espansione sia economica che demografica da generazioni e generazioni, ma queste troppo fiduciose previsioni di fine Duecento cominciarono a scontrarsi, ma
mano che ci si inoltrava nel nuovo secolo, con difficoltà economiche crescenti,
difficoltà che poi saranno caratteristiche di tutto il Trecento. Così fu giocoforza
ridimensionare il piano originario: la copertura in pietra forte a liste bianche e nere della facciata fu interrotta all’altezza del portone e si portò avanti in muratura ordinaria la parte superiore, mentre all’interno il rivestimento in bozze di pietra squadrata dei pilastri gotici sopra l’altar maggiore venne arrestato a circa due
metri dal suolo5. La parete meridionale venne completata con materiale ordinario, addirittura priva del semplice ornamento costituito dal frontone a mattoni e
dentelli che dalla facciata avrebbe dovuto proseguire sui lati6. Sono segnali eloquenti, ancora più che attestazioni scritte, della difficile congiuntura in atto. Nella prima metà del Trecento l’interno del tempio rinnovato doveva apparire mol-
3
D. NERI, La chiesa di S. Francesco in Figline. Notizie storiche e restauri, Firenze, Tipografia Fiorenza, 1931, p. 14. Il lavoro è stato ripubblicato con il n. 11 nella collana «Microstudi», Figline Valdarno, 2010. Cfr. anche I. MORETTI, Aspetti dell’architettura religiosa nel Valdarno di Sopra, in Lontano dalle città. Il Valdarno di Sopra nei secoli XII-XIII, a cura di G. PINTO, P. PIRILLO, Atti del Convegno (Montevarchi-Figline Valdarno 9-11 novembre 2001), Roma, Viella, 2005, pp. 293-303, alle pp. 299-300. Vedi anche: C.M. DE LA RONCIÈRE, Gli Ordini mendicanti nel Valdarno di Sopra del XIII secolo, ivi, pp. 279-292, alle pp. 286-288, e ID.,
L’influence des franciscains dans la campagne de Florence au XIVe siècle (1280-1360), « Mélanges de l’Ecole Française de Rome », LXXXVII (1975), pp. 27-103.
4 P. PIRILLO, Famiglia e mobilità sociale cit., pp. 118-119.
5 D. NERI, La chiesa di S. Francesco, p. 15.
6 «Lo spazio intermedio venne richiuso alla meglio con piccoli muri a cassetta tanto per
impedire l’entrata del vento e della pioggia» (ibidem).
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to spoglio, soltanto a partire dalla seconda metà di quel secolo saranno realizzati gli affreschi che ancora oggi ammiriamo: spiccava però la splendida tavola cuspidata con la «Madonna in trono fra angeli, san Ludovico di Tolosa e santa Elisabetta d’Ungheria», opera del Maestro di Figline attualmente conservata nella
Collegiata7. Il dipinto è interessante anche per la presenza di due santi della famiglia d’Angiò, presenza che costituisce un chiaro segnale di schieramento guelfo:
non sappiamo chi sia stato il committente, ma questo elemento comunque testimonia la forza del guelfismo figlinese del momento e doveva servire come certificato di fedeltà alla città dominante da parte di una terra tradizionalmente insofferente alla supremazia fiorentina. L’opera è datata agli anni Trenta del Trecento, epoca che ha già conosciuto le prime gravi crisi agrarie dalle quali è uscito esaltato il ruolo di Figline come mercato di rifornimento granario per Firenze8. Grossi produttori locali e mediatori – forse riuniti nelle stesse persone – hanno ottenuto lauti guadagni dalle vendite di grano agli ufficiali fiorentini, primo fra
tutti il nobilis vir Francesco d’Arrigo Della Foresta che in quegli anni è impegnato
a stringere duraturi legami con l’élite politica e sociale cittadina9: pur senza poter fare nomi precisi, il committente di un dipinto così chiaramente schierato deve essere ricercato in questo entourage.
A partire dal 1308 l’attività edilizia figlinese è indirizzata anche alla costruzione del vicino castello di Tartigliese nel Piano di Castagneto, voluto da Firenze
a parziale difesa da attacchi provenienti da sud: quasi tutte le comunità valdarnesi, Figline compresa, sono costrette a finanziare l’opera10. Purtroppo su questo
nuovo castello che doveva essere situato ad appena tre chilometri di distanza dalla piazza del mercato di Figline in direzione di San Giovanni Valdarno non sappiamo quasi niente, soprattutto a causa della distruzione da esso patita nel 1352,
unitamente al centro figlinese, dalla quale in pratica non si risollevò più11. C’è chi
dubita addirittura che sia mai stato edificato realmente, tanto poche sono le tracce lasciate nella documentazione: per Moretti si tratterebbe del progetto di una
Terra nuova non portato a compimento, al pari del Piano dell’Asenzio e di Giglio Fiorentino in Val d’Ambra12. La cosa più probabile è che si sia trattato di una
7 Un pittore del Trecento, pp. 32-33. C. VOLPE, Ristudiando il Maestro di Figline, Microstudi, n. 9, Figline Valdarno, 2009.
8 G. PINTO, Il libro del biadaiolo. Carestia ed annona a Firenze dalla metà del ’200 al 1348,
Firenze, Leo S. Olschki, 1978, p. 309.
9 P. PIRILLO, Famiglia e mobilità sociale cit., pp. 69-92.
10 I. MORETTI, Le “Terre nuove” del contado fiorentino, Firenze, Salimbeni, p. 12; P. PIRILLO, Le mura di Figline cit., p. 14; ID., Figline Valdarno dalla fine del Duecento cit., p. 55.
11 Ivi, p. 58.
12 I. MORETTI, Le “Terre nuove” cit., pp. 12 e 28-29.
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rifondazione o dell’ampliamento e fortificazione di un abitato preesistente, collocato in una zona dove il patrimonio fondiario della famiglia Della Foresta era
considerevole, come attesta il vicino toponimo Donicato di Franzesi13. Sia come
sia, il nuovo insediamento che per la sua realizzazione drenava risorse economiche un po’ a tutto il Valdarno ebbe un discreto successo, dal momento che secondo l’Estimo del 1350 vi abitavano 82 nuclei familiari: in altre parole si trattava dell’aggregato demico più consistente nella zona dopo il centro abitato raccolto intorno alla Pieve di Santa Maria14. Se poi consideriamo che questo rilevamento avveniva praticamente all’indomani della terribile Peste Nera, possiamo
tranquillamente ipotizzare un centinaio di fuochi fiscali prima dell’epidemia mortifera e quindi una popolazione vicina alle 500 anime. Come faccia una comunità
di queste dimensioni a non lasciare traccia documentaria della sua vita, in un contado così vivace come quello fiorentino del tempo, è un mistero; eppure questa
è la situazione, e ciò dovrebbe metterci in guardia circa la completezza delle fonti a nostra disposizione e indurci a grande cautela nel tracciare i quadri complessivi. Lo stesso fatto che per il riscatto della popolazione sequestrata a seguito del saccheggio nel 1352 fu richiesta la consistente cifra di 500 fiorini d’oro –
episodio sul quale si sofferma anche la Cronaca del Villani – attesta l’importanza di Tartigliese15. E quello dei rapporti intercorrenti fra i due insediamenti creati così vicini uno all’altro dalla volontà fiorentina effettivamente sarebbe un punto da approfondire, sul quale ci soffermeremo più oltre16. Di sicuro possiamo as13
P. PIRILLO, Figline Valdarno dalla fine del Duecento cit., p. 55; ID., Famiglia e mobilità
sociale cit., pp. 133-135. Dall’inventario dei beni immobili di Guido Della Foresta, realizzato
nel 1341, risulta la proprietà – fra le molte altre cose- di otto case da abitazione situate all’interno del castrum di Tartigliese: due di queste confinano con una domus anticha (Ivi, p. 185).
14 E. FIUMI, La demografia fiorentina nelle pagine di Giovanni Villani, «Archivio Storico
Italiano», CVIII (1950), pp. 78-158: p. 142.
15 P. PIRILLO, Le mura di Figline cit., p. 16.
16 I patti stipulati fra le due comunità nel 1392 sono di difficile interpretazione: da un lato, lasciano intendere che fino a quel momento Tartigliese aveva goduto di straordinarie prerogative, come quella di non corrispondere la sua quota dello stipendio del podestà figlinese
e altri prelievi sempre di carattere amministrativo; dall’altro sembra che gli accordi sanciti in
quell’occasione vadano ben oltre la semplice cancellazione di privilegi ed esenzioni per investire l’essenza stessa della comunità di Tartigliese, che viene come “assorbita” da quella di Figline. Si veda ad esempio il capitolo relativo all’obbligo di tenere in buono stato il tratto di strada di reciproca pertinenza: dopo aver ribadito che le due comunità faranno quanto loro richiesto dal comune di Firenze, il testo prosegue dichiarando che «se altre strade extraordinarie
fussoro chostretti i fighinesi a ffare e fusse chostretto el comune di Feghine e gli altri comuni
d’intorno e non fusse chostretto el popolo del Tartagliese, allora e in quel chaso el detto popolo debba concorrere per rata del loro extimo chol decto comune di Feghine alla strada che’l
decto comune di Feghine fusse chostretto di fare; e simile s’intenda alle spese di vettura di grano o pagla o d’altra biada a che’l detto comune di Feghine fusse chostretto e gl’altri comuni
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segnare al centro di Tartigliese il ruolo di produttore di derrate agricole, copiose e di qualità, e a Figline quello della loro commercializzazione17.
La documentazione trecentesca consente finalmente di dare un’occhiata all’assetto insediativo figlinese, grazie soprattutto al minuzioso inventario dei beni
di Guido Della Foresta, esponente di primo piano dell’élite politico-economica
locale, a qualche registro notarile superstite e al rendiconto – purtroppo incompleto – delle spese di edificazione della cinta muraria18. Nella prima metà del secolo il nostro centro, ancora privo di mura, appare concentrato intorno alla piazza del mercato, il cui perimetro è stato tracciato dagli ufficiali cittadini nel 1259
dopo le ultime vicende belliche a seguito delle quali Figline è entrata stabilmente a far parte del contado fiorentino. Edifici con bottega al piano terra e stanze
di abitazione a quelli superiori circondano l’area del mercatale; per economizzare gli spazi ed ottimizzare l’esposizione sulla piazza, le scale di ingresso di molti
edifici sono collocate sul retro, dove corrono vie e chiassi paralleli, e dove si intravedono anche orti e aree fabbricabili. Forse sulla piazza si stanno già innalzando quei portichi che troviamo attestati negli Statuti quattrocenteschi19. Il fronte sud del grande spazio aperto è occupato dalla pieve e dalla Loggia del Grano20.
Tra il mercatale e lo spiazzo antistante la chiesa-convento dei Francescani, dalla
fine del Duecento sorge il palazzo del Podestà; ancora non è stata realizzata la fila di case che oggi lo separa dalla piazza mercantile21. Più oltre, il semplice fosd’intorno e non fusse nominato el popolo del Tartagliese» (Patti fra il Comune di Figline e il
Popolo di S. Maria al Tartigliese (1392), in Statuti di Figline, a cura di F. Berti e M. Mantovani, Comune di Figline, Blanche Grafica, 1985, pp. 89-93). Cioè in altre parole là dove i provvedimenti straordinari fiorentini diranno “Figline” si dovrà intendere compresa la comunità
di Tartigliese, che viene così a perdere una identità separata da quella del centro maggiore. A
questa epoca la crisi innescata dal saccheggio del 1352 è proseguita, nonostante gli sgravi fiscali decisi da Firenze per risollevare l’economia locale, e al Tartigliese abitano solo 27 famiglie (vedi oltre). Ma Tartigliese continuerà comunque ad avere statuti propri, come si precisa
nei Patti in questione.
17 P. PIRILLO, Famiglia e mobilità sociale cit., pp. 133-135.
18 Si tratta di documentazione rigorosamente esaminata da Paolo Pirillo negli studi indicati alla nota 2, in particolare nel volume Famiglia e mobilità sociale cit., pp. 115-121 al quale si rimanda per quanto segue, integrando le sue osservazioni con riferimenti puntuali ad altri lavori.
19 G. PASQUALI, Economia e società a Figline alla fine del Quattrocento, Comune di Figline
Valdarno, Opus Libri, 1990, p. 54.
20 Ibidem.
21 F. CARDINI, S. RAVEGGI, Palazzi pubblici di Toscana: i centri minori, Firenze, Sansoni,
1983, p. 222. G.F. DI PIETRO, Figline, in E. DETTI, G.F. DI PIETRO, G. FANELLI, Città murate
e sviluppo contemporaneo. 42 centri della Toscana, Lucca, C.I.S.C.U., 1968, pp. 142-147: p. 142.
Rimane irrisolta la questione dell’epoca di costruzione delle case e della conseguente ruotazione della facciata del palazzo: per questo, vedi G. PASQUALI, Economia e società a Figline cit.,
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sato che racchiude l’abitato, rinforzato da una palizzata in legno; in aggiunta a
questo, svolgono funzioni difensive due porte, quella de supra in corrispondenza dell’ingresso da Arezzo, e quella de subtus viceversa in direzione di Firenze.
Con ogni probabilità, le due strutture erano quello che rimaneva degli antichi castra degli Azzi e dei Guineldi, rimaneggiati e riadattati dopo le guerre duecentesche. Pur non potendo essere più precisi, si riesce comunque a capire l’orientamento fondamentale del nostro centro, che è quello Nord-Sud definito dalla
grande strada di comunicazione Firenze-Arezzo: le abitazioni tendono quindi a
concentrarsi su di essa, conferendo all’abitato una conformazione lenticolare, allargata in corrispondenza della piazza del mercato e assottigliata verso le due
estremità. Si protende oltre il fossato e la porta de subtus sulla via per Firenze l’agglomerato di case chiamato borgo Vieschiese, poi «borgo Istiesi»22, mentre dovrebbe essere ubicato dalla parte opposta, verso Arezzo, il borgo di Franci; un ulteriore gruppo di case si stendeva in direzione dell’Arno sulla cosiddetta via del
Molino.
Questo in sintesi il quadro insediativo e urbanistico di Figline nel primo Trecento, quadro che verrà sconvolto dal saccheggio del 1352 e ridisegnato dalla conseguente costruzione della cinta muraria. Come già accennato all’inizio, questa
grande operazione edilizia appare veramente fondamentale per la storia del nostro centro non solo perché ne disegna una volta per sempre l’assetto urbanistico, ma soprattutto perché capace di creare finalmente una identità comunitaria
precisa che fino a quel momento le vicende storiche avevano negato: nonostante l’aggregarsi di case e botteghe intorno alla piazza del mercatale avvenuto nel
XIII secolo, a Figline mancava ancora la cerchia muraria per portare a compimento un cammino iniziato ormai da secoli e non essere più identificato come il
semplice toponimo di un’area geografica variamente abitata23.
Com’è noto, la decisione di procedere alla costruzione delle mura venne presa dal governo della Repubblica nel 1353 all’indomani delle distruzioni patite dall’abitato, insieme al castello di Tartigliese, a seguito dell’incursione di truppe milanesi e ghibelline guidate da Pier Saccone Tarlati. Una commissione di cittadini
fiorentini accuratamente selezionati fra coloro che non avevano interessi economici in quell’area geografica sanzionò il carattere di utilità oggettiva e insieme l’urgenza dell’operazione. I lavori di edificazione dei circa 1.500 metri previsti e delp. 54 e A. BOSSINI, Storia di Figline e del Valdarno superiore, Firenze, Industria tipografica fiorentina, 1970, pp. 144-145 e 256-257.
22 G. PASQUALI, Economia e società a Figline cit., p. 35 e in nota.
23 Vedi le considerazioni iniziali in P. PIRILLO, Le mura di Figline cit., pp. 9-11; a questo
saggio facciamo ora essenzialmente riferimento. Per l’assesso insediativo originale: C.
WICKHAM, Dispute ecclesiastiche e comunità laiche, Firenze, Opus Libri, 1998, pp. 5-17.
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le 21 torri (comprese le 4 portaie) iniziarono concretamente nell’aprile del 1356,
subirono un’improvvisa e traumatica battuta d’arresto nel 1363 a seguito della rovinosa incursione dei mercenari inglesi della Compagnia Bianca di Giovanni
Acuto, per terminare ad una data imprecisata prossima al 1379: in quell’anno infatti sappiamo che avvenne una sorta di ‘collaudo’ della cinta muraria, dal momento che il podestà locale riuscì a stornare un tentativo di invasione senese semplicemente tenendo serrate le porte dell’abitato24.
Purtroppo le lacune documentarie non ci consentono di conoscere il costo
complessivo dell’opera, che intuitivamente dovette essere ingente: da un quaderno di conti del cantiere apprendiamo che nel semestre marzo-agosto 1365 furono spesi circa 3.400 fiorini d’oro e 2.800 lire, in gran parte per il salario dei maestri di pietra, ma il rendiconto non è completo e comunque si tratta di un semplice flash, non utilizzabile altrimenti25. Conferma dello sforzo economico profuso la troviamo considerando la natura e l’entità dei finanziamenti previsti, che
annoveravano gli introiti di alcune fra le principali gabelle, da quella del vino al minuto a quella sulla carne macellata, e di altre fonti fiscali quali l’estimo e la tassa
sui nobili di città e contado. Per rastrellare fondi coi quali finanziare le inesauribili necessità del cantiere si pensò anche di levare una imposta sui terreni collocati
all’interno della progettata cinta muraria, dal momento che l’inizio dei lavori ne
aveva fatto lievitare il valore. Nel 1368 poi venne decisa la vendita ai privati di piazze, vie e terreni pubblici ritenuti non più strettamente necessari in considerazione dei mutamenti nell’assetto urbanistico cui andava incontro Figline a seguito della costruzione delle mura: e in effetti dobbiamo guardare all’intera operazione non
semplicemente come la dotazione di una solida struttura difensiva all’abitato,
quanto piuttosto la sua ridefinizione in funzione di una tale struttura. In altre parole, non si trattò banalmente di sostituire la precedente palizzata in legno con delle mura, ma di ridisegnarne – almeno in parte, dobbiamo pensare – il perimetro
e di conseguenza modificare in qualche punto l’assetto urbanistico: non si rispettò strettamente il tracciato del fossato e della palizzata duecenteschi, prova ne
sia il fatto che si abbatterono edifici perché collocati lungo la linea delle nuove mura, dopo averne indennizzati i proprietari, e se ne riutilizzarono le pietre.
Detto questo, risulta impossibile allo stadio attuale della ricerca individuare
con precisione gli interventi effettuati: si può comunque pensare che la prece24 Non si conosce con precisione la data in cui fu portata a termine l’opera e non c’è unanimità di opinioni fra gli studiosi: per il Bossini i lavori sarebbero terminati già nel 1363 (A.
BOSSINI, Storia di Figline cit., p. 82) per Di Pietro solo nel 1390 (G.F. DI PIETRO, Figline cit.,
p. 142). Sull’argomento vedi anche: F. GURRIERI, C. PAGANI, Le mura di Figline cit., p. 77. Per
l’episodio del 1379: P. PIRILLO, Le mura di Figline cit., pp. 32-33.
25 Ivi, p. 21.
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dente conformazione lenticolare dell’abitato sia stata in qualche misura compressa nel parallelogramma disegnato dalle nuove mura.
Tutto però concorre a dare l’impressione di un grande progetto che ebbe la
precedenza su tanti altri. In fondo, il lasso di tempo di una ventina di anni occorsi
per terminare le mura, comprensivi delle distruzioni apportate nel 1363 in corso
d’opera dai selvaggi guerrieri dell’Acuto, appare molto breve soprattutto in confronto a quanto conosciamo relativamente ad altre imprese simili: per fare un
esempio, pensiamo a Scarperia che, iniziata a costruire nel 1306, ancora nel 1351
aveva le mura solo da un lato26. In altre parole, la Repubblica fiorentina era pronta a scommettere sul futuro di Figline al punto da investire grossi capitali nella sua
fortificazione, e volle che questa fosse realizzata nel più breve tempo possibile.
Troviamo conferma di tale atteggiamento nelle parole del Villani, secondo il quale ancor prima che la cinta muraria fosse terminata Figline «fu piena di molte case nuove edificate da’ cittadini di Firenze e da’ paesani intorno»27.
2. I borghigiani
Riguardo al popolamento del nostro centro, il primo punto da sviluppare deve
essere necessariamente quello del numero degli abitanti. Com’è noto, in ambito
demografico la documentazione trecentesca consente, rispetto alle epoche precedenti, di fissare cifre abbastanza fondate, sia pure limitate alla seconda metà del
secolo: sono le fonti fiscali ad illuminarci, grazie alla serie degli Estimi del contado che elenca i fuochi tassabili parrocchia per parrocchia e grazie anche al famoso Catasto del 1427 che pur essendo più tardo va comunque preso in considerazione come punto di arrivo della parabola demografica trecentesca. I registri
degli Estimi relativi al Piviere di Figline ci forniscono il numero dei fuochi fiscali per gli anni 1350, 1356, 1373 e 138428. Non è quindi possibile – qui come del
resto per tutto il contado fiorentino – conoscere con precisione il popolamento
precedente la Peste Nera del 1348, tuttavia appare lo stesso interessante seguire
26
27
p. 27.
I. MORETTI, Le “Terre nuove” cit., p. 47n.
La citazione dalla Cronaca di Matteo Villani è in P. PIRILLO, Le mura di Figline cit.,
28 Vedi nota 14, cui si deve aggiungere la tabella in: E. CONTI, La formazione della struttura agraria moderna nel contado fiorentino, 3 voll., III, Parte 2a, Monografie e tavole statistiche (secoli XV-XIX), Roma, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, 1965, p. 282 Oltre al
popolo della Pieve di Santa Maria, il territorio di competenza plebana comprendeva le parrocchie di S. Michele a Pavelli, S. Andrea a Ripalta, S. Piero al Terreno, S. Bartolomeo a Scampata, S. Andrea a Campiglia, S. Piero di Castel Guineldi, S. Donato a Spicciano, S. Martino
ad Altoreggi, S. Maria a Tartigliese e S. Maria a Tagliafune.
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l’andamento demografico soprattutto in relazione al centro di Figline, proprio in
considerazione delle sue particolarissime e contraddittorie vicende edilizie. Sorge però un’ulteriore complicazione: non conosciamo l’esatta confinazione fra le
tre parrocchie nel cui territorio era nato l’insediamento accentrato e poi fortificato di Figline, sappiamo solo che i suoi abitanti facevano riferimento alla Pieve
di Santa Maria, alla vicina chiesa parrocchiale di San Bartolomeo a Scampata o a
quella di San Pietro a Castel Guineldi29. Quindi per avere un’idea del popolamento del nostro centro dobbiamo considerare la somma dei dati relativi a queste tre parrocchie, sapendo però che si tratta di una cifra un po’ in eccesso in
quanto una parte dei parrocchiani censiti abitava in case disseminate nel territorio comunale. Con questa necessaria avvertenza, passiamo ad analizzare i dati riportati dagli Estimi e dal Catasto del 1427.
Notiamo così che al 1350, all’indomani dell’epidemia di peste, nel territorio
delle nostre tre parrocchie sono attestati 255 fuochi fiscali, cifra che ci consente
di ipotizzare la presenza di circa un migliaio di anime nel centro abitato. In tutto il piviere si contano in questa data intorno a 470 fuochi30, quindi possiamo dire che la metà degli abitanti vive nel centro di Figline, affacciata sulla piazza del
mercato.
Il successivo rilevamento del 1356 segue di poco le devastazioni dell’anno
1352 e le cifre riflettono lo sconquasso provocato dalla guerra: i 106 fuochi della Pieve di Santa Maria si sono ridotti ad appena 43, e diminuzioni consistenti
hanno patito anche il castello di Tartigliese, sceso da 82 a 33 fuochi, e le parrocchie di San Bartolomeo a Scampata, da 79 a 52, e di San Piero di Castel Guineldi, da 70 a 45. Nel complesso la batosta è stata forte, dal momento che si registra
per l’intero piviere il numero di 333 fuochi contro i circa 470 di appena sei anni
prima, quindi una diminuzione netta del 30%. Il centro di Figline appare svuotato, appena 140 fuochi nelle tre parrocchie contro i 255 del rilevamento precedente, il 45% in meno: in rapporto agli abitanti dell’intero piviere, ciò significa
che ora non più del 40% circa della popolazione vive accentrata. La gente si è in
parte spostata su zone ritenute più sicure: a San Michele a Pavelli i 15 fuochi del
1356 sono diventati ora 43, e a Santa Maria a Tagliafune si è passati da 17 a 27
fuochi. A prima vista appare sorprendente questa mobilità così elevata, sia pure
tra località vicine l’una all’altra, e sorge spontanea la domanda – ad esempio – di
come avranno fatto ad edificare in così poco tempo le case per le 28 nuove fa29
P. PIRILLO, Famiglia e mobilità sociale cit., pp. 276-277.
30 Per l’esattezza il numero riportato sarebbe di 452, mancando il rilevamento del popolo
di S. Andrea a Ripalta: poiché però nei restanti registri il numero dei fuochi censiti per questa parrocchia appare compreso tra 17 e 20, si può tranquillamente integrare il numero di 452
con una di queste cifre, raggiungendo appunto i 470 fuochi circa.
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miglie abitanti a Pavelli: il pensiero va a tutte quelle abitazioni rimaste vuote a seguito della Peste Nera, numero purtroppo destinato a rimanere ignoto ma che
dobbiamo comunque ritenere consistente. Qui come un po’ in tutto il contado
le condizioni degli anni ’50 del Trecento rendevano agevole una mobilità della popolazione delle campagne che agli occhi dei governanti cittadini significava instabilità e di conseguenza difficoltà di controllo del territorio. E a ciò si aggiungeva il nuovo pericolo costituito dalle scorribande delle compagnie di ventura31.
È in questa situazione che si dà inizio all’edificazione della cinta muraria figlinese, nei termini che abbiamo già visto. Da un punto di vista demografico, si
può dire che alla lunga l’operazione viene coronata da pieno successo, poiché
possiamo constatare un ritorno e addirittura un certo incremento della popolazione del nostro centro: tralasciando i dati del 1373 quando con tutta probabilità i lavori non sono ancora ultimati e concentrando l’attenzione su quelli del
1384 notiamo che Figline – sempre in base alle famiglie delle tre parrocchie – conta ora la rispettabile cifra di 259 fuochi fiscali, il numero più alto raggiunto in tutta la seconda metà del secolo. Dal momento che a questa data sono censiti nell’intero piviere 426 nuclei familiari, il centro ormai fortificato di Figline raccoglie
fra le sue rassicuranti mura circa il 60% della popolazione.
Il rilevamento catastale segue di oltre quaranta anni i dati dell’Estimo e si
tratta di un arco di tempo caratterizzato, com’è noto, ancora da guerre, pestilenze e crisi economica, per cui i risultati sono i peggiori di sempre: il piviere risulta abitato da appena 295 famiglie, la cifra più bassa in assoluto con un decremento
netto del 31% rispetto all’ultimo Estimo e del 38% rispetto al primo, quello del
1350. La popolazione che vive raccolta nelle tre parrocchie figlinesi rimane comunque consistente, intorno al 58% rispetto al totale, segno inequivocabile che
l’operazione di costruzione delle mura è stata indovinata.
Ma il popolo del territorio toscano di questa epoca non può essere studiato
solo in termini quantitativi, è necessario approfondire la stratificazione sociale esistente, per quanto consentito dalla documentazione; per il contado fiorentino non
disponiamo di fonti adeguate a definire nettamente un ceto da un altro in termini di ricchezza, ma comunque la diversificazione di attività economiche è pur
sempre un indice utile a delineare i caratteri della piramide sociale.
Cominciamo quindi col dire che nella Figline trecentesca il ceto mercantile appare ben rappresentato, come attestano i tre cambiatori e i 10 speziali censiti dal
La Roncière fra le matricole delle Arti fiorentine, cui si aggiungono altre figure di
commercianti di minore importanza32. Possiamo anche fare il nome di Stefano di
31
32
P. PIRILLO, Le mura di Figline cit., pp. 14-15.
C.M. DE LA RONCIÈRE, Firenze e le sue campagne cit., p. 339. La Tabella 5 riporta, ol-
figline nel xiv secolo
99
Deo da Figline iscritto all’Arte cittadina di Por Santa Maria, il quale principalmente rivende tessuti ma non disdegna di lanciarsi in speculazioni sul commercio
del grano, quando nei primi anni ’30 del secolo la congiuntura è favorevole33.
Fra gli artigiani, spiccano i calzolai (in numero di 19), i fabbri (che sono 7)
e i calderai (3), e considerata la grande attività edilizia non potevano naturalmente
mancare i muratori (8)34. In tale quadro, colpisce la scarsità di operatori nel settore tessile, essendo la sola figura di Stefano di Deo – che oltretutto si limita a
commercializzare i panni – un po’ poco in confronto alle aspettative generate dalle attestazioni di epoca precedente e successiva: già nel XII secolo sul torrente Cesto esisteva una gualchiera, mentre per il Duecento si conserva uno Statuto dei
sarti di Figline, il più antico testo normativo toscano di una corporazione, nel quale compaiono, come controparte di fronte al gruppo degli artieri, i mercanti figlinesi di panni che hanno un raggio d’azione esteso a tutta la vallata35; per il
Quattrocento invece è conosciuta nel nostro centro l’attività di pettinatori, stamaioli, tessitori e linaioli, oltre ai soliti sarti36. Più che pensare ad una interruzione del lavoro in questo settore produttivo così essenziale per l’economia medievale, dobbiamo semplicemente constatare che anche la pur ricca documentazione trecentesca non sempre è in grado di soddisfare le nostre curiosità.
Se invece spostiamo lo sguardo verso l’alto, troviamo una nutrita schiera di
notai e giudici indaffarata in molte e differenziate attività non limitate al settore
della scrittura e del diritto, qui come un po’ in tutti i centri grandi e piccoli del
contado toscano. All’interno di essa, spicca nettamente la figura di ser Ristoro di
ser Iacopo di ser Lippo, capostipite della famiglia Serristori, emigrato a Firenze
dopo la Peste Nera e qui assurto nel giro di qualche decennio ai vertici della vita politica, sociale ed economica37. Il nostro intraprendente giusperito ci appare
tre ai cambiatori e speziali, 1 vaiaio, 1 rigattiere, 6 vinaioli, 17 beccai, 4 albergatori e 2 vetturali.
33 Ivi, p. 271.
34 Ivi, p. 346.
35 C. WICKHAM, Dispute ecclesiastiche cit., p. 43; G. MASI, Breve della società dei sarti del
«castrum» di Figline (1233) in Appendice II allo Statutum Bladi Reipublicae florentinae (1348),
«Orbis Romanus. Biblioteca di testi medievali a cura dell’Università cattolica del Sacro Cuore dedicati al Magnifico Rettore Fr. Agostino Gemelli nella ricorrenza del venticinquesimo anno della sua entrata nell’Ordine dei Frati Minori», Milano, Società editrice «Vita e pensiero»,
1934, pp. 213-217; G. PRUNAI, Noterelle sul breve dei sarti di Figline del 1234, in Studi in onore di L. Sandri, a cura dell’Ufficio centrale per i Beni Archivistici e della Scuola speciale per
achivisti e bibliotecari dell’Università di Roma, Roma, Ministero per i beni culturali e ambientali, 1983, 3 voll., III, pp. 773-781.
36 G. PASQUALI, Economia e società a Figline cit., pp. 49-50.
37 S. TOGNETTI, Da Figline a Firenze. Ascesa economica e politica della famiglia Serristori
(secoli XIV-XVI), Firenze, Opus Libri, 2003.
100
andrea barlucchi
al centro di una rete di relazioni forti e durature sia con l’élite cittadina sia – e questo interessa maggiormente al nostro tema – con quella figlinese: esemplare l’episodio che probabilmente sta alla base delle sue fortune, il testamento redatto a
Firenze il 17 giugno 1340 da ser Francesco del fu ser Averardo da Figline, futuro suocero del nostro ser Ristoro, al quale presenzia anche il giudice figlinese Paolo domini Decchi e un altro notaio oriundo sempre del nostro centro valdarnese38. La vicenda umana di ser Ristoro, notaio di provincia che fa fortuna nella
grande città, può essere presa a ben diritto come emblematica del percorso evolutivo seguito dalla cosiddetta «borghesia di castello»: originatasi nella dinamicità
febbrile dei secoli successivi al Mille, questa peculiare classe sociale comitatina
che oggi cominciamo a conoscere un po’ meglio trova il suo inevitabile approdo
nel centro urbano, prima per mettere a frutto i capitali guadagnati nel contado,
poi per salvaguardarli dall’incalzare della grande crisi trecentesca39.
A quella di ser Ristoro possiamo accostare altre figure tipiche di questo ceto sociale, ad esempio monna Simona figlia del dominus Tassino da Figline, cognata del nostro eroe e moglie del notaio Michele di Guccio da Loro anch’egli
emigrato a Firenze, dal cui testamento dettato nel 1390 traspare un’agiatezza e un
livello di vita culturale che non hanno nulla da invidiare a quelli dell’élite cittadina40. Sempre dai testamenti apprendiamo la predilezione di questi personaggi
per una sepoltura nelle chiese degli Ordini mendicanti, altro tratto di mentalità
tipicamente urbana e borghese, spesso e volentieri lo stesso tempio figlinese dei
Francescani come nel caso di monna Simona41.
Salendo ancora più in alto nella piramide sociale troviamo a Figline in questa
epoca famiglie dell’aristocrazia quali i Franzesi Della Foresta e i loro affini Benzi,
perfettamente inserite nel contesto della collettività, a completare il quadro di una
popolazione che annovera al suo interno tutti i ceti sociali del tempo: non un semplice comune rurale bensì una città in miniatura, insieme a Empoli e Poggibonsi
una delle «prestigiose comunità quasi urbane» del contado fiorentino42. E la stes-
38
Ivi, p. 15.
G. PINTO, La ‘borghesia di castello’ nell’Italia centro-settentrionale (secoli XII-XV). Alcune considerazioni, in Città e territori nell’Italia del Medioevo: studi in onore di Gabriella Rossetti, a cura di G. CHITTOLINI, G. PETTI BALBI, G. VITOLO, Napoli, GISEM Liguori, 2007, pp
155-170. ID., Produzioni e beni mercantili nelle campagne toscane dei secoli XIII e XIV, «Rivista di storia dell’agricoltura», XLVIII (2008), pp. 101-119.
40 S. RICCI, “De hac vita transire”. La pratica testamentaria nel Valdarno superiore all’indomani della Peste Nera, Firenze, Opus Libri, 1998, pp. 17-18, 25-26, 31-32 e 164: nel testamento si fa menzione di panni dai colori pregiati quali il nero, di mantelli di seta, collane di
ambra e corallo, libriccini di preghiere, ecc.
41 Ivi, pp. 27-34.
42 Sui Franzesi Della Foresta e i Benzi, vedi gli studi di Paolo Pirillo più volte citati, in
39
figline nel xiv secolo
101
sa Dominante si preoccupa di mantenere a Figline questo carattere, per quanto
possibile in una congiuntura economica non favorevole: mentre si stanno innalzando le mura, viene emanato dal governo cittadino un provvedimento che esenta per 10 anni i nuovi abitanti dalle imposte – purché si impegnino a risiedervi per
almeno un ventennio – ma si richiede loro una cauzione di ben 200 lire in modo
da ‘scremare’ la domanda e ripopolare l’abitato con famiglie di ceto non miserabile43.
3. La piazza
L’importanza economica di Figline e del suo mercato, non soltanto nel quadro del
contado fiorentino ma in un ambito senza dubbio interregionale, è apparsa sempre chiara fin dalla stessa epoca medievale, come attestano i cronisti Matteo Villani, che parlò della «grande abbondanza della vittuaglia che a quello mercato [di
Figline] continovamente ne venia», e Marchionne di Coppo Stefani il quale scrisse che Fighino era «terra più di mercato di grano, o di biada che terra del contado di Firenze»44. Gli studi hanno confermato queste originarie affermazioni: già
negli anni ’80 del Ducento la gabella che era imposta sul mercato di Figline veniva appaltata per somme superiori alle 200 lire, fino a 250 nel 1287, la cifra più
alta in assoluto fra quelle documentate45. Nel periodo 1300-1380 il mercato figlinese, che qui si svolge in due giorni la settimana a differenza del resto del contado, «primeggia di fronte agli altri quattro» della vallata, cioè Montevarchi, San
Giovanni, Castelfranco e Incisa46. Negli anni ’30 del Trecento esso copre «un’area non inferiore ai 200 kmq»47. È stato calcolato che tra l’aprile e il maggio 1329
il grano acquistato nel nostro centro valdarnese dagli ufficiali fiorentini ogni
giorno di mercato soddisfaceva il 3,5% dell’intero fabbisogno quotidiano della
grande città, allora all’apice del suo popolamento, e ne rimaneva da vendere48. E
Figline era la prima piazza mercantile che gli Ufficiali del Biado mettevano sotto
particolare Famiglia e mobilità sociale cit. La citazione è in C.M. DE LA RONCIÈRE, Firenze e
le sue campagne cit., p. 341.
43 P. PIRILLO, Le mura di Figline cit., pp. 26-27.
44 MATTEO VILLANI, Cronica, lib. VII, cap. 45, p. 270. MARCHIONNE DI COPPO STEFANI,
Cronaca fiorentina, a cura di N. RODOLICO, «Rerum Italicarum Scriptores», XXX, I, Città di
Castello, S. Lapi, 1903, rub. 824, pp. 349-350. Le citazioni sono in P. PIRILLO, Le mura di Figline cit., pp. 12n e 35.
45 C.M. DE LA RONCIÈRE, Firenze e le sue campagne cit., pp.193-194.
46 Ivi, p. 359n.
47 Ivi, p. 167.
48 Ivi, p. 194.
102
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sorveglianza in tempo di carestia, per evitare speculazioni49. È quindi il grano e
più in generale i cereali la merce che caratterizza il mercato del nostro centro valdarnese; accanto a questo, il bestiame (maiali e buoi), il cui commercio sembra
privilegiare Figline, insieme a Montevarchi e San Giovanni, nel secondo Trecento50. Sempre in tale arco cronologico si accentua nei mercati valdarnesi la presenza di vinattieri, dato che fa ritenere un aumento in loco del commercio del vino51. Per completare il quadro, ricordiamo che sulla nostra piazza si potevano trovare, almeno nel primo Trecento, merci particolari come il carbone di legna e la
cenere52.
Ma il mercatale figlinese non era occupato solo da materie prime, anche la
variegata serie di attività artigianali che abbiamo passato in rassegna trattando della popolazione concorreva al suo indiscutibile successo: un abitante delle campagne circostanti poteva accedere al nostro centro sicuro di trovarci qualsiasi manufatto gli fosse necessario. Così a Figline fioriva anche l’attività alberghiera e un
gran numero di locande sono attestate non solo nell’abitato ma anche nelle immediate vicinanze, ad esempio nel castello di Tartigliese si trovavano ben 4 alberghi; pure l’ospitalità caritatevole era praticata, esisteva uno spedale dei Domenicani e uno di proprietà comunale, prima che sul finire del secolo ser Ristoro lasciasse per testamento quanto necessario ad istituire il grande xenodochio
sulla piazza del mercatale53.
Tutto questo però fa apparire ancora più spiacevole il fatto che non si possa
comunque quantificare, cioè che non si riesca a dare una dimensione precisa a
questa preminenza economica e commerciale di Figline, ma si sia sempre costretti
a poco più che impressioni.
Riguardo alla dinamica dell’economia figlinese trecentesca dobbiamo discutere una questione, quella della sua ipotizzata crescita nella seconda metà del
secolo. Al riguardo, così si esprime il La Roncière: «Senza sostenerlo in linea generale, è tuttavia possibile constatare che a nord, a Vicchio e Dicomano, ad est e
a Sud-Est, a Figline e Montevarchi e probabilmente anche a Borgo San Lorenzo,
49
G. PINTO, Il libro del biadaiolo cit., pp. 113 e 300n.
C.M. DE LA RONCIÈRE, Firenze e le sue campagne cit., pp. 178-179 e 392.
51 Ivi, p. 392.
52 Ivi, p. 194.
53 Ivi, pp. 105, 108 e 115. La presenza dei Domenicani, sia pure nella forma ridotta di
un semplice spedale, fa di Figline l’unico centro valdarnese in cui nel Trecento si trovino contemporaneamente i due principali Ordini mendicanti (C.M. DE LA RONCIÈRE, Gli Ordini
mendicanti cit., pp. ). L’ospedale che sarà chiamato Serristori venne fondato, com’è noto, nel
1399 (cfr. S. TOGNETTI, Da Figline a Firenze cit., pp. **-** con riferimenti alla letteratura precedente).
50
figline nel xiv secolo
103
gli incontri settimanali sono ancora animati negli anni 1360-80»54. Nonostante la
cautela dello storico francese e l’indeterminatezza della sua affermazione, sembra
sia passata nell’immagine comune l’idea che il ventennio in questione, a dispetto della congiuntura, delle compagnie di ventura e della peste, rappresenti per il
nostro centro valdarnese un momento di felice sviluppo, in controtendenza rispetto all’andamento generale del contado. È lecito dubitare di questa estensione del pensiero espresso dal La Roncière, non solo sulla base di semplici impressioni ma facendo riferimento a dati conosciuti.
Consideriamo ad esempio la ristrutturazione degli uffici comunali figlinesi
che ha luogo nel 1382 e che ha prodotto il cosiddetto «Quaderno degli Uffici del
Comune di Fighine»55. Concretamente l’intervento comporta: 1) il prolungamento della durata di tutti gli uffici minori (venditore della gabella del vino, sindaci, sindacatori del camerario, revisori delle confinazioni sull’Arno, ufficio della gabella dei macelli, paciali, camera d’armi e scritture, rettori e sindaci, nunzi,
conservatori delle chiavi di Porta Fiorentina); 2) la diminuzione nel numero degli ufficiali (da 8 a 6 vengono portati i paciali, i sindacatori del podestà, gli Otto
di Custodia che diventano quindi i Sei di Custodia; da 6 a 4 gli ufficiali al servizio di controllo delle bilance, misure, porto, fossi e canova del sale); 3) l’unificazione degli uffici della gestione beni comunali e dell’alliramento; 4) il prolungamento dell’incarico dei Capitani di Parte (da 4 a 6 mesi, quindi il governo passa
da una rotazione di tre collegi l’anno a due soltanto, mentre le imborsazioni vengono portate a tre anni). La ristrutturazione è pesante e profonda, riguarda l’intero organigramma fin negli incarichi di infimo ordine, quindi non se ne può dare una spiegazione politica, di indirizzo puntivo nei confronti della collettività figlinese56; al contrario, il provvedimento può essere inquadrato in un più generale fenomeno che interessa tutte le realtà del contado fiorentino nei decenni a cavallo tra XIV e XV secolo durante i quali vengono prese misure volte al contenimento delle spese di amministrazione, «in un contesto segnato ancora dalle difficoltà di ordine demografico, che continuano a tenere in affanno le comunità»57.
Lungi dall’essere in controtendenza, Figline sta sperimentando le stesse soffe-
54
55
110.
C.M. DE LA RONCIÈRE, Firenze e le sue campagne cit., p. 196.
Quaderno degli Uffici del Comune di Figline (1382), in Statuti di Figline cit., pp. 105-
56 Così invece i curatori dell’edizione degli Statuti: Ivi, pp. IV-V. Contrasta inoltre con
questa visione anche il fatto che proprio negli anni ’80 del Trecento la “lobby” figlinese operante a Firenze riunita intorno a ser Ristoro riesce finalmente a coronare i tentativi di scalata
al sistema politico cittadino (S. TOGNETTI, Da Figline a Firenze cit., pp. **-**).
57 L. TANZINI, Alle origini della Toscana moderna. Firenze e gli statuti delle comunità soggette tra il XIV e il XVI secolo, Firenze, Leo S. Olschki, 2007, pp. 84-86, a p. 85.
104
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renze del restante contado fiorentino e si comporta di conseguenza nell’identica
maniera delle altre comunità adottando una politica che oggi definiremmo di austerità; e questo – si badi bene – nel momento in cui le sue mura sono ormai costruite e la popolazione ha raggiunto il massimo numerico di tutta la seconda
metà del secolo58.
Un altro elemento sul quale soffermarsi è la diminuzione nella frequenza dei
giorni di mercato: erano sicuramente due nel primo Trecento, ma nella redazione statutaria del 1408 sembrano ridotti ad uno solo, alternando fra il martedì nei
mesi invernali e il venerdì in quelli estivi59. In tale contesto troverebbe piena accoglienza la data del 1371 indicata dal Bossini per la costruzione della cortina di
case tra il palazzo del Podestà e la piazza del mercatale: la contrazione della superficie adibita agli scambi commerciali sarebbe diretta conseguenza della loro
diminuzione60.
A questo proposito, l’area economica gravitante intorno al mercato figlinese si allarga nel corso del XV secolo fino a comprendere località del Chianti, del
Casentino e dei dintorni di Firenze e ciò può ingenerare l’impressione di una crescita nel volume degli scambi, ma bisogna al contrario tener presente il forte decremento demografico delle campagne in questione e la scomparsa di tanti più
piccoli centri di mercato che nel primo Trecento punteggiavano il territorio: solo per restare nell’ambito geografico valdarnese, mancano all’appello rispetto ad
un secolo prima i mercatali di Leccio, Sant’Ellero, Cascia-Reggello e Montelungo, mentre languiscono quelli di Incisa, Loro e Castelfranco61.
In altre parole, questa crescita mercantile di Figline nella seconda metà del
XIV secolo si compie in un contado che sta divenendo un deserto di uomini e si
sta ruralizzando, mentre il ceto più dinamico e dotato di capitali emigra in città
dove può ancora trovare delle opportunità. Il più volte citato ser Ristoro, una volta sistematosi, mette in piedi per i figlioli una attività di lanaiolo che ha sede nella grande capitale, non più nella sua patria di origine dove pure esistevano secoli prima delle gualchiere; a Figline donerà un ente assistenziale perché di questo
essa ha ormai bisogno.
58
Cfr. supra, pp. **.
Statuti di Figline cit., p. XI.
60 Cfr. supra, pp. **-**.
61 G. PASQUALI, Economia e società a Figline cit., pp. 57-58. Sulla geografia dei centri di
mercato della zona occidentale del contado fiorentino e sulla loro evoluzione nel tempo mi
permetto di rinviare ad un mio studio recente: Mercati, mercatali e fiere intorno al Pratomagno: appunti per una ricerca, in Rocca Ricciarda dai Guidi ai Ricasoli. Storia e archeologia di un
castrum medievale nel Pratomagno aretino, a cura di G. VANNINI, Firenze, Società Editrice Fiorentina, 2009, pp. 89-96.
59
figline nel xiv secolo
105
Sempre a questo proposito, consideriamo la dinamica dei rapporti tra il nostro centro e il vicino castello di Tartigliese, ai quali abbiamo già accennato, che
possiamo allo stato attuale della ricerca così sintetizzare: agli inizi del secolo Figline è gravata, insieme ad altre realtà valdarnesi, dagli oneri di costruzione di Tartigliese che deve diventare l’avamposto fortificato del suo mercatale, in un contesto che si presume ancora caratterizzato da progressivo sviluppo; nel 1392 vengono stabiliti tra le due comunità dei patti scritti in base ai quali gli abitanti del
piccolo castello, decimati dalle pestilenze e ormai ridotti ad un terzo rispetto al
primo Trecento, pur mantenendo statuti ed estimi propri si assoggettano al pagamento di ogni altra imposta o tassa gravante sul centro maggiore e ai turni di
guardia sulle mura figlinesi di recente costruzione62. Pur conservando una struttura apparentemente autonoma, in termini concreti Tartigliese viene come assorbita da Figline, in particolare tutta la sua capacità contributiva è convogliata
verso quello che è divenuto il centro indiscusso della zona, l’unico ormai in grado di giocare un ruolo positivo in termini di scambio di merci e servizi. I rapporti
si sono invertiti: Figline che è il centro economico maggiore non può più spendere per sostenere le comunità più piccole circostanti, al contrario drena da esse le esigue risorse per mantenersi.
Per concludere, appare necessaria una grande cautela nel tracciare quadri generali ed esaustivi. Una cosa è constatare lo spostamento dell’asse principale dello stato fiorentino dal Chianti al Mugello-Valdarno superiore tra prima e seconda metà del secolo – spostamento che oltretutto può dipendere anche da motivazioni di carattere squisitamente geopolitico63 –, altra è affermare una espansione
economica figlinese in controtendenza e su questa base magari procedere oltre.
Si tratta di un punto nodale su cui le prossime programmate ricerche dovrebbero poter dire qualcosa di nuovo.
62
Cfr. supra, pp. **.
Tale spostamento è una delle conclusioni cui approda il grande studio di C.M. DE LA
RONCIÈRE, Firenze e le sue campagne cit., pp. **.
63