Sverre Fehn
Cinque opere museali
di Roberto Malvezzi
Nasjonalmuseet 2008
Forse l’ultima sua opera è proprio l’esposizione
itinerante che propone un’attenta e meditata
retrospettiva sulla produzione dello studio – rara
occasione per un architetto di fare il punto sulla
propria vita, sulla propria poetica, di rintracciare
linee di continuità e crescita, nuovi innesti e
scoperte. La sua apertura ha inaugurato il nuovo
museo dell’architettura di Oslo, formando con esso
un binomio che suggella un periodo particolarmente
fertile per il piccolo studio, dopo lunghi anni in cui la
iamma pilota della ricerca progettuale era rimasta
in vita grazie a piccoli interventi privati. Come una
vena di sottofondo ha però continuato a scorrere
sotto la pelle una rilessione di più ampia portata,
sgorgata talora in occasione di concorsi o progetti
mai realizzati, ed emersa inine negli anni recenti
in alcune realizzazioni di una vitalità inattesa, cui
rimarrà inevabilmente afidato il messaggio estetico
di questa lunga avventura architettonica. Il museo
di Oslo è fra queste la più recente e piccola. Il
nuovo padiglione, che l’architetto ha chiaramente
identiicato come il meglio riuscito tra gli interventi
del genere, si accosta alla vecchia sede della
banca centrale di Norvegia, un ediicio neoclassico
della prima metà dell’Ottocento. Il nuovo innesto
si allaccia con un passaggio semplice e dinamico,
che impiega la facciata posteriore del palazzo come
primo gesto per un nuovo discorso architettonico. Lo
spazio coperto ha forma quadrata, con una grande
volta in concreto al suo centro che costituisce la
chiave del progetto; poggiando su quattro pilastri
angolari, si incurva quanto basta per ritagliare
l’impressione di uno spazio raccolto, deinito,
eppure la sua freccia rimane abbastanza bassa da
comprimere questo spazio e farlo evadere verso
l’esterno, oltre la linea immaginaria tratteggiata tra
i pilastri. Questo movimento non avviene in modo
brusco: la copertura in cemento si estende oltre
la volta con proilo piano, formando tutt’intorno un
anello quadrangolare richiuso da una parete di vetro,
oltre la quale è posto un secondo anello, scoperto e
separato dal “mondo di fuori” da una serie di setti in
calcestruzzo che lo serrano tutt’attorno.
Si forma così uno spazio concentrico, concatenato
dalla tensione spaziale innescata dalla volta, che
disegna linee immaginarie lungo le quali viene a
cadere la tradizionale distinzione tra un interno e un
esterno, e una netta separazione degli ambienti; il
pavimento stesso sembra protendersi oltre il guscio
di vetro, creando una mensola sulla quale poggiano
i pannelli che lo controventano. Oltre questo conine,
la percezione del “mondo di fuori” è fratturata da
una serie di scorci fugaci tra i setti perimetrali, che
inquadrano ora un albero, ora l’angolo di un palazzo,
aprendo l’ediicio verso il mondo, ma dichiarando
allo stesso tempo una evidente impossibilità a
raggiungerlo.
In un contesto urbano non di particolare pregio,
l’architettura inventa un suo contesto sublimando
la speciica locazione in una scomposizione di
elementi, e sopra di essi, il bizzarro cielo di Oslo,
24
e le chiome degli alberi lungo il viale. L’anello
dei setti esterni non delimita dunque solo uno
spazio di rispetto: il procedimento costruttivo
adottato rende possibile afiggere lungo le facce
interne dei setti elementi utili alla esposizione; in
questo caso si tratta di pannelli trasparenti, su
cui sono stampati schizzi e disegni. Fra dentro e
fuori si costruisce un rapporto ibrido: raramente
è prestata tanta attenzione alla dimensione del
“fuori” come in questo ediicio in cui, a prima
vsta, essa viene negata; e non vi rientra sotto le
consuete vesti dell’astrazione poetica, delle vedute
abissali, delle trasparenze velate, dei rilessi, e
tutto l’armamentario dell’architettura sensibile
contemporanea: vi rientra in un modo solo in
apparenza semplice, negando l’esistenza di conini
netti di un ediicio. Lo spazio evapora verso un
esterno che è prossimità e apertura, e lascia come
unica traccia isica la gabbia di vetro che crea il
clima protetto - non a caso le condotte dell’aria sono
ricavate come nicchie dentro i pilastri della volta, con
le grate ben in vista, rivolte all’interno. Non esiste un
limite isico che possa fermare l’esplorazione della
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mente: all’interno di questo sistema, il visitatore è
inizialmente portato verso la grande volta, sotto la
quale può esaminare i materiali esibiti come da un
primo punto di vista, raccolto; il primo incontro, la
lettura, lo studio, ma poi l’abbandona, e si avventura
lungo il primo anello,sfuggente, contaminato
dagli eventi del mondo che lo assediano. Qui si
sperimenta una diversa prospettiva, quella della
rilessione individuale, dell’esperienza personale;
l’esplorazione si fa più irregolare, e ora interseca
più volte le invisibili soglie tra i due spazi, come
guidato da un orientamento inconsapevole; assorta
in una nebuolsa di spazi e idee, la curiosità disegna
mappe imprevedibili, forse guidate dalle variazioni
di luce portate dalle nuvole e dal vento, che rendono
il movimento nello spazio non più separabile dalla
conoscenza di ciò che viene esibito. Un percorso
mentale che inizia ancora prima dell’ingresso, col
rifarsi del nuovo innesto al noto bastione della
fortezza appena accanto: un invito ad entrare, a
scoprire cosa contiene la sagoma di vetro che
sporge oltre gli spalti immaginari dei muri di
cemento. Forse, un riferimento a cosa in fondo
l’architettura è, ed è sempre stata, sogno, gioco,
immedesimazione, modi sempre diversi di vivere
il mondo.
Hedmarksmuseet 1968
La ricerca contenuta in questo padiglione mostra una
sintesi compatta di un itinerario culturale avviato già
negli anni sessanta, quando a Sverre Fehn venne
afidato il restauro-ricostruzione a scopo museale
del Castello di Hedmark, presso Hamar, circa 2 ore
di treno a nord di Oslo. Dell’antica residenza dei
vescovi di Hamar, insieme agli adiacenti resti della
catedrale romanica uno dei gioielli della storia di
Norvegia, poi convertita in fattoria nel XVIII secolo,
restano le murature perimetrali, disposte in una
grande U. Gli scavi hanno rimesso in luce le strutture
più antiche e rinvenuto reperti appartenenti a tutta
la storia della struttura, ora esposti nel suo museo.
L’intervento di Fehn si concretizza in una copertura
posta a chiusura delle antiche murature, che
ripristina la volumetria e in parte l’aspetto dell’ultima
fase insediativa, e nell’organizzazione del percorso
espositivo al suo interno. La nuova copertura, alla
quale è afidata in gran parte la caratterizzazione
architettonica dell’intervento, è realizzata con
un sistema di capriate in legno che poggiano
direttamente sui corsi scoperti delle strutture
murarie; un sistema di pali lignei mantiene costante
la quota di gronda, assecondando l’andamento
irregolare delle rimanenze e insieme costituendo
il supporto per una semplice tamponatura lignea
che completa la scatola muraria; la vivace pittura
rossa di questa chiusura recupera la tinta dei coppi
di copertura, distinguendo cos’ chiaramente in
da lontano il nuovo dall’antico. La stessa ilosoia
ritorna anche in altri elementi, come nelle semplici
superici vetrate, montate esternamente all’ediicio
come pezzi di un meccano che non vogliano toccare
le strutture, solo proteggerle; l’ambiente interno
così ricavato non rende possibile realizzare un
microclima controllato: si è in uno spazio a metà
tra il chiuso e l’aperto, come conviene a ciò che per
anni ha atteso sotto l’erba e i rovi, e ancora si lascia
osservare come un’ insanabile rovina. Le calde tinte
del legno confermano anche all’interno il distacco
tremendo tra il gesto protettivo sospeso in aria e
la nuda, fredda pietra che riposa sul fondo; tra le
capriate e nelle pareti, si aprono squarci di luce, che
26
calando lungo le trame del legno rivelano inine al
visitarore l’oggetto ultimo della sua visita, le poche
pietre superstiti.
In questa tensione si inserisce l’elemento più
soprendente del progetto, una lunga promenade
di calcestruzzo che conducendo il cammino
attraverso i diversi ambienti espositivi, trasforma
il mueso-architettura in una màchine-à-explorer;
varcato l’ingresso, posto accanto all’angolo sinistro
della U, giusto il tempo è lasciato per una prima
impressione dei cromatismi, e subito si è nella
corte interna, dominata da una lunga rampa ricurva
che salendo riporta il passo all’interno dell’ediicio,
presso l’angolo opposto; lungo questa rotta si
osservano alcuni dei luoghi più importanti della vita
del castello, i cui scavi sono ora protetti da altre
strutture realizzate dallo stesso studio. La rampa
è inine inghiottita da una grande parete di vetro,
e si arrotola poi in una monumentale chiocciola
che collega gli ambienti posti nel braccio destro
della U. Qui sono esposti i reperti, e ha trovato
collocazione una sala conferenze realizzata là dove
minime erano le preesistenze storiche. Chiusa verso
la corte, un’ampia parete di vetro la affaccia sul
giardino di alberi secolari, e dietro, il luccichio del
grande lago. La luce che vi proviene è iltrata da una
parete interna che consente rafinate modulazioni
percettive. La scala a chiocciola scende ancora,
e conduce a un passaggio sospeso che penetra
attraverso un muro massiccio nel braccio centrale
della U; da un lato lasciamo una calda luce naturale,
dall’altro ci accoglie il gelido rilesso del neon
contro la pietra. Si entra in uno spazio stupefacente,
spoglio, scuro, vuoto; la rampa sale lentamente, sì
da scavalcare il punto di ingresso con suficiente
agio, e in tal modo, allontana il punto di fuga creando
un’illusione prospettica recuperata poi anche in
altri progetti. Volando in questo spazio, si scoprono
tutt’intorno altri punti di interesse, ben descritti
da pannelli protesi oltre il parapetto. A chiudere la
fuga e lo spazio sul fondo, alcuni grandi volumi di
cemento misteriosamente sospesi da terra, dentro i
quali un’improvvisa ondata di luce svela dalle tegole
vitree oggetti di pregio rinvenuti durante scavi.
27
Scavalcato inine l’ingresso, prosegue nel braccio
sinistro della U, in cui trovano posto altri ambienti
espositivi; questa volta gli innesti di legno e cemento
riempiono lo spazio, moltiplicando la sequenza
delle metamorfosi spaziali – e ho quasi respirato il
profumo del legno, l’odore freddo del cemento; ma
erano solo penombra, scherzo dei chiaroscuri – per
svoltare in una nuova torsione che riconnette inine
il percorso allo spazio d’ingresso. Si ritrova il primo
colpo d’occhio, che annoda da ultimo la trama di
una esperienza intensa, in cui presente e passato
si smembrano in una tavolozza di impressioni, e
del passato resta quasi il sapore della pietra e della
polvere, del presente il sentire di questi grandi vuoti,
in cui corrono liberi il pensiero e l’immaginazione, e
ancor più, la dolcezza di una mano che riscopre, che
cura, e guida, osserva, e ricrea; resta uno specchio
rifratto del tempo, che non lascia spazio al iabesco o
alla rievocazione - giusto l’abito in stile degli addetti
– una terza vita, che è rinascere, senza pretendere
d’esser sopravvissuti; appartenere per intero, e
soltanto, al tempo che ha voluto riscoprire, ma che
piegandosi per farlo, non coincide più con il mondo
d’intorno.
28
Aukrustsenteret 1996
Spostandosi ancora più a nord si raggiunge il
paese di Alvdal, dove sorge il museo dedicato al
disegnatore Kiell Aukrust. Celebri in tutta la Norvegia
le sue strisce di personaggi reali e fantasiosi,
ambientate invariabilmente nelle valli e tra i paesi
intorno ad Alvdal. Un grande muro inclinato appena
si presenta a chi viene dalla strada, di scandole in
pietra, alto e lungo, che “da tanta parte dell’ultimo
orizzonte il guardo esclude”. Ma in quel muro
che trincera come un segreto da scoprire ciò che
più oltre accade, ci si può entrare, per effetto di
un sollevarsi della pelle verso il suo centro, uno
spalancarsi della pietra che ci introietta in uno spazio
semplice e luminoso; un rapido sguardo misura
l’estensione del museo, un’unica sala stretta e larga
quanto il muro stesso, ritmicamente scandita dal
ripetersi del medesimo modulo strutturale. La luce
che accoglie con tanta morbidezza proviene da un
lucernario a nastro nascosto nella parte alta della
copertura, dove la falda opposta al muro esterno
scende all’inizio con la stessa aspra pendenza, per
poi mutare bruscamente in un leggero spiovente;
sui legni che tamponano le costole di cemento si
spande un diffuso chiarore, che invita a concentrare
l’attenzione sull’interno della sala, lungo cui sono
alloggiati i materiali espositivi più importanti e
tutti gli spazi funzionali, come la caffetteria e i
servizi. Questa parete interna è di fatto il luogo
più importante del museo, una lunga sequenza di
campate aperte verso l’alto che come in un’aurora
dissolvono i limiti dello spazio, e lo dilatano in
un’atmosfera di rievocazione, o leggenda, proprio
come in una vignetta in cui rimangono appesi gli
schizzi e i bozzetti, gli acquerelli e gli autograi che
ripercorrono la vita dell’autore. Sul lato opposto
di questo spazio, la sala è chiusa da una seri di
corpi più bassi, adombrati, cui si accede, come a
piccole grotte, passando tra grandi pilastri di legno
lamellare, brevettati apposta per questo ediicio; in
queste salette laterali sono alloggiati altri momenti
dell’esposizione, ricostruzioni di ambienti, o le
diaboliche macchine per cui il disegnatore era
famoso, e di cui i suoi personaggi si servivano nelle
29
30
loro concitate avventure. Piccole fenditure alle
pareti poste alternativamente ad altezza di uomo
o di bambino riversano lo sguardo verso i monti
alle spalle, intravvisti di sfuggita, come squarci,
suggestioni frammiste agli sguinci di pietra grezza.
Raggiunta la caffetteria, al lato opposto della sala,
una grande vetrata si apre verso il retro, mostrando
l’incanto di una vallata ampia e intatta; sui suoi
pendii, si intravvedono ancora i paeselli di pietra
descritti nelle storie e le viuzze, i picchi, le foreste.
In questo mondo a metà tra il reale e il iabesco ci
si può addirittura inoltrare, su di un viottolo rialzato
posto in asse con l’ingresso, che si prolunga ben
oltre l’ediicio, ino ad interrompersi, d’improvviso;
lì ci si accorge di essere davvero nel mezzo di
questo enorme spazio vuoto circondato di monti,
e voltandosi, l’ediicio mostra l’altro suo volto:
dall’altra parte della siepe, è ora la città ad essere
tagliata fuori dallo sguardo, e l’intuizione di pietra
intravvista tra le inestrelle si mostra come una serie
di massicce murature che rivestono le salette laterali
e recuperano le tecniche a secco degli antichi
alpeggi. Di colpo si avverte come questo museomuro non è solo un luogo di mostra, ma ambisce ad
operare a una più ampia scala, del paesaggio, e della
mente: protendendosi lungo l’accesso alla valle,
vuole forse proteggere dal tempo che passa questa
fonte formidabile di ispirazione e storie; ancor più,
desidera frapporre tra i due mondi una distanza, uno
spazio di attesa e decantazione. Ciò che ivi racconta,
non è che una prima fase dell’esplorazione, che
attraversando gli occhi dell’autore e le sue opere,
prepara inine al vero incontro con quel piccolo
mondo antico; l’ediicio è così l’ultimo pezzo della
storia; l’ultimo omaggio all’uomo e alla sua terra.
31
capriate; questa soluzione consente un’adeguata
o studio
Fehn
aveva
realizzato
un un
altro
edificio
preparazione all’evento della visita, trasfigurato
lo Norsk
studio
Fehn
aveva
realizzato
altro
edificio
Bremuseum 1993
capriate; questa soluzione consente un’adeguata
udioPoco
Fehn
aveva
realizzato
un
altro
edificio
prima di aver completato l’Aukrust Center,
preparazione all’evento della visita, trasigurato in un
eidei
rami
deldel
fiordo
di Sogne,
detto
Fjaerland;
la la
fiordo
di Sogne,
detto
Fjaerland;
lorami
studio
Fehn
aveva
realizzato
un
altro ediicio
ingresso nella roccia: la dimensione del paesaggio è
ramimuseale,
del fiordodall’altra
di Sogne,
detto
la uno dei
parte
delFjaerland;
paese, lungo
ridottaèagià
unounscorcio
orizzontale
che nega
all’occhio
d’intorno
ricordo
interrotto,
una
tensione,
d’intorno
è già
un
ricordo
interrotto,
una
tensione,
roprio
suldel
confine
dove
le montagne
cedono
proprio
sul
confine
le montagne
cedono
rami
iordo
didove
Sogne,
detto Fjaerland;
la posizione lo svettare dei monti e le prospettive lontane verso
d’intorno
è già
un ricordo
interrotto,d’intorno
una tensione,
prio non
sul confine
le montagne
cedono
potrebbedove
essere
più azzeccata:
proprio sul
il cielo
e i ghiacci.
L’ambiente
è già un
conine dove le montagne cedono il passo al mare,
ricordo interrotto, una tensione, un desiderio,
lì sorge oggi il Museo dei Ghiacciai, sotto le estreme
quando al termine della passeggiata, il portico
unauna
porta
minuscola,
l’accesso
all’edificio.
L’interno
porta
minuscola,
l’accesso
all’edificio.
L’interno
propaggini del più grande ghiacciaio dell’Europa
risale
la parete
inclinata
svelando
una nuda
parete
una porta
minuscola,
all’edificio.
L’interno
continentale, lo Jostedalsbreen. I ghiacci si
di cemento,
che sil’accesso
attraversa
tramite una
porta
sciolgono, oggi, a un ritmo impressionante, ma dietro minuscola, l’accesso all’ediicio. L’interno del museo
le creste dei monti e sullo sfondo delle vallate, fanno
è il calco in negativo della sua forma esterna: il
prosegue
la direzionalità
impostata
dal portico
prosegue
direzionalità
impostata
portico è ora
ancora capolino dei bianchi cappucci, sentinelle
compluviolache
tagliava per
il lungo dal
la copertura
esterno
e
consente
alla
luce
di
filtrare
al
di
sopra
esterno
e
consente
alla
luce
di
filtrare
al
sopra
00500
kmq;
un
universo
separato,
inaccessibile
kmq; un universo
inaccessibile
dell’immane
distesa separato,
che ancora
si estende alle loro prosegue
una pensilina
ribassata,
che prosegue
ladidirezionalità
la direzionalità
impostata
dal portico
spalle
per quasiseparato,
500 kmq;inaccessibile
un universo separato, esterno
impostata
dal portico
esterno
e consente
alla luce
e consente
alla luce
di filtrare
al di sopra
kmq;
un universo
Questa
di luce
è l’unico
contatto
fisico
i dimuri.
Questa
diilluminando
luce
è l’unico
contatto
inaccessibile all’uomo comune, e dal quale è dipeso, i muri.
iltrare
alfonte
di fonte
sopra
le
doghe
di fisico
legno
con
il
mondo
esterno;
una
volta
dentro
la
roccia,
con
il
mondo
esterno;
una
volta
dentro
la
roccia,
e tuttora dipende, così gran parte della storia di
chiaro
che
rivestono
i
muri.
Questa
fonte
di
luce
i muri. Questa fonte di luce è l’unico contatto fisico è
ifficili:
la proporzione
degli
spazi
e lae vastità
del
difficili:
la paese.
proporzione
degli
spazi
la vastità
deldi
questo
La missione
architettonica
era
mondolaesterno;
con ill’unico
mondocontatto
esterno;isico
una con
voltail dentro
roccia, una
veduta,
rivolta
verso
quel
mare
verso
cuidella
fluiscono
veduta,
rivolta
verso
quel
mare
verso
cui
fluiscono
quelle
dificili:
la
proporzione
degli
spazi
e
la
vastità
volta
dentro
la
roccia,
solo
nell’area
caffetteria
cili: la proporzione degli spazi e la vastità del
le
acque
una
volta
disciolte;
all’interno,
è
un
leè acque
unauna
voltaveduta,
disciolte;
all’interno,
è unmare
del contesto scoraggiavano un qualsiasi tentativo di veduta,
ammessa
rivolta
verso
quel
rivolta verso quel mare verso cui fluiscono
’edificio
nonnon
sioallarga
nella
valle,
mama
si contrae
L’edificio
sidi allarga
nella
valle,
si stesso
contraepiano. le acque
confronto
intervento
giocato
sullo
versouna
cuivolta
luiscono
le acque
una volta
disciolte;
all’interno,
è undisciolte;
L’ediicio non si allarga nella valle, ma si contrae
all’interno, è un susseguirsi di installazioni e
ificio
non si allarga
nella
valle,
ma sialluvionale;
contrae
upi
eindepositatosi
mezzo
ai terreni
blocco diincalcestruzzo,
dalle alte
esperimenti che come in un laboratorio, insegnano
rupi
eundepositatosi
in mezzo
ai precipitato
terreni alluvionale;
rupi e depositatosi in mezzo ai terreni alluvionale;
la vita e la meccanica dei ghiacci, la loro evoluzione
e depositatosi
in mezzo ai terreni alluvionale;
la tessitura scabra del cemento recupera le antiche
storica, la loro importanza, la loro bellezza.
e massicce murature delle fortezze norvegesi. Da
questo spunto iniziale, il blocco prende ad animarsi,
intrecciare
una rete ildilato
sottili
relazioni
col contesto
heche
sie irraggia
tutt’intorno;
cheche
inclinandosi
si irraggia
tutt’intorno;
il lato
inclinandosi
che
si
irraggia
tutt’intorno;
il
lato
che
inclinandosi
i èsiconficcato
nel
terreno
diviene
una
doppia
è conficcato nel terreno diviene una doppia
si irraggia
tutt’intorno;
il lato che
inclinandosi
si è coniccato
nel terreno
diviene
una doppia
conficcato
nel
terreno
diviene
una
doppia
scalinata
che
avvolgendo
il
percorso
onduce
sula
copertura;
salendo
lungo
di d’ingresso,
essa,
perper
conduce sula copertura; salendo lungo
di essa,
conduce sula copertura; salendo lungo di essa, per
duceunsula
copertura;
lungo
di essa, per piano
istante
i monti salendo
spariscono,
e ricompaiono
piano, scalino dopo scalino, e si ha l’impressione
di dirigersi verso il prossimo picco, sino a che dal
sommo del tetto si scopre per intero uno degli
ambienti naturali più belli al mondo. La stessa
forma data alla copertura rievoca una valle, con
un lungo e stresso compluvio al centro che piega
verso il mare, e rilascia nelle giornate di pioggia
l’acqua raccolta verso un laghetto, intorno cui con
il sole
si
raccolgono
i tavolini
L’elemento
maggior
efficacia
deldel
progetto
è però
ilbar.
lungo
portico
maggior
efficacia
progetto
èdel
però
il lungo
portico
di maggior eficacia del progetto è però il lungo
d’ingresso,
che col
suo ilintreccio
di legni scuri
ggiorportico
efficacia
del progetto
è però
lungo portico
ritaglia una tregua nella luce abbagliante, uno spazio
d’ombra appena scandito dal susseguirsi delle
32
33
34
eimportanti
custodire la pro
trascorse la sua giovinezza
trascorse
uno
la sua
dei giovinezza
piùlaimportanti
dei più
fiordo, raggiungere
valle diuno
Ørsta,
attraverso
Ivar Aasen - Tunet 2000
questa seconda lingua nazionale impone
ha ancora oggi
alla vista
discussi letterati
emontagne
Norvegia,
dinel
Norvegia,
cuore
nel
cuore
e padre,
altriunfiordi
su
cui
le padre,
strade
È quasi unepellegrinaggio,
partendodi
daldiscussi
remoto letterati
fortissimo
radicamento
nellasi
galassia
di piccole
pendio,
sopra la s
iordo, raggiungere
valle di Ørsta,
attraverso
comunità
sparpagliate
traaiBergen
e Trondheim,
del XIXlasecolo,
di una
del
XIX
nuova
secolo,
lingua
dinorvegese
una nuova
lingua
norvegese
interrompono
per
lasciare
il tratto
traghetti.
Qui
montagne e altri iordi su cui le strade si
spesso ancora isolate tra loro neiun
lunghi
mesi
arti
oggi chiamata Nynorsk.
oggi
chiamata
Là
leNynorsk.
strade siLà
dove Nel
lead
strade
siterrapieno
undove
centro
culturale
dedicato
Ivar diAasen,
interrompono per lasciare il tratto aisorge
traghetti.
dell’inverno
sub-artico.
progetto
Fehn questo
nasconde
gran p
non interrompono,
si ad
interruppe
il non
suo
viaggio
interruppe
illegno
suo viaggio
Qui sorge interrompono,
un centro culturale dedicato
Ivar a fianco
mondo
trova
nondisolodiriconoscimento,
madi
un luogo,
appena
allasi
casupola
dove
Aasen, appena
a ianco
allaricerca
casupola
di legnocomune
dove
uffici, mentre
in cui difendere
e custodire
la propria
decenni
alla
decenni
della
alla
ricerca
anima
della
di questa
comune
di identità.
questa
trascorse
la sua
giovinezza
uno deianima
più agli
importanti
trascorse la sua giovinezza uno dei più importanti e
L’ediicio non si impone alla vista,inmadue
sporge
fronti sfals
Norvegia
profonda,
lontana,
né
l’attività
instancabile
népendio,
l’attività
instancabile
enel
discussi
letterati
dilontana,
Norvegia,
padre,
nel
discussi letterati
di Norvegia,
padre,Norvegia
cuore delprofonda,
XIX
appena
a mezzo del
sopra
lacuore
strada che
dalla
strada
secolo, di che
una nuova
linguaanorvegese
percorre
valle;
un
artiiciale
ched’acc
lo portò
fondere
che
lelochiamata
varietà
portò
adei
fondere
lefondo
locali
varietà
deiterrapieno
dialetti
locali
deloggi
XIX
secolo,
didialetti
una ilnuova
lingua
norvegese
Nynorsk. Là dove le strade si interrompono, non si
si prolunga verso la valle nasconde
gran
parte del si s
dei
in un nuovo strumento
in
undichiamata
nuovo
comunicazione
strumento
ed
diLàcomunicazione
ed
dove le
sidueil colmi
interruppe il suo viaggio di decenni oggi
alla ricerca
della Nynorsk.
piano terreno,
destinato
aglistrade
ufici, mentre
secondo
l’impatto
della nu
emancipazione
perprofonda,
emancipazione
la gentilontana,
dei villaggi.
persilaèDa
genti
sempre
deiin villaggi.
Da
sempre
comune anima
di questa Norvegia
livello
scomposto
due
frontiviaggio
sfalsati,
didimodo
interrompono,
non
interruppe
il suo
né l’attività
instancabile che lopersino
portòcontrapposto,
a fondere
le
bianca
si stacca
che, Norvegese
per chi
giunge dalla strada
d’accesso
che
risale d
contrapposto,
osteggiato,
persino
dal
osteggiato,
Norvegese
decenni
alla ricerca
della
comune dal
anima
di questa
varietà dei dialetti locali in un nuovo strumento di
il pendio, le linee dei due colmi si sovrappongono,
Norvegia
lontana,
l’attività
instancabile
comunicazione ed emancipazione per
la genti deiprofonda,
rendendo
minimo né
l’impatto
della nuova
costruzione.
villaggi. Da sempre contrapposto, persino
osteggiato,
Una
grande
stele
bianca
si
stacca
da
questo
che lo portò a fondere le varietà dei dialetti localibasso
dal Norvegese colto che si parla ad Oslo e nel sud,
proilo, su cui orgogliosa campeggia l’autografo
in un nuovo strumento di comunicazione ed
emancipazione per la genti dei villaggi. Da sempre
contrapposto, persino osteggiato, dal Norvegese
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dello studioso, Ivar Aasen; salendo ancora lungo
un tornante che aggira questa stele, si accede
direttamente al primo livello. Un grande muro di
contenimento ci rivela che l’ediicio è ricavato
dentro la roccia, e proseguendo in profondità
attraverso una grande vetrata, ci invita a entrare.
Anche questo progetto si sviluppa lungo un asse
prevalentemente orizzontale, afidato a una sezione
costante che distribuisce le funzioni e decide
dell’approvvigionamento luminoso. Alcuni grandi
setti disposti a V, col vertice rivolto verso l’esterno,
reggono una copertura piana e piuttosto bassa;
proseguendo verso l’interno, questa copertura si
interrompe, per dare spazio ad una lunga semivolta
di cemento che incagliandosi dentro la montagna,
solleva appena la pelle d’erba che scende dal bosco,
rendendo l’intera struttura praticamente invisibile
dall’alto. Questa semivolta sporge in alto sopra la
copertura piana, realizzando così il piano sfalsato
che avevamo osservato, e piegando la luce della
valle verso gli ambienti espositivi sottostanti. Lo
schema dei setti a V, già sperimentato nella villa di
A. Bødker a Oslo, acquista una valenza altamente
simbolica; a ricordarlo sono gli allestimenti che
trovano spazio tra i setti, in cui appaiono lo scrittoio
dell’autore, i suoi libri, la sua biblioteca personale.
Questi grandi libri aperti di cemento scandiscono lo
spazio del museo, rendendolo volta a volta proiettato
verso la valle, oppure introverso, e buio; percorrendo
il corridoio centrale si inisce travolti dall’alternanza
di questi momenti, slanci di apertura e iducia verso
il mondo esterno, e lunghe pause di meditazione:
la dura vita del ricercatore, spesa interamente per
realizzare ino in fondo l’impossibile progetto di
cui parlò la prima volta ancora ventenne, di dare
unità alla nuova Norvegia, la Norvegia delle genti,
dei paesi, dei iordi. Questo gioco dei momenti,
preannunciato sin dallo scoprirsi progressivo
della isionomia dell’ediicio, è una strategia che
sovrintende a tanti altri dettagli, come le vetrate
verso la valle; una mensola le percorre, sulla quale è
possibile consultare le opere più signiicative scritte
in questa lingua, la sua letteratura. Addentrandosi
negli ambienti posti fra i setti, la linea della mensola
viviseziona il campo ottico in due comparti: verso il
basso, scorre la strada, scorre il tempo del presente
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e del cambiamento, su cui oscillano al vento gli steli
in iore che rivestono il terrapieno artiiciale. Più in
alto, le vetrate incorniciano il pendio opposto della
valle, verde, intatta, immota, la stessa montagna
che guardavano i suoi occhi. Un duplice movimento
della coscienza viene portato in supericie, di
identiicazione, che è memoria e comune identità, e
distanza, come individuale e attuale è la possibilità
della sua comprensione, la responsabilità della sua
sopravvivenza. Così la intendeva la ragazza, che
raccontava le antiche storie ai bambini, avendo
ascoltato le parole dello stesso architetto, quando
venne in visita al museo; e mi diceva in particolare
del teatro, con questa grande campata libera al suo
centro, intorno a cui lo spazio pareva frusciare, e
piegarsi nelle due alte fauci laterali, da cui durante
l’annuale festival Nynorsk le ragazze nel loro
costume cominciavano a recitare, e cantare prima
ancora di giungere in scena, e allora solo le parole e
le storie impregnavano lo spazio. Non credo facesse
parte del progetto, forse, solo di un comune sentire
per luogo e il suo valore, un momento d’incontro e di
comprensione reciproca di cui l’architettura in fondo
è il resto. Proprio dalla grande stele bianca piove
la luce che illumina la scena; la grande parete si fa
sfondo per l’evento, e insieme richiamo, visibile a
una grande distanza, sorgere improvviso e gradito
dalla terra che nutre tutti gli uomini.
Questa breve rassegna di opere vuole raccontare
un viaggio, e insieme una sequenza di realizzazioni
che in pochi anni ha scritto una pagina importante
della storia dell’architettura, non solo norvegese.
Ho provato a raccontarle, così come le ho vissute
con i miei occhi, senza cercare di trarre conclusioni
o estrapolare linee interpretative. Vorrei però
aggiungere un ultimo spazio, che è stato aggiunto
nel 2007 al Bremuseum; un percorso espositivo ad
anello collocato sul suo retro, verso i monti, come un
ultimo bastione del mondo antropizzato. In questo
percorso è incastonato un piccolo ambiente, in cui
inalmente viene concesso un contatto diretto con
il mondo di fuori; le sue pareti sono rivestite da un
sistema di specchi che scompongono l’immagine
in una serie disordinata di rilessi; il contatto
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concesso è criptico, e restituisce solo frammenti
di mondo. Cosa è che vediamo, sembra chiederci
questo spazio. Siamo certi di sentire, di avvertire
davvero la realtà per quello che è, o piuttosto è essa
il frutto di una serie di elaborazioni inconsce che
assommano strato su strato di esperienze e giorni
e memorie, ino a ricomporle in qualcosa che ha
solo l’apparenza della realtà d’intorno.. credo che
si condensi una poetica, tra questi specchi, che
ritorna con mille sfumature nelle opere di Sverre
Fehn; in esse non va cercata una risposta: rimane la
deinizione di un vocabolario architettonico semplice
e chiaro, un repertorio di esperimenti spaziali
profondi quanto immediati, e mai avulsi dal contesto
in cui operano. Tanti piccoli passi, uno dopo l’altro,
lungo la stessa strada; una strada nuova.
Foto dell’autore
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