Valeria Ferraretto, Ilaria Gaspari
Verbena Giambastiani, Irene Ginanni
Dario Muti, Luca Serafini, Giovanni Zanotti
Collettività
Tra libertà e regole
prefazione di
Dario Danti e Adriano Fabris
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Edizioni ETS
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Volume pubblicato con un contributo del
COMUNE DI PISA
© Copyright 2014
EDIZIONI ETS
Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa
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Distribuzione
PDE, Via Tevere 54, I-50019 Sesto Fiorentino [Firenze]
ISBN 978-884674051-9
PREMESSA
Collettività: si tratta di una parola dal sapore novecentesco, che
oggi dovremmo provare a declinare nuovamente. Negli studi che avete
fra le mani ci sono molti tentativi che vanno in tal senso e che affondano le radici nella storia del pensiero filosofico occidentale, rilanciando
la parola nel dibattito contemporaneo o criticandone le derive. Si tratta degli atti della giornata seminariale curata dalle ragazze e dai ragazzi
della Scuola di Dottorato in Discipline Filosofiche e Storia della Scienza dell’Università di Pisa. È stata una giornata “autogestita” dal titolo
significativo – Uno sguardo sulla collettività – che si è svolta nella Sala
convegni della Casa della Città “Stazione Leopolda” di Pisa.
I saggi del presente volume non hanno certo la pretesa di fondare sistematicamente un nuovo pensiero, bensì vogliono fornire utili
spunti per discussioni teoriche, nonché stimoli per buone pratiche
pubbliche, proprio in una fase storica nella quale il dibattito in corso è
caratterizzato dai temi dei beni comuni e della comunità. Parlare di collettività, allora, potrebbe sembrare controcorrente, addirittura fuori
luogo: eppure le ricerche qui presentate hanno profonde radici culturali e, al tempo stesso, cercano consapevolmente di attualizzare e rilanciare questo importante concetto.
Si tratta infatti di comprendere con le vecchie parole del lessico
filosofico le nuove forme di aggregazione che abbiamo sotto gli occhi.
Si tratta di far tesoro delle riflessioni del passato per evitare il riproporsi di esiti pericolosi e inaccettabili. Si tratta, per pensare davvero il
presente, di far interagire produttivamente ciò a cui alludono gli stessi
termini che finora abbiamo usato: la dimensione della comunanza e di
quel dono reciproco (munus) di fiducia che apre la dimensione dello
stare insieme, nonché l’idea di quel raccoglimento dei diversi (cum-legere) che fa sì che questa dimensione sia davvero viva.
Ecco allora che nel libro, seguendo Benjamin, torniamo a ragionare sulla «collettività sognante», per provare a intendere il collettivo
come chance di salvezza. Restando ancorati al Novecento possiamo poi
chiederci: quale ruolo gioca l’individuo nella scena pubblica? In che
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Dario Danti - Adriano Fabris
modo il suo naturale riferimento a un ambito politico può non essere
assorbito in una dimensione totalitaria e totalizzante? Per rispondere a
queste domande ci è utile approfondire la lettura che la filosofa tedesca Hannah Arendt fa del «regno dei fini» di Kant e capire in tal modo come s’intreccia la vita del singolo con quella della collettività.
Proprio il numero delle persone che stanno insieme, d’altronde,
ha la sua importanza. E allora che cosa può insegnare, come modello di
relazioni culturali e sociali, una piccola comunità filosofica come quella
di Bergzabern? Ce lo dirà un altro saggio del volume. E avvertenze ben
precise, riguardo al modo d’intendere la dimensione collettiva come il
frutto di una regressione nei rapporti tra gli individui, ci vengono, in un
ulteriore testo, dalla critica che Adorno sviluppa in merito.
Seguendo poi un altro importante filosofo novecentesco come
Martin Heidegger – letto alla luce di interpretazioni postume, segnatamente del francese Jean-Luc Nancy – possiamo ragionare di relazioni
declinandole, stavolta, come «essere-con» e definendo, così, la particolare condizione di possibilità del nostro stare insieme. E ancora, fra i
saggi, incontriamo – grazie a un testo dal sapore spinoziano – un’interessante riflessione semantica e teoretica su alcune parole-chiave che si
ricollegano al nostro tema: quali immaginazione, libertà, amore e conoscenza. In ultimo non dobbiamo dimenticare quello che potremmo definire «il panopticon dell’amministratore», ovvero l’analisi di forme e
modalità di “misurazione” della collettività – deliberatamente o surrettiziamente coercitive – che, alla fine, impongono una costruzione sociale della collettività stessa.
Si comprende da quanto detto il sottotitolo del libro, che fa riferimento al nesso inscindibile tra libertà e regole. Ed è anche chiaro
perché, al fine di ottenere una maggiore fruibilità dei vari contributi,
essi vengono proposti sostanzialmente secondo un ordine storico-cronologico. L’obbiettivo del progetto è comunque quello di aprire un
cantiere: per ripensare da un punto di vista filosofico le condizioni del
nostro vivere comune. Lo si può fare produttivamente unendo, in una
riflessione che è stata di fatto collettiva, competenze filosofiche diverse, motivazioni etiche, interessi politici di fondo.
Ed ecco infine perché, accanto alla Scuola di Dottorato in Discipline Filosofiche e Storia della Scienza dell’Università di Pisa e all’Assessorato alla Partecipazione del Comune di Pisa, un ulteriore contributo al progetto, e alla sua concreta diffusione, è venuto dal Centro
Interdisciplinare di ricerche e di servizi sulla Comunicazione (C.I.Co.)
del Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere. Ecco perché si è voluto
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Premessa
dar vita a questa pubblicazione. La cooperazione fra enti è infatti fondamentale per fare sistema: è messa in opera concreta di una dimensione collettiva. Ciò è avvenuto, in questo caso, allo scopo di valorizzare le ricerche di giovani studiose e studiosi: soprattutto perché hanno
l’intento di aprire riflessioni che provano a tenere assieme, come si diceva un tempo, teoria e prassi. È questo un tentativo da incoraggiare e
sviluppare anche in futuro.
Dario Danti
Assessore alla Partecipazione del Comune di Pisa
Adriano Fabris
Professore all’Università di Pisa - Presidente del C.I.Co.
Ilaria Gaspari
ImmagInazIone e amore Intellettuale dI dIo
aspettI socIalI della SCIENTIA INTUITIVA
«esistono senza dubbio passioni tristi che hanno
un’utilità sociale, ad esempio la paura, la speranza, l’umiltà,
il pentimento, ma solo quando gli uomini non vivono sotto
la guida della ragione. rimane comunque il fatto che ogni
passione, dal momento che implica tristezza, è cattiva in
quanto tale: anche la speranza e la sicurezza. lo stato è tanto più perfetto quanto più poggia su affetti di gioia: l’amore della libertà deve prendere il sopravvento sulla speranza,
la paura e la sicurezza. […] Il sentimento della gioia è il
sentimento propriamente etico».
g. deleuze, Spinoza e il problema dell’espressione
«In tutta la sua opera spinoza non cessa di denunciare tre generi di personaggi: l’uomo dalle passioni tristi;
l’uomo che sfrutta queste passioni tristi, che ha bisogno di
esse per stabilire il suo potere; infine, l’uomo che si rattrista per la condizione umana e per le passioni dell’uomo in
generale».
g. deleuze, Spinoza. Filosofia pratica
Quando si pensa a spinoza e alla collettività, la prima, la più immediata associazione d’idee suggerisce di buttarsi sul tema della moltitudine, su cui si è molto scritto, molto dibattuto, e probabilmente resta
ancora molto da dire. ma nella costruzione barocca dell’Etica, nell’impalcatura concettuale che sostiene tutto quanto il sistema spinoziano, si
può rintracciare – e tentare di ricostruire – il filo sottile di una riflessione gnoseologica sulla collettività, che di ogni discorso politico-sociale
costituirebbe in fondo, per spinoza, la premessa. attraverso le nervature della sua teoria della conoscenza e della libertà umana, l’Etica1
1
per tutte le citazioni dall’Etica, il testo di riferimento è: B. spInoza, Etica (testo
critico e traduzione a cura di paolo cristofolini), edizioni ets, pisa 2010.
Verbena Giambastiani
VIVERE INSIEME: UN PERCORSO
TRA IMMANUEL KANT E HANNAH ARENDT
1. Introduzione
Parlare di collettività oggi, in un mondo che ci vede sempre più
divisi, come se solo questa “separatezza” fosse la chiave per emergere
e realizzarsi, può sembrare anacronistico. Interrogarsi ancora una volta su cosa voglia dire essere parte di una comunità, è una delle poche
strade che abbiamo per aprire un varco nella gabbia dell’odierno individualismo. Comunità, fin dalla sua etimologia, communitas1, indica
ciò che non è proprio e che comincia laddove il proprio finisce. Per
indagare questo tema la traccia da cui partire è la riflessione compiuta
da Kant. La dimensione comunitaria è, infatti, uno degli elementi centrali del pensiero kantiano, sebbene una consistente corrente di pensiero, a partire dall’interpretazione hegeliana, abbia visto in Kant il
«filosofo della coscienza», ed abbia interpretato in senso solipsistico
l’idealismo trascendentale e la filosofia morale kantiana. Il cammino
di pensiero di Kant può essere interpretato in chiave antropologica,
proprio per il ruolo centrale che assume l’essere umano in tutte le sue
dimensioni2.
Il filosofo di Königsberg dimostra un’attenzione privilegiata per
l’uomo tra gli uomini, per quella che possiamo indicare come la dimensione comunitaria dell’essere umano, essendo suo elemento costitutivo
in grado di includere, di conseguenza, l’intero genere umano. L’essere
umano non è confinato nella sua soggettività, non è condannato ad un
1
Su questo tema R. ESPOSITO, Communitas. Origine e destino della comunità,
Einaudi, Torino (11998) 2006; E. PULCINI, L’individuo senza passioni. Individualismo moderno e perdita del legame sociale, Bollati Boringhieri, Torino 2001.
2
A questo proposito si veda P. FEDATO, Kant e la destinazione del genere umano: tra antropologia e filosofia della storia, in «Verifiche», XXXII (2003), n. 4, pp. 219273; P. CHIODI, Introduzione agli Scritti Morali, UTET, Torino 1995; M. PEUCH, Kant et
la causalitè, Vrin, Paris 1990; F.P. VAN DE PITTE, Kant as philosophical Anthropologist,
Martinus Nijhoff, The Hague 1971; C. LA ROCCA, Le Lezioni di Kant sull’antropologia,
in «Studi kantiani», XIII (2000), pp. 103-117.
Irene Ginanni
IL CIRCOLO DI BERGZABERN
UNA PICCOLA COMUNITÀ FILOSOFICA
1. Genesi: il circolo di Gottinga e la Philosophische Gesellschaft
Quando nel 1901 Edmund Husserl fu chiamato all’Università di
Gottinga, aveva già pubblicato le Logische Untersuchungen. Tuttavia,
solo dopo qualche anno i suoi corsi e il suo insegnamento iniziarono
ad attrarre un discreto numero di studenti, i quali rimanevano affascinati dall’originalità del pensiero e dal modo di fare filosofia, persistentemente diretto – come egli scriveva – alle «cose». Nell’estate del 1905
giunsero all’Università di Gottinga, per seguire le lezioni di Husserl,
alcuni studenti del filosofo e psicologo Theodor Lipps provenienti da
Monaco: Adolf Reinach, Johannes Daubert, Moritz Geiger; Theodor
Conrad giunse nel 1907, Dietrich von Hildebrand nel 1909, successivamente si aggiunsero Alexander Koyré, Jean Hering, Roman Ingarden, Fritz Kaufmann, Hedwig Martius e ancora Edith Stein, Hans
Lipps, Alfred von Sybel e Max Scheler1.
Intorno al 1907 un ristretto gruppo di suoi alunni iniziò ad incontrarsi una volta alla settimana per confrontarsi e leggere opere e
saggi spesso non conosciuti nelle aule e nei seminari delle lezioni di
Husserl; per questo gruppo di studenti – il circolo di Gottinga –
phenomenology meant somethings rather different from what it did to
Husserl at this stage, i.e., not the turn toward subjectivity as the basic phenomenological statum, but toward the ‘Sachen’, understood in the sense of
the whole range of phenomena, and mostly toward the objective, not the
subjective ones. […] Also phenomenology meant to the circle primarily a
1
Per una ricostruzione storico-filosofica del movimento fenomenologico H.
SPIEGELBERG, The Phenomenological Movement. A Historical introduction, vol. I e II, M.
Nijhoff, The Hague 1960. E ancora S. BESOLI - L. GUIDETTI (a cura di), Il realismo fenomenologico. Sulla filosofia dei circoli di Monaco e Gottinga, Quodlibet, Macerata 2000;
H.G. GADAMER, Die Phänomenologische Bewegung, in «Philosophische Rundschau»,
I/II (1963), n. 11, pp. 1-45 (trad. it. di C. SINIGAGLIA, Il movimento fenomenologico, Laterza, Roma-Bari [11994] 2008).
Valeria Ferraretto
IL COLLETTIVO COME CHANCE DI SALVEZZA
WALTER BENJAMIN TRA ARTE E STORIA
1. Introduzione
Vi sono non poche difficoltà per poter afferrare la tematica del
collettivo nel pensiero benjaminiano, sia per la complessità di questo
tema sia più in generale per il suo stile filosofico. Benjamin è un filosofo che sfugge ad ogni classificazione possibile1. «Nulla egli ebbe del
filosofante secondo il criterio tradizionale», tanto che «il rebus diviene
il modello della sua filosofia»2. Fermare e individuare, quindi, i passi
dove Benjamin parla di collettività non sarà semplice. Bisognerà saper
catturare i diversi riferimenti a questo tema, che si rispecchia con molteplici sfaccettature dalle opere più giovanili a quelle più tarde, perché
solo nel loro insieme si può pervenire alla sua immagine, seppur mai
completa, come in un gioco di tessere di un mosaico.
I momenti importanti della sua vita, in cui nasce e si sviluppa
l’interesse per il collettivo, possono essere riconducibili a tre. In primis, l’incontro con Wyneken e il suo attivismo nella Jugendbewegung.
Attivo nel movimento giovanile di Gustav Wyneken3 e nel 1914 preside della Freie Studentenshaft di Berlino, Benjamin sente l’urgenza di
ridefinire gli statuti della gioventù e di rivendicare, contro il conven1
Cfr. G. SCHOLEM, Walter Benjamin und sein Engel, a cura di R. Tiedemann,
Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1983 (trad. it. di M.T. MANDALARI, Walter Benjamin e il suo
angelo, Adelphi, Milano 1978, p. 79).
2
TH. W. ADORNO, Charakteristik Walter Benjamins, in Prismen. Kulturkritik
und Gesellschaft, in Gesammelte Schriften 10.1, Kulturkritik und Gesellschaft, a cura di
Rolf Tiedemann, con la coll. di Gretel Adorno, Susan Buck-Morss e Klaus Schultz,
Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1977, pp. 238-252 (trad. it. di C. MAINOLDI, Profilo di Walter
Benjamin, in Prismi. Saggi sulla critica della cultura, Einaudi, Torino 1972, pp. 233-247,
pp. 233 e 234).
3
Cfr. W. BENJAMIN, Lebenslauf I, in Gesammelte Schriften, a cura di R. Tiedemann e H. Schweppenhäuser, con la coll. di Th. W. Adorno, G. Scholem, Suhrkamp,
Frankfurt a.M. 1991, vol. VII/2, pp. 531-532 (d’ora in poi GS, seguito dal numero del
volume e dall’anno di pubblicazione) (trad. it. di S. BORTOLI, Curriculum [I], in Opere
complete, a cura di E. Ganni, Einaudi, Torino 2008, vol. I, pp. 67-68, p. 67 [d’ora in poi
OC, seguito dal numero e dall’anno]).
Giovanni Zanotti
IL COLLETTIVO BIFRONTE
ADORNO E I PROBLEMI DI UNA CRITICA
NON INDIVIDUALISTA
Ciò che si deve accettare, il dato, sono – potremmo
dire – forme di vita.
L. WITTGENSTEIN
1. La società esiste
Gli scritti di Adorno cominciano spesso con la formulazione di
un’aporia. La situazione problematica viene presentata come scissa nei
suoi due momenti contraddittori, entrambi veri e falsi a un tempo. Il
tratto stilistico esprime evidentemente – e consapevolmente – un
aspetto essenziale del pensiero, sempre in guardia contro l’unilateralità
come il pericolo mortale, sempre in bilico sul filo sottilissimo che separa l’assenso a un giudizio dal suo irrigidimento «astratto». Programmaticamente, Adorno nega a qualunque contenuto un’adesione o un
rifiuto totale. La collettività non fa eccezione. Com’è noto, la preoccupazione più urgente di Adorno è rivolta ai segnali di omologazione,
conformismo e annichilimento dell’individuo, rintracciati non soltanto
nell’incubo totalitario, ma anche nelle società di massa dell’Occidente
post-bellico. Con una sterzata che definisce più in generale l’identità
critica della Scuola di Francoforte, il pensiero di Adorno, segnato teoricamente dall’opposizione al sistema, e storicamente dall’esperienza
di Auschwitz, inverte la tendenza delle tante idealizzazioni del collettivo che avevano segnato la storia del pensiero novecentesco, segnatamente l’immagine salvifica dell’«identità soggetto-oggetto» proposta
dal giovane Lukács1. La collettività, perciò, è in primo luogo guardata
1
cfr. g. LUKÁCS, Geschichte und Klassenbewußtsein. Studien über marxistische
Dialektik, Luchterhand, Darmstadt 1988 (trad. it. Storia e coscienza di classe, a cura di
G. Piana, SugarCo, Milano 1997). Su questo aspetto del rapporto di Adorno con la tradizione del marxismo occidentale, cfr. R. BODEI, Strappare il vero dal falso, in T.W.
ADORNO, Tre studi su Hegel, a cura di G. ZANOTTI, Il Mulino, Bologna 2014, p. 20: «Diversamente da Ernst Bloch, la fine della marxiana “preistoria” appare ad Adorno, con
significativo spostamento d’accento, più dal lato della liberazione del singolo che da
quello della nascita di una società senza classi».
Luca Serafini
LA COMUNITÀ HEIDEGGERIANA
COME ESSERE-CON ORIGINARIO
1. Introduzione
Confrontarsi con Heidegger, seppur filtrato da interpretazioni postume, è sempre assai complesso. Il dibattito sul suo pensiero sembra
infatti non poter mai raggiungere un punto di saturazione. Nel corso
degli anni, e da tutte le latitudini, tale pensiero è stato sottoposto ai giudizi più severi e alle ricostruzioni storiche più critiche1 ma anche a numerosi tentativi che, se non possono essere definiti celebrativi, hanno
avuto almeno un intento di tipo giustificativo2. La ben nota complessità
della lettera del testo heideggeriano ha sempre contribuito, del resto, a
legittimarne le interpretazioni più disparate. Se poi ci spostiamo sul lato
etico-politico della questione, la varietà di opinioni non fa che aumentare, e con essa i rischi di etichette e di superficialità interpretativa.
Questo lavoro vorrebbe mettere in luce uno spaccato di questo
sterminato dibattito, a nostro parere particolarmente significativo poiché suggerisce una lettura in fondo diversa rispetto a quelle, tanto di
condanna quanto di elogio, che si sono imposte all’interno della letteratura critica del secolo scorso.
Il rapporto di Heidegger con la Francia, come è noto, fin dalla
sua falsa partenza dovuta ai fraintendimenti di Sartre3, non è mai stato
pacifico. L’“esportazione” di una filosofia di quel genere da un territorio storicamente “nemico”, andava incontro alle stesse difficoltà che
abbiamo citato per spiegare il proliferare di interpretazioni e di giudizi
opposti che ancora oggi animano gli studiosi, acuite dalla rivendicazione di un’esclusività o di una superiorità greco-germanica che mettevano
1
L’esempio più noto: V. FARÍaS, Heidegger et le Nazisme, editions Verdier, Paris
1987 (trad. it. di M. MARCHETTI, Heidegger e il nazismo, Bollati Boringhieri, Torino 1988).
2
I più celebri, naturalmente, sono quelli portati avanti da F. Fédier in Heidegger.
Anatomie d’un scandale, Robert Laffont, Paris, 1988 (trad. it. di M. BORGHI, Heidegger e la
politica. Anatomia di uno scandalo, a cura di G. Zaccaria, Egea, Milano 1993).
3
Cfr. J.-P. SARTRE, L’existentialisme est un humanisme, Nagel, Paris 1946 (trad.
it. di G. MURSIA RE, L’esistenzialismo è un umanismo, Mursia, Milano 1990).
Dario Muti
IL PANOPTICON DELL’AMMINISTRATORE
1. Il problema della categoria
Mi piacerebbe, nel presente intervento, occuparmi della collettività come oggetto di indagine delle discipline scientifiche. Questo
approccio mi consente di lanciare uno sguardo su quella complessa
articolazione fra potere politico, sapere scientifico e realtà sociale che
inizia ad assumere contorni gradualmente più definiti nel corso dell’età moderna, in particolare a partire dal XVIII secolo. Nascono infatti nel contesto dell’età dei Lumi – ed in stretto rapporto con la costituzione degli stati nazionali – discipline quali la cartografia e la statistica. Non si richiede qui di dare per provata l’assunzione foucaultiana del rapporto genealogico fra sapere e potere1. Più semplicemente vorrei studiare alcune delle modalità tramite cui la scienza può fornire tecnologie per l’esercizio del potere di uomini su uomini. Mi interessa inoltre osservare in cosa esse consistano, e che rapporti intrattengano con i differenti ambiti – sopra ricordati – di politica e società. La necessità di mantenere questa esposizione entro dimensioni
ragionevoli impone alcuni limiti. Proporrei quindi, come coordinate
di massima, di analizzare lo sviluppo della statistica nell’Italia del corso del diciannovesimo secolo. Perché proprio la statistica? Perché
questa branca del sapere è dotata di una peculiare ambiguità. Da una
parte, infatti, essa si presenta come un sapere “esatto” di natura matematica; dall’altra, però, essa diventerà anche una istituzione, si farà
burocrazia, assumendo quindi un carattere prettamente amministrativo e discendendo dall’iperuranio alla realtà pratica della cosa pubblica. Ciascun ambito di questa dualità implica strettamente l’altro, in
una contaminazione reciproca che sembra ribellarsi alla semplifica1
Sull’influenza del pensiero di Focault nella storiografia della scienza, ed in
particolare nella storia delle istituzioni statistiche, ritengo molto istruttiva la posizione di
Olivier Faron, in uno studio che qui è spesso ricordato. Cfr. O. FARON, L’ordre statistique: sur l’usage politique d’un registre démographique a Milan, au XIXe siècle, in «Revue
d’histoire moderne et contemporaine», XXXVI (1989), n. 4, pp. 586-604, p. 587.
INDICE
Premessa [Dario Danti e Adriano Fabris]
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Ilaria Gaspari
Immaginazione e amore intellettuale di Dio
Aspetti sociali della scientia intuitiva
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Verbena Giambastiani
Vivere insieme: un percorso tra Immanuel Kant e Hannah Arendt
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Irene Ginanni
Il circolo di Bergzabern
Una piccola comunità filosofica
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Valeria Ferraretto
Il collettivo come chance di salvezza
Walter Benjamin tra arte e storia
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Giovanni Zanotti
Il collettivo bifronte
Adorno e i problemi di una critica non individualista
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Luca Serafini
La comunità heideggeriana come essere-con originario
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Dario Muti
Il panopticon dell’amministratore
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Edizioni ETS
Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa
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Finito di stampare nel mese di dicembre 2014