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Collana diretta da Rossella Cancila 21. Orazio Cancila, Nascita di una città. Castelbuono nel secolo XVI, 2013, pp. 902 22. Claudio Maddalena, I bastoni del re. I marescialli di Francia durante la successione spagnola, 2013, pp. 323 23. Storia e attualità della Corte dei conti Atti del Convegno di studi Palermo, 29 novembre 2012, 2013, pp. 200 24. Rossella Cancila, Autorità sovrana e potere feudale nella Sicilia moderna, 2013, pp. 306 25. Fabio D'angelo, Caltanissetta: baroni e vassalli in uno stato feudale (secc. XVI-XVII), 2013, pp. 318 26. Jean-André Cancellieri, Vannina Marchi van Cauwelaert (éds), Villes portuaires de Méditerranée occidentale au Moyen Âge Îles et continents, XIIe-XVe siècles, 2015, pp. 306 INTRODUZIONE 33 Quaderni -Mediterranea -ricerche storiche In formato digitale i Quaderni sono reperibili sul sito www.mediterranearicerchestoriche.it A stampa sono disponibili presso la NDF (www.newdigitalfrontiers.com), che ne cura la distribuzione: selezionare la voce "Mediterranea" nella sezione "Collaborazioni Editoriali" Potere femminile -Regno di Napoli -committenza reale. Women's power -Kingdom of Naples -royal patronage. 2016 © Associazione no profit "Mediterranea" -Palermo ISBN 978-88-99487-46-1 (a stampa) ISBN 978-88-99487-42-3 (online) 5 L. Mascilli Migliorini, Metternich. L'artefice dell'Europa nata dal Sommario: Nel saggio si percorre lo sviluppo in Italia della storiografia di genere e della nascita dell'interesse per il rapporto donne e potere nell'età moderna, che era stato lungamente ignorato negli studi storici tradizionali. Le più recenti ricerche europee hanno invece evidenziato un forte protagonismo femminile, soprattutto nelle corti tra tardo seicento e nel corso del Settecento. Regine sub iuris, regine consorti o reggenti svolsero rilevanti compiti volti all'affermazione dell'assolutismo e dell'istituto monarchico in Europa fino alle soglie della rivoluzione francese. Parole chiave: donne, potere, regine, antico regime, rivoluzione francese, storia di genere, corte. women and Power: the female monarchy in the 18th century abStract: The essay retraces the development of the gender historiography in Italy and the birth of the interest for the relationship between women and power in the Early modern age, that had been ignored for a long time by the traditional historical studies. Instead the most recent European researches have underlined a strong female starring role, especially in the courts between the late 17th and during the 18th century. Queens sub iuris, queens consorts or regents developed remarkable assignments turned to the affirmation of the absolutism and the monarchic institution in Europe until the thresholds of the French revolution. 5 Sulla nascita del concetto di genere come riflessione sulla "differenza", si veda J.W. Scott, La storia delle donne, in P. Burke (a cura di), La storiografia contemporanea, trad. it., Laterza, Roma-Bari, 1993, pp. 68-69. 6 È l'espressione usata da P. Di Cori, Postfazione. Visione critica della storia e femminismo, in J.W. Scott, Genere, politica, storia, a cura di I. Fazio, Viella, Roma, 2013, p. 251. 7 Cfr. A. Jacobson Schutte, Introduction a E. Brambilla, A. Jacobson Schutte (a cura di), La storia di genere in Italia in età moderna. Un confronto tra storiche nordamericane e italiane, Viella, Roma, 2014, p. 15. 8 Il saggio di N. Zemon Davis aveva il titolo Women's history in transition: the European case, «Femminist Studies», 3 (1976), pp. 83-103. La sua traduzione in Italia appare l'anno successivo in «Nuova DWF», 3 (1977), pp. 7-33. Come ha evidenziato Ida Fazio, nella traduzione italiana non appare però il termine gender. Cfr. I. Fazio, Introduzione. Genere, politica, storia. A 25 anni dalla prima traduzione italiana de Il "genere": un'utile categoria di analisi storica, in J.W. Scott, Genere, politica, storia cit., p. 10. Donne e potere: la monarchia femminile nel XVIII secolo Giulio Sodano 7 6

33 Io, la Regina. Maria Carolina d’Asburgo-Lorena a cura di Giulio Sodano e Giulio Brevetti Io, la Regina Maria Carolina d’Asburgo-Lorena tra politica, fede, arte e cultura 33 Collana diretta da Orazio Cancila Collana diretta da Rossella Cancila Antonino Marrone, Repertorio della feudalità siciliana (1282-1390), 2006, pp. 560 21. Orazio Cancila, Nascita di una città. Castelbuono nel secolo XVI, 2013, pp. 902 2. Antonino Giuffrida, La Sicilia e l’Ordine di Malta (1529-1550). La centralità della periferia mediterranea, 2006, pp. 244 22. Claudio Maddalena, I bastoni del re. I marescialli di Francia durante la successione spagnola, 2013, pp. 323 3. Domenico Ligresti, Sicilia aperta (secoli XV-XVII). Mobilità di uomini e idee nella Sicilia spagnola, 2006, pp. 409 23. Storia e attualità della Corte dei conti Atti del Convegno di studi Palermo, 29 novembre 2012, 2013, pp. 200 4. Rossella Cancila (a cura di), Mediterraneo in armi (secc. XV-XVIII), 2007, pp. 714 5. Matteo Di Figlia, Alfredo Cucco. Storia di un federale, 2007, pp. 261 24. Rossella Cancila, Autorità sovrana e potere feudale nella Sicilia moderna, 2013, pp. 306 6. Geltrude Macrì, I conti della città. Le carte dei razionali dell’università di Palermo (secoli XVI-XIX), 2007, pp. 242 7. Salvatore Fodale, I Quaterni del Sigillo della Cancelleria del Regno di Sicilia (1394-1396), 2008, pp. 163 8. Fabrizio D’Avenia, Nobiltà allo specchio. Ordine di Malta e mobilità sociale nella Sicilia moderna, 2009, pp. 406 9. Daniele Palermo, Sicilia 1647. Voci, esempi, modelli di rivolta, 2009, pp. 360 1. 10. Valentina Favarò, La modernizzazione militare nella Sicilia di Filippo II, 2009, pp. 288 11. Henri Bresc, Una stagione in Sicilia, a cura di M. Paciico, 2010, pp. 792 12. Orazio Cancila, Castelbuono medievale e i Ventimiglia, 2010, pp. 280 13. Vita Russo, Il fenomeno confraternale a Palermo (secc. XIV-XV), 2010, pp. 338 14. Amelia Crisantino, Introduzione agli “Studii su la storia di Sicilia dalla metà del XVIII secolo al 1820” di Michele Amari, 2010, pp. 360 15. Michele Amari, Studii su la storia di Sicilia dalla metà del XVIII secolo al 1820, 2010, pp. 800 16. Studi storici dedicati a Orazio Cancila, a cura di A. Giuffrida, F. D’Avenia, D. Palermo, 2011, pp. XVIII, 1620 17. Scritti per Laura Sciascia, a cura di M. Paciico, M.A. Russo, D. Santoro, P. Sardina, 2011, pp. 912 18. Antonino Giuffrida, Le reti del credito nella Sicilia moderna, 2011, pp. 288 19. Aurelio Musi, Maria Anna Noto (a cura di), Feudalità laica e feudalità ecclesiastica nell’Italia meridionale, 2011, pp. 448 20. Mario Monaldi, Il tempo avaro ogni cosa fracassa, a cura di R. Staccini, 2012, pp. 206 I testi sono consultabili (e scaricabili in edizione integrale) nella sezione Quaderni del nostro sito (www.mediterranearicerchestoriche.it) 25. Fabio D’angelo, Caltanissetta: baroni e vassalli in uno stato feudale (secc. XVIXVII), 2013, pp. 318 26. Jean-André Cancellieri, Vannina Marchi van Cauwelaert (éds), Villes portuaires de Méditerranée occidentale au Moyen Âge Îles et continents, XIIe-XVe siècles, 2015, pp. 306 27. Rossella Cancila, Aurelio Musi (a cura di), Feudalesimi nel Mediterraneo moderno, 2015, pp. VIII, 608 28. Alessandra Mastrodonato, La norma ineficace. Le corporazioni napoletane tra teoria e prassi nei secoli dell’età moderna, 2016, pp. VII, 337 29. Patrizia Sardina, Il monastero di Santa Caterina e la città di Palermo (secoli XIV e XV), 2016, pp. XIV, 310 30. Orazio Cancila, I Ventimiglia di Geraci (1258-1619) 2016, pp. 500 31. Istituzioni ecclesiastiche e potere regio nel Mediterraneo medievale. Scritti per Salvatore Fodale, a cura di P. Sardina, D. Santoro, M.A. Russo, 2016, pp. 216 32. Minna Rozen, The Mediterranean in the Seventeenth Century: Captives, Pirates and Ransomers, 2016, pp. 154 33. Giulio Sodano, Giulio Brevetti (a cura di), Io, la Regina. Maria Carolina d’AsburgoLorena tra politica, fede, arte e cultura, 2016, pp. 308 a cura di Giulio Sodano e Giulio Brevetti Io, la Regina Maria Carolina d’Asburgo-Lorena tra politica, fede, arte e cultura 33 INTRODUZIONE 33 Quaderni – Mediterranea - ricerche storiche ISSN 1828-1818 Collana diretta da Rossella Cancila Comitato scientiico: Marcella Aglietti, Walter Barberis, Orazio Cancila, Pietro Corrao, Aurelio Musi, Elisa Novi Chavarria, Walter Panciera, Alessandro Pastore, Luis Ribot García, Angelantonio Spagnoletti, Mario Tosti In formato digitale i Quaderni sono reperibili sul sito www.mediterranearicerchestoriche.it A stampa sono disponibili presso la NDF (www.newdigitalfrontiers.com), che ne cura la distribuzione: selezionare la voce "Mediterranea" nella sezione "Collaborazioni Editoriali" Potere femminile - Regno di Napoli - committenza reale. Women's power - Kingdom of Naples - royal patronage. 2016 © Associazione no proit “Mediterranea” - Palermo ISBN 978-88-99487-46-1 (a stampa) ISBN 978-88-99487-42-3 (online) Nel dicembre 2014, il Dipartimento di Lettere e Beni Culturali della Seconda Università degli Studi di Napoli ha organizzato una giornata seminariale dedicata a Maria Carolina d’Asburgo-Lorena, in occasione del bicentenario della morte. Tale giornata non è nata dalla facile propensione al “revisionismo” di marca neoborbonica che va tanto di moda negli ultimi anni. Maria Carolina fu, resta e resterà senza appello la principale autrice dell’ascesa al patibolo della “meglio gioventù” del Regno di cui il destino l’aveva chiamata a esser regina. Fu l’incarnazione di tutte le contraddizioni e dei limiti della stagione dell’assolutismo illuminato, del riformismo settecentesco, che tanto contribuì allo sviluppo della civiltà europea, ma che rimase bloccato in gran parte dei suoi progetti di rinnovamento, rendendo “inevitabile” la svolta rivoluzionaria di ine secolo a cui Maria Carolina assistette come non impassibile testimone. Pur tuttavia, ciò non rende il personaggio storico meno meritevole di approfondimenti, proprio perché coloro che vissero, con le loro contraddizioni, in epoche dai forti contrasti, sidano gli storici a non indulgere in facili sempliicazioni della vita. Conoscere e comprendere non signiicano giustiicare, ma dar conto della complessità del divenire storico. Attraverso percorsi pluridisciplinari, il titolo della giornata di studi – Io, la Regina – ha voluto rievocare quel ruolo di sovrana che Maria Carolina, più di ogni altra regina del Regno, ricoprì, segnando un’epoca. Con tale titolo, da un lato si è voluto sottolineare il fatto che Maria Carolina sia stata, nel bene e nel male, la vera grande regina del Regno di Napoli, con un protagonismo politico che altre non ebbero; dall’altro lato si è voluto richiamare in modo incisivo la dimensione della regalità dell’età moderna. La costruzione di quella maschile è stata ribadita dalla storiograia attraverso la igura di Filippo II che irmava i suoi atti con «Yo, el rey». E pur tuttavia va considerato che con l’imperiosa irma «Yo, la reina» furono siglate le disposizioni testamentarie di Isabella di Castiglia, a prova evidente che alla formazione di quella regalità concorse in modo rilevante la componente femminile delle case reali. La igura di Maria Carolina è stata ricordata tra le donne che occuparono il ruolo di regine, regine consorti, reggenti nell’Euro- VI Introduzione pa dell’età moderna. A tal proposito, si è sottolineato come il suo matrimonio fosse imposto da motivi politici e quanto fosse stato all’inizio molto infelice, a causa della convivenza con un uomo che lei trovava «bruttissimo». La grande Maria Teresa non esitò a sottolineare che dovere delle donne fosse quello di essere sottomesse ai mariti, «alle loro volontà e perino ai loro capricci, se innocenti»1. Si tratta, in realtà, di raccomandazioni tradizionali, peraltro ben presenti nella società napoletana, se si pensa che già nel Rinascimento aragonese personaggi come Giovanni Pontano o Diomede Carafa raccomandavano che le virtù delle nobildonne dovessero essere obbedienza e sottomissione. Nella tradizione meridionale c’era altresì quanto sottolineato da Scipione Ammirato nel Delle famiglie nobili napoletane, pubblicato tra il 1577 e il 1580, e cioè il rilievo di illustri esempi di donne dotate di cultura e capaci di dirigere la famiglia anche politicamente2. E infatti, nonostante gli inviti alla sottomissione sia da parte della famiglia sia di una lunga tradizione, Maria Carolina riuscì a sostituire il marito nella direzione di numerosi affari di Stato, ino a divenire l’organizzatrice in Sicilia della resistenza antinapoleonica. Inevitabile è il confronto tra le due sorelle – Carlotta e Antonia – entrambe travolte dalla rivoluzione francese, ma mentre la seconda è stata ampiamente – forse troppo ampiamente – rivisitata storiograicamente, ino a farne in alcuni casi un’eroina, l’immagine della sovrana di Napoli necessita ancora di una rilessione. Questo volume raccoglie e aggiorna gli studi presentati e le rilessioni scaturite in quella giornata seminariale, assieme ad altri contributi che amiche e amici hanno voluto offrire. I saggi che seguiranno, di argomenti diversi e di lunghezza variabile, sono di autori provenienti da università e istituzioni differenti che hanno dunque accolto con entusiasmo e generosità l’invito a soffermarsi e a rilettere, dalla loro prospettiva, su un personaggio complesso e ancora oggi poco presente negli studi scientiici in un’ottica multidisciplinare, affrontando così aspetti disparati legati a questa regina: Sodano rilette sul potere delle donne in antico regime, con particolare attenzione alla costruzione della regalità femminile nei 1 C. Casanova, Regine per caso. Donne al governo in età moderna, Laterza, Roma-Bari, 2014, pp. 183-85. 2 Cfr. M.A. Visceglia, Il bisogno di eternità. I comportamenti aristocratici a Napoli in età moderna, Guida, Napoli, 1998, pp. 141-174. Introduzione secoli dell’età moderna; Cirillo si sofferma sulle riforme politiche del Regno borbonico; Novi Chavarria affronta il rapporto della sovrana con la fede mediato dalla igura del confessore; Del Mastro quello con l’Antico e gli scavi di Ercolano; Cotticelli e Maione quello con il teatro, la musica e in generale col mondo dello spettacolo; Zito l’amore per i libri e per la sua biblioteca; de Martini quello per l’oreiceria; Baumgartner quello con Vienna, sua culla e tomba; Brevetti quello con la propria immagine, e dunque con l’iconograia pittorica uficiale. Ad animare dall’inizio questo progetto non è soltanto la varietà degli interessi, ma anche il proposito di studi non schiacciati tutti su Napoli e sugli anni del Regno, alla ricerca di una prospettiva più europea e legata a doppio ilo con la patria d’origine. Nata e cullata nella corte viennese, Maria Carolina guarda costantemente alla sua terra. «Sii una tedesca nel tuo cuore, e nella rettitudine della mente; in tutto ciò che non ha importanza, invece, ma non in quel che è male, devi sembrare napoletana»3: questo le raccomanda sua madre Maria Teresa in una delle tante lettere della itta corrispondenza segnata non solo da note affettive, ma da consigli politici. E in effetti tale resterà Maria Carolina, che negli ultimi mesi di vita ritornerà come ospite indesiderato e scomodo nella sua corte d’origine, dove percepirà il cambiamento ormai intercorso nell’Europa del tempo e dunque anche nel suo paese natale. Tale amara consapevolezza afiora in alcune lucidissime ed elegiache righe scritte poche settimane prima di morire alla iglia Cristina, regina consorte di Sardegna: Non può più commuovermi niente su questa terra. Il giorno in cui fui cacciata dalla Sicilia come una donna di teatro… decise del mio destino… La mia vita in questo mondo è inita… Non sono oggetto di interesse che per poche vecchie signore, che escono solo per vedere l’ultima iglia vivente di Maria Teresa… Il Prater è bellissimo e tutto verde, ma per me non c’è più niente di attraente4. Maria Carolina visse negli anni della situazione di scacco in cui si venne a trovare l’esperienza dell’assolutismo illuminato con l’irruzione sulla scena europea del tumultuoso movimento della 3 Lettera dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria a sua iglia Maria Carolina, riportata in H. Acton, I Borboni di Napoli (1734-1825), Giunti, Firenze, 1999, p. 147. 4 Lettera di Maria Carolina a sua iglia Maria Cristina, ivi, p. 703. VII VIII Introduzione rivoluzione. Nella recente biograia del Metternich di Luigi Mascilli Migliorini colpisce un passaggio da cui risulta quanto Maria Carolina fosse consapevole che l’ondata di guerre a seguito della rivoluzione stava dando una nuova forma all’Europa5. Era infatti la ine della Societé des princes, come titola il bel libro di Lucien Bély, società alla quale le regine avevano tanto contribuito proprio attraverso le loro relazioni internazionali. La rilessione che si è condotta su Maria Carolina ci pone quindi domande a cui forse varrà la pena di rispondere in studi e lavori successivi che ci si augura di intraprendere e fare intraprendere: la sua visione fu quella di una sorda opposizione, di un “andar contro” o quella di “attraversare” la rivoluzione come fecero altri personaggi più lungimiranti? Quali reciproche inluenze si ebbero, per la sua presenza, tra la corte viennese e quella napoletana? Quanto davvero determinante il suo ruolo nella diffusione degli ideali massonici nel Regno e quanto questi – che in alcuni saggi del volume emergono talvolta netti, talvolta più sfumatamente – sono stati importanti, se non decisivi, nel suo pensiero e nella sua politica? Come e quanto hanno pesato nel Regno le sue scelte in campo artistico, culturale e nelle forme della socialità? Quale capacità e quale ruolo ebbe inine nell’imprimere alla corte borbonica un proprio stile? I curatori colgono l’occasione della pubblicazione di questo volume per ringraziare Rosanna Ciofi della sensibilità nell’aver sostenuto l’organizzazione della giornata seminariale che fu da lei presieduta. Si ringraziano altresì il professore Andreas Gottsmann e l’Istituto Storico Austriaco di Roma per l’interesse manifestato a sostegno dell’iniziativa scientiica. Giulio Sodano, Giulio Brevetti 5 L. Mascilli Migliorini, Metternich. L’arteice dell’Europa nata dal Congresso di Vienna, Salerno editrice, Roma, 2014, pp. 36-37. IO, LA REGINA MARIA CAROLINA D’ASBURGO-LORENA TRA POLITICA, FEDE, ARTE E CULTURA Giulio Sodano DONNE E POTERE: LA MONARCHIA FEMMINILE NEL XVIII SECOLO Sommario: Nel saggio si percorre lo sviluppo in Italia della storiograia di genere e della nascita dell’interesse per il rapporto donne e potere nell’età moderna, che era stato lungamente ignorato negli studi storici tradizionali. Le più recenti ricerche europee hanno invece evidenziato un forte protagonismo femminile, soprattutto nelle corti tra tardo seicento e nel corso del Settecento. Regine sub iuris, regine consorti o reggenti svolsero rilevanti compiti volti all’affermazione dell’assolutismo e dell’istituto monarchico in Europa ino alle soglie della rivoluzione francese. Parole chiave: donne, potere, regine, antico regime, rivoluzione francese, storia di genere, corte. women and Power: the female monarchy in the 18th century abStract: The essay retraces the development of the gender historiography in Italy and the birth of the interest for the relationship between women and power in the Early modern age, that had been ignored for a long time by the traditional historical studies. Instead the most recent European researches have underlined a strong female starring role, especially in the courts between the late 17th and during the 18th century. Queens sub iuris, queens consorts or regents developed remarkable assignments turned to the afirmation of the absolutism and the monarchic institution in Europe until the thresholds of the French revolution. KeywordS: women, power, queens, Old regime, French revolution, gender history, court. 1. Storia delle donne e gender history in Italia In Italia, in ritardo rispetto agli Stati Uniti1, l’interesse per le ricerche di genere sono maturate dagli anni ’80 del secolo scorso. Chi qui scrive ha potuto sperimentare che in più occasioni ancora oggi pronunciare la parola gender in consessi scientiici solleva perplessità e vivaci discussioni, da cui tuttavia si evince che in fondo non tutti, sia i detrattori che i sostenitori di questo ilone di 1 Sulla fortuna negli anni Settanta degli women’s studies negli Stati Uniti, si veda J. Kirshner, Genere e cittadinanza nelle città-stato del Medioevo e del Rinascimento, in G. Calvi (a cura di), Innesti. Donne e genere nella storia sociale, Viella, Roma, 2004, p. 21. 4 Giulio Sodano Donne e potere: la monarchia femminile nel XVIII secolo ricerca, abbiano idee pienamente condivise su cosa si stia parlando. Per non parlare poi di chi ritiene che la gender history sia un tabù, e che a praticarla debbano essere esclusivamente le donne2. In realtà, nella nostra penisola, così come altrove, è stata a lungo scarsamente recepita la differenza tra la history of women e la più recente gender history. La prima aveva praticato due paradigmi che col tempo sono stati percepiti antiquati: la storia delle “donne notabili”, da proporre come uguali agli uomini; la storia delle donne in permanente conlitto con il “patriarcato”. È andata inoltre maturando la convinzione critica che essa avesse come conseguenza una storia separata dalla storia generale, inendo col ratiicare, né più, né meno, la marginalizzazione delle donne3. Da parte di esponenti del mondo femminista si è quindi ritenuto che quell’impostazione storiograica, pur avendo generato nuove conoscenze, restasse poco proicua e rischiasse di essere una prospettiva inoffensiva e autoghettizzante. Si sottolineava invece che un’indagine sulla donna nella storia non aveva senso come donna separata, ma era invece fondamentale la questione focale della relazione. Nell’introduzione al volume dell’età moderna della Storia delle donne di Duby-Perrot, Zemon Davis e Arlette Farge, pur non facendo un esplicito riferimento alla gender history, scrivevano: «prendere la donna “sul serio” signiica reinserire la sua attività nell’ambito delle relazioni che si istituiscono fra lei e l’uomo, e riconoscere che il rapporto tra i sessi è una produzione sociale, di cui lo storico può e deve fare la storia»4. La rilessione sul genere nasceva quindi da una rilessione più complessiva su come pensare alla “differenza” e come il costituirsi della differenza avesse deinito le relazioni tra gli individui e i gruppi5. Le ricerche sulla storia delle donne progressivamente si sono quindi trasformate in gender’s studies, intesi come un campo più inclusivo, che prendesse in esame soprattutto le relazioni tra sessi, nonché, in tempi ancor più recenti, una visione più politically correct al cui interno fossero compresi anche i generi transgender, uscendo fuori quindi da interpretazioni «troppo bianche e troppo eterosessuali» del gender6. Uno degli effetti della storia delle donne era, infatti, stato, tra l’altro, che l’uomo apparisse come un monolitico nemico, astratto e privo di spessore storico, e anche a questo si è voluto porre rimedio7. L’elemento relazionale è quindi al centro della storia di genere, tenuto conto che altro aspetto posto con forza è il riiuto che l’anatomia determinasse il destino delle donne: non sono stati quindi il sesso e la natura a determinare le diseguaglianze tra donne e uomini, ma le relazioni di potere storicamente stabilitesi tra uomini e donne, che solo successivamente vengono attribuite al sesso e alla natura. Nel 1976 Natalie Zemon Davis prendeva le distanze dall’opposizione binaria uomini oppressori/donne oppresse, sottolineando che le ricerche di gender proponevano di rilevare la complessità delle reti relazionali e il loro funzionamento nel preservare e cambiare la società così come emergevano dalla storia sociale8. Nel 1986, poi, appariva alle stampe il noto articolo di Joan W. Scott, per la quale la categoria gender imponeva un severo esame critico sulle premesse e sui modelli di ricerca ino ad allora utilizzati nella storia delle donne. La Scott sottolineava che il genere nasceva come riiuto del determinismo biologico, che era stato il pericoloso presupposto, invece, per fare una storia delle donne separata dalla 2 Il presente saggio nasce soprattutto da un “impulso didattico” stimolato dagli argomenti trattati nel corso di Storia dell’Europa moderna per la laurea magistrale in Filologia classica e moderna del Dipartimento di Lettere e Beni Culturali della Seconda Università degli Studi di Napoli, dedicato alle donne di potere nell’età moderna, che ha visto la entusiastica partecipazione di studentesse e studenti, che hanno contribuito ad arricchire una rilessione da cui il corso stesso ha tratto grande giovamento. Molto dibattuto è stato il nodo sull’identiicazione di una speciicità di genere femminile nella politica e la questione è rimasta aperta. Tuttavia una cosa ha accomunato molti interventi: qualsiasi rilessione va svolta esclusivamente all’interno del processo storico. Si coglie l’occasione per ringraziare tutte/i le/i partecipanti ai corsi 2014-2015 e 2015-2016 3 Cfr. F. Collin, Storia e memoria. La marca e la traccia, in L. Capobianco (a cura di), Donne tra memoria e storia, Liguori, Napoli, 1993, p. 35. 4 N. Zemon Davis, A. Farge, Introduzione a G. Duby, M. Perrot (a cura di), Storia delle donne dal Rinascimento all’età moderna, trad.. it., Laterza, Roma-Bari, 1995, p. 4. 5 Sulla nascita del concetto di genere come rilessione sulla “differenza”, si veda J.W. Scott, La storia delle donne, in P. Burke (a cura di), La storiograia contemporanea, trad. it., Laterza, Roma-Bari, 1993, pp. 68-69. 6 È l’espressione usata da P. Di Cori, Postfazione. Visione critica della storia e femminismo, in J.W. Scott, Genere, politica, storia, a cura di I. Fazio, Viella, Roma, 2013, p. 251. 7 Cfr. A. Jacobson Schutte, Introduction a E. Brambilla, A. Jacobson Schutte (a cura di), La storia di genere in Italia in età moderna. Un confronto tra storiche nordamericane e italiane, Viella, Roma, 2014, p. 15. 8 Il saggio di N. Zemon Davis aveva il titolo Women’s history in transition: the European case, «Femminist Studies», 3 (1976), pp. 83-103. La sua traduzione in Italia appare l’anno successivo in «Nuova DWF», 3 (1977), pp. 7-33. Come ha evidenziato Ida Fazio, nella traduzione italiana non appare però il termine gender. Cfr. I. Fazio, Introduzione. Genere, politica, storia. A 25 anni dalla prima traduzione italiana de Il “genere”: un’utile categoria di analisi storica, in J.W. Scott, Genere, politica, storia cit., p. 10. 5 6 Giulio Sodano storia generale. Il genere era invece un modo per indicare le costruzioni culturali all’origine delle idee che avevano identiicato i ruoli delle donne e degli uomini, una categoria costitutiva delle relazioni sociali: si indicava come compito della storia l’operatività del genere nel passato9. Era una presa di distanza anche della riduzione del genere, come per alcuni casi era avvenuto, a donna e femminilità10. La Scott ha poi successivamente sottolineato che sebbene nella teoria si fosse affermato che sex si riferisse alle categorie biologiche e gender a quelle culturali e sociali, di fatto i tentativi di emendare il termine gender da connotazioni naturali e promuoverne lo status di termine indicante la costruzione sociale avevano ancora dificoltà ad affermarsi dopo diversi lustri dall’introduzione della categoria. Tutto ciò, a giudizio della storica americana, confermava ancora di più la confusione e la dificoltà di distinzione tra i due termini11. Gli studiosi della storia delle donne sono stati dunque spinti a interrogarsi speciicamente sul problema dell’identità, che si deinisce nell’incontro con il diverso da sé. È questo il motivo per il quale, seppur in numero minore, con la gender history hanno preso quota anche saggi sulla mascolinità12. Per l’Italia, recentemente Elena Brambilla ha deinito la storia di genere «in chiave non aggiuntiva e marginale, ma pienamente integrata nel solco della storia generale, secondo il variare del nesso universale, ancora tutto da studiare tra i ruoli maschili e femminili». E ancora più avanti: «come storia di genere e non di sessi, storia della costruzione sociale delle identità maschili e femminili»13. Con il numero del 1989 di «Memoria» il genere era entrato a far parte pienamente dell’interesse della storiograia italiana14. La ri9 Il saggio della Scott era apparso in «The American Historical Review», 15, 91 (1986 ), con il titolo originale Gender: a useful category of historical analysis. In Italia il saggio esce col titolo Il genere: un’utile categoria di analisi storica, «Rivista di storia contemporanea», XVI, 4 (1987), pp. 560-586. Si fa qui riferimento alla versione stampata nel volume J.W. Scott, Genere, politica, storia cit., pp. 31-63. 10 Cfr. G. Zarri, Storia delle donne e storia religiosa: un innesto riuscito, in G. Calvi (a cura di) Innesti cit., pp. 149-173. 11 Si veda il saggio della Scott del 1999 in J.W. Scott, Genere, politica, storia cit., pp. 65-66. 12 S. D’Cruze, Venuta dal freddo: i quindici anni di «Gender&History», in M. Palazzi, I. Porciani (a cura di), Storiche di ieri e di oggi. Dalle autrici dell’Ottocento alle riviste di storia delle donne, Viella, Roma, 2004, pp. 180-184. Si veda anche G. Zarri, Storia delle donne e storia religiosa cit., pp. 149-173. 13 E. Brambilla, La scienza al femminile: gli studi nordamericani, in Ead., A. Jacobson Schutte (a cura di), La storia di genere in Italia cit., p. 80. 14 Cfr. G. Calvi, Chiavi di lettura, introduzione a Ead. (a cura di), Innesti cit., pp. IX-X. Donne e potere: la monarchia femminile nel XVIII secolo vista era infatti nata programmaticamente per praticare la gender history: nel suo primo numero era stato esplicitamente scritto che il suo obiettivo era «una storia delle relazioni tra uomini e donne, tra sessi e mentalità, tra forme istituzionali e forme culturali»15. Per le curatrici del primo numero la storia di genere doveva contemplare una visione storiograica per la quale donne e uomini sono attori in una società dual-gender e pertanto quella di genere sarebbe una storiograia più attenta della storia delle donne alla dimensione della società e ai suoi mutamenti16. Anche per la redazione della rivista la categoria di gender offriva la via d’uscita dalla deinizione di “innata essenza femminile” che imprigionava l’identità femminile delle donne in una condizione immutabile, determinata dal sesso. Numerosi e vari sono stati i giudizi sull’impatto nella storiograia italiana della storia di genere, che ha avuto un’articolazione propria e distante per numerosi aspetti dalla storiograia anglosassone. Tiziana Plebani, ad esempio, ha sottolineato che nella nostra penisola si è preferito dislocare l’attenzione e il punto di osservazione dal potere e dalle istituzioni, alla ricerca di pratiche sociali e culturali, incrociando la storia della cultura materiale17. È stato poi sottolineato che la storia di genere non è riportabile a un unico canone storiograico, ma che esistono una pluralità di approcci. In realtà il gender è di frequente diventata una voce alla moda, che in alcuni casi non ha fatto altro che riproporre il vecchio modo della “storia delle donne”. Come più volte è stato sostenuto, la categoria ha ricevuto un’accoglienza spesso fraintesa, continuando a far coincidere “condizione femminile” con “genere”, tralasciando la nozione relazionale che era proprio il punto di forza della gender history, e continuando quindi, in alcuni casi, pur dichiarando di fare storia di genere, a scrivere una storia delle donne separate. Si è detto che la gender history nel migliore dei casi è stata accolta nel nostro paese come un portato della storia sociale, nel peggiore come una variabile meno pericolosa della storia delle donne, e cioè come una storia che non escludesse gli uomini18. Proprio privilegiando la microstoria, la ricerca italiana ha di fatto operato con 15 Si veda in proposito A. Groppi, L’esperienza di «Memoria» fra invenzione e innovazione, in M. Palazzi, I. Porciani (a cura di), Storiche di ieri e di oggi, cit., p. 243. 16 A. Jacobson Schutte, Introduction cit. p. 15. 17 Cfr. T. Plebani, La ricerca italiana di genere su cultura femminile e Illuminismo, in E. Brambilla, A. Jacobson Schutte (a cura di), La storia di genere in Italia cit., 140. 18 Cfr. I. Fazio, Introduzione cit., p. 11. 7 8 Giulio Sodano poche distinzioni tra genere e storia delle donne, utilizzando in modo pragmatico le differenze dei ruoli sessuali19. D’altra parte, tutto ciò non è accaduto esclusivamente per la storiograia italiana: come ebbe a sottolineare Aurelio Musi, la stessa Storia delle Donne pubblicata dalla Laterza in realtà oscillava tra una storia separata delle donne e una storia delle donne in cui le relazioni costituivano il quadro di riferimento20. Il dato, però, che a mio giudizio è stato più caratterizzante è che prevalentemente la storiograia italiana che ha accolto le suggestioni della gender history, ha preferito restare ancorata all’epistemologia classica, recependo scarsamente la tendenza statunitense al decostruzionismo21. Come ha evidenziato Giulia Calvi, nell’impostazione originaria di «Memoria» si sovrapponevano soggettività e genere, peccando di un certo semplicismo, e si sottolineava il carattere della soggettività come costruzione sociale e culturale, mentre nella storiograia delle scienze sociali proprio le categorie di soggetto e genere tendevano a escludersi reciprocamente. La stessa Scott, d’altra parte, aveva ribadito che la categoria di gender era un modo per fare riferimento alle origini esclusivamente sociali della identità soggettiva di uomo e donna, tanto da non necessariamente includere la sessualità stessa: il gender può includere il sesso, ma senza esserne determinato22. Quella sovrapposizione di soggettività e genere, tuttavia, ha sottolineato la Calvi, aveva la sua ragion d’essere, perché rispondeva al peculiare carattere della ricerca italiana, che si è tenuta lontana dal decostruzionismo e dallo scetticismo epistemologico della gender history statunitense23. Quella sovrapposizione operata dalla rivista ha dato invece vita a un posizione storiograica che è stata ampiamente diffusa in Italia24. L’elaborazione della categoria gender era infatti nata in connessione al decostruzionismo25 e strettamente legata all’esigenza di una riscrittura della storia generale. Se la women’s history negli G. Calvi, Chiavi di lettura cit., p. XVII. A. Musi, Donne, potere e politica, in M.R. Pelizzari (a cura di), Le donne e la storia. Problemi di metodo e confronti storiograici, Esi, Napoli, 1995, p. 183. 21 G. Calvi, Chiavi di lettura cit., pp. X-XI. 22 Cfr. J.W. Scott, Il genere: un’utile categoria cit., p. 36. 23 G. Calvi, Chiavi di lettura cit., p. X. 24 Ivi, pp. IX-X. 25 Sui richiami espliciti al decostruzionismo e a Derrida da parte della Scott, si veda I. Fazio, Introduzione cit., p. 11. La stessa Scott in un saggio più recente del 2008, ha ricordato come le sue indicazioni storiograiche nascessero dalle suggestioni provenienti dalla storia, ma anche dalla letteratura post-strutturalista, partendo dal problema che le differenze di sesso non erano determinate per natura, ma stabilite attraverso il linguaggio. Per l’intervento si veda J.W. Scott, Genere, politica, storia cit., p. 94. 19 20 Donne e potere: la monarchia femminile nel XVIII secolo anni ’70 si era connotata per l’esigenza di aggiungere nuovi capitoli alla storia generale – si pensi ai manuali scolastici, con i discutibili riquadri dedicati al lavoro femminile, alla condizione delle lavoratrici, alle streghe e alle eretiche, ecc. –, la nuova gender history ha posto il problema della rifondazione delle tradizionali cronologie. La domanda di Joan Kelly del 1977 sull’esistenza o meno di un Rinascimento per le donne26 era una sida proprio in tale direzione e non era casuale che al centro di quella provocazione ci fosse proprio il Rinascimento, in quanto svolta periodizzante della storiograia tradizionale “maschilista” nella fondazione di quella modernità così al centro delle critiche di parte delle storiche femministe. In quella domanda era insito l’ambizioso progetto di poter riformulare e “riscrivere” le categorie tradizionali della periodizzazione: le cesure storiche erano state le stesse per gli uomini e le donne? Era possibile leggere il passato in termini di differenza sessuale? Le cesure cronologiche rilevanti da considerare non erano più quelle che avevano determinato cambiamenti in un “generico universale”, bensì quelle che avevano prodotto radicali modiiche nelle relazioni tra i sessi27. Insomma, i mutamenti di rilievo della storia da cercare e a cui attribuire valori periodizzanti universali erano quelli che segnavano il mutamento della relazione tra uomo e donna e non più quelli nella storia dell’“umanità”. È stato, tuttavia, notato che, nel giro, di pochi anni proprio la capacità assegnata alla gender history di ridisegnare una nuova periodizzazione è stata ampiamente ridimensionata28. Gli appelli alla destrutturazione della storia come comparivano ancora agli inizi degli anni ’9029, a me sembrano, col procedere delle ricerche, che si siano andati dissol26 Cfr. J. Kelly-Gadol, Did women have a Renaissance?, in R. Bridenthal, C. Koonz (a cura di), Becoming visible: Women in European History, Houghton Miflin, Boston, 1977, pp. 175-201. 27 Alcuni esempi nelle conclusioni del saggio di C. Dauphin, A. Farge et alii, Culture et poivoir des femmes: essai d’historiographie, «Annales ESC», 41, 2 (1986), pp. 290-291. 28 Cfr. T. Detti, Tra storia delle donne e “storia generale”: le avventure della periodizzazione, in G. Calvi (a cura di), Innesti cit., pp. 293-307. 29 Un forte impegno alla destrutturazione emergeva nel volume di L. Capobianco (a cura di), Donne tra memoria e Storia cit. Nell’introduzione la curatrice invitava a una programmatica destrutturazione della storia che rendesse evidente le modalità del processo di maschilizzazione della disciplina e perché fossero riportate tradizioni femminili di pari dignità a quelle maschili. In realtà, quindi, non è che poi fosse sempre esplicito il richiamo alla dimensione relazionale della gender history. Nel saggio della F. Collin, Storia e memoria. La marca e la traccia, si parla di una storia delle donne per la quale «non vi è costruzione a partire da una tabula rasa, ma piuttosto decostruzione e ricostruzione». Ivi, p. 38. 9 10 Giulio Sodano vendo e si può dire che la destrutturazione sia stata molto proclamata, soprattutto negli anni delle origini, ma di fatto assai poco praticata senza produrre signiicativi risultati storiograici. Non che in Italia fossero state assenti proposte più fortemente connotate dal decostruzionismo, nate soprattutto dalle suggestioni offerte dal mondo degli studi letterari. Ilaria Porciani, ad esempio, ha posto esplicitamente l’esigenza di rivisitare la storia “decostruendola”. Probabilmente non è un caso che una proposta fedele al decostruzionismo sia venuta da una studiosa che ha avuto interessi legati soprattutto alla critica letteraria e alla pratica scrittoria della donna nell’Ottocento, campi, a giudizio della Porciani, lungamente rimasti poco rinnovati nella metodologia della ricerca storica, in quanto dominati dai paradigmi storicisti e marxisti30. La ricerca, tuttavia, ha evidenziato che le categorie periodizzanti si sono dimostrate impossibili da superare, proprio a partire da quella di Rinascimento. Da questo punto di vista rilevante è stato il contributo degli studi religiosi, particolarmente fecondi tanto che tra storia delle donne e storia religiosa si è parlato di un «innesto riuscito»31. La vita religiosa, paradossalmente ritenuta dalla storiograia del primo femminismo un campo assolutamente al maschile, si è rivelata un campo nel quale è invece emerso che le donne poterono giocare un ruolo attivo, e per il quale maggiormente sono state a disposizioni degli storici le fonti per una ricostruzione delle forme del loro protagonismo. Come tuttavia ha sottolineato Galasso, l’attenzione verso la dimensione femminile della storia religiosa non è derivata tanto dagli studi di genere, ma da un precoce interesse della storia socio-religiosa nel suo complesso32. È stato un ilone di ricerca, peraltro, particolarmente fortunato nell’ambito della storiograia sul Mezzogiorno d’Italia, soprattutto al riguardo del mondo dei monasteri femminili, dei legami che persistevano tra monache e famiglie d’origine, del ruolo svolto dagli istituti di perfezione nell’ambito della società del tempo33. Il terreno della clausura 30 I. Porciani, Storiche italiane e storia nazionale, in Ead, M. Palazzi, (a cura di), Storiche di ieri e di oggi cit., p. 63. 31 Cfr. G. Zarri, Storia delle donne e storia religiosa: un innesto riuscito, in G. Calvi (a cura di), Innesti cit., pp. 149-173. 32 G. Galasso, L’esperienza religiosa delle donne, in Id., A Valerio (a cura di), Donne e religione a Napoli. Secoli XVI-XVIII, Franco Angeli, Milano, 2001, pp. 14-15. 33 Per quanto riguarda la vita religiosa al femminile nel Mezzogiorno, si rinvia al volume citato nella precedente nota. Per il Mezzogiorno molto precoce è stato lo studio dei monasteri femminili con C. Russo, I monasteri femminili a Napoli nel secolo XVII, Donne e potere: la monarchia femminile nel XVIII secolo femminile nell’età moderna si è dimostrato fertile per documentare adeguatamente come non si possa ridurre la storia del monachesimo a una visione di donne vittime passive del potere patriarcale e della supervisione maschile, ma, per contro, come le monache abbiano partecipato a un sistema religioso dual-gender34. Proprio dall’angolo visuale del vissuto religioso le cronologie tradizionali sono risultate fondamentali: Gabriella Zarri ha sottolineato che il tentativo di fare a meno del rilievo di una svolta periodizzante come il Concilio di Trento è ben presto naufragato e che gli studi di genere nella storia religiosa dell’età moderna hanno anzi evidenziato l’irrinunciabilità delle categorie storiograiche tradizionali. Per la Zarri il peso che il Concilio di Trento ebbe nella vita quotidiana delle monache, ad esempio, non è da porre in dubbio35. Una via italiana quindi molto peculiare al gender si è affermata nei lavori storici italiani, e non poche sono le differenze con la gender history di marca anglosassone, così come d’altra parte si può accennare all’esistenza di una via francese. La storiograia d’oltralpe è stata attenta agli sviluppi della storia al femminile e il dibattito suscitato dall’uscita alle stampe della storia delle donne di Duby-Perrot si è coagulato intorno alle riviste «Penelope» e «Clio». Anche la storiograia francese ha quindi superato la dicotomia di una storia tra una maggioranza di donne vittime e una minoranza di donne ribelli, così come il binomio dominazione maschile – oppressione femminile. Integrando gli apporti metodologici e concettuali e della nozione di gender si è voluto procedere a una storia relazionale uomo-donna. La collana Histoire de femme en Occident ha quindi negli anni ’90 rappresentato il gender alla francese, secondo diverse linee: la scelta della lunga durata; la presenza di autori donne e uomini; pluralità di approcci. «Clio», pur programFedericiana, Napoli, 1979. Per lo stesso ilone di studi si veda il successivo E. Novi Chavarria, Monache e Gentildonne. Un labile conine, Franco Angeli, Milano, 2001. 34 Cfr. A. Jacobson Schutte, Introduction cit., p. 15, ma poi si vedano P. Renée Baernstein, The nuns of early modern Italy: new directions in anglophone scholarship e G. Zarri, Gli studi italiani sui monasteri femminili e le loro culture: una rassegna, in E. Brambilla, A. Jacobson Schutte (a cura di), La storia di genere in Italia in età moderna cit., pp. 21-42 e pp. 43-65. 35 G. Zarri, Storia delle donne e storia religiosa cit., pp. 149-171. Nello stesso volume Roberto Rusconi ha sottolineato che se è un dato consolidato che la storia delle donne non possa essere separata dalla storia generale, a maggior ragione non può esserci una storia religiosa femminile separata da una storia religiosa generale. Cfr. R. Rusconi, La storia religiosa “al femminile” e la vita religiosa delle donne, in G. Calvi (a cura di), Innesti cit., p. 177. 11 12 Giulio Sodano maticamente volendo studiare la donna nella sue relazioni con gli uomini, non ha inteso privilegiare un’unica linea teorica ma ha voluto far dialogare i diversi approcci della women’s history e della gender history, della storia sociale e della storia culturale, delle storia politica e della antropologia storica36. Va tuttavia ricordato che l’introduzione della categoria di gender non ha sempre trovato l’accoglienza unanime da parte delle storiche che si erano occupate della condizione femminile. Lo stesso saggio che la Scott scriveva nel 1991 per il volume curato da Peter Burke sulla storiograia contemporanea cercava in gran parte di essere soprattutto una difesa dalle critiche mosse non tanto dagli storici tradizionalisti, quanto soprattutto dal movimento femminista37. Ma serrate valutazioni negative erano venute anche dal mondo delle storiche. Gianna Pomata, ad esempio, nel 1993, in occasione dell’uscita alle stampe del volume della Storia delle donne di Duby e Perrot, esponeva in una recensione sulle Annales le proprie perplessità sulla categoria di gender, che, a suo giudizio, esprimeva, né più, né meno, la vecchia storia delle idee, non considerando nemmeno le rappresentazioni sociali del maschile38. Nello stesso mondo femminista si è ritenuto che la gender history annacquasse l’impegno politico, per la sua concezione della femminilità o della mascolinità come costruzione relazionale, e quindi come un rinnovato interesse, in fondo, per la storia dei maschi39. In aperto contrasto alla linea editoriale di «Gender&History», sono nate riviste interessate a coltivare la storia delle donne, come «Journal of Women’s History» e la «Women’s History Review»40. M. Benaiteau, sempre a proposito dell’ultimo volume della Storia delle donne dedicato al Novecento, acutamente sottolineava che l’interpretazione gender contrastava di fatto con il mondo contemporaneo, nel quale è proprio in atto una continua rivoluzione culturale per la quale maschile e femminile nella loro deinizione stanno profondamente mutando e annullando le deinizioni naturali41. 36 F. Thebaud, Da «Pénélope» a «Clio». Forza e debolezza della storia delle donne in Francia, in M. Palazzi, I. Porciani (a cura di), Storiche di ieri e di oggi cit., pp. 167-169. 37 Il volume di P. Burke è uscito in italiano per la Laterza nel 1993. Si veda la nota 4. 38 Cfr. G. Pomata, Histoire des femme et “gender history” (notes critiques), «Annales ESC», 4 (1993), pp. 1019-1026. 39 Cfr. S. D’Cruze, Venuta dal freddo: i quindici anni di «Gender&History», in M. Palazzi, I. Porciani (a cura di), Storiche di ieri e di oggi cit., p. 184. 40 I. Fazio, Introduzione cit., p.14-15. 41 M. Benaiteau, Le donne sulla scena pubblica, in M.R. Pelizzari (a cura di), Le donne e la storia cit., p. 143. Donne e potere: la monarchia femminile nel XVIII secolo Negli ultimi anni va poi evidenziato che la gender history ha perso smalto, sia perché dal mondo femminista le è stato sempre più rimproverato di aver provocato un depotenziamento politico nelle lotte dei diritti delle donne, sia perché dal punto di vista della metodologia e dei contenuti delle ricerche, a mio giudizio, sono venute meno proprio quelle prospettive di “riscrittura” e di riformulazione delle cronologie promesse ai suoi inizi. Sesso e gender hanno poi spesso inito per tendere a scivolare l’uno sull’altro e la stessa Scott ha recentemente ammesso che l’instabilità della deinizione di gender sta dimostrando la dificoltà di separare il biologico dal sociologico, che era invece un punto essenziale nel programma originario della gender history42. Si sta quindi parlando di un ritorno alla storia delle donne, anche se, è stato sottolineato, non si tratterebbe di un percorso a ritroso, ma di un recupero e una rielaborazione della storia delle donne, tenuto conto dell’esperienza compiuta della gender history43. Quest’ultima, inoltre, dal carattere soggettivo, volta a evidenziare le differenze e che per vocazione ha scelto ambiti di ricerca di microstoria, ha dovuto cominciare a fare i conti con la global history, tendente, per contro, alle convergenze e all’attenuazione delle differenze. I centri studi statunitensi hanno infatti progressivamente spostato l’attenzione delle loro ricerche sulle radici culturali americane dall’Europa all’Africa, all’Asia e alle popolazione native del continente, mentre il mondo femminista si interroga sugli effetti che ha determinato la decolonizzazione e le conseguenze distorcenti della modernizzazione nei confronti delle donne. Si stanno tuttavia evidenziando tentativi di interazione tra la storia delle relazioni di genere e la New World History, soprattutto su tematiche trasversali e transnazionali come quella del corpo, oppure su problematiche che evidenziano una storia del femminismo non più come contributo dell’Europa occidentale, ma dagli apporti provenienti dalla pratica politica degli altri continenti. Anche queste impostazioni possono, però, risultare assai problematiche, poiché il rischio, come sottolineato da Giulia Calvi, è quello che le analisi su grande scala e le generalizzazioni non tengano conto di complesse variabili interne delle aree, come, ad esempio quella del Mediterraneo44. J.W. Scott, Usi e abusi del “genere”, in Ead., Genere, politica storia cit., p. 116. È quanto asserisce I. Fazio in Introduzione cit., p. 9. 44 Cfr. G. Calvi, Storiograie sperimentali. Genere e World history, «Storica», XV, nn. 43-44-45 (2009), pp. 1-40. Peraltro è da sottolineare che proprio il Mediterraneo da tempo, attraverso gli studi antropologici, è apparso come un’area di grande 42 43 13 14 Giulio Sodano In ogni caso, se meno felici sono state alcune impostazioni metodologiche e soprattutto poco fruttuosa è stata la pretesa di voler “riscrivere” la storia, va dato atto che gli studi di genere hanno contribuito a una più ampia e articolata conoscenza storica, aprendo nuove piste di ricerca sul rapporto tra donne e potere45. 2. Donne e potere Il campo di indagine sul ruolo politico della donna è stato lungamente ignorato. Per l’Italia, ad esempio, il vuoto di studi sull’argomento era sottolineato nel 1988 dalle curatrici del volume Ragnatele di rapporti: il potere è oggetto della storiograia politica e nessuna storiograia ha ignorato il ruolo delle donne proprio quanto quella politica46. Tuttavia, va sottolineato che l’assenza di studi è stata determinata anche dalle posizioni del primo femminismo, che ha nutrito scarso interesse per la storia politica, salvo nei casi in cui il privato appariva come politico. Generalmente, la spinta nella direzione di una maggiore attenzione all’analisi delle donne di potere e del loro rapporto con la politica viene individuata nella pubblicazione del saggio Donne e politica di Natalie Zemon Davis nella già citata opera diretta da Duby e Perrot. L’intervento, in realtà, non conteneva particolari indicazioni metodologiche o teoretiche, esempliicando invece casi di potere al femminile nell’Europa moderna47. Si faceva riferimento a uno «stile di genere» di governo al femminile, come nel caso di Elisabetta Tudor con l’esaltazione della verginità, oppure, nel caso della regina Anna Stuart, di uno stile materno appositamente scelto per rafforzare la monarchia e l’unità nazionale. Caratteriinteresse, proprio perché la indiscutibile componente patriarcale era fortemente intrecciata a una realtà caratterizzata da diffusi poteri matriarcali. Cfr. G. Galasso, L’esperienza religiosa cit., p. 17. 45 Già nel 1999 Giuseppe Ricuperati riconosceva l’importante apporto positivo della storia di genere nelle demistiicazioni delle ricostruzioni storiche e nell’ampliamento dei iloni di studi, invitando tuttavia al superamento degli steccati ideologici per giungere a una disciplina unitaria. Cfr. G. Ricuperati, Universalismo e uso pubblico della storia, «Rivista Storica Italiana», CXI, 3 (1999), pp. 686-705. 46 L. Ferrante, M. Palazzi, G. Pomata, Introduzione a Eadd. (a cura di) Ragnatele di rapporti. Patronage e reti di relazione nella storia delle donne, Rosenberg & Sellier, Torino, 1988, p. 8. 47 Sui limiti del saggio si vedano le annotazioni di A. Musi, Donne, potere e politica cit., pp. 183 sgg., che sottolinea come maschile e femminile nel caso della lotta politica fazionaria risultino omologati. Donne e potere: la monarchia femminile nel XVIII secolo stica del potere delle donne sarebbe inoltre quella di esprimersi soprattutto attraverso intense relazioni al femminile. Il saggio ha inluenzato le successive ricerche, in senso positivo con l’apertura di un rilevante campo di indagine, ma in alcuni casi in un senso riduttivo e fuorviante con biograie di regine dipinte come guidate dalla “forza naturale dell’amore materno”48. Ma uno degli snodi del saggio, destinato, a mio giudizio e come si avrà modo di dire nelle pagine successive, a pesare non poco nella storiograia, è stata la comparazione tra regimi monarchici e regimi repubblicani: per la Zemon Davis nei primi le donne avrebbero avuto un ruolo istituzionale o informale ben maggiore che nei secondi. A spingere ulteriormente verso indagini su quelle tematiche ha contribuito proprio la maturazione sul modo di intendere la relazione tra donne e potere. Dal potere/oppressione nel rapporto uomo/donna, della storiograia del primo femminismo, si è passati all’analisi dei poteri di fatto che le donne sono state in grado di costruire, mentre la stessa percezione di pubblico e privato è profondamente mutata, dal momento che i due termini sono apparsi in realtà sempre più contigui e intrecciati nei secoli dell’età moderna49. La gender history ha quindi dato un forte impulso allo studio del rapporto donna/potere, proprio per la convinzione che non la natura della isiologia umana ma le relazioni abbiano determinato le diseguaglianze dei livelli di potere. Nel saggio della Scott la questione del potere era assolutamente cruciale, in quanto il gender era manifestazione primaria proprio dei rapporti di potere tra uomo e donna. La storica sottolineava infatti che il genere era uno dei terreni fondamentali nel quale o attraverso il quale nella storia dell’Occidente sono stati persistentemente elaborati i principi del potere. Negli anni successivi la stessa Scott ribadiva quanto detto precedentemente, constatando che la nascita del ilone di studi avesse determinato vivaci dibattiti sempre di natura politica, confermando quindi la natura squisitamente politica del concetto di gender50. La «Gender&History Revue», nata nel 1989 proprio sulla scia del saggio delle Scott, ha pubblicato lavori volti a storicizzare le complesse modalità attraverso le quali il gender ha strutturato le 48 Su questi casi, cfr. C. Casanova, Regine per caso. Donne al governo in età moderna, Laterza, Roma-Bari, 2014, p. 59. 49 Cfr. L. Arcangeli, S. Peyronel, Premessa, in Eadd. (a cura di), Donne di potere nel Rinascimento, Viella, Roma, 2008, pp. 10-16. 50 J.W. Scott, Usi e abusi cit., pp. 111 sgg. 15 16 Giulio Sodano relazioni di potere. La fondazione della rivista non ha implicato il riiuto della storia delle donne, ma ha ribadito che le vite delle donne e degli uomini sono in relazioni storicamente determinate e articolate secondo rapporti di potere51. In Italia un momento di svolta viene riconosciuto con il convegno Ragnatele di rapporti del 1986, nel quale le curatrici ebbero modo di insistere sull’esigenza di dismettere la visione del rapporto delle donne col potere attraverso la lente distorcente della passività femminile di fronte al dominio maschile. Proprio in quell’occasione si propose l’introduzione della categoria di patronage, che avrebbe avuto molta fortuna storiograica52. Si sono quindi moltiplicate le ricerche sui poteri informali delle donne, attraverso le forme della sociabilità femminile o mediante rapporti di scambio e di patronage. Puntuali e approfondite investigazioni, compiute grazie ad un’ampia analisi di fonti private come testamenti e atti notarili hanno individuato donne mecenati particolarmente attive nelle committenze artistiche di chiese, conventi e palazzi, tanto da porre l’esigenza di coniare il termine di matronage per individuare più speciicamente le committenze artistiche femminili53. Una crescente attenzione si è prestata “ai giochi di squadra” che maschi e femmine all’interno della famiglia svolgevano per conseguire risultati vantaggiosi per la stessa famiglia54. Ancora una volta è stato poi evidenziato quanto proprio il Rinascimento in realtà abbia rappresentato un momento di espansione degli spazi delle donne, grazie all’aumento delle potenzialità gestionali dei patrimoni privati, nonché dello stesso potere pubblico, poiché alcune donne dovettero assumere ruoli “formali” di governo, a causa dell’assenza dei loro mariti impegnati nelle numerose guerre. A questo proposito le curatrici di un convegno sui poteri delle donne, non hanno esitato a rispondere positivamente alla nota domanda di Joan Kelly se ci fosse stato un Rinascimento per le donne55. S. D’Cruze, Venuta dal freddo cit., pp. 180-184. Cfr. L. Ferrante, M. Palazzi, G. Pomata, Introduzione cit., pp. 8-10. Cfr. S.F. Matthews-Greco, G. Zarri, Premessa a Committenza artistica femminile, «Quaderni Storici», 104/2 (2000), pp. 283-294. Più recente è il termine maternage, che indica una dimensione più sociale, rivolta soprattutto alle istituzioni religiose. 54 A partire dal saggio di R. Ago, Giochi di squadra: uomini e donne nelle famiglie nobili del XVII secolo, in M.A. Visceglia (a cura di), Signori, patrizi, cavalieri nell’età moderna, Laterza, Roma-Bari, 1992, pp. 256-264. 55 L. Arcangeli, S. Peyronel, Premessa cit., p. 16. 51 52 53 Donne e potere: la monarchia femminile nel XVIII secolo Particolarmente attiva nella storia del rapporto tra donna e potere va segnalata la Fondazione Valerio, che, nata soprattutto intorno a problematiche religiose, ha successivamente sviluppato un vivo e proicuo interesse per il tema del potere all’interno delle comunità religiose. Il Regno di Napoli, caratterizzato dalla presenza di sovrane consorti e di vere regine, si è inoltre dimostrato un campo fecondo per ricerche sull’inluenza delle donne, sulle strutture della monarchia e sulla cultura della corte. È stato quindi varato un progetto che rilettesse sul ruolo svolto dalle regine e viceregine nel Regno di Napoli e che ha portato a compimento diverse pubblicazioni che hanno contribuito a leggere la storia napoletana da un punto di vista inedito, attraverso l’intreccio tra ruolo politico, diplomatico, economico e religioso56. 3. La regalità femminile: peculiarità e cronologie La trattatistica politica dell’età moderna, per lo più misogina, ha disconosciuto alle regine riserbo e pudore, dipingendole come donne che si impossessavano del potere in modo subdolo. Un termine era stato forgiato in Francia per indicare la malaugurata situazione delle donne al potere: “tomber en quenouille”, cadere nella confusione e nel disordine. La comunicazione politica maschile, nonché le trasposizioni letterarie nel secolo XVI e in quelli successivi, hanno oscurato molto a lungo le donne di potere, impedendo di riconoscere una capacità autonoma di azione politica. Le uniche varianti positive erano la trasigurazione di alcune in esseri superiori al proprio sesso, la donna quindi virile, oppure la donna pietosa e santa57. 56 I volumi pubblicati sono i seguenti: M. Gaglione, Donne e potere a Napoli. Le sovrane angioine, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2009; M. Mafrici (a cura di), All’ombra della corte. Donne e potere nella Napoli borbonica (1734-1860), Fridericiana Editrice Universitaria, Napoli, 2010; Ead. (a cura di), Alla corte napoletana. Donna e potere dall’età aragonese al viceregno austriaco. 1442-1734, Fridericiana Editrice Universitaria, Napoli, 2012. Va precisato che l’attività della fondazione Valerio viene a cadere su un terreno ampiamente dissodato nei decenni precedenti, grazie a una lunga tradizione di studi storici sulla vita religiosa e sui rapporti di interazione tra vita ecclesiastica e potere politico, tradizione nata soprattutto intorno alla scuola di Giuseppe Galasso e Carla Russo. Per motivi di spazio editoriale si evita di elencare una notevolissima e lunga bibliograia, ma tra i lavori sul rapporto tra donne e potere a Napoli, giova però quantomeno citare E. Novi Chavarria, Sacro, pubblico e provato. Donne nei secoli XV-XVIII, Guida, Napoli, 2009. 57 Cfr. C. Casanova, Regine per caso cit., p. 59 e p. IX. 17 18 Giulio Sodano Tutto ciò ha pesato lungamente sulla tradizione storiograica che ha dovuto liberarsi in primo luogo delle letture stereotipizzanti sulle donne. Sebbene la regalità fosse stata riconosciuta come un concetto cardine e una categoria centrale nella storia del potere dell’Europa moderna, per molto tempo sono state trascurate le ricerche sulla dimensione teorica e politica della regalità femminile e la dimensione del potere esercitato in prima persona dalle regine sui iuris o per matrimonio, in contrasto con numerosi studi dedicati ai signiicati politici, simbolici e religiosi della regalità maschile58. Le indagini più recenti sulle relazioni tra donna e potere hanno, però, evidenziato come, per far funzionare gli ingranaggi della monarchia, i ruoli maschili e femminili si integrassero e completassero e come le donne avessero capacità di sostenere conlitti, di animare resistenze e promuovere istituzioni. Focalizzare quindi l’attenzione sul ruolo delle donne come attrici del mecenatismo, delle pratiche devozionali e delle relazioni con le istituzioni ecclesiastiche fa apparire più intellegibile il gioco complesso della costruzione dell’identità delle dinastie e l’appartenenza a un comune “sistema europeo delle corti”59. Proprio gli studi sulle corti hanno ricevuto un’ulteriore spinta anche grazie alle ricerche di genere svolte sulle regine, evidenziando l’esistenza di una rete familiare che, attraverso i ruoli di genere, favoriva la riproduzione biologica e politica della dinastia60. Come è stato acutamente sottolineato, gli attributi del cortigiano di successo sono quelli che nell’età moderna erano classiicati come abilità tipiche delle donne: dissimulazione, apparenza, lessibilità, accomodamento, educazione61. Storiograie nazionali ino a tempo fa impermeabili tanto al tema della corte quanto al ruolo delle donne hanno dovuto fare i conti con quegli studi. Quella sulla Prussia, ad esempio, incentrata tradizionalmente sulla nascita dello stato prussiano e sullo sviluppo della burocrazia, aveva tenuto in scarsa considerazione la vita di corte ino a tempi recenti, quando invece è apparso molto più evidente il ruolo delle regine consorti: proprio perché Federico II si 58 Cfr. M.A. Visceglia, Riti di corte e simboli della regalità, Salerno editrice, Roma, 2009, p. 158; C. Casanova, Regine per caso cit., pp. XIV-XV. 59 M.A. Visceglia, Riti di corte cit., p. 207. 60 Cfr. G. Calvi, Introduction a Ead (a cura di), Women Rulers in Europe. Agency. Practice and the Representation of Political Powers (XII-XVIII), European University Institute, Firenze, 2008, p. 1. 61 Cfr. J. Duindam, Myths of power. N. Elias and the Early Modern European Court, Amsterdam University press, Amsterdam, 1995, p. 15. Donne e potere: la monarchia femminile nel XVIII secolo teneva lontano dalla corte, alla moglie spettava l’incombenza della sua organizzazione, che prevedeva una serie di rilevanti funzioni a partire dal ricevimento di ambasciatori e principi stranieri62. Addirittura la “maschilissima” Roma dei ponteici ha rivelato non solo l’esistenza del potere informale delle donne nipoti dei papi, ma anche la presenza di alcune corti al femminile63. Ritengo che tuttavia sia sempre necessaria l’avvertenza di non ridurre la regalità femminile a un capitolo aggiuntivo della storia della monarchia, ma che gli studi abbiano come ine la comprensione della costruzione della regalità nel suo complesso. Da questo punto di vista sono fondamentali i libri di Lucien Bély e Fanny Cosandey: il primo, introducendo un approccio da antropologia culturale nello studio delle dinastie, ha prestato una particolare attenzione all’intera gerarchia del potere fatta sia dagli uomini che dalle donne, delle quali peraltro ha particolarmente analizzato l’educazione64; la seconda ha superato per la Francia l’analisi dei cerimoniali di corte incentrata esclusivamente sugli uomini, focalizzando l’attenzione invece sul coinvolgimento delle regine nei rituali monarchici, nonché sul valore ai ini della pace dei loro matrimoni65. È in quest’ottica dell’“intero” che è necessario ricostruire quanto ciascuna regina o consorte espresse un profondo senso di sé, della propria composita appartenenza e identità, un personale stile di potere66. Così come non vanno trascurate le asimmetrie che possono essersi veriicate a 62 Cfr. T. Biskup, The hidden queen: Elisabeth Christine of Prussia and Hoenzollern queenship in the Eighteenth century, in C. Campbell Orr (a cura di), Queenship in Europe 1660-1815. The role of the conosorts, Cambridge University Press, Cambridge, 2004, pp. 300-321. 63 Sulla igura di Olimpia Maidalchini cognata di Innocenzo X è più volte tornata M. D’Amelia, per la quale si rimanda almeno a La nuova Agrippina. Olimpia Maidalchini Pamphilij e la tirannide femminile nell’immaginario politico del Seicento, in F. Cantù (a cura di), I linguaggi del potere nell’età barocca, 2. Donne e sfera pubblica, Viella, Roma, 2009, pp. 45-95. Per le corti romane al femminile si veda M. Cafiero, Sovrane nella Roma dei papi. Cerimoniali femminili, ruoli politici e modelli religiosi, ivi, pp. 97-123. 64 L. Bély, La société des princes, XVIe-XVIIIe siècle, Fayard, Paris, 1999. 65 Di F. Cosandey è fondamentale De lance en quenouille. La place de la reine dans l’État moderne (14e-17e siècles), «Annales ESC», 4 (1997), pp. 799-820. Si rimanda inoltre a La reine de France. Symbol et pouvoir XVe-XVIIIe siècle, Gallimard, Paris, 2000, e al libro in collaborazione con I. Poutrin, Monarchies espagnole et française 1550-1714, Atlande, Neully, 2001. 66 Sono aspetti sottolineati, a proposito delle donne Medici, da A. Contini, Il ritorno delle donne nel sistema di corte: linguaggi, appartenenze dinastiche e formazione, in G. Calvi, R. Spinelli (a cura di), Le donne Medici nel sistema europeo delle corti. XVI-XVIII secolo, Polistampa, Firenze, 2008, p. 5. 19 20 Giulio Sodano favore di regine consorti per le debolezze dei propri mariti: sono state spesso le inabilità politiche a seguito della debolezza o della instabilità mentale dei sovrani a dare la possibilità di costruire corti femminili autonome e attive nella gestione del potere67. Speciicamente legata alla gender history è l’indicazione stimolante che si coglie nell’introduzione a un voluminoso libro sulle regine europee, nella quale Campbell Orr ha sottolineato come l’interesse verso costoro non nasca per la loro semplice biograia, ma intorno al loro ruolo di queenship: le regine non vanno studiate come isolate, ma attraverso una connessione alla dimensione dinastica. Lo studio della corte vista attraverso l’angolo visuale delle regine può risultare più produttivo per una conoscenza dei meccanismi del potere68. Inoltre, a mio giudizio, un aspetto che resta a tutt’oggi completamente da deinire è non solo cosa potessero fare le regine, ma cosa a esse fosse assolutamente impedito di fare, da cosa rimanessero sempre separate nella gestione del potere, in quali aspetti del potere, sebbene regine, non potessero entrare. Tanto per usare un elemento paradossale: non mi risulta che alcuna sovrana abbia mai pensato di poter emanare una legge che mettesse in discussione la successione maschile al trono. Sulla scia delle suggestioni della Zemon Davis di delineare uno stile muliebre di governo, alcune ricerche hanno cercato di cogliere le speciicità della condizione regale al femminile rispetto a quella maschile. Indicative sono le annotazioni di Fanny Cosandey: mentre il sovrano era irrigidito dalla issità iconica della regalità, le donne reggenti e consorti non godettero di una tale sacralizzazione 67 Si pensi al caso all’inizio dell’età moderna di Renata di Francia. La storiograia ha insistito sul potere di Maria Carolina generato dalla debolezza caratteriale di Ferdinando IV, tuttavia il caso non va eccessivamente enfatizzato. Per il Settecento, casi tra debolezza di carattere e vera e propria instabilità mentale sono quelli dei coniugi di Elisabetta Farnese e Barbara di Braganza. Grazie all’inettitudine e all’instabilità mentale del proprio marito, Caterina II riuscì a impadronirsi del potere. Non va d’altra parte considerata come automatica la possibilità delle regine di poter assumere la guida dello stato in caso di insanità mentale del re: si pensi al triste caso di Carolina Matilde, regina di Danimarca e sposa di Cristiano VII. Ma anche per la Danimarca a assumere rilievo politico fu una donna, la regina vedova Giuliana Maria Brunswick-Lüneburg, che pur imponendo suo iglio come reggente, esautorando Carolina Matilde, non riuscì a portarlo sul trono. 68 C. Campbell Orr, Introduction, a Ead., (a cura di), Queenship in Europe cit., pp. 1 sgg. Si veda inoltre G. Calvi, Introducition a Women rulers cit., p. 8. Per la Spagna e il Portogallo si veda J. Martínez Millán, M.P. Maraçal Lourenço (a cura di), Las Relaciones Discretas entre la Monarquías Hispana y Portuguesa: las Casas de la Reinas (siglos XV-XIX), voll. I-III, Polifemo, Madrid, 2008. Donne e potere: la monarchia femminile nel XVIII secolo del potere sancita dal cerimoniale, il loro corpo non era duplice come quello del re, sicché potevano essere facile oggetto di attacchi alla loro persona nelle forme delle ingiurie. Proprio però questa debolezza istituzionale impose alle donne la necessità di annodare alleanze e coagulare fazioni di corte, al ine di acquisire autorità. Le reggenti di Francia, ad esempio, dovettero dispiegare le loro energie per collegarsi alle famiglie dei Pari e per entrare nelle dinamiche di lotta per il potere69. Indicative appaiono anche le considerazioni che López-Cordón Cortezo svolge a proposito delle regine consorti di Spagna: proprio perché non investite dall’esercizio del potere formale, le regine potevano svolgere funzioni di mediazione, ascoltare consigli, vigilare sulla corruzione e dare soddisfazione ai propri sudditi70. È quindi di rilievo, nell’ambito della ricerca sulle sovrane, analizzare il “sistema di relazioni” delle donne nella politica, che in realtà accoglie l’indicazione relazionale della storia di gender. Proprio sulla scorta di tali indicazioni, nell’introduzione a un libro dedicato alle regine del Regno di Napoli, Mirella Mafrici ha sottolineato la necessità di liberarsi dell’aneddotica dell’alcova e analizzare il “sistema di relazioni”. Indagare quindi le variegate forme in cui si è articolata la relazione tra donna e potere serve a ricostruire quale sia stato lo speciico apporto femminile nella costituzione della sovranità monarchica anche nel Mezzogiorno, poiché le donne contribuivano a perpetrare il potere, sia dal punto vista della procreazione, sia attraverso la politica degli scambi matrimoniali71. Uno dei più rimarchevoli aspetti del protagonismo femminile delle regine risulta quindi nelle relazioni internazionali, attestato peraltro anche dalle biograie per sovrane vissute in epoche più lontane dell’età moderna72. Rilevantissimo è il caso di Elisabetta 69 C. Casanova, Regine per caso cit., p. 61. La storiograia francese ha sviluppato numerosi lavori sulle igure delle sovrane francesi. Ai precedenti citati lavori si aggiunge I. Poutrin, M.K. Schaub (a cura di), Femmes et pouvoir politique. Les princesses d’Europe (XVe-XVIIIe siècle), Bréal, Rosny-sous-bois, 2007. 70 Particolarmente vero per la moglie di Filippo III, Margherita d’Austria, cfr. M. V. López-Cordón Cortezo, L’immagine della regina nella Monarquía hispánica, in F. Cantù (a cura di), I linguaggi del potere cit., pp. 20-21. Si segnala inoltre la rassegna di A. Muñoz Fernández da cui si evidenzia come nel regno di Castiglia la casa della regina fosse uno spazio dalla considerevole autonomia: La casa della Regina, «Genesis», I, 2 ( 2002), pp. 71-95. 71 M. Mafrici, Introduzione. Storie di donne, storia del Regno, in Ead. (a cura di), All’ombra della corte cit., p. 1. 72 Si veda a questo proposito G. Sivéry, Margherita di Provenza, Salerno editrice, Roma, 1990, libro nel quale il tema di fondo è che la sposa di Luigi IX poté portare avanti operazioni di politica internazionale che la diplomazia uficiale non poteva compiere, sviluppando quindi una sorta di diplomazia parallela. 21 22 Giulio Sodano Farnese, che impose agli equilibri internazionali la necessità di un trono per i suoi igli. La conlittualità tra la consorte di Filippo V e Barbara di Braganza è ben lungi dall’essere un semplice episodio di una suocera che si riiuta di cedere la scena regale alla nuora del re, ma è da riportare anche a contrarie visioni di politica internazionale, con opposti network e alleanze che erano al seguito di ciascuna delle due donne. Le settecentesche regine di Napoli svolsero ruoli di primo piano nell’ambito della politica internazionale per il riposizionamento del Regno nel sistema delle alleanze degli stati europei. Nella condizione conlittuale in cui si trovavano le regine, combattute tra fedeltà alle famiglie d’origine e allineamento alle dinastie di nuova appartenenza, le sovrane napoletane si caratterizzarono soprattutto per non essere sempre ligie alla linea internazionale dei Borbone. Maria Amalia, ad esempio, fu tutt’altro che la mite e piacente bionda che emerge dai ritratti, ma in realtà fu una donna di carattere, piena di iniziativa. Alla corte borbonica prese il sopravvento il partito della regina, che dichiarò guerra al marchese di Salas, sfruttando il malcontento a Napoli nei confronti della partecipazione alla guerra di Successione austriaca per il fratello di Carlo, Filippo, con notevoli sacriici e senza vantaggi. L’opinione pubblica appoggiò Maria Amalia e pertanto «era destino, per Napoli, essere dominata da una donna: all’intrigante e autoritaria suocera si era sostituita una nuora altrettanto abile e astuta, pronta all’azione a ianco di Carlo, in quei dificili frangenti in cui si trovò il Regno»73. Maria Carolina, a sua volta, fu protagonista della politica internazionale anche di più della suocera, in quanto fu la maggior autrice della caduta del Tanucci, un vero e proprio trionfo personale che le permise di portare il Regno fuori dall’orbita spagnola, creando una vasta rete di fedeli, contando sul fascino che la monarchia austriaca esercitava sul movimento riformatore. La chiamata di Acton segnò una virata iloasburgica che permise l’affermazione del partito nobiliare iloaustriaco e la sconitta della nobiltà ilospagnola74. Gli esempi citati tuttavia non vanno enfatizzati e non devono indurre a pensare che ci sia una regola costante, poiché esistono casi che vanno in tutt’altra direzione. Maria de’ Medici non riuscì a imporre una politica iloasburgica e i suoi reiterati tentativi la portarono a un doloroso esilio. L’esilio fu il destino anche di Marianna di 73 M. Mafrici, Una principesse sassone sui troni delle Due Sicilie e di Spagna: Maria Amalia Wettin, in Ead. (cura di), All’ombra della corte cit, pp. 36-37. 74 A. Rao, Corte e Paese: il Regno di Napoli dal 1734 al 1806, ivi, p. 22. Donne e potere: la monarchia femminile nel XVIII secolo Neuburg rimasta vedova di Carlo II, che non riuscì a portare il paese nella direzione iloviennese da lei auspicata. Il matrimonio di Maria Luisa di Savoia con Filippo V non riuscì a mantenere collegato all’alleanza gallo-ispanica il padre Vittorio Amedeo II. In Francia Maria Leczinska dovette ben presto deporre le sue velleità di poter guidare politicamente il giovane Luigi XV, per divenire solo supporto passivo del partito dei devoti. Insomma, i successi e gli insuccessi della politica delle sovrane sono uno accanto all’altro, sebbene alcuni esempi sembrerebbero suggerire, tra molte cautele, che l’inluenza si fece più forte e incisiva nel XVIII secolo. Il che porta a porre una domanda: esiste una cronologia autonoma per la sovranità al femminile? Per la Francia è certamente stata periodizzante l’affermazione della legge salica, che ha escluso le donne dal trono, ma che le ammetteva nel caso di reggenza, in quanto le madri erano ritenute le più afidabili preservatrici del potere monarchico per i propri igli, contrariamente ad altri principi di sangue, interessati piuttosto a subentrare al trono75. Va opportunamente sottolineato che tutto ciò, in realtà, rientra pienamente nei processi di affermazione del potere monarchico tra ine medioevo e prima età moderna, cioè in quell’ambito che deiniamo affermazione dello stato moderno. Quali considerazioni si pongono, rilettendo, invece, sul Settecento? Va detto che il XVIII secolo, ancor più del Cinquecento, vede un forte attivismo delle regine, sia come consorti che come sovrane per diritto. All’inizio del secolo, in Inghilterra, succedono l’una all’altra due regine, ultime esponenti della casa degli Stuart. Per tutto il secolo la Russia vede più zarine che zar. Nei domini asburgici si rende addirittura necessario un cambiamento legislativo, per portare una donna al potere: è il lungo regno di Maria Teresa. Ma oltre alle regine formalmente al potere, anche le sovrane consorti risultano attivissime nell’esercizio del potere informale. Nell’Inghilterra dove torna la linea maschile con gli Hannover, le consorti dei nuovi sovrani giocano un ruolo rilevante nell’affermazione del consenso per la famiglia reale. Carolina Brandenburg-Ansbach, moglie di Giorgio II, è la protagonista principale dell’anglicizzazione della dinastia, nonché la rianimatrice della corte di Londra, dopo un lungo periodo di appannamento con Anna, rendendola un crocevia per l’accesso ai rapporti con i politici che contano. Quando Giorgio II fa il suo primo discorso al Parlamento, per la prima volta si veriica 75 F. Cosandey, En lance en quenouille cit., pp. 799-820. 23 24 Giulio Sodano che quell’atto veda il re accompagnato dalla consorte76. Nel ducato di Savoia, come in Svezia, le regine consorti o reggenti danno lustro alla dinastia sovrana ristrutturando le corti ed erigendo grandiose residenze volte a gloriicare le dinastie. Prima ancora dell’avventurosa salita al trono di Caterina II, alla corte dei Romanov, dove era tradizione che il destino delle iglie degli zar fosse quello di inire la propria vita in un convento, Soia Alexandrina, non solo riesce a ottenere di condividere l’educazione dei suoi germani, ma, approittando della situazione di avere due fratelli, uno limitato mentalmente e l’altro ancora ragazzo, riesce a imporsi per alcuni anni come governatrice, cercando poi di opporsi alla salita al trono del fratellastro Pietro77. La stessa opera di occidentalizzazione del paese operata da Pietro il Grande aveva avuto come coprotagonista la moglie dello zar, l’imperatrice Caterina I78. È stato sottolineato che con l’avvento al trono dei Borbone in Spagna si assiste a una “femminilizzazione” del potere, con il protagonismo politico delle spose regine Maria Gabriella di Savoia, Elisabetta Farnese e Barbara di Braganza79. Ma anche le amanti hanno i loro spazi: negli ultimi anni del regno di Luigi XIV dalle cronache di corte di Versailles risulta evidente come molta parte della politica è ampiamente gestita da Madame de Maintenon, che da amante diviene moglie segreta del re. E a lei si ispirerà qualche decennio dopo Madame de Pompadour. Lungi dal segnalare un indebolimento dello stato assoluto, la viva partecipazione al potere da parte della componente femminile appare anzi elemento di rafforzamento dell’assolutismo. Addirittura la diversità religiosa all’interno della coppia reale poteva costituire elemento di forza più che di debolezza: il caso dei Wettin di Dresda re di Polonia, indica proprio come la diversiicazione confessionale tra uomo e donna, re e regina potesse essere utile al rafforzamento della regalità80. 76 Cfr. A. Hanham, Caroline of Brandenburg-Ansbach and the “Anglicisation” of the house of Hanover, in C. Campbell Orr (a cura di), Queenship cit., pp. 276-299. 77 M.T. Guerra Medici, Donne di governo nell’Europa moderna, Viella, Roma, 2005, p. 265. 78 Cfr. L. Hughes, Catherine I of Russia, consort to Peter the Great, in C. Campbell Orr (a cura di), Queenship cit., pp. 131-154. Caterina fu peraltro particolarmente impegnata nell’acquisto di statue classiche di igure femminili, ino ad allora ignorate dall’iconograia russa. 79 Cfr. C.C. Noel, The feminization and domestication of politics in the Spanish Monarchy. 1701-1759, ivi, pp. 155-185. 80 La conversione al cattolicesimo di Augusto I permise ai Wettin l’accesso al trono di Polonia, mentre l’ostinata resistenza della moglie Christiane Eberhardine nella fede luterana rese possibile, tutto sommato, la persistenza del consenso alla famiglia ducale tra i Sassoni invece fedeli al luteranesimo. Cfr. H. Watanabe-O’Kelly, Religions and the Donne e potere: la monarchia femminile nel XVIII secolo In Europa le monarchie, basate per lo più sul principio del dominio patrimoniale, avevano fatto sì che la gestione del potere fosse un fatto di famiglia, all’interno della quale le donne avevano, per forza di cose, le loro funzioni di supporto. Il re, poi, era concepito come padre dei propri sudditi e come ogni buon padre era quindi aiutato dalla moglie, specialmente in sua assenza o in caso di morte. Se tutto ciò è una condizione di lungo periodo, il XVIII secolo si segnala per una più forte affermazione dello spazio femminile nella gestione del potere. Sarebbe necessaria una più attenta analisi delle tappe e dei motivi per cui tutto ciò si è veriicato. In attesa di uno speciico studio articolato sull’argomento, si accenna qui brevemente a una serie di fattori che, a mio giudizio, favorirono le donne in quella che viene deinita la corte all’epoca dell’high baroque. L’essere mogli, madri, patrone di arte e opere religiose, promuovere la vita mondana a corte non vanno, a mio giudizio, intesi come ruoli secondari e marginali nell’ambito della sovranità, ma sono invece funzioni connesse all’esercizio del potere monarchico, al suo consolidamento nella fase storica del passaggio dall’assolutismo al riformismo81. La ine della lunga fase delle guerre della prima metà del Seicento e la nascita di una Europa multipolare, comportò anche la moltiplicazione di corti prestigiose, che dovevano dare lustro al nuovo livello acquisito di potenza. Il sistema matrimoniale asburgico di Vienna e Madrid era, infatti, entrato in crisi: caratterizzatosi per quasi due secoli da una forte endogamia tra i due rami, aveva prodotto effetti devastanti sul patrimonio biologico della famiglia, che si manifestarono con le gravi condizioni di malattia di Carlo II, privo di un erede, e l’incapacità di generare bambini sani da parte di sua sorella Maria Teresa e di suo marito l’imperatore Leopoldo I. Il mercato matrimoniale a quel punto per forza di cose cambiò e ci si rivolse a nuove corti, come quelle delle famiglie principesche tedesche, tra le quali spiccavano i Wettin e i Wittelsbach. Famiglie di antica tradizione consort: two Electresses of Saxon and Queens of Poland (1697-1757), ivi, p. 262. 81 In numerosi saggi si evidenziano le differenze tra la corte dell’high baroque di ine Seicento e metà Settecento, e la monarchia del tardo XVIII secolo, quest’ultima caratterizzata da aspetti di una maggiore vita domestica, di stile più borghese e che avrebbe offerto la sua versione più matura con l’Ottocento. Sono convinto che tali differenze vadano sfumate, in quanto gli studi che conduco evidenziano che esigenze per una vita domestica più intima da parte delle famiglie reali iniziano ad essere presenti già con la corte del tardo barocco, mentre le corti del tardo Settecento non rinunciano a ricorrere a manifestazioni del potere tipiche dell’epoca precedente. 25 26 Giulio Sodano nobiliare si trovarono ora a giocare un ruolo ancora più rilevante grazie alle loro regine-consorti, impegnate a favorire le proprie case di origine. Si pensi alle vicende matrimoniali di Vienna e alle conseguenze anche internazionali a seguito del matrimonio di Leopoldo con Eleonora di Neuburg: questa si adoperò perché Giuseppe sposasse Guglielmina di Brunswick, che a sua volta favorì l’ascesa degli Hannover e la loro alleanza con gli Asburgo82. Donne quindi tutt’altro che cresciute impreparate a giocare ruoli politici si erano affacciate nell’Europa delle monarchie. Ma, a mio giudizio, ora più che mai a giocare un ruolo a favore delle donne è la maternità. La storia della maternità ha avuto una dificile genesi nella storia delle donne e nella gender history, anche perché destava non poche perplessità e resistenze nel mondo femminista, in quanto parlare di maternità signiicava aprire discorsi sull’“affetto materno” e sull’“istinto femminile”, argomenti che avevano acceso numerose discussioni83. Per alcune posizioni femministe, l’esaltazione della natura materna signiicava soprattutto l’esaltazione del ciclo naturale e quindi di ciò che si ripete incessantemente, assegnando alla donna un ruolo ritenuto profondamente conservativo e conservatore, nel quale sono chiamate a essere mogli e madri secondo il progetto religioso tipico del Sette e Ottocento. Non a caso, infatti, le lotte femminili sono state soprattutto quelle dei diritti politici legati alla maternità come libera scelta. Con fatica quindi si è articolata una possibile storia della maternità che non cadesse nella trappola dei facili topoi dell’amore materno, con l’uscita di lavori pionieristici all’estero84, a cui hanno fatto seguito importanti ricerche in Italia85. Per quanto la maternità si esprima negli aspetti soggettivi, la sua storia ha, quindi, voluto analizzare i codici attraverso i quali l’affetto si è espresso nel tempo e nello spazio86. In questo ambito di ricerca la storia della maternità si è poi legata al ilone della storia delle emozioni. 82 Cfr. C.W. Ingrao, A.L. Thomas, Piety and power: The Empresses-Consort of High Baroque, in C. Campbell Orr (a cura di), Queenship in Europe cit., p. 113. 83 Si veda in proposito l’introduzione di F. Arena, N.M. Filippini a L’esperienza corporea della maternità, in M.C. La Rocca, S. Chemotti (a cura di), Il genere nella ricerca storica: atti del VI Congresso della Società Italiana delle storiche, Il Poligrafo, Padova, 2015, p. 915. 84 Cfr. A.C. Rich, Of woman born: motherhood as experience and institution, Norton, New York, 1976; Y. Knibiehler, C. Fouquet, L’histoire des mères du Moyen àge à nos jours, Montalba, Paris, 1980; E. Badinter, L’amour en plus: histoire de l’amour maternal. XVIIè-XX siècles, Flammarion, Paris, 1980. 85 Si cita tra gli altri, G. Fiume (a cura di), Madri, storia di un ruolo sociale, Marsilio, Venezia, 1995; M. D’Amelia (a cura di), Storia della maternità, Laterza, Roma-Bari, 1997. 86 F. Arena, N.M. Filippini, L’esperienza corporea della maternità cit., p. 916. Donne e potere: la monarchia femminile nel XVIII secolo Mai come nel caso delle regine la maternità non era una parola vana. Come viveva la propria maternità una regina? Il parto nella realtà d’antico regime era tutt’altro che un atto banale e scontato. Le regine condividevano le ansie delle donne comuni e semmai per loro era più accentuato il clima di protezione che avvolgeva le gravide: una donna incinta non può vivere una forte emozione, non deve vedere cose mostruose, le sue voglie vanno rapidamente accontentate. Ma nel caso delle regine, a tutti i comuni rischi femminili, si aggiungeva l’ansia non tanto e non solo di assicurare un erede al proprio marito, ma di dare al regno un futuro re. La maternità era poi fonte di potere politico. Nel numero del 2005 di «Clio H.F.S.», interamente dedicato alla maternità, spicca il saggio della Cosandey che ha sottolineato il rilievo che assumeva la maternità nella storia dinastica. L’essere madre avvantaggiava considerevolmente le regine sui loro competitori, principi di sangue o grandi dignitari, nel caso fosse necessario costituire un consiglio di reggenza, poiché veniva considerato che “naturalmente” nessuno più della madre potesse essere investito della tutela degli interessi del giovane sovrano. Le reggenze, peraltro, non furono un esclusivo fatto politico francese, ma ampiamente diffuso nel continente europeo, come dimostrano numerosi casi. La venuta di un iglio era, quindi, la sola vera garanzia per una regina di una completa e deinitiva incorporazione all’interno della monarchia, poiché l’assenza di un parto rischiava di condurre al ripudio. La costruzione dinastica quindi passava attraverso il doppio apporto maschile/ femminile87. Anche dal punto di vista delle maternità regali, la ine del Seicento e l’inizio del Settecento segnano però una svolta rilevante, che ha come effetto la crescita del ruolo e dell’importanza delle donne nelle corti. Occorre tener presente la tragica congiuntura biologica dei due rami asburgici per l’assenza di igli: un vero trauma attanaglia le famiglie regali europee di fronte all’eventualità della mancata successione di un re. Lo stesso problema colpisce le ultime due regine Stuart. Lo scoppio di più guerre di successione rende evidente la conseguenza drammatica di una simile eventualità. La proliicità delle donne divenne quindi più che nel passato un segno di distinzione: alcune regine misero al mondo un numero elevato di igli. Si pensi ai grandi quadri rappresentanti le affollate famiglie 87 F. Cosandey, Puissance maternelle et pouvoir politique. La régence des reines mères, «Clio. H.F.S.», 21 (2005), pp. 67-90. 27 28 Giulio Sodano di Filippo V e di Elisabetta Farnese, di Maria Teresa e Francesco Stefano, e al numero di igli avuti da Carlo e Maria Amalia. A Vienna Eleonora di Neuburg fu vista come salvatrice degli Asburgo, in quanto madre di una numerosa prole, tanto che la morte improvvisa dell’imperatore Leopoldo non mise a rischio la successione dinastica. Le due imperatrici successive, la moglie di Giuseppe e di Carlo, entrambe non in grado di mettere al mondo igli maschi, furono motivo di dolore e apprensione nel loro paese, nonché la loro stessa vita fu assai dolorosa per non aver potuto assolvere questa esigenza dello Stato. Sia a Maria Amalia di Sassonia che a Maria Carolina fu riconosciuto un ruolo nel Consiglio di Stato proprio successivamente all’assolvimento del loro dovere di dare un erede maschio al regno. Dopo il parto di Maria Amalia lo stesso Tanucci scrisse: «è ora ella la più gran parte di questo governo»88. La nascita di altri due igli maschi le permise di esercitare un’inluenza sempre maggiore sul marito. Nel caso di Maria Carolina, nonostante la pamphlettistica ostile, non mancarono tentativi di costruzione di un mito positivo della regina, come quello del cavaliere Carmine Lancellotti, prodigo nel tramandare l’immagine di una donna dedita alla carità pubblica, nonché di madre esemplare, per proliicità e per capacità educative dei propri igli. Anche Maria Carolina, come già sua suocera, con l’arrivo di un iglio maschio poté partecipare alle riunioni del Consiglio di Stato, ma nel suo caso l’inluenza che acquisì preoccupò non poco le cancellerie europee. Il rapporto tra la proliicità di Maria Carolina e il potere è stato evidenziato nel lavoro di Cinzia Recca: Maria Carolina ebbe ben 16 parti, una condizione di donna permanentemente incinta che agli occhi della corte ne fece un esempio di dimensione eccezionale, rendendola quindi adatta ad assumere funzioni di governo. Il suo stato di donna stabilmente gravida ebbe come effetto la rappresentazione compiuta della regalità, fornendo motivazioni più profonde sui motivi dell’ascesa al ruolo di governo della regina piuttosto che lo stereotipo di un Ferdinando iningardo. Erano la forza e i sacriici per tante gravidanze a legittimare il suo governo89. A fronte di questa immagine di maternità proliica, potrebbe non essere stato un caso che i detrattori delle regine di ine antico regime Cito da M. Mafrici, Una principessa sassone cit., p. 38. C. Recca, Sentimenti e politica. Il diario inedito della regina Maria Carolina di Napoli (1781-1785), Franco Angeli, Milano, 2014, pp. 26-28. 88 89 Donne e potere: la monarchia femminile nel XVIII secolo lanciassero accuse di lesbismo alle loro sovrane, proprio come negazione non solo di quell’immagine femminile che aveva tanto avuto successo nel corso del secolo ma anche della “natura” stessa della donna. 4. L’Illuminismo e la rivoluzione francese: un arretramento della condizione femminile? Il rilevante ruolo nel panorama politico europeo delle regine del Settecento fu accompagnato a duri giudizi misogini sull’inluenza femminile nelle corti, così come era già avvenuto nel Cinquecento. A ine antico regime Maria Carolina e Maria Antonietta erano additate come l’esempio e le cause dei peggiori mali che afliggevano le monarchie. Nel corso della rivoluzione francese la satira che attaccò Maria Antonietta riprendeva temi circolanti da tempo sulla denuncia del malcostume dell’aristocrazia e della corte. A Napoli la Pimentel Fonseca avrebbe apostrofato Maria Carolina come la rediviva Poppea, facendo sua l’invettiva giacobina contro la depravazione e il libertinaggio aristocratico. La controrivoluzione, invece, avrebbe celebrato le sue eroine avvolte nella gloria del martirio: Maria Antonietta si sarebbe trasigurata nella genitrice santiicata dalle prove subite e il suo appello alle madri sarebbe stato l’esempio più luminoso del suo sacriicio90. Mirella Mafrici ha scritto: «l’inluenza di una donna, regina o sovrana che fosse, nella politica di uno Stato si inserisce in un cliché storiograico ormai consolidato sul potere femminile, costellato da macchinazioni e complotti […] tale modello negativo è impersonato in Italia, e in particolar modo a Napoli, nell’austroungarica Maria Carolina d’Asburgo»91. La formazione della tradizione “nera” sulla sovrana di Napoli è stata recentemente ripercorsa da Cinzia Recca, partendo dall’opera dell’esule milanese Giuseppe Gorani, che riversò tutta la sua austrofobia nel ritratto impietoso di Maria Carolina, col quale denunciò la presenza femminile nella corte come radice della diffusione della corruzione92. L’immagine è entrata poi nella storiograia ottocentesca attraverso i giudizi di Francesco Lomonaco, Vincenzo Cuoco, e poi di Carlo Botta e Pietro 90 M.R. Pelizzari, Antieroine: maschile/femminile nella rappresentazione del nemico tra XVII e XVIII secolo, in M.C. La Rocca, S. Chemotti (a cura di), Il genere e la ricerca storica cit., pp. 714-715. 91 M. Mafrici, Un’austriaca alla Corte napoletana: Maria Carolina d’Asburgo-Lorena, in Ead. (a cura di), All’ombra della corte cit., p. 51. 92 C. Recca, Sentimenti e politica cit., p. 23. 29 30 Giulio Sodano Colletta, ino ad approdare nella storiograia più recente attraverso le valutazioni di Raffaele Ajello su di una regina ambiziosa, spregiudicata, viziata, prepotente e incline alla corruzione93. Il giudizio negativo sulle regine forgiato nel corso della congiuntura rivoluzionaria di ine secolo ha fatto nascere in alcuni ambienti femministi una domanda: il crollo dell’antico regime nasce dall’avversione maschile per il potere delle donne che in quel sistema politico avevano conseguito posizioni troppo rilevanti? La domanda, per quanto provocatoria, ha un preciso retroterra storiograico, che si può far risalire, soprattutto, al libro di Joan B. Landes sulle donne e la sfera pubblica all’epoca della rivoluzione francese. L’autrice, nell’introduzione del suo volume, connotato da un forte impulso decostruzionista, propone una signiicativa revisione delle tesi di Habermas, sottolineando che la sfera pubblica è essenzialmente maschilista. Tesi centrale del libro è, infatti, che l’esclusione delle donne dalla sfera pubblica non fu un avvenimento accidentale, ma un fatto connaturato alla natura stessa del sistema borghese. Nonostante l’eccessivo carattere personale e patriarcale dell’old regime monarchico, il graduale tramonto delle corti a modello familiare, in cui reggenti, parenti e amanti avevano svolto un ruolo di rilievo, signiicò invece l’emarginazione dalla politica delle donne. Era il mondo maschile e femminile della corte che soccombeva, di fronte all’ascesa del modello rappresentativo formato interamente dagli uomini94. Sulla scia della Landes si è posta Geneviève Fraisse nelle conclusioni degli atti pubblicati nel 1991 del convegno Femmes et pouvoir sous l’Ancien régime: l’arretramento delle donne a seguito della rivoluzione e del Codice civile napoleonico è dovuto, senza mezzi termini, alla reazione a una lunga fase nella quale le donne dell’Ancien régime avevano acquisito troppo potere95. A conferma di questa svolta, la rivoluzione non solo non riconobbe i diritti alle 93 Ivi, pp. 23-25. J.B. Landes, Women and the public sphere in the age of the French revolution, Cornell University Press, Ithaca-London, 1988. 95 Sulle posizioni di G. Fraisse si veda A. Bellavitis, Storia delle donne cit., p. 105. Per il convegno si veda D. Haase-Dubosc, E. Viennot Rivage (a cura di), Femmes et pouvoirs sous l’Ancien Régime, Rivages, Paris, 1991. Nella storiograia di studi di genere è stato sottolineato che il Code Napoleon del 1804, abrogando l’istituto della cura sexus, ebbe come conseguenza un rafforzamento del potere del marito rispetto alla tradizione precedente. In proposito si veda E. Saurer, Identità di genere. Divisioni congiunzioni e la forza della memoria, in M.A. Visceglia (a cura di), Le radici storiche dell’Europa. L’età moderna, Viella, Roma, 2007, pp. 196-197. 94 Donne e potere: la monarchia femminile nel XVIII secolo donne, ma negò anche nella costituzione monarchica il diritto della regina-madre a guidare la reggenza96, che era stato, invece, uno dei riconoscimenti più rilevanti per le regine dei secoli precedenti. La valutazione dell’affermazione di un regime liberale interamente al maschile in contrapposizione a un sistema politico di Antico regime, nel quale i rapporti maschi/donne sarebbero stati meno sbilanciati, ripropone analisi già compiute per altri momenti dell’età moderna, dai quali si evincerebbe altrettanto che la “politica borghese” con la forma repubblicana – riprendendo la suggestione della Zemon Davis – si sarebbe caratterizzata per essere al maschile rispetto a quella aristocratica, più aperta, per converso, alle possibilità della gestione del potere al femminile. Un esempio sono gli studi sulla cittadinanza condotti da Martha Howell su alcune città della Germania, nelle quali, a suo giudizio, nel tardo medioevo e nella prima età moderna più il diritto di cittadinanza acquisiva rilievo pubblico, meno le donne erano ammesse al suo godimento. Le città hanno, quindi, con l’età moderna prodotto uno spazio politico che riservava diritti e attività politica al solo genere maschile, emarginando le donne. Il sistema dell’eleggibilità del cittadino si opponeva al governo della nobiltà, imperniato sul ruolo della famiglia. Il tardo medioevo e il Cinquecento vedevano nelle corti la partecipazione al potere di numerose donne, mentre nelle città, culle dell’individualismo borghese, la condizione femminile peggiorava, con la privazione della cittadinanza proprio allorquando quel privilegio diventava politicamente rilevante97. Il saggio della Howell ha ricevuto non poche critiche, perché i casi analizzati e i dati forniti sono apparsi insuficienti, nonché per il fatto che l’autrice nelle sue conclusioni sembra determinata soprattutto da letture attualizzanti. Nonostante tali riserve, è stato sottolineato che l’interpretazione della Howell risulta comunque interessante nel proporre una lettura del signiicato politico del ruolo delle donne, soprattutto nell’ambito delle famiglie dei reali, riprendendo da questo punto di vista le indicazioni della Cosandey: sebbene escluse dalla legge salica, le madri e le mogli vedove risultano essere le migliori garanti della continuità della monarchia98. Si veda in proposito M.T. Guerra Medici, Donne di governo cit., p. 192. Cfr. M. Howell, Citizenship and gender. Woman’s political status in Nothern Medieval Cities, in M.C. Erler e M. Kowalesky (a cura di), Women and power in the Middle Age, University of Georgia Press, Athens, 1988, pp. 37-60. 98 A. Bellavitis, Alla ricerca della cittadinanza, in G. Calvi (a cura di), Innesti cit., pp. 11-21. Tra gli studi che hanno contribuito a sfumare i giudizi della Howell, si rimanda come esempio a H. Wunder, He is the Sun, she is the Moon. Women in the 96 97 31 32 Giulio Sodano È lecito stabilire una continuità di lungo periodo che percorra tutta l’età moderna ino al Settecento, cioè allorquando un regime di famiglie sovrane vedeva al suo interno la forte affermazione del potere delle donne? È lecito vedere tutta l’età moderna percorsa da regimi repubblicani maschilisti e misogini? La ine dell’antico regime comportò davvero la ine di un’epoca positiva per le donne? La rivoluzione fu, in deinitiva, causata da un’ondata di maschilismo borghese, in polemica con il potere aristocratico così aperto con le donne? Le celebrazioni del bicentenario della rivoluzione francese hanno acceso la discussione anche su quanto le donne abbiano giocato un ruolo importante e se abbiano effettivamente tratto vantaggi dalla congiuntura rivoluzionaria, visto che di fatto vennero escluse dalla rappresentanza politica. Numerose sono state le valutazioni sulla rivoluzione come momento di arretramento delle donne99. Dietro queste interpretazioni, a ben vedere, c’è in parte l’ostilità della cultura anglosassone nei confronti della rivoluzione francese, contrapposta al diverso percorso compiuto dall’Inghilterra, ma soprattutto tornano in realtà ad agitarsi le polemiche contro il moderno, che, invero, parte della storiograia di genere più avvertita ha ampiamente superato. Numerose, per contro, sono state le ricerche (più o meno) di gender, che riprendendo l’impostazione della Landes, hanno analizzato la presenza delle donne nel movimento illuminista, giungendo a conclusioni molto diversiicate. Per quanto il nesso Illuminismo-rivoluzione sia stato ampiamente discusso nell’ambito della storiograia, così come il processo di iliazione giudicato tutt’altro che rigido e monocausale, è pur vero che la rivoluzione stessa nel suo corso abbia insistito nell’autorappresentarsi come iglia dell’Illuminismo, che ha fornito al corso rivoluzionario numerosi prerequisiti100. La condizione della donna nella rivoluzione francese ha quindi le sue radici nell’Illuminismo. Early Modern German, Cambridge University, Cambridge Massachusetts, 1998, pp. 169-178, da cui emerge che nelle città imperiali della Germania le donne potevano acquisire la cittadinanza, sebbene non potessero partecipare al governo in quanto escluse perché inabili al servizio nella milizia cittadina. Nelle comunità rurali le cose andavano meglio, in quanto le donne potevano essere a capo di famiglie e partecipare pienamente alla assemblee della comunità. 99 Si veda le indicazioni nel saggio della F. Collin, Storia e memoria cit., p. 35. 100 In proposito si veda V. Ferrone, D. Roche, L’Illuminismo nella cultura contemporanea, Laterza, Bari-Roma, ed. 2002, p. 17; G. Ricuperati, Universalismi, appartenenza, identità: un bilancio possibile, «Rivista Storica Italiana», CXVI, III (2004), p. 746. Si veda inoltre V. Ferrone, I profeti dell’Illuminismo. Le metamorfosi della ragione nel tardo Settecento italiano, Laterza, Roma-Bari, 2000. Donne e potere: la monarchia femminile nel XVIII secolo La storiograia femminista ha insistito sul carattere essenzialmente maschile del discorso illuminista sulle donne, viste come o rilesso o come elemento complementare a una antropologia sostanzialmente maschile101. Paula Findlen, parafrasando la domanda di Joan Kelly sul Rinascimento, si è chiesta se sia esistito un Illuminismo per le donne102. Le ricerche su questo punto sono state numerose. Il lavoro di Dena Goodman del 1994 dedicato ai salons dei philosophes francesi103, ha programmaticamente voluto rivoluzionare le linee d’interpretazione del sistema illuministico usando la categoria di genere. Secondo la storica il trionfo della cultura francese del XVIII secolo sarebbe addirittura da attribuire alle donne intellettuali che seppero modiicare i costumi della società, addolcendo i rapporti e imponendo forme di socialità volte a disinnescare i violenti rapporti tra gli uomini tipici dell’epoca precedente, basati sulla vocazione al duello e alla guerra. Le donne sarebbero state, invece, le protagoniste di una nuova socialità urbana, nella quale svolsero il ruolo di ispiratrici e direttrici di un dialogo paciico, mediando le rivalità tra letterati e scienziati e conducendo le dispute letterarie e scientiiche all’interno di una beneducata conversazione. Le tesi della Goodman sono apparse eccessive, ma le è stato riconosciuto il merito di aver posto in rilievo il passaggio della società settecentesca da una cultura intrisa di erudizione a una cultura intrisa di sociabilità104. Il suo studio di genere è stato quindi considerato un ulteriore contributo alla rielaborazione del concetto di formazione della pubblica opinione, che appare oggi meno monolitico e più caratterizzato da una pluralità di centri di elaborazione del pensiero, non riconducibili esclusivamente ai luoghi della politica: si è infatti evidenziato quanto pervasivi siano stati la scena musicale e il teatro attraverso le committenze artistiche 101 Su questo punto si veda, E. Tortarolo, L’Illuminismo. Ragioni e dubbi sulla modernità, Carocci, Roma, 1999, p. 236. 102 Cfr. R. Messbarger, The Recollected Century… of Women: A Survey of North American Scholarship on Women and Enlightenment Italy, in E. Brambilla, A. Jacobson Schutte (a cura di), La Storia di genere in Italia cit., pp. 123-138. 103 L. Goodman, The republic of letters: a cultural history of the French Enlightenment, Cornell University Press, Ithaca-London, 1994. 104 A questo proposito si veda T. Plebani, La ricerca italiana di genere su cultura femminile e Illuminismo nell’Italia del Settecento, in E. Brambilla, A. Jacobson Schutte (a cura di), La storia di genere in Italia cit., pp. 147-149. Sul libro della Goodman si veda inoltre G. Ricuperati, Universalismi cit., pp. 748-749. 33 34 Giulio Sodano femminili. E d’altra parte è anche vero che «quando si rievoca l’Illuminismo un’immagine femminile torna spesso alla mente, quella della donna che tiene salotto»105. Sull’Italia del Settecento e sul rapporto donne/movimento illuministico, sulle orme della Landes, è tornata R. Messberger, particolarmente interessata alla formazione del discorso pubblico in Italia. Il Settecento, identiicato da Pietro Chiari come “il secolo delle donne”, per la studiosa vide effettivamente un forte coinvolgimento femminile nella Repubblica delle lettere. L’autrice, seguendo alcuni dibattiti interni alle società scientiiche del Settecento italiano, evidenzia che le donne venivano riconsiderate come cittadine, come anima della società, gli “acciarini” della pubblica felicità, le degne educatrici degli uomini. La liberazione del sesso femminile dall’ignoranza fu quindi posta come materia di pubblica utilità. Alcuni illuministi ebbero posizioni di apertura nei confronti del ruolo pubblico delle donne. Per la Messberger, Cesare Beccaria, ad esempio, nel capitolo intitolato Lo spirito della famiglia del De’ delitti e delle pene bandiva l’oscurantista visione della famiglia come monarchia in miniatura, nella quale tutti i membri dovevano essere sottoposti al volere arbitrario del padre sovrano. L’illuminista italiano, pur non riferendosi mai esplicitamente alla donna, tuttavia con il suo attacco all’autorità patriarcale favoriva una trasformazione nell’essenza sociale e nella condizione politica del sesso femminile. L’Italia, per la storica, rappresenta un’area addirittura più avanzata dell’Inghilterra e della Francia nell’arena degli scambi intellettuali, tradizionalmente ristretta ai soli uomini. Il dibattito nell’Accademia dei Ricoverati sulla possibilità delle donne di essere ammesse agli studi della scienza manifesta, quindi, l’emergere della trasformazione della Querelle des Femmes da discussione meramente intellettuale a una più autocosciente disputa, che portò l’ammissione del gentil sesso nel 1723106. L’autrice, tuttavia, evidenzia anche come gli illuministi avessero nei confronti delle donne posizioni ambivalenti: pur discutendo della loro educazione in termini di pubblica utilità e felicità, in molti ritennero che dovessero rimane105 D. Godineau, La donna, in M. Vovelle (a cura di), L’uomo dell’Illuminismo, Laterza, Roma-Bari, 1992, p. 471. 106 R. Messberger, The Century of Women. Rappresentations of women in eighteenth-century in Italian public discourse, Toronto Press, Toronto, 2002, pp. 7-12. Per un breve sintesi sulla Querelle des femmes nel corso dell’età moderna, cfr. E. Saurer, Identità di genere cit., pp. 200-204. Donne e potere: la monarchia femminile nel XVIII secolo re coninate nella vita domestica. Melchiorre Delico, ad esempio, discutendo della natura delle donne, espresse l’esigenza di sottoporle alla tutela maschile. Algarotti vide nelle dame che seguivano la moda una minaccia alla tranquillità domestica. Altri illuministi, come i “caffettisti”, vissero con ansia la crescente intrusione femminile nella pubblica arena tradizionalmente riservata agli uomini, restando ancorati invece a una visione della donna sì cittadina, ma comunque relegata al ruolo di guardiana materna del cuore e della casa107. Immancabilmente poi nei lavori storici si riscontrano i riferimenti al maschilismo di Rousseau, le cui posizioni diffuse con l’Émile sono considerate tra le cause maggiori del mancato riconoscimento di pari diritti alle donne108. La convivenza di giudizi molto diversi risulta anche nel saggio sulla donna e l’Illuminismo di Michèle Crumpe-Casnabet, apparso nella storia delle donne di Duby e Perrot, che ha voluto evidenziare tutti i limiti della cultura ilosoica settecentesca attraverso l’esempliicazione delle considerazioni negative sulla natura femminile presenti nelle opere dei ilosoi. La permanenza dei pregiudizi sulla donna – secondo l’autrice – ha la sua radice nel campo d’indagine prediletto dagli illuministi sulla natura come ordine e norma, ai cui occhi suggeriva un discorso deterministico: la donna è diversa dal maschio per costruzione isica, e quindi il ruolo che la natura le afida è la riproduzione della specie e la cura dei igli in quanto sposa e madre. Non mancano, però, poi, da parte della Crumpe-Casnabet le indicazioni di diverse tendenze da parte di alcuni ilosoi, come Helvétius che afferma l’eguaglianza tra uomo e donna non sulla base dei diritti di natura, ma sulla base dell’identità dell’intelletto: l’ineguaglianza deriva non da condizioni isiche o climatiche ma dallo sviluppo socio-storico. Ancora più polemico nei confronti di chi poneva la donna su di un piano di inferiorità è Condorcet che esalta proprio il ruolo di celebri regine come Elisabetta I, Caterina di Russia e Maria Teresa d’Austria. Condorcet agli inizi degli anni ’90 del secolo pubblicava saggi nei quali auspicava la concessione dei pieni diritti politici alle donne, tanto che Jean Jaurès avrebbe poi detto che il pensiero del ilosofo francese era stato alla base dell’avvenire della condizione femminile. La conclusione della Crumpe-Casnabet è che, comunque, «una delle preoccupazioni del pensiero illuminista 107 108 R. Messberger, The Century of Women cit., p. 138. Cfr. D. Godineau, La donna cit., pp. 458-459. 35 36 Giulio Sodano è di concepire la differenza femminile, sempre bene o male segnata dall’inferiorità, pur nel tentativo di renderla compatibile con il principio di un’uguaglianza basata sul diritto naturale»109. L’“arretramento” della posizione delle donne, sostenuto da diversi lavori di gender history, può essere comunque letto anche in modi più sfumati e meno perentori. In primo luogo, la condizione delle donne nell’aristocratico Settecento prima della cesura rivoluzionaria non può essere considerata generalmente felice: in numerosi paesi non hanno diritti di intentare cause, i loro beni sono amministrati dagli uomini della famiglia e sono sottoposte all’autorità assoluta del marito110. Le regine consorti e le aristocratiche sono delle privilegiate ed è possibile loro esercitare poteri grazie al fatto che l’antico regime si connota per la confusione tra pubblico e privato, permettendo quindi ad alcune privilegiate di esercitare ruoli politici attraverso posizioni informali. Con la ine dell’antico regime questa confusione viene meno, poiché l’organizzazione politica è ora più accentuatamente che mai basata su ufici e istituzioni, con una concezione impersonale, territoriale e pubblica del potere sovrano. Quello che va a cambiare non è tanto una riduzione degli spazi al femminile, quanto il ruolo delle dinastie sovrane nella gestione del potere pubblico. Da qui l’emarginazione delle donne dalla gestione pubblica, proprio perché i loro avanzamenti non avvengono affatto nel campo pubblico, ma esclusivamente nelle posizioni all’interno di famiglie privilegiate. Che le donne delle corti divenissero poi oggetto di critiche e che al loro potere si volesse porre limiti era un fatto legato alla polemica complessiva che aveva investito l’antico regime, tenuto conto del ruolo che le regine consorti avevano avuto nella costruzione dell’assolutismo in quel regime di corti. Insomma non è che l’antico regime cada per far cadere il potere delle donne come qualche studio femminista ha voluto far intendere, ma è piuttosto la caduta 109 M. Crumpe-Casnabet, La donna nelle opere ilosoiche del Settecento, in G. Duby, M. Perrot (a cura di), Storia delle donne in Occidente cit., pp. 314-350. Il ilone di pensiero illuminista che riconosceva alla donne diritti egualitari prendeva le mosse dalle posizione del cartesiano F. Paullain de la Barre, che considerava le differenze isiologiche del tutto secondarie rispetto alla fondamentale identità della ragione umana. Al suo pensiero di rifaceva il sensismo di Helvetius, la visione matematizzante di D’Alembert, fortemente polemico con Rousseau, e inine Condorcet, la cui posizione favorevole al voto alle donne rimase però isolata. Cfr. E. Tortarolo, L’Illuminismo cit., pp. 235-245. 110 D. Godineau, La donna cit., p. 455. Donne e potere: la monarchia femminile nel XVIII secolo dell’antico regime ad avere come conseguenza l’arretramento di alcune forme di potere femminile che lo avevano caratterizzato. E in ogni caso va considerato che il movimento rivoluzionario, malgrado la proclamazione dei diritti universali e il progetto di liberazione dei popoli, ha, come tutti i movimenti rivoluzionari, il suo momento di arretramento e di ripiegamento, che vede prevalere interessi di più corto respiro e di abbandono di più ambiziosi programmi. E ciò nonostante non si può negare alla rivoluzione di ine Settecento che sia un avvenimento di tale portata innovativa, da essere propulsivo per l’intera storia del continente. Va, poi, precisato, che nella realtà concreta alcune forme di potere delle donne tipiche dell’antico regime sopravvissero anche in epoca post rivoluzionaria. Le reggenze femminili, nonostante quanto affermato dalla I costituzione monarchica, continuarono a sopravvivere nella Francia del XIX secolo: sia Napoleone I che Napoleone III nominarono loro reggenti Maria Luisa e Eugenia111, così come a Napoli Gioacchino Murat nominò Maria Carolina Bonaparte. Le interpretazioni che hanno visto nell’Illuminismo e nella rivoluzione francese una sorta di matrice del male del destino delle donne nell’accesso all’età contemporanea, più che, consapevolmente o inconsapevolmente, riproporre una polemica verso il potere maschile, sembrano in realtà ripresentare alcune formule interpretative marxiste nei confronti dell’Illuminismo come rivoluzione politica che legittimava l’emergere degli egoismi individuali e dell’utilitarismo112. La stessa storiograia marxista con la sua visione dell’età dei lumi come processo di autonomizzazione della società civile dallo Stato, è stata alla base, nel secondo dopoguerra, dello sviluppo di ricerche sulla formazione della “sfera pubblica borghese” (Koselleck e Habermas), sfera che ha costituito il campo nel quale gli studi esposti hanno dato risposte molto diversiicate, evidenziando posizioni di netta preclusione alle donne, oppure di grandi aperture, nel momento in cui è stato evidente che la politica come fatto culturale prima che sociale, economico o ideologico, si è andata sviluppando all’interno di quei salotti e quelle accademie di cui le donne furono indiscutibili animatrici113. Va sottolineato che le 111 M.T. Guerra Medici, Donne di potere cit., p. 201. Per quanto riguarda Marx e il suo rapporto con la Rivoluzione francese, resta un classico F. Furet, Marx e la Rivoluzione francese, trad. it. Rizzoli, Milano, 1989. 113 V. Ferrone, D. Roche, L’Illuminismo cit., pp. 80-81. 112 37 38 Giulio Sodano ricerche di cui si è dato conto, a partire da quella della Landes, hanno costruito le loro tesi soprattutto partendo dal presupposto della creazione di una sfera pubblica borghese così come delineata da Habermas, “paradigma” che ha invece evidenziato sempre più crepe interpretative, tanto che Benigno si è chiesto come possa mantenere ancora una vasta audience, nonostante le tante critiche corrosive a cui è stato sottoposto. In particolare proprio la sovrapposizione tra spazio culturale e spazio borghese è apparsa troppo forzata114. Il limite di alcune ricerche gender che giungono a conclusioni così eterogenee e per nulla deinite, come nel nostro caso, va probabilmente ricercato nella scelta metodologica di interpretare le epoche storiche attraverso le “rappresentazioni” della donna e i “discorsi” sulla donna, tanto che una delle partizioni del volume dell’età moderna di Perrot-Duby prese il signiicativo titolo “di lei si parla molto”, dedicando un’ampia sezione all’analisi dei discorsi letterari, teatrali, ilosoici e scientiici. Di ciò, peraltro, era stata già acutamente critica una storica del femminismo come Gianna Pomata, che in quel prodotto editoriale trovava conferma che la gender history privilegia i discorsi sulle donne più che la storia sociale delle donne, con il pericolo di cadere in una storia solo culturale da cui l’identità femminile risulta forgiata, di fatto, ancora una volta da discorsi di uomini115. È indubbio che la crisi dell’oggettività che ha colpito la disciplina della storia ha fatto, come è noto, emergere istanze narratologiche che tendono a condurre il lavoro dello storico alla rappresentazione. Ma va anche rilevato che il focus sui giudizi, in campo soprattutto letterario, inevitabilmente porta a evidenziare pareri positivi se si cercano opinioni positive, valutazione negative, se si cercano opinioni negative. Insomma, la ricostruzione storica si rifrange in mille diverse letture a seconda del testo e della posizione ideologica di chi scrive e di cosa lo storico cerca. Tutto ciò, peraltro, si somma anche alla stessa tendenza degli studi sull’Illuminismo a cavallo tra ’900 e nuovo secolo, che si sono caratterizzati per una complessiva negazione di un carattere 114 Per tutto ciò si rinvia alla discussione presente in F. Benigno, Parole nel tempo. Un lessico per pensare la storia, Viella, Roma, 2013, pp. 205-220. 115 Per la recensione si veda G. Pomata, Histoire de femmes cit., pp. 10191026. Per la discussione si veda anche le note di A. Bellavitis, Storia delle donne e storia di genere di età moderna nel contesto storiograico francese, «Genesis», VIIII, 1 (2009), pp. 95-111. Donne e potere: la monarchia femminile nel XVIII secolo generale del fenomeno, accentuando la direzione delle ricerche sui caratteri nazionali e settoriali, rovesciando così la prospettiva storica dell’Illuminismo come processo universalizzante e cosmopolita116. Non si tratta, per converso, di andare alla ricerca di una ingenua “natura reale” e di un’ipotetica “oggettività della storia”, ma, quanto meno, di ribadire che i periodi storici vanno ricostruiti attraverso il ricorso alla molteplicità delle fonti. La “rappresentazione” individuata come via maestra all’approccio del passato rischia invece di distorcere le analisi, offrendo un mutevole caleidoscopio che cambia colore a seconda della posizione: una storia tutta in blu o tutta in rosa, mentre “i fatti” vanno sbiadendo. Va inoltre opportunamente fatto presente che allorquando la storia di genere ha toccato argomenti come quello dell’assolutismo, come si è evidenziato nel paragrafo precedente, ha riportato risultati di indubbio interesse, grazie anche al ricorso di una pluralità di approcci metodologici. Ma allorquando ha toccato argomenti fortemente “politicizzati”, come nel caso della rivoluzione francese e dell’Illuminismo, la componente ideologica prende il sopravvento accompagnandosi ad una ricerca di “riscrittura” orientata anch’essa ideologicamente in una polemica verso il moderno e i cui risultati appaiono quantomeno contraddittori. È dificile poter quindi dare ragione all’ipotesi che la ine dell’antico regime abbia avuto luogo per porre un freno al potere dilagante delle donne, proprio perché l’Illuminismo e lo stesso movimento rivoluzionario, nonostante la presenza di posizioni tradizionalmente misogine, ebbero una forte componente al femminile. Mi appare più peculiare invece fare un discorso sul mutamento del ruolo della famiglia nella gestione del potere: più il potere e la sua gestione erano sottratti alla sfera privata della famiglia e più divenivano pubblici, meno possibilità quindi ebbero le donne di farne parte. E tutto ciò non vuol dire dar ragione alla vittoria del sistema borghese delle antiche repubbliche tutte al maschile dell’età moderna. La ricerca degli ultimi decenni ha, infatti, evidenziato che le “rappresentanze” presenti nelle istituzioni politiche dell’antico regime non erano affatto esclusivamente “borghesi”117. Inoltre, il “costituzionalismo” delle repubbliche patrizie dell’età moderna, connotato secondo la Landes da una natura esclusivamente 116 117 Si veda in proposito le note di E. Tortarolo, L’Illuminismo cit., p 12. Anche qui si rinvia a F. Benigno, Parole nel tempo cit., p. 213. 39 40 Giulio Sodano maschile, fu qualcosa di profondamente diverso dal “costituzionalismo” sviluppatosi nella congiuntura rivoluzionaria e che poi ha ereditato il mondo contemporaneo. Il primo era volto alla difesa degli antichi privilegi per nascita nei confronti dello stato assoluto, il secondo era a garanzia dei diritti di tutti, primo dei quali era la libertà dell’individuo. Landes ha sottolineato che tra il 1750 e il 1850 le donne si sono trovate di fronte a una nuova fonte di discriminazione e cioè il riiuto costituzionale dei diritti delle donne sotto la legge borghese e che solo nella seconda metà del XIX secolo il movimento femminile sarebbe emerso in Europa e in America settentrionale come risposta a questa situazione118. Ma è da considerare frutto del liberalismo l’esclusione delle donne dal suffragio? È forse un caso che uno dei più rilevanti assertori di quel diritto fosse il ilosofo del liberalismo John Stuart Mill? E come interpretare che ultimo a dare il diritto di voto alle donne, nel 2015, sia stato un paese non certo culla del liberalismo come l’Arabia Saudita? E che quel paese è stato preceduto di pochi anni da altri come Kuwait, Oman, Bahrein? Che il primo paese al mondo nel dare pieno diritto di voto è stata la ex colonia inglese della Nuova Zelanda nel 1893, seguita subito dopo dall’Australia? Che i paesi europei che progressivamente hanno dato diritto di voto alle donne coincidano con quelli dove erano avvenute le rivoluzioni liberali? E poiché abbiamo lungamente discusso di monarchie, i recenti mutamenti costituzionali in materia di successione al trono di alcuni paesi, che prevedono ora la successione anche in prima battuta di una donna, sono frutto di una autoriforma dell’istituto monarchico, o di una spinta di una società democratica e liberale che chiede parità di diritti tra donne e uomini? Il problematico nodo del mancato riconoscimento del diritto di voto dalla rivoluzione ha per forza di cose impegnato le pagine conclusive del saggio di Dominique Godineau dedicate alla donna del Settecento. La storica francese ha sottolineato che le donne non acquisirono il diritto di voto, ma «creando uno spazio politico fondato sul principio di uguaglianza, la rivoluzione evidenza il paradosso dell’Illuminismo, quello di una “promiscuità senza pari”». Fu un altro dei tanti paradossi di quel secolo e che il volume curato da 118 J.B. Landes, Women and public sphere cit., p. 7. Donne e potere: la monarchia femminile nel XVIII secolo Vovelle in diversi saggi evidenzia119. Ma la Godineau rimarca anche che fu un paradosso impossibile da vivere poiché «il semplice fatto che ora sia possibile proporre la parità degli uomini e delle donne esaspera le tensioni […]. Ultimo paradosso è la rottura rivoluzionaria che darà allora la possibilità al femminismo di svilupparsi»120. In via di conclusione, vale la pena riportare una frase della storia dell’Illuminismo di Ferrone e Roche: l’originalità del mondo dei Lumi sta nel fatto che rispetto a ogni altra epoca della storia gli uomini illuminati hanno creduto nella vocazione della scienza per migliorare la condizione di tutti. Le arti e la scienza che compongono la base del credo enciclopedico e accademico sono allora nella cultura a un punto d’integrazione mai raggiunti. La ragione diventa allora amministrativa, può distruggere pregiudizi, come in altri ambiti, e mobilitare il sapere per comprendere, trasformare, agire121. È quel “distruggere pregiudizi” da cui non si può prescindere… La condizione della donna nel passaggio all’affermazione della visione pubblica della politica può essere peggiorata, pur tuttavia non va dimenticato che quella precedente era esclusivamente legata a una piccola parte di donne privilegiate grazie ai confusi conini tra pubblico e privato. E comunque quel “distruggere pregiudizi”, peccando di teleologia, mi sembra sia stato il vero motore che sul lungo periodo avrebbe questa volta portato tutte le donne a godere dei diritti di libertà ed eguaglianza, e non soltanto le privilegiate aristocratiche. Mi piace concludere concordando con le signiicative parole di una donna storica, M. Benaiteau, che ha sostenuto: per quanto riguarda il politico, la storia del genere femminile negli ultimi secoli può ben apparire come una logica conseguenza della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino: non a caso gli albori delle rivendicazioni femminili iniziano con la rivoluzione francese122. 119 I diversi saggi del volume di M. Vovelle (a cura di), L’uomo dell’Illuminismo, cit., nonché la stessa introduzione del curatore, sono percorsi da tensioni, contrapposizioni, contraddizioni che caratterizzano il Settecento. 120 Le citazioni sono entrambe in D. Godineau, La donna cit., p. 485. 121 V. Ferrone, D. Roche, L’Illuminismo cit., p. 107. 122 M. Benaiteau, Le donne sulla scena pubblica cit., p. 147. 41 Paologiovanni Maione L’AMMIRAZIONE DEI POPOLI PER L’OSTENSIONE DELLA “VIRTUOSA” MARIA CAROLINA (VIENNA – NAPOLI 1768) Sommario: Gli itinerari del viaggio nuziale di Maria Carolina d’Austria sono disegnati salvaguardando le tappe indispensabili al riposo e alla eco politica che avranno. Gli strumenti di propaganda e informazione sottolineano le soste lunghe e brevi nonché i palazzi onorati dalla presenza della nuova regina di Napoli e i festeggiamenti organizzati da quei territori calpestati dalla fortunata iglia di Maria Teresa. Avvisi, gazzette, giornali, relazioni uficiali e non, lettere, resoconti amministrativi, cedole bancarie, partiture, libretti, raccolte poetiche, stampe, quadri e quant’altro offrono un resoconto avvincente di un ordito perfetto e intricato che rivelano l’operosità di abili maestranze chiamate a rendere indimenticabile l’avvincente evento. Parole chiave: nozze, Napoli, festa, 1768, viaggio. the admiration of the PeoPle for the exhibit of the rolina (vienna – “virtuouS” maria ca- naPleS 1768) abStract: The course of Maria Carolina’s wedding journey had been conceived with special attention to her repose and the political resonance of her itinerary. The instruments of propaganda and information media emphasize brief and long stays, and meticulously document those houses which were honored by the presence of the new Queen of Naples, carefully describing the feasts dedicated to her. “Avvisi”, “Gazzettes”, journals, oficial and unoficial reports, letters, administration documents, bank registries, scores, libretti, poetry collections engravings and other materials provide a fascinating overview of a perfect, yet complex adventure, highlighting the contribution of distinguished practitioners who made the wedding occasion an unforgettable one. KeywordS: wedding, Naples, feast, 1768, journey. La linea di demarcazione tra vita pubblica e privata è pressoché inesistente se anche la presenza “incognita” dei sovrani è registrata con puntualità dall’occhio vigile dei sudditi devoti, sempre solleciti a godere delle auguste igure che calamitano oltremodo gli interessi dell’intero universo. Abbagliano le immagini dei sublimi eroi terreni, modelli imprescindibili e inviolabili, nel loro continuo esibirsi sulle tavole 44 Paologiovanni Maione del mondo offrendo di sé una presenza che racchiude le maggiori virtù ostentate con una sprezzatura inarrivabile. Il tenace tirocinio, all’insegna di quelle arti che afinano i tratti dell’apparire, conduce gli stemmati personaggi a una vita teatralizzata in cui ogni gesto e azione risponde a quei canoni di “bellezza” adamantini. La rappresentazione di sé stessi si costruisce attraverso una spossante catechesi all’insegna di una costante disciplina inalizzata a ediicare personalità invidiabili per amabilità e modi. Specchio di ogni beltade umana, che li proietta in un empireo “celeste”, si offrono con temperata austerità rivestendo un ruolo “bellissimo a vedere, ma pericolosissimo a farsi” tutto proiettato verso la compilazione di una “parte” dall’inequivocabile cifra di riconoscibilità. Perite e modeste, gradevoli e operose, “severe” e ingegnose sono poi le fanciulle allevate all’ombra delle pudiche dimore reali addestrate a una vita tutta protesa sulla scena del mondo il cui coronamento potrebbe portare a “soffrire” l’onere di un trono, un seggio “faticoso” da gestire e “ammansire” per un compito gravoso in cui rivelare carattere e virtù degne di un manuale. Cantare, suonare, ballare, recitare, scrivere, comporre, dipingere sono tra gli impegni formativi del quotidiano delle perfette principesse che non disdegnano i lavori domestici inalizzati a una “completezza” dell’essere muliebre destinato ai palchi della sovranità1. Attorniate da uno stuolo di solleciti precettori e stupefacenti maestri vivono una socialità diffusa fatta di dame chiamate a reggere le loro sorti a vario titolo, in una solitudine frastornante, e di una esposizione – anzi di una sovra-esposizione – in cui è il cerimoniale a dettare coordinate inderogabili per soddisfare le attese degli acuti “spettatori”, e dove sono pochi i momenti in cui sono infrante regole e precetti se anche nei frangenti più tragici sono capaci di una drammatizzazione ammirevole sovrintesa da una sapienza rappresentativa ineguagliabile. Struggenti sono le Abbreviazioni utilizzate: Asn: Archivio di Stato di Napoli; Mae: Ministero degli Affari Esteri; Astsgna: Archivio Storico del Tesoro di San Gennaro di Napoli; Hhsaw: Haus-, Hof- und Staatsarchiv in Wien, Austria. 1 Belle immagini sull’educazione regale alla corte degli Asburgo, negli anni che coinvolgono le vicende narrate in questo articolo, sono offerte da E. Sala Di Felice, Metastasio. Ideologia Drammaturgia Spettacolo, Franco Angeli, Milano,1983 e Ead., Sogni e favole in sen del vero. Metastasio ritrovato, Aracne, Roma, 2008. L’ammirazione dei popoli per l’ostensione della “virtuosa” Maria Carolina azioni di Maria Carolina2, afidate al proprio diario, in occasione del decesso del “petit Pepé” allorquando […] je Courus par les escaliers et volois dans l’apartement de mon petit je le trouvois sur son lit il me reconut me regarda me serra le doit […] a 5 heures et demie […] mon petit inanimé froid et Cadavere je lui baesois les mains je l’embraßois je lui baisois les pieds [...]3. Sono condotte a “concertare” con scrupolo ogni momento della propria vita in cui gli affetti più spossanti e “violenti” sono relegati nelle zone più periferiche del proprio essere, sono la continenza e la temperanza a stabilire i tempi e le azioni ma soprattutto provvede a ogni cosa l’eficiente macchina cortigiana che sorregge 2 Sulla regina Maria Carolina si rinvia a J.A. von Helfert, Königin Karolina von Neapel und Sicilien im Kampfe gegen die französische Weltherrschaft 17901814, mit Benützung von Schriftstcken des k. k. Haus-, Hof- und Staatsarchivs, Wilhelm Braumüller, Wien, 1878; Id., Zeugenverhör über Maria Karolina von Österreich Königin von Neapel und Sicilien aus der Zeit vor der großen französischen Revolution (1768-1790), in Commission bei Karl Gerolds Sohn, Wien, 1879; Id., Maria Karolina von Oesterreich Königin von Neapel und Sicilien. Anklagen und Vertheidigungen, mit Benützung von Schriftstcken des k. k. Haus-, Hof- und Staatsarchivs, Verlag von Georg Paul Faefh, Wien, 1884; B. Croce, La biblioteca tedesca di Maria Carolina d’Austria regina di Napoli, «La Critica», XXXII (1934), fasc. I, pp. 71-77, fasc. III, pp. 233-240 e fasc. IV, pp. 310-317; E.C. Conte Corti, Ich, eine Tochter Maria Theresias. Ein Lebensbild der Königin Marie Karoline von Neapel, Verlag F. Bruckmann, München, 1950; L. Tresoldi, La biblioteca privata di Maria Carolina d’Austria regina di Napoli, Bulzoni, Roma, 1972; M. Lacour-Gayet, Marie-Caroline reine de Naples. Une adversaire de Napoleon, Tallandier, Paris, 1990; U. Tamussino, Des Teufels Großmutter. Eine Biographie der Königin Maria Carolina von Neapel-Sizilien, Deuticke, Wien, 1991 e M. Giannattasio, Le due Caroline, Esi, Napoli, 1999. Comunque la igura della regnante emerge in tutta la sua complessità dal suo lascito epistolare, pertanto si rinvia, tra l’altro, al Carteggio di Maria Carolina Regina delle due Sicilie con Lady Emma Hamilton […], Jovene, Napoli, 1877 e alla Correspondance Inédite De Marie-Caroline Reine de Naples et de Sicile avec le Marquis De Gallo Publiée et Annotée Par le Commandant M.-H. Weil et le Marquis C. Di Somma Circello, 2 tomi, Emile Paul, Paris, 1911. Per gli interessi musicali della sovrana cfr. A. Mondoli Bossarelli, Gluck e i contemporanei attraverso i manoscritti donati da Maria Carolina alla città di Napoli, in Gluck e la cultura italiana nella Vienna del suo tempo, «Chigiana», IX-X (1975), pp. 585-592. 3 Asn, Archivio Borbone, vol. 96, Journal 1781-1785, cc. 59r-v, 19/II/1783. Sulle vicende funeste che coinvolsero Maria Carolina tra il 1782 e l’83 e i risvolti artistici si rinvia a P. Maione, Guglielmi e la celebrazione dei reali napoletani: La felicità dell’Anfriso (1783), in C. Gianturco, P. Radicchi (a cura di), Pietro Alessandro Guglielmi (1728 - 1804). Musicista italiano nel Settecento europeo, ETS, Pisa, 2008, pp. 235255. Il “diario” della regina è ora edito da C. Recca, Sentimenti e politica. Il diario inedito della regina Maria Carolina di Napoli (1781-1785), Franco Angeli, Milano, 2014. 45 46 Paologiovanni Maione L’ammirazione dei popoli per l’ostensione della “virtuosa” Maria Carolina e governa queste “virtuose” destinate alla grande “scena”. Le biograie di queste “signore” – tali sono appellate sin dalla tenera età – sono costellate da fulgidi capitoli destinati a restituire il leggendario quotidiano di coloro che per volontà suprema sono chiamate a “sopportare” il peso del diadema e della corona in una convulsa esistenza in cui anche il malessere diviene oggetto di contemplazione e condivisione. Ma a lanciare abbacinanti immagini è, solitamente, l’episodio nuziale in cui le “appassionate” di ritratti medaglioni descrizioni convolano al “trono” secondando una regia in cui sono le sorti del mondo a dettare leggi e strategie4. Le tattiche di questi “bellicosi” connubi, apportatori di serenità e pace sulle “carte” d’Europa segnate da ferite sanguinolenti o rimarginate e da cicatrici-moniti, studiate con arguzia creano attese di lunga durata politica e di folgoranti ed efimere mondanità apparentemente innocue ma altamente istruttive per un percorso che stabilisce patti e alleanze o rinsalda e conferma solide amistà con ricadute corroboranti sullo scenario internazionale. Le “innamorate” spose sono poste al centro di un ingranaggio festivo senza eguali destinato ad ampliicare il prestigio delle “case” coinvolte sull’intera terra che per l’occasione è chiamata ad ospitare uno spettacolo irripetibile che sarà lo splendore per cronache e relazioni ma soprattutto il tormento di coloro che sono chiamati, a vario titolo, a rendere unico questo evento attraverso un allestimento del “palcoscenico” calcato dalla sposa-regina di maravigliosa fattura. Gli itinerari, tracciati sulle mappe, che uniscono le città di partenza a quelle di arrivo, sono disegnati salvaguardando le tappe indispensabili al riposo e alla eco politica che avranno su gazzette e resoconti diplomatici i treni nuziali. Gli strumenti di propaganda e informazione sottolineano le soste lunghe e brevi nonché i palazzi onorati dalla presenza delle novelle mogli aurate e i festeggiamenti organizzati da quei territori calpestati dalle fortunate consorti latori di rispetto o sudditanza ai nuovi lacci araldici annodati. Avvisi, gazzette, giornali, relazioni uficiali e non, lettere, resoconti amministrativi, cedole bancarie, partiture, libretti, raccolte poetiche, stampe, quadri e quant’altro offrono un resoconto avvincente di un ordito perfetto e intricato che solo lentamente si lascia indagare rivelando così la spossante operosità da dietro le “quinte” foriere di informazioni interessanti al ine di indagare l’articolato e ponderato lavoro di “maestranze” indefesse. Nel 1767 le vie diplomatiche s’affollano di informative circa il percorso che avrebbe attraversato il corteggio della futura regina di Napoli, Maria Giuseppa d’Austria, per abbracciare il trepidante sposo e insediarsi sullo sfolgorante trono meridionale. A Vienna «si dispone […] una magniica Rappresentazione Drammatica per le Feste sposalizie di Una delle Auguste Arciduchesse con il Monarca delle Due Sicilie, e già stati sono invitati per dipingervi le Scene [i] Fratelli Galeari»5 scrive l’informatore milanese del conte Zambeccari, ministro plenipotenziario della corte napoletana, nel marzo dell’anno fatidico ribadendo, dopo poco, che «questi Fratelli Pittori Galeari deono partire fra pochi giorni per Vienna, ove sceneggieranno un Dramma di tutta magniicenza, che rappresentarassi in occasione del Reale già indicato in altri Fogli prossimo Sposalizio»6. Intanto in gran subbuglio si trova la corte napoletana nel predisporre il calendario dei festeggiamenti ma soprattutto nel garantirsi un parterre di artisti di prima grandezza; è il marchese Tanucci a esporsi, tramite il conte Finocchietti – ambasciatore partenopeo in stanza a Venezia –, con il virtuoso Guadagni e con coloro che potevano agevolarlo nel garantirsi la rara ugola: 4 Sul ruolo delle nozze nell’economia biograica di questo stuolo di donne “sradicate” e soprattutto sul viaggio nuziale si veda il sito http://www.marryingcultures.eu/ e il volume di A. Morton, H. Watanabe-O’Kelly (a cura di), Queens Consort, Cultural Transfer and European Politics, 1550-1750, in corso di stampa. Per il viaggio della predecessora di Maria Carolina si rinvia a H. Watanabe-O’Kelly, Cultural Transfer and the Eighteenth-Century Queen Consort, «German History», 34, 2 (2016), pp. 279-292 e a Ead., The Consort in the Theatre of Power: Maria Amalia of Saxony, Queen of the Two Sicilies, Queen of Spain, in A. Morton, H. Watanabe-O’Kelly (a cura di), Queens Consort, in corso di stampa. 5 Asn, Mae, fasc. 167, inc. Torre Guevara 31/III/1767, la notizia si desume da una relazione datata Milano 18/III/1767 inviata da Bologna dal conte Giovanni Zambeccari ministro plenipotenziario del monarca di Spagna e di Napoli al marchese Bernardo Tanucci. Sulle nozze delle due arciduchesse si vedano anche ivi, ff. 3923-3929 qui non presi in considerazione perché già analizzati da A. Sommer-Mathis, Tu felix Austria nube. Hochzeitsfeste der Habsburger im 18. Jahrhundert, Musikwissenschaftlicher, Wien, 1994. 6 Asn, Mae, fasc. 167, inc. Caserta 7/IV/1767, la notizia si desume da una relazione datata Milano 25/III/1767 inviata da Bologna dal conte Zambeccari al marchese Tanucci. Dovendosi nella lieta occasione delle felicissime nozze del Re colla serenissima Arciduchessa, Maria Giuseppa far qui delle feste Teatrali; desiderarebbe la M.S. di avere qui pel mese di Novembre di questo anno il Cantante Guadagni; e sapendosi che questo nel Carnevale dell’anno venturo, sia stato appaltato per cantare in Roma, crede la M.S. che con questa 47 48 Paologiovanni Maione occasione può riuscire assai più facilmente l’aversi qui nel sudetto mese di Novembre per la mentovata festa. Mi ha imposto dunque la M.S. di partecipar ciò a V.S.I. perché tratti col Cantante Guadagni, e, colla solita sua eficacia, procuri l’adempimento del R.l desiderio […]7. I contatti con il virtuoso intrapresi dal ministro lagunare inducono il marchese a scrivere «al Cardinale Orsini in Roma, perché tratti co’ Cavalieri Direttori del Teatro di Argentina pel permesso di farlo trattenere [a Napoli] ino a 20 di Decembre»8 sollecitando il nobile Finocchietti a “concludere” con il Musico […] per la consaputa Serenata, o sia Festa Teatrale con assicurarlo, che la festa sud.a si farà tutta a conto del Re senza alcuna ingerenza dell’Impressario, e che il Re non mancherà di ricompensarlo a dovere: Può anche V.S.Ill.ma assicurarlo, che quando voglia anche fermarsi per questo R.l Teatro per l’anno venturo 1768 si daranno da S.M. gli ordini corrisp.ti all’Impressario, e si agevolerà per farglisi far un buon partito corrisp.te al suo merito […]9. Anche Firenze, altra tappa nevralgica del tour matrimoniale, era alle prese con i virtuosi di canto ma soprattutto con le bizze de la pazza Cantatrice Gabrielli [che] fu dai Cavalieri Associati per il Teatro di Firenze invitata ad agire colà nel dramma che deesi rappresentare in occasione del passaggio della Regina delle Due Sicilie, e perché voleva esentarsi dall’impiego, pretese mille zecchini, sperando, che non le sarebbero accordati; ma s’ingannò; imperocché nel chiesto prezzo le si trasmise la Scrittura di convenzione, ed apertamente diede allora la negativa, e si ricovrò nel Palazzo in Napoli dell’Ambasciatore di Francia. Motivo del Capriccioso riiuto dicesi essere un solito amoroso Attacco, da cui non vuole allontanarsi»10 al che si rivolgono a la Cantatrice de Amicis, che già trovò in Vienna tanti favori, passavasene colà, invitata per quel Teatro, ma per ordine superiore venne arrestata 7 Asn, Mae, fasc. 2306, inc. Napoli 28/VII/1767, lettera del marchese Tanucci al conte Giuseppe Ranieri Finocchietti di Foulon, ministro plenipotenziario del monarca di Napoli, a Venezia. 8 Ivi, inc. Napoli 25/VIII/1767, lettera del marchese Tanucci al conte Finocchietti a Venezia. 9 Ibidem. 10 Asn, Mae, fasc. 167, inc. Napoli 8/IX/1767, la notizia si desume da una relazione datata Milano 26/VIII/1767 inviata da Bologna dal conte Zambeccari al marchese Tanucci. L’ammirazione dei popoli per l’ostensione della “virtuosa” Maria Carolina tre Poste fuori di Firenze, tradotta in Città, e proibitole inoltrarsi verso la Dominante Austriaca, né per ancora può sapersene il motivo; e frattanto sottentrerà, volendo, o non volendo, nel luogo della Gabrielli»11. Un dettagliato programma dei festeggiamenti iorentini per il soggiorno della regina di Napoli e del suo augusto genitore compare sulla «Gazzetta Toscana» del 10 ottobre12 mentre nell’edizione successiva si annuncia la sospensione dei preparativi per il vaiolo contratto dall’ormai regina di Napoli che ha scompaginato i piani preventivati13, ma tutto il meccanismo salta allorquando si propaga la mesta notizia del decesso della pia sposa rimasta vittima del male, probabilmente, per un pietoso raccoglimento sulla tomba della zia in compagnia della madre Maria Teresa14. I lugubri rintocchi dei bronzi concludevano le celebrazioni nuziali viennesi che avevano avuto come spettacolo clou la messinscena della Partenope intonata da Hasse su un testo appositamente scritto dal poeta cesareo Metastasio15. L’imperatrice dopo la seconda igliola destinata vanamente al seggio di Partenope assegna all’improbo ruolo una terza arciduchessa, forse già folgorata dai bei medaglioni sbrilluccicanti e dai riiniti ritratti inviati alle sventurate sorelle per cui con fulminante tempismo viene preparata a raggiungere i bei cieli del Sud. La “predestinata” Maria Carolina, ancora assorta sulla falce che inesorabile si era abbattuta sulla sua germana, è così chiamata a calcare le “scene” regali coinvolta in preparativi frettolosi che la vedono sposa-stemmata nel giro di pochi mesi, giusto il tempo di far riprendere Ferdinando dall’atroce perdita e permettergli di maturare la terza “folgorazione” affettiva. La “freccia” dinastica scoccata rimette in moto l’industria maritale che in tempi rapidi è chiamata a predisporre il complesso cerimoniale itinerante riaprendo il frenetico accaparramento delle maestranze più in vista per un grand tour spettacolarmente eficace e memorabile16. Se a Mantova 11 Ibidem. «Gazzetta Toscana», 10/X/1767, n. 41, p. 169. 13 Ivi, 17/X/1767, n. 42, p. 173. 14 Ivi, 24/X/1767, n. 43, p. 177. 15 Cfr. R. Mellace, Johann Adolf Hasse, L’Epos, Palermo, 2004, pp. 133-135. 16 Informazioni sul viaggio nuziale di Maria Carolina, e quello previsto per Maria Giuseppa, si desumono anche dallo studio di A. Sommer-Mathis, Tu felix Austria nube cit., pp. 139-163. 12 49 50 Paologiovanni Maione la Piccinelli […] è stata […] scritturata dal Dottore Stampa per il Teatro di Mantova nel prezzo di 300 Zecchini Romani, ed alloggio per 25 Recite, che principieranno all’arrivo colà della futura Regina delle Due Sicilie, onde la Suddetta dovrà trovarsi in quella Città verso la ine del presente mese di marzo [1768]. Il Dramma è Pastorale di Poesia nuova, composto da uno di que’ Letterati, ed il Dramma sarà nobilmente arrichito di Scene, di vestiario, e di Balli: un nostro Greppi ha fatto il possibile per frastornare l’ultimazione di questo contratto per essere pressantemente impegnato a mandare la detta Virtuosa a Bologna per una Serenata, che si rappresenterà nella stessa occasione del passaggio della futura Regina delle Due Sicilie»17, a Napoli c’è la convenevole attenzione à che questo R.o Teatro venga fornito di soggetti idonei al disimpegno delle Sovrane Soddisfazioni, e di quelle del Pubblico; Si è presa cognizione di due Virtuose […] la Taiberin, e la Ribaldi, e si sono considerate di capacità e di attitudine opportuna all’intento. Vuole dunque il Re […] impegnarle ambedue pel sud.o Teatro; La Taiberin cioè per Prima Donna, e la Ribaldi per Seconda. È bene che […] non [si] ignori nel proposito essersi qui detto dall’Impressario, che la Taiberin abbia richiesto per sua conduzzione Zecchini 1300., Casa, Viaggio […]18. Va da sé che le scelte operate rientrino in un piano artistico destinato a soddisfare appieno il gusto della promessa sposa che ha particolari competenze in ambito artistico e in special modo musicale per cui la “primadonna” reale sarà attorniata da manifestazioni che armoniosamente incontreranno il suo genio, non a caso la Tauber proprio nel ’67 aveva allietato le feste viennesi. I periodici del tempo con tempestività annunciano preparativi e programmi soddisfacendo la curiosità dei lettori e ampliicando il signiicato storico dell’evento, in particolare sono notizie destinate a render conto del gran daffare imposto dallo spostamento del prezioso treno e dei suoi viaggiatori, uno scambio di informazioni che descrivono un organigramma cortigiano complesso e scrupoloso. Il «Diario Ordinario» dà conto con sollecitudine dei preparativi iorentini e napoletani rivelando il notevole fermento che ha messo in moto il sacro nodo; agli inizi di marzo rassicurante è l’annotazione che 17 Asn, Mae, f. 168, inc. Caserta 15/III/1768, la notizia si desume da una relazione datata Milano 2/III/1768 inviata da Bologna dal conte Zambeccari al marchese Tanucci. 18 Ivi, inc. Napoli, 1/XII/1767, lettera del marchese Tanucci al conte Finocchietti a Venezia. L’ammirazione dei popoli per l’ostensione della “virtuosa” Maria Carolina sono state ordinate diverse abili maestranze afine di preparare sontuosamente il gran Salone di Palazzo Vecchio a più feste di ballo da farsi in occasione del passaggio che sarà per fare nella ine del mese di Aprile da questa Dominante la Reale Arciduchessa Maria Carolina futura Regina di Napoli19 a cui fa eco che a Napoli è stato ripigliato, con tutto l’ordine, il lavoro delle Machine, ove si faranno le grandiose Cuccagne, ed altri pubblici spettacoli all’arrivo della nostra Regina Sposa; la quale da Firenze, ino a Portella, verrà per vettura, avendo la direzione di tale strada il Sig. Filippo Fenzi, Tenente-Generale delle Poste di Sua Altezza Reale il Ser.mo Granduca di Toscana20. Un supervisore del tracciato stradale disegna l’itinerario dove le popolazioni informate del real passaggio predispongono ali festanti e addobbi sontuosi, degni “festoni” di raccordo tra i luoghi privilegiati destinati al soggiorno breve o lungo dell’affollato corteo. Per l’arrivo di Maria Carolina il 27 aprile sono state da questa R. Corte stabilite le feste, che giorno per giorno saranno date in Firenze nel tempo della dimora di questa Sovrana, ed eccone il diario. | La mattina del Giovedì 28. sarà destinata per il suo riposo, la sera comparirà al Teatro in Via del Cocomero: Venerdì 29. corsa di barberi, e la sera appartamento. Sabbato 30. sarà dato trattenimento in Corte: Domenica I. Maggio gran festa di ballo nel Salone di Palazzo Vecchio: Lunedì 2. la Nobiltà sarà ammessa al baciamano di congedo, e la sera teatro; nel Martedì 3. inalmente seguirà la sua partenza alla volta di Napoli. | Nel dì 19. partirono da questa Real Corte alla volta di Napoli alcuni cariaggi per servizio dei nostri Reali Sovrani non meno che della futura Regina Sposa, qual erano scortati da alcuni di questi Cacciatori Reali21. 19 «Diario Ordinario», 16/III/1768, n. 7912, notizia datata Firenze 5/III/1768. L’articolo riporta anche che «Secondo poi le migliori notizie, la partenza da Vienna di questa Sovrana si dice che sia issata per il dì 7. del futuro Aprile, e che il dì 24., o 25. giungerà in Firenze, ove sarà per trattenersi ino al dì 2. Maggio». 20 Ivi, 23/III/1768, n. 7915, notizia datata Napoli 1/III/1768. Si veda anche ivi, 30/III/1768, n. 7918: «Napoli 15. Marzo. | Si vanno allestendo con tutta sollecitudine i necessari preparativi per ricevere S.A.R. l’Arciduchessa Maria Carolina d’Austria nostra futura Sovrana, che si attende verso il principio del futuro mese di Maggio, e per formare la sua numerosa Corte. | In fatti è stata pubblicata la promozione delle Dame destinate al suo servizio […]». 21 Ivi, 6/IV/1768, n. 7921, notizia datata Firenze 16/III/1768. 51 52 Paologiovanni Maione E sempre dalle colonne del «Diario Ordinario» si sa che a Napoli tutta questa Nobiltà, ma in particolar maniera dalla prescelta a corteggiare l’Augusta Regina nostra, si dispone ogni cosa, onde comparire in doviziosa gala al suo incontro, ed arrivo in questa Capitale, che seguirà verso la metà del venturo Maggio; dovendo la Maestà Sua giugnere gli 11. del mese stesso a Terracina, città situata sulle frontiere di questo Regno. La partenza poi di Sua Maestà il Re nostro Sovrano per Gaeta ad incontrare la Regina sua Sposa è stata issata per li 9. di Maggio. Arriva qui ogni giorno parte del bagaglio della suddetta Regina Sposa, quale si trasporta nella Regia Guardarobba22. Già il 12 aprile nella capitale borbonica è diramato il regolamento delle Feste, che si celebreranno in questa Dominante nella prossima felice congiuntura del Real Matrimonio del nostro Re, ed è il seguente. Domenica, Lunedì, e Martedì dopo l’arrivo della Regina vi sarà illuminazione, e Mercoledì baciamano, e serenata a Palazzo, Venerdì riposo, Sabbato festa di ballo a Palazzo, Domenica cuccagna, ed opera, Lunedì opera, Martedì, e Mercoledì serenata al Teatro, Giovedì ballo a Palazzo, Venerdì riposo, Sabbato ballo a Palazzo, Domenica ballo al Teatro. Nel ballo di maschere al Teatro, e nella Sala ove interverrà Sua Maestà, gli abiti debbono essere di carattere, e resta proibito il dominò; permettendosi l’oro, e l’argento, e qualunque altro ornamento. Nella Sala sopra il Teatro si permette il dominò, e si proibisce il Pulcinella, il Coviello, e l’abito di Paglietta, e non saranno ammessi che quelli che saranno propriamente vestiti. Si avverte pure, che nella Sala del Real Palazzo si proibisce qualunque maschera di carattere, dovendo consistere solamente nel dominò, senza verun guarnimento d’oro, o d’argento, o di qualsivoglia sorte di merletto, o velo, o frange ec. ma dovrà esser guarnito dalla stessa robba dell’abito23. Ivi, 27/IV/1768, n. 7930, notizia datata Napoli 5/IV/1768. Ivi, 4/V/1768, n. 7933, notizia datata Napoli 12/IV/1768. Cfr. anche Hhsaw, Staatenabteilung Neapel, K. 8, c. 110r «Regolamento delle Reali Feste. / Essendo della sovrana intenzione di S. M., che nella prossima avventurosa circostanza del Suo Real Matrimonio, si facciano quindici giorni di Feste nel modo che qui appresso stà spiegato: si fa sapere per notizia di ognuno, che nel Ballo di Maschera in Teatro, e nella Sala ove interviene S. M., gli Abiti devono essere di Carattere, e si proibisce il Dominò, permettendosi l’oro e l’argento, e qualunque altro ornamento. Nella Sala poi sopra il Teatro si permette il Dominò, e si proibisce il Pulcinella, il Coviello, e l’abito di Paglietta, e non entreranno che quelli, che saranno propriamente vestiti: Parimente si avverte, che nella Sala del Real Palazzo si proibisce qualunque Maschera di Carattere, dovendo la medesima consistere in solo Dominò: Restando espressamente proibite le guarniture d’oro, e d’argento, e di qualsivoglia sorte di merletto; ma dovranno guarnirsi solo dell’istessa robba dell’Abito. / Domenica / Lunedì /Martedì / Illuminazione / Mercoledì Baciamano, e Serenata in Palazzo / L’ammirazione dei popoli per l’ostensione della “virtuosa” Maria Carolina La frenesia della nobiltà per predisporre un adeguato guardaroba è inarrestabile e la prospettiva delle spossanti ed emozionanti giornate doveva mettere a dura prova non solo i co-protagonisti ma gli interi stuoli di famigli chiamati a vario titolo a “partecipare” all’esclusiva occasione. La città danubiana, mentre in Italia fervono i preparativi, ha già spento i rilettori sulle celebrazioni nuziali con una funzione sacra di grande impatto emotivo soprattutto per quegli episodi di affettività esibita in cui sono chiamate ad esprimersi l’imperatrice e la nouvelle reine condotta per mano al trono dell’Altissimo per convolare con il regno meridionale e il suo sovrano. Dopo il disbrigo delle formalità circa la domanda di nozze e il consenso dell’arciduchessa, posta e raccolta dal «Duca di S. Elisabetta, già Ambasciatore, e Plenipotenziario di Sua Maestà Siciliana alla Corte Imperiale di Vienna»24, il 7 aprile la «Chiesa de’ PP. Agostiniani Scalzi» accoglie «la Corte Imperiale, e Regia» in un’inedita foggia, «ornata di superbe tapezzerie, e n’erano le colonne coperte dalle basi ino alli capitelli di damasco cremisi, ricco di galloni, e frangie d’oro»25: Dalla parte sinistra dell’Altar maggiore era un baldacchino, sotto cui eran due sedie d’appoggio con due inginocchiatoj per le Loro Maestà Imperiali, e Regia Appostolica. Sulla stessa linea, ed in poca distanza dal baldacchino, erano altre sedie per l’Augusta Famiglia. Rimpetto all’Altare era uno strato con due sedie, e due inginocchiatoj per S.A.R. l’Arciduca Ferdinando, incaricato, per procura dal Re delle Due-Sicilie, di sposare in nome suo, la Reale sudetta Arciduchessa, ed un poco indietro alla destra un inginocchiatojo pel Duca di S. Elisabetta come Ambasciadore dello stesso Monarca26. Salvaguardata l’etichetta e stabilito l’apparato si passa alla gran cerimonia cadenzata da un corteggio accolto dalle milizie in 22 23 Giovedì Festa di Ballo in Palazzo / Venerdì Riposo / Sabato Festa di Ballo in Palazzo / Dopmenica Cuccagna, ed Opera / Lunedì Opera / Martedì / Mercoledì / Serenata in Teatro / Giovedì Ballo in Palazzo / Venerdì Riposo / Sabato Ballo in Palazzo / Domenica Ballo in Teatro». 24 Relazione dello Sposalizio seguito per procura in Vienna li 7 Aprile 1768 di Sua Altezza Reale Maria Carolina Arciduchessa d’Austria con Sua Maestà Ferdinando IV re delle Due Sicilie…, Suo Viaggio intrapreso sino a Firenze, Feste ivi fattesi, Sua venuta in Roma, e proseguimento sino a Marino, Terra appartenente all’Eccellentissima Casa Colonna…, Stamperia del Chracas, Roma, 1768, pp. n. n. (da ora Relazione dello sposalizio). 25 Relazione delli reali felicissimi sponsali seguiti in Vienna della Maestà di Maria Carolina d’Austria colla Maestà di Ferdinando IV re delle Due Sicilie e delle cerimonie, spettacoli, e feste celebrate in una sì fausta occasione…, Vincenzo Flauto Impressore di Sua Maestà, Napoli, 1768, pp. n. n. (da ora Relazione delli reali felicissimi sponsali). 26 Ibidem. 53 54 Paologiovanni Maione grand’uniforma che fanno ala al percorso che va dalla galleria del palazzo reale sino all’ingresso della divina dimora dove ad attenderlo vi erano, dalle 11, «le dame della Città, che hanno accesso in Corte» assise nel «sinistro lato del Coro». Il quadro così predisposto accoglie la Corte nell’ordine seguente: cioè, i Paggi, i Gentiluomini di bocca, i Ciamberlani, i Consiglieri di Stato, i Cavalieri dell’Ordine di S. Stefano, e quelli dell’Ordine Militare di Maria Teresa, i Commendatori, ed i Gran-Croci dell’uno, e dell’altro Ordine, i Cavalieri del Toson d’Oro, l’Ambasciadore di Napoli, il Ser. Duca di Sassonia-Teschen, i Serenissimi Reali Arciduchi, S.M. l’Imperadore, accompagnato da’ Capitani delle Guardie, e da’ Grandi Ufiziali, e S.M. l’Imperadrice Reina, che dava la mano alla Real sua Figlia, che seco conduceva, vestita d’un abito di ganzo d’argento, e cui teneva la coda la sua Maggiordonna Contessa di Lerchenfeld. Seguitavano appresso alle Loro Maestà le Loro Altezze Reali le Arciduchesse; e le Dame di Corte terminavano inalmente il corteggio, che chiudevasi da un distaccamento delle Guardie del Corpo a piedi27. L’ammirazione dei popoli per l’ostensione della “virtuosa” Maria Carolina Iniziava così il lungo viaggio della coronata viaggiatrice annunciato da «tre Postiglioni, che sonavano le lor cornette» ad apertura del lungo corteo salutato «nella sua partenza da una scarica di moschetteria d’un battaglione, schierato sul bastione rimpetto alla Corte, e dal cannone di que’ baluardi»30. La carrozza di Maria Carolina, tirata da sei cavalli, era spalleggiata da 4. Guardie Nobili a cavallo, e seguita da altre sei carrozze parimenti a sei cavalli, 4. Delle quali per la Corte Nobile, e le altre due per li Camerieri di Corte, e Donne di Camera della Regina. In appresso venivano altre 17 carozze pure a 6. Cavalli ripiene di altra Nobiltà, e Persone di servizio della sud. Regina; ed oltre di queste, altre tre, pure a 6. per servizio di Sua Ecc. il Duca di S. Elisabetta: altre due carozze a sei cavalli per l’equipaggio di Sua Maestà, con la scorta di 4. Aiduchi; di più sei brancardi per l’equipaggio delle Dame, e Cavalieri, ed altri 4. brancardi, due de quali per l’argenteria, e biancheria di tavola […] ed oltre del suddetto gran numero vi erano altre carozze pure a 6. […], oltre molti altri carrozzini, calessi, e cariaggi, che venivano in appresso31. Ognuno ha un suo ruolo e un suo posto da occupare per guardare e godere – ed essere guardato e goduto – la sacra funzione che prevede un considerevole numero di blasonati oficianti capeggiati dal Nunzio Pontiicio chiamati a benedire l’unione tra le due “case” e gli anelli che suggellano il patto d’amore e d’alleanza prontamente ampliicato dal «Te-Deum, che fu cantato, allo strepito di due scariche del cannone di que’ baluardi, e di due della moschetteria d’un battaglione, dalla musica della Cappella Imperiale, e Regia»28. Lo splendore della compagine vocale e strumentale di palazzo accompagna il rito nuziale per procura e innalza, ediicandoli, i cuori degli astanti a quei prieghi devoti volti ad augurare serenità e prosperità alla regale emigrante: con tal numeroso accompagnamento da Vienna passò a Neustadt, nel di 8. a Newiden, nel dì 9. a Spilberg, nel dì 10. a Schrattenberg, nel dì 11. a Clagenfurt, nel dì 12. A Spital, nel di 13. a Lintz, nel dì 14 a Niederdorff, nel dì 15. a Brixen, nel dì 16. a Inspruck, dove si trattenne due giorni, nel dì 18. a Bressanone, nel di 19. a Bolzano, nel dì 20. a Trento, nel dì 21. ad Ala, nel dì 22. a Mantova, ove stiede il dì 23., nel dì 24. alla Mirandola, nel di 25. a Modena, e nel dì 26. a Bologna, dove ebbe la consolazione di rivedere dopo due anni, e 9. mesi il Reale Arciduca d’Austria Pietro Leopoldo suo fratello, e Gran Duca di Toscana, che del tutto incognito vi si era portato da Firenze32. La nuova Reina si vestì da viaggio, pranzò in privato coll’Augustissima sua Genitrice, se ne accomiatò, ed a 3. ore e mezzo traversò i grandi Appartamenti, condotta dal Reale Arciduca Ferdinando, che misela in carrozza, ed accompagnata dallo stesso corteggio, che aveva, andando alla Chiesa. La commozione interna, che apparì in volto della Maestà Sua, era un troppo vivo contrassegno di quanto era avvenuto tra la tenera Augusta sua Genitrice, e Lei, onde tutta la Corte ne provò una somma tenerezza29. L’accoglienza riservata alla “fedelissima” è ovunque ragguardevole e non mancano tributi sonori degni dell’appassionata musicista, a Innsbruck «Domenico Volpi, agente all’I.R. Corte per il supremo Consiglio di Commercio e per l’aulico Dipartimento d’Italia» compone una cantata intonata da Florian Gassmann eseguita quando «si degnò di seder in pubblico a mensa la sacra maestà 27 28 29 Ibidem. Ibidem. Ibidem. La regina di Napoli 30 31 32 Ibidem. Relazione dello sposalizio. Ibidem. 55 56 Paologiovanni Maione di Maria Carolina regina delle due Sicilie»33. È sul suolo italico, comunque, che il treno della sovrana trova un’accoglienza senza pari, le popolazioni restano folgorate dall’inusitata vista della rappresentazione della maestà e catturano immagini da custodire gelosamente nella mente per poi restituirle nei dì futuri a maggior gloria di un’esperienza eccezionale e unica. La disciplinata calca inneggia al passaggio del corteo e il camminamento è “preparato” con dovizia dai maggiorenti preposti ad accogliere degnamente la preziosa silata con addobbi e spari. Trioni, archi, dosselli, illuminazioni, salve, rintocchi, pirotecnie, musiche accolgono festosamente il lieto apparire delle vetture e in Italia la mobilitazione è totale, sul suolo veneto è “corteggiata” dal «Signor Luigi Tiepolo in qualità di Ambasciadore Straordinario per parte della Serenissima Republica di Venezia»34, «servita a Tavola» e omaggiata «di una Camera di Cristallo, lavorata in oro di Zecchino, con due grandi specchi Compagni, Seggioline simili, e Tavolino, sopra cui mangiò, ed il tutto fu ricevuto con dimostrazione di sommo gradimento»35. Attrezzerie strabilianti e arredi rafinati per “scene” senza eguali sono poi smontate per arricchire il ricco bagaglio che nel corso del tour diventa sempre più simile a un magazzino teatrale in cui si accumulano i regali umiliati ai piedi della sovrana. «Portano altri doni per presentare alla regina» (Didone abbandonata), «portando diversi doni» (Alessandro nell’Indie), «con seguito di parti che conducono […] altri doni da presentare» (Adriano in Siria) sono le probabili didascalie che accompagnano i gesti dei cerimoniosi ospiti che accorrono da ogni latitudine per celebrare degnamente le nozze gigliate: «il Sig. Con: d’Aquilar, Ambasciatore Straordinario di S. M. Cattolica a questa Corte [Sabauda], […] si porta a quella di Firenze per aspettare l’Arciduchessa Carolina […] per complimentarla, e presentarle in nome del Re di Spagna un ricco regalo di gioje»36. Da capogiro risulta l’elenco delle gemme e dei monili che lasciano attoniti gli astanti e compiaciuta la festeggiata che non manca di dispensare a sua volta di doni i propri ospiti aprendo i suoi forniti forzieri. 33 Cfr. C. Sartori, I libretti italiani a stampa dalle origini al 1800, 7 voll., Bertola & Locatelli, Cuneo, 1990-1994, n. 16366. 34 Relazione delli reali felicissimi sponsali. 35 Asn, Mae, fasc. 168, inc. Caserta 10/V/1768, la notizia si desume da una relazione datata Verona 25/V/1768 inviata da Bologna dal conte Zambeccari al marchese Tanucci. 36 «Diario Ordinario», 20/IV/1768, n. 7927, notizia datata Torino 1/IV/1768. L’ammirazione dei popoli per l’ostensione della “virtuosa” Maria Carolina Musicalissimo diviene, nella patria dell’opera, il percorso regale che sino a quel momento era stato allietato da tafelmusik e “reservate” conversazioni dove con ogni probabilità si esibiva «un Virtuoso di Camera» al seguito della peritissima dilettante37. Grandiose furono le accoglienze, e le publiche dimostrazioni praticate nella Città, e Fortezza di Mantova, ove giunse nel dì 22. del sudetto mese di Aprile. Entrata che fu la M.S. in quella Città per Porta Molina, a’ cui posti avanzati si portò ad incontrarla il Tenente-Colonnello Sig. Tenente-Maresciallo Conte Montoya da Cardona, Comandante di detta Città e Fortezza, che l’accompagnò direttamente a quello Regio Ducal Palazzo illuminato <da numerosa> quantità di torce. Nello scendere, che fece la Maestà Sua di carrozza, venne ossequiosamente ricevuta dal Sig. Conte Firmian Ministro Plenipotenziario, dal Sig. Maresciallo Conte Serbelloni, e da più altri qualiicati Personaggi, non meno che da’ Tribunali, Ufizialità, e Cavalieri in ricca gala, trovatisi appiedi dello scalone, e dalle Dame, che pure in gala trovaronsi nell’anticamera de’ Regio-Ducali appartamenti. Tosto che fu arrivata la Maestà Sua al Palazzo stesso, vi si trasferì a farle visita Sua Altezza Reale l’Infante Duca di Parma, il quale due ore prima era colà giunto incognito, sotto nome di Marchese di Sala, accompagnato da’ soli Ministri Plenipotenziarj di Francia, e Spagna, presso lui residenti, e dal Sig. Cavaliere di Keralio, stato suo Ajo. Ivi venne l’Altezza Sua Reale dalla Maestà Sua accolta nella più distinta maniera. Quindi, dopo di avere ricevuti la Maestà Sua i rispettosi complimenti da quel Monsignor Arcivescovo, e da altri ragguardevoli Soggetti, ed ammesse al baciamano le Dame tutte, passò Ella, unitamente col suddetto Real Duca, pe’ corridoj, al Regio-Ducal Teatro Nuovo, ove ambedue godettero un Componimento pastorale drammatico, intitolato: il Tributo Campestre38. Il Tributo Campestre «espressamente composto da un nostro Concittadino, e messo in musica dal rinomato Sig. Trajetta, quale ornato di ricca illuminazione, e di assai altre vaghe decorazioni, e fra queste d’una veramente magniica sala di cristalli, incontrò il pieno soddisfacimento della Maestà Sua, e l’universale ammirazione di tutti gli Spettatori»39. Lo spettacolo scritto da «Gio. Battista 37 38 39 Cfr. Relazione delli reali felicissimi sponsali. Ibidem. «Diario Ordinario», 13/V/1768, n. 7937, notizia datata Mantova 29/IV/1768. 57 58 Paologiovanni Maione Buganza, della R. Accad. di Scienze e Belle Lettere di Mantova e segretario perpetuo della R. Accad. di Pittura, Scultura ed Architettura della stessa città» era ornato dalle scenograie di Antonio Bibiena e vantava un cast composto da Pietro de Mezzo (Mincio); Maria Piccinelli Vezian, detta la Francesina (Irene); Felicita Suardi (Eurilla); Pasquale Potenza (Licida); Adamo Solzi (Aminta)40. Intanto i trionfalismi uficiali si afievoliscono leggendo un resoconto inviato a Zambeccari in cui si rileva che «il Dramma in musica […] non meritò per insuficienza di chi lo rappresentava, quel favorevole incontro, che si sperava, e la Cantatrice Piccinelli […] non ha trovato […] tanta facilità d’Ammiratori»41. Nulla da eccepire sulla sala «preparata tutta a Specchi» e soprattutto sulla protagonista assoluta che ne corso della «pubblica Festa da Ballo», tenutasi nel corso del suo soggiorno, fece «quattro mutazioni d’Abiti da maschera» mostrando «mani bellissime, ed occhi vivaci» nonché «un’Aria giojante» e rivelandosi «gentilissima nel conversare»42. La permanenza di Maria Carolina è scandita da mondanità ed ediicanti pratiche spirituali esibendosi “pubblicamente” attorniata dal giusto “contesto” con quegli elementi destinati a creare la appropriata atmosfera, il paesaggio e l’arredamento sonoro sono sempre tra i dettagli di spicco del viaggio in Italia e alla mensa “uficiale” modenese tenutasi «nella superba Galleria di Corte […] vi fu da cinque esperti Professori di Musica, sotto al concerto di più stromenti, fatta una Cantata»43. Anche a Bologna si allestisce l’«Azione drammatica per musica» L’isola disabitata su testo di Metastasio musicato dal gettonatissimo Traetta con Antonia Girelli (Costanza); Daniella Mienci (Silvia); Lorenzo Tonarelli (Gernando) e Giuseppe Cicognani (Enrico)44. Il testo cesareo è accomodato, previa l’aggiunta e la soppressione di arie e recitativi, «a ine di ridurlo in due parti e d’introdurvi dei balli coerenti alla azione medesima»45. Ancora una volta lo spettacolo maggiore si ebbe con “l’incontro inaspettato” della sposa con Cfr. C. Sartori, I libretti italiani cit., n. 23605. Asn, Mae, fasc. 168, inc. Caserta 17/V/1768, la notizia si desume da una relazione datata Milano 4/V/1768 inviata da Bologna dal conte Zambeccari al marchese Tanucci. 42 Ibidem. 43 Relazione delli reali felicissimi sponsali. 44 Cfr. C. Sartori, I libretti italiani cit., n. 13875. 45 Ibidem. 40 41 L’ammirazione dei popoli per l’ostensione della “virtuosa” Maria Carolina «il Real Fratello Gran Duca di Toscana»46 quale giusto preludio alle sorprese ideate per l’atto successivo ambientato a Firenze. La sosta iorentina inanella occasioni di ostensione regale a ripetizione tra cortei, balli, conversazioni, rappresentazioni, accademie tutte rifulgenti di luci e ornamenti “mai veduti” che ha il suo massimo splendore spettacolare, benché l’inclemente e inattesa bizzarria meteorologica, il 30 aprile: La sera verso le 9. dopo avere sentita cantare all’improvviso la Sig. Maddalena Morelli conosciuta sotto il nome di Corilla, si portò la Maestà Sua sempre in compagnia delle LL.AA.RR. […] alla Petraia, Villa concessa dal Real Sovrano a S.E. il Sig. Conte Orsini di Rosenberg per sua abitazione di campagna. […] Già la Villa tutta da quella parte che guarda mezzo giorno era illuminata cotanto, che era vaghissima a riguardarsi anche da lontano, e questo con disegno del Sig. Giuseppe del Moro. A piè della muraglia dalla parte medesima, e sopra la vasca […] era stata artiiciosamente inalzata una macchina rappresentante la Reggia di Nettuno costrutta di spume rotte da sassi e coralli, che variati formavano l’ornato di questo marino ediizio in tanti archi, che pigliavano l’aspetto di grotta. Qui miravansi in pittura, opera studiata del Sig. Pietro della Nave, Nettuno e Partenope, condotta in trionfo per l’onde, accompagnata da cavalli marini con Tritoni, da Sirene, ed aquatiche Deità, tutte sostenute da Delini, ed altri mostri di mare, che doveano servire ai varj scherzi dei fuochi d’artiizio. Tutti gli archi suddetti erano così bene preparati che doveano in diversi tempi rendere un lume diverso. Dalla parte di levante era stato tessuto un teatro boschereccio di una grandezza capace nella sua platea di più migliaia di persone, intorno alla quale si sollevavano ornati d’alloro, e di altra frasca verde palchi a più ordini di sedili, ove doveano sedere gli Spettatori, nel tempo che le due Corti avevano posto distinto coll’invitata Nobiltà nel mezzo alla medesima. Tutto lo scenario composto anch’esso di frasche verdi d’allori, rotte di tanto in tanto da Statue trasparenti, quale scenario egualmente all’aniteatro dovea essere tutto illuminato con fanali, e lumi a olio. Questo era destinato ad una cantata, che fu poi eseguita in una stanza terrena […]; terminata la quale doveva aprirsi un ballo pubblico con rinfreschi a tutti indistintamente, mentre le Corti si sarebbero trattenute anch’esse ballando nella Sala superiore della Villa. Queste furono tutte quelle preparazioni, che non ebbero l’effetto desiderato a motivo della stagione, che di troppo serena si fece in questa giornata inopportunamente piovosa. Giunta Sua Maestà colle LL.AA.RR. a questa Villa trovarono sul 46 Cfr. Asn, Mae, fasc. 168, inc. Caserta 10/V/1768, lettera inviata dal conte Zambeccari al marchese Tanucci da Bologna in data 1/V/1768. Si veda anche Relazione dello sposalizio. 59 60 Paologiovanni Maione Prato un numero di 150. Granatieri sull’arme, e furono incontrati sulla porta dall’istessa E.S. il Sig. Conte di Rosenberg, servito da quaranta suoi Stafieri in livrea di gala, che ebbe l’onore di condurli in una stanza terrena accomodata a foggia di bottega di caffè […]: qui furono trattenuti dal Signor Giuseppe Damiani Brigonzi inventore e direttore di questi spettacoli, che fece giuocare alcune macchine con molta bravura, e qui sentirono con Loro piacere alcuni canti pastorali sul gusto delle nostre maggiajuole leggiadramente composti dal Sig. Dott. Lambardi. Terminata questa prima parte della festa passarono i tre Regnanti in altra stanza dirimpetto, ove era stato con tutta sollecitudine vagamente accomodato con fronde di lauro, e di altre cose boscherecce il teatro rustico, proporzionato alla semplicità del componimento, che vi si dovea cantare. Le parole del detto componimento erano state con molta grazia tessute per questa solenne occasione dal Sig. Canonico Casti, e la musica dal Sig. Pazzaglia, quale fu mirabilmente eseguita in mezzo a numerosa orchestra dai Signori Veroli, e Banchi. Lo spettacolo principiava e terminava con un coro di ninfe, e di pastori accompagnato da 24. ballerini, fra i quali la Sig. Paganini col suo marito Beccari, che si fecero ammirare nel loro pas de-deux. Appena ebbe termine questo secondo spettacolo passarono al terzo, che consistette in una festa di ballo preparata in una sala superiore della villa: questa sala era adornata d’una maniera sorprendente, e affatto nuova; le lumiere, le ventole, le spere, i viticci, i putti sostenenti gruppi di lumi, tutti restavano intrecciati da frappe di iori secchi al naturale a uso di festoni, che risaltavano sopra la muraglia a bello studio dipinta dal Sig. Giuseppe Stracchini in tante formelle adattate ai vuoti, le quali erano ravvivate e piene di tanti talchi a più colori, che l’occhio medesimo appena vi poteva resistere. La prefata Maestà Sua diede principio al ballo insieme con il Real Fratello, e in seguito continuarono la Real Gran-Duchessa, le Dame ec. Fino alla mezza notte. In questo tempo furono preparate quelle macchine, ove dovevano giuocare i fuochi d’artiizio in maniera che fossero godute dalle inestre della villa, come in fatti affacciativisi i Sovrani, e gli altri Signori fu dato fuoco alle medesime con piacere di quei nobili riguardanti. In seguito scesi a basso trovarono con una metamorfosi sorprendente quella sala terrena, che poco fa era teatro, apparecchiata tutta in un tratto a sontuosissima cena. […] dei cibi più rari che immaginar possa la delicatezza moderna, e preparati nella più squisita maniera: il lusso delle bottiglie, della biscotteria, e dei gelati uguagliava l’abondanza delle vivande, ed il deserre inalmente meritava particolare attenzione. In queste diverse maniere furono divertite ino alle 3. dopo mezza notte, in cui dopo aver viste giuocare L’ammirazione dei popoli per l’ostensione della “virtuosa” Maria Carolina altre macchine di fuochi d’artiizio, passando per una strada illuminata di tanto in tanto da fanali accesi, […] si restituirono tutti insieme al Real Palazzo de’ Pitti47. Ma il giorno seguente a Palazzo Vecchio ad apertura di «un’Accademia di canto, e di suono», «accompagnata al cimbalo dal Reale Arci-Duca Pietro Leopoldo fece grazia di cantare alcune arie la predetta M.S.»48 facendo incantare per la soavità e la grazia gli ospiti convenuti ben presto sottoposti a ulteriori emozioni quando fu aperto ed acceso il Salone di Palazzo Vecchio […] per una festa di ballo di una maniera particolare e sorprendente, colla soprintendenza di 4. Sigg. Ciamberlani, e col disegno del Sig. Zanobi Rossi Architetto Fiorentino. […] torno torno era inalzato un palco a 5. ordini, ciascheduno de’ quali fu ben presto ripieno delle maschere più belle; vicino al primo ingresso in quella parte che si solleva sopra il piano della sala di 4. gradini si vedeva eretto un palco parato di teletta d’oro con gran frangioni parimente d’oro, e gran ventole di cristallo, e questo per comodo dei tre Augusti Principi, e delle rispettive Corti: di faccia si sollevava un’orchestra a 4. ordini, che da un lato si distendeva all’altro, ove sedevano uniformemente, e di vaghissimi colori vestiti da 150. Suonatori; 20. di corno di caccia, 8. di tromba, 4. di timpani, 4. di fagotti, 30. di contrabbasso, 8. di violoncello, 8. di obue, e più di 80. di violino. All’intorno raddoppiavano la luce molti speroni, quali composti di 10. quali di 16. e quali di 24. cristalli, e tutti contornati di cornice dorate: il numero delle iaccole, che illuminavano la sala, se pure non è stato sbagliato nel meno, ascendevano a 4. mila, e 50049. Ristabilitisi dal forte impatto visivo e uditivo ecco comparire una mascherata rappresentante una compagnia di Chinesi in numero di 16. coppie, che dalla ricchezza degli abiti, e dalla grazia del portamento ognuno s’avvide che queste erano le due Corti, nelle quali si trovavano i tre Regnanti; ed in fatti nella prima coppia si nascondevano la Regina di Napoli, e il Gran-Duca di Toscana, nella seconda la Gran-Duchessa, ed il Signor Conte di Rosenberg, e nell’altre le primarie Cariche, Dame d’onore, e Ciamberlani delle due Corti. Questa truppa di Chinesi, 47 48 49 «Gazzetta Toscana», 7/V/1768, n. 19, pp. 85-87. Ivi, p. 87. Ibidem. 61 62 Paologiovanni Maione dopo aver fatto un giro per la Sala in tempo di una strepitosa overtura, si fermò in una parte della medesima per fare alcuni minué; di poi si ritirarono per ricomparire in altre forme abbigliati50. Dopo una serie di altri divertimenti e impegni di rappresentanza c’è il pellegrinaggio alla città eterna e ai suoi luoghi che culmina nell’accorata devozione in S. Pietro alla Basilica Vaticana, sempre in mezzo ad un affollatissimo Popolo, furono ricevuti alla porta da quel Rmo Capitolo Vaticano essendovi alla testa Monsignor Patriarca Lascaris Vicario della Basilica, ed entrati in Chiesa col suono giulivo delle campane si condussero a far orazione alla Cappella ove si custodisce il Santissimo Sagramento; di lì si trasferirono a venerare i Corpi de SS. Apostoli all’Altare della Confessione, che per appagare maggiormente la loro divozione, ed osservare più da vicino, calarono dove decentemente si custodiscono essi Sagri Corpi, doppo avere orato sul genulesso rio ricoperto di ricco panno di broccato d’oro, con suoi cuscini simili; terminata tal visita, osservarono con piacere il grandioso Altar Papale, che per tale congiontura fu ornato con Croce, statue de SS. Apostoli, e candelieri d’oro. Prima di partire dalla Basilica visitarono ancora l’Altare della Bma Vergine nella Cappella, detta la Gregoriana51 per poi riprendere il cammino verso il luogo dell’incontro con lo sposo. Il marchese Tanucci rileva che «in piena felicità fu il mercoledì scorso [11 maggio] alla sera l’arrivo in Terracina di S.M. la Regina, che incaminatasi la mattina del seguente giorno per gli conini del Regno, andò il Re da Gaeta ad incontrarla in Portella, ove tenerissimo fu il primo incontro de’ due Reali Sposi»52. I dardi del dio bendato scoccano in una “scenograia” naturale di rara bellezza con padiglione reale: Due squadroni di Truppa Napoletana tanto di cavalleria, che d’infanteria facevan’ala, e conducevano ad un ricchissimo padiglione formato a uso di galleria con due porte, ove Sua Maestà il Re delle due Sicilie aspettava con tutto il numeroso corteggio la novella Sposa. Appena smontati di carrozza avvisata la Regina dalla Gran Duchessa di Toscana essere questi il Re di Napoli suo Sposo, la Maestà Sua dopo averlo interrogato se Egli era 50 Ibidem. Relazione dello sposalizio. Cfr. Asn, Mae, fasc. 168, inc. Caserta 17/V/1768, minuta del marchese Tanucci al conte Zambeccari. 51 52 L’ammirazione dei popoli per l’ostensione della “virtuosa” Maria Carolina di fatto il Re delle due Sicilie, in conseguenza il suo Sposo, e dopo avere ottenuta dal medesimo favorevole risposta, si inchinò avanti di Lui in atto di tenerezza, e di rispetto, ma Egli sollevandola tosto l’abbracciò, e la baciò. Di poi dividendosi tra la Sorella, e il Cognato, tenendo sempre per mano la sua Sposa, traversarono tutti l’atrio suddetto, ed entrati tutti, e quattro in carrozza andarono a Mola di Gaeta, ove era preparato dal Re medesimo sontuosissimo pranzo53. Va da sé che il tutto era incorniciato da spari e fanfare militari destinati a rendere più immaginiico l’idilliaco incontro tutto giocato tra rigida etichetta e informale “improvvisazione”. La prima tappa della coppia coronata è a Caserta che alle 11 della notte appare tutta illuminata e “riscritta” con efimere macchine tra cui, nel largo dinanzi alla reggia, un «vago [e] maestoso aniteatro, ornato di copiosa quantità di lumi, e di cori musicali»54. Nel corso dei giorni i divertimenti si succedono senza tregua e vanno dalle escursioni alle bellezze architettoniche e naturalistiche dei dintorni ai ricevimenti resi necessari per la socializzazione della sposa straniera con la nobiltà locale, dal continuo «incendio di varie ben ideate machine da fuoco»55 alla rappresentazione de L’idolo cinese approntato l’anno precedente da Giambattista Lorenzi e Giovanni Paisiello per il Teatro Nuovo di Napoli56. L’elegantissima architettura del teatrino vanvitelliano accoglie la sovrana porgendole uno dei manufatti più rappresentativi del mito musicale della capitale meridionale, non è un caso che a omaggiare la grande intenditrice di cose musicali sia uno spettacolo fuoriuscito dall’inarrestabile fucina dei teatri cosiddetti “minori”. Dall’ediicio posto “sopra Toledo” giunge una compagnia capeggiata da tre esponenti della famiglia Casaccia57 – Giuseppe, Antonio, Filippo – che permette all’augusta spettatrice di entrare in contatto «Diario Ordinario», 8/VI/1768, n. 7948, notizia datata Firenze 28/V/1768. Relazione delli reali felicissimi sponsali. Ibidem. 56 Cfr. C. Sartori, I libretti italiani cit., n. 12661. Sul Teatro Nuovo si vedano almeno B. Croce, I Teatri di Napoli. Secolo XV-XVIII, Pierro, Napoli, 1891, passim; N. del Pezzo, Il Teatro Nuovo, «Napoli Nobilissima», VIII, 12 (1899), pp. 177-181; F. De Filippis, M. Mangini, Il Teatro «Nuovo» di Napoli, Berisio, Napoli, 1967; F. Cotticelli, P. Maione, «Onesto divertimento, ed allegria de’ popoli». Materiali per una storia dello spettacolo a Napoli nel primo Settecento, Ricordi, Milano, 1996, passim. 57 Sui Casaccia cfr. Alessandra Ascarelli, voce Casaccia, in Dizionario Biograico degli Italiani, XXI, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 1978, http://www. treccani.it/enciclopedia/casaccia_(Dizionario-Biograico) 53 54 55 63 64 Paologiovanni Maione con uno spettacolo inusitato in cui attorialità e canto sono intrecciati indissolubilmente e recano una tradizione performativa che affonda le proprie radici in antiche esperienze spettacolari di volta in volta sempre più aggiornate in virtù di una sperimentazione irrefrenabile. Ma il favoloso palcoscenico predisposto per accogliere la reale protagonista non ancora deve mostrarsi: l’ingresso, “in forma privata”, sulla scena a lei destinata avviene per un camminamento costellato da «testimonianze di esultazione con trofei ed archi innalzati a festeggiare il transito degli Augusti Monarchi, che all’approssimarsi alla Capitale furono salutati ed accompagnati da continuata salva de Regj Castelli, e da generali acclamazioni di questo Pubblico, rimasto con piacere sorpreso alla veduta della Real sua Sovrana»58. Il popolo festante in dissolvenza cede il posto «all’ossequioso ricevimento» della nobiltà, accorsa ai «piè della Gran Scala», alle maestà che raggiungono la «Real Cappella, in cui con Religiosa pietà assisterono al canto Ambrogiano in rendimento di grazie all’Altissimo»59. L’ingresso alla chetichella dei sovrani è salutato dall’illuminazione «dell’intiera Città, e Borghi, e di queste Regie Fortezze, e Galee che sono in Porto», lo sfavillio del golfo appare sorprendente ed è accompagnato «per cinque sere con un numeroso Coro, che a più voci e musicali Istrumenti cantava le lodi degli Augusti Sovrani»60. La compagine è disposta all’interno della gran macchina che ingloba il palazzo – «ornato in tutto il grande suo frontespizio» – che rappresenta un aniteatro «con due maestosi archi trionfali ne’ lati, che al superbo ben colorato recinto davano l’ingresso. Tanto il Real Frontespizio, quanto l’intiera machina ed archi erano illuminati di lumi interiori e trasparenti, che per la vaghezza de’ suoi colori, e degli ornati, e vasi, così nelle loggie, che nelle nicchie, e Pianterreno, si vedevano con gran proprietà e simetria disposti»61. Il 22 è la data in cui avviene l’ingresso uficiale in una città in «superba, e sfarzosa Gala»: Le mute, che formavano il treno delle Loro Maestà non erano meno di trenta, e queste più, o meno, ma tutte ricchissime: ventotto a sei, e le altre due a otto cavalli: di queste due una tirava la carrozza di rispetto, e l’altra L’ammirazione dei popoli per l’ostensione della “virtuosa” Maria Carolina quella, ove sedevano le nominate Maestà Loro. Uno squadrone di truppa scelta montata con nuovo uniforme guarniva tutto il tratto della gita, per dove due Cavallerizzi mai cessarono di sparger denaro al popolo62. La bella “cavalcata” fu goduta da tutta la nobiltà dalle affacciate dei palazzi aristocratici che costeggiavano il percorso e anche i granduchi di Toscana goderono della superba entrata dal palazzo del principe di Stigliano dove «si trattennero anco nella sera, ove fu data dal Sig. Principe medesimo una suntuosa Accademia di musica, che terminò in una lieta festa di ballo, alla quale diede principio la nostra Real Sovrana [la granduchessa] con alcuni minué»63. Effettivamente in questi giorni si consuma una gara tra le famiglie del Gotha cittadino nell’aprire i propri appartamenti a soisticati e sontuosi trattenimenti. Nel giorno seguente la sposa straniera è condotta con la medesima forma della sortita capitolina alla Cattedrale dove si intona «da primi Musici di questa Capitale»64, dopo la benedizione, il Te Deum per poi attraversare il magniico cancello del Fanzago per rendere il giusto tributo al patrono Gennaro, la cappella del Santo, ripiena di oggetti d’arte da capogiro, esibisce il proprio ensemble per il devoto raccoglimento: Essendosi degnata la Maestà del Rè, e Regina (Dio guardi) visitare la nostra Venerabile Cappella del Tesoro del Glorioso San Gennaro nell’occasione, che si portarono nel Duomo con publica pompa nella giornata de 23. Maggio corrente, fù stimato convenevole di farci ritrovare ne’ coretti […] li Musici di Stromenti, che al numero di Tredici sono addetti al servizio della medesima, oltre il Maestro di Cappella [Pasquale Fago], acciò avessero potuto recare alle Maestà loro con armonioso trattenimento65. Dal 30 maggio hanno inizio le «pubbliche, e Reali Feste» in cui si inseguono “baciamano generale”, spettacoli e feste da ballo pubblici e privati, cuccagna: Nel dì 5. fu esposta alla pubblica veduta la gran Cuccagna costrutta nel Largo del Real Castelnuovo, rappresentante una Fortezza co’ baluardi, e cortine ripiene in tutti i quattro suoi lati di varj comestibili. Nel piano eranvi «Diario Ordinario», 15/VI/1768, n. 7951, notizia datata Firenze 4/VI/1768. Ibidem. Relazione delli reali felicissimi sponsali. 65 Astsgna, AB.25, c. 32r, 31/V/1768. Si vedano anche ivi, GC34, c. n.n., 4/ VI/1768 e GF.14, c. 66, 4/VI/1768. 62 63 58 59 60 61 Relazione delli reali felicissimi sponsali. Ibidem. Ibidem. Ibidem. 64 65 66 Paologiovanni Maione sparsi diversi animali vivi, e nel recinto, o sia fossato ripieno d’acqua vi si scorgevano de’ pesci vivi. Fu la medesima saccheggiata dal minuto Popolo nella sera di detto giorno, dopo essere stata osservata dalle Loro Maestà, ed Altezze Reali, le quali passarono dopo nel Teatro di S. Carlo per godervi di nuovo la Serenata. Nella sera del dì 6. si replicò nella Gran sala di Corte la Festa di ballo, la quale riuscì egualmente magniica come le precedenti66. E ancora un corteggio marino di rara bellezza che quasi rammentava quelli goduti dai viceré partenopei tra Sei e primo Settecento: Nel giorno poi de’ 7. vennero le Maestà Loro invitate dal Real Gran-Duca sopra una delle sue Fregate sistenti nella nostra Rada, ed in essa trattate magniicamente a lautissimo desinare insieme con tutta la Real Corte, e Seguito. Vennero Esse Maestà ricevute dalle AA.LL. sotto la triplica scarica dell’Artiglieria della Comandante, e delle altre Fregate di conserva, e nel partirne seguì lo stesso. Tanto le Maestà Loro, quanto le Reali Altezze sudette prima dell’imbrunire in separate Gondole tutte illuminate vollero trasferirsi nella vicina riviera di Posillipo, seguitate da’ Bande musicali, e da tutti i Reali Bastimenti, usciti dal Porto sotto altra scarica del Cannone sudetto, e di quello delle nostre Regie Fortezze. Si trattenne colà l’Augusta Real Comitiva sino alla ore due in circa, e dopo avervi preso il divertimento della pesca, ed avere cenato a bordo della Gondola Reale, si restituirono verso le ore tre al Real Palazzo67. Gli spossanti impegni, tali che un’indisposizione di Maria Carolina segnerà un breve arresto del loro turbinio, scompaginano il quotidiano della città che allibita assiste al continuo andirivieni delle vetture reali e spia quei momenti “pubblici” della nuova coppia reale. Un notevole dispendio di forze si ha nell’allestimento della Festa teatrale in musica conosciuta come Peleo e Tetide scritta da Giambattista Basso Bassi e musicata da Giovanni Paisiello eseguita sia a palazzo che al Teatro di San Carlo con Luca Fabris (Peleo), Lucrezia Aguiari (Tetide), Anton Raaff (Giove), Giovanni Toschi (Giasone), Angelo Monanni detto Manzuolino (Apollo) e Giuseppe Benigni (Imeneo) per la scena «mirabilmente architettata» di Antonio Joli e il coinvolgimento di «gladiatori e lottatori» diretti da Pietro Capone e ballerini sovrintesi da Giuseppe Salomoni68. Non 66 Relazione delli reali felicissimi sponsali. Ibidem. 68 Per questo allestimento si rinvia a L. Tufano, «La speranza de’ regni». Celebrazione e spettacolo in tre ‘feste’ napoletane: Paisiello (1768), Jommelli (1772), Cafaro (1775), in A. Colturato, A. Merlotti (a cura di), La festa teatrale nel Settecento. Dalla corte di Vienna alle corti d’Italia, LIM, Lucca, 2011, pp. 301-321. 67 L’ammirazione dei popoli per l’ostensione della “virtuosa” Maria Carolina da meno risulta l’Alessandro nelle Indie approntato dall’impresario Gaetano Grossatesta al San Carlo che afida il cesareo testo alle cure di Antonio Sacchini e alla compagnia composta da Giuseppe Afferri (Alessandro), Luca Fabris (Poro), Elisabetta Tauberg (Cleoide), Elena Fabris (Erissena), Angelo Monanni (Gandarte), Gerlando Speciali (Timagene); i battimenti sono organizzati dal «maestro di spada napoletano» Capone e gli atti sono inframmezzati dai balli Cefalo ed Aurora e Ballo di contadini e lavandaie con coreograie di Onorato Viganò69: non può esprimersi il fasto, e la magniicenza con cui venne rappresentato, attesa la generale illuminazione del Proscenio, e di tutto l’Uditorio, che per la copiosa quantità di lumi e de’ specchi, che in tutte le ile stavano ripartiti così nelle facciate che nelle colonne de’ palchetti formavano un colpo d’occhio risplendentissimo70. 69 Cfr. C. Sartori, I libretti italiani cit., n. 804. Per la partitura si veda http://iccu01e.caspur.it/ms/internetCulturale.php?id=oai%3Awww.internetculturale.sbn.it%2FTeca%3A20%3ANT0000%3AIT%5C%5CICCU%5C%5CMSM%5C%5C0157945&teca=MagTeca+-+ICCU. 70 Relazione delli reali felicissimi sponsali. Si veda anche per un resoconto dei festeggiamenti il «Diario Ordinario», 29/VI/1768, n. 7957, notizia datata Firenze 18/ VI/1768: «Nel dì 31. Del caduto ebbero principio in Napoli le pubbliche solennissime feste con un veglione dato la sera medesima nella gran sala del Real palazzo, ove fu aperto il ballo dalle LL.MM., e Reali Gran-Duchi, che tutti insieme vi comparvero superbamente vestiti in maschera. | [il mercoledì] goderono l’altra festa di ballo, che fu rinnovata coll’istesso splendore della sera antecedente. | Nella mattina del Giovedì festività del Corpus Domini, […] le LL.MM. furono assistenti alla funzione del SSmo Sagramento […]. Nella sera poi si trovarono i quattro Regnanti al teatro di S. Carlo presenti alla rappresentazione del Dramma in musica intitolato l’Alessandro nell’Indie, che riuscì vaghissima non tanto per il merito dell’opera medesima, come per la disposizione, e quantità dei lumi, che si raddoppiavano nella molteplicità degli specchi. | Anche nelle due sere susseguenti stette aperto l’istesso teatro di S. Carlo sempre coll’intervento dei sunnominati Sovrani, essendo nella prima reiterato il Dramma, e nell’altra sera rappresentata quell’istessa serenata copiosissima di strumenti, e di voci, che era stata antecedentemente con molto piacere sentita in Corte. | Nella Domenica mattina fu esposta alla pubblica vista la gran Cuccagna: questa fu eretta nella piazza del Castelnuovo, e rappresentava una Fortezza con i suoi baluardi: nel piano si vedevano sparsi diversi animali vivi, ed il fossato, che la circondava era ripieno d’acqua, e di pesci. | Le LL.MM. […] vi si portarono sulla sera, e dopo averne esaminata la costruzione fu permesso al popolo l’assalto, e dipoi le medesime passarono al teatro suddetto per godere di nuovo la serenata. | Nella sera di Lunedì colla solita magniicenza fu rinnovata in Corte altra festa di ballo, e inalmente nel dì 7. i Reali Gran-Duchi, e le LL.MM. andarono a bordo dalla nave comandante Toscana, sulla quale l’A.S.R. diede alla MM.LL., e a diciassette delle più distinte Fame, che ebbero l’onore di trovarvisi, un delicatissimo non meno che suntuoso pranzo, dopo di che sul medesimo bastimento si portarono in giro, osservando tutta quella Baja, e la spiaggia di Posillipo, seguiti da barche, e galeotte di retroguardia, e salutati da tutte le navi Toscane, Napoletane, e dalle Fortezze». 67 68 Paologiovanni Maione Le due partiture segnano l’avvio della ricca collezione musicale napoletana di Maria Carolina che con mirabile gesto donerà in gran parte al nascente archivio del Conservatorio della Pietà dei Turchini nel 1795 su sollecitazione di Saverio Mattei. Il sipario “uficiale” sulle celebrazioni delle nozze Borbone-Asburgo si abbassa il 9 giugno con la pubblica Festa di ballo nel Gran Teatro di S. Carlo. Ammirata fu generalmente la medesima non solo per la splendidezza, nella quale si vide l’intiero Teatro tutto adornato di Specchi, e Torcieri ripieni di copiosa quantità di lumi, e per la nobile magniica scalinata, per la quale vi discesero ambedue le MM. Loro, e le […] Reali Altezze; ma per la più ricca risplendente Gala, in cui vi comparvero dando esse principio al Ballo, che venne seguitato da un indicibile numero di Cavalieri, e Dame, con ricchissimi abiti, e gioje, e che fu proseguito sino al far del giorno: nel mentre da un grandissimo numero di Maschere venne lo stesso praticato nel gran piano della Scena, che in tal occasione era attaccato a quello dell’Uditorio, formando insieme una sola sala, divisa soltanto da una ricca ben architettata balaustrata. […] Tanto la Gran sala, quanto i Palchi, ne’ quali vi fu della Nobiltà ancora, furono serviti di più sorti di squisitissimi rinfreschi, e confetture con esser durata la distribuzione a piacere di ognuno sino al far del giorno, essendo con ciò terminate le Reali publiche Feste71. Avrebbero potuto tirare un sospiro di sollievo le maestà se non iniziassero da «molti di quei primarj Signori […] negli appresso giorni grandiose feste»72, tra le quali «quelle, con cui li Ministri di Vienna e Spagna aveano disposto solennizzare il faustissimo avvenimento»73, che si protraggono sino all’apertura della iera annuale altrettanto impegnativa. Gli stessi ozi nelle residenze limitrofe non danno ristoro alla famiglia coronata in continuo movimento sul territorio e coinvolti in ospitalità mondane: e così sul palcoscenico della regalità, sgombro di quinte, sembra non calare mai il sipario “pietoso” foriero di riposo e riservatezza. 71 Ibidem. «Diario Ordinario», 29/VI/1768, n. 7957, notizia datata Firenze 18/VI/1768. Asn, Mae, fasc. 168, inc. Napoli 14/VI/1768, minuta del marchese Tanucci al conte Zambeccari. In Appendice si riporta la Narrazione delle Feste date in Napoli da S. E. Il Sig.r Conte Ernesto di Kaunitz Rittberg Ambasciatore straordinario delle LL. M. M. Imperiali, e Real Apostoliche & & In Celebrazione delle Reali Nozze delle LL. M.M. Ferdinando IV Re delle due Sicilie e Maria Carolina arciduchessa d’Austria. 72 73 L’ammirazione dei popoli per l’ostensione della “virtuosa” Maria Carolina Appendice Hhsaw, Staatenabteilung Neapel, K. 8, cc. 249r-254r, 12/X/1768, Narrazione delle Feste date in Napoli da S. E. Il Sig.r Conte Ernesto di Kaunitz Rittberg Ambasciatore straordinario delle LL. M. M. Imperiali, e Real Apostoliche & & In Celebrazione delle Reali Nozze delle LL. M.M. Ferdinando IV Re delle due Sicilie e Maria Carolina arciduchessa d’Austria Nella comune esultanza per le faustissime nozze di S. M. Il Re delle due Sicilie Ferdinando IV di Borbone, con la Serenissima Arciduchessa Maria Carolina d’Austria, Sua Eccellenza il Sig.r Conte di Kaunitz Rittberg Ambasciatore straordinario delle Loro Maestà Imperiali, e Real Apostoliche, ebbe ordine di festeggiare il felicissimo avvenimento con publiche dimostrazioni di Giubilo, per cui si determinò di dare due gran festini alla Nobiltà, Uno in gala con cena, l’altro in maschera, decorate con la magniicenza conveniente ad una occasione cotanto luminosa, e scelto avendo a tal effetto il Palazzo del Sig.r Principe di Teora, situato alls Spiaggia della Marina di Chiaja verso Posilipo; Quivi per rendere più spazioso il luogo, vole, che nel contiguo Giardino inalzata fosse una gran Sala per il Ballo, che fu dato nelle due Sere delli 12, e 15. del mese di Giugno. Determinatosi dunque la prima festa il giorno 14, nello stesso Palazzo la mattina vi fu pranzo particolare, onorato dalla presenza di Sua Altezza Reale il Serenissimo Arciduca d’Austria Gran duca di Toscana. Terminata quindi la Tavola si die’ principio alla publica Festa, col gittare per rallegramento al Popolo ivi concorso moltissime medaglie d’argento, ed oro, che da una parte rappresentavano il Ritratto della Regina di Napoli coll’Iscrizzione M. CAROLINA AUST: FERDINANDO IV. UTR. SICILIAE REGI NUPTA, e nel roverso vedeasi un’ara, sulla quale vi erano le due Imprese d’Austria, e Borbone annodate da Imeneo, e da Cupido, coll’inscrizzione sopra. FORTIUS ALTERNIS NEXIBUS, Nell’esergo. Nuptiae Celebratae Vindob. Procuratore. Ferdinando. Arch: Aust: VII. Aprilis MDCCLXVIII. Il gettito delle quali fu fatto dalla Loggia della facciata nova del Palazzo, ch’era stata decorata con magniicenza. Cotesta facciata era lunga palmi 200. Napoletani in altezza di palmi 70. Di Seria Architettura d’ordine Ionico venne composta. Incominciava da un sodo basamento continuato di pietre dipinte a bugne, le quali ripartitamente sostenevano li piedestalli di Sedeci colonne tinte di giallo antico. Negli spazij fra le medesime, eranvi 69 70 Paologiovanni Maione disposti nove archi, dentro de’ quali venivano circoscritte, ed incluse altre tante inestre a Balconi. Un adornato Cornicione posava sulle predette Colonne, sovra del quale si ergevano, in proporzione corrispondente le balaustrate interrotte da molti piedistalli che sostenevano Statue rappresentanti diverse virtù nel mezzo delle quali torreggiava l’impresa Imperiale della Casa d’Austria, con la quale rendevasi il compimento nella parte più eminente della facciata. Nelli due laterali conini, fra alcuni pilastri, che pareggiavono l’altezza delle colonne, vedeansi due medaglioni co’ ritratti di Ridolfo I. e primo Imperatore Austriaco. dalla opposta parte quello dell’Imperador Giuseppe II gloriosamente regnante. Nella nicchia sottoposta al primo Medaglione vedeasi il simulacro di Marte, Sotto il Secondo quello di Pallade era rappresentato. Finalmente nell’arco maggiore in mezzo la facciata corispondente sulla Loggia. Si vedea un altro adornato medaglione sustenuto da due fame alate, e sedenti sovra il frontespizio del inestrone, nel quale si scorgeva la pace, e la giustizia abbracciate insieme. Tutta quest’opera fu illuminata le Sere delle feste con cinquanta una torcie di Cera, e seimila cinquecento, e più lampade grandi di Christallo con olio ardente disposte in delicamento di tutte le parti dell’Architettura. Quindi nell’ingresso del Palazzo, che corrispondeva sotto la Loggia furono situati dei Cavalieri, li quali ricevevanontutte le Dame convitate, e dal loro istesso vagamento dipinti, ed illuminato da molte Torcie, come di pitture, e torcie adornata vedeasi la Scala maggiore, che soltanto ascendea all’ripiano nobile del Palazzo. Era questo composto di due lunghe Gallerie, e diecisette altre Camere, nelle quali furono situate le Tavole decorate tutte diversamente da desserti, e capaci da seicento, e più coperti, per la Cena data alla Nobiltà, dopo avere saltato nella gran sala del ballo. Fu questa costruita, come si è descritto dentro il Giardino, ed inalzata sopra ventiquattro Pilastri di fabrica al piano dell’Appartamento. Cotesta Sala, o Galleria comprendea l’ambito di palmi 142 in Lunghezza per 83 di Larghezza: Li due Lati paralleli si univano agl’estremi con due semicircoli perfetti, alla guisa di Circo Antico. Si stimò dedicarla a tutte le scienze, e virtù. Simboleggiate co’ simulacri di rilievo quasi fossero stati scolpiti in marmo di Carrara di Apollo con Lira aurata nelle mani coronato di Alloro, e la nova Muse iglie di Giove, disposte intorno con Simetria: Essendo ognu- L’ammirazione dei popoli per l’ostensione della “virtuosa” Maria Carolina na sovra bizzarro piedistallo. L’ogetto concludente, ricoperto da nobil argento Padiglione, in mezzo alle dieci circondarie arcate della Sala arricchite nei sessi alternativamente con festoni pendenti di iori naturali, e di allori e iori indorati. Le predette arcate erano sostenute da altretante Colonne isolate d’ordine composito, e sulle pareti intorno vi eran dipinte le medesime raddoppiate Colonne con le quali veniva campeggiata la forma di un adornatissimo aniteatro o Circo. La platea, o sia l’arena del Ballo, le dette Colonne in isola circoscrivevano, e presso i piedistalli s’inalzavano intorno sei ordini di Comodi sedili, ove la Nobiltà, salire per riposare, discendere, o vedere potea a bel agio. Stante da ognun de lati eranvi costruite tre gradinate, ad uso degl’antichi vomitorij, e per di sotto corrispondenti Coridori, che conducevano a capo a piè della Sala, senza recare interrompimento al Ballo. E quindi avanti a tutti gl’ordini dei Sedili vi era ampiezza suficiente, per la quale i Paggi potean servire dei Sorbetti, che incominciarono a dispensarsi alle Dame, e Cavalieri anche prima dell’apertura del Ballo. Nelli due Estremi della sala sopra gli spaziosi ingressi vi eran disposte due orchestre, che contenevano Cinquanta, e più Sonatori per Cadauna, e questi comparvero con uniforme rosso arricchito di gallone d’argento con Cappelli bordato, e sollevate piume bianche, e nere, con che si accrebbe notabil vaghezza alla festa, senza togliere loro alli Convitati. Gli adornamenti delle Colonne furon tutti posti a oro unitamente cogl’architravati cornicioni, che le coronavano. Sopra le volte minori circondarie della maggiore, che coprivano li Sedili, eranvi disposti amplissimi sfogatoij occultati con arte, che produssero piacevole la dimora della Galleria alla numerosa Nobiltà, che tutta la riempiva quantunque s’incontrassero le più calde Serate della estiva staggione. Quindi sulla terza parte delle medesime Isolate Colonne, con rilessione formate svelse più del consueto, perche spiralmente eravi, a due ordini opposti, fasciate con festoni di iori naturali, ed altro di allori, e palme indorati. E perche vi si applicarono intorno ad ogn’una diecisette Cornocopij, con bizzarra novità, i quali uniti agl’altri cornocopij situati ne piedistalli sotto le dieci Statue, ed alli pilastri corrispondenti, con li quarant’uno Lampadarij di Cristallo, restò compiuto il numero di mille duecento cinquanta lumi, che resero chiarissima luce alla Sala. Tralasciando di descrivere quelli 71 72 Paologiovanni Maione dei Lampadari, e placche, disposti per illuminare tutto il grande appartamento, ove eran situate le Tavole per la Cena, e quelle per il trattenimento del giuoco. La volta maggiore, che ricopriva l’Arena del Ballo nella gran Sala, era sollevata dal piano palmi Cinquanta quattro: Vedeasi tutta dipinta con diversi ripartimenti, ed ornati ne’ quali i iori naturali, le verdure, le indorature, ed ogn’altra circostanziata rilessione analoga agl’altri adornamenti della Galleria non fu trascurata. Nel mezzo della medesima in ampio quadro, che ne occupava gran porzione, vedeasi rappresentato lo sposalizio d’amore e Pisiche celebrato in Cielo alla presenza dei Numi. Perciò il primo loco fu impiegato nel gruppo dell’Imeneo coronato di iori in atto d’incendere con le coniugali faci i Cuori dei due felici amanti, che a vicenda porgeansi la destra mano. Amore adulto coronato di iori, portava la frusta appesa, ma senza strali, che resi inutili si vedeano sparsi con l’archo a’ suoi piedi. Dagl’omeri suoi descendea il Cerulio ampio manto Reale cosperso tutto di gigli d’oro. Indi la bellissima Psiche magniicamente alla Reale vestita, coronata di rose, ed ostro, dalla modesta fronte con grazia placidamente china, colla prudenza al lato, chiaramente dimostrava le moltissime Viertù racchiuse nel suo bell’animo Reale, e grande. Nell’alto del quadro vedeasi Giove con fronte cinta di diadema aurato, accarezzato da Giunone Pronuba in atto piacevole, e ridente indicando li novelli Sposi. Il primo presso di sé avea l’aquila altera di fulmini armata la seconda i Paoni condottieri del suo Carro. L’amante sposo era assistito da Pallade, Marte, ed Ercole, accompagnato dal Sole. La dolce sposa avea appresso Venere, e le tre grazie Indi succedeva la Fecondità, la quale nel Cornucopia, tra iori, e frutti si scorgeano dei Bambini coronati, per simbolegiare il desiderato frutto del felicissimo accoppiamento, per cui Diana Lucina adiutrice dei Parti felici avea loro distinto prossimo alla sposa Reale. Fra le Nuvole dell’Empireo in varie parti disposte vedeansi le altre Deità con le loro Compagne concorse tutte a corteggiare il Luminoso sposalizio. Nettuno, e Anitrite. Plutone, e Prosarpina. Bacco, e Arianna, Cerere Cebele Eolo Re dei Venti, iglio di Giove. Borea con la sua orizia. Vulcano. Pan: Vertunno e Pomona, ed altri vi si vedeano rappresentati sparsi per l’aere eranci ancora diversi Geny o amorini, che saettanno indistintamente co’ loro piccioli L’ammirazione dei popoli per l’ostensione della “virtuosa” Maria Carolina strali le medesime Deità per contrasegnare l’allegrezza amorosa, suscitata nell’animo loro in questa nunzial circostanza Mercurio a piè del quadro, con Pileo, e Calzeary alati, portando l’olivo, e Caduceo simboli di Pace, accompagnato dalla fama con sonora Tromba, sovra il Globo terraquio, di cui vedeasi la Sezzione, dimostravano publicare al Mondo il felice avvenimento. Nell’Alto dei due Archi di mezzo a capo, a piè della Sala, o Galleria sostenute dalle fame e Geny (quasi fossero state scolpite nel candido marmo) con Trombe di oro alle mani nel mezzo a ricchi drappi, s’inalzavano le due Imprese Imperiali della Casa d’Austria. Il Publico contenuto, e l’applauso universale che meritarono queste due feste, non meno per la magniicenza, splendidezza, ordine nel Servire, e buon gusto in tutti i generi componenti, palesarono la Grandezza dell’animo quanto fosse di Sua Eccellenza il Sig. Conte di Kaunitz Rittberg Ambasciatore Straordinario delle LL. MM. Imperiali Real Apostoliche nell’eseguire gl’alti loro Comandi. Laonde le LL.MM. il Re, e Regina delle due Sicilie desiderarono Eficit spettatori di questa celeberrima festiva Gala inteso da S.E. il Sig. Ambasciatore, godendo poter conseguire l’onore della presenza delle sudette Reali Persone, ordinò una terza festa compiutamente nella Sera delli 2. del mese di Luglio, la quale riuscì oltremodo più delle altre splendidissima per il Nobile intervento delle LL.MM., ch’essendovisi portati in abito di maschera in Dominò, si compiacquero ancora rimanere alla Cena particolare in una delle Gallerie con l’ultima magniicenza alla Reale Imbandita. Tutta la Nobiltà invitata corrispose appieno alla gran gala di quella Serata, con il maggior Compiacimento, che comportava la cospicua circostanza. L’Idea poetica della festa, Invenzione, e disegno fu di D. Luiggi Vannitelli Architetto di Corte di S.M. il Re delle due Sicilie. 73 Elisa Novi Chavarria IL CONFESSORE DELLA REGINA Sommario: La storiograia si è da tempo soffermata sui temi della presenza dei religiosi nelle corti regie e, più in generale, sull’intreccio tra politica e religione ancora nella piena età moderna. Il contributo che qui si presenta fa luce sul ruolo dei confessori di Maria Carolina e in particolare su monsignor Anton Bernhard Gürther, che ne fu il direttore spirituale per oltre vent’anni. Arbitro della organizzazione del cerimoniale religioso della regina e incaricato di diversi aspetti della politica ecclesiastica del Regno, Gürther fu responsabile anche dei progetti di riforma degli studi universitari e riordino delle biblioteche del Governo borbonico. Collezionista di antichità, egli fu poi soprattutto un attento operatore della mediazione culturale, all’interno di un network di pratiche e relazioni estese nei circoli giansenisti e massonici tra Italia e Austria. Parole chiave: politica e religione, confessore, diplomazia, mediazione culturale, Italia e Austria. the confeSSor of the queen abStract: The historiography for a long time has been focused on the issues of the presence of religious people in the royal courts and, more generally, on the intertwining of politics and religion which was still persistent in the modern age. The contribution presented here sheds light on the role of confessors of Maria Carolina, and in particular of Monsignor Anton Bernhard Gürther, who was her spiritual director for over twenty years. Charged with the organization of religious ceremony for the Queen and in charge of different aspects of the Kingdom’s ecclesiastical policy, Gürther was also responsible for the plans for reform of university studies and reorganization of the libraries of the Bourbon Government. Collector of antiquities, he was then above all a careful operator of cultural mediation, within a network of practices and extensive relationships in Jansenists and Masonic circles between Italy and Austria. KeywordS: Politics, Religion, confessor, diplomacy, cultural mediation, Italy and Austria. 1. I tempi del confessore È il 22 marzo del 1785. Come tutti gli altri giorni, la regina Maria Carolina annota nelle pagine del diario con la solita apparente meticolosa ripetitività che ne scandiscono le pagine, le molte incombenze della giornata appena trascorsa. Dopo avere elencato una serie di attività inerenti la sfera personale – «habillé, déjeûné, coefé» – l’intrattenimento con i igli e il pranzo con il re, ella scri- 76 Elisa Novi Chavarria ve: «parler au confesseur, aller au sermon»1. Il confessore, cui fa cenno, era all’epoca monsignor Anton Bernhard Gürther con cui Maria Carolina a quella data aveva oramai consolidato una lunga pratica e conidenza. Nato a Falknov, in Boemia, il 13 maggio 1726, Gürther aveva studiato musica e teologia nel seminario di S. Venceslao di Praga. Da lì si era trasferito a Vienna dove si fece subito notare per le sue spiccate doti, la versatilità nelle lingue e la frequentazione dei circoli dell’anticurialismo locale, capacità e comportamenti che gli valsero la nomina a canonico della cattedrale nel 17652. A Napoli era arrivato con la giovane regina sposa di Ferdinando IV nel maggio del 1768, insieme a una piccola corte di gentiluomini e dame austriache come richiedeva l’etichetta, insignito del ruolo, afidatogli dall’imperatrice Maria Teresa in persona, di suo confessore3. Inviso al Tanucci, che cercò in ogni modo che le persone destinate al servizio della regina fossero scelte con cura per imporre quelle di sua personale iducia4, Gürther attirò su di sé sin da subito e, anzi, prima ancora di fare la sua apparizione a corte, molte delle opinioni negative che in seguito sarebbero gravate su Maria Carolina. Il 2 febbraio del 1768, prima del suo arrivo a Napoli con la regina, Tanucci scriveva di lui a Carlo III, da Caserta, in questi termini: La scelta del confessore della futura regina nella persona del prete secolare canonico Antonio Burcardo Gürther [sic!] non è … piaciuta … Si dice di dottrina suficiente, fornito di maniere pulite, e pratico delle corti. Questo carattere quadra mirabilmente con quel gesuitismo, dal quale si sa, che non aborrisce la corte di Vienna5. Abbreviazioni utilizzate: Asn: Archivio di Stato di Napoli; Asdn: Archivio Storico Diocesano di Napoli. 1 C. Recca, Sentimenti e politica. Il diario inedito della regina Maria Carolina di Napoli (1781-1785), Franco Angeli, Milano, 2014, p. 344. 2 W.W. Davis, Joseph II: an Imperial Reformer for the Austrian Netherlands, Martinus Nijhoff, The Hague, 1974, pp. 85-89. 3 L. Tresoldi, La biblioteca privata di Maria Carolina: cenni storici, Bulzoni, Roma, 1972, p. 12. 4 Cfr. B. Tanucci, Epistolario, 1768, a cura e con Introduzione di M.C. Ferrari, vol. XX, Società Napoletana di Storia Patria, Napoli, 2003, p. XXVI. Tanucci aveva avanzato, in particolare, in quella circostanza, i nomi di Carlo de Ciocchis, membro della Giunta degli Abusi, Giuseppe Simioli canonico ilo-giansenista e Ignazio della Croce. Cfr. N. Capece Galeota, Cenni storici sul clero della Real Cappella Palatina di Napoli, Tip. Vico Donnaromita, Napoli, 1854, p. 131. 5 R. Mincuzzi (a cura di), Lettere di Bernardo Tanucci a Carlo III di Borbone (17591776). Regesti, Istituto per la storia del Risorgimento Italiano, Roma, 1969, p. 427. Il confessore della regina Le accuse di “gesuitismo” erano con tutta evidenza solo una insinuazione infondata e pretestuosa. Proprio intorno agli anni Sessanta del Settecento la presenza tradizionale dei gesuiti quali confessori della famiglia imperiale era stata sostituita, infatti, almeno in parte, con confessori giansenisti6 e il Gürther stesso, come vedremo, fu molto più vicino agli ambienti del rigorismo giansenista che a quelli gesuitici. Quello che doveva risultare veramente sgradito e imbarazzante agli occhi dell’anziano plenipotenziario era l’evidente slittamento da Madrid verso Vienna degli equilibri della corte napoletana che sarebbe conseguito dalla presenza dell’entourage di origine austriaca di Maria Carolina. Nonostante le rimostranze di Tanucci, i suoi tentativi di sostituirne il nome con altri di suo gradimento, Gürther rimase saldamente al timone della coscienza della regina ino alla morte, avvenuta a Roma nel 1791. Ci fu invero una breve parentesi quando, nel 1775, a Napoli circolò voce che Gürther stesse per essere rimosso dal suo incarico, richiamato a Vienna da Maria Teresa. Col suo consuetudinario tempismo Tanucci ne scrive al re in Spagna il 4 aprile, dicendo: […] il cardinale Migazzi aveva portato l’ordine dell’imperatrice a questo confessore della regina di tornarsene a Vienna. Aggiunse il re, che dispiaceva questo alla regina, ma che in vano aveva scritto alla madre implorando la sospensione, laonde che aveva risoluto di obbedire, e offeriva al re che prenderebbe per suo confessore il cappellan della cappella reale don Gennaro Cancellieri7. La notizia rimbalzava anche fuori Napoli e sui giornali, tanto che da Vienna veniva riportato nella Gazzetta Universale che il confessore della regina di Napoli aveva presentato domanda di congedo per tornarsene in patria, con una pensione di 6.000 iorini sul Decanato del Capitolo della cattedrale di Praga e il suo posto sarebbe stato preso dal vescovo di Gallipoli, il padre agostiniano Agostino Gervasio8. 6 Per questo si veda M. Rosa, Settecento religioso. Politica della Ragione e religione del cuore, Marsilio, Venezia, 1999, pp. 75 sgg. 7 R. Mincuzzi (a cura di), Lettere di Bernardo Tanucci cit., p. 956. 8 Gazzetta Universale, o sieno Notizie istoriche, politiche, di scienze, arti, agricoltura, ec., 1775, vol. II, p. 355, on-line sul sito https://play.google.com/store/ books/details?id=lgOtOrKRnUkC&rdid=book-lgOtOrKRnUkC&rdot=1 (data consultazione: 18 gennaio 2016). 77 78 Elisa Novi Chavarria Notizie, come dicevamo, infondate o comunque soltanto ipotizzate. Né Cancellieri, «un buon sacerdote a celebrar la messa, [ma] di temperamento facile e molle», come diceva di lui Tanucci nella medesima lettera a Carlo III, né Gervasio, che sarà poi vescovo di Capua e Cappellano maggiore del Regno nel 17979, sostituiranno mai il Gürther. Egli si conquistò, anzi, uno spazio sempre maggiore a corte, rafforzando col tempo il suo ruolo anche politico sia a livello istituzionale, inendo con l’afiancare di fatto il Cappellano maggiore del Regno in molti dei suoi compiti, sia a livello informale, nella regolamentazione del cerimoniale di corte, oltre che in molte pratiche della mediazione culturale tra Napoli e Vienna. Soprattutto Gürther rimase il direttore incontrastato della coscienza della regina per ben ventitré anni. Nessun altro come lui, forse, ebbe altrettanto accesso alla sfera più intima del suo cuore, guidandone la meditazione e il lavoro d’introspezione, anche se ella probabilmente disattese, andando avanti con l’età e con l’esperienza, – almeno stando alle note del suo stesso diario – quanto le aveva consigliato sua madre circa i tempi della confessione. Finché aveva vissuto a Vienna, alla corte imperiale, Maria Carolina aveva avuto colloquio col suo confessore per almeno mezz’ora al giorno. È quanto consigliava sua madre, l’imperatrice Maria Teresa, in una lettera del 1767 alla marchesa d’Herzelles istitutrice della nipote Teresa, iglia di suo iglio Giuseppe, il futuro imperatore, e di Isabella di Parma, prescrivendo per l’appunto alla bambina, dopo la ricreazione delle 11.00, «mezz’ora col canonico Gürtler (confessore dell’arciduchessa), poi libertà ino a mezzogiorno»10. Il rigido codice comportamentale suggerito dall’imperatrice a Maria Carolina, in particolare, al momento di lasciare Vienna per il suo nuovo ruolo regale a Napoli, prevedeva oltre gli obblighi dinastici e le indicazioni su come sviluppare una propria personale linea politica, anche l’esortazione a seguire sempre «con perfetta sottomissione gli avvertimenti e i consigli» del confessore, senza nascondergli nulla di quello che riguardava la propria coscienza, ma senza neanche metterlo a parte degli affari di stato o della propria vita privata. 9 Sul Gervasio si veda A.S. Romano, I vescovi di Terra di Lavoro e la conservazione degli archivi parrocchiali nel Mezzogiorno preunitario, «Quærite», III/1 (2012), pp. 211-231, e in particolare p. 215. 10 C. Cantù, Isabella di Parma, in Italiani illustri, Gaetano Brigola e Comp., Milano, 1870³, vol. II, pp. 619- 641. Il confessore della regina Scrupolose raccomandazioni erano destinate tra l’altro a ricordare alla iglia i tempi e le modalità della confessione, da praticare a Pasqua e almeno una volta al mese11. Maria Carolina non deluse mai i consigli della madre, anche se forse non ottemperò all’obbligo della confessione con la frequenza che le era stata raccomandata da bambina. Nelle pagine del suo Journal personale, che copre, seppure con diverse interruzioni, gli anni dal 1781 al 1785, ella annota più volte i colloqui avuti con il confessore, che avvenivano spesso di sera, nelle sue stanze, e a cui si preparava con cura, ma tali annotazioni non ricorrono con quella regolarità che le era stata suggerita da sua madre12. Pure ella non dimentica di riportare l’adempienza di altri obblighi religiosi: la partecipazione alla messa, la frequenza alle devozioni delle Quaranta ore e del Rosario. È noto anche quanto si fosse bene o male uniformata ad altre forme proprie della religiosità napoletana, richiamando a palazzo carismatici e servi di Dio la cui fama taumaturgica era in quegli anni nota in città. Circolò voce, per esempio, che si fosse rivolta alla intercessione della bizzoca Isabella Milone per avere un iglio maschio e alla nascita di ciascun infante volle che fosse sempre presente il frate alcantarino Michelangelo di San Francesco, anche lui ben presto assurto in città, come la Milone, in odore di santità13. Sia lei che il sovrano furono tra l’altro devoti del frate domenicano Gregorio Rocco, “l’idolo delle plebi” come fu soprannominato, e di cui patrocinarono l’erezione di una nuova statua all’indomani dei fatti del 179914. Ma nello stile scarno e serrato, senza commenti e con notazioni ridotte al minimo e rivolte per lo più a riprodurre la scansione cronologica delle attività quotidiane, che le furono proprie 11 A. Frugoni (a cura di), Maria Teresa d’Austria. Consigli matrimoniali alle iglie sovrane, Passigli, Firenze, 1989, pp. 51 sgg. Su Maria Teresa e la sua concezione matriarcale del potere si rinvia a J.-P. Bled, Maria Teresa d’Austria, il Mulino, Bologna, 2003. 12 Se ne vedano degli esempi in C. Recca, Sentimenti e politica cit., pp. 105, 118, 169, 186, 195, 199, 243, 260, 273, 305, 312, 322, 325, 339, 352, 353. 13 Cfr. P. Palmieri, I taumaturghi della società. Santi e potere politico nel secolo dei Lumi, Viella, Roma, 2010, pp. 103, 228, 247. 14 Se ne veda la testimonianza riportata da P. degli Onofri, Elogj storici di alcuni servi di Dio che vissero in questi ultimi tempi e si adoperarono pel bene spirituale e temporale della città di Napoli, tip. Pergeriana, Napoli, 1803, pp. 259-269. Sull’azione pastorale di padre Rocco e la sua inluenza alla corte dei Borbone si rinvia a E. Novi Chavarria, Francesco De Geronimo e Gregorio Rocco, in Ead., Il governo delle anime. Azione pastorale, predicazione e missioni nel Mezzogiorno d’Italia. Secoli XVI-XVIII, Editoriale Scientiica, Napoli, 2001, pp. 269-290. 79 80 Elisa Novi Chavarria nella scrittura diaristica, Maria Carolina riservò solo semplici note – «voire mon confesseur, me confesser, je me confesois» – alla presenza del confessore e alla propria pratica sacramentale15. Tale constatazione non riduce comunque la portata dell’ascendente che Gürther ebbe su di lei e del potere che questi maturò via via a corte e con lui il partito austriaco di Maria Carolina. All’epoca se ne aveva pressoché unanime contezza. L’ambasciatore veneto Gasparo Soderini, per esempio, nel 1781 riferiva in proposito che il confessore e qualche dama tedesca del seguito della regina erano gli unici a poter «far degl’effetti sopra di lei»16. Due anni prima lo stesso Soderini aveva informato il Senato veneto di come i due confessori di Ferdinando e Maria Carolina afiancassero oramai il Cappellano maggiore del Regno in questioni delicate come le dispense matrimoniali e gli esami dei candidati a reggere la mitra episcopale nelle diocesi di patronato reale17. Era questa una opinione condivisa da molti e non si limitava agli affari ecclesiastici. Se Maria Carolina fu, come è stato detto, la vera protagonista della politica estera del Regno e del suo riposizionamento nel quadro dei nuovi equilibri europei, è indubbio che ella trovasse nel suo confessore, e negli altri membri di origine austriaca della sua corte, i più validi conidenti e iancheggiatori di tale linea politica. 2. Uno sguardo alla storiograia La storiograia ha da tempo messo in rilievo il ruolo che i confessori reali ebbero nella vita politica e negli ambienti cortigiani dell’Europa di antico regime. La particolare vicinanza del confessore, quasi sempre appartenente a un Ordine religioso, alla sfera più intima della coscienza del re faceva di lui un elemento di straordinaria importanza negli equilibri cortigiani. Rassegne di studi più o meno recenti e nuove ricerche ne hanno sottolineato la commistione tra politica e religione in quanto igure vicine come poche altre ai centri del potere e agenti delle decisioni politiche sia per proi- 15 Sulla dimensione pubblica e privata del Diario di Maria Carolina si rinvia alla bella Introduzione di C. Recca, Sentimenti e politica cit., pp. 13-68. 16 Cfr. M. Fassina (a cura di), Corrispondenze diplomatiche veneziane da Napoli. Relazioni, Istituto Poligraico e Zecca dello Stato, Roma, 1992, p. 239. 17 M. Valentini (a cura di), Corrispondenze diplomatiche veneziane da Napoli. Dispacci, Istituto Italiano per gli Studi Filosoici, Napoli, 1992, vol. XXI, p. 115. Il confessore della regina lo istituzionale, sia come direttori di coscienza18. E non si tratta, come altre volte pure ci è capitato di dovere osservare a proposito di certa retorica sul “nuovismo” storiograico a tutti costi19, di un tema per l’appunto del tutto “nuovo”, per quanto spesso c’è chi invochi la “parzialità” o le carenze metodologiche e contenutistiche con cui sarebbe stato inora affrontato. In realtà proprio al tema dei confessori della famiglia reale borbonica già Romeo De Maio aveva dedicato un intero paragrafo nel suo libro del 197120 e, a riprova della rilevanza politica del ruolo del confessore dei sovrani, non mancavano di farvi riferimento, fornendo anche molte preziose notizie, anche molti repertori storico-giuridici sette-ottocenteschi21. È comunque altrettanto indubbio che, in anni più recenti, l’attenzione su questo tema si sia decisamente ravvivata e arricchita di nuova linfa grazie agli studi sulla sacralizzazione del potere, sulla corte e alla nuova storia diplomatica, che hanno consentito un deciso ampliamento di prospettive. Ne è emerso, con tutta evidenza, l’inestricabile intreccio tra le ragioni della politica e le ragioni religiose e teologiche che condizionavano la concezione e le pratiche della sovranità e il formidabile ascendente che i confessori reali potevano esercitare sia come sue guide spirituali che come consiglieri politici. Di essi sono stati ricostruiti svariati proili, che ne hanno delineato le origini, per lo più prossime alle famiglie delle élites sociali e politiche, e le appartenenze ai diversi Ordini religiosi – che nei secoli XVI e XVII furono preva18 Cfr., per esempio, F. Rurale, Introduzione a Id. (a cura di), I religiosi a Corte: teologia, politica e diplomazia in antico regime, Bulzoni, Roma, 1998, pp. 9-50; Id., Ordini religiosi e politica nelle corti italiane del XVII secolo: la teoria, le pratiche, in J. Martínez Millán, M. Rivero Rodríguez, G. Versteegen (a cura di), La corte en Europa: Política y Religión (siglos XVI-XVIII), Polifemo, Madrid, 2012, vol. I, pp. 9-34; G. Minois, Le confesseur du roi. Les directeurs de conscience sous la monarchie française, Fayard, Paris, 1988 e, da ultimo, E. Novi Chavarria, Servizio regio e dignità ecclesiastiche nel governo della Monarchia Universale. Note introduttive, in Ead. (a cura di), Ecclesiastici al servizio del Re tra Italia e Spagna (secc. XVI-XVII), «Dimensioni e problemi della ricerca storica», 2 (2015), pp. 7-24. 19 Lo notavamo, ad esempio, nel nostro Controllo delle coscienze e organizzazione ecclesiastica nel contesto sociale, in F. Chacon, M.A. Visceglia, G. Murgia, G. Tore (a cura di), Spagna e Italia in Età moderna: storiograie a confronto, Viella, Roma, 2009, pp. 305-325. 20 R. De Maio, I confessori della famiglia reale e gli organi di politica ecclesiastica, in Id., Società e vita religiosa a Napoli nell’età moderna, Esi, Napoli, 1971, pp. 252-260. 21 Si veda, per esempio, L. Guarini, Catalogo de’ Cappellani Maggiori del Regno di Napoli e de’ confessori delle persone reali, Angelo Coda, Napoli, 1819, pp. 130-149. 81 82 Elisa Novi Chavarria lentemente quelli dei Domenicani nelle case di Borgogna e degli Asburgo di Spagna22 e dei Gesuiti, invece, nelle altre case reali europee23 –, i contesti e i margini di azione negli spazi cortigiani e nel gioco delle fazioni come protagonisti della lotta politica ed esponenti di determinate correnti e teorie teologiche24. Nella Monarchia ispanica i confessori dei sovrani, o dell’entourage del sovrano, ricoprirono molto spesso anche importanti cariche politiche e furono per lo più i principali referenti regi nelle questioni riguardanti l’assegnazione dei beneici ecclesiastici. L’assidua ingerenza negli affari politici è evidente, per esempio, nel caso del domenicano Antonio de Sotomayor, che fu confessore di Filippo IV per più di vent’anni, dal 1616 al 1643. Creatura dell’Olivares, egli occupò per molti anni il posto di Consigliere di Stato; fu poi membro di numerose Giunte, Commissario generale della Cruzada e Inquisitore generale, raccogliendo grandi opportunità di partecipazione attiva alla sfera decisionale della politica e soprattutto un potere pressoché assoluto sugli apparati ecclesiastici della Monarchia25. Così era 22 Cfr. O. Filippini, La coscienza del re. Juan de Santo Tomás, confessore di Filippo IV di Spagna, Olschki, Firenze, 2006; M.A. López Arandia, El confesionario regio en la Monarquía Hispánica del siglo XVII, «Obradoiro de Historia Moderna», 19 (2010), pp. 249-278; Ead., Dominicos en la corte de los Austrias: el confesor del rey, in F. Negredo del Cerro (a cura di), Estudios sobre la Iglesia en la Monarquía Hispánica, «Tiempos modernos», 20, (2010/1), on-line al sito http://www.tiemposmodernos.org/tm3/index.php/tm/article/view/218/273 (data consultazione: 27 ottobre 2015). 23 Tra i molti studi al riguardo si vedano almeno R. Bireley, The Jesuits and the Thirty Years War. Kings, Courts, and Confessors, University Press, Cambridge, 2009²; J.F. Marques, Confesseurs des princes, les jésuites à la Cour de Portugal, in L. Giard, L. de Vaucelles (a cura di), Les jésuites à l’âge baroque 1540-1640, Jèrome Millon, Grenoble, 1996, pp. 213-228; J.J. Lozano Navarro, Una aproximación a la relación entre el poder político y la Compañía de Jesús: la Casa de Neoburgo y los gesuitas (siglos XVI-XVIII), in A.L. Cortés Peña, J.L. Beltrán, E. Serrano Martín (a cura di), Religión y poder en la Edad Moderna, Universidad de Granada, Granada, 2005, pp. 53-65; G. Fragnito, Tra parroci confessori e confessori gesuiti: Il governo della coscienza di Enrico IV di Borbone, in La corte en Europa: Política y Religión cit., vol. I, pp. 333-358. 24 Due esempi: per la storiograia italiana cfr. P. Broggio, La teologia e la politica. Controversie dottrinali, Curia romana e Monarchia spagnola tra Cinque e Seicento, Olschki, Firenze, 2009 e, per quella spagnola, si veda F. Negredo del Cerro, La teologización de la politica, Confesores, valido y gobierno de la monarquía en tempo de Calderón, in J. Alcalá Zamora, E. Belenguer (a cura di), Calderón de la Barca y la España del Barroco, Centro de Estudios Políticos y Constitucionales, Madrid, 2001, vol. I, pp. 707-724. 25 F. Negredo del Cerro, Gobernar en la sombra. Fray Antonio de Sotomayor confesor de Felipe IV. Apuntes políticos, «Mágina. Revista universitaria», 13 (2009), pp. 85-102. Il confessore della regina stato in parte anche per il suo predecessore, il frate Luís Aliaga, confessore di Filippo III dal 1608 al 162126 e del confessore dello stesso conte duca d’Olivares, il gesuita Francisco Aguado27. Espressione degli equilibri cortigiani e degli equilibri momentanei o duraturi tra le fazioni a corte, i confessori furono spesso anche attori o comunque al centro dei repentini mutamenti di tali equilibri. Alle volte, proprio a causa della loro forte esposizione politica, li troviamo inanche alla guida della opposizione alla fazione del valido in carica, come accadde col gesuita Richard Haller, confessore di Margherita d’Austria, la moglie di Filippo III, intorno al quale gravitò il gruppo antagonista al Lerma28, e con un altro gesuita, l’austriaco Johann Eberhard Nithard, valido di fatto nei primi anni della reggenza della vedova di Filippo IV Marianna d’Austria e suo confessore. Arrivato a Madrid con la giovane Marianna nel 1649, anno del matrimonio con il sovrano spagnolo, Nithard si era ben presto affermato come tramite essenziale delle relazioni tra i vertici della Compagnia di Gesù e del papato con la Monarchia asburgica. Alla morte del sovrano la sua scalata al potere si consumò in breve tempo, ma dovette anche scontrarsi con la fazione cortigiana capeggiata da Juan José de Austria e con l’opposizione di quasi tutti i settori aristocratici del Regno. Alla ine Nithard sarà sollevato dai suoi incarichi di governo e costretto, nel 1669, a lasciare la corte seppure con una apparente promozione ad ambasciatore di Spagna a Roma29. 26 Cfr. B.J. García García, El confesor fray Luis Aliaga y la conciencia del rey, in F. Rurale (a cura di), I religiosi a Corte cit., pp. 159-194 e I. Poutrin, Le confesseur royal en Espagne sous Philippe III, «Revue d’Histoire moderne et contemporaine», LIII, 3 (2006), pp. 7-28. 27 J.J. Lozano Navarro, La Compañía de Jesús y el poder en la España de los Austrias, Cátedra, Madrid, 2005. 28 Si vedano M.S. Sánchez, Confession and complicity: Margarita de Austria, Richard Haller, S. J., and the court of Philip III, «Cuadernos de Historia Moderna», 14 (1993), pp. 133-149; J. Martínez Millán, La doble lealtad en la corte de Felipe III: el enfrentamiento entre los padres R. Haller S.I. y F. Mendoza S.I., in Doble lealtad: entre el el servicio al Rey y la obligación a la Iglesia, «Revista Libros de la Corte.es», 1 (2014), pp. 136-162. 29 Cfr. J.R. Novo Zaballos, De confesor de la Reina a embajador extraordinario en Roma: La expulsión de Juan Everardo Nithard, in J. Martínez Millán, M. Rivero Rodríguez (a cura di), Centros de poder italianos en la monarquía hispánica (siglos XV-XVIII), Polifemo, Madrid, 2010, vol. II, pp. 751-836. La questione è stata ripresa da P. Broggio, Potere, fedeltà, obbedienza. Johann Eberhard Nithard e la coscienza della regina nella Spagna del Seicento, in F. Alieri, C. Ferlan (a cura di), Avventure dell’obbedienza nella Compagnia di Gesù. Teorie e prassi fra XVI e XIX secolo, il Mulino, Bologna, 2012, pp. 165-194. 83 84 Elisa Novi Chavarria Anni turbolenti di lotte interne alla corte e per l’addensarsi degli interessi internazionali alla successione, furono anche per la corte e i confessori reali quelli del regno di Carlo II, quando tra il 1668 e il 1700 alla direzione della coscienza del sovrano si alternarono ben undici confessori30. Furono quelli anche gli anni, e ancor più poi con la salita al trono di Carlo III di Borbone, in cui la facoltà dei confessori di orientare le designazioni sui beneici ecclesiastici di patronato regio si tramutò in un potere pressoché assoluto31. Arbitri della vita cortigiana, i confessori dei sovrani poterono attivare anche pratiche politico-diplomatiche nel senso più ampio del termine, come agenti dell’informazione, per esempio, o della mediazione culturale. Anche questo è un ilone storiograico che gode negli ultimi anni di particolari fortune negli studi sulla Monarchia ispanica, la cui scena politica fu praticamente dominata da prelati e religiosi per tutti i secoli dell’età moderna32. C’è da dire, ancora, che tra i risultati più rilevanti che vanno ascritti alla ricerca storica dei modernisti negli ultimi decenni vi è quello di aver messo al centro dell’attenzione anche le forme di potere e le reti di relazioni della regalità femminile33 e, di conseguenza, quindi, per quel che qui interessa, anche il ruolo del confessore delle regine. Come è stato messo in rilievo, furono soprattutto i membri della Compagnia di Gesù a fare breccia nei confessionali delle donne delle famiglie reali34. Furono tutti gesuiti, per esempio, i confessori di Maria Francesca Isabella di Savoia, Maria Soia di Neuburg e Ma30 M.A. López Arandia, Un criado muy antiguo de la Real Casa. La Orden Dominica en el confesionario de Carlos II, «Mágina. Revista universitaria», XIII (2009), pp. 113-158. 31 Cfr. R. Gómez-Rivero, Consultas del Inquisidor Quintano Bonifaz sobre prebendas eclesiásticas, «Revista de la Inquición», 1 (1991), pp. 247-267. 32 Sul mecenatismo artistico dei confessori regi, in particolare, si vedano gli esempi dei viceré di Napoli, veri e propri alter ego del sovrano, illustrati da I. Mauro, Un’élite “cattolica”? Mobilità dei vescovi regi del Regno di Napoli (1554-1707), in Ecclesiastici al servizio del Re cit., pp. 25-43. 33 Anche sulla regalità femminile siamo ora di fronte a numerosi studi, tra i quali si vedano almeno C. Campbell Orr, Queenship in Europe, 1660-1815, The Role of the Consort, University Press, Cambridge, 2004; I. Poutrin, M.K. Scaub (a cura di), Femmes et pouvoir politique. Les princesses d’Europe. XVe-XVIIIe siècle, Bréal, Rennes, 2007; J. Martínez Millán, M.P. Marçal Lourenço (a cura di), Las relaciones discretas entre las Monarquías Hispana y Portuguesa: las Casas de las Reinas (siglos XV-XIX), Polifemo, Madrid, 2008; G. Calvi, R. Spinelli (a cura di), Le donne Medici nel sistema europeo delle corti, XVI-XVIII secolo, Polistampa, Firenze, 2008; C. Casanova, Regine per caso. Donne al governo in età moderna, Laterza, Roma-Bari, 2014. 34 Lo ha notato M.A. Visceglia, Riti di corte e simboli della regalità. I Regni d’Europa e del Mediterraneo dal medioevo all’età moderna, Salerno Editrice, Roma, 2009, pp. 158-207, e in particolare pp. 185 sgg. Il confessore della regina ria Anna d’Austria, regine del Portogallo in varie fasi tra il 1640 e il 175035, così come tra le donne della casa delle Asburgo di Vienna36. Gesuiti erano stati anche i due confessori avvicendatisi nella direzione della coscienza della precedente regina di Napoli, ovverosia la consorte di Carlo di Borbone, la regina Maria Amalia di Sassonia37. Ed è lungo questo itinerario segnato dall’approccio di genere, il controllo del patronato reale, il mecenatismo e il collezionismo artistici, le forme e le pratiche della mediazione culturale dei confessori regi, che seguiremo anche il percorso del confessore della regina Maria Carolina. 3. Tra libri, antichità e logge massoniche: il network del confessore Come abbiamo già detto il canonico Anton Bernhard Gürther fu il direttore della coscienza di Maria Carolina dal momento del suo arrivo a Napoli nel 1768 e ino alla morte avvenuta a Roma, nel 1791, di ritorno da un viaggio a Vienna durante il quale aveva accompagnato i sovrani. Lo sostituì Nilo Münst, un frate cappuccino natio di Uttenweiler, in Svevia, territorio dell’Impero asburgico. Entrato nell’Ordine nel 1765, Münst era arrivato a Napoli nel 1785, con la nomina di cappellano della Guardia Svizzera della città. Le sue origini germaniche, oltre che la sua sapiente dottrina, gli valsero la designazione da parte della sovrana a suo confessore, nomina che gli garantirà, in seguito, ulteriori avanzamenti: l’incarico come professore di teologia nell’Università di Napoli e, nel 1801, la nomina pontiicia alla cattedra episcopale della diocesi di Myndus, in Asia Minore. Münst ebbe un ruolo decisivo, in quegli anni, anche tra le ila del suo Ordine nel Regno38. Morirà a Palermo, dove aveva seguito la corte dei Borbone in fuga da Napoli, il 29 novembre 181239. 35 M.P. Marçal Lourenço, Os confessores das Rainhas de Portugal (1640-1750), in La corte en Europa: Política y Religión cit., vol. I, pp. 359-379. 36 Si vedano i lavori citati nelle precedenti note 27-28. 37 Cfr. E. Papagna, La corte di Carlo di Borbone, il re «proprio e nazionale», Guida, Napoli, 2011, p. 95. 38 V. Criscuolo, Nicola Molinari da Lagonegro (1707-1792), Istituto Storico dei Cappuccini, Roma, 2002, p. 203. 39 Notizie sul Münst sono riportate da Sigismondo da Venezia (fr.), Biograia seraica degli uomini illustri che iorirono nel francescano istituto, G.B. Merlo, Venezia, 1846, p. 833; Michel Angelo da Rossiglione (fr.), Cenni biograici e ritratti di padri illustri dell’Ordine Cappuccino sublimati alle dignità ecclesiastiche dal 1581 al 1804, G.A. Bertinelli, Roma, 1850, pp. 149-151. 85 86 Elisa Novi Chavarria Gli successe Tommaso Gottecher, un frate agostiniano nato a Napoli nel 1776, di stanza nel convento di S. Maria della Consolazione di Palermo nel periodo in cui la corte borbonica vi si trasferì in fuga dagli avvenimenti rivoluzionari di Napoli e anche lui, come il Münst, cappellano di un contingente militare prima di essere chiamato a dirigere la coscienza della regina. Come suo confessore dal 1812, la seguì anche da Palermo a Vienna, per fare poi deinitivamente ritorno a Palermo quando ella morì. Dei tre confessori di Maria Carolina che a Napoli si avvicendarono in quel ruolo fu, comunque, senz’altro il Gürther colui che ebbe maggiore inluenza sia a corte, sia più in generale nella vita politica, religiosa e culturale del Regno delle Due Sicilie. Nel corso della sua lunga carriera, via via che la regina rafforzava il proprio potere personale riuscendo a imporre una propria e autonoma linea politica al governo del Paese, Gürther accumulò cariche, prebende e beneici, si costruì una propria rete di relazioni transnazionali tra i poli di Napoli, Palermo, Catania e Vienna, patrocinò le carriere di amici e congiunti sia nativi del Regno che oriundi, affermando sempre più la sua immagine pubblica di colto mecenate di letterati e teologi, oltre che di rafinato collezionista di antichità e protagonista attivo della politica culturale dei Borbone e della linea anticurialista di quella corte. Seguiamolo allora tappa per tappa. Cinque anni dopo il suo arrivo a Napoli, il 29 giugno del 1773, Gürther fu consacrato vescovo di Thiene40. Dal 1779 cominciò ad afiancare, insieme al confessore del re e ad altri due vescovi, il Cappellano Maggiore del Regno nell’esame dei requisiti preliminare alla nomina dei vescovi nelle diocesi di patronato regio41. Il 29 dicembre 1781 il re gli concedeva la cittadinanza napoletana, con l’esplicita motivazione «che la Maestà Sua si dichiara soddisfatta dello zelo con cui egli esercita il sagro ministero di direttore e confessore di Sua Maestà la Regina»42. È appena il caso di sottolineare come tutto questo avvenisse in concomitanza con il rafforzamento al governo del ruolo di Maria Carolina stessa che, nel 1775, con la nascita del primo iglio maschio, sulla base degli accordi stipulati 40 Per l’occasione gli fu dedicato Per la promozione di Monsignor D. Antonio Gürtler Coadjutore della Prepositura di Wischeraden in Boemia, e Confessore di S. M. la Regina delle Due Sicilie al Vescovado titolare di Tiene. Componimento anacreontico, Fratelli Raimondi, Napoli, 1773. 41 Cfr. Corrispondenze diplomatiche veneziane da Napoli. Dispacci, cit., vol. XXI, pp. 115, 120 sgg. 42 Asn, Ministero degli Affari Ecclesiastici, Dispacci, 452, c. 281r. Il confessore della regina nel contratto matrimoniale e fortemente voluti da Maria Teresa, aveva ottenuto il riconoscimento legale del diritto di presenza e voto deliberativo nel Consiglio di Stato43. Negli stessi anni Gürther diventa anche l’arbitro dell’organizzazione del cerimoniale religioso della regina. L’8 luglio del 1776, in occasione della sua visita in cattedrale con tutta la famiglia reale per il giubileo, fu il confessore a dare istruzioni al maestro cerimoniere, facendo arrivare direttamente dal palazzo reale delle sedie di paglia e dei piccoli cuscini di lana, che presero il posto del sontuoso tappeto e delle sedie di velluto che i cerimonieri della cattedrale avrebbero voluto predisporre. Fu il suo un gesto d’indipendenza anticuriale che forniva un chiaro segnale di mutamento di rotta, in chiave rigorista e muratoriana rispetto alla pomposità propria della pietà tardo barocca ancora diffusa a Napoli. La mossa del Gürther lasciò, infatti, alquanto disorientati gli ambienti curiali napoletani che accusarono il colpo non mancando di osservare, con un certo disappunto, che «fu di somma ediicazione del popolo detto atto di umiltà»44. Da allora Gürther assunse un ruolo sempre più predominante nel cerimoniale religioso cittadino e nelle alte sfere della curia napoletana, con un movimento di sponda rispetto alle esigenze più bellicose della politica ecclesiastica borbonica e del suo riformismo religioso. Nel gennaio del 1781 celebrò i funerali dell’imperatrice Maria Teresa, madre della regina Maria Carolina45. Il 19 aprile del 1781, Gürther presenziò, sempre a Napoli, la cerimonia per la consacrazione della chiesa dell’Annunziata, riaperta al culto dopo i lavori di restauro che si erano resi necessari a causa dei danni provocati da un incendio e anche questa volta scelse una cerimonia sobria e rigorosa46. Il 14 febbraio del 1790 inaugurò il triduo, concluso poi dall’arcivescovo Capece Zurlo, per la riapertura della chiesa del Gesù, che dopo l’espulsione dell’Ordine era stata afidata ai frati riformati di S. Francesco47. 43 Per questo si veda E.C. Conte Corti, Ich, eine Tochter Maria Theresias. Ein Lebensbild der Königin Marie Karoline von Neapel, Verlag F. Bruckmann, München, 1950, pp. 96 sgg. 44 La notizia è stata reperita in Asdn, Diario dei Cerimonieri, 19, I parte, ff. 153-154. 45 G. Finamore, In morte di Maria Teresa Walburga … Orazione, Bernardo Perger, Napoli, 1781, p. 3. 46 Cfr. L. Del Pozzo, Cronaca civile e militare delle Due Sicilie sotto la dinastia Borbonica, Stamperia Reale, Napoli, 1857, p. 115. 47 C. Celano, Delle notizie del bello, dell’antico e del curioso della città di Napoli … Quarta edizione in cui si è aggiunto tutto ciò che di nuovo si è fatto in Napoli ne’ nostri tempi …, Giornata terza, Salvatore Palermo, Napoli, 1792, pp. 50 sgg. 87 88 Elisa Novi Chavarria L’acquisizione della naturalizzazione nei due Regni nel dicembre 1781 aveva costituito per Gürther il preludio necessario a un ulteriore avanzamento della sua posizione. Di lì a poco quel riconoscimento, infatti, nel gennaio del 1782, egli ottenne l’investitura della titolarità della badia di San Bartolomeo in Galdo, un antico feudo ecclesiastico sito nel beneventano, passato agli inizi del secolo XVIII dalla titolarità del vescovo di Volturara a quella dei Gesuiti e devoluto alla Corona dopo la loro espulsione dal Regno, che al Gürther garantì una rendita di almeno 4.500 ducati l’anno48. Gürther vi promosse una attenta gestione e valorizzazione dei beni che vi erano annessi, grazie a una previa operazione di riordino amministrativo e recupero di antichi crediti e diritti caduti in disuso che egli afidò ai suoi legali49. Istituì un monte di maritaggi per le fanciulle povere del luogo; contribuì inanziariamente all’apertura di un seminario e si fece apprezzare per tutta una serie di iniziative nel campo dell’assistenza pastorale e della istruzione ed educazione dei ceti popolari locali. Dette lustro all’intero territorio e al proprio casato facendo costruire nel 1791 una fontana nella piazza principale del paese, grazie anche a un piano di riqualiicazione urbanistica complessiva dell’intero centro abitato50. Proprio in quegli anni, quando la riforma giansenista era all’apice della sua diffusione nella penisola, l’abate Francesco Longano poteva così additarlo a modello dell’episcopato riformatore colto51. Intanto, la maglia delle concessioni regie a suo favore si allargava ino a comprendere l’esenzione da alcuni diritti della Corona gravanti sulla suddetta badia52 e la remissione dall’accusa di aver 48 Asn, Ministero degli Affari Ecclesiastici, Dispacci, 453, c. 58r.; 475, cc. 97v-98v. Sul feudo di San Bartolomeo in Galdo cfr. L. Giustiniani, Dizionario geograico-ragionato del Regno di Napoli, Napoli, 1797-1816, vol. VIII, pp. 120-129. Per un orientamento complessivo sulla feudalità ecclesiastica nel Regno di Napoli si rinvia a E. Novi Chavarria, I feudi ecclesiastici nel Regno di Napoli: spazi, conini e dimensioni, secoli XV-XVIII, in M.A. Noto, A. Musi (a cura di), Feudalità laica e feudalità ecclesiastica nell’Italia meridionale, Associazione Mediterranea, Palermo, 2011, pp. 353-386. 49 Ve n’è traccia documentaria in Asn, Ministero degli Affari Ecclesiastici, Dispacci, 492, cc. 203v-204v. 50 Cfr. F. Morrone, S. Bartolomeo in Galdo: immunità, franchigie, libertà statuti, Arte Tipograica, Napoli, 1994. Sull’apporto delle autorità ecclesiastiche nella riconigurazione degli spazi urbani si rinvia a V. Fiorelli, «Superbi palaggi»: il contributo dei governi diocesani alla costruzione delle identità cittadine nella Campania moderna, in A. Musi (a cura di), Le dimore signorili nel Regno di Napoli: l’età spagnola, Libreriauniversitaria.it, Salerno, 2014, pp. 229-240. 51 Cfr. P. Stella, Il giansenismo in Italia, II, Il movimento giansenista e la produzione libraria, Edizioni di storia e letteratura, Roma, 2006, p. 253. 52 Asn, Ministero degli Affari Ecclesiastici, Dispacci, 475, c. 271r. Il confessore della regina contravvenuto le regole in materia di rilascio del regio exequatur53, molto più di quanto contemporaneamente si concedeva al suo omologo, confessore del re e vescovo di Alife, monsignore Filippo Sanseverino54. Nel 1785 Gürther fu insignito, tra l’altro, di un secondo beneicio, quello dell’abbazia di Mirabella che assicurava una rendita annuale di 1.700 ducati. A ridosso, come puntualmente commentava l’ambasciatore veneto riportandone la notizia al Senato, vi erano le solite pressioni esercitate da Maria Carolina sul sovrano, «l’eficaci raccomandazioni della Maestà della regina – come egli scrisse –, tendenti a procurare al confessore medesimo un compenso»55. L’inluenza di Gürther era a quella data decisamente decollata. Essa si diffondeva oramai ben al di là delle stanze di Maria Carolina o all’interno della corte per irradiarsi in un network di pratiche e relazioni estese nei circoli giansenisti e massonici tra Italia e Austria. Fu Gürther, per dirne una, a introdurre a corte, nel 1774, il teatino tedesco Joseph Sterzinger e fu grazie alla sua mediazione che Maria Carolina ne propose il nome alla Giunta di Educazione per il posto di bibliotecario alla Biblioteca Regia di Palermo. Sterzinger vi si insediò nel 1778 e da allora si affermò tra i protagonisti della vita culturale palermitana e punto di riferimento della politica borbonica nell’Isola nel delicato settore bibliotecario e censorio. Con Gürther Sterzinger mantenne relazioni costanti tanto da recarsi in visita alla badia di San Bartolomeo in Galdo, nel 1782, quando questi ne prese possesso e c’è da immaginare che il confessore della Regina non gli abbia lesinato collaborazione e consigli per la costituzione della Biblioteca palermitana56. Fu Gürther senz’altro ad agevolare la carriera ecclesiastica di un suo nipote sacerdote, che le fonti napoletane indicano col nome naturalizzato di Giuseppe Gurtler e a cui Ferdinando IV nell’ottobre del 1785 conferì, tra gli altri, il beneicio della cappellania laicale di S. Rosalia ad Altamura57. Ma soprattutto Gürther, noto per i suoi studi teologici e cultore di quelli classici, appassionato d’arte e di antichità, frequentatore, come pure si è detto, della loggia massonica napoletana, divenne a Napoli tra la metà degli anni Settanta e gli anni Ottanta del se53 Ivi, 455, c. 199v. Per un esempio si veda ivi, 358, c. 10r. Corrispondenze diplomatiche veneziane da Napoli. Dispacci cit., vol. XXI, p. 266. 56 N. Cusumano, Joseph Sterzinger Aufklärer teatino tra Innsbruck e Palermo (1746-1821), Associazione Mediterranea, Palermo, 2013, pp. 56 sgg. 57 Asn, Ministero degli Affari Ecclesiastici, Dispacci, 473, c. 272v. 54 55 89 90 Elisa Novi Chavarria colo XVIII il punto di riferimento di molti scrittori di antiquaria ed erudizione, esponenti dei settori riformatori moderati, che gli dedicarono le loro opere conidando sulle sue capacità di mediazione con il partito austriaco di Maria Carolina e sul clima anticurialista diffuso nella corte in quegli anni per accaparrarsene il patronage. È così che nel 1777 Emmanuele Campolongo, sacerdote e giurista, studioso di antichità classica, gli dedicò il suo Quaresimale, una raccolta di prediche volta ad affrancare i modelli della retorica da certe issità barocche post-tridentine e, pertanto, alquanto in controtendenza rispetto al panorama della editoria religiosa napoletana di quegli anni58. Due anni dopo, nel 1779, Michele Stasi, l’editore di Filangieri e protagonista attivo del rinnovamento culturale napoletano di quegli anni, pubblicava il libro Della Filosapria moderna, un’opera in difesa della religione minacciata dai libri “alla moda”, probabilmente del domenicano Domenico Cocenti, pure a lui indirizzata59. Nel 1782 era la volta di Giovanni Agostino De Cosmi che gli dedicava i suoi Discorsi di sacro argomento60. Canonico della cattedrale di Catania e incaricato della direzione spirituale del Seminario della stessa città etnea, De Cosmi aveva collaborato col vescovo Salvatore Ventimiglia, erudito ilo-giansenista e massone, al rinnovamento culturale e degli studi universitari della città dopo l’espulsione dei Gesuiti. Nel ’79 il Governo gli aveva afidato il compito di redigere un piano di riforma per la regia università in cui grande spazio egli riservò alle scienze applicate. In seguito ebbe l’incarico di direttore generale della riforma delle scuole e ino alla ine dei suoi giorni non smise mai di occuparsi dei problemi della organizzazione culturale in Sicilia61. Come lui un altro protagonista 58 E. Campolongo, Il peccator convinto. Quaresimale composto per esercizio rettorico, dedicato all’Ill.mo e Reverendiss. Monsignor D. Antonio Gurtler, vescovo di Tiene, Giuseppe Campo, Napoli, 1777. Sulla editoria religiosa napoletana del Settecento rinvio a E. Novi Chavarria, Il governo delle anime. Azione pastorale, predicazioni e missioni nel Mezzogiorno d’Italia, Editoriale Scientiica, Napoli, 2001, pp. 313-333. 59 Della Filosapria moderna. Dissertazione critico-eclettica, Michele Stasi, Napoli, 1779. L’attribuzione al padre Cocenti è di G. Melzi, Dizionario di opere anonime e pseudonime di scrittori italiani o come che sia aventi relazione all’Italia, Giacomo Pirola, Milano, 1848, tom. I, p. 414. Sull’attività editoriale di Michele Stasi si veda F. Luise, Librai editori a Napoli nel XVIII secolo. Michele e Gabriele Stasi e il circolo ilangieriano, Liguori, Napoli, 2001. 60 G.A. De Cosmi, Discorsi di sacro argomento, Stamperìa della Società Letteraria e Tipograica, Napoli, 1782. 61 Cfr. G. Giarrizzo, G.A. De Cosmi, in Id., G. Torcellan, F. Venturi (a cura di), Illuministi italiani, VII, Riformatori delle antiche repubbliche, dei ducati, dello Stato pontiicio e delle isole, Ricciardi, Milano-Napoli, 1965, pp. 1079-1131. Il confessore della regina del riformismo napoletano indirizzò al Gürther un proprio libro, ovvero sia Nicola Valletta che gli dedicò nel 1787 la famosa Cicalata sul fascino volgarmente detto jettatura, evidentemente individuando in lui un saldo punto di riferimento nella lotta alle forme di pietà barocca e “superstiziosa”62. Allievo di Genovesi e Giuseppe Cirillo, professore, giureconsulto e avvocato,Valletta è noto soprattutto per il suo piano di riforma dell’Università di Napoli del 1792 che aboliva la facoltà teologica con un eguagliamento sostanziale delle discipline scientiiche a quelle della tradizione umanistica e mirava a dotare l’Università di un corpo insegnante numericamente adeguato e reclutato sulla base di competenze speciiche63. Ultimo nella rincorsa al patrocinio nelle lettere di monsignor Gürther fu Friedrick Münter, il vescovo danese che al confessore di Maria Carolina dedicò la sua traduzione in tedesco dell’Elogio storico di Gaetano Filangieri di Donato Tommasi, pubblicata a Innsbruck nel 179064. Giunto in Italia nel 1784 con una borsa di studio del Governo danese e come emissario dell’ordine degli Illuminati, per conto dei quali cercò di organizzare una loggia a Napoli, Münter entrò in contatto col Tommasi, con Domenico Cirillo, Filangieri e Mario Pagano65. Si recò anche in Sicilia con l’intenzione di stringere contatti coi “fratelli” della “libera muratoria”66 e a Napoli fu più volte ricevuto dalla stessa Maria Carolina67. 62 N. Valletta, Cicalata sul fascino volgarmente detto jettatura, Napoli, 1787. Sulla trattatistica settecentesca e altro si veda G. Galasso, Dalla «fattura» alla «iettatura»: una svolta nella «religione superstiziosa» del Sud, in Id., L’altra Europa. Per un’antropologia storica del Mezzogiorno d’Italia, Alfredo Guida, Napoli, 2009³, pp. 261-291. 63 Cfr. V. Ferrone, I profeti dell’Illuminismo. Le metamorfosi della ragione nel tardo Settecento italiano, Laterza, Roma-Bari, 2000², pp. 128 sgg; G. Galasso, La ilosoia in soccorso de’ governi. La cultura napoletana del Settecento, Guida, Napoli, 1989, pp. 155 sgg. 64 F. Münter, Gedächtnisschrift auf den Ritter Gaetano Filangieri von D. Donato Tommasi, Benedict Friedrick Bavelsens, Inspach, 1790. Sulla fortuna dell’opera di Gaetano Filangieri in Austria si veda A. Trampus, Filangieri in Austria: la traduzione perduta della “Scienza della legislazione”, «Romische Historische Mitteilungen», 46 (2004), pp. 23-52 e Id., Linguaggi della politica e lessico costituzionale: Filangieri e i traduttori tedeschi, in Id (a cura di), Diritti e costituzione. L’opera di Gaetano Filangieri e la sua fortuna europea, il Mulino, Bologna, 2005, pp. 85-126. 65 Sul soggiorno napoletano di Münter, cfr. C. Francovich, Storia della massoneria in Italia dalle origini alla rivoluzione francese, La Nuova Italia, Firenze, 1974, pp. 406-426 e A.M. Rao, La massoneria nel Regno di Napoli, in G.M. Cazzaniga (a cura di), Storia d’Italia. Annali 21. La Massoneria, Einaudi, Torino, 2006, pp. 539-540. 66 Si veda G. Giarrizzo, Massoneria e Illuminismo nell’Europa del Settecento, Marsilio, Venezia, 1994. 67 Se ne trovano riferimenti nel suo diario, per cui cfr. C. Recca, Sentimenti e politica cit., pp. 335 sgg. 91 92 Elisa Novi Chavarria Vista così, attraverso il ilo cioè delle dediche letterarie di cui fu destinataria e delle reti di relazioni che esse sono in grado di restituirci68, la igura del confessore di Maria Carolina assume uno spessore a tutt’oggi sconosciuto e un inedito protagonismo sia nei progetti di riforma degli studi universitari e riordino delle biblioteche del Governo borbonico, di cui molti degli autori che con quella dedica vollero ostentare il suo patrocinio furono attori negli anni Ottanta del Settecento, sia, più in generale, come connettore tra gli ambienti intellettuali meridionali ed europei di quegli anni69. Egli fu, infatti, anche un attento operatore della mediazione culturale tra Italia e Austria dove, tra le altre, fece conoscere e tradurre nel 1790, mentre era lì in visita con la famiglia reale, il poema dell’autore abruzzese Francesco Filippi Pepe, pubblicato in lingua latina a Teramo nel 178970. Figura di spicco del riformismo ecclesiastico giansenista e co-protagonista dell’operatività politica di Maria Carolina nel campo dei beni culturali e della circolazione delle idee tra Napoli e Vienna, Gürther uscì di scena prima che quelle medesime istanze riformatrici sfociassero nella reazione degli anni Novanta. Tra spinte e richiami diversi, interventi gradualistici e sollecitazioni al cambiamento, egli aveva contribuito, almeno in parte, a mutare l’immagine e la realtà della Chiesa napoletana e delle forme più radicate del cattolicesimo barocco. Lo aveva fatto muovendosi tra il clima dell’Aufklärung cattolico da cui proveniva e le inquietudini massoniche della penisola, cui non fu estranea la stessa Maria Carolina, con esiti apparentemente incerti e contraddittori, ma ancora tutti da chiarire e meritevoli, forse, di ulteriori approfondimenti71. Il confessore Gürther è stato, in effetti, ino ad oggi noto pressoché esclusivamente come studioso e collezionista di antiquaria 68 Sul sistema delle dediche nell’editoria del Settecento cfr. M. Paoli, La dedica. Storia di una strategia editoriale (Italia, secoli XVI-XIX), M. Pacini Fazzi, Lucca, 2009. 69 Su questo si rinvia ad A.M. Rao, Fra amministrazione e politica. Gli ambienti intellettuali napoletani, in J. Boutier, B. Marin, A. Romano (a cura di), Naples, Rome, Florence. Une histoire comparée des milieu intellectuels italiens (XVIIe-XVIIIe siècles), École Française de Rome, Roma, 2005, pp. 35-88. 70 Ne dava notizia lo stesso Gürther da Vienna al suo segretario a Napoli, il canonico Simone Franchi, compaesano del Filippi e per cui cfr. N. Palma, Storia ecclesiastica e civile della regione più settentrionale del Regno di Napoli …, oggi città di Teramo e diocesi aprutina, Tibaldo Angeletti, Teramo, 1835-1836, p. 148. Il poema del Filippi sarà tradotto anni dopo anche in italiano. Cfr. A. Saliceti, Del Monumento a Pietro il Grande. Poema di Francesco Filippi-Pepe colla giunta di carme inedito dello stesso, prima versione italiana, Ubaldo Angeletti, Teramo, 1826. 71 Su quel contesto il rinvio è a E. Chiosi, Lo spirito del secolo: politica e religione a Napoli nell’età dell’illuminismo, Giannini, Napoli, 1992. Il confessore della regina per conto proprio e della corte di Vienna. Il suo protagonismo nelle pratiche antiquarie dell’epoca è ben documentato negli scritti di Domenico Cerulli, un giurista di origini baresi col pallino delle antichità che contribuì a immettere nel iorente mercato che da Napoli e dintorni riforniva i collezionisti di mezza Europa. La prima testimonianza risale al 1775 quando, in occasione della nascita del primogenito maschio della coppia reale, Cerulli a quella data già affermatosi tra gli esperti della erudizione antiquaria napoletana dedicò al Gürther un poemetto encomiastico scritto per la circostanza. Nel testo egli faceva esplicito riferimento a due bassorilievi in marmo acquistati di recente dal confessore di Maria Carolina e da questi sottoposti al suo expertise, «per deciferar ciocchè in essi vedesi industremente igurato»72, e al cui soggetto iconograico egli dichiarava di essersi ispirato per quel componimento poetico (ig. 1). Qualche anno dopo, nel 1778, Cerulli acquistava per conto di Gürther dei materiali numismatici di valore, ovverosia sette monete d’oro di età imperiale reperite nello scavo di Castronovo, aperto due anni prima nel territorio di Civitavecchia, terra del Papa, che per stato di conservazione e qualità avrebbero potuto, a suo avviso, trovare degna collocazione in qualunque museo73. L’acquisizione in campo archeologico più importante, comunque, per Cerulli, per Gürther, e non solo per loro, era avvenuta l’anno prima, nel ’77, quando in località Roccaspromonte, in Molise, dei contadini del luogo, nel corso dei loro consueti lavori stagionali, avevano riportato alla luce una scultura etrusca in terracotta di grandi dimensioni, rafigurante l’Athena74. Cerulli partecipò la notizia dell’eccezionale ritrovamento al mondo degli esperti e degli studiosi pubblicando 72 D. Cerulli, Per la nascita del primogenito del Re delle Due Sicilie. Ode, Napoli, 1775, p. 3r. Sul cerimoniale napoletano e i festeggiamenti per la nascita dei principi reali si rinvia allo studio di E. Papagna, Feste di piazza e cerimonie di palazzo nella Napoli borbonica: le celebrazioni per la nascita della real prole, «Mélanges de l’École française de Rome», 127-1 (2015), on-line sul sito https://mefrim.revues.org/2194 (data di consultazione: 8 febbraio 2016). 73 Lo stesso Cerulli ne dava notizia nel novembre del 1778 in «Antologia romana», XX (1778), pp. 153-155; XXI (1778), pp. 161-164. Le monete sono state individuate e classiicate in termini moderni da L. Tondo, Domenico Sestini e il medagliere mediceo, Olschki, Firenze, 1990, p. 134. Sulla campagna di scavo attuale condotta nel sito archeologico di Castrum Novum si rimanda a quanto documentato in https://www. academia.edu/10349801/Castrum_Novum_2 (data di consultazione: 8 febbraio 2016). 74 Cfr. L. Giustiniani, Dizionario geograico-ragionato del Regno di Napoli, Vincenzo Manfredi, Napoli, 1804, vol. VIII, pp. 20-21. Un proilo dell’attività del Cerulli è stato elaborato per un saggio di prossima pubblicazione da V. Cocozza, L’Athena di Roccaspromonte e il debutto di Domenico Cerulli nel dibattito antiquario del Settecento. 93 94 Elisa Novi Chavarria Il confessore della regina una lettera dedicata al solito Gürther, in cui forniva molti dettagli sul luogo, l’oggetto del ritrovamento e la decifrazione dell’epigrafe sottostante, allegando anche un esauriente disegno della statua in questione (ig. 2a)75. La statua etrusca dell’Athena di Roccaspromonte fu, neanche a dirlo, immediatamente fatta propria dal Gürther. In seguito, non sappiamo con quali modalità, essa passò nella collezione dell’ambasciatore austriaco a Napoli, il barone Anton de Paula von Lamberg-Sprinzenstein, la cui raccolta di antichità era seconda a Napoli solo a quella di sir William Hamilton. Nel corso del XIX secolo, poi, la collezione del diplomatico austriaco fu acquisita per questioni legate alla dispersione della sua eredità dal Gabinetto di Monete e Antichità di Vienna. Attualmente l’Athena di Roccaspromonte, e con essa la memoria del vescovo Gürther, confessore di Maria Carolina, troneggiano nelle sale del Kunsthistorisches Museum di Vienna in ottimo stato di conservazione (ig. 2b). 75 D. Cerulli, All’illustriss. e rev. monsignor Antonio Gürtler vescovo di Tiene confessore di S. M. la Regina delle due Sicilie sopra un’antica statua etrusca. Lettera, stamperia Simoniana, Napoli, 1777. Fig. 1 – D. Cerulli, Per la nascita del primogenito del Re delle Due Sicilie. Ode, Napoli, 1775, p. X. 95 96 Elisa Novi Chavarria Giuseppe Cirillo I NUOVI ASSETTI ISTITUZIONALI DEL REGNO DI NAPOLI NEL PERIODO DI MARIA CAROLINA E DI FERDINANDO IV Sommario: Il saggio esamina il rapporto instaurato tra i programmi riformatori di Giuseppe Maria Galanti, elaborati negli ultimi decenni del Settecento, e la costruzione dello Stato moderno napoletano ad opera della Monarchia, dei principali tribunali regi napoletani e delle più importanti Segreterie di Stato. Un assetto istituzionale che vede: il protagonismo delle segreterie di stato; una funzione chiave del nuovo tribunale della Camera di S. Chiara che, con le sue consulte, sottrae funzioni agli altri tribunali regi; l’instaurazione dei nuovo diritto del re che porta alla nuova stagione dei “dispacci” ed al tramonto delle “prammatiche” (le leggi che ispiravano il diritto del Regno). Il nuovo assetto istituzionale, nel periodo delle Riforme, è tributario del modello spagnolo della “Nuova Pianta”, che viene positivamente recepito nel Regno di Napoli. Parole chiave: Istituzioni, Regno di Napoli, Maria Carolina, Ferdinando IV. new inStitutional Set-uPS in the Kingdom of naPleS during maria carolina and ferdinand iv’S reign abStract: This paper will analyze the relationship between the reform programs developed by Giuseppe Maria Galanti at the end of the 18th century, and the modern Neapolitan State, which was established by local Monarchy, main Royal Courts and major Secretaries of State joint coopera-tion. Such a peculiar institutional set-up was characterized by: the very Secretaries of State’s ambition to excel; the key role played by the Royal Chamber of Santa Chiara, whose “consulte” managed to diminish other Courts’ jurisdiction; and by the King’s new “dispacci” (dis-patches), which replaced the old “prammatiche” (pragmatics) that would serve as a source for the laws in force in the Kingdom until then. This different institutional set-up was positively inluenced by the Spanish administrative model brought about by the “Nueva Planta” de-crees. KeywordS: Institutional Set-ups, Kingdom of Naples, Maria Carolina, Ferdinand IV. Fig. 2 – (a) D. Cerulli, All’illustriss. e rev. monsignor Antonio Gürtler vescovo di Tiene confessore di S. M. la Regina delle due Sicilie sopra un’antica statua etrusca. Lettera, stamperia Simoniana, Napoli, 1777, p. n.n.; (b) Athena di Roccaspromonte, V secolo a.C. Wien, Kunsthistorisches Museum. 1. Introduzione Il saggio si propone di esaminare il rapporto instaurato tra i programmi riformatori di Giuseppe Maria Galanti, elaborati negli ultimi decenni del Settecento, e la costruzione dello Stato moderno 98 Giuseppe Cirillo I nuovi assetti istituzionali del Regno di Napoli nel periodo di Maria Carolina napoletano1. Questi progetti riformistici saranno pertanto letti ed analizzati attraverso l’operato dei principali tribunali regi napoletani e delle più importanti Segreterie di Stato. Perché, innanzitutto, proprio Galanti come igura più rappresentativa per esaminare, da una parte, l’accelerazione del riformismo borbonico e dall’altra “l’autunno” della stagione delle riforme? Questo in quanto si deve constatare che l’opera più rappresentativa dell’Illuminismo “maturo” meridionale, la più tecnica, data l’utilizzazione di quelle che intanto sono diventate le nuove scienze dello Stato, è proprio la Descrizione di Galanti2. È quest’opera – e su questo vi è un’opinione abbastanza condivisa della storiograia – il vero manifesto dell’Illuminismo napoletano. Galanti prende in esame in modo complessivo – intrecciandoli con i problemi concernenti i settori fondamentali dello Stato napoletano – politica, istituzioni, economia, inanze, ceti sociali, rapporto centro-periferia, incidenza delle riforme sulla sfera politico-sociale del Regno, e tutto comparativamente con il dibattito illuministico europeo ed italiano, che altri autori del riformismo meridionale non possono che aver trattato solo tematicamente3. La Descrizione di Galanti è non a caso un’opera matura dell’Illuminismo, da ascriversi all’interno delle nuove scienze dello Stato anche per il metodo usato per la sua stesura. I particolari incarichi di governo ricoperti dall’autore gli permettono, infatti, di consultare e studiare una grande mole di fonti documentarie inerenti organismi centrali dello Stato napoletano. Negli ultimi anni, il riordino degli incartamenti galantiani ha permesso, però, di cogliere meglio il metodo utilizzato, soprattutto nelle decine di relazioni sullo stato delle province e dei tribunali che egli stendeva come Visitatore del Regno, per la Segreteria di Grazia e Giustizia o per la Segreteria di Azienda, e fatte poi pervenire ad altri istituti centrali dello Stato napoletano. Il riformatore inviava a tal ine appositi catechismi, ossia speciici questionari, a diversi esponenti dei governi periferici del territorio (presidi, uditori, avvocati iscali, ma anche sindaci o eletti di città o centri minori) e perino a semplici membri della società civile, afinché fossero compilati durante lo svolgimento della Visita4. Questa documentazione costituisce appunto il materiale primario che il riformatore utilizza, insieme alle fonti napoletane di cui si è detto, all’interno della Descrizione. Ma la forza e la complessità dell’opera consistono soprattutto nella capacità di Galanti di dominare l’arte della statistica. Nei vari tomi della Descrizione sono stati compilati prospetti statistici di una perizia e di una perfezione unica per il tempo: tabelle, con dati aggregati sui diversi corpi statali, sulla popolazione del Regno (complessiva o su base provinciale), bilanci dello Stato, dei diversi comparti delle inanze, elenchi annuali delle esportazioni e dei risultati della bilancia commerciale, statistiche sui reati ecc. Va anche rimarcato un altro pregio dell’opera legato al fatto che si passa dalle descrizioni empiriche (che come detto, caratterizzano soprattutto i testi del Genovesi) ad analisi che utilizzano strumenti statistici di una rilevante precisione. Ogni parte, cosa interessantissima, è inoltre dotata di una conclusione con dei precisi suggerimenti alle diverse autorità di governo su come operare soprattutto a livello metodologico. La Descrizione di Galanti è per tali motivi l’opera più conosciuta e più utilizzata, nel lungo periodo, dalla cultura italiana meridionalistica. Questa è stata letta, e continua ad essere letta, però, con una doppia valenza: da una parte, vista la grande mole di dati e docu- Alcune parti del seguente contributo sono apparse in forma ridotta nel mio saggio, Regno di Napoli e Spagna. Genovesi, Galanti, gli apparati statali e le riforme settecentesche, in G. Cacciatore, S. Cecenia (a cura di), Antonio Genovesi a trecento anni dalla nascita, Laveglia-Carlone, Salerno, 2016, pp. 67-130. Abbreviazioni utilizzate: Actg: Archivio Comunale di Torre del Greco; Asa: Archivio di Stato di Salerno; Asn: Archivio di Stato di Napoli 1 Le opere dei due riformatori meridionali a cui si fa maggiormente riferimento in questo saggio – in particolare alcuni tra i lavori più signiicativi del Genovesi ed i diversi tomi Della descrizione geograica e politica delle Sicilie di Galanti, stampata a Napoli, in cinque tomi, tra il 1789 ed il 1794 – sono presenti su Google in PDF. 2 G.M. Galanti, Della descrizione geograica e politica delle Sicilie, a cura di F. Assante, D. Demarco, vol. II, Esi, Napoli, 1969. 3 Ivi, tomi I-V. 4 Recentemente, Sebastiano Martelli ha ricostruito la storia legata agli studi e ai progetti editoriali inalizzati alla pubblicazione delle opere di Giuseppe Maria Galanti, prima da parte di P.A. De Lisio e poi di A. Placanica. Cfr. S. Martelli, Due secoli di sfortune editoriali ed un ritrovamento fortunato, in G.M. Galanti, Scritti giovanili inediti, edizione critica a cura di D. Falardo (con un saggio di S. Martelli), Istituto Italiano per gli Studi Filosoici, Napoli, 2011, pp. IX-CXXII. In particolare, sull’utilizzazione delle relazioni del Galanti, cfr. G.M. Galanti, Scritti sulla Calabria, a cura di A. Placanica, Di Mauro, Cava de’ Tirreni, 1993; A.M. Rao, «In esecuzione de’ Reali incarichi»: le relazioni al re di Giuseppe Maria Galanti, in M. Mafrici, M.R. Pelizzari (a cura di), Un illuminista ritrovato: Giuseppe Maria Galanti, Laveglia, Salerno, 2006, pp. 54-71. Vedi anche G.M. Galanti, Memorie storiche del mio tempo ed altri scritti di natura autobiograica (1761-1806), a cura di A. Placanica, Di Mauro, Cava de’ Tirreni, 1996. 99 100 Giuseppe Cirillo menti prodotti ed analizzati, è utilizzata come fonte essenziale per la storia del Regno di Napoli; dall’altra, è il manifesto, il documentomonumento per eccellenza, del riformismo meridionale. È dunque soprattutto questo aspetto di cultura militante che sarà preso in esame nel seguente saggio. Si è cercato di rilettere, attraverso i primi risultati conseguiti dallo studio degli incartamenti dei più importanti tribunali regi del Regno di Napoli (la Camera di S. Chiara e la Camera della Sommaria e, attraverso queste, delle Segreterie di Stato), sugli elementi più importanti ed eficaci delle proposte di questo riformatore5. A tal proposito, alcuni recenti studi sul periodo delle riforme hanno sottolineato il rischio di associare in modo troppo stretto la battaglia propagandistica ed ideologica degli illuministi con la vera realizzazione del “moderno” nella sfera politica e delle istituzioni statali. Spesso, infatti, i “programmi” riformisti restano pura utopia e il nuovo non coincide con l’Illuminismo più maturo6. La particolare attenzione del saggio è pertanto spostata verso quei percorsi politico-istituzionali del Regno che sono presi in esame da questo illuminista; emerge in modo evidente, del resto, come nel ceto di governo, nelle magistrature, nella nascente burocrazia pubblica degli ultimi decenni del Settecento, vi sia l’inluenza di un altro grande illuminista. Antonio Genovesi. Poi Galanti, nella sua Descrizione, da una parte fa il punto sul successo o l’insuccesso delle proposte del maestro e dall’altra estende lo scettro di analisi con proposte più ampie ed originali, anche se alle volte con un eccessivo spirito di protagonismo. Sono proposte che, tutto sommato, come ha osservato la storiograia, sono in riga con il percorso individuato precedentemente da Genovesi. La forbice tra politica di governo e programma illuministico subentra invece con altri illuministi della seconda generazione: gli elementi del loro programma riformatore non sono per niente recepiti, anzi spesso sono osteggiati dai tribunali regi e dalle SegrePer un primo bilancio di queste ricerche cfr. G. Cirillo, Spazi contesi. Camera della Sommaria, baronaggio, città e costruzione dell’apparato territoriale del Regno di Napoli (secc. XV-XVIII), tomo I, Università e feudi; tomo II, Evoluzione del sistema amministrativo e governi cittadini, Guerini e Associati, Milano, 2011; Id., Virtù cavalleresca ed antichità di lignaggio. La Real Camera di S. Chiara e le nobiltà del Regno di Napoli nell’età moderna, Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Direzione Generale per gli Archivi, Roma, 2012. 6 M. Verga, Decadenza italiana e idea d’Europa (XVII-XVIII secc.), «Storica», VIII (2002), pp. 7 sgg. 5 I nuovi assetti istituzionali del Regno di Napoli nel periodo di Maria Carolina terie di Stato7. Così nell’attuazione delle riforme diventano centrali alcuni giuristi e togati imbevuti di riformismo genovesiano – che sono anche seguaci del diritto pubblico che proviene dall’Europa, intriso di giusnaturalismo – che ispirano le decisiones e le consulte, rispettivamente della Camera della Sommaria e della Camera di S. Chiara8. Nel primo caso la Camera della Sommaria, oltre ad occuparsi di tutta una serie di compiti che rientrano nelle prerogative del «real patrimonio», a partire dagli anni ’40 del Settecento è al centro delle riforme istituzionali e appena dieci anni dopo già incomincia a prendere posizione, con decine di decisiones, in merito agli ufici venali, agli arrendamenti, ai corpi demaniali alienati, alla stessa natura giuridica dei feudi e alle loro giurisdizioni. Tutti questi corpi sono membri dello Stato, sono costole della sovranità: o lo Stato è stato costretto ad alienarli per gravi «casi di necessità», per cui possono essere ricomprati; oppure, se i detentori non riescono a produrre i titoli originali di possesso, sono stati usurpati9. Il primo protagonista delle riforme istituzionali è quindi la Camera delle Sommaria, che si pronuncia ripetutamente e guida le principali politiche isiocratiche della monarchia; soprattutto, guida la modernizzazione dello Stato attraverso il favore accordato agli enti locali. Quella che è stata deinita l’offensiva della «dottrina statalista» – che è presente soprattutto nei iscali della Sommaria già a partire dalla metà del Seicento – si afferma nel periodo delle riforme su più fronti, in merito alla soluzione che porta al rafforzamento della sfera dell’amministrazione degli enti locali, in particolare attraverso la sottrazione di spazi al feudo ed alla sfera giurisdizionale10. Le prammatiche settecentesche, almeno dopo il 1734, relative all’amministrazione delle università, sono non a caso ispirate da questo supremo tribunale11. 7 A.M. Rao, L’«amaro della feudalità». La devoluzione di Arnone e la questione feudale a Napoli alla ine del ’700, Guida, Napoli, 1984 (seconda edizione riveduta, edita presso Luciano, Napoli, 1997); V. Ferrone, I profeti dell’Illuminismo. Le metamorfosi della ragione nel tardo Settecento italiano, Laterza, Roma-Bari, 1996. 8 G. Cirillo, Spazi contesi cit., tomo II, pp. 245 sgg. 9 Ivi, pp. 210 sgg. 10 Cfr. A. Musi, Momenti del dibattito politico a Napoli nella prima metà del secolo XVII, «Archivio Storico per le Province Napoletane», Terza Serie, XI (1973), pp. 345-371. 11 G. Cirillo, Spazi contesi cit., tomo II, pp. 337 sgg. 101 102 Giuseppe Cirillo Nel secondo caso emerge la nuova centralità della Camera di S. Chiara, che si afferma come il vero «tribunale del re». A partire dal 1734, il nuovo istituto viene investito di compiti che in precedenza spettavano alla Camera della Sommaria, ma soprattutto sostituisce il Consiglio Collaterale in quelle che erano moltissime sue funzioni ed attribuzioni12. Anche se Galanti non coglie in tutta la sua portata l’importanza di questo tribunale, tuttavia emerge dalle fonti che le principali materie oggetto di riforma statale passano proprio attraverso le sue consulte13. Ancora due punti importanti. La Camera di S. Chiara è uno dei principali strumenti di attuazione delle riforme. Ma in che cosa consiste la sua importanza rispetto agli altri tribunali napoletani? Da che periodo le sue consulte cominciano ad essere determinanti per la modernizzazione delle istituzioni del Regno? Gli storici del diritto affermano che nella tradizione giuridica, e questo a partire almeno dai glossatori medievali, si ritiene che tutte le leggi siano già state scritte. Compito dei giuristi e del principe non è dunque quello di scrivere nuove leggi ma di interpretare le leggi (leggere la legge)14. Tutto quello che proviene dal passato, a livello d’interpretazione, è considerato positivo; tutto quello che rappresenta innovazione viene ritenuto un arbitrio. I tribunali, nell’interpretazione delle leggi, sono i gelosi custodi della tradizione, questo spiega anche perché, nel Regno di Napoli, vi siano atavici conlitti tra le ragioni della monarchia e l’interpretazione del diritto da parte dei diversi tribunali, soprattutto quando si mette in discussione lo ius regni15. Le cose cominciano a cambiare con Carlo di Borbone; il giusnaturalismo presente nel nuovo diritto pubblico comincia ad inluen12 R. Ajello, Una società anomala. Il programma e la sconitta della nobiltà napoletana in due memoriali cinquecenteschi, Esi, Napoli, 1996. Sulle prime fasi che caratterizzano l’affermazione del Collaterale, cfr. R. Sicilia, Un Consiglio di spada e di toga. Il Collaterale napoletano dal 1443 al 1542, Guida, Napoli, 2010. La riforma del 1542 è analizzata analiticamente da R. Pilati, Oficia principis. Politica ed amministrazione a Napoli nel Cinquecento, Jovene, Napoli, 1994; A. Cernigliaro, Sovranità e feudo nel Regno di Napoli, I-II, Jovene, Napoli, 1983. Per un inquadramento generale della società napoletana e meridionale in questo particolare contesto storico, ma anche delle funzioni di questo ed altri tribunali, vedi G. Galasso, Storia del Regno di Napoli, II, Il Mezzogiorno spagnolo (1494-1622), Utet, Torino, 2006, pp. 482 sgg.; Id., Il Regno di Napoli, IV, Il Mezzogiorno borbonico e napoleonico (1734-1815), Utet, Torino, 2007. 13 G.M. Galanti, Della descrizione cit., tomo I, p. 246. 14 P. Grossi, L’ordine giuridico medievale, Laterza, Roma-Bari, 2000. 15 A. Cavanna, Storia del diritto moderno in Europa. Le fonti e il pensiero giuridico, 1, A. Giuffrè, Milano, 1982, pp. 150 sgg. I nuovi assetti istituzionali del Regno di Napoli nel periodo di Maria Carolina zare le dottrine dei iscali della Camera della Sommaria. Nasce una nuova concezione dello Stato. Il tribunale, ispirato dal programma riformatore del Genovesi, intraprende un’offensiva per recuperare corpi dello Stato (ufici, arrendamenti, comparti demaniali, gli stessi feudi) che ritiene alienati arbitrariamente. Carlo di Borbone, però, nell’attuare le prime riforme nel Regno è costretto a rivolgersi, per avere un appoggio, ai iscali della Camera della Sommaria. Galanti lo rileva lucidamente a proposito dello spinoso problema degli arrendamenti. A partire dalla ine degli anni ’50 del Settecento, ma con una forte accelerazione nel ventennio successivo, si cambia marcia. Il sovrano è l’unica fonte del diritto. Il suo strumento normativo è il nuovo tribunale della Camera di S. Chiara. Ora non è importante che le dottrine s’ispirino o meno a criteri di innovazione. Ferdinando IV cambia ancora le regole (ma questo avviene a livello sperimentale già nel periodo della reggenza di Tanucci): le Segreterie di Stato ricorrono alle consulte della Camera di S. Chiara in merito alle principali materie oggetto della sperimentazione riformistica. Le consulte, ispirate da magistrati scelti dalla monarchia e dalle Segreterie di Stato, sono poi trasformate in reali dispacci. Centinaia di dispacci, con forza di legge, esautorano quindi il vecchio sistema delle prammatiche, voce del diritto dei tribunali del Regno, i vecchi custodi della tradizione16. Inine un ultimo punto: le riforme intraprese da Carlo di Borbone sono in stretto rapporto con il modello della «Nuova Pianta» spagnola17. Proprio nel Regno di Napoli, l’esperienza amministrativa che era stata imposta in Spagna da Filippo V viene superata con nuove sperimentazioni: il diverso ruolo dei tribunali regi, delle Segreterie di Stato, il programma isiocratico, le proposte di politica mercantilistica, il ruolo della Corte, della formazione della nobiltà di sevizio e più in generale della formazione della classe dirigente richiamano ad una nuova visione dello Stato. Il programma di Genovesi non è estraneo a questo progetto. Dopo il 1759, Carlo di Borbone applicherà in Spagna la sperimentazione delle prime riforme che si sono avute nel Regno di Napoli. Se le opere di Genovesi sono quindi state la principale fonte 16 17 G. Cirillo, Virtù cavalleresca cit., pp. 18 sgg. Ibidem. 103 104 Giuseppe Cirillo d’ispirazione della modernizzazione del Regno intrapresa da Carlo di Borbone, non bisogna meravigliarsi se la fortuna del riformatore travalichi le frontiere italiane e s’imponga nella Spagna del secondo Settecento18. È questa la cornice entro la quale bisogna inquadrare il percorso riformista che ispira l’ opera di Giuseppe Maria Galanti e più in generale le vicende che caratterizzano lo Stato moderno nel Napoletano. È dunque necessario fornire una più stretta contestualizzazione delle proposte dei riformatori meridionali – nei confronti delle vicende politico istituzionali spagnole – e non semplicemente studiarle comparativamente con le aree illuministiche del Milanese, della Toscana, della Francia. La presente trattazione, pertanto, si articolerà in tre parti: • • • La maturità del movimento riformatore e le riforme possibili: l’architettura della Descrizione di Galanti; Le riforme nella percezione della monarchia e dei tribunali regi; Napoli e Spagna: le riforme di Carlo di Borbone ed il modello della «Nuova Pianta». 2. La Descrizione di Galanti e le proposte di modernizzazione del Regno Si diceva sopra della modernità della Descrizione geograica e politica delle Sicilie di Giuseppe Maria Galanti. Attraverso quest’opera è infatti possibile una lettura più attenta di quanto la battaglia illuministica abbia inciso, ad almeno quarant’anni dalla pubblicazione delle opere del Genovesi, sulla modernizzazione dello Stato; come anche si coglie, all’opposto, dove tali proposte restano nell’alveo dell’utopia e devono essere considerate semplicemente come «bandiere di carta» della polemica illuministica. Le tesi economiche di Genovesi si diffondono parallelamente all’istituzione del primo insegnamento di Economia politica in Spagna (1784), afidato all’aragonese Lorenzo Normante y Carcavilla. Le opere da lui pubblicate – Discurso sobre la utilidad de los conocimientos económico-políticos (1784); Proposiciones de Economía Civil y Comercio (1785); l’Espíritu del Señor Melon en su Ensayo sobre el Comercio (1786) – sono fortemente tributarie delle Lezioni di commercio e di altre opere minori dell’Illuminista napoletano. La diffusione dell’economia politica, nel regno iberico, è fortemente incoraggiata dal segretario di stato spagnolo, il conte di Floridablanca, il quale pensava che la scienza economica potesse fornire un valido supporto alla politica riformatrice. Su questi punti, cfr., N. Guasti, L’Economia civile nella “Ilustración” spagnola: Genovesi e Normante, in G. Cacciatore, S. Cecenia (a cura di), Antonio Genovesi, cit., pp. 131-151. 18 I nuovi assetti istituzionali del Regno di Napoli nel periodo di Maria Carolina Colpisce, in primo luogo, la triplice chiave di lettura che l’illuminista di S. Croce adotta nella Descrizione. Si tratta, innanzitutto, dell’unico lavoro che analizza i settori più importanti delle nuove materie statali del Regno di Napoli (politica, economia, istituzioni, diritto pubblico, società, assistenza, sono settori ampiamente trattati ed intrecciati tra loro); è poi un’opera costruita sulla scorta di alcune nuove acquisizioni scientiiche, che sono da poco diventate scienze dello Stato; è un lavoro, inine, fortemente ideologico con il quale Galanti vuole sottolineare il cammino verso stadi più avanzati di civilizzazione che il Regno di Napoli ha cominciato ad intraprendere. Qual è il paradigma politico da cui parte Galanti nella Descrizione? Questi nuovi stadi di civilizzazione sono prima auspicati e poi resi possibili proprio dai Borbone (in particolare da Carlo e Ferdinando IV), che hanno, tra l’altro, il merito di aver ripristinato una monarchia naturale nel Regno di Napoli. Sono loro che hanno intrapreso riforme per abbattere i privilegi della Chiesa e del baronaggio, per rivitalizzare l’economia attraverso politiche isiocratiche e mercantilistiche, per limitare il potere forense che tutto corrompe, per cambiare volto alle istituzioni attraverso l’adozione di misure inalizzate alla concessione di larghe attribuzioni agli enti locali ma anche alla formazione e alla crescita, numerica e qualitativa, di una nuova classe dirigente19. Un progetto immane dove i ilosoi, e soprattutto lui come degno allievo di Antonio Genovesi, hanno un ruolo partecipativo di primo piano. Così, la Descrizione pur essendo una «bandiera di carta», che si propone un impatto ideologico sulla società civile, costituisce comunque il vero manifesto dell’Illuminismo meridionale, concepito, fra anni ’80 ed inizi anni ’90, in un momento di forte accelerazione delle riforme. Il progetto è afidato al Galanti, dopo che la Corte ha preso visione del suo precedente lavoro sul Contado di Molise20: [Il sovrano] dopo avermi fatto l’onore d’incombenzarmi di questa opera, nel 1791 si degnò [anche] d’incombenzarmi della visita generale delle province e di proporgli gli spedienti politici e legali da riordinarle nella giustizia e nell’economia21. 19 G. Galasso, Genovesi e Galanti, in Id., La ilosoia in soccorso dei governi. La cultura napoletana nel Settecento, Guida, Napoli, 1989, pp. 431-451. 20 G.M. Galanti, Descrizione del Contado di Molise, a cura di F. Barra, Di Mauro, Cava de’ Tirreni, 1993. 21 Id., Della descrizione cit., tomo I, p. 221. 105 106 Giuseppe Cirillo Analizziamo più attentamente il paradigma interno che sta alla base della Descrizione. I Borbone, come esponenti della nuova monarchia naturale, sono i diretti eredi di Federico II di Svevia, il sovrano che maggiormente ha contribuito con le sue Costituzioni a dare forma all’identità del Regno. Tutte le dinastie che vanno dagli Angioini ino agli Asburgo e agli Austriaci hanno invece portato oscurantismo e decadenza. Nel primo tomo della Descrizione, il riformatore osserva che ino agli anni ’90 del Settecento vi siano stati, a partire dall’antichità, sei grandi cambiamenti politici: a) il primo, con la conquista romana, dove «tutto fu avvilimento e depressione»; b) il secondo, in cui dopo le invasioni barbariche subentra il predominio feudale ed ecclesiastico, dove tutto è «anarchia, ignoranza, superstizione»; c) il terzo, che coincide con la costruzione del Regno da parte dei normanni, ma «soprattutto [di] Federico [che] tentò la più grande impresa dell’umana intelligenza in tempi dificilissimi: organizzare lo Stato colle leggi e con mettervi l’ordine civile»22; d) nel quarto, i «papi rovesciarono colla famiglia di Federico il suo ediicio sociale […] dividendosi il Regno coll’usurpatore». Ne nacque un governo «arbitrario» ed «il Regno fu gioco dell’ambizione di papi e di baroni»; e) il quinto, dove con gli Asburgo il Regno diventa provincia e «tutto fu avvilimento, dispotismo, corruttela e disordine»; f) solo con l’ultimo cambiamento, quello dei Borbone, il Regno ha riacquisito «il lustro, il suo vigore, la sua energia»23. Perché, si chiede dunque Galanti, dopo il periodo normanno-svevo, il Regno è decaduto? Le ragioni sono sintetizzate in alcune «ferali pestilenze»: «i papi, i baroni, i viceré, gli arrendamenti, le cattive leggi, la capitale». Ma esaminiamo più da vicino questo universo concettuale dell’autore. L’avvilimento del Regno, in merito al primo punto, inizia contemporaneamente alle funeste mire papali di asservimento politico di quel territorio. Sono stati i ponteici che hanno contrastato Federico II e che poi hanno portato alla rovina degli Svevi. Sono sempre loro che hanno fatto precipitare il Regno in interminabili invasioni, guerre civili e altri scontri armati. I ponteici parteggiano per Carlo d’Angiò, un sovrano crudele e dispotico, un «vero e 22 23 Ivi, tomo I, pp. 230-232. Ivi, tomo I, p. 233. I nuovi assetti istituzionali del Regno di Napoli nel periodo di Maria Carolina proprio laggello della patria»; poi, per Pietro d’Aragona, dopo il Vespro siciliano del 1282, quando il Regno è preda di «due principi stranieri, nimici fra loro che si faranno tutto il male possibile». Ed ancora sono parte delle vicende politiche nel periodo di Giovanna I che «con la doppia adozione pone il seme della discordia tra Francia e Spagna»24. La nefasta inluenza papale non cessa neanche nel periodo del governo aragonese e del cattivo governo spagnolo, colpevole di avere distrutto «negli abitanti […] lo spirito e l’energia nazionale della quale si formano le gran potenze»25. Solo con i Borbone il Regno si è riscattato dalla cattiva inluenza papalina. Da qui in avanti è iniziata una decisa politica anticurialista che ha portato ai più rilevanti risultati del riformismo meridionale. La polemica di Galanti contro il Papato, nella Descrizione, assume perciò le forme di un anticurialismo militante. L’istituto giuridico del feudo ed il sistema baronale, per passare al secondo punto, ha creato i principali mali delle Sicilie. È soprattutto con i Normanni che si costruisce il sistema feudale. I baroni prima hanno aumentato il loro potere coercitivo con l’acquisizione del mero e misto imperio durante il regno di Alfonso il Magnanimo; poi, con Carlo V e Filippo II, hanno consolidato la loro posizione istituzionale: l’ereditarietà del feudo si è estesa ino al quarto grado, mentre Filippo IV e Carlo II hanno loro permesso l’introduzione nella trasmissione dei feudi delle clausole del maggiorascato e del fedecommesso26. L’alienazione dei corpi dello Stato ha inoltre comportato che i baroni diventassero magistrati perpetui nei loro feudi27. Contemporaneamente, i viceré spagnoli, sopraffatti dalle continue esigenze economiche della monarchia degli Asburgo, hanno venduto i migliori corpi demaniali in feudo28. Ancora in molte aree provinciali i baroni continuano a detenere diritti feudali molto importanti come decime, diritti angarici e parangarici. Successivamente, i baroni sommano alle giurisdizioni diversi usi sulle terre e diversi diritti di servitù. Gli usi proibitivi sulle acque sono un vero e proprio lagello di dio. Importante il caso analizzato dal Galanti, relativo allo sbarramento 24 Ivi, tomo I, pp. 56 sgg. Ivi, tomo I, p. 60; tomo II, pp. 125 sgg. 26 Ivi, tomo I, pp. 248 sgg. Su questo aspetto cfr. anche G. Galasso, Galanti: storiograia e riformismo nell’analisi dell’ultimo feudalesimo, in La ilosoia in soccorso dei governi cit., pp. 485 sgg. 27 Id., Della descrizione cit., tomo I, p. 251. 28 Ivi, tomo I, pp. 190 sgg. 25 107 108 Giuseppe Cirillo sul iume Sarno operato dal barone di Scafati, che provoca la morte di centinaia di persone ogni anno a causa della malaria. Il sistema feudale è pertanto simile a una peste e porta a «un completo disprezzo di essere vassalli». Sono i baroni che opprimono le università e non gli permettono di raggiungere un più elevato grado di maturità: Non è ancora permesso sottrarsi alla giurisdizione baronale. […] Vi sono feudi che hanno il privilegio di giudicare tutte le cause, delle quali rende ragione la Vicaria. Generalmente i governatori baronali giudicano di tutte le cause civili, criminali, miste, eccetto i delitti per li quali le Udienze sono delegate, ed i delitti di lesa maestà divina ed umana, di falsa moneta e di veleno. Per le lettere arbitrarie i baroni sostenuti dai forensi credono di aver l’arbitrio di commutare e di transigere gli altri delitti con pene pecuniarie. Non è loro permesso comporre i delitti che meritano pena di morte o scrittura di membro, senza assenso del principe29. Ancora i baroni, in molti casi, oltre ai feudi possiedono la Corte della bagliva, della catapania e della portolania, quando queste non sono state concesse alle stesse università. Altro grande problema è costituito dalla prassi seguita dai baroni nella nomina dei governatori feudali e degli altri funzionari addetti alle Corti locali. I blasonati, lungi dal fornire loro un emolumento annuale predeinito, pretendono una parte dei cespiti che sono originati dalla trasformazione dei reati in pene pecuniarie. Questo fa sì che si apra un vero e proprio mercato delle cariche che ruotano intorno all’amministrazione della giustizia30. Si tratta di un vero e proprio abuso, soprattutto in aree caratterizzate dalla grande frammentazione delle giurisdizioni, così come ad esempio accade – secondo Galanti – in Abruzzo e nel Cilento, cosa che porta all’ampliamento dei tipici fenomeni legati alla criminalità. Come si vedrà, nonostante tutte le incongruenze, appare tuttavia estremamente ardua, per il riformatore, la soppressione del sistema feudale: […] solo una legge costituzionale colla quale si facci la permutazione della natura civile dei feudi; la legge dovrebbe inluire ne’ compratori la sicurezza e la progressiva omissione di tutto il sistema31. 29 Ivi, tomo I, pp. 200 sgg. Su questo punto vedi il recente lavoro di A. Di Falco, Il governo del feudo nel Mezzogiorno moderno (secc. XVI-XVIII), Il Terebinto, Avellino, 2012. 31 G.M. Galanti, Della descrizione cit., tomo I, p. 365. 30 I nuovi assetti istituzionali del Regno di Napoli nel periodo di Maria Carolina Il Regno di Napoli è, infatti, un «mare feudale» dove sono presenti circa 1.300 Corti feudali. Il periodo del Viceregno, per passare al terzo punto, è caratterizzato da continue emergenze militari che determinano la cessione dei principali corpi statali. Sono venduti una miriade di ufici statali, «arrendate» le principali voci di entrata dello Stato, alienate, pezzo dopo pezzo, le città regie e demaniali, non esclusi i casali di Napoli. Di fronte al collasso delle inanze vicereali si giunge, nel 1611, alla creazione della cosiddetta «Cassa militare», ossia alla costituzione di un fondo permanente formato da una parte del patrimonio statale che viene svincolato dai debitori e le rendite assegnate direttamente per le emergenze militari. Galanti dimostra una grande competenza nell’individuare, in questo periodo, le cause del grande dissesto delle inanze del Regno. In effetti, il periodo a cavallo della Guerra dei Trent’Anni coincide con quello che registra la maggiore vendita degli ufici statali, con la fase più acuta dell’indebitamento delle universitates, dei più rilevanti donativi introitati dagli Asburgo; il tutto aggravato dalla grande inlazione, da una grave epidemia di peste (1629-1631) che però imperversò soprattutto nel Centro-Nord della penisola italiana, da una terribile eruzione subpliniana del Vesuvio (1631) che investì molti casali posti a ridosso della capitale, e dai drammatici tumulti popolari legati alla rivoluzione masaniellana del 1647-48. È durante tale periodo, in merito al quarto punto, che si aggrava il problema forense. Il Regno, secondo il riformatore, presenta molte anomalie a livello «costituzionale». In primo luogo la compresenza di più diritti vigenti, spesso tra loro conlittuali: romano, longobardo, canonico, feudale. Poi, le Costituzioni di Federico II di Svevia. Contaminazione che continua con la sovrapposizione a queste dei capitoli dei re angioini, delle prammatiche dei re aragonesi e castigliani, delle grazie e privilegi concessi a Napoli e al Regno dai sovrani spagnoli. Quattro in assoluto le conseguenze negative più rilevanti: il cattivo funzionamento dei tribunali regi, anche questi spesso in conlitto tra loro; la pratica degli arcana juris da parte dei magistrati; la venalità degli ufici; la corruzione dei funzionari. In merito alla prima questione, si è di fronte ad una giustizia che, secondo il riformatore, si divide in tanti scomparti autonomi (civile, militare ed ecclesiastico) in rapporto soprattutto allo stato giuridico delle parti. Contribuisce a generare ulteriore confusio- 109 110 Giuseppe Cirillo ne anche la presenza di uno stuolo di tribunali concentrati nella capitale, come ad esempio il Consiglio Collaterale che nel periodo asburgico, con il re assente, afianca i viceré e contribuisce, come garante dei diritti del Regno, al governo dello stesso; la Camera della Sommaria che ha invece competenza su tutto ciò che attiene il regio isco; il Sacro Regio Consiglio, (il tribunale supremo) a cui spettano le cause di appello e molte materie feudali, tra cui i conlitti riguardanti l’elezione dei sindaci e degli amministratori cittadini. Un tribunale, questo, che aveva anche giurisdizione sulle cause di nullità, il più delle volte caratterizzate da una durata assai lunga ed irregolare: Era ancor proibito dir di nullità ai suoi giudizi, osserva il riformatore, ma l’uso prevalse di proporle ed esse sospendano l’esecuzione della sentenza, e prolungano le cause; giacché è un sistema pienamente stabilito, che chi perde esperimenti il nuovo combattimento delle nullità, e goda almeno della dilatazione che vi è annessa32. Spesso, però, l’esame di nullità non si svolge neanche in una «ruota diversa» da quella nella quale è stata pronunciata la sentenza. A questo tribunale spetta, secondo Galanti, il ruolo di «legislatore della patria», ruolo che, però, non è mai riuscito realmente a svolgere a causa del «vortice forense». La Vicaria (civile e criminale) è invece il tribunale di appello delle sentenze emesse dalle Corti locali e dalle Regie Udienze provinciali; inoltre, ha competenza sul «governo economico della città di Napoli e dei suoi casali», nonché sui baroni del Regno nati nella capitale. Questi ed altri tribunali minori collocati nella città di Partenope – come quelli dell’Arte della seta e dell’Arte della lana, che hanno giurisdizioni su tutti gli immatricolati alle corporazioni della capitale – sono afiancati da importanti istituti con giurisdizioni extraprovinciali, come ad esempio la Dogana di Foggia o le altre Doganelle minori. Importante soprattutto la giurisdizione dei locati di Foggia, che può ricadere su qualsiasi individuo (barone, ecclesiastico o civile), purché possegga almeno 30 capi di bestiame ed usufruisca degli erbaggi della Dogana33. 32 Id., Della descrizione cit., tomo I, p. 299. Cfr. J.A. Marino, L’economia pastorale nel Regno di Napoli, Guida, Napoli, 1992. Speciicamente sulla Doganella delle quattro province, si veda G. Cirillo, Il vello d’oro. Modelli mediterranei di società pastorali: il Mezzogiorno d’Italia (secc. XVI33 I nuovi assetti istituzionali del Regno di Napoli nel periodo di Maria Carolina Galanti si sofferma in più parti della Descrizione sul ruolo di questa Dogana, soprattutto perché la sua giurisdizione costituisce un freno, per una parte consistente della popolazione del Regno, alle angherie delle Corti feudali: «Sono da per tutto – osservava l’illuminista – patentati di Foggia, perché si è veduto ch’è l’unico mezzo che si permette da sottrarsi alle vessazioni de’ baroni de’ lor agenti e governatori». All’opposto, vista la grande estensione della giurisdizione di questa, i baroni avevano sempre cercato di impedire l’elezione di uficiali doganali nei propri feudi. Nonostante i tantissimi meriti che aveva conquistato nel tempo, i limiti ed i vizi procedurali che allignano nel tribunale di Foggia, sempre secondo Galanti, non sono pochi: vi è una grande confusione a livello giurisdizionale ed il tribunale non si occupa solo delle cause civili dei locati, ma si intromette in una moltitudine di cause criminali. I tribunali delle province sono invece costituiti dalle Udienze provinciali, dal Tribunale di Campagna (per Terra di Lavoro), e dalle Corti locali. Anche in questo ambito ioriscono i conlitti di giurisdizione, soprattutto tra le Regie Udienze e le Corti locali, tra giurisdizione civile e religiosa, tra Corti locali e famiglie che sono in possesso di costole di giurisdizione, come nel caso frequente di portolani e mastri di iera. Conlitti giurisdizionali che si allargano a macchia d’olio coinvolgendo i diversi tribunali centrali, in una continua dialettica di avocazione interna agli stessi; o ancora con avocazioni dei tribunali centrali sulle cause accese dalle Regie Udienze, o tra queste ultime e le Corti locali34. Poi il problema degli arcana juris nell’emissione delle sentenze dei tribunali. Una pratica molto diffusa che iniva per creare una generale incertezza del diritto grazie al sostanziale protagonismo dei bizantinismi giuridici di moltissimi magistrati35. Tanucci, nel 1774, aveva cercato di porre un freno a questa detestabile pratica. XIX), Laicata, Manduria-Roma-Bari, 2003, pp. 92 sgg. 34 A. Cernigliaro, Giurisdizione baronale e prassi delle avocazioni, in Id., Patriae leges privatae rationes. Proili giuridico-istituzionali del Cinquecento napoletano, Jovene, Napoli, 1988, pp. 380 sgg. 35 Vedi le osservazioni fornite in merito in R. Ajello, Arcana juris. Diritto e politica nel Settecento italiano, Jovene, Napoli, 1976, pp. 313-314. Lo storico del diritto si è occupato in più occasioni di Galanti, contestualizzandolo all’interno di una nuova cultura aperta al diffondersi dello «spiritualismo idealistico» e ad un clima «protoromantico», cfr. Id., L’estasi della ragione. Dall’Illuminismo all’idealismo, in Gaetano 111 112 Giuseppe Cirillo Osservava Galanti: Oggi sebbene facciano molta autorità nel Regno, e siano di norma agli altri tribunali, tuttavolta nel 1774 gli fu data una legge, colla quale fu stabilito, che nelle decisioni delle cause dovesse rendere le ragioni di fatto e di diritto, su le quali la decisione si è fondata, escluse le interpretazioni e le opinioni de’ dottori, delle quali faceva molto uso. Tutte le sentenze così ragionate si dovevano stampare. A questa nuova economia furono assoggettati tutti i tribunali della capitale. Ma sino render ragione del suo decreto, quando lo è sempre dell’avvocato di fare allegazioni per qualunque causa […] procedono però con delegazioni di certi delitti […] si commettono molto spesso irregolarità di atti delle quali si dimanda al Re la sanatoria, per mandarsi un suddito alla forca36. Anche la corruzione dei subalterni era un fenomeno generalizzato; essa dipendeva soprattutto dal fatto che gli uficiali provinciali (cariche venali) dovevano ricavare dalla giustizia il proprio sostentamento. Per le Udienze le cariche di segretario e mastrodatti sono vendibili e si danno al maggiore offerente. Laonde dopo che furono costituiti […] di far compilare per mezzo de’ lor subalterni tanti processi iscali senza alcuno stipendio; di fare notabili prestazioni a diversi affari per arricchire e per sostenersi: di fare qualche fortuna, anche perché si dura un travaglio orribile: a tante voragini non vi è denaro che basti. La necessità diviene attiva a fronte della facilità de’ mezzi che presta il sacro mestiere. Gli uficiali subalterni de’ due ofici si trovano nelle circostanze medesime dei loro capi e divengono veri masnadieri, per necessità. Di ogni affare si ha da cavar denaro col pretesto di doversi pagare le pensioni dell’afitto e di altri pesi, ed il subalterno dee dare al suo capo la metà del guadagno e fare tutte le non piccole spese della commissione. Così ogni ordine che si afida ad uno di essi, diventa una vera polizza di negozio. Per costume e per mestiere lo scrivano diviene depravato, rapace ed avido. Le sue maniere sono franche ed ardite, perché sono pubbliche, perché sono escogitate senza rimorso ed eseguite senza rossore. I due capi di oficio calcolano giornalmente i loro lucri sopra le carte che colano nelle loro mani. Sono queste di quattro specie generali. Gli ordini che vengono da Napoli, i ricorsi de’ particolari, i rapporti de’ governatori locali e de’ subalterni, che girano per la provin- I nuovi assetti istituzionali del Regno di Napoli nel periodo di Maria Carolina cia, inalmente i ricorsi anonimi. Quanto dal governo si dispone pel bene della provincia si corrompe nelle dette oficine. Dovendosi da tutto cavar denaro, ogni regolamento che si manda a Napoli è una vera grandine per le province. Fuori di ciò, della cosa poi non si prende pensiero. Quindi è che l’offeso è sempre punito con pena pecuniaria, onde avviene che i più saggi amano meglio soffrire un oltraggio che dimandarne vendetta […]. La qualità diversa delle carte apre al subalterno strade diverse da far denaro. Si preferiscono quelle che sono più adatte a travagliare i facoltosi e di coloro si tiene esatto registro e cognizione. Quanto si paga l’incolpato è discaricato a proporzione. Sono ininite le arti e le versuzie che si usano per cavar denaro dagli attori e dai rei37. Galanti compie un rapido calcolo delle somme introitate dalle Udienze attraverso questo modo disinvolto della gestione della giustizia. La resa media per ciascuna delle dodici province è di circa 50.000 ducati annui, infatti nelle «12 province i popoli pagano 600.000 ducati», una somma enorme estorta con l’abuso e la prepotenza. A poco è servita la riforma della giustizia operata nel 1738: […] coloro che furono impiegati in questa riforma non vedevano che il loro interesse di concentrare tutto nelle loro mani, e non conoscevano che il foro. Non seppero altro pensare di meglio che le Udienze lontane giudicassero ino alla somma di 200 ducati, e le udienze vicine ino a 100 ducati. Questa costituzione non è osservata […] sono così rare le cause civili nelle Udienze che si reputano del tutto ignari della ragion civile i ministri provinciali38. Il malcostume e la corruzione si allargavano poi agli scrivani della Vicaria criminale e civile: […] sono più bisognosi e più ignoranti di quelli delle Udienze; ma hanno lo stesso diritto di dare que’ colori che vogliono alle inquisizioni e di scoprire o occultare i rei. Gli scrivani della Vicaria civile sono quelli che fanno la maggior parte dei decreti, ed il giudice dura un gran travaglio a trascriverli o a soscriverli. Invece, nella Camera della Sommaria sono gli agenti subalterni che inluiscono di tutti gli oggetti dell’economia provinciale. Nel Sacro Consiglio ci abbiamo molti scrivani che giungono ino a dirigere le più gran decisioni39. 37 Filangieri e l’Illuminismo europeo, Atti del Convegno, Vico Equense, 14-16 ottobre 1982, Guida, Napoli, 1991, pp. 13-145; Id., Formalismo medievale e moderno, Jovene, Napoli, 1990, pp. 39-184. 36 G.M. Galanti, Della descrizione cit., tomo I, pp. 302 sgg. Ivi, pp. 307 sgg. Ivi, pp. 319. Vedi su questi punti I. Del Bagno, L’antico regime nella critica di un giurista del ’700. Il «Testamento forense» di Giuseppe Maria Galanti, «Frontiera d’Europa», VIII, 2 (2002), pp. 190 sgg; G.M. Galanti, Testamento forense, a cura di I. Del Bagno, Di Mauro, Cava de’ Tirreni, 2003. 39 G.M. Galanti, Della descrizione cit., tomo II, pp. 310 sgg. 38 113 114 Giuseppe Cirillo La conlittualità tra i tribunali e la diffusa corruzione fra i subalterni fanno inine in modo che una causa criminale è «trattata severamente nelle Udienze, meno nella Vicaria, dolcemente nella Sommaria e non avrà ascolto nel Sacro Regio Consiglio»40. Le Udienze, d’altro canto, nel periodo spagnolo, sono strettamente legate ai tribunali napoletani, ma verranno poi riformate con Carlo di Borbone, quando saranno adattate al modello spagnolo: da quel momento il preside diventa un uficiale maggiore dell’esercito ed ha anche il governo militare delle province. Ma mentre preside ed uditori ruotano ogni tre anni, l’avvocato iscale e l’avvocato dei poveri hanno una certa continuità temporale nelle Udienze. Il primo di questi due avvocati è «pubblico accusatore per i reati di delitti pubblici» e vigila anche «sull’economia della provincia»; il secondo è invece il togato «maggiormente informato delle cose». L’avvocato dei poveri ha, inoltre, una seconda particolarità: «quando è ministro siede in ruota, quando difende i poveri è in piedi come gli altri avvocati». Secondo Galanti, questa è la igura cui maggiormente si rivolgono i potenti per ottenere o estorcere informazioni utili sui processi che li riguardano, tanto da diventare, a volte, una vera e propria «spia all’interno del tribunale»41. L’avvocato iscale e quello dei poveri svolgono ovviamente funzioni antitetiche: «uno per far condannare, l’altro per diminuire la pena». Viceversa, il segretario e il mastrodatti dovrebbero essere le “braccia sacre” del tribunale: Il primo tiene registro di quanto si fa dal tribunale, il secondo deve formare gli atti giudiziari nelle cause civili e criminali […]; invece, gli affari di economia sono del segretario e tra questi sono comprese le cause di guerra, di fame, di peste42. Per quanto inine concerne la competenza giurisdizionale delle Udienze, essa è issata con una prammatica del conte di Lemos del 40 Ibidem. Sulla riforma giudiziaria messa in evidenza da Galanti, cfr. R. Ajello, Il problema della riforma giudiziaria e legislativa nel Regno di Napoli durante la prima metà del secolo XVIII, I, La vita giudiziaria, Jovene, Napoli, 1961; II, Il preilluminismo giuridico, Jovene, Napoli, 1965; A.M. Rao, Galanti, Simonetti e la riforma della giustizia nel Regno di Napoli (1795), «Archivio Storico per le Province Napoletane», CII (1984), pp. 281-341. 41 G.M. Galanti, Della descrizione cit., tomo I, p. 313. 42 Ivi, pp. 315-316. Le Udienze hanno un doppio servizio di forza pubblica: le squadre di campagna ed i fucilieri di montagna. Questi ultimi sono più ligi alle direttive del preside; invece le prime, che dipendono dal Soprintendente di Campagna, spesso si scontrano con gli uficiali di questi tribunali. I nuovi assetti istituzionali del Regno di Napoli nel periodo di Maria Carolina 1616, ma la loro ingerenza nelle pratiche delle Corti locali aumenterà enormemente nel tempo; il processo di avocazione delle cause, nonostante diversi divieti imposti dal Collaterale, si è infatti intensiicato in modo rilevante tanto è vero che, secondo Galanti, le Udienze approvano anche la nomina dei governatori delle Corti locali. L’ultimo punto concerne i guasti causati dal peso assorbente della capitale. Galanti, a questo proposito, non coglie solo la metafora illuminista di un mostro dotato di un’enorme testa e di un fragile corpo. Napoli, in altre parole, non rappresenta solo il problema di una grande capitale che vive al di sopra delle sue possibilità e che sperpera la produzione delle province; la critica verso la città e verso tutto ciò che la rappresenta è soprattutto politica, cioè rivolta a un modello accentrato di Stato. Proprio nella capitale si concentrano infatti la Corte, le Segreterie di Stato, i maggiori tribunali, tutta l’élite di potere laica ed ecclesiastica. A Napoli risiede anche il ior iore del baronaggio regnicolo, che inevitabilmente concorre, mediante la ristrutturazione o l’ampliamento delle proprie dimore e la costruzione di nuovi e numerosi ediici sontuosi e belli, all’arricchimento estetico dell’assetto urbano della città, anche se, come osserva ancora Galanti, «a proporzione che si elevano palazzi nella capitale si formano deserti nelle province». Sempre a Napoli, però, vive anche la gran parte della popolazione oziosa e nullafacente del Regno, tanto che la monarchia ha dovuto inserire nella sua agenda politica, come prioritaria, il problema dell’assistenza con la creazione dell’Albergo dei poveri, del Carminello e così via. Come si articola il programma riformatore di Giuseppe Maria Galanti di fronte a questi mali? Dopo la pars destruens (imperniata sulle categorie che hanno determinato la decadenza del Regno), c’è la pars costruens, ossia le proposte di riforme sottoposte al vaglio della nuova monarchia naturale dei Borbone. Fra le problematiche esaminate, emergono: la nuova forma di Stato e l’affermazione della cosiddetta «offensiva statalista»; le riforme economiche e la politica isiocratica e mercantilistica; le proposte di decentramento politico-amministrativo; la nuova visione della «nazione napoletana». Con la monarchia borbonica, secondo il riformatore, il governo si era inalmente dato forme più eficienti di amministrazione. Segnale tangibile di tali profonde trasformazioni era innanzitutto 115 116 Giuseppe Cirillo la creazione di un certo numero di Segreterie di Stato – nel periodo nel quale scrive Galanti, ad esempio quella degli Esteri a cui è unita Guerra e Marina, poi quella di Grazia e Giustizia, degli Affari ecclesiastici –, che direttamente, o tramite il sovrano, investivano di molti compiti, i più delicati, la Camera di S. Chiara. Il Supremo Consiglio delle Finanze aveva invece assorbito le prerogative della Segreteria di Azienda. Analogamente, anche la forma normativa dello ius regni si adegua alle nuove esigenze statuali: le consulte inali diventano infatti dispacci reali ed hanno valore di legge. È questo il segnale tangibile attraverso il quale lo Stato moderno riesce ad imporre un proprio diritto esautorando, in modo progressivo e sempre più consistente, la forma normativa più antica legata alle prammatiche vicereali. Poi il bilancio del nuovo Stato, con la divisione delle spese sostenute dal Regno fra quelle utili e quelle inutili: a) per la Casa reale; b) per l’ordine pubblico; c) militari; d) di economia. La Casa reale non spende tutto per gli ozi o i rituali di Corte, ma inanzia molte attività e fra queste le sperimentazioni che avvengono intorno ai Siti Reali (S. Leucio, Carditello) o ad altri corpi della monarchia. Gran parte del bilancio dello Stato (negli anni ’90, tre milioni di ducati: 2.100.000 inanziati dal Regno di Napoli e 900.000 dal Regno di Sicilia) è invece impiegata per l’esercito, per la Marina, per il mantenimento di piazze, castelli, torri marittime. Importanti anche le spese “politiche” e “civili”, nelle quali sono comprese gli emolumenti per le Segreterie di Stato, gli ambasciatori, i ministri, i tribunali. Il riformatore propende, parafrasando il marchese Palmieri, per le spese utili che devono fare avanzare il Regno nello stadio della civilizzazione. Il nuovo Stato ha di fatto modiicato la dialettica interna dei tribunali regi. Non solo la Camera di S. Chiara, ma ancor prima la Camera della Sommaria, portano avanti la modernizzazione del Regno. Due gli elementi che si intrecciano, secondo Galanti, nell’esaminare le decisiones della Sommaria: le aspirazioni della monarchia borbonica ed il nuovo diritto pubblico europeo. Galanti coglie, ad esempio, che è proprio la Camera della Sommaria ad emettere delle decisiones storiche sui corpi statali: alienati durante il Viceregno, ora possono essere inalmente riscattati dallo Stato. Soprattutto è importante la sentenza emessa nel 1751 da questo stesso supremo tribunale, che fa da battistrada all’ado- I nuovi assetti istituzionali del Regno di Napoli nel periodo di Maria Carolina zione di questa nuova politica governativa. Gli arrendamenti, da qui in avanti, diventano costole della sovranità che la monarchia può richiamare a sè in qualsiasi momento43. Il nuovo impianto istituzionale si va pertanto deinendo mediante una prima massiccia politica di riscatti dei beni statali, compito che è afidato alla Giunta delle ricompre. La Camera della Sommaria è dunque in prima ila nell’attuazione di questo progetto, proprio attraverso la produzione di un nuovo diritto in grado di aiutare davvero le città del Regno che si sono da poco riscattate in demanio. Tuttavia è con il nuovo governo di Ferdinando IV che questa politica diventa assai più pregnante e capillare. Si procede in primo luogo col riscattare e abolire una serie di corpi statali. Lo stesso Galanti è nominato segretario, con voto, di una Giunta per l’abolizione dell’arrendamento della seta. Tra le novità più importanti di questo periodo c’è però la reggenza di Palmieri alla Segreteria delle Finanze. Ora dagli arredamenti e da altri corpi si comincia a sperimentare la vendita, senza giurisdizione, di alcuni feudi devoluti. Tra gli obiettivi di alcuni riformatori, come ha sottolineato la Rao, vi è quindi la formazione di un diverso sistema proprietario, che si va formando attraverso la graduale eliminazione del sistema feudale. Inoltre, con i capitali introitati dalla rendita dei feudi devoluti si dovevano ricomprare gran parte degli arredamenti del Regno44. Nel 1793, lo Stato richiama dunque a sé anche la giurisdizione sui feudi ecclesiastici, per i quali è abolita la giurisdizione delle seconde e terze cause ed è modiicata la tassazione del relevio45. In tutta la Descrizione sono illustrate, quasi in tempo reale, altre tappe del processo di riforme avviate. In primo luogo le realizzazioni a livello di sistema stradale del Regno (forse uno dei successi più rilevanti dei Borbone), poi le opere di boniica, la costruzione di diverse «fabbriche del re», la nuova politica rivolta, come detto, verso l’assistenza con la costruzione di ospizi e orfanotroi, inine i trattati commerciali, la composizione della Corte, il nuovo esercito nazionale46. 43 Ivi, p. 198. Le riforme statali, secondo il riformatore, sono state un crescendo a partire da Carlo di Borbone. Si pensi al Supremo Magistrato di Commercio (1739), con competenza sulle negoziazioni, sulle corporazioni di arti e mestieri e sulle lettere di cambio; ma anche alla nascita, nel 1778, delle Reale Borsa dei Cambi. 44 A.M. Rao, L’«amaro della feudalità» cit.; G.M. Galanti, Della descrizione cit., tomo II, p. 200. 45 G.M. Galanti, Della descrizione cit., tomo II, pp. 130 sgg. 46 Ivi, tomo I, pp. 216 sgg. 117 118 Giuseppe Cirillo Secondo Galanti, le riforme della monarchia dovevano mirare al raggiungimento della virtù civile e politica. Nel primo caso, esse sono ispirate «dall’amore per la fatica, per la patria e per la vita»; nel secondo caso dalla «riunione degli interessi generali». I popoli più progrediti d’Europa, sempre a suo parere, hanno acquisito leggi e «costumi»; gli strumenti per i «costumi» dovevano essere forniti dalla religione e dalle scienze. Soprattutto nel secondo caso, doveva essere lo Stato a farsi carico di questi servizi. Questo doveva avvenire con programmi di educazione, con la istituzione di collegi militari, con la nuova funzione di formazione collegiale attribuita alle ex sedi gesuitiche, con la creazione del Collegio dei Cinesi, con la nascita della Reale Accademia delle Scienze e Belle Lettere. Uno dei punti salienti toccati nell’opera del riformatore è costituito però dalla proposta di un preciso programma economico e isiocratico. Strumento centrale della riforma isiocratica dei Borbone è infatti il catasto onciario, nel quale sono tassati i beni immobili, tranne quelli dei ceti privilegiati, compresi quelli ecclesiastici (però solo per metà del loro valore in base al Concordato del 1741 con la S. Sede). Il catasto che doveva essere alla base delle nuove inanze del Regno, per Galanti, non si rileva tuttavia all’altezza delle aspettative, tanto che negli anni ’60 del Settecento si liberalizza di nuovo il sistema di tassazione. Le incongruenze contenute nella riforma catastale non erano poche, ma tra queste gravava in modo decisivo la sperequazione contributiva esistente all’interno dei ceti e delle comunità. Si pensi soprattutto all’area del Sannio e dell’Abruzzo, dove emergeva una grande disparità di trattamento nella determinazione dell’imposta, che colpiva in modo sproporzionato soprattutto le comunità povere, sprovviste di popolazione e di corpi demaniali. È lo stesso Galanti che propone, per riformare il catasto, la creazione di una mappa topograica che deve offrire una lettura analitica ed attenta delle risorse territoriali di tutte le comunità del Regno (operazione poi portata avanti con la promulgazione, nel 1783, di una speciica prammatica sull’amministrazione delle università)47. Ancora nel 1792, è lo stesso Galanti a rimarcare che 47 Ivi, tomo II, p. 153. I nuovi assetti istituzionali del Regno di Napoli nel periodo di Maria Carolina ha avuto l’incarico, da parte del sovrano, di formare un «nuovo catasto proporzionato alla giustizia ed alla buona economia di tutte le province». Altro problema: l’economia campestre, per l’illuminista, non risulta per niente legata all’Economica Politica. Gran parte dei territori sono feudali, della Chiesa o appartenenti ai demani comunali. Il diritto comune, che era subentrato a quello romano, aveva poi aggravato lo stato di promiscuità dei territori: «ad uno [appartengono] le ghiande, ad un altro il diritto di legnare, a chi il territorio, a chi l’erbatico»48. A ciò si aggiungevano gli usufrutti, le commende, le prebende, i beneici parrocchiali o delle Mense vescovili, le decime ecclesiastiche, le clausole del fedecommesso e della manomorta ecclesiastica. Galanti, infatti, da attento osservatore qual era, denunciava il fatto che, sul territorio, tutti cercavano di «spremere quel sugo che se ne può senza mai spendere un ducato in migliorie»49. Ai diritti sui terreni, che impedivano una piena proprietà, si associavano poi quelli sulle acque. L’esempio dell’impaludamento del Sarno, riportato dall’illuminista, è eloquente a questo proposito. Nel terzo tomo della Descrizione, Galanti individua i mezzi «per avvalorare l’agricoltura» all’interno del Regno. È importante l’introduzione di Accademie di agricoltura: una generale per ogni provincia, con succursali (confraternite) nei diversi centri. Alla partecipazione di queste ultime sono chiamati il parroco, i proprietari, gli agricoltori. Ognuna deve essere provvista di un catechismo (regole di coltivazione). In queste proposte emerge meglio anche la visione politica di Galanti sullo Stato napoletano. Contro l’eccessivo accentramento delle Segreterie, della Corte, dei tribunali di Napoli, l’illuminista propone un modello di Stato decentrato, con un ruolo di maggior protagonismo delle province. Le Accademie devono avere il ine di inculcare l’amore per il lavoro e di ripudiare l’ozio; quindi favorire studi sulla topograia del territorio e la conoscenza delle pratiche agricole. A queste è anche afidato il compito di coninare i vagabondi all’interno di istituendi Alberghi dei poveri provinciali. 48 Ivi, tomo III, pp. 261 sgg.; Id. Della Descrizione geograica e politica delle Sicilie. Racchiude la corograia della Campania Felice, de’ Principati e del Sannio, tomo IV, presso i Socj del Gabinetto Letterario, Napoli, 1794, pp. 229 sgg. 49 Id., Della descrizione cit., tomo III, pp. 263 sgg. 119 120 Giuseppe Cirillo Siffatte nuove istituzioni dovevano contribuire a far cessare, con la ine del regime feudale, l’ormai anacronistica giurisdizione delle Corti locali e alla nascita di nuove e moderne potestà giudiziali con una propria e diversa competenza territoriale rispetto alle prime. Solo a queste ultime spettava dunque istruire processi, emettere atti pubblici ed a ine anno rendere conto all’Accademia provinciale dello stato della popolazione, dell’occupazione, degli individui che maggiormente praticano la virtù civile. Dopo aver elencato le riforme da praticare nel settore agricolo, Galanti passa alla trattazione dei progressi raggiunti dalle manifatture. Oltre ad una certa presenza di opiici nel settore serico presenti in diverse province del Regno – ma soprattutto a Napoli, Cava de’ Tirreni, Sorrento e Catanzaro dove non certo mancano manifatture di eccellenza, rimarca la modernità dei nuovissimi stabilimenti di S. Leucio e di Reggio Calabria. Il tema chiave nelle proposte riformatrici di Galanti rimane tuttavia la valorizzazione delle province e più in generale il consolidamento degli enti locali. Intanto la creazione di nuovi strumenti amministrativi da assegnare a questo progetto di decentramento; in questo modo il Regno doveva essere ripartito in quattro divisioni generali: a) Napoli «colla Campania, con i due Principati e con porzioni del Sannio e della Daunia»; b) Sulmona o Popoli, con i «tre Abruzzi e porzioni del Sannio e della Daunia»; c) Taranto «colla Basilicata, la Japigia colla Peucezia e con porzione della Daunia», d) «Catanzaro colla Calabria, divisa in tre provincie». A ciascuno di questi Dipartimenti dovevano essere assegnati, secondo Galanti, alcuni tribunali supremi: una ruota del Sacro Regio Consiglio, per l’esercizio della giustizia; una ruota della Camera della Sommaria per la cura della sfera «dell’economia». Ogni Divisione doveva comprendere tre o quattro province; ogni provincia doveva essere dotata di due tribunali: il primo con competenze sulla sfera della giustizia; il secondo che si doveva invece occupare del «governo economico». In ogni provincia bisognava inoltre favorire la nascita di società patriottiche che dovevano comprendere il meglio delle élite provinciali, alla guisa di quelle che si andavano formando in Abruzzo50. Nel secondo tomo della Descrizione Galanti richiama anche la proposta della divisione in Dipartimenti delle province del Regno 50 Ivi, tomo I, pp. 453 sgg.; tomo III, Napoli 1789, pp. 285 sgg. I nuovi assetti istituzionali del Regno di Napoli nel periodo di Maria Carolina (per polizia e giustizia e per economia), che sarebbe stata approvata dal «nostro governo». In tale ottica le municipalità si dovevano rapportare al proprio «tribunale provinciale economico», le cui funzioni sono così riassunte: […] la funzione dei tribunali provinciali economici dovrebbe pur essere di autorizzare le deliberazioni dei consigli delle comunità, di fare giustizia sopra i ricorsi dei cittadini contro i corpi municipali, e di reggere tutta l’economia della provincia. A questi tribunali spettava anche «il ripartimento ed esenzione dei tributi». Secondo il riformatore, «i corpi municipali così ordinati potranno essere meglio de’ nostri subalterni de’ tribunali, potranno essere braccia idonee delle operazioni pubbliche». Meno incisivo il discorso del riformatore in merito alle comunità del Regno. Egli rileva che il processo che ha caratterizzato la nascita e l’affermazione degli enti locali nel Mezzogiorno non sia stato uniforme. In alcuni centri, sindaco ed amministratori sono eletti dal parlamento; in altri è subentrato il sistema del Decurionato; in altri ancora, una piccola oligarchia familiare controlla tutte o quasi tutte le prerogative delle municipalità. L’analisi sugli enti locali, le universitates, è nondimeno centrale nelle proposte di Galanti. Organismi molto fragili, cominciano ad avere una certa autonomia a partire da alcune prammatiche che concernono l’amministrazione delle università. Importante soprattutto quella che si può deinire la prima riforma di tipo amministrativo: gli stati discussi del Tapia degli anni ’20 del Seicento. Da quel momento in poi, la Camera della Sommaria può controllare rigidamente le voci di entrata e di uscita degli enti locali. È questo anche il momento in cui lo stesso tribunale regio comincia a tenere un archivio aggiornato sulle singole università e sul loro stato patrimoniale. Le comunità regnicole devono però affrontare gravi problemi di ordine logistico per ottemperare a questi precetti: la Camera della Sommaria e gli altri tribunali ai quali le università devono ricorrere sono infatti, il più delle volte, assai distanti. Anche lo stato patrimoniale delle comunità era estremamente variegato: alcune sono dotate di molti beni patrimoniali, altre ne erano completamente sfornite. Per ovviare a tutto ciò, al 1792, osserva Galanti, il sovrano aveva in preparazione un piano di riforme in cui gli enti locali dovevano essere inquadrati in 59 dipartimenti. 121 122 Giuseppe Cirillo 3. Le ragioni dell’apparato: le riforme viste dalla Monarchia, dalle Segreterie di Stato e dai tribunali del Regno di Napoli Alla luce delle fonti della Camera della Sommaria e della Camera di S. Chiara, la monarchia borbonica, a partire dalla metà del ’700, si trova ad affrontare una complessa serie di questioni riguardanti la modernizzazione dello Stato. Molti di questi problemi sono già stati compresi da Genovesi e Galanti, ma il rinnovamento dell’apparato statale purtroppo non sempre passa attraverso il dibattito dei riformisti. Proviamo quindi a rileggere, attraverso la politica delle Segreterie di Stato ed il ruolo dei principali tribunali regi, i punti salienti delle riforme o, se si preferisce, dei momenti di «accelerazione» nel «disciplinamento» dei diversi comparti statali. Il nostro ragionamento, specie per quanto concerne i regni di Carlo di Borbone e Ferdinando IV, si può articolare intorno a quattro punti: a) il problema della giustizia: verso il diritto esclusivo del re; b) l’offensiva dello Stato e degli apparati: l’affermazione della «dottrina statalista»; c) Genovesi, Galanti: modello isiocratico e riforme; d) da Napoli alla Spagna: istituzioni, enti locali, reclutamento della classe dirigente. a) Il Regno di Napoli, in questo periodo, è ancora di tipo feudale ed il baronaggio, anche in seguito alla pochezza delle città, è il suo ceto preminente. Siamo in presenza di un sistema che è stato deinito dello «Stato giurisdizionale», dove su ben deiniti «territori giuridico-istituzionali» vi sono una pluralità di fori e giurisdizioni, tra loro concorrenti, che si intrecciano inestricabilmente con una molteplicità di Corti di giustizia. Per Galanti, la riforma della giustizia è sostanzialmente impedita dalla Costituzione del Regno. Per rigenerare le sorti dello Stato, affrontando quindi la questione forense ed il ruolo tradizionale dei tribunali, vi è bisogno di una riforma della Costituzione civile. Infatti, la Costituzione del Regno si basa su un intreccio di diritti, di privilegi, di grazie. La battaglia illuministica al privilegio è perciò diretta oltre che contro il ceto forense ed il sistema feudale, anche verso il privilegio di cittadinanza napoletana. I nuovi assetti istituzionali del Regno di Napoli nel periodo di Maria Carolina Una consulta della Camera di S. Chiara, ancora inedita, raccoglie tutto il dibattito ed i pareri di una Giunta (magistrati del Sacro Regio Consiglio e della Camera di S. Chiara) incaricata della riforma della giustizia e dei tribunali napoletani del 173851. Nella consulta sono enumerati ben 27 tribunali presenti nella sola capitale, che esercitano diversi tipi di giurisdizioni. L’operato di tali tribunali è inoltre caratterizzato da pratiche che rimandano alla venalità della giustizia e alla cattiva prassi delle avocazioni, sia a danno di altre magistrature napoletane sia nei confronti dei tribunali provinciali. Ne scaturisce – questo punto è colto molto bene da Galanti – un accentramento nella capitale della maggior parte dell’attività giudiziaria del Regno. Una situazione che, ha osservato bene la Rao, lungi dal perseguire propositi di limitazione della giurisdizione, non può non diventare l’oggetto delle principali politiche riformiste dei regimi settecenteschi52. Si tratta, tuttavia, di un sistema complesso ed articolato che, secondo Ajello, è tenuto in piedi soprattutto grazie all’inestricabile intreccio che lega baroni e ceti forensi, come è dimostrato dal fatto che è proprio la dottrina forense a sostenere la giurisdizione baronale53. Ma problema della giustizia, degli arcana juris nella sua amministrazione, l’ostilità dei tribunali nei confronti di un nuovo diritto del re, realmente bloccano qualsiasi tipo di riforma? In questo periodo, la Camera di S. Chiara, che è al centro del nuovo equilibrio che coinvolge le competenze dei tribunali napoletani, è anche il massimo vertice e fulcro delle principali riforme che toccano il settore della giustizia. Questo tribunale è infatti incaricato, su impulso delle varie Segreterie del Regno, di emettere consulte su tutti gli affari più rilevanti concernenti i principali comparti dello Stato. Le sue consulte, 51 Asn, Bozze di consulte della Camera di S. Chiara, vol. 14. Consulta sulla riforma della giustizia. 52 A.M. Rao, Il Regno di Napoli nel Settecento, Guida, Napoli, 1983, pp. 66 sgg.; Ead., La questione feudale nell’età tanucciana, in Bernardo Tanucci. La corte, il paese (1730-1780), «Archivio Storico per la Sicilia Orientale», LXXXIV (1988), pp. 77-162. Ma si vedano anche G. Giarrizzo, La questione feudale nel Settecento europeo, in aa.vv., Diritto e potere nella storia europea, Atti in onore di Bruno Paradisi, Olschki, Firenze, 1982, vol. II, pp. 774-775; Id., L’età dei lumi, in R. Ajello, M. Firpo, L. Guerci, G. Ricuperati (a cura di), Studi storici sul Settecento europeo in onore di Franco Venturi, Jovene, Napoli, 1985, I, pp. 168-189. 53 R. Ajello, Il problema storico del Mezzogiorno. L’anomalia socio-istituzionale napoletana dal Cinquecento al Settecento, Jovene, Napoli, 1994; Id., Arcana juris cit., pp. 313-314. 123 124 Giuseppe Cirillo come si è detto, si trasformano ora in dispacci reali ed hanno forza e valore di legge. È una via normativa del tutto nuova e del tutto diversa da quella seguita per la formulazione e la promulgazione delle prammatiche, in quanto il diritto sancito nei dispacci è ora visto come il «diritto del re», dove non sempre, specie nei contenuti, ci si uniforma allo ius regni54. Ma il ruolo e l’inluenza della Camera di S. Chiara non si riduce solamente a questo. Sempre le Segreterie di Stato cominciano infatti ad esautorare gli altri tribunali napoletani di molte delle loro competenze, accentrando poi gran parte dei giudizi appunto in seno alla Camera di S. Chiara (con consistenti riduzioni delle funzioni della Camera della Sommaria, dei due rami della Vicaria, ma anche di tribunali territoriali come la Dogana di Foggia e della Doganella di Abruzzo)55. Da una ricerca, ancora in progress, sulla giurisprudenza di questo tribunale emergono una serie di assunti che confermano queste affermazioni. In particolare, le consulte della Camera di S. Chiara, anche se sono riferite a casi particolari, assumono poi una valenza generale, nel senso che vanno a costituire un precedente giuridico vincolante per quelle successive inerenti la stessa materia. Il provvedimento del Tanucci, colto anche dal Galanti, che impone la motivazione delle sentenze ai tribunali napoletani è solo uno dei tasselli di questo nuovo impianto giuridico. 54 Ancora non esiste uno studio deinitivo sulla Camera di S. Chiara, per i primi approcci, cfr. G. Cirillo, Virtù cavalleresca cit. 55 Sono importanti, per inquadrare le funzioni della Camera di S. Chiara, soprattutto le seguenti consulte: Asn, Bozze di consulte della Camera di S. Chiara, Competenze tra il Preside e l’Udienza di Salerno, 2 febbraio 1773, vol. 365, fasc. 22; Ivi, Udienza di Montefusco contro il tribunale di Foggia, 5 febbraio 1738, vol. 28 inc. 12; Ivi, Foro privilegiato di Foggia, vol. 28; Università di Bisegna e R. Udienza dell’Aquila, 20 settembre 1737, vol. 16, inc. 45; Ivi, Udienza di Montefusco, fuor giudica, 26 settembre 1737, vol. 16; Ivi, Abusi delle Udienze del Regno, 23 ottobre 1737, vol. 17; Ivi, Udienza di Cosenza. Contenzioso con d. Giuseppe Tortora, vol. 152; Ivi, Relazione dell’Udienza di Montefusco, vol. 323, inc. 11; Ivi, Querela tra il Preside ed i ministri dell’Udienza di Salerno, 2 maggio 1775, vol. 384, inc. 13; Ivi, Udienza di Lucera per il truglio [accordato per evitare epidemie], 12 febbraio 1776, vol. 394, inc. 22; Relazione del Preside dell’Udienza dell’Aquila. Inquietudini che vi sono in quel tribunale, 28 febbraio 1776, vol. 394, inc. 41; Relazione del preside dell’Udienza di Cosenza contro contrabbandieri fuscaldesi, 27 marzo 1776, vol. 396, inc. 14; Ivi, Contenzioso tra il R. Fisco e le università delle Calabrie [peso e misura], 16 maggio 1783, vol. 519; Ivi, Udienza di Lecce contro il governatore dell’università di Specchia, 21 luglio 1783, vol. 523; Ivi, Indulti delle Udienze calabresi, 24 luglio 1783, vol. 523; Ivi, Competenza giurisdizionale tra il governatore di Cosenza e la R. Udienza, luglio 1783, vol. 523; Ivi, Competenza giurisdizionale tra il governatore di Maratea e quello di Lagonegro, 28 luglio 1783, vol. 523. I nuovi assetti istituzionali del Regno di Napoli nel periodo di Maria Carolina La Camera di S. Chiara risolve, pertanto, tutta una serie di problemi concernenti le giurisdizioni su ambito territoriale. È appunto questo tribunale che fornisce una nuova dottrina giuridica alle Udienze provinciali in merito ad una vigilanza più rigorosa sull’operato delle Corti di giustizia baronali. Proprio in merito a questo ultimo punto, Galanti, nella sua Descrizione, coglie almeno altri due aspetti che ne costituiscono imprescindibili corollari: innanzitutto, l’avocazione sempre più frequente, da parte delle Udienze, di tutta una serie di cause di competenza delle Corti baronali che non sono rapportabili solo al malcostume del mercato pecuniario delle pene (a ben guardare, anche questo un modo per arrivare ad un riscontro centralizzato sull’uso delle giurisdizioni); e poi, specie fra gli anni ’70 ed ’80 del Settecento, il controllo di fatto esercitato dalle Udienze sulla nomina dei governatori baronali56. Se si scava più a fondo, ci si rende quindi conto che la disciplina dell’esercizio delle giurisdizioni è ancora più capillare di quanto non si creda. Le consulte della Camera di S. Chiara limitano anche i privilegi delle Corti di giustizia cittadine. Si tratta dell’ultimo attacco alle «oasi» delle immunità di cittadinanza. Già fra secondo Seicento e prima metà del Settecento, la Camera della Sommaria aveva infatti completamente azzerato quelli iscali e doganali dei piccoli e grandi centri del Regno57. La Camera di S. Chiara, dagli inizi degli anni ’60 del Settecento, in una serie di consulte, a partire da quella storica su Torre del Greco, esamina pertanto i privilegi concernenti la sfera di autonomia delle Corti di giustizia e, dove non può abolirli, li limita drasticamente. Ai giudici cittadini sono afiancati dei togati della Vicaria, che di fatto veriicano ed uniformano le sentenze locali adattandole ad una nuova giurisprudenza che tenga conto delle nuove esigenze dello Stato moderno58. 56 Su questo punto, si rimanda alle seguenti consulte: Asn, Bozze di consulte della Camera di S. Chiara, Udienza di Matera, per poter procedere ad modum belli et per horas… casistica dei casi nei quali si è proceduto ad modum belli, 1° febbraio 1782, vol. 486; Ivi, Condannati a morte dall’Udienza… tribunale di campagna, 8 giugno 1782, vol. 491; Ivi, Il iscale dell’Udienza di Catanzaro propone di punire i rei esclusi dall’indulto dell’Udienza, 8 agosto 1787, vol. 496; Ivi, Il iscale di Cosenza domanda di non servirsi degli uficiali delle mastrodattie dell’Udienza in affari dell’Economato o spoglio di diversi vescovi, 17 luglio 1782, vol. 496; Ivi, Tribunale di Teramo contro i tumultanti pennesi, 10 gennaio 1780, vol. 506. 57 G. Cirillo, Spazi contesi cit., tomo II, pp. 207 sgg. 58 Actg, Platea della Regia Università di Torre del Greco redatta per la Real Camera di S. Chiara da d. Michele Aurisicchio con provvisioni spedite a 7 settembre 1754. 125 126 Giuseppe Cirillo L’indirizzo giurisprudenziale delle consulte emesse dal tribunale di S. Chiara raggiunge dei risultati notevoli anche in merito al nuovo criterio di attribuzione della competenza giurisdizionale sui reati: sempre a partire dagli anni Sessanta-Settanta, la Corte di giustizia che deve istruire il processo non è più infatti quella di residenza del reo, ma quella del territorio dove è stato commesso il reato59. È un grande passo in avanti in quanto precedentemente la giurisdizione, sia delle Corti di giustizia feudali sia di quelle delle città regie e demaniali, cadeva sulle persone (in rapporto alla loro cittadinanza) e non sul territorio. Tutto ciò creava elementi di disordine e di discriminazione giuridica, in quanto poi la pena risultava proporzionata ai privilegi di giustizia goduti dagli speciici centri dove ricadeva la cittadinanza. Ma che dottrine e quali autori, per passare al secondo punto, ispirano le consulte della Camera di S. Chiara e la politica riformistica borbonica? Quali altri tribunali hanno recepito tali dottrine? Per rispondere a questa ultima domanda, diciamo subito che l’altro grande protagonista di questo nuovo processo storico-giuridico è la Camera della Sommaria, sempre in prima ila ad appurare i privilegi goduti dai singoli feudi, le tutele legate all’esistenza di fori privilegiati, le esenzioni iscali e doganali, la natura ed il numero degli ufici venali, gli arredamenti e soprattutto i diritti usurpati dai baroni e spettanti invece alle singole università. È un percorso lungo, d’altro canto, quello che porta alla nascita della «dottrina statalista»: inizia, come è stato sottolineato, nella prima metà del Seicento e giunge a maturità nel periodo delle riforme60. Alla sua base c’è la percezione del nuovo diritto pubblico europeo intriso di giusnaturalismo61. I primi autori ed i primi atti politico-amministrativi che sono ascrivibili a questa nuova visione dello Stato sono: la riforma degli stati discussi del Tapia; la pubblicazione del volume di Novario sui «gravami feudali»; la prammatica XVIII, intorno all’amministrazio59 Una delle prime consulte di questa tipologia concerne l’università di Castrovillari ed il casale di S. Basile. Asn, Bozze di consulte della Camera di S. Chiara, vol. 275, inc. 47. 60 Sulle opere di Novario, Capobianco, Tassone, Tapia, cfr. G. Cirillo, Spazi contesi cit., tomo II, pp. 239 sgg.; A. Musi, Momenti del dibattito politico a Napoli nella prima metà del secolo XVII, «Archivio Storico per le Province Napoletane», Terza Serie, vol. XI (1973), pp. 345-371. 61 Su questo, cfr. M. Stolleis, Storia del diritto pubblico in Germania, I, Pubblicistica dell’Impero e scienza di polizia (1600-1800), Giuffrè, Milano, 2008. I nuovi assetti istituzionali del Regno di Napoli nel periodo di Maria Carolina ne delle università, del 1660, che sospende i pagamenti verso i creditori delle università; la prammatica XIX, della stessa tipologia, del 1681, che estromette i baroni da ogni ingerenza nell’amministrazione delle università62. Fra metà e ine Seicento, questa dottrina si fa strada anche in merito alla gestione dei corpi dello Stato, come le città regie o demaniali che sono state alienate o stavano per essere vendute a privati. Secondo la Camera della Sommaria, il sovrano poteva infatti alienare i corpi demaniali solo in casi estremi che dovevano, però, scaturire sempre da una situazione politica urgente o da una «necessità pubblica». Solo in questi speciici casi si potevano altresì revocare i contratti stipulati a titolo oneroso, ossia vendere città che si erano prima riscattate in demanio con proprio peculio63. Non tutte le «necessità pubbliche» possono essere messe, però, sullo stesso livello: una cosa è la difesa dello Stato di Milano o del Regno di Napoli, altra cosa è il semplice pagamento dei debiti contratti verso creditori, o speciici privilegi economici accordati, da parte degli Austrias64. La Sommaria preferisce che la ricompra provenga, pertanto, dalle stesse città; in mancanza di ciò, invece della vendita dei feudi, ci si può anche accontentare di semplici transazioni65. Tra ine Seicento e primi decenni del Settecento, gradualmente lo Stato, passata la congiuntura negativa, non cede più le città demaniali che si sono riscattate in modo «oneroso». È evidente, anche in questo caso, la nuova visione del diritto pubblico. Uno jus publicum che, secondo Adriano Cavanna, vede l’accentramento delle fonti del diritto grazie alla prassi interpretati62 G. Cirillo, Spazi contesi cit., tomo II, pp. 245 sgg. Vedi anche G. Galasso, Le riforme del conte di Lemos e le inanze napoletane nella prima metà del Seicento, in Id., Alla periferia dell’Impero cit., pp. 157 sgg. Recentemente l’argomento è stato affrontato da G. Foscari, Stato, politica iscale e contribuenti nel Regno di Napoli (16101648), con la Prefazione di G. Galasso, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2006, pp. 53 sgg. 63 La Camera della Sommaria circoscriverne la casistica: quando «bisognasse pigliare una terra per fortiicarla»; nel caso bisognasse procedere a «contrattazione per ottenere la pace con il nemico»; per la mancanza di denaro per sostenere le truppe durante i periodi di guerra; in altre situazioni gravi dove perdura lo stato di necessità militare. Asn, Camera della Sommaria, Consulte, vol. 34, ff. 185-188, 21 giugno 1628; vol. 48, ff. 3-10, 12 aprile 1646. Su questo, cfr. G. Cirillo, Spazi contesi cit., tomo II, pp. 248 sgg. 64 Cfr. Asn, Collaterale, Notamenti, vol. 41, ff. 98v-100, 18 maggio 1640. 65 Così, ad esempio, si esprime il presidente Veaz, in merito alla vendita dei casali di Cosenza. Cfr. ivi, vol. 22, ff. 66-68, 14 gennaio 1631. 127 128 Giuseppe Cirillo va osservata nei tribunali centrali, che vanno a sostanziare il rafforzamento dello Stato rendendo sempre più accessorio lo jus commune. Parallelamente, vi è anche una trasformazione del diritto degli Stati moderni europei, che sarà inluenzato in maniera sostanziale dal giusnaturalismo. La nuova dottrina dello jus gentium farà sì che il nuovo diritto naturale prenderà il posto di quello che un tempo spettava allo jus commune ed al Corpus juris giustinianeo66. Nel Regno di Napoli, a ine Seicento, per sostanziare la nuova «dottrina statalista», è soprattutto il magistero di Francesco D’Andrea e del suo maestro Tommaso Cornelio a porre le avanguardie intellettuali napoletane a stretto contatto col pensiero europeo. A questo si aggiunge il reclutamento nella burocrazia statale dello stesso D’Andrea, prima alla Vicaria (10 maggio 1688), poi nel Sacro Regio Consiglio (luglio 1689) ed inine come iscale della Sommaria, dove s’insediò il 5 aprile 1690 rimanendo però in carica solo per pochi anni, sino al 169367, «tutti spostamenti – come ha sottolineato Aldo Mazzacane – che s’intrecciarono con i tortuosi percorsi, e gli intrighi, dei circoli ministeriali di quella vera e propria “Repubblica dei togati”, che era ormai diventato il Regno di Napoli per sua profonda struttura»68. La ripresa in grande stile di questa interessantissima evoluzione, dopo un periodo di appannamento dovuto anche al momentaneo disconoscimento di tutto quanto c’era di più avanzato nelle teorie del D’Andrea e dei novatori napoletani, riprende solo alla metà del Settecento, con un richiamo dei iscali della Sommaria alle dottrine di Novario, Capobianco, Tapia e, ancora una volta, a quelle mai del tutto accantonate di Francesco D’Andrea. Ora le decisiones di questo supremo tribunale, ispirate dai più importanti magistrati che siedono al suo interno – soprattutto Cianciulli, Vivenzio, Simonetti –, perseguono una doppia politica che in pratica rilette la nuova visione che essi hanno dello Stato: da una parte cercano, quindi, di far riacquisire allo Stato corpi che si ritengono usurpati o concessi solo in possesso (arrendamenti, diritti iscali e doganali, feudi e A. Cavanna, Storia del diritto moderno in Europa cit., pp. 319 sgg. 67 I. Ascione, Il governo della prassi. L’esperienza ministeriale di Francesco D’Andrea, Jovene, Napoli, 1994. Vedi anche R. Ajello, Gli «Avvertimenti» di D’Andrea tra idealisti e naturalisti, Introduzione a F. D’Andrea, Avvertimenti ai nipoti, a cura di I. Ascione, Jovene, Napoli, 1990, pp. XXIII-XXXVI. 68 Cfr. la voce dedicata a D’Andrea a cura di A. Mazzacane in Dizionario Biograico degli Italiani, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma, vol. 32, 1986. 66 I nuovi assetti istituzionali del Regno di Napoli nel periodo di Maria Carolina giurisdizioni, città demaniali alienate); dall’altro fanno in modo che appunto la Sommaria cominci a schierarsi sempre più nettamente dalla parte delle comunità nelle migliaia di cause che queste hanno accesso contro i gravamina e gli altri abusi dei baroni69. La Camera della Sommaria, forte di questo suo indirizzo giurisprudenziale, si esprime pertanto sempre più apertamente a favore delle ricompre degli arrendamenti da parte dello Stato, dell’abolizione di dogane, della soppressione dei diritti proibitivi, del recupero delle giurisdizioni che non sono suffragate da privilegi originali, dell’attribuzione alle comunità dei corpi demaniali usurpati dai baroni, dell’abolizione dei diritti di passo, dell’acquisizione dei feudi, dove vi è incertezza di possesso, in demanio70. Anche speciici ufici «venali», acquistati da privati e da baroni, sono considerati delle regalie e possono essere perciò richiamati allo Stato. Tutti i detentori di privilegi e giurisdizioni devono inoltre dimostrare, da questo momento in poi, di possedere privilegi utili e validi. Sotto osservazione iniscono, poi, le centinaia di famiglie che posseggono privilegi legati all’esercizio degli ufici di portolani o mastri di iera o alla titolarità di altri privilegi iscali e giurisdizionali71. Soprattutto, questo processo di rafforzamento dello Stato moderno, come abbiamo già evidenziato in un nostro recente studio, crea le condizioni per una piena maturazione della sfera amministrativa delle università72. Il supremo tribunale tende, infatti, ad incoraggiare i piccoli e grandi centri regnicoli nelle loro rivendicazioni contro il baronaggio. Le comunità cominciano pertanto a produrre centinaia di «libri di doglianze» che vengono puntualmente esaminati dalla Camera della Sommaria, che ora prende posizione a favore di queste. In moltissime istruttorie dibattimentali, il baronaggio deve dar conto, altresì, dei propri privilegi, previo il congelamento delle giurisdizioni feudali. Si moltiplicano, di conseguenza, i «capi di gravami» del baronaggio e contestualmente cessano quasi del tutto le numerosissime rivolte contadine e popolari che avevano caratterizzato l’ultimo periodo vicereale. 69 G. Cirillo, Spazi contesi cit., tomo II, pp. 242 sgg. Ivi, pp. 225 sgg. Si vedano, ad esempio, Asn, Bozze di consulte della Camera di S. Chiara, Portolania di Crotone e Regia Udienza di Cosenza, 21 ottobre 1747, vol. 121, fasc. 11; Asa, Archivio Ruggi, fasc. 73, fasc. 5, Processo della Regia Camera della Sommaria, 7 settembre 1756: «Matteo Ruggi cede ad Angelo e Andrea Alfano […] l’uficio di Portolano della città di Salerno, Guardarobbe della dogana della città e [l’uficio] di mastro di iera». 72 G. Cirillo, Spazi contesi cit., tomo I, pp. 185 sgg. 70 71 129 130 Giuseppe Cirillo È il grande momento di protagonismo della «via giudiziaria». Lo scontro si è ormai trasferito nelle sedi giudiziarie dei principali tribunali del Regno e riguarda la autenticità dei privilegi, delle grazie, delle capitolazioni, degli statuti, delle genealogie. È anche il momento della consacrazione tra i padri della storiograia italiana di Ludovico Antonio Muratori e della signiicativa riscoperta della ilologia, della paleograia, dell’archivistica, dell’araldica73. L’affermazione del nuovo diritto pubblico nel Regno di Napoli ottiene i suoi effetti proprio raccordandosi alle dottrine più avanzate dei principali riformatori napoletani, in particolare a Genovesi. Paradigmatico il caso dell’ultima causa di demanializzazione del Regno, che concerne la città di Monteleone. Il lungo periodo di gestazione di questa causa, che si protrae negli ultimi trent’anni del Settecento, permette infatti di cogliere la deinitiva affermazione della dottrina statalista. Nel pensiero giuridico meridionale, il diritto pubblico europeo è adesso saldamente agganciato al piano di riforme formulato dal Genovesi. Altro elemento importante è costituito dai iscali della Camera della Sommaria che, specialmente negli ultimi decenni del Settecento, tendono ad uniformarsi anche agli indirizzi giurisprudenziali dei magistrati della Camera di S. Chiara. E qui, l’inluenza del Genovesi su tutte le magistrature del Regno è enorme. Ora non vi è più contrapposizione, come appena cinquant’anni prima, tra il diritto del re (Camera di S. Chiara) e l’antico diritto del Regno e dei naturali (Camera della Sommaria). È cambiata la metafora dello Stato: i beni collettivi non sono più considerati come beni patrimoniali del sovrano, ma come «beni pubblici». Questi tribunali, nelle motivazioni delle sentenze emesse a favore dello Stato, fanno riferimento ad una «nuova giustizia pubblica e di Stato», alla «pubblica felicità», al «pubblico bene», alla «sicurezza della vita, della proprietà e della libertà afidata al principe»74. È, in pratica, la rivincita di Genovesi. In questo modo, il programma di modernizzazione del Regno proposto da Genovesi, Galanti, ma anche dagli apparati e dalle Segreterie del Regno, per passare al terzo punto, passa attraverso la proposta di un preciso progetto isiocratico. Ma quali sono i connotati di questa isiocrazia? 73 74 Ivi, tomo II, pp. 273 sgg. Ivi, tomo II, pp. 289 sgg. I nuovi assetti istituzionali del Regno di Napoli nel periodo di Maria Carolina Si è visto come i due illuministi avessero individuato alcuni mali cronici che impedivano l’attuazione di un indispensabile piano di riforme economiche. Fedecommessi, maggioraschi, manomorta ecclesiastica, particolari istituti giuridici che gravavano sui complessi feudali, dogane, gabelle, passi, usi proibitivi, mancanza di commercio, pesantezza delle giurisdizioni, concentrazione della terra in mano alla feudalità e alla Chiesa, pochezza delle manifatture e delle nuove fabbriche reali erano tutti impedimenti che bloccavano qualsiasi tentativo di modernizzazione. Soprattutto nel programma «popolazionistico» proposto da Genovesi era indispensabile, come si è visto, la rimozione dalle pastoie giuridiche che vincolavano il mercato e la convenevole conduzione dei fondi agricoli: quindi un’adeguata istruzione agraria, un moderno catasto in grado di assicurare una giusta proporzione tra imposte e reddito prodotto, la liberalizzazione del commercio (a partire da quello del grano), un conigurazione diffusa e parcellizzata della proprietà fondiaria che si doveva forgiare anzitutto attraverso la censuazione del ricco patrimonio ecclesiastico. Sono, dunque, queste le proposte che sono recepite e fatte proprie dai magistrati sia della Camera della Sommaria che della Camera di S. Chiara. Vivenzio, Cianciulli, Simonetti ed altri iscali di minore spessore (insieme ad altri cinque-sei togati della Camera di S. Chiara) emettono, non a caso, delle importanti sentenze a tal proposito. Gli stessi magistrati, poi, restano freddi, se non ostili, di fronte alla possibilità di percorrere altre strade per l’attuazione di questo progetto, come ad esempio quella di formare una media-grande proprietà agraria attraverso la vendita dei feudi devoluti senza giurisdizione75. È il programma del marchese Palmieri e del duca di Cantalupo, che volevano risolvere contemporaneamente l’annoso problema feudale e poi, nello stesso tempo, con le somme introitate comprare gli arrendamenti statali76. Tuttavia, mentre il programma di Genovesi e Galanti non si contrapponeva all’alterazione delle istituzioni del Regno, quello del duca di Cantalupo era profondamente eversivo nei confronti delle stesse. E questo non era assolutamente un fatto di poco conto. 75 Sul ruolo di questi iscali della Camera della Sommaria e degli altri magistrati della Camera di S. Chiara, cfr. Ivi, tomo II, pp. 281 sgg. 76 Su questo punto A.M. Rao, L’«amaro della feudalità» cit., pp. 456-481; Ead., Nel Settecento napoletano: la questione feudale, in R. Pasta (a cura di), Cultura, intellettuali e circolazione delle idee nel ’700, Franco Angeli, Milano, 1990, pp. 51 sgg. 131 132 Giuseppe Cirillo Nella visione dei supremi magistrati dei tribunali centrali, qualsiasi programma di riforma non doveva infatti mai alterare la Costituzione e lo ius regni. Il nuovo era visto con sospetto e l’unica forma di moderno andava trovata nel vecchio. Moderno era Genovesi in quanto le sue proposte di riforme non contrastavano con le leggi del Regno; Palmieri, lo stesso Filangieri proponevano invece programmi di riforme, agli occhi dei togati, astratti o addirittura eversivi per le istituzioni napoletane. Questi ultimi programmi erano anche contrastanti con la dottrina statalista che vedeva da una parte il feudo come facente parte del sistema costituzionale del Regno, dall’altra non come un bene privato (e così anche quelli della Chiesa) ma pubblico. Perché beni pubblici che costituivano una grande risorsa per lo Stato, come dimostravano i grandi proventi che si traevano dalla gestione dei beni della Chiesa o dei feudi devoluti, dovevano essere alienati a prezzi sviliti a privati? Niente da eccepire per quanto riguarda la riforma del catasto, un sistema iscale che si era adottato già ampiamente nel Regno77. È proprio il catasto onciario a costituire il punto di partenza del programma isiocratico. Questa, però, non era stata, come rileva in più occasioni Galanti, una grande riforma. Oltre alle incongruenze interne, di cui si è detto, il catasto aveva creato grandi sperequazioni, nella tassazione, all’interno dei ceti sociali e fra le diverse università. Dai processi dei tribunali napoletani emerge che il più grave di questi problemi era costituito dal fatto che le decisioni adottate in tali alti consessi erano anche inalizzate a mettere inalmente a ruolo – da un punto di vista territoriale, amministrativo e iscale – alcune centinaia di piccoli centri (almeno 5/600) che erano stati da poco promossi ad università autonome78. L’onciario, per questa via, oltre che uno strumento iscale, diventa anche un mezzo attraverso cui è possibile procedere all’assegnazione di uno speciico territorio a ogni singola università. È un tentativo, in altre parole, di creare sfere di superici territoriali distinte e separate negli enti locali che ino ad allora avevano conosciuto la compresenza di spazi promiscui di convivenza. L’onciaQueste sono le argomentazioni ricorrenti nei processi accesi in seno alla Camera della Sommaria o in alcune importanti consulte della Camera di S. Chiara. 78 G. Cirillo, Spazi contesi cit., tomo II, pp. 297 sgg. Vedi anche E. Chiosi, Il Regno di Napoli dal 1734 al 1799, in G. Galasso, R. Romeo (a cura di), Storia del Mezzogiorno, IV, Il Regno dagli Angioini ai Borboni, Edizioni del Sole – Editalia, Napoli-Roma, 1993, tomo II, pp. 371 sgg. 77 I nuovi assetti istituzionali del Regno di Napoli nel periodo di Maria Carolina rio, però, non riesce a risolvere quest’annoso problema, anzi il suo tracollo scatena centinaia di contenziosi tra le diverse università proprio per problemi di conine e di usi civici. Gli effetti deleteri della riforma dell’onciario provocano anche una riduzione signiicativa della sfera della cittadinanza, che quindi viene associata ad una patria sempre più piccola, una sola città o terra o, sempre più spesso, un piccolo casale promosso ad università autonoma. La cittadinanza, ora, è individuata rigidamente con la residenza stabile della famiglia: solo coloro che registrano in loco il fuoco iscale sono considerati cittadini. E il problema si pone soprattutto per le famiglie del patriziato cittadino o delle élite urbane, che sono i principali nuclei proprietari all’interno dei casali: rubricate come fuochi iscali nella città, ma discriminate e considerate alla stregua di forestieri, quindi tassate attraverso la bonatenenza. Non è un caso che i principali gettiti della tassazione, in centinaia e centinaia di catasti onciari, da adesso in poi cominciano a provenire proprio dalla bonatenenza. Già negli anni ’70 del Settecento, decine e decine di suppliche prodotte dalle nuove università, prima ex casali, e rivolte alla Camera della Sommaria, richiedono, di fronte a questi problemi, la stesura di nuovi catasti che tengano conto dei passaggi di proprietà provocati dall’applicazione della bonatenenza79. Sono proprio la discriminante, che subentra a livello della sfera della cittadinanza, e la conseguente tassazione arbitraria che viene applicata in merito alla bonatenenza, che provocano la grave crisi economica ed amministrativa di centinaia di centri medi e piccoli all’interno del Regno. Altro problema. L’attribuzione di un proprio territorio ai singoli casali dei diversi Stati territoriali (città di casali), operata con l’apprezzo dei catasti onciari, provoca diverse novità in merito alla dislocazione e alla ripartizione delle proprietà. Il mancato aggiornamento del catasto introduce, all’interno delle comunità del Regno, catastuoli o riconci che tenevano conto dei passaggi di proprietà che si erano avuti dopo gli anni ’40 del Settecento80. 79 Questo problema emergeva dai riscontri effettuati per i comuni del Principato Citra nella Relazione Giampaolo (dal nome del Commissario ripartitore, nel Decennio, della Provincia). Sull’utilizzazione di questi dati cfr. G. Cirillo, Il barone assediato. Terra e riforme in Principato Citra tra il Seicento e l’Ottocento, Avagliano, Cava de’ Tirreni, 1997. 80 Id., Spazi contesi cit., tomo II, pp. 321 sgg. 133 134 Giuseppe Cirillo Il catasto è preceduto ed afiancato da un altro processo molto importante che vede le comunità e la Camera della Sommaria protagonisti. Le prime cercano di rideinire il loro territorio demaniale a danno di quello feudale. Tutte le comunità, che fanno parte dei territori dei grandi feudi del Mezzogiorno, accendono infatti procedimenti giudiziari sul possesso e sulla proprietà dei grandi comprensori demaniali. Le decisiones della Camera della Sommaria, ancora una volta, sono determinanti: se nei privilegi di donazione dei baroni non compariva l’elenco dei demani contesi, questi venivano assegnati direttamente alle università81. Solo in questo contesto sono comprensibili le più rilevanti riforme che sono introdotte nel Regno di Napoli: la creazione e la completa autonomia della sfera amministrativa; una ramiicata rete di enti locali. La Camera della Sommaria, promuove, poi, centinaia di nuove comunità ad università autonome. Queste ammontano a circa 2.200 all’epoca della riforma del catasto onciario, ad almeno 2.600 fra gli anni ’70 ed ’80 del Settecento, e a non meno di 2.800 alla ine secolo XVIII. È un nuovo modello di Stato quello che si va a creare, che non è più propriamente e rigorosamente feudale. Ora la monarchia vuole trovare i suoi referenti nelle comunità provinciali e locali, che oltretutto, nella stragrande maggioranza dei casi, sono piccole realtà, facilmente disciplinabili dal centro. A questo punto, un ulteriore passo in avanti nel programma isiocratico. Creati gli enti locali, dotati di un proprio territorio e di consistenti demani, bisogna stimolare la crescita della popolazione e soprattutto incrementare la creazione della piccola proprietà rurale in grado di far irrobustire anche dal punto di vista economico le piccole e medie comunità. Ancora una volta vengono in aiuto le teorie genovesiane. Sotto osservazione non sono i demani feudali che non possono essere alienati. Diverso è il discorso relativo alla proprietà ecclesiastica che si può censuare. Soprattutto, per incoraggiare le piccole comunità di agricoltori si può ricorrere all’eniteusi da praticare sui demani comunali. Per il Regno di Napoli, l’eniteusi è la cugina più stretta del livellamento sociale (la via che, per Genovesi, doveva portare alla formazione della piccola proprietà contadina). 81 Ivi, pp. 313 sgg. I nuovi assetti istituzionali del Regno di Napoli nel periodo di Maria Carolina Così, le politiche di censuazione ilocontadina, sulla scorta dei suggerimenti genovesiani, sono portate avanti dal Tanucci, dal Caracciolo e, più di ogni altra cosa, ispirano la prammatica del Palmieri. Una visione che rimanda al riformatore di Castiglione si riscontra poi per almeno altri tre elementi che caratterizzano l’azione di governo nel secondo Settecento: a) nella politica portata avanti dalla Camera della Sommaria che autorizza le prime forme di eniteusi perpetue subito dopo la confezione del catasto conciario (già a partire dagli anni ’50 del Settecento, vengono accesi centinaia di processi nei quali la Camera della Sommaria riconosce l’eniteusi a 99 anni su beni demaniali)82; b) nelle ultime due prammatiche concernenti l’amministrazione delle università, soprattutto la XXIII (la formazione della mappa topograica) e la XXIV (meglio nota come «palmieriana»)83; c) nei provvedimenti in merito alla censuazione dei demani universali attuati dalla Giunta di Corrispondenza della Cassa Sacra in Calabria84. L’eniteusi concilia dunque gli interessi sociali delle parti, è distante da qualsiasi legge agraria e soprattutto viene praticata con il consenso interno alle comunità. Il mito dell’eniteusi inisce, così, per raccordare i programmi di diversi illuministi e di molti magistrati regi anche in merito alla sorte del feudo. Per Cianciulli si tratta di sciogliere un problema, a prima vista, inestricabile: come far fronte alla degenerazione di un sistema che è originariamente puro (almeno ino ad Alfonso d’Aragona, quando i baroni non avevano giurisdizione criminale ma solo una bassa giurisdizione civile) e che ora è completamente corrotto. La soluzione è semplice: abolire le giurisdizioni alte e gli altri diritti proibitivi e rendere il feudo semplicemente «un’eniteusi, contratto antichissimo, che da tutti si venera, e si pratica come fornito di equità, e di evidente vantaggio per la Società delli uomini»85. La nuova prospettiva isiocratica, ricostruendo l’interesse generale a partire dalla proprietà, è il cemento che lega gli individui alla società; essa opera un completo ribaltamento delle gerarchie sociali e, insieme, dei modi di conigurazione del potere pubblico, tipici dell’ordine antico. È, nel complesso, un programma eversivo 82 Ivi, pp. 297 sgg. Ivi, pp. 337 sgg. 84 Ivi, pp. 353 sgg. Su questo, cfr. A. Placanica, Alle origini dell’egemonia borghese in Calabria. La privatizzazione delle terre ecclesiastiche (1784-1815), Società editrice meridionale, Salerno-Catanzaro, 1979. 85 Questo passo è riportato in A.M. Rao, L’«amaro della feudalità» cit., p. 122. 83 135 136 Giuseppe Cirillo che nel Regno di Napoli non trova piena applicazione, specialmente nei confronti di un vecchio ordine costituzionale di antico regime, costruito e consolidatosi sulla base di delicati equilibri tra sovrano e corpi sociali, tra sovrano e poteri intermedi. Il programma di riforme che si intende attuare nel Regno di Napoli non è quindi, e non può essere, lo stesso della Toscana, del Milanese, della Francia del Nord. Il modello di isiocrazia meridionale non si fonda, infatti, sulla costruzione di nuovi valori in grado di selezionare una nuova classe dirigente in base al censo e alla proprietà fondiaria86. Nelle riforme isiocratiche portate avanti nel Regno di Napoli, l’incoraggiamento alle comunità di coltivatori non è inoltre propedeutico alla nascita della «nazione dei proprietari», dove le vecchie logiche di ceto sono sostituite da una nuova ideologia che uniica i valori all’insegna del censo, del catasto e della proprietà. 4. Carlo di Borbone e la Spagna: verso il superamento del modello della «Nuova Pianta» nella costruzione dello Stato moderno nel Regno di Napoli Il ruolo di Genovesi e di Galanti vanno inquadrati, specialmente per quanto concerne i regni di Carlo di Borbone e Ferdinando IV, anzitutto all’interno del modello politico che avvicina il Regno di Napoli alla Spagna. Soprattutto Genovesi, va visto come un teorizzatore di un programma di riforme che si presta ad essere attuato prima nel Regno di Napoli e poi, quando Carlo di Borbone diventa re di Spagna, ai necessari adattamenti connessi alle esigenze spagnole, di qui la sua successiva fortuna che lo porta a diventare uno dei massimi riferimenti teoretici dell’azione di governo condotta da quella monarchia. Prima del 1759, si ha infatti la netta sensazione che Carlo di Borbone utilizzi il Regno di Napoli come un grande laboratorio in cui si possa inalmente sperimentare una nuova tipologia di Stato. Questo sovrano, a partire dal 1734, per modernizzare le istituzioni del Regno di Napoli si serve di quel modello spagnolo che si era imposto dopo la guerra di successione, con l’avvento di Filippo V, e che aveva poi connotato l’azione di governo della monarchia 86 Su questi punti, cfr. G. Delille, Le maire et le prieur. Pouvoir centrale et pouvoir local en Méditerranée occidentale (XVe-XVIIe siècle), École française de Rome, Rome, 2003. I nuovi assetti istituzionali del Regno di Napoli nel periodo di Maria Carolina iberica anche negli anni successivi87. Con la Nuova Pianta, tutti gli ex Regni sono retrocessi a province. Gli strumenti di cui si serve Filippo V sono in primo luogo la igura dell’intendente, una carica nata al ine di ottenere una gestione più moderna delle istituzioni iscali. Gli intendenti, come ha evidenziato moltissima storiograia, iniscono per sommare diverse competenze nel settore dell’economia e della sfera giurisdizionale e militare. A differenza della Francia, dove queste igure sono reclutate tra le ila della nobiltà di toga, in Spagna provengono innanzitutto dai quadri militari88. Con l’avvento di Filippo V, esiste infatti una particolare propensione nel ricorrere ai quadri dell’esercito per modernizzare le istituzioni. Anzi, a partire proprio della guerra di successione, si registra in questo Paese una vera e propria «militarizzazione della società»89. Altro elemento di spicco: la creazione di una nobiltà di servizio, a partire ancora da Filippo V, reclutata non più in base alla politica di integrazione che, da Carlo V ed almeno ino a Carlo II, aveva 87 A. Àlvarez-Ossorio Alvariño, Introduzione a Famiglia, nazioni e monarchia. Il sistema europeo durante la Guerra di Successione spagnola, «Cheiron», 39-40 (2004), pp. 7 sgg. Vedi anche F. Tomás y Valiente, Gobierno e instituciones en la España del Antiguo Régimen, Alianza Editorial, Madrid, 1982; P. García Trobat, J. Correa Ballester, Centralismo y administración: los intendentes borbónicos en Esaña, «Quaderni iorentini», XXVI (1997), pp. 39-40; F. Andùjar Castillo, Necessidad y venalidad España e Indias, 1704-1711, Madrid, 2008; V. Peralta Ruiz, Patrones, clientes y amigos. El poder burocrάtico indiano en la España del siglo XVIII, Centro de Estudios Políticos y Constitucionales, Madrid, 2006; A. Gonzáles Enciso, «Les inances royales et les hommes d’affaires au XVIIIe siècle», in A. Dubet (a cura di), Les inances royales dans la monarchie espagnole (XVIe-XIXe siècles), Presses Universitaires de Rennes, Rennes, 2008, pp. 227-241; A. Álvarez-Ossorio Alvariño, Naciones mixtas. Los jenizaros en el gobierno de Italia, in Id., B.J. García García (a cura di), La Monarquía de las Naciones. Patria, nación y naturaleza en la Monarquía de España, Fundación Carlos de Amberes, Madrid, 2004, pp. 597-652. 88 A. Dubet, Los intendentes y la tentativa de reorganizacón del control inancieroen España, 1718-1720, in G. Perez Sarrón (a cura di), Miάs Estado y mάs mercado. Absolutismo y economia en la España del siglo XVIII, Silex, Madrid, 2011; F. Abbad, D. Ozanam, Les Intendents espagnol du XVIIIe siècle, Casa de Velázquez, Madrid, 1992, pp. 32 sgg. 89 F.J. Guillamón Álvarez, J.D. Muñoz Rodriguez, Las milicias de Felipe V. La militarización de la sociedad castellana durante la Guerra de Sucesión, «Revista de Historia Moderna», 25 (2007), pp. 89-112. Importanti anche i seguenti studi: A. Dubet, Entre dos modelos de gobierno de la hacienda militar. Las reformas de la Tesoreria Mayor en España en 1721-1727, in A. González Enciso, R. Torres Sánchez (a cura di), La costrucción de un Estado Militar: la monarquia española (1648-1814), in corso di stampa; Id., Control de la Hacienda y eicacia en el siglo XVIII. El proyecto de José Patiño (1724-1726), in corso di stampa; J. Jurado Sánchez, El gasto de la hacienda española durante el siglo XVIII. Cuantía y estructura de los pagos del Estado (1703-1800), Institutos de Estudios Fiscales, Madrid, 2006. 137 138 Giuseppe Cirillo inito per privilegiare la nobiltà castigliana, ma anche fra i nuovi quadri delle compagnie paramilitari. In questo contesto, si assiste ad un duplice fenomeno: da una parte subentra la militarizzazione del territorio; dall’altra, dai quadri di questi reparti paramilitari, si forma una nuova gerarchia nobiliare dipendente direttamente dal sovrano. È una politica mirata perché si sposa con i criteri di omogeneizzazione dell’élite insiti nella riforma della Nuova Pianta e quindi soprattutto con la creazione di un nuovo ceto dirigente fondato sulla nobiltà di servizio. In questo modo, la creazione di nuove compagnie militari diventa non solo uno strumento essenziale nella formazione dell’esercito borbonico, ma anche un formidabile elemento di mobilità sociale. Filippo V, come è stato sottolineato, promuove sul campo leve private. In cambio del reclutamento il sovrano accorda la concessione di patenti di uficiale. Ne scaturisce una vasta mole di cariche venali che aumenta in conseguenza delle congiunture belliche90. Questo rapporto tra il reclutamento dell’esercito – con la creazione di corpi speciali distinti dall’esercito regolare (Guardias Reales, Guardias de Corps, Guardias de Infanteria, Españolas e Walonas, Alabarderos) – e una nuova promozione nobiliare provoca anche una diversa composizione nell’apparato di Corte. È soprattutto intorno a quest’ultima che si cementa il nuovo reclutamento nobiliare ed è appunto al suo interno che si creano nuove gerarchie. Con la promozione esponenziale dei quadri uficiali di questi corpi, aumentano al suo interno gli esponenti di provenienza militare; ciò provoca il trasferimento delle competenze del Mayordomo Mayor di Palazzo, una delle cariche politiche più importanti in quanto la più vicina ed a contatto permanente con il re, nelle mani del capitano della Guardia de Corps, una igura di nuova creazione91. Le possibilità di carriera di questi uficiali sono, inoltre, sottratte al controllo degli altri quadri militari. La promozione dipende in prima istanza dal comando delle stesse unità militari ed in ultima istanza dal sovrano92. A. Dubet, José Patigño y el control de la Hacienda. Una cultura admistrativa nueva?, in M. López Díaz (a cura di), Èlites y poder en las monarquías iberica. Dal siglo XVII al primer liberalismo, Biblioteca Nueva, Madrid, 2013, pp. 39-56. Sulle leve private e la venalità delle cariche militari, vedi F. Andujar Castillo, La privatización del reclutamiento en el siglo XVIII: el sistema de asientos, «Studia Historica. Historia Moderna», 25 (2003), pp. 123-147. 91 Id., La corte y los militares en el siglo XVIII, «Estudis: Revista de historia moderna», 27 (2001), pp. 211-238. 92 Ivi, pp. 240 sgg. Ai nuovi uficiali si aprono quattro diverse strade per il completamento del cursus honorum: a) la possibilità di concludere la carriera nel corpo di appartenenza; b) passare nei ranghi dell’esercito regolare; c) prestare servizio 90 I nuovi assetti istituzionali del Regno di Napoli nel periodo di Maria Carolina Andujar Castillo ha dimostrato come alcune di queste famiglie, provenienti dalle leve militari, giungessero ad assumere delle posizioni di prestigio in seno alla Guardia Real; posizioni che poi venivano consolidate mediante mirate strategie patrimoniali e familiari ed altri rapporti di patronage. In questo percorso, il momento più importante della modernizzazione delle istituzioni spagnole, come ha dimostrato Anne Dubet, è costituito appunto dalla creazione della igura dell’intendente, una igura che si integra con un’amministrazione che si articola intorno ad un tessuto di organismi collegiali, i consejos, esercitanti il loro governo in modo indiretto93. L’intendente aveva perciò competenza sul funzionamento e sull’amministrazione di municipios e comarcas, tenendo il sovrano informato attraverso il consejo corrispondente94. Nel Settecento, vi è un’evoluzione della igura dell’intendente95: nel 1749 è infatti istituita un’Intendenza per ogni provincia – oltre al corregimiento della Capitale – con competenze in materia di giustizia, polizia, inanza e guerra96. Molti elementi comuni all’esperienza spagnola si hanno nel processo di modernizzazione delle istituzioni del Regno di Napoli, almeno a partire dall’avvento di Carlo di Borbone (1734). Poi, però, lo stesso re sperimenta nel Regno un nuovo sistema di costruzione di Stato moderno che, dopo il 1759, sarà adottato anche in Spagna. Si è visto il ruolo delle nuove Segreterie di Stato e del loro nuovo rapporto con i tribunali regi. Le decisioni politiche di queste ultime sono supportate, come detto, dalla Camera di S. Chiara che diventa lo strumento del «nuovo diritto del re». Essa, di fatto, limita il potere giurisdizionale degli altri tribunali. È la via che porta allo Stato accentrato da parte dei Borbone. Poi il controllo diretto del centro sulla periferia. Le Regie Udienze vengono svincolate completamente dall’inluenza dei tribunali ed assoggettati alle Segreterie con funzioni burocratiche di tipo politico-territoriali; d) l’inserimento in privilegiate mansioni civili nella Corte. 93 A. Dubet, Los intendentes y la tentativa de reorganizacón cit.; P. García Trobat, J. Correa Ballester, Centralismo y administración cit., pp. 20 sgg. 94 Ivi, p. 30 95 H. Kamen, El establecimiento de los intenentes en la administración espa฀ola, «Hispania», XXIV (1964), pp. 368 sgg.; L. González Antón, El territorio y su ordenación politico-adiministrativa, in M. Artola (a cura di), Enciclopedia de Historia de España, vol. II, Instituciones politicas. Imperio, Alianza Editorial, Madrid, 1988, pp. 63 sgg. 96 P. García Trobat, J. Correa Ballester, Centralismo y administración cit., pp. 19 sgg. 139 140 Giuseppe Cirillo di Stato. La prova è fornita anche dalla trasformazione dei presidi delle Regie Udienze in una sorta di intendenti spagnoli, dotati di consistenti competenze militari. Anche gli intendenti dei Siti Reali borbonici, dotati di un’amministrazione autonoma rispetto alla Segreteria di Reale Azienda, rimandano al modello spagnolo. Sperimentare su beni patrimoniali della monarchia un nuovo tipo di amministrazione con funzionari che non vengono da un percorso legato alle magistrature ma che sono dei tecnici, spesso anche militari, sostanzia ancora di più tale indirizzo teorico97. Poi, altre tre importanti riforme: la tavola della nobiltà del 1756; la formazione della nobiltà di servizio; la creazione dei nuovi reggimenti per il governo degli enti locali. Il punto di partenza è il reclutamento della nuova nobiltà. Fin dall’insediamento al trono Carlo di Borbone opera in almeno due direzioni: contrasta, e spesso penalizza, le famiglie che hanno acquisito uno status nobiliare durante il Viceregno austriaco, sostituendole con altre di fedeltà sperimentata verso il nuovo regime; agisce soprattutto sulla promozione di centinaia di nuove famiglie nei seggi nobiliari delle città regie. È ovviamente la Camera di S. Chiara lo strumento principale di questa nuova politica. Segue, poi, una programmazione più ampia, da parte della monarchia, nel creare una nobiltà di servizio che sfocia nella riforma della tavola della nobiltà del 175698. È soprattutto in questa seconda fase che si ravvisano i numerosi punti in comune con l’esperienza spagnola. Dei tre tipi di nobiltà in cui viene suddivisa la nobiltà del Regno di Napoli solo la prima, quella «generosa» (proveniente da alcuni patriziati esclusivi di non più di venti città del Regno e dalle famiglie del baronaggio che sono titolari da più di 200 anni del titolo feudale), è destinata a diventare la nuova nobiltà di servizio. Questa è plasmata, inoltre, mediante una evoluzione graduale ben precisa: l’appartenenza alla prima nobiltà generosa, il reclutamento nell’esercito nazionale, il servizio presso alcuni settori della burocrazia statale (come presidi ed uditori delle Regie Udienze). Tale percorso viene inine suggellato dall’ingresso a Corte. 97 Vedi i saggi contenuti nel volume G. Cirillo, I. Ascione, G.M. Piccinelli (a cura di), Alle origini di Minerva trionfante. Caserta e l’utopia di S. Leucio. La costruzione dei Siti Reali borbonici, Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Direzione Generale per gli Archivi, Roma, 2012. 98 G. Cirillo, Virtù cavalleresca cit., pp. 12 sgg. I nuovi assetti istituzionali del Regno di Napoli nel periodo di Maria Carolina Rispetto alla Spagna ed al modello di Filippo V, il cammino inerente la mobilità della nuova nobiltà di servizio è dunque molto più erto, tradizionale, basato sulla purezza di sangue e sulle ristrette genealogie. Poi, a partire dalla reggenza di Tanucci, la riforma dei reggimenti cittadini delle città in demanio. La partecipazione a questi governi è ora generalmente ampliata a quattro ceti, questo anche perché il dibattito isiocratico ha ormai inluenzato il governo del Regno: oltre alla nobiltà urbana ed ai popolari, si aggiungono i rappresentanti delle arti (che assumono particolare rilievo in diverse cittadine) ed i massari (in rappresentanza della nuova borghesia fondiaria emergente). In realtà, questa riforma porta a tre conseguenze precise: innanzitutto è ampliata la rappresentanza popolare nei governi cittadini; la monarchia vigila da vicino sulle nuove aggregazioni e persegue una politica di controllo del patriziato esclusivo delle città che fanno parte della nobiltà generosa; dagli anni Settanta comincia a perseguire anche un controllo ferreo sulle amministrazioni e sui patriziati delle principali città del Regno. È il proseguimento di una politica di accentramento che, dopo il reclutamento della nobiltà di servizio intorno alla Corte, porta anche al controllo delle amministrazioni e della classe dirigente delle principali città del Regno99. Importanti soprattutto la completa dipendenza e il controllo della nobiltà urbana da parte della monarchia, non solo nelle diverse tipologie di città regie ma anche nelle città feudali. Alcune consulte della Camera di S. Chiara degli anni ’80 del Settecento precisano che tutto quello che attiene alla sfera delle nobilitazioni dipende infatti dall’esclusiva competenza della monarchia100. Si può affermare che la creazione della nobiltà di servizio sia anche da leggere con la nuova alleanza in corso fra la monarchia borbonica e le élite delle città del Regno. 99 Ivi. Sul sistema di Corte, vedi anche E. Papagna, La corte di Carlo di Borbone, il re «proprio e nazionale», Guida, Napoli, 2011. Per un inquadramento generale, cfr. G. Galasso, Il Regno di Napoli, IV, Il Mezzogiorno borbonico e napoleonico (17341815) cit. Ora vedi anche, Id., Il Regno di Napoli. Società e cultura nel Mezzogiorno moderno, UTET, Torino, 2011, pp. 96 sgg. 100 G. Cirillo, Identità contese. La «Tavola della nobiltà» di Carlo di Borbone e le riforme dei governi cittadini nel Regno di Napoli nel Settecento, in A. Giuffrida, F. D’Avenia, D. Palermo (a cura di), Studi storici dedicati ad Orazio Cancila, «Quaderni Mediterranei», Palermo, 2011, pp. 949-996. 141 142 Giuseppe Cirillo Emerge, quindi, una visione molto tradizionale della riforma della classe dirigente, visione che ben presto dal Regno di Napoli sarà applicata in Spagna101. Ma ritorniamo alle tesi di partenza relative alle proposte di Galanti e più in generale alle riforme portate avanti dalla monarchia. La proposta della creazione della «nazione dei coltivatori» di Genovesi che si trasforma in un progetto di modernizzazione del Regno, in Galanti, basato sul ruolo propulsivo delle province, diventa il «modello sannitico» del riformatore di S. Croce (sono le province che devono essere adeguatamente rappresentate nella nuova visione degli equilibri interni della «nazione napoletana»). La creazione di una nuova élite legata al sistema di Corte, il favore accordato agli enti locali, la formazione della piccola proprietà e, più in generale, il modello isiocratico, non riescono ad essere riforme propulsive che vadano ad accelerare il percorso di modernizzazione dello Stato. Carlo e Ferdinando IV procedono in direzione opposta rispetto alla proposta di decentramento statale, portata avanti da Galanti, e al maggiore peso amministrativo che doveva essere attribuito alle province. Poi, altro elemento frenante alla modernizzazione del Regno, la forbice che si crea tra l’élite provinciale, la nuova «nazione dei coltivatori», che ormai guida le centinaia di piccole comunità che sono state promosse ad università autonome e le poco più di 6.000 fami101 Antonio Genovesi comincia ad essere studiato, da parte della storiograia spagnola e dell’America latina, per la sua inluenza sulle riforme economiche e statali. Cfr. J. M. Portillo Valdés, Revolución de nación. Orígenes de la cultura constitucional en España, 1780-1812, Centro de Estudios Políticos y Constitucionales, Madrid, 2000; Id., Crisis Atlántica. Autonomía e independencia en la crisis de la monarquía hispana, Marcial Pons, Madrid, 2006; Id., La vida atlántica de Victorián de Villava, Fundación Mapfre – Doce Calles, Madrid-Aranjuez, 2009; F. Morelli, Dall’Impero alla Nazione: l’economia politica e le origini del costituzionalismo nell’America spagnola, in M. Albertone (a cura di), Governare il Mondo. L’economia come linguaggio della politica nell’Europa del Settecento, Feltrinelli, Milano, 2009, pp. 403-422; Ead., De la “ciencia del comercio” a la “ciencia de la legislación”: la ruta napolitana hacia la reforma de la monarquía (siglo XVIII), in A. Dubet, J.J. Ruiz Ibáñez (a cura di), Las monarquías española y francesa (siglos XVI-XVIII): ¿dos modelos políticos?, Casa de Velázquez, Madrid, 2010, pp. 57 sgg.; J. Astigarraga, J. Usoz, From the Neapolitan A. Genovesi of Carlo di Borbone to the Spanish A. Genovesi of Carlos III: V. de Villava’s Spanish translation of “Lezioni di commercio”, in B. Jossa, R. Patalano, E. Zagari (a cura di), Genovesi economista. Nel 250° anniversario dell’istituzione della cattedra di “Commercio e Meccanica”. Atti del convegno di studi di Napoli del 5-6 maggio 2005, Istituto Italiano per gli Studi Filosoici, Napoli, 2007, pp. 193 sgg. I nuovi assetti istituzionali del Regno di Napoli nel periodo di Maria Carolina glie dell’aristocrazia (Galanti calcola la presenza di 1.500 famiglie nobili nella Capitale e circa 4.700 nuclei familiari tra il baronaggio titolato o il patriziato delle città provinciali): ossia circa 30.000 nobili di vario genere presenti nel Regno. Non vi è nessun collante fra queste élite, anzi permane una netta separazione di ceto tra la nuova nobiltà di servizio, esclusiva per seme e per sangue, lontana dagli ideali isiocratici moderni, e la lenta avanzata di una piccolissima élite provinciale che non ha quasi nessuna esperienza amministrativa. Questi elementi di debolezza, insieme alla fragilità amministrativa, alla immaturità dei nuovi enti locali, avranno un ruolo rilevante nella grande crisi che avvolgerà il Regno nel 1799. 143 Francesco Cotticelli NOTIZIE TEATRALI E MUSICALI NELLE LETTERE DI MARIA CAROLINA ALLA FIGLIA MARIA TERESA Sommario: Il saggio si incentra prevalentemente sulle lettere che la regina Maria Carolina inviò alla iglia Maria Teresa, imperatrice d’Austria, conservate allo Haus-, Hof- und Staatsarchiv di Vienna, con particolare riferimento ai commenti sugli spettacoli in prosa e musica che si tenevano a Napoli. L’atteggiamento della regina verso la vita teatrale e i teatranti rilette i suoi sentimenti sugli eventi tragici nell’età della Rivoluzione e della prima Restaurazione. Il teatro serve come metafora, e specchio di cambiamenti drammatici (e di decadenza). Parole chiave: teatro, musica, XVIII secolo, archivi, lettere. COMMENTS ON THEATRE AND MUSIC FROM THE LETTERS BY MARIA CAROLINA TO HER DAUGHTER MARIA TERESA abStract: This essay mainly focuses on the letters, which Queen Maria Carolina sent to her daughter Maria Teresa, Empress of Austria, and now kept at the Haus-, Hofund Staatsarchiv in Vienna, with special reference to the comments on music and theatre performances held in Naples. The Queen’s attitude towards theatrical life and practitioners relects her inner feelings about the tragic events at the time of the Revolution and the irst restoration. Theatre serves as a metaphor, and a mirror to dramatic social changes (and even decadence). KeywordS: theatre, Music, 18th century, archives, letters. Sull’interesse delle corrispondenze nella storia del teatro molto si è discusso, tanto più che, nella conclamata evanescenza degli oggetti di studio, esse costituiscono il più delle volte una fonte di primaria importanza non soltanto per deinire i contorni degli eventi, ma soprattutto per ricostruire i contesti socio-culturali e le dinamiche produttive entro cui lo spettacolo si manifesta e si evolve. Risultano imprescindibili le relazioni diplomatiche per cogliere l’essenza delle scene principesche dell’età umanistico-rinascimentale, né i delicati equilibri fra committenza aristocratica, visibilità e accettazione sociale, mercatura ed emancipazione inanziaria che segnarono la lunga affermazione del professionismo potrebbero intendersi senza addentrarsi negli epistolari dei comici, contigui tra l’altro ai processi creativi delle loro dramatis personae. Le lettere sono – anche in tempi più vicini – il luogo della progettazione, di 146 Francesco Cotticelli motivazioni recondite che si afiancano a quelle uficiali di testimonianze accreditate, di commenti approfonditi che illuminano altre verità, un approccio alla viva materia teatrale che restituisce tasselli sempre signiicativi a mosaici inevitabilmente imperfetti1. In fondo, anche la laconicità, il silenzio, il breve, folgorante passaggio recano informazioni preziose, su quel che la cultura di un’epoca ritiene acquisito, su un’ideale scala di valori che a volte mette in discussione lo sguardo a posteriori dell’indagine storica, sul senso che a quell’esperienza d’arte si attribuiva e si attribuisce e su come essa possa rilettere un clima, un momento. È un principio che si fa ancora più decisivo quando si registra un evidente scompenso fra il rilievo del fenomeno spettacolo in un’epoca e la consistenza di materiali documentari che possano – con maggiore perspicuità – servire a restituirne tutta la complessità e l’articolazione. È il caso del Settecento napoletano, una stagione non a torto riconoscibile come una sorta di siglo de oro del teatro e della musica, in cui si impose il mito della città cantante destinato a durare nei secoli: con l’avvento di re Carlo e l’inizio di un regno autonomo nell’instabile scacchiere europeo, si portò a compimento un investimento sulla scena come forma di espressione culturale, di comunicazione e di propaganda che aveva già ispirato l’ultima stagione vicereale (il dominio austriaco dal 1707 al 1734), ma i testi uficiali che scandirono una letterale esplosione del settore, Un vivo ringraziamento ad Andrea Sommer-Mathis (Vienna). Abbreviazioni utilizzate: Asn, Ab: Archivio di Stato di Napoli, Archivio Borbone; Hhsaw: Haus-, Hof- und Staatsarchiv in Wien, Austria. 1 Oltre alle appendici della benemerita serie dedicata a Il Teatro italiano pubblicata anni or sono da Einaudi, queste brevi rilessioni sono state alimentate da una serie di letture, in primis S. Ferrone, Introduzione, in Comici dell’Arte. Corrispondenze (G.B. Andreini - N. Barbieri - P. M. Cecchini - S. Fiorillo - T. Martinelli - F. Scala), edizione diretta da S. Ferrone, a cura di C. Burattelli, D. Landoli, A. Zinanni, 2 voll., Casa Editrice Le Lettere, Firenze, 1993, pp. 11-51 (in particolare pp. 16-23); quindi E. D’Auria (a cura di), Metodologia ecdotica dei carteggi, Atti del convegno internazionale di studi, Roma, 23-25 ottobre 1980, Le Monnier, Firenze, 1989; C. Viola (a cura di), Le carte vive. Epistolari e carteggi nel Settecento, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 2011 (qui in particolare S. Schwarz, La forma epistolare fra scrittura privata, critica letteraria e prosa scientiica. Un tentativo di tipologia testuale, pp. 25-40; ma di Viola si veda anche Epistolari italiani del Settecento. Repertorio bibliograico, Edizioni Fiorini, Verona, 2004 e Epistolari italiani del Settecento. Repertorio bibliograico. Primo Supplemento, con riferimento al lavoro di A. Postigliola (a cura di), Epistolari e carteggi del Settecento. Edizioni e ricerche in corso, Società Italiana di Studi sul Secolo XVIII, Roma, 1985 e agli studi del C.R.E.S. – Centro di Ricerca sugli Epistolari del Settecento). Notizie teatrali e musicali nelle lettere di Maria Carolina alla iglia Maria Teresa legati alle istituzioni che a corte e a Palazzo sovrintendevano alle sale, agli artisti, agli impresari e alle maestranze tutte raccolti negli archivi di Casa Reale Antica, sono ormai irrimediabilmente perduti. Non mancano altri iloni di investigazione, come i resoconti delle ambascerie consultabili presso altre capitali europee, o le polizze dell’Archivio Storico del Banco di Napoli, ma, al di là delle inevitabili prudenze metodologiche (il peso di contingenze storiche che rendono alcuni giacimenti di maggiore interesse per determinate fasi, la maggiore sensibilità verso il teatro come forma di sociabilità carica di valenze simboliche per la propria cultura d’origine, o ancora la prospettiva univoca di un meccanismo contabile che solo di rado, per eccezioni o anomalie, restituisce affreschi più precisi), spicca il carattere non sistematico di questi lacerti informativi, anche se talora molto numerosi2. Gli scambi epistolari possono integrare trame lacunose, o fornire dettagli altrimenti sottratti alla memoria: è un’importanza per così dire di rilesso, che mette in relazione fatti e testimonianze e fa 2 Per uno sguardo d’insieme al Settecento teatrale napoletano, oltre ai classici B. Croce, I teatri di Napoli. Sec. XV-XVIII, Pierro, Napoli, 1891 (e successive edizioni) e U. Prota-Giurleo, Breve storia del Teatro di Corte e della musica a Napoli nei secoli XVII-XVIII, in F. De Filippis, U. Prota-Giurleo, Il Teatro di Corte del Palazzo Reale di Napoli, L’Arte Tipograica, Napoli, 1952, pp. 17-146, si vedano F.C. Greco, Teatro napoletano del ’700. Intellettuali e città tra scrittura e pratica della scena, Pironti, Napoli, 1981; F. Cotticelli, P. Maione (a cura di), Storia della musica e dello spettacolo a Napoli. Il Settecento, 2 voll., Turchini, Napoli, 2009. Sulle questioni metodologiche, cfr. F. Cotticelli, P. Maione, Le istituzioni musicali a Napoli durante il Viceregno austriaco (1707-1734). Materiali inediti sulla Real Cappella ed il Teatro di San Bartolomeo, Luciano, Napoli, 1993; Id., «Onesto divertimento, ed allegria de’ popoli». Materiali per una storia dello spettacolo a Napoli nel primo Settecento, Ricordi, Milano, 1996 (in particolare le pp. 7-22); G. Di Dato, T. Mautone, M. Melchionne, C. Petrarca, P. Maione (coordinatore), Notizie dallo Spirito Santo: la vita musicale a Napoli nelle carte bancarie (1776-1785), in M. Columbro, P. Maione (a cura di), Domenico Cimarosa: un ‘napoletano’ in Europa, Lim, Lucca, 2004, tomo II, Le fonti, pp. 665-1197; P. Maione, Le carte degli antichi banchi e il panorama musicale e teatrale della Napoli di primo Settecento, «Studi pergolesiani / Pergolesi Studies», 4 (2000), pp. 1-129; Id., F. Cotticelli, Le carte degli antichi banchi e il panorama musicale e teatrale della Napoli di primo Settecento: 1732-1733, «Studi pergolesiani / Pergolesi Studies», 5 (2006), pp. 21-54 con cd-rom allegato (Spoglio delle polizze bancarie di interesse teatrale e musicale reperite nei giornali di cassa dell’Archivio del Banco di Napoli per gli anni 1732-1734); Le carte degli antichi banchi e il panorama musicale e teatrale della Napoli di primo Settecento: 1726-1736, «Studi pergolesiani / Pergolesi Studies», 9 (2015), con contributi sulla musica sacra (Marina Marino, pp. 659-677); sulla musica nei chiostri femminili (Angela Fiore, pp. 679-714); sul Teatro di San Bartolomeo (Carla Ardito, pp. 715-732); sulla commedeja pe museca (Paologiovanni Maione, pp. 733-763); sul teatro istrionico (Francesco Cotticelli, pp. 765-778). 147 148 Francesco Cotticelli luce su episodi più o meno noti. Essenziale sembra un altro discorso, ovvero quanto la presenza di riferimenti alle pratiche musicali, alle messinscene, ai cantanti e agli attori delle vicende su cui indugia il racconto attesti da un lato il prestigio dello spettacolo nella cultura settecentesca – e segnatamente a Napoli – in un ambito aristocratico e non, dall’altro il rilievo della sua funzione metaforica, per cui l’indicazione tecnica, il commento personale, lo spunto critico siano occasione per una rilessione più generale sul crepuscolo di un mondo. Ciò vale soprattutto al cospetto di autori d’eccezione, come la regina Maria Carolina in anni dificilissimi del suo regno, in un inestricabile groviglio di tensioni politiche e passioni private su cui a ragione si continua ad indagare. I Sammelbände del Familienarchiv custodito allo Haus-, Hof- und Staatsarchiv di Vienna conservano, nei Kartons 52-56, alcuni volumi rilegati (e più raramente carte sciolte) con le lettere che l’imperatrice Maria Teresa, iglia di Ferdinando re di Napoli e di Maria Carolina d’Asburgo e moglie di Francesco I, ricevette da vari corrispondenti in Europa, ma in particolare dai genitori e dai fratelli3. La primogenita di casa Borbone andò in sposa all’arciduca nel 1790; ascese al trono solo due anni dopo, alla morte di Leopoldo II. Il matrimonio fu un altro tassello nel mosaico delle relazioni internazionali fra il regno meridionale e le potenze europee, in una fase in cui la lenta e dificile sottrazione all’egemonia spagnola e all’inluenza di Carlo segnò un decisivo avvicinamento a Vienna, nonché l’apice dell’inluenza politica della regina nei destini dello stato: una stagione controversa, nella quale non a caso presero corpo tutti quegli argomenti che avrebbero alimentato una duratura vulgata sulla sovrana, travolta dalle vicende rivoluzionarie, e sempre più simbolo di un mondo e 3 Informazioni tecniche sono reperibili sul sito dell’archivio viennese (cfr. http://www.archivinformationssystem.at/detail.aspx?ID=881). Una prima disamina dell’interesse per la storia della musica e del teatro a Napoli è in F. Cotticelli, Sinfonie d’autunno. Notizie teatrali da Napoli per l’Imperatrice Maria Teresa (1793-1795), in L. Sannia Nowé, F. Cotticelli, R. Puggioni (a cura di), Sentir e meditar. Omaggio a Elena Sala Di Felice, Aracne, Roma, 2006, pp. 207-218. Le unità archivistiche provenienti da questo fondo sono citate con l’abbreviazione FA, SB facendo riferimento anche ad un’antica catalogazione (riportata fra parentesi quadre) che permette di individuare direttamente le fonti conluite nei diversi Kartons. Poche invece le lettere superstiti inviate da Maria Teresa alla madre, che occupano le carte 355-463 in Asn, Ab, vol. 99, che parte dal 1802 ino al 1807, anno della morte dell’imperatrice (nel vol. 100 la corrispondenza con l’imperatore Franz dal 1810 al 1814). Notizie teatrali e musicali nelle lettere di Maria Carolina alla iglia Maria Teresa di rituali deinitivamente tramontati, lei che era stata educata in una corte-modello, accanto a protagonisti d’eccezione della cultura settecentesca (e basterebbe qui il nome di Pietro Metastasio)4. Maria Carolina si era largamente adoperata per le nozze della iglia, allorquando Francesco era rimasto vedovo della prima consorte Elisabeth Wilhelmine von Württemberg: tra le testimonianze più signiicative v’è una lettera scritta al fratello Leopoldo in cui decanta la sua squisita formazione artistica: «elle sait la musique bien, le clavecin, chant, et un peu d’harpe; elle danse bien»5. In 4 Sulla scia delle ricerche ottocentesche, soprattutto di Michelangelo Schipa e Benedetto Croce, il personaggio di Maria Carolina ha continuato a suscitare notevole interesse, anche se le diverse scuole storiograiche segnate da spiccate tendenze nazionalistiche non sembra abbiano sempre dialogato tra di loro o acquisito la differente prospettiva (o il pregiudizio) come ulteriore elemento di rilessione. Da un lato, la storiograia di parte asburgica ha enfatizzato lo spessore tragico della iglia di Maria Teresa che si trovò più direttamente coinvolta nella decisione dei destini europei tra ine Settecento e primo Ottocento, sottolineandone l’attaccamento a valori tràditi e all’educazione imperiale (su tutti il proilo di E.C. Conte Corti, Ich, eine Tochter Maria Theresias. Ein Lebensbild der Königin Marie Karoline von Neapel, Verlag F. Bruckmann, München, 1950, cui oggi si aggiungono U. Tamussino, Eine Biographie der Königin Maria Carolina von Neapel-Sizilien, Deuticke, Wien, 1991 e F. Hausmann, Herrscherin im Paradies der Teufel. Maria Carolina Königin von Neapel. Eine Biographie, Beck, München, 2014 – si veda qui per la politica matrimoniale pp. 127-128), dall’altro si segnala l’interesse francese per una sovrana che assunse politicamente e simbolicamente il ruolo fascinoso di un’anti Napoleone in anni cruciali per il continente (M. Lacour-Gayet, Marie Caroline Reine de Naples (1752-1814). Une adversaire de Napoléon, Tallendier, Paris, 1990), tra rispetto e trionfalismo. Non più equilibrata la storiograia napoletana, che – al di là di storie e leggende alimentate da una propaganda ottocentesca – ne ravvisa la portata simbolica in termini di personalità prevaricatrice e reazionaria, impegnata in un pericoloso boicottaggio dei fermenti di novità illuminate che interessavano il Mezzogiorno (si veda R. Ajello, I ilosoi e la regina. Il governo delle Due Sicilie da Tanucci a Caracciolo (1776-1786), «Rivista Storica Italiana», 103 (1991), pp. 398-454 e pp. 657-738 – per una disamina storiograica cfr. pp. 733-738), marcatamente distante dalle ricerche di area tedesca. Sulla igura controversa cfr. M. Mafrici, Un’austriaca alla Corte napoletana: Maria Carolina d’Asburgo-Lorena, in Ead. (a cura di), All’ombra della corte. Donne e potere nella Napoli borbonica (1734-1860), Fridericiana Editrice Universitaria, Napoli, 2010, pp. 51-82. 5 Lettera di Maria Carolina a Leopoldo, 21 aprile 1790, custodita in Hhsaw, FA, SB, K. 19, cit. in J. Rice, L’imperatrice Maria Teresa (1772-1807) collezionista ed esecutrice delle musiche di Cimarosa, in Domenico Cimarosa: un ‘napoletano’ in Europa cit., pp. 329-345 e Id., Empress Marie Therese and Music at the Viennese Court, 1792-1807, Cambridge University Press, Cambridge, 2003, p. 2. Informazioni sull’educazione della futura imperatrice si desumono anche dal diario della regina Maria Carolina (cfr. infra), pubblicato da C. Recca, Sentimenti e politica. Il diario inedito della regina Maria Carolina di Napoli (1781-1785), Franco Angeli, Milano, 2014; cfr. ad esempio «le soir il y eut musique où la Térèse joua du clavesin» (29 settembre 1782 – p. 102); «Thérèse bien portante et avançant bien dans son 149 150 Francesco Cotticelli realtà, nulla di sensazionale per una principessa d’ancien régime, per la quale la musica, il canto, la danza erano elementi d’istruzione basilare (non era stato diverso per la madre, e i frammenti del diario della regina non lesinano informazioni – anche se laconiche – sui momenti di socialità al cembalo e alla danza condivisi con les enfants6): rilevante è il fatto che in Austria Maria Teresa fu attivissima mecenate, costituendo una biblioteca specialistica e intessendo rapporti con moltissimi compositori, mentre si misurava come cantante e virtuosa nei frequenti concerti privati che si tenevano a corte7. Era forse parte di questa passione l’interesse con cui tenne vivo ogni contatto con la terra d’origine, se si pensa alle trascrizioni manoscritte di stralci di avvisi dell’epoca inviati a lei da vari interlocutori, itti di notizie sullo spettacolo a Napoli e nelle province, che si afiancano alla itta corrispondenza della madre, del padre (un affettuoso, tenerissimo Ferdinando che scrive in un italiano non scevro di suggestioni dialettali testi da riconsiderare nell’immagine della sua regalità, da sempre oggetto di discussione), e, naturalmente, dei fratelli. Va da sé che queste lettere non nascono come resoconti sulla musica e sul teatro, anche se si tratta di accenni tutt’altro che sporadici; tengono vivo un dialogo a distanza, entro cui si scorgono le interferenze sempre più marcate fra legami familiari e ruoli istituzionali. Richiamano al fondo qualcosa della scrittura diaristica, se éducation» (31 dicembre 1782 – p. 136). Un indizio della familiarità di Casa Reale con la pratica musicale è desumibile anche dalla corrispondenza raccolta da N. Verdile, Un anno di lettere coniugali. Da Caserta, il carteggio inedito di Ferdinando IV con Maria Carolina, Spring, Caserta, 2008; si vedano in particolare le lettere del 5 e 17 ottobre 1788 e del 19 e 20 novembre 1789, dove spicca la igura del segretario dell’ambasciatore austriaco a Napoli e appassionato di musica Norbert Hadrava, su cui cfr. G. Gialdroni, La musica a Napoli alla ine del XVIII secolo nelle lettere di Norbert Hadrava, in «Fonti musicali Italiane», I (1996), pp. 75-143. 6 Cfr. sempre C. Recca, Sentimenti e politica cit., passim. 7 Il proilo più completo è offerto da J. Rice, Empress Marie Therese cit. Qualche breve ragguaglio sulla passione per gli spettacoli anche in Asn, Ab, vol. 99: Laxembourg, 11 agosto 1806 «Aujourd’hui nous celebrons l’octave de S. Francois pur (sic) un petit jeu dans le jardin, et pur une cantate, et un petit ballet ou mes Enfans dansent entre nous» (c. 430r); Vienne le 10 Janvier 1807 cc. 452r-v «Le Carneval aussi, et cette année etant court il sera très brillant, car on donnerà beaucoup de balls» (c. 425v); Vienne le 24 janvier 1807 «Le Carneval est très brillant et gay chaque jour plusieurs Balls, Comedies de Societe amusements j’ai dejà donné un petit ball a mes enfants» (c. 453r); Vienne le 14 Fevrier 1807 «J’envois […] la description de la petite fete que je lui ai donnée son jour [all’imperatore], et ou il s’est amusèe a merveille, j’ose dire qu’elle etoit simple et jolie. Une Comedie qui devoit etre demain aurà lieu a l’Octave […] elle sera tres interessante et un beau spectacle» (cc. 457r-v). Notizie teatrali e musicali nelle lettere di Maria Carolina alla iglia Maria Teresa è vero che mettono ordine in una serie di pensieri sulla sfera pubblica e privata che è innanzitutto proiezione di sé (nell’impossibilità di ricostruire uno scambio che fu con ogni probabilità intenso, e costante). Sul piano tecnico, i riferimenti allo spettacolo restituiscono qualche traccia informativa, documentando il trasformarsi di consuetudini e la netta diversiicazione dei repertori che esplose letteralmente negli ultimi decenni del Settecento, ma il dato più interessante resta una sorta d’interpolazione metaforica, come a dire, l’accenno agli eventi di scena a Napoli da un lato intende rispondere alla nota curiosità di chi legge, dall’altro suggella rilessioni, stati d’animo generali (per lo più un taedium, un disagio) che trovano eco in quel rito mondano intimamente connesso alla vita di una sovrana. I commenti non tradiscono mai incompetenza; piuttosto, un’attitudine che trascende la singola occasione e si fa cifra dei ritmi convulsi insieme della microstoria e della macrostoria. L’ennui che afiora a più riprese nel diario8 trapela anche in quelle missive che apparterrebbero con ogni probabilità a un momento anteriore al trasferimento di Maria Teresa a Vienna, in una sorta di intrattenimento familiare e di intimità non motivato da un’effettiva distanza, dove la cronaca – come non di rado accade 8 Si veda, sempre da C. Recca, Sentimenti e politica cit., «je suis allé au théâtre – voire la comédie chez Théâtre Florentin qui m’enuya mortellement» (15 dicembre 1781 – p. 90) ; «puis nous allâmes à la nouvelle représentation de l’opéra comique aux lorentins – le théâtre étoit plein – je m’y enuois bien» (5 ottobre 1782 – p. 105) ; «ensuite au théâtre neuf – à l’opéra nouveau de la composition de Corleto qui me parut détéstable» (16 ottobre 1782 – p. 111) ; « je […] allois aux théâtre Florentin – où je m’enuyois beaucoup» (27 ottobre 1782 – p. 116); «ensuite l’opéra des lorentins – où je m’enuya mortellement» (3 dicembre 1782 – p. 127). In un prossimo contributo si ragionerà più diffusamente dei lavori cui si fa riferimento. Il rilievo dell’ennui è ben messo in risalto da M. Traversier, Chronique d’un royal ennui. Le journal de la reine Marie Caroline de Naples (1781-1785), in Acte du colloque Ecritures de familles, écritures de soi, Presses Universitaires de Limoges, Limoges, 2010, pp. 135-150; al saggio della Traversier e al volume di Cinzia Recca si rinvia anche per le rilessioni – e la bibliograia – sulla diaristica, sulle scritture dell’io, cui queste lettere si conformerebbero, con l’utile osservazione da ribadire che in realtà cerimoniale e autorappresentazione sono elementi imprescindibili per l’intelligenza dei comportamenti dei sovrani (e in particolare dei sovrani d’ancien régime), il che conferisce a questa corrispondenza – mai concepita per una lettura pubblica – un carattere peculiare, dal momento che un destinatario altro è sempre presente per formazione e orizzonte mentale. Anche per questo materiale archivistico vale il criterio per cui «le lettere sono offerte come documenti del tessuto culturale o morale che retrostà alle persone e che sembra utile rilevare, per far meglio conoscere il valore storico delle persone stesse» (A. Vecchi, Motivi per una ecdotica degli epistolari e dei carteggi, in Metodologia ecdotica dei carteggi cit., pp. 6-32: 20). 151 152 Francesco Cotticelli – si confonde con la memoria e la rievocazione. Potrebbe risalire al Gennaio 1782 – considerando la collocazione della lettera nel volume – un denso passaggio di non facile comprensione: [...] j’ai ete hier au soir a l’opera je n’y trouve rien d’extraordinaire les ballets ne sont pas a mon gouts des plus beaux je preferois Attaxerxes (sic) Semiramide Didone Sposa Persiano (sic) et beaucoup d’autres et celui cy peut etre mais plaisat-il plus apres le second et jolie par la decoration et le quartets de Picq avec lui et elle. Rossi et le Bassi mais rien du tout de surprenant au moins moi je m’y suis parfaictement enuyé [...]9. La regina avrebbe assistito a una replica de Il Farnace di Giovanni Francesco Sterkel su libretto di Antonio Maria Lucchini, corredato dai balli La congiura delle donne di Lemno e Il Faxal di Londra, su coreograia rispettivamente di Carlo Le Picq e Domenico Rossi, entrambi menzionati10. Si instaurerebbe un confronto ideale con Arbace, su musica di Francesco Bianchi, intervallato dal balletto di Le Picq Didone abbandonata e da Il Convitato di pietra di Rossi; quanto a Semiramide, era stata tema del balletto inserito nella celebre Armida abbandonata intonata da Jommelli nell’agosto del 1780 (altro balletto era stato Il disertor francese più volte citato nel diario del 1781)11. Sposa persiana è forse riferimento a Zemira e Azor, il ballo inserito in Amore e Psiche del maestro Schuster nel Novembre 1780, con un riecheggiamento di un titolo che era stato strepitoso successo di Goldoni, mentre resta enigmatico il titolo Artaserse, che sarebbe tornato sulle scene sancarliane solo nel Novembre del 1783 dopo il 1774, anno in cui era stato musicato da Joseph Mysliweček12. V’è notizia di un gusto per lo più disatteso, di aspettative deluse, di rituali sospesi fra curiosità e di9 Hhsaw, FA, SB, K. 52, cc. 99r-99v. Le trascrizioni dei documenti sono ispirate a criteri di massima conservazione; appena ritoccata la punteggiatura in rari casi per una migliore intelligenza del testo, mentre non si è intervenuti su questioni di ortograia. Sulle caratteristiche del francese della regina si veda M. Traversier, Chronique d’un royal ennui cit. 10 Qui e altrove per gli spettacoli si veda P. Maione, F. Seller (a cura di), Teatro di San Carlo di Napoli. Cronologia degli spettacoli (1737-1799), vol. I, Altrastampa, Napoli, 2005; sempre utile il riferimento a C. Sartori, I libretti italiani a stampa dalle origini al 1800, 7 voll., Bertola & Locatelli, Cuneo, 1990-1994. 11 Cfr. C. Recca, Sentimenti e politica cit., passim. 12 Si veda F. Cotticelli, Musik und Theater zur Zeit Schusters, in G. Poppe, S. Voss (a cura di), Joseph Schuster in der Musik des ausgehenden 18. Jahrhunderts, Ortus Musikverlag, Beeskow (D), 2015, pp. 71-80. Notizie teatrali e musicali nelle lettere di Maria Carolina alla iglia Maria Teresa sappunto. Nei suoi cenni la regina sembra confermare la tendenza degli ultimi decenni del secolo ad allargare il repertorio: riferisce, probabilmente da Venafro, di una messinscena da tenersi «en haut au Chateau de la maitresse du logis Tripalda»13 della tragedia su Thomas More «Cardenal qui mourut en defendant la religion Catolique (sic) en Angleterre»14, soggiungendo che «le sujetet (sic) beau mais j’ecrains (sic) que la representation ne le sera point»15; non è chiara l’allusione quando scrive che «hier au soir nous avons ete aux Florentino on repete la meme petite Opera que vous avez vue a Portici de la Coltelini et des deux Combatans»16 (sono necessari sondaggi più approfonditi: fra i titoli eseguiti in quel volgere di tempo sono L’amante combattuto dalle donne di punto di Giuseppe Palomba su musica di Cimarosa, dato al Fiorentini per prima opera del 178117, o La semplice ad arte e La ballerina amante del 1782, entrambi con la celebre “prima buffa toscana” protagonista18); l’ennui è ancora il messaggio dominante della reazione alla ripresa, nel 1787, al Barbiere di Siviglia di Paisiello che furoreggiava nelle sale europee19, con una stroncatura ad un astro delle scene locali, Casacciello («je suis alle au theatre le Barbier de Seville il est on 13 Hhsaw, FA, SB, K. 52, Lettres de S. M. la Reine de Naples 1774-1791, [alt 42], c. 82r, s.d. In altra sede ci si propone di ragionare sui collegamenti fra questi commenti e la programmazione cittadina. Qui e altrove, si rivelano molto delicate «le necessarie integrazioni ermeneutiche cui il documento epistolare deve andare soggetto in vista di un’esatta sua collocazione in qualità di fonte storica» (A. Vecchi, Motivi per una ecdotica degli epistolari e dei carteggi cit., p. 21). 14 Ibidem. 15 Ibidem. Dificile l’identiicazione di questa tragedia, in repertorio della compagnia appaltata: sulla diffusione del soggetto cfr. http://www3.telus.net/lakowski/Morebib5.html#CreativeArts. Del tema sarebbero circolate anche versioni di tragicommedia: risale a dopo il 1770 La caduta di Tommaso Moro con Pulcinella creduto dama inglese. Tragicommedia storico-lepida-morale adattata al buongusto moderno, in Napoli, s.d. 16 Hhsaw, FA, SB, K. 52, Lettres de S. M. la Reine de Naples 1774-1791, [alt 42], c. 103 r, s.d. 17 L’amante combattuto dalle donne di punto, commedia per musica di Giuseppe Palomba da rappresentarsi nel Nuovo Teatro de’ Fiorentini per prima opera di quest’anno 1781 […]. 18 La semplice ad arte, commedia per musica di Giuseppe Palomba. Da rappresentarsi nel nuovo Teatro de’ Fiorentini per prim’opera di quest’anno 1782 […] e La ballerina amante, commedia per musica da rappresentarsi nel Teatro Nuovo sopra Toledo per second’opera di questo corrente anno 1791 […]. 19 Andata in scena per la prima volta in Russia nel 1782, l’opera trovò eco immediata a Napoli e fu sottoposta a modiiche. Cfr. Il barbiere di Siviglia ovvero La precauzione inutile, dramma giocoso per musica, da rappresentarsi nel Real Teatro di Caserta, per divertimento delle MM. LL., In Napoli, per Vincenzo Flauto, 1783; Il 153 154 Francesco Cotticelli ne peut plus male represente Casaciello fesant le Tuteur tres male n’etant peu dans son caractere qui faie le Boufon je m’enuyoi bien fortement»20); conferma il radicarsi della Comedie Française, ovvero di gruppi che agiscono con regolarità in Napoli e dintorni, allorché ricorda come «votre cher Pere a fait la musique de Portici que vous avez entendue hier au soir nous avons eue la premiere Comoedie Francoise c’est a dire Hipermestra Tragedie et une petite piece apelé (sic) Le marchand de Smyrne ce soir il y aurà deux Comoedies mais a mon grand chagrin la Compagnie n’est pas bone»21 e, in altra occasione, sottolinea sempre «nous avons eue la Comoedie francoise tout cela m’empeche d’ecrire»22. La “francesizzazione” delle scene era stata per lungo tempo questione viva dell’intellighenzia partenopea, e non solo: aveva ispirato alcune delle pagine teoriche più sottili di un autore e saggista come Pietro Napoli Signorelli, o costituito il pensoso Leitmotiv delle lettere dell’abate Galiani a Madame d’Epinay, soprattutto in occasione della tournée di Senapart e soci nel 1773, per non parlare delle mire protezionistiche degli impresari e delle compagnie indigene, minacciate dalla presenza di compagini forti del consenso di spettatori d’eccezione23. Doveva essere stato anche motivo di contestazioni ideologiche, rievocate in seguito non senza una barbiere di Siviglia, ovvero La precauzione inutile, dramma giocoso per musica da rappresentarsi nel teatro de’ Fiorentini per prima commedia del corrente anno 1787, In Napoli, per Vincenzo Flauto, 1787. 20 Hhsaw, FA, SB, K. 52, Lettres de S. M. la Reine de Naples 1774-1791, [alt 42], c. 186, 13 aprile 1787, c. 186r. Antonio Casaccia interpretava appunto il ruolo di Bartolo. 21 Ivi, cc. 119r-119v, s.d. 22 Ivi, c. 204r, 4/9/1787. Ma sulla questione si vedano anche ivi, cc. 209r-209v, 15/9/1787: «[...] le soir nous avons eue deux Comoedies francoises Feente par amour et l’anglois a Bordeaux tous les deux ont été tres bien joué [...]» (c. 209r); c. 211r, 20/9/1787: «[...] j’ai fait donne un Grand dinne aux Comediens ce matin et ce soir ils ont tres bien joue depuis et Deronais et l’empromptu de Campagne tres bien [...]»; c. 213r, 21/9/1787: «[...] et ai vue une jolie Comoedie francoise une apelle Cephise l’autre une Supercherie piece [...]» ; c. 216r, 26/9/1787: «[...] je suis remonte chez moi les deux Comoedies tant du Procureur Arbitre que du Medecin malgre lui ont été tres enuyante [...]». 23 Sull’argomento cfr. F. Cotticelli, Sulle caratteristiche “nazionali” nel teatro napoletano dagli anni Settanta in relazione alle compagnie forestiere, in B. Alfonzetti, M. Formica (a cura di), L’idea di nazione nel Settecento, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 2013, pp. 197-205; Id., Lombardi, Francesi, Napoletani. I nuovi scenari nella Capitale, in P. Maione (a cura di), Musica e spettacolo a Napoli durante il decennio francese (1806-1815), Turchini, Napoli, 2016, pp. 215-227. Quanto alla tournée diplomatica del 1773, cfr. ora R. Markovits, Civiliser l’Europe. Politiques du théâtre français en Europe au XVIIIe siècle, Fayard, Paris, 2014. Notizie teatrali e musicali nelle lettere di Maria Carolina alla iglia Maria Teresa buona dose di piaggeria, se il medico di Casa Reale Giovanni Vivenzio, in un dispaccio del 20 novembre 1792 tra le carte della giovane imperatrice (e quindi in un momento in cui l’attenzione per la Francia è di segno tutt’altro che positivo a corte), scrive: «Io non ho mai potuta soffrire la Nazione Francese, e Sua Maestà l’Imperatrice ne potrà accertare Vostra Eccellenza, non avendo mai voluto andare all’Opera Francese, quando con applauso si rappresentava in Caserta»24. Sono minimi segnali della tensione politica che si cela dietro questi testi che a lungo mirano a rafforzare l’impressione di usi e costumi che si ripetono senza apparenti sussulti, in un cerimoniale privato che resiste ai venti impetuosi della Rivoluzione. Il clima tuttavia è decisamente mutato, su più fronti: a Vienna i dispacci dell’ambasciata trasmettono messaggi intermittenti. Il 26 ottobre 1790 si informa del programma ridotto per i festeggiamenti del 4 novembre («Den 4ten November wird man hier den Nahmenstag der Königin und des Katholischen Monarchens mit der gewöhnlichen Hof Gala, und mit Illuminierung des hiesigen Teatro di S. Carlo, jedoch mit Auslassung der neuen Opera, die wegen großer Finanz-Zerrittung des Impressario nicht vor sich gehen kann, feÿern»25), e il 13 novembre l’annuncio de La vendetta di Nino su tema di Voltaire («Gestern ist hier der Geburtstag Seiner katholischen Majestät gefeÿert worden; Abends wurde im hiesigen Theater di S. Carlo die neue Oper unter dem Titel La vendetta di Nino, mit großem Zulauf und allgemeinen Beÿfall vorgestellt, auch war das Theater auf das prächtigste beleuchtet»26), ma le vicende del teatro sono alterne se, dopo l’accenno al nuovo debutto previsto per gennaio («Morgen wird in dem hiesigen Theater di S. Carlo eine neue Oper, unter dem Titel bizzarro – scil. Pizzarro – nell’Indie aufgeführt, und das Theater illuminirt werde»27), si è costretti a 24 Hhsaw, FA, SB, K. 53, Lettres de particuliers à S. M. l’Imperatrice 1792, 20 settembre 1792, cc. n.n. Icastico il giudizio della regina nella corrispondenza al fratello, in particolare del 10 gennaio e del 3 febbraio 1792, citato in E.C. Conte Corti, Ich, eine Tochter Maria Theresias cit., p. 187: «Was kann denn anderes als eine furchtbare Explosion entstehen, wenn man einem zügellosen Volke als Grundsatz lehrt man solle alles mit Zwang, Vergewaltigung, Nichtachtung durchsetzen […] Alle, alle Franzosen sind gleichmäßig zu fürchten, die guten wie die schlechten sind sämtlich fanatisch, ja trunken, von ihren falschen Ideen begeisterte Leute und darum gefährlich». 25 Hhsaw, Reichsarchive, Staatenabteilungen, Ausserdeutsche Staaten, Italienische Staaten, Neapel, Berichte, K. 15, cc. 99-101, 26 ottobre 1790, c. 99v. 26 Ivi, cc. 125-127, 13 novembre 1790, c. 125r. 27 Hhsaw, Reichsarchive, Staatenabteilungen, Ausserdeutsche Staaten, Italienische Staaten, Neapel, Berichte, K. 16, cc. 18-19, 22 gennaio 1791, c. 18v. 155 156 Francesco Cotticelli correre al riparo dopo l’insuccesso, puntando su un titolo collaudatissimo, ma – entro certi aspetti – pericoloso per la temperie, considerando che avrebbe conteso alle tragedie alieriane spazio nella programmazione della Repubblica napoletana: Die neue Oper, welche [...] in dem Theater di S. Carlo aufgeführt wurde, hat den erwarteten Beyfall nicht erhalten, wesswegen man beschlossen hat, statt dieser eine alte von dem Metastasio nämlich die Cattone sic in Utica, wovon die Musik von dem berühmten Paisello sic ist [...] aufzuführen28. Sono note le dificoltà in cui negli anni Novanta versano le imprese dei Reali Teatri, economiche e burocratiche, certo, ma anche relative a una generale crisi del senso di quell’esperienza di socialità e di propaganda collegate a un mondo in declino29. Ne parla anche la regina, a più riprese. Il 4 giugno 1791 riferisce come l’opera a St. Charles le 30 est tres mauvaise de meme que les ballet y ayant un mauvais nouveau danseur, et pour feme (sic) tujours la Dupré, et pour chanter la Bandi (sic), au fondo il y a un mauvais opera boufe et un ballet passable, come votre cher Père et presque toujours a la Campagne je n’ai etè qu’une seule fois a chaque theatre, St Charles et Fondo […]30 e, solo pochi giorni dopo, racconta delle traversie economiche alle origini di questa situazione sconcertante per la capitale («notre vie et tres monotone, les theatres sont tous mauvais, l’entrepreneur de St. Charles et du Fondo a fait Banqueroute […] ainsi vous pouvez juger quel (sic) spectacles nous avons»31). Sugli appuntamenti di Agosto non è meno incisiva («je n’aime point l’opera de St. Charles de meme que les ballets sont tres mauvais et cella unie a la chaleur eccessive que nous avons vue les theatres tres desa- 28 Ivi, cc. 20-22, 25 gennaio 1791, cc. 20r-20v. Cfr. almeno F. Cotticelli, M. Esposito, La macchina teatrale tra gestione di Corte ed impresa privata, in G. Cantone, F.C. Greco (a cura di), Il Teatro del Re. Il San Carlo da Napoli all’Europa, Esi, Napoli, 1987, pp. 215-238 e P. Maione, F. Seller, Vita teatrale a Napoli tra Sette e Ottocento attraverso le fonti giuridiche, in F.P. Russo (a cura di), Sali librettista, Monteleone, Vibo Valentia, 2001, pp. 83-95; P. Maione, I virtuosi sulle scene giuridiche a Napoli nella seconda metà del Settecento, in Id. (a cura di), Fonti d’archivio per la storia della musica e dello spettacolo a Napoli tra XVI e XVIII secolo, Editoriale Scientiica, Napoli, 2001, pp. 477-486. 30 Hhsaw, FA, SB, K. 52, Lettres de S. M. la Reine de Naples 1774-1791, [alt 42], cc. 287-292, 4 giugno 1791, c. 286v. 31 Ivi, cc. 302-305 16 giugno 1791, c. 302r. 29 Notizie teatrali e musicali nelle lettere di Maria Carolina alla iglia Maria Teresa greables aussi quand votre cher Père n’y va point»32), lasciandosi andare a qualche informazione tra pubblico e privato che avrebbe sollecitato interessi e nostalgie dell’imperatrice: nous avons celebre hier le jour de francois dejeuner dine Opera […] Nous avons un mauvais Opera et ballet a St. Charles un mauvais au Fondo mais un bon Ballet aux Florentins l’opera et bon de Paisiello que vous conossez du mentre d ecole la souer de la Coltellini la jeune joue tres bien l’autre n’est plus sur le theatre ayant epouse le neveu de Mericof la duprè s’est aussy marie au premier danseur Fabiani voila de belles nouvelles […]33. Qualche piccola luce ancora si intravede nella programmazione, come conferma anche il commento allo spettacolo di inizio novembre («l’opera de St. Charles et assez beau le ballet de Bajazet et Tamerlano a assez bien reussy votre frere et sœurs s’y sont amusees […] il y a aussy au Fondo un beau balletet on louie les spectacles»34), ma è chiaro che le imprese e gli artisti lavorano in un generale ridimensionamento di risorse e aspettative. A completare il quadro intervengono incertezze e sperimentazioni; il lutto programmato nel Febbraio del 1793 all’indomani degli eventi di Francia35; il revival di occasioni private, che restituisce un quadro dissonante di istituzioni e strutture che proprio i decenni appena trascorsi avevano messo in discussione o sensibilmente trasformato (ma da Caserta a Portici a Napoli è una storia su cui fare ulteriormente luce): Des Königs Majestät, Welcher so wie der Kronprinz den Oktober Monat in Portici zubringen werden, haben daselbst in der hofreitschule ein Theater errichten lassen, wo abwechselnd Opern und Komödien gegeben werden, und vom Monarchen angefangen Jedermann ohne Ausnahme beim Eintritt seinen Platz bezalt. Auch haben Seine Majestät im Garten der Favorita eini- 32 Ivi, c. 358 16 aprile 1791, c. 358r. Ivi, cc. 362-363, 20 agosto 1791, c. 362r e c. 363r. Ivi, c. 416, 5 novembre 1791, c. 416v. 35 Hhsaw, Reichsarchive, Staatenabteilungen, Ausserdeutsche Staaten, Italienische Staaten, Neapel, Berichte, K. 17, cc. 35-38, relazione dell’ambasciatore Esterhazy del 9 febbraio 1793; allegata a cc. 36r-36v la comunicazione da Caserta del 7 febbraio 1793 in cui si legge «In dimostrazione del dolore, di cui è penetrato il cuore di Sua Maestà Siciliana per l’infausta morte dell’infelice Luigi XVIo suo cugino, hà risoluto di vestirne il lutto per quattro Mesi, i due primi rigoroso, cosi altri due leggiero, da principiare Sabbato prossimo 9 del corrente. Il General Acton hà l’onore di prevenirne per Sua Attenzione Sua Eccellenza il Sig.r Ambasciatore di Vienna, e nell’atto stesso le rassegna i Sentimenti della Sua più distinta stima di ossequio». 33 34 157 158 Francesco Cotticelli ge Spiele zubereiten lassen, welche zu Unterhaltung des Publikums dienen sollen. Ihre Majestät die Königin werden hieran, allem Anschein aus, wenig Theil nehmen, weil höchstselben das Fahren beschwerlich fällt36. La situazione viene opportunamente enfatizzata, con ini anche rassicuranti: Letzten Sontag haben Seiner Majestät der König zum erstenmal den sogenannten Garten Favorita zu Portici, in welchem mehrere Spiele mit Musik zu Ergözung des Publikums veranstaltet worden, eröfnen lassen, und daselbst allen wohlgebleideten Personen den Eintritt gestattet, daher der Zuspruch ziemlich zahlreich war, und nun allem Anschein nach wohl alle Sontäge während des Oktober Monats, wo Musik und Spiele wiederholt werden, seÿe dürfte, indessen erwähnten Garten zur promenade täglich offen steht. [...] Abends erschien der Monarch in dem ebenfalls zum ersten mal in der hof-reitschule daselbst eröfneten Theater, welches vielen Beifall fand [...]37 ma solo pochi mesi dopo lo scenario sembra di nuovo tradire la tragica realtà della Unruhe Europas, che getta ombra sui divertimenti del carnevale altrimenti soliti, da proibire sì in segno di penitenza, ma anche per impedire l’incontro di igure sospette, data la presenza di diversi francesi nella capitale: Ich gebe mir die Ehre Euerer Excellenz die Abschrift des hier erschienenen Königlichen Dispaccio beizuschliessen, mittels welches die sonst während des Karnevals üblichen maskirten Bälle für dieses Jahr verbothen werden, um statt deren, wie es heißt, sich vielmehr damit, zu beschäftigen von Gott in den gegenwärtigen betrübten Zeit-Umständen die Ruhe Europens zu erlehen, da indessen die Haupt-Absicht dabei wie voriges Jahr jene ist, die Zusammenkunft verdächtiger Leute unter dem Vorwand vom Maskeraden zu verhindern, besonders da wieder mehrere Franzosen hier anwesend sind38. 36 Ivi, cc. 272-273, 28 settembre 1793, c. 273r. Ivi, cc. 283-290, 8 ottobre 1793, cc. 289r-289v. 38 Ivi, cc. 15-17, relazione del 27 gennaio 1794, c. 17r. Vi si legge anche una «Copia del dispaccio comparso in Napoli mediante il quale si divietano le feste in Maschera nel Real Teatro di S. Carlo. Le infauste circostanze, nelle quali si trova l’Europa, e le continue amarissime disavventure, nelle quali è involta gran parte dell’uman genere per la peridia di pochi, tengono non lievemente agitato il pietoso animo del Re; E dettandogli la Sua Religione come il principal mezzo ad estinguere i mali, che anziche ai divertimenti carnevaleschi, si rivolgano in questi tempi i suoi dilettissimi sudditi a far voti all’altissimo per spargere i suoi lumi nelle menti accusate, onde ritorni la 37 Notizie teatrali e musicali nelle lettere di Maria Carolina alla iglia Maria Teresa Non s’intendono queste schegge teatrali se non sull’onda di pensieri ed emozioni altalenanti, entro resoconti che fungono quasi da termometro di una stagione di intense ibrillazioni. Basterebbe vedere quanto riferisce Ferdinando alla iglia in data 7 giugno 1796, rivelando tra l’altro una strategia di controllo altrimenti chiara: Figlia Carissima. Il principio del tuo giorno di nascita jeri si celebrò in famiglia piuttosto allegramente, ma la ine fù ben luttuosa essendoci con staffetta da Venezia pervenuta la nuova di esser stata battuta di nuovo l’Armata di Beauliou (sic) ed i Francesi già padroni di Verona. Figurati la nostra interna costernazione avendo dovuto andare al Teatro per non allarmare il Pubblico, come sarebbe accaduto se non ci fossimo andati39. Mentre insiste su un tono di rassegnazione, da buon cristiano, il re non esita a commentare brevemente la disperazione di una regina «meglio cristiana […], ma […] più viva, e risentita»40: trepidante, malinconica, a volte indignata, Maria Carolina sembra lacerata tra i doveri istituzionali, che imporrebbero di mantenere un atteggiamento tranquillo e di assoluta padronanza anche attraverso la vita dello spettacolo, e l’intima, profonda persuasione che i tempi stiano abbattendo ogni messinscena del potere. Ne fa cenno alla iglia, notando il contrasto tra la «magniicence» e la «gayeté» e un contesto per molti tratti allarmanti: Ajourd’huy c’est le dernier jour de Carneval tout le monde a donneefetes danses gayete le masques ball au theatre sont defendusmeux jamais il n’y a eu tant de fetes et bals magniicence. Je ne sais certes gayete et enviè de depenser d’ou elle provient enin chacun a son gout pour je ne desire que le moment de retourner a Caserte j’ai été deux fois au theatre du fondo et cella m’a suit41. Ed è almeno sintomatico che intorno agli stessi giorni un avviso trascritto richiami l’attenzione sulla necessità di recuperare una funzione educativa alla scena, nel nome del campione della spettacolarità di antico regime: tranquillità ne’ Popoli di Europa, hà comandato, e vuole, che si divietano le Feste in Maschere nel Real Teatro di San Carlo. Ed Io di Real ordine lo partecipo a V. S. Ill.ma per l’adempimento, e dovuta esecuzione. Palazzo, 21 Gennaio 1794. Carlo De Marco». 39 Hhsaw, FA, SB, K. 57, Lettres de Sa Majesté le Roi de Naples 1796 [alt 183], cc. 47r-48r, Napoli, 7 giugno 1796, c. 47r. 40 Ivi, Napoli, 7 giugno 1796, c. 47v. 41 Ivi, cc. 26r-27r, 17 febbraio 1795, cc. 26r-26v. 159 160 Francesco Cotticelli La Compagnia Lombarda ha posto sulle scena tanto in questa Capitale, che nel R.l Sito di Portici il Temistocle del Cel. Ab. Metastasio, e lo ha recitato con una decenza, verità, ed energia, che si è meritata l’universale approvazione. In tal rappresentazione si è conosciuto il merito sublime di quel sommo Drammatico, che ha posti sul Teatro i Personaggi più distinti dell’antichità con un carattere degno di Loro. Sarebbe desiderabile che si continuassero queste rappresentazioni, le quali servirebbero a riformare il corrotto gusto della Scena, ad ispirare virtuosi sentimenti, ad innamorare gli Ascoltatori della Morale, e della Storia. Perciò saria necessario che si dasse l’incarico d’Ispettor dei Teatri ad un Poeta capace di gustare le vere bellezze, per senno e per cognizioni atto a giudicare, ed a porre in Opera ancora, sì nel tragico, che nel Comico, l’arte cotanto dificile di migliorar le Nazioni42. Il topos della decadenza teatrale prende corpo contestualmente al tracollo dell’ancien régime e al rapido sovvertimento degli equilibri politici e ideologici, come se ne costituisse una lettura non meno veritiera, ma almeno sentita come reversibile. Non è solo conferma dell’uso metaforico dello spettacolo, ma del grado di rappresentatività delle forme di una civiltà che si riconosce intorno a quell’oggetto di propaganda, a quella occasione di convivenza. Non senza una punta d’orgoglio, in un momento in cui sembrava ancora di poter dominare gli eventi, la regina aveva scritto alla iglia a Vienna: «nous avons un Opera Bouffa de Paisiello qu’il a donné a Londres et qui fait grand bruit, nous aurons l’opera seria le 12 a St. Charles de Picino (sic) et on attend Cimarosa ainsi les trois meilleurs maitres de musique chez nous»43. Era imminente il debutto dell’Alessandro nell’Indie di Metastasio musicato da Piccinni44 – ulteriore esempio della resistenza del poeta cesareo nei cartelloni sancarliani, insieme con l’Olimpiade del 1793 e la Didone abbandonata di Paisiello nel 179445, ma quantum mutatus ab illo è 42 Hhsaw, FA, SB, K. 56A, Lettres de Particuliers à S.a M.te L’Impératrice 1795 [alt 176], cc. 194-195, 2 febbraio 1795, c. 194r. Cfr. anche f.P. ruSSo (a cura di), Metastasio nell’Ottocento, Roma, Aracne, 2003. 43 Hhsaw, FA, SB, K. 53, Lettres de S. M. la Reine de Naples 1792 [alt 121], cc.6-7, 10 gennaio 1792, c. 6v. 44 L’opera sarebbe andata in scena di lì a pochi giorni; cfr. Alessandro Nell’Indie. Dramma per musica da rappresentarsi nel Real Teatro di S. Carlo nel dì 12 di gennaro 1792 festeggiandosi la nascita di Ferdinando IV nostro amabilissimo sovrano ed alla S.R.M. dedicato, Napoli, Vincenzo Flauto, 1792. 45 Cfr. L’Olimpiade, dramma per musica da rappresentarsi nel Real Teatro di S. Carlo nel dì 30 di maggio 1793 festeggiandosi il glorioso nome di Ferdinando IV nostro amabilissimo sovrano ed alla maestà sua dedicato, In Napoli, presso Vincenzo Flauto, 1793 e Didone abbandonata. Dramma per musica. Da rappresentarsi nel Real Teatro di S. Carlo nel dì 4 di novembre 1794, per festeggiarsi il glorioso nome Notizie teatrali e musicali nelle lettere di Maria Carolina alla iglia Maria Teresa questione sempre fascinosa, e aperta46 –, mentre il titolo buffo cui si fa riferimento è Il fanatico in berlina, già apparso sui palcoscenici londinesi come La locanda, e opportunamente rimaneggiato per un interprete come Antonio Casaccia per il Teatro de’ Fiorentini47. Fiore all’occhiello è il rientro di Domenico Cimarosa, reduce dalla stagione in Russia e, sulla strada verso l’Italia, da un assai proicuo soggiorno nella capitale asburgica, dove era stato data in prima assoluta un’altra opera emblematica di questa in de siècle, Il matrimonio segreto48. Intorno alla messinscena di questo capolavoro si diffusero in brevissimo tempo notizie mitiche, dalle profferte al compositore di incarichi prestigiosi a Vienna alla replica integrale la sera stessa del debutto al cospetto dell’imperatore: furono con ogni probabilità quel che rimase di un impegno politico e propagandistico che trascese un momento artistico del tutto eccezionale, proiettandolo in una dimensione particolare, fra orizzonti d’attesa inediti e metamorismi settecenteschi. Come per il Paisiello londinese, fu il Teatro de’ Fiorentini ad accogliere nel 1793 a Napoli una versione di questo dramma giocoso per musica «compatito […], ma [che] non fece quell’incontro che si credeva»49, a riprova di una combinazione di fattori unica che era dificile a riprodursi altrove, e in un’atmosfera culturale così cangiante. di Sua Maestà la Regina, dedicato alla Real Maestà di Ferdinando IV nostro amabilissimo sovrano. La musica è signor d. Gio. Paisiello maestro di cappella napolitano, all’attual servizio come compositore di camera delle LL. MM., In Napoli, presso Vincenzo Flauto regio impressore, 1794. 46 Cfr. P. Maione, Napoli 1794: la crisi di ine secolo nella Didone di Paisiello, in E. Sala Di Felice, R. Caira Lumetti (a cura di), Il melodramma di Pietro Metastasio la poesia la musica la messa in scena e l’opera italiana nel Settecento, Aracne, Roma, 2001, pp. 537-568, cui si rinvia per la persistenza di Metastasio nei cartelloni sancarliani di ine secolo. 47 Cfr. Il fanatico in berlina. Commedia per musica da rappresentarsi nel Teatro de’ Fiorentini nel carnevale del corrente anno 1792. La Musica è del Sig. D. Giovanni Paisiello, Napoli 1792. Nella Prefazione Giovanni Battista Lorenzi scrive: «Il presente Dramma giocoso fu posto in musica dal nostro Signor D. Giovanni Paisiello sotto il titolo della Locanda, e fu rappresentata in Londra, col generale applauso di quella illustre Nazione. Comparisce adesso sulle scene di questo Teatro de’ Fiorentini col titolo del Fanatico in Berlina, ed io, per aderire alle premure del suddetto Sig. Paisiello [...] mi son data cura di commutare la parte di Arsenio in un misto di toscano, e napoletano [...]». Arsenio era appunto interpretato da Antonio Casaccia. Con il titolo La Locanda l’opera su libretto di Bertati con interventi di Tonioli era andata in scena allo Haymarket di Londra nel 1791. 48 Si veda F. Cotticelli, I segreti del Matrimonio tra Napoli e Vienna, in Domenico Cimarosa: un “napoletano” in Europa cit., vol. I, pp. 293-303. 49 Hhsaw, FA, SB, K. 56A, Lettres de Particuliers à S. M. l’Imperatrice [alt 136], cc. n.n., 16 aprile 1793. Sulla ricezione del Matrimonio segreto su scala europea è in corso un progetto di ricerca a cura dell’Institut für Musikwissenschaft dell’Università di Vienna. 161 162 Francesco Cotticelli D’altronde, la mitologia è anch’essa indizio di un’esigenza forse incompatibile con lo spirito dell’originale collaborazione fra Cimarosa e Bertati, ma estremamente acuta e reale nel frangente che attraversava l’Europa, un dialogo serrato con le ossessioni che avevano nutrito arti e pensiero negli ultimi decenni del Settecento, e l’illusione che se ne potesse ragionare ancora nei modi e nelle forme collaudate da secoli. Qualcosa del vecchio mondo sopravvive o riafiora a tratti, mettendo in discussione le dinamiche dello spettacolo come instrumentum regni o l’integrazione della gente di palcoscenico nel tessuto sociale delle capitali del continente. A fronte dell’ammirazione per i maestri di cappella (sempre più distanti da un artigianato e sempre più testimoni di un potere da esibire anche nei termini della clemenza e della riammissione), rispondendo a un rilievo mosso probabilmente dall’imperatrice in una delle sue lettere la regina di Napoli si lascia andare a un commento che va al di là dell’ennui e riassume il disprezzo per ballerine e performers in generale: je vois aussy come vous penses sagement sur les ballets indecents jusque yà la ridicule reputation de cette danseuse et venue, j’ai toute ma vie une anthipatie mepris decidé pour les gens de theatre Casperl Hannsswurst ou ces danseuses c’est de meme histrioni gens mercenaires paye pour amuser le dernier des humain le Boureau meme s’il leur paye l’entree avec la diference que les premieres ne procurent que la risée et les autres cherchent a corompre seduire les mœurs et sont des gens meprisables et dangereuses […]50. Ma qui il disprezzo si nutre anche di contingenze precise, lo “scandaloso” debutto a Vienna di Viganò e della moglie, la bellissima danzatrice spagnola Maria Medina, che – a giudicare dalla lettura tra le righe – non fu solo discutibile per il suo indubbio tratto provocatorio51, ma anche perché al centro di interessi illeciti dell’imperatore, come si desumerebbe dai consigli accorati della regina 50 Hhsaw, FA, SB, K. 55, Lettres de S. M. la Reine de Naples 1793 [alt 138], cc. 145r-146r, 16 luglio 1793, cc. 145r-145v. 51 Hhsaw, FA, SB, K. 54, Lettere di S. M. il Re di Napoli 1793 [alt 134], cc. 60r-61v, Napoli 16 luglio 1793: «Vedo quanto mi dici del ballo che ai (sic) veduto della Viganò (sic) che Gallo già mi descrisse, e che non ostante che costì abbia fatto fanatismo dev’essere una cosa ben laida, ed indecente» (c. 61r). Di Gallo, nipote di Domenico Caracciolo, e ambasciatore di Napoli presso la corte asburgica, esiste anche la corrispondenza con la regina; cfr. Correspondance inédite de Marie-Caroline Reine de Naples et de Sicile avec le Marquis de Gallo. Publiée et annotée par le commandant M.H. Weil et le Marquis de Somma Circello, 2 tomi, Emile Paul, Paris, 1911. Notizie teatrali e musicali nelle lettere di Maria Carolina alla iglia Maria Teresa je ne vous tromperois point, j’avois entendue parler de la Viganoni, come de votre entrée au Conseil d’Etat, et Affaires, Cette derniere histoire a été même imprimé dans plusieurs facettes, italienes, allemandes, et françoises, je n’ai point crue ni l’une ni l’autre, pour la Viganoni je connois la Religion, vertus, et probité de votre cher mary, il ne sera pas facilement seduit, surtout si vous continuez toujours a tacher de lui être agréable, d’une Compagnie sure, douce, et de le tenir eloigné de la mauvaise Compagnie, de jeunes gens dessolus, votre mary a des qualités rares pour un jeune homme, et je l’ai admiré lors de mon sejour de Vienne pour son honêteté, modeste, et vertus, ainsi je n’y ai point crue, mais j’espere que jamais vous n’admitterez gens de theatre prés de vous c’est tojours le rebut, classe la plus ville, et pour moi je les meprise souverainement. Pour l’entrée aux affaires, je ne l’ai point crue, comoissant la cour de Vienne la façon comme sont montès les affaires […]52. Il ritorno del pregiudizio antiteatrale si nutre qui di un’aura di sospetto comprensibile per le circostanze, ma in fondo identiica nella libertà, nel nomadismo, nell’incessante ricerca di favori cui la categoria si dedica nel corso di un’intera carriera una serie di valori che tanto le corti aristocratiche quanto i pubblici borghesi continuano a considerare in maniera ambigua, pronti a ravvivare antiche riserve o ad afidarsi al glamour di personaggi e situazioni per i propri disegni. Ma a quest’altezza è chiaro che la corruzione è altrove: è in uno scarto fra realtà e racconto che si va facendo incolmabile. Il «Carneval […] assez gay»53 e il «ball masque»54 cui si accenna in un testo del primo marzo del 1800 appartengono a quelle informazioni sempre più laconiche accompagnate dal ricordo di cadenze regolate e ordinarie, di programmi «chaque jour»55: anni dopo, nel 1804, prima di una novella catastrofe, si parla di «deux oratories bone musique et des Comedies Lombardes assez 52 Hhsaw, FA, SB, K. 55, Lettres de S. M. la Reine de Naples 1793 [alt 138], cc. 200-206, 5 ottobre 1793, c. 200v-201r. Per una contestualizzazione degli eventi si vedano F. Hadamowsky, Die Wiener Hoftheater (Staatstheater) 1776-1966, Georg Prachner Verlag, Wien, 1966, nn. 928 e 1108 (furono rappresentati a Vienna da Viganò Raoul Herr von Krecki oder Die verhinderte Grausamkeit e Die Tochter der Luft, oder Die Erhöhung des Semiramis ); Id., Wien: Theatergeschichte, Jugend und Volk, Wien-München, 1988; J.A. Rice, Emperor and Impresario: Leopold II and the Transformation of Viennese Musical Theater, 1790-1792, UMI Dissertation, 1987. 53 Hhsaw, FA, SB, K. 61, Lettres de S. M. la Reine de Naples 1793 [alt 231], cc.15r-18r, 1 marzo 1800, c. 17r. 54 Ibidem. 55 Hhsaw, FA, SB, K. 61, D. Carolina von Neapel an D. M. Theresia 1804 [alt 260/2,3], cc.105r-105v, 2 ottobre 1804, c. 105v. 163 164 Francesco Cotticelli bones»56 per marzo, mentre a Ottobre «ey (sic) Portici [...] il y a un theatre assez jolie faite (sic) dans le manege ou on change de pres chaque jour musique prosa Polichinella»57, con una signiicativa escursione fra generi sempre in voga ribadita solo qualche settimana dopo: Notizie teatrali e musicali nelle lettere di Maria Carolina alla iglia Maria Teresa L’illusione, un momentaneo charme, giorni che passano l’uno come l’altro: una storia, e una scena, pubblica e privata insieme che han smarrito il senso delle cose, e ne cercano altri, intarsiando secondo vecchi calendari «musique, prosa, Polichinelle». je fais ma vie reguliere (sic) un jour come (sic) l’autre promenade quande ma pausse me le permit le soir spectacle car chaque jour il y en a un autre sort musique prose pulicinella, Paesiello est retourne de Paris n’ayant pas voulus (sic) y rester malgré toutes les promesses […]58. Anche il ritorno di Paisiello da Parigi, che avrebbe potuto aprire in privato una pagina polemica su un’ulteriore declinazione di «gens dangereuses» o quanto meno inafidabili, cade nella constatazione di un dato ineluttabile59. È un’altra passione quella che traspare da queste lettere tarde e per via di musica e teatro trova a tratti espressione, l’estremo dominio, o la rinuncia alle passioni, specchio deformante di un coinvolgimento politico che dové continuare tra mille incertezze e sofferenze. La regina scrive alla iglia del re Ferdinando, un uomo fattosi meno gaudente e più tormentato («votre cher Pere [...] a perdus gayete, bonne humeur, il ne peut se voire a Naples il ne soupire que pour retourner en Sicile, et la diiculte de gouverner d’une isle le Continent, lui donne bien de l’humeur, il ne jouit plus de fetes bals theatre, il est en un mot tres changé, mais grace a dieu bien portant [...]»60), ma non è meno penetrante il ritratto che dà di sé a un cembalo riscoperto per ritrovare piaceri del passato: j’ai repris le clavessin en honneur d’un tres beau clavesin que j’ai aporté de Vienne de Walter et qui a un ton superbe mais je joue Alceste le Terzetto et L’illusion de cette musique me charme pour des moments enin un jour passe comme l’autre [...]61. Ivi, cc. 21r-21v, 6 marzo 1804, c. 21r. Ivi, cc.105r-105v, 2 ottobre 1804, cc. 105r-105v. 58 Ivi, cc. 111r-112r, 23 ottobre 1804, cc. 111r-111v. 59 Cfr. ivi, cc. 113r-114v, 27 ottobre 1804: «Paesiello est retourne de Paris et m’a dit qu’avant son de part il avoit de vous recut l’ordre deurie (sic) compozer un opera intitule la Corona del merito o sia il Torquato Tasso et deseroit savoir si vous la comandez encore dans ce cas ce seroit son premier ouvrage si non il euroit parir les nombreuses Campions (sic) qu’il recoit […]». 60 Hhsaw, FA, SB, K. 62 [alt 257/1-4], cc. 13-19, 19/1/1803, c. 18r. 61 Ivi, c. 13v. Più forti accenti di disperazione le lettere successive: a titolo d’esempio, quello che la regina scrive il 22 marzo 1810 a Ruffo, sulla ineluttabilità di «baisser la tête aux décrets de la divine Providence; voilà ce que je puis faire; voilà 56 57 tout, tout, et tout ini. Moi, plus aucun espoir ; rien», cit. in E.C. Conte Corti, Ich, eine Tochter Maria Theresias cit., p. 768. 165 Paola Zito MARIA CAROLINA E LA SUA BLAUE BIBLIOTHEK Sommario: Circa tremilanovecento volumi in lingua tedesca di piccolo formato, risalenti all’ultimo quarantennio del Settecento e al primo quinquennio dell’Ottocento, prevalentemente rilegati in cartoncino bleu gris, rappresentano quanto ci è pervenuto della raccolta privata di Maria Carolina. Ad eccezione di un piccolo nucleo conservato alla Palatina di Caserta, fanno ora parte dei fondi della Nazionale di Napoli. “Schofelbibliothek” fu a suo tempo ritenuta dai visitatori che ebbero modo di esaminarla, e il loro giudizio fu sostanzialmente sottoscritto da Benedetto Croce, che tuttavia ne riconobbe il carattere di assoluta originalità. L’analisi quantitativa dei titoli conferma la massiccia incidenza della letteratura di largo consumo, romanzi soprattutto. Il riscontro effettuato, sia pure a campione, sulla base dei cataloghi on line di recente approntati in Germania (VD 18 in primis), conferma l’estrema rarità di una quantità tutt’altro che trascurabile di esemplari contenuti nella collezione della regina. Parole chiave: Storia del libro, Storia delle biblioteche, Germania, Settecento. maria carolina and her blaue bibliotheK abStract: Almost three thousand nine hundred volumes in German language of small format, edited in the last fourty years of 18th century, predominantly bound in bleu gris cardboard, represent the remaining private collection owned by Maria Carolina. Except a little nucleus preserved at the Royal Palace Library in Caserta, the majority of these volumes are now among the collections of the National Library of Naples. It was considered a “Schofelbibliothek” by the visitors that had the opportunity to examine it, and their judgment was substantially underlined by Benedetto Croce, who nevertheless recognized the character of an absolute originality. The quantitative analysis of the titles conirms the thick incidence of “bestseller” literature, novels above all. The effected comparison, as a sample, on the base of the online catalogs recently completed in Germany (VD 19 in primis), conirms the extreme rarity of a quantity far from insigniicant in the Queen’s collection. KeywordS: History of Book, History of the Libraries, Germany, Eighteenth Century. 168 Paola Zito Maria Carolina e la sua Blaue Bibliothek Si Peau d’Ane m’était conté J’y prenderai un plausi extrême Le monde est vieux, dit-on; je le crois, cependant Il le faut amuser comme un enfant J. de La Fontaine Dalla ormai classica monograia di Genette1 in poi, sulla base di un nutrito ilone di studi in proposito, che gli apparati paratestuali rivestano un ruolo nevralgico nella storia del libro, dell’editoria e della lettura, è adesso un dato assolutamente acclarato2. Soglie che non soltanto contengono e delimitano il messaggio testuale, ma ne costituiscono l’aspetto, la concretezza, la forma, destinata a far breccia nella percezione e nell’immaginario collettivo. Protagoniste incontrastate sulla scena del primo impatto col potenziale acquirente, e non solo. Specchio e caratteri di stampa, dediche, avvisi al lettore, illustrazioni, indici, rappresentano gli elementi indispensabili di una soisticata alchimia, discreta e impalpabile quanto energica e incisiva. Ma c’è dell’altro. Prima ancora che il prodotto appena licenziato dai torchi tipograici sia stato aperto e sfogliato, la fase aurorale dell’impatto è afidata alla natura del formato3 e alla isionomia del- la legatura, qualora presente (ben rara, come è noto, in antico regime). Le dimensioni – da grosso tomo in folio a volumetto di pochi centimetri quadrati, dall’8° in giù – fanno davvero la differenza nel sempre più variegato ed esteso orizzonte della fruizione, e altrettanto rilievo assume l’eventuale involucro, la cui consistenza, il cui spessore, il cui colore, si rivela un autentico concentrato di segnali. Già, il colore. Grazie a contributi storiograici più o meno recenti, è ormai universalmente conosciuta la straordinaria fortuna di cui, agli albori del Seicento, ebbe a godere l’intuizione di Nicolas Oudot, uno stampatore francese attivo non a Parigi a Lione o a Rouen, ma a Troyes, un piccolo centro della Champagne. Il suo nome e la sua fama sono legati a quella iniziativa editoriale nota come Bibliothèque bleue, destinata a una rapida espansione dalla periferia al centro dell’intera nazione, e a una capillare diffusione nelle città e nelle campagne4. Il meccanismo ben organizzato e presto perfettamente rodato del colportage5 garantiva la circolazione di una merce offerta pressoché a prezzo di costo, dunque in grado di interessare anche acquirenti semialfabetizzati e poco abbienti, attratti dalla combinazione singolare (nonché plurale!) di seduzione e convenienza. Almanacchi, calendari, lunari, agiograie, libretti devozionali, manualistica divulgativa di facile approccio, favole, iabe e féeries di ogni sorta, qualche grammatica, qualche dizionario, e soprattutto storie narrate. Racconti, novelle e romanzi, vecchi e Abbreviazioni utilizzate: Bnn: Biblioteca nazionale di Napoli; Bpc: Biblioteca palatina di Caserta. 1 G. Genette, Soglie. I dintorni del testo, trad. it., Einaudi, Torino, 1989. La prima edizione in lingua originale appare nel 1987. 2 Al riguardo si vedano almeno R. Chartier, Culture et societé. L’ordre des livres (XIe-XVIIIe siècle), Michel, Paris, 1996, pp. 81-106; M. Santoro, Appunti su caratteristiche e funzioni del paratesto nel libro antico, «Accademie e Biblioteche d’Italia», LXCVIII, 1 (2000), pp. 5-38; M.A. Terzoli (a cura di), I margini del libro. Indagine teorica e storica sui testi di dedica, Atti del Convegno Internazionale, Basilea, 21-23 novembre 2002, Antenore, Roma-Padova, 2004; M. Santoro, Andar per dediche, in B. Antonino, M. Santoro, M.G. Tavoni (a cura di), Sulle tracce del paratesto, Bononia University Press, Bologna, 2004, pp. 19-29; M. Paoli, Ad Ercole Musagete. Il sistema delle dediche nell’editoria italiana di antico regime, in M. Santoro (a cura di), I dintorni del testo. Approcci alle periferie del libro, Atti del Convegno Internazionale, Roma-Bologna, 1519 novembre 2004, Edizioni dell’Ateneo, Roma, 2005, vol. I, pp. 149-165. 3 In proposito mi limito a rinviare, oltre che all’ormai classico saggio di A. Petrucci, Alle origini del libro moderno. Libri da Banco, libri da bisaccia, libretti da mano, in Id. (a cura di), Libri, lettori e pubblico nel Rinascimento, Laterza, Roma-Bari, 1979, pp. 137-156, a R. Chartier, Letture e lettori «popolari» dal Rinascimento al Settecento, in G. Cavallo, R. Chartier (a cura di), Storia della lettura nel mondo occidentale, trad. it., Laterza, Roma-Bari, 1995, 317-335; a D. Julia, Letture e Con- troriforma, ivi, pp. 277-316, nonché a P.F. Grendler, Form and function in Italian Renaissance Book, «Renaissance Quarterly», XLVI, 3 (1993), pp. 451-485; a A. Manguel, Una storia della lettura, trad. it., Mondadori, Milano, 1999, pp. 135 sgg.; a R. Ago, Il gusto delle cose. Una storia degli oggetti nella Roma del Seicento, Donzelli, Roma, 2006, pp. 206-209. 4 Tra i principali studi al riguardo: R. Mandrou, De la culture populaire aux XVIIe et XVIIIe siècles: la Bibliothèque bleue de Troyes, Imago, Paris, 19992 (I ed. 1964); G. Bollème, La littérature populaire en France du XVIe au XIXe siècle, Julliard, Paris, 1971; Ead., L. Andries (a cura di), Contes bleus, Montalba, Paris, 1983, e a cura delle medesime, il più recente La Bibliothèque bleue: Littérature de colportage, Robert Laffont, Paris, 2003; R. Chartier, «Lectures paysannes». La bibliothèque de l’enquête de Grégoire, «Dix-Huitième siècle», XVIII (1986), pp. 45-65, e L’ordre des livres, Alinéa, Aix en provence, 1992 (in particolare le pp. 13-33). Inoltre, G. Dotoli, Letteratura per il popolo in Francia (1600-1750). Proposte di lettura della «Bibliothèque bleue», Schena, Fasano, 1991. 5 Si veda quanto scrive Isabelle Masse, Bibliothèque bleue et littérature de colportage, «Bulletin des Bibliothèques de France», 2 (2000), consultabile on line al sito <http://bbf.enssib.fr/consulter/bbf-2000-02-0103-005>, e l’intero volume T. Delcourt, É. Parinet (a cura di), Bibliothèque bleue et littératures de colportage. Actes du Colloque, Troyes, 12-13 novembre 1999, École Nationale des Chartes-La Maison de Boulanger, Paris-Troyes, 2000. 1. La longue durée di una scelta cromatica 169 170 Paola Zito nuovi, prevalentemente cavallereschi, arricchiti da poche rafigurazioni xilograiche tratte da legni per lo più logorati dalla costante pratica del riuso6. Letture dal sapore inequivocabilmente “popolare”, rigorosamente in volgare, tuttavia spesso rinvenute anche nelle librerie di aristocratici (compresa madame de Pompadour, donna celebre anche per la sua rafinata cultura) e di intellettuali7, costituiscono il nerbo di un catalogo che, in Francia e altrove, autentica fenice tipograica, rinasce di continuo dalle sue ceneri, tramandando i suoi titoli – non senza opportune e oculate variazioni sul tema – di generazione in generazione. Tutte puntualmente confezionate con cartoncino blu piuttosto sottile e di scarso valore. Quel blu – sia detto per inciso – cui la moderna Farbenpsychologie tende a conferire le proprietà della pacatezza, del potenziamento della fantasia e dello slancio verso le vette dell’astrazione. In questo caso, però, non si tratta di un blu deciso né di un azzurro intenso, ma di un indeinibile bleu gris, incline a sbiadirsi ben più facilmente di altre tinte. Né giorno, occupato dall’incombere delle fatiche quotidiane, né notte, destinata al riposo, ma ad essere evocate sembrano le sfumature cangianti del cielo all’imbrunire, proprio quando la luce si va afievolendo e, terminato il lavoro dei campi, giunge l’ora del rientro, del raduno, della convivialità. E dell’ascolto. Ascolto di storie lontano-vicine – distanti dalla realtà vissuta e radicate nel fondo atavico della fantasia collettiva – che predispongano alla serenità del sonno e alla proliferazione dei sogni, rinnovando tutte le sere l’intimo sodalizio, implicito quanto duraturo, di oralità e scrittura/lettura8. Come se ciascuno di quei libretti fosse percorso da un sottile il rouge accordato sul metro della lasse, il ritmo intriso 6 Cfr. M.D. Leclerc, À la recherche du livre perdu: identiication de quelques bois gravés dans la Bibliothèque bleue de Troyes, in Bibliothèque bleue et littératures cit., pp. 109-130. 7 Rinvio al contributo di H. Blom, La présence des romans de Chevalerie dans les bibliothèques privées de XVIIe et XVIIIe siècle, ivi, pp. 51-63, nonché alle segnalazioni bibliograiche cui rimanda. 8 Cfr. R. Chartier, Lecture et lecteurs dans la France d’Ancien Régime, Éditions du Seuil, Paris, 1987 (trad. it. Einaudi, Torino, 1988); dello stesso, Libres bleus et lectures populaires, in Id., H.J. Martin (a cura di), Histoire de l’édition française, II, Le livre triomphant. 1660-1830, Fayard, Paris, 19902, pp. 657-673; G. Dotoli, La civil conversazione nella «Bibliothèque bleue», in N. Panichi (a cura di), L’antidoto di Mercurio. La «civil conversazione» tra Rinascimento ed età moderna, Olschki, Firenze, 2013, pp. 249-260. Maria Carolina e la sua Blaue Bibliothek di assonanze che caratterizzava gli antichi cantari della chanson de geste dall’inequivocabile etimologia, che di lassitude e spossatezza era infallibile rimedio. Se il Seicento è stato non a torto deinito «gran secolo del romanzo»9, il Settecento non è certo da meno. Al contrario, il genere consolida e ampliica le sue fortune editoriali sull’intero palcoscenico dell’Europa occidentale, appagando l’istanza crescente di un pubblico ansioso di accoglierne gli esiti in un orizzonte d’attesa sempre più esteso e articolato. Autori, curatori e traduttori, spesso al femminile, talvolta celati dietro l’anonimato o il ricorso ad arditi pseudonimi, lavorano alacremente alla fabbrica delle storie, sul ilo di inesauste variazioni sul tema, astenendosi dal rivendicare con energia la paternità (o la maternità) dei loro testi, piuttosto dandoli volentieri in adozione alla comunità dei lettori, ormai di respiro internazionale, purché perseveri nel gradirne formula e forma. Eroi ed eroine di ogni età e ogni condizione percorrono così l’eterno ritorno della loro parabola, volta a trascendere i vincoli dell’hic et nunc nel rilesso di un archetipo metatemporale, usurato eppure mai logoro, come usurate e ancora in grado di essere opportunamente riciclate risultano le matrici xilograiche che a volti, igure e paesaggi fanno da specchio. Opacità e approssimazione non sono un difetto, anzi, sembrano rappresentare un incentivo per l’autonoma rielaborazione che presiede al meccanismo della singola interiorizzazione10. Pietre lucenti senza essere preziose, il più delle volte non levigate alla perfezione, puntualmente inclini a comporsi in collana, sia pure in situazioni e in ambienti i più disparati, sotto torchi diversi e distanti fra loro. E la Germania, la cui editoria è all’epoca più lorida e vitale che mai11, non fa minimamente eccezione. Alla francese Bibliothèque universelle des romans, che dal 1775 alla vigilia della rivoluzione 9 M. Santoro, Storia del libro italiano. Libro e società in Italia dal Quattrocento al nuovo millennio, Bibliograica, Milano, 20082, pp. 198 sgg. 10 Per un analogo impiego delle illustrazioni a stampa sebbene si tratti di un differente contesto, mi sia consentito rinviare, in proposito, al mio In carta ed ossa. Le immagini femminili nei libri a stampa del Mezzogiorno rinascimentale, Fabrizio Serra, Pisa-Roma, 2013, pp. 57-66. 11 Sui centri editoriali tedeschi, sulle più solide ‘dinastie’ di stampatori e sulla loro capacità di diffusione anche a medio e largo raggio – oltre che sull’indiscusso primato settecentesco di Lipsia, ci si limita in questa sede a rinviare alla “grande opera” coordinata da Bernhard Fabian in trenta volumi intitolata Handbuch deutscher historischen Buchbestände in Europe: Eine ฀bersicht über Sammlungen in ausgewälten Bibliotheken, Olms-Weidemann, Hildesheim-Zurich-New York, 1992-2001. 171 172 Paola Zito diffonde con periodicità regolare oltre duecento titoli12, poco dopo tradotti anche in inglese, e alle analoghe iniziative italiane13, fa presto riscontro la tedesca Bibliothek der Romane, nonché la Blaue Bibliothek aller Nationen, nell’ordito di un résau14 che ripropone Amadigi di Gaula e Palmerin de Oliva15 accanto ad altri cavalieri, Ritter forse meno “attempati” ma non certo meno coraggiosi e meno inclini all’avventura, innamorati di fanciulle nobili e infelici, in perenne cimento contro vecchi e nuovi nemici, e contro vecchi e nuovi fantasmi. Imprescindibile, nel confezionare ogni perla di ogni collana, il ricorso all’esile cartoncino blu, o meglio bleu gris, per la legatura. In qualche modo in penombra rispetto allo sfolgorio del pensiero dei lumi, il proilo di queste collezioni contribuisce in misura determinante a restituire il mosaico complesso e chiaroscurale che gli storici del libro e della lettura tentano di ricomporre. Fondamentali, dunque, si rivelano i progetti di ricognizione catalograica on line e di digitalizzazione16, in grado di sottrarre all’irreperibilità e alla dispersione titoli spesso sopravvissuti in esemplari unici, per lo più in stato di conservazione per niente buono. Prova ulteriore, del resto, dell’intensità del loro consumo. 2. Mein geliebtes Vaterland Quasi tremilanovecento titoli, per un totale di circa seimilacinquecento volumetti – cui va aggiunta la cospicua presenza di periodici (oltre quattrocento numeri) – che, con poche eccezioni, oscillano fra l’8° e il 12°, prevalentemente rilegati in cartoncino bleu gris, 12 Si veda R. Poirier, La bibliothèque universelle des romans, Droz, Genève, 1977. Inoltre, A. Sauvy, Le livre aux champs, in Histoire de l’édition française cit., vol. II, pp. 559-578. 13 Si veda almeno D. Mangione, Prima di Manzoni. Autore e lettore nel romanzo del Settecento, Salerno editrice, Roma, 2012. 14 Il riferimento è al denso e ben impostato F. Barbier, S. Juratic, D. Varry (a cura di), L’Europe et le livre. Résaux et pratiques du négoce de librairie XVIe-XIXe siècles, Klincksieck, Paris, 1996. 15 Cfr V. Sigu, Médiévisme et Lumipres. Le Moyen Age dans la bibliothèque universelle des romans, Voltaire Foundation, Oxford, 2013. 16 In proposito F. Jannidis, G. Lauer, A. Rapp, Hohe Romane und blaue Bibliothek. Zum Foschungsprogramm einer Computergestützten Buch- und Narratologiegeschicte des Romans in Deutschland (1500-1900), in M. Stolz, L.M. Gisi, J. Loop, Literatur und Literatuwissenschaft auf de meg zu den neuen Medien, Germanistik. ch., Bern, 2007, pp. 43-58. Maria Carolina e la sua Blaue Bibliothek costituiscono la testimonianza tuttora tangibile e consultabile della raccolta dei libri tedeschi appartenuti a Sua Maestà la regina Maria Carolina d’Asburgo, dal 1768 consorte di Ferdinando di Borbone17. Attualmente sono in prevalenza conservati tra i fondi della Biblioteca Nazionale di Napoli, nonostante un piccolo nucleo (ventuno tomi18) sia ancora ospitato dagli scaffali della Palatina di Caserta19. Una sala di modeste dimensioni, fra le tante ben più grandi e fastose di quella prestigiosa e rafinata casa di re20, era stata la loro destinazione originaria, come inequivocabilmente risulta dai resoconti a stampa di due autorevoli viaggiatori, Johann Isaac von Gerning e August von Kotzebue. Stando alle annotazioni che redige il primo, autore di una Reise durch Ōsterreich und Italien21, per la sovrana la inalità del possesso di quella gran quantità di merce, a suo avviso di assai scarso valore, sarebbe prevalsa nettamente sull’obiettivo della fruizione. Un angolo di oggetti provenienti dalla amata terra natia, richiesti, accolti e accumulati sull’onda di un sentimento nostalgico, piuttosto che per interesse e curiosità alla lettura. Rincara la dose, da parte sua, il Kotzebue le cui Erinnerungen von einer Reise auf Lieland nach Rom und Neapel22 sottolineano tutto lo sconcerto nei confronti di una autentica Schofelbibliothek, assolutamente indegna della iglia dell’imperatrice Maria Teresa. Il suo giudizio è esplicito e drastico, sebbene la responsabilità di 17 Mi sia consentito, in prima istanza, il rinvio a I libri della regina. La Biblioteca privata di Maria Carolina d’Asburgo, a irma di Marcello Andria e di chi scrive, apparso in M.C. Misiti (a cura di), Collezionismo, restauro e antiquariato librario, Convegno internazionale di studi, Spoleto, 14-17 giugno 2000, Sylvestre Bonnard, Milano, 2002, pp. 109-141, e, dei medesimi autori, Sammlung Marie Karoline von Ōsterreich, in Handbuch deutscher historischen Buchbestände cit., vol. IX (2001), pp. 339-344. Si veda inoltre il precedente lavoro di L. Tresoldi, La biblioteca privata di Maria Carolina d’Austria regina di Napoli. Cenni storici, Bulzoni, Roma, 19722. 18 Censiti nella tesi di laurea quadriennale di Sara Leonetti, La raccolta tedesca di Maria Carolina d’Austria nella Biblioteca Palatina della Reggia di Caserta, discussa al termine dell’anno accademico 2005-2006 presso la Facoltà di Lettere e Filosoia della Seconda Università di Napoli, relatrice chi scrive. 19 Cfr. G. De Nitto, La Biblioteca Palatina della Reggia di Caserta: la collezione bodoniana, «Rara volumina», 2 (1996), pp. 75-84. 20 Il riferimento è a R. Ciofi (a cura di), Casa di Re. Un secolo di storia alla Reggia di Caserta, 1752-1860, catalogo della mostra (Caserta, Palazzo Reale, 8 dicembre 2004 – 13 marzo 2005), Skira, Milano, 2004. 21 Testo edito a Francoforte presso il Wilmans nel 1802. Un esemplare con dedica alla regina, con ogni probabilità autografa, igura nel fondo napoletano, con segnatura M.C. 1963. 22 A. von Kotzebue, Erinnerungen von einer Reise auf Lieland nach Rom und Neapel, Frölich, Berlin, 1805, vol. I, p. 334. 173 174 Paola Zito una così incauta e triviale selezione bibliograica ricada, a suo parere, su mediatori incapaci (a Napoli) e librai avidi di guadagno (in Austria e in Germania, non univocamente identiicati)23, non sulla destinataria. L’entità del disappunto sarà stata tale da impedirgli di notare che ben venti edizioni delle sue opere24, principalmente di ambito teatrale, vi erano da tempo pervenute e vi permanevano ben allineate sugli scaffali. Una disamina più accurata gli avrebbe forse suggerito maggiore moderazione... Le visite dei due connazionali di Sua Maestà si veriicano tardi, in una fase terribilmente delicata e precaria per il paese e per la dinastia, a breve distanza dal “terremoto” del ’99 e pressoché alla vigilia del nuovo, questa volta irreversibile cataclisma (almeno per lei), che vede i Napoleonidi sostituire le legittime teste coronate di mezza Europa. A queste ultime, Borbone compresi, non resta che la fuga, nel tentativo di mettere in salvo la vita e quanto di più prezioso fosse in loro possesso, oro, gioielli, opere d’arte. E i libri? Non i codici miniati né gli incunaboli né le più rare editiones principes, ma gli umili esemplari della Blaue Bibliothek in un simile frangente a quale sorte possono venire destinati? Pare che Maria Carolina non intendesse separarsene in alcun modo, e che sia riuscita a farli stivare nelle navi che trasportavano i tesori dei sovrani a Palermo, almeno in prima istanza. Ma il dato è controverso: Carolina Murat al suo arrivo nella reggia vanvitelliana afferma di non averne rinvenuta traccia25 e l’inventario dei beni della corona (patrimonio bibliograico compreso) che viene redatto nel capoluogo siciliano non ne fa minima menzione26. Forse perché ritenuti di troppo scarso valore per essere accostati al resto delle collezioni? A Vienna, che raggiungerà a fatica nel 1813, di sicuro Maria Carolina non troverà la maniera di trasferirli e così, durante gli ultimi 23 Investita dell’incarico, fra gli altri, pare sia stata la contessa von Lerchenfeld, amica della regina. 24 Alle diciannove attualmente conservate alla Nazionale di Napoli va aggiunta la stampa degli Schauspiele apparsa a Lipsia presso il Kummer nel 1797, appartenente ai fondi della Bpc, con segnatura 1977. 25 Cfr. F. De Filippis, Il palazzo reale di Caserta e i Borboni di Napoli, Di Mauro, Cava dei Tirreni, 1968, p. 84. 26 Si tratta del Catalogo della Biblioteca Privata di Sua Maestà il Rè, reso noto a Palermo nel 1808. Al riguardo G. De Nitto, La Biblioteca Palatina del Palazzo Reale di Caserta, Istituto Poligraico dello Stato, Roma, 19942, pp. 14-17. Dello stesso si veda anche La Reggia di Caserta, Bonechi, Firenze, 1998. Maria Carolina e la sua Blaue Bibliothek anni, il distacco dalla sua raccolta di volumetti blu costituirà probabilmente la rinuncia all’ennesima rassicurazione e all’ennesimo punto di riferimento. Dopo la Restaurazione, di testi tedeschi contenuti nella Biblioteca Borbonica, tanto nel settore pubblico che in quello privato, si torna a parlare a varie riprese. Testimonianze che indurrebbero a ipotizzare smembramenti, ricongiunzioni, interpolazioni di varia natura. Un cospicuo segmento dei libri bleu gris della regina appare descritto nel corposo manoscritto, conservato presso la Nazionale di Napoli con segnatura IX. AA. 54, da Pelagio Rossi, su commissione dell’allora prefetto Antonio Scotti. La conclusione del lavoro data al 24 novembre 1829. Per quanto utile, è solo un fotogramma di uno status quaestionis destinato, soprattutto a seguito degli eventi postunitari, ad ulteriori trasformazioni, per giunta scarsamente documentate e molto dificilmente ricostruibili. Sta di fatto che, negli anni Venti del secolo scorso, con l’insediamento dell’ingente patrimonio librario trasferito dal Palazzo degli Studi presso l’attuale sede di Palazzo Reale, una sala del secondo piano viene destinata a tutto quel che resta dei volumi appartenuti alla consorte di re Ferdinando27, accorpati anche i residui ino ad allora depositati alla Biblioteca Universitaria28, fatta eccezione per l’esiguo segmento casertano. 3. I libri della regina Il parere stroncatorio a suo tempo espresso dal Kotzebue viene sottoscritto e ribadito, a più di un secolo di distanza, da Benedetto Croce29, che inoltre avvalora l’ipotesi avanzata dal Gerning, secondo cui, dal punto di vista della sovrana, la inalità del mero possesso prevalesse sull’uso vero e proprio come, del resto, nella 27 Una prima catalogazione dell’intero fondo venne afidato negli anni ’30 dal direttore dell’istituto, Gaetano Burgada, a Emilia Nobile che lo completava dopo la ine del secondo conlitto mondiale, nel 1953. Nuovo intervento sui materiali viene condotto nel biennio 1986-87 da Marcello Andria e da chi scrive. 28 Cfr. M. Ortiz, La Biblioteca Nazionale di Napoli e il suo trasporto a Palazzo Reale, in Atti del I Congresso mondiale delle biblioteche e di bibliograia, Roma-Venezia, 30 giugno 1929, Libreria dello Stato, Roma, 1931, pp. 349-370. 29 La biblioteca tedesca di Maria Carolina d’Asburgo regina di Napoli, pubblicato in tre parti su «La Critica», XXXII, nn. 1, 5 e 7 (1934), rispettivamente alle pp. 71-77, 233-240, 310-317, riapparso in maniera unitaria in Aneddoti di varia letteratura, Laterza, Roma-Bari, 19542, pp. 242-273. 175 176 Paola Zito consuetudine di tanti collezionisti. Una più che attendibile conferma proviene dall’esame dei venticinque volumi dei quali si compone il Journal della regina – un Journal intime cui, dal 1786 al 1811, fu afidata una itta rete di pensieri, di impressioni, di rilessioni di varia natura – dove il ilosofo di annotazioni relative ai libri tedeschi ne rinviene soltanto una, a fronte di non poche riferite a testi in francese. Testi con ogni verosimiglianza consultati e comparati in rapida successione, mettendo semplicemente in moto il meccanismo dei suoi famosi leggii girevoli30, allora così alla moda. Impossibili sarebbero veriiche ulteriori nel merito, dopo la pressoché totale distruzione dell’intero diario, dal 1930 conservato presso l’Archivio di Stato di Napoli, coinvolto quindi nelle infauste vicende che, nel corso della seconda guerra mondiale31, di quell’Istituto colpirono – come è noto – i materiali di maggior pregio. Decisamente una Schofelbibliothek giudica dunque le quasi quattromila edizioni rilegate in bleu gris anche il Croce che, dopo averle attentamente esaminate, riconosce, quasi suo malgrado, la rarità e il grande interesse storico di una raccolta “unica”, almeno in Italia32. Le stampe restituiscono uno spaccato di circa un cinquantennio, dai primi anni Sessanta del Settecento – quindi ben prima del matrimonio con Ferdinando, forse già in suo possesso o, più probabilmente, ancora in commercio e spedite insieme a titoli più recenti – agli albori del secolo successivo. Del tutto prevedibilmente, oltre un terzo è costituito da opere di narrativa33, racconti, novelle, ma principalmente romanzi. Se al totale si aggiungono, in ordine decrescente, l’odeporica, i testi teatrali, gli epistolari, le poesie e le biograie, il settore nel suo complesso siora la percentuale del 60%. Poco oltre il 30% è poi rappresentato dalla trattatistica, politica, storica, etico-morale, scientiica, estetico-ilosoica, religiosa, militare, linguistico-letteraria e giuridico-economica, senza 30 Attualmente conservati nella sala Palatina, al secondo piano della Biblioteca Nazionale di Napoli, poco lontano dall’ambiente che ospita il fondo. Al riguardo A. Porzio, «Macchine di corte», «Antologia di Belle Arti», N. S., nn. 33-34 (1988), pp. 52-53. 31 I due volumi scampati all’incendio di San Paolo Belsito (novembre-dicembre 1781; settembre 1782-dicembre 1785) sono ora editi da C. Recca, in Sentimenti e politica. Il diario inedito della regina Maria Carolina di Napoli (1781-1785), Franco Angeli, Milano, 2014. 32 La biblioteca tedesca cit., p. 73. 33 M. Andria, P. Zito, I libri della regina cit., Tabella I, p. 118. A differenza di quanto accadeva in quella sede, in questo e nei casi che verranno di seguito esaminati, il calcolo tiene conto anche degli esemplari conservati alla Palatina di Caserta. Maria Carolina e la sua Blaue Bibliothek escludere contributi relativi alla vecchia isiognomica34, alla massoneria e ad altre sette segrete allora in auge. E, in qui, i contenuti sembrano pienamente coerenti con l’impostazione e l’impaginazione del ilone di lunga durata cui inequivocabilmente appartengono. L’ultima “classe”, pari al 9% residuo, consta di scritti di interesse esclusivamente femminile, puericoltura e pedagogia35, moda, costume, spunti per intrattenimenti da salotto. Letture ancora una volta perfettamente adagiate nel solco del buon Oudot, al cui titolo segue spesso l’eloquente (e ambigua) indicazione für Frauenzimmer, nella doppia accezione – una più recente e l’altra più antica – di ambienti riservati alle signore o quella di donnicciole, semialfabetizzate dal basso proilo socio-culturale. In effetti un’oculata mescolanza di secolare eppure sempre attuale saggezza di genere, civil conversazione e leggerezza, dal sapore leggiadro e tutt’altro che immune dalla tentazione della frivolezza, nel fondo conservatore ma pienamente ortodosso rispetto ai canoni del rococò imperante. Stereotipi non di rado consunti eppure al loro modo vicini alla realtà del quotidiano, in qualche misura intrisi di una loro energica vis stimolante e persuasiva. Pagine piacevoli e rilassanti, di certo assai meno impegnative al confronto con i manuali di anatomia, di geologia, di botanica, di zoologia – per quanto agili e debitamente illustrati –, e ancor più con le opere ilosoiche di Bacone, di Locke, di Hume, Montesquieu, di Voltaire, di Rousseau, di Condorcet, di Kant e di Fichte, con spaccati storiograici ed estetici dello spessore della Storia dell’arte antica del Winckelmann36. Ma i titoli sicuramente meno gradevoli e più ardui agli occhi di Sua Maestà, anche soltanto per una semplice scorsa, non riguardano le scienze della natura né la parabola del pensiero moderno dall’empirismo all’idealismo esordiente né l’archeologia classica. Sono quelli (non pochi) inerenti la storia contemporanea, che riferiscono con impietosa dovizia di particolari le tragiche vicende del regno di Francia: una inarrestabile spirale originata da un tumulto di popolo, apparentemente uguale 34 Nell’ambito del settore vanno segnalati i celebri Phisiognomische Fragmente di Johann Caspar Lavater (Steiner, Winterthur, 1783, in tre volumi). 35 Esempliicativi nel merito il Bildenbuch für Kinder di Friedrich Justin Bertuch (Landes-Industrie Comptoirs, Weimar-Frankfurt, 1792) e il Ausf฀rliches Text zu Bersuchs für Kinder di Philip Funke (Landes-Industrie Comptoirs, Weimar, 1798). 36 Si tratta dell’edizione postuma del 1776, adorna di splendide incisioni. 177 178 Paola Zito a tanti altri, di cui da sempre era costellato l’esercizio del potere da parte di tutte le monarchie assolute, che prende a trasformarsi con rapidità crescente in una rivoluzione di tale portata da segnare la ine di un’epoca. Alla stampa – cronache, commenti, réportages e quant’altro – in Germania come altrove, sul ilo di una consuetudine ormai inveterata, corre l’obbligo di seguirne con ogni zelo la parabola, il cui tragico epilogo appagherà – come è noto – la sete degli dei. È il 16 ottobre del 1793 quando viene eseguita l’ennesima condanna capitale emessa dal tribunale del popolo. Viene ghigliottinata Maria Antonietta Capeto, vedova del già giustiziato Luigi, schiacciata da accuse infamanti nel novero delle quali, non ultima, igura la sua accanita e irragionevole vocazione allo sperpero. Non risulta, però, che nella lunga lista delle spese folli di cui si era resa responsabile menzionate durante il processo, sia emersa anche quella relativa a legature di gran pregio che facevano bella mostra di sé sugli scaffali della sua raccolta libraria privata. Una raccolta per niente dissimile da quella della sorella, sebbene su scala inferiore quanto a dimensioni, e rigorosamente in francese, che alla Bibliothèque bleue attinge a piene mani à son tour: il catalogo che annota i Livres du boudoir de la reine, la cui apparizione (1862) è destinata a suscitare notevole scalpore nel clima decisamente moralistico del secondo impero, lo dimostra inconfutabilmente37. Ma, a differenza di quanto accadeva nelle regge di Napoli, Portici e Caserta, a Versailles il desiderio della sovrana (lontanissima, d’altronde, dall’essere mai stata una accanita lettrice) era che si provvedesse sistematicamente alla rimozione dei cartoncini bleu gris per sostituirli con broccati e velluti con ricami di squisita fattura, intessuti d’oro e d’argento, e – perché no? – con qualche gemma incastonata sul dorso. Un simile “capriccio”, certo idoneo a dissimulare la qualità dei titoli, avrà giovato a fuorviare, almeno in parte, i giudizi negativi degli osservatori più severi, ma ai costi elevati dell’operazione in termini economici va sommato il prezzo di un autentico crimine bibliograico, di cui Maria Carolina si è ben guardata dal macchiarsi. Veniamo ora all’orizzonte letterario, il più ampio e articolato, e il più degno d’interesse, a partire dall’Olimpo dei grandi classi37 Mi riferisco al Catalogue authentique et original [des livres du boudoir de la reine Marie-Antoinette] … par Louis Lacour, J. Gay, Paris, 1862, che consta di un centinaio di pagine contenenti la descrizione dei titoli seguita da commento, precedute da ben sessantaquattro introduttive. Maria Carolina e la sua Blaue Bibliothek ci, Boccaccio, Ariosto, Shakespeare, Milton, la cui fruizione senza tempo accomuna esponenti di ogni classe, stato e genere. Li afiancano i più recenti successi del Goldsmith, del Rousseau, del Gozzi, del Parini e dell’Alieri, del Mariveaux e dell’abate Prévost, con la sua celebre Manon. E, comprensibilmente più nutrito l’elenco dei tedeschi, da Goethe a Schiller, a Herder, a Heine, a Kleist, a Novalis. Forte di personalità illustri (e tuttavia minoritarie sul piano quantitativo) che, sugli scaffali palatini, ne afiancano altre ora ampiamente relegate nell’oblio, il teatro rivendica una posizione signiicativa anche in termini di percentuale, valutabile intorno al 9% dell’intera area e al 5% del totale. E addirittura superiore, e non di poco, si dimostra il peso quantitativo dei racconti di viaggio, i cui affascinanti réportages riguardano il Centro e il Nord Europa, le rotte esotiche verso i mari del Sud e le città d’arte italiane, con particolare rilievo alle tanto amate e suggestive tappe del grand tour, all’epoca così insistentemente visitate (rispettivamente 12% e 7,5%). Tragedie, tragicommedie e storie narrate di ogni natura – Trauerspiele, Romane, Sagen, Erzählungen, Begebenheiten, Abenteurer, Gemhälde, Scenen, Skizzen, Bagatellen – convergono nel celebrare, sulla scena del libro, i fasti del Gothic Revival, attingendo al mai suficientemente esorcizzato mondo degli inferi della coscienza, popolato di spettri, fantasmi, Geister e ogni sorta di igure dell’onirico di vecchio e nuovo conio – Träume ed Albträume –, la cui inquietante anamorfosi si lascia in qualche maniera ricondurre all’imminente affermazione del gusto preromantico38; non a caso l’aggettivo romantisch, variamente declinato, ricorre frequentemente nei titoli. I tradizionali nemici di eroi ed eroine, coadiuvati da maghi e streghe i cui sortilegi, da sempre in grado di tenere sotto scacco cielo e terra, appaiono ora trasferiti nelle pieghe della coscienza, annidati nel fulcro delle passioni e nel midollo della volontà (o contro-volontà) del soggetto. In modo più o meno esplicito, dunque, il campo di battaglia cambia di sede e di segno, dall’esterno all’interno della psiche, attentando di frequente alla tenuta dell’identità. Ed è in difesa di quest’ultima che si leva la voce di un erzählendes ich, tenacemente volto a riaggregare nelle geometrie, spesso prevedibili, della trama i cascami della ragione, le ormai indocili larve dell’inconscio, insomma l’opacità del resto, per dirla con Michel de Certeau. 38 Cfr. D. Hall, French and German Gothic Fiction in the Late Eighteenth Century, Peter Lang, Bern, 2005. 179 180 Paola Zito Ciascuno nel rispetto del proprio ruolo, titoli e sottotitoli contribuiscono numerosi a illuminare impostazione e inalità di una così vasta produzione, prevalentemente retta da una debole volontà di testo, ma energicamente radicata nelle pieghe riposte di un incrollabile orizzonte d’attesa, di decennio in decennio più esteso e ricettivo. Se il primo livello è di solito riservato al nome o ai nomi dei protagonisti (in questo caso uno maschile e uno femminile39), è al secondo che compete l’onere di fornire le coordinate temporali della vicenda. Non l’età classica, non il Rinascimento né il presente, ma la scelta ricade per lo più sui secoli bui del Mittel Alter, sulla Ritterzeit, o su una dificilmente determinabile Vorzeit, che avvolge nelle brume di una imprecisata epoca del passato l’ordito delle singole odissee che di volta in volta si dipanano pagina per pagina, gotiche nel gusto e nella forma dei caratteri di stampa. Una Vorwelt lontana nel tempo, Urwelt dalla inveterata connotazione sombre, dimensione di un anteriore che più di ogni altra si addice a quanto di refrattario alla trasparenza avviene nel teatro della mente, nell’infuriare dei conlitti, delle scissioni e dei cedimenti dell’ego. Le illustrazioni assecondano con rara maestria il delinearsi di simili atmosfere. Poche, non di rado anonime, non più xilograiche come ai tempi d’oro dell’Oudot ma perfettamente in grado di sfruttare al meglio la duttilità della tecnica calcograica, si guardano bene dall’entrare in conlitto col messaggio testuale come in tante altre occasioni, ma si calano nella densa semioscurità di interni domestici – sale salette corridoi studioli alcove boudoirs – arredati con divani, tavoli e secrétaires alla moda, per carpirne i più riposti segreti. Alle pareti, pressoché onnipresenti gli specchi, magari più d’uno, che raddoppiano, con i loro rilessi obliqui, proili, igure e silhouettes tanto nel campo visivo quanto nella fantasia del lettore. Quindi, a paesaggi e vedute en plein air gli incisori, non senza le dovute eccezioni, sembrano preferire l’effetto dei piccoli spazi chiusi, a stento ravvivati dal lume di qualche candela, per rappresentare l’acme della tensione drammatica magari in una sola igura, 39 Soltanto qualche esempio: Reinhold und Sophie; Hugo und Kleta; Hellfried und Selene; Wilhelm und Wilhelmine; Konrad von Adlerberg und Leonor von Lichtenau; Karl Stellheim und Klementine von Rosenee; Wilhelm und Emilie; Moritz und Luise; Eduard und Blanke; Heinrich und Karoline; Elise von Walheim und Bernardo; Adelheid und Aimar; Ferdinand und Karoline … E la lista potrebbe continuare ancora molto a lungo. Maria Carolina e la sua Blaue Bibliothek collocata in posizione di antiporta, alla sinistra del frontespizio40 (igg. 1-3). Nel novero degli abilissimi fabbricanti di immagini, il cui contributo al successo delle edizioni esercita un ruolo di primaria importanza, spicca la statura del polacco Daniel Nikolaus Chodowiecki, allora molto apprezzato anche in qualità di pittore (1726-1801): una lunga e prestigiosa carriera che ha giustamente suscitato il vivo interesse degli studiosi41. E pure degni di nota, nel campo del bulino, i contributi dello Schubert (ig. 4), del Gersiner, del Müller, tutti eredi della tradizionale perizia teutonica nel campo dell’incisione. A calarsi nei panni – in realtà piuttosto scomodi e non particolarmente gratiicanti (come oltre mille testi anonimi presenti nella raccolta, ma concentrati principalmente in quest’ambito, dimostrano eloquentemente) del narratore – in questi anni sono davvero in tanti, autori e autrici. Queste ultime soprattutto si mostrano abilissime nel coniugare Zeitgeist e istanze di genere: senz’altro molto signiicativi i contributi di Wilhelmine Caroline von Wobeser, di Sophie von La Roche42 e dell’inglese Charlotte Smith, sebbene il numero maggiore di occorrenze (ben trentanove) rimandi inequivocabilmente alla baronessa Christiane Benedikte Eugenie Naubert Hebenstreit (1752-1819)43, la cui penna scorre rapida nell’assecondare il fervore di una vena creativa dalla generosità inesauribile, e dagli echi internazionali. La seguono alla distanza Gottlob Heinrich Heinse (ventinove); Johann Friedrich Ernst Albrecht (venti40 Cfr. H.J. Meier, Die Buchillustration des 18. Jahrhunderts in Deutschland und di Aulösung des űberlieferten Historienbildes, Deutscher Kunstverlag, München, 1994. 41 Da consultare senz’altro in proposito W. Baumgart, Der Leser als Zuschauer. Zu Chodowieckis Sticken zu Minna Barnhem; P. Küpper, Autor und Illustrator. Zu einigen Aufträgen von Mattias Claudius an Daniel Chodowiecki; R. Krüger, Daniel Chodowiecki als ‘empindsamer’ Illustrator; K. Riha, Nichtaufklärerisches f฀r Aufklärer. Zu einer Karikaturenfolge Daniel Chodowieckis und Johann Wilhelm Meils; in Die Buchillustration in 18. Jahrhundert. Colloquium der Arbaitsstelle 18. Jahrhundert Gesamthochschule Wuppenthal-Universität Műnster, Düsseldorf, 3-5 ottobre 1978, C. Winter, Heidelberg, 1980, rispettivamente pp. 13-25, 44-52, 53-64, 65-75. 42 In aggiunta ai titoli napoletani, della brillante scrittrice (1730-1807) vanno segnalate anche le Erscheinungen am see Oneida (Gräff, Lipsia, 1798), conservate a Caserta (Bpc, 2102). 43 Sulla sua igura si vedano S.C. Jarvis, The Wanished Women of Great Inluence: Benedikte Naubert’s Legacy and German Women’s Fairy Tales, in K.R. Goodmann, E. Waldstein (a cura di), In the Shadow of Olympus. German Women Wriers Around 1800, State University, New York, 1992, pp. 189-209, e L. Martin, Benedikte Naubert. Neue Volksmärchen der Deutschland: Strukturen des Wandels, Königshausen & Neumann, Würzburg, 2006. 181 182 Paola Zito quattro); Carl Gottlieb Kramer (ventuno); il Kotzebue (venti, come si è già accennato); Christoph August Vulpius44 e Johann Heinrich Campe (diciotto); Christoph Friedrich Sintenis, Christoph Friedrich Bretzner e Karl von Eckartshausen (quindici); August Wilhelm Ifland (quattordici), Carl Von Grosse e Johann Gottwerth Müller (dodici); Johann Pezzl e August Georg Friedrich Rebmann (undici) e svariate decine di altri – tra cui irme di eccellenza quali quelle del Lessing, del Wieland, di Johann Paul Richter (alias Jean Paul) – che ricorrono dalle dieci volte in giù. Se dunque un cospicuo drappello di autori scrive e pubblica nella lingua d’origine, non mancano certo – lo si è già anticipato – le traduzioni da altri idiomi, che complessivamente siorano il 20%. Per circa la metà, come era del tutto prevedibile, sono opere francesi, quasi un terzo inglesi, poco più del 5% italiane, il 3,5% latine, poco più del 2% dallo spagnolo, e sparuti, relativi a poche unità, si rivelano i testi tratti da altre lingue europee. Di autentico conio germanico, ma in perfetta sintonia con sensibilità e gusto condivisi in tutta l’Europa occidentale, sono invece i periodici che corredano la raccolta di Sua Maestà: da menzionare almeno il semestrale Berlinisches Archiv der Zeit und ihres Geschmachs (presente dal 1796)45 e l’annata 1795 del Leipziger Monatschrift für Damen, a cura di Wilhelm Gottfried Becker, splendidamente illustrati, in questo caso pure con l’ausilio del colore, accanto al Neuer Teuscher Merkur, al Deutsches Magazin, alla Neue Staatsanzeige, a Klio, a Der Genius der Zeit. Le prime due riviste esibiscono puntualmente leggiadri specimina di una moda elegante e rafinata, che dell’abbigliamento – e dei relativi accessori – non trascura neanche il minimo dettaglio, trine, merletti, piume e monili di ogni foggia compresi. Il trionfo di un’immagine sapientemente costruita, capace di adornare e di esibire, e di celare al tempo stesso. Di fascicolo in fascicolo, agli occhi del lettore-spettatore appaiono autentiche silate che si rivelano eventi innegabilmente eccezionali al primo sguardo. Nonostante tutto lasci ipotizzare che le spedizioni dai librai d’oltralpe guadagnino regolarità e si intensiichino a partire dall’ottavo decennio del XVIII secolo al primo biennio del successivo, quegli Cfr. C.A. Vulpius, Eine Korrespondanz zur Kultur geschichte der Goethezeit, a cura di A. Meier, Walter de Gruyter, Berlin-New York, 2003. 45 Stranamente non menzionato da Croce, che elenca invece scrupolosamente tutti gli altri (cfr. La biblioteca tedesca di Maria Carolina cit., p. 315). 44 Maria Carolina e la sua Blaue Bibliothek scaffali ospitano pure testimonianze più antiche. Va di sicuro annoverata fra queste la Gott Geheiligte Chorwoche oder Betrachtungen über das Schmerzliche Leiden unsers Herrn, un libricino devozionale risalente al 176146; tra le più recenti vanno senz’altro segnalate le Kleine Abentheur zu Wasser und zu Lande di Christoph Philip Weyland, stampate nel 180547: entrambi i testi, con ogni probabilità per puro caso, appartengono tuttora al patrimonio della Biblioteca Palatina di Caserta48. Nel corso di un simile arco cronologico, le annate più dense risultano essere quelle che vanno dal 1793 al ’96, con una percentuale di edizioni che perviene a superare un quarto del totale; pure denso il biennio 1802-1803, con una intensità di stampe equivalente a quasi il 10%, di poco inferiore a quella che si registra nel triennio 1790-1792. Maggiormente eloquente può forse risultare qualche cenno alla suddivisione delle stampe nell’ambito dei decenni, dalle poche decine del 1761-1770 che quadruplicano in quello successivo e si moltiplicano grosso modo in ugual misura tra l’81 e il ’90, per raggiungere una crescita davvero esponenziale dal ’91 al 1800, laddove si collocano le datazioni di circa la metà dell’intero fondo, con un solo calo che si registra proprio nel ’99. Inequivocabile segnale della parabola discendente costituiscono le cifre relative all’ultimo quinquennio nel suo complesso (1801-1805). È l’ultimo biennio, in particolare, a recare marcati i segnali del tramonto che si va consumando. Sempre meno frequenti, dopo il 1803, pervengono dunque le spedizioni di volumetti bleu gris destinati alla biblioteca privata della regina. Erano stati esemplati innanzi tutto a Lipsia, allora indiscussa capitale dell’editoria tedesca (oltre il 25%), nelle oficine tipograiche del Weygand, del Kümmer, del Dyk, dell’Hoffmann, del Göschen, dello Jacobäer, del Severin, del Crusius, del Gräff, dell’Hartknoch, del Voss, dello Schwickert, per non menzionare che quelle più attivamene coinvolte. Ma provenivano anche da torchi impiantati a Berlino, a Francoforte, a Vienna, ad Amburgo e in almeno un’altra quarantina di centri della Germania, dell’Austria, della Svizzera e dei paesi limitroi. Che i loro invii abbiano dato origine a una raccolta veramente unica, in Italia e non solo, come ritenevano il Croce e gli altri l’hanno esaminata con attenzione? 46 dorato. 47 48 Edita a Vienna da Johann Thomas Trattner, rilegata in pelle nera con taglio A Weimar, presso il Grau. Rispettivamente con segnatura Bpc, 126 e 2091. 183 184 Paola Zito 4. Una raccolta davvero unica? Così, osservata in profondità e passata al vaglio dell’analisi quantitativa, la Schofelbibliotek di Maria Carolina d’Austria, sia pure in qualche misura rimaneggiata, si conferma una raccolta originalissima, che proprio dalla mancanza di selezione ha tratto le linee meno comuni del suo proilo, conservandosi nel tempo straordinariamente simile a una ‘libreria’ dell’epoca, dove nell’ampia e duttile offerta editoriale ciascun acquirente, nel focalizzare il volume più consono ai suoi interessi, non poteva non formarsi rapidamente e agevolmente una sintetica visione d’insieme di un ampio ed articolato universo culturale. Erano queste le conclusioni cui giungevo circa quindici anni fa49, sulla base di un bilancio qualitativo e quantitativo, effettuato al termine della inventariazione e della catalogazione dell’intero fondo, che si avvalevano principalmente dei dizionari, dei repertori e delle bibliograie cartacee allora disponibili. Dopo VD 16 e VD 17, la recente messa a punto di VD 18 (Verzeichnis der Drucke des 18. Jahrhunderts) – da qualche anno consultabile on line, digitalizzato quasi quanto alla metà dei records, che rende disponibile l’accesso a buona parte del patrimonio librario settecentesco conservato in Germania –, consente e suggerisce, anzi impone, di effettuare gli opportuni confronti, sia pure in questa sede necessariamente a campione, per veriicare l’attendibilità delle convinzioni precedenti. Si procederà, in prima istanza, alla ricerca nell’OPAC tedesco delle occorrenze concernenti le sessantasei intestazioni d’autore, relative a coloro che risultano i responsabili intellettuali di almeno cinque edizioni contenute nella raccolta, a suo tempo elencate nella Tabella 250. L’ultima colonna restituisce poi i dati risultanti al medesimo riguardo nella Banca Data SBN sul libro antico51, interrogata quanto al periodo 1761-1805. Maria Carolina e la sua Blaue Bibliothek n. edizioni nel n. edizioni in VD n. edizioni fondo di Maria 181 SBN (A) Carolina Autori Christiane Be- 39 nedikte Eugenie Naubert 22 12 Gottlob Heinrich 29 Heinse 15 / Johann Friedrich 24 Ernst Albrecht 26 1 Karl Gottlieb Cra- 21 mer 5 2 August von Kot- 20 zebue 50 523 Christian August 18 Vulpius 32 2 Johann Heinrich 18 Campe 2 14 Christoph Fried- 15 rich Sintenis 20 1 Christoph Fried- 15 rich Bretzner 23 1 Karl von Eck- 15 hartshausen / / August Ifland 70 445 5 / 11 / 11 5 67 Georg 11 Reb- 9 1 13 / Wilhelm 14 Carl von Grosse 12 Johann Gott- 13 werth Müller Johann Pezzl 49 M. Andria, P. Zito, I libri della regina cit., p. 117. A favore della tesi dell’unicità, o quanto meno dell’estrema rarità, di molti esemplari, giocavano le frequenti visite di studiosi tedeschi che non avevano rinvenuto alcun corrispettivo nelle principali biblioteche del loro paese, il cui patrimonio, per altro, era stato seriamente danneggiato dagli eventi bellici in molti casi. 50 Ivi, pp. 119-121. 51 Dove i dati catalograici relativi alla raccolta di Maria Carolina non sono mai conluiti. Anche le stampe possedute dalla Biblioteca Nazionale di Napoli provengono da altri fondi. Andreas Friedrich mann Gottfried Chris- 10 toph Claudius 6 in 185 186 Paola Zito Maria Carolina e la sua Blaue Bibliothek Johann Gottfried 10 Herder 12 168 Friedrich Moser Karl 6 13 15 Alois Wilhelm 10 Schreiber 9 1 Johann Bernhard 6 Basedow 28 5 Ludwig Tieck 4 5 Chriastian Garve 8 26 13 7 Christoph Martin 6 Wieland 62 5 3 39 15 3 5 3 17 1 Leonhard Wäch- 6 ter 3 / Christian Daniel 6 Voss 3 1 Peter Villaume 11 213 Mei- 6 6 1314 Christian Weisse 9 Felix 8 Charlotte Smith 8 6 August Gottlieb 7 Meißner 15 21 Johann Friedrich 6 Jünger Hermann Chris- 7 toph Godfried Demme 2 / Jullius Augustus 6 Remer Johann Paul Fri- 7 derich Richter (Jean Paul) / 5 Paul Friedrich 7 Achatius Nitsch 5 2 Johann Chris- 7 toph Friedrich Schulz 4 / 1 21 2 Friedrich Gustav 6 Schilling 5 August Henri Ju- 7 lien Lafontaine Oltre 10015 3 1 Jean Jacques 5 Rousseau 12 August Hermann 7 Niemeyer 14 1 7 1311 Georg Raff Christian 5 Jakob 6 Karl August Gott- 6 lieb Seidel / 1 August Friedrich 5 Cranz 18 8 Ludwig Ferdin- 5 and Huber 3 4 / 6 Friedrich Christi- 6 an Schlenkert 312 / 9 Christian Gott- 5 holf Salzmann 16 Leonhard Meister 6 Christian Schulz 6 1 / / 3 / Wilhelmine Caro- 5 line Wobeser 3 Baptist 6 Johann Engel Johann Durach 10 Alois 6 Joseph Gleich Christoph ners 6 187 188 Paola Zito Maria Carolina e la sua Blaue Bibliothek 10 Johann Stephan 5 Pütter 32 18 Christian August 5 Wichmann 11 1 Christian Hein- 5 rich Spiess 9 6 Christian August 6 Fischer 3 4 Theophil Fried- 5 rich Ehrmann 2 3 Luois Antoine de 5 Caraccioli 4 Oltre 10016 Johann Wolfgang 5 von Goethe 35 3417 Friedrich Rochlitz 5 5 / Friedrich Schulz 9 / Gotthold Ephraim 5 Lessing 69 3218 Friedrich phil Thilo Theo- 5 10 / Johann Essich Georg 5 11 2 Karl Philip Moritz 5 11 4 Johann Münch 3 / 892 600 circa19 5 Gottlieb 5 591 1 La cifra che qui compare, come per quelle attinte a SBN Antico, è al netto dei doppioni e delle edizioni in più volumi qualora negli OPAC computati singolarmente. 2 Si tratta di un titolo in francese, Les chevaliers de la montagne, Behmer, Metz, 1800, in tre volumi. 3 Testi tradotti anche in italiano, francese e inglese. 4 Si rinviene un Recueil di viaggi, pure in francese. 5 Nel totale sono comprese diverse traduzioni in italiano. 6 Ai dodici della Bnn va aggiunto Abschied von der K. K. Hof- und National-Schaubühne, stampato a Vienna dal Wallishauser nel 1802: Bpc, 1764. 7 Di cui due titoli volti in italiano e due in francese. 8 Anche in traduzione francese e inglese. 9 Tutti e tre in francese. Di cui non pochi in francese. Diverse edizioni anche in italiano e francese. 12 Di cui due in lingua francese. 13 In lingua italiana. 14 Anche in versione italiana e francese. 15 Di cui soltanto quattro in tedesco. 16 Di cui oltre cinquanta in tedesco. 17 Anche in traduzione francese e italiana. 18 Analogamente con versioni italiane e francesi. 19 Il totale è necessariamente approssimativo, per altro al lordo delle edizioni in lingue diverse dal tedesco (e dal francese), come è stato di volta in volta indicato. 11 Stando ai dati evidenziati dal prospetto, secondo una lettura esclusivamente quantitativa i libri della regina sarebbero grosso modo di pari entità rispetto a quanto è stato censito dalle biblioteche italiane e nettamente minoritari (circa i due terzi) nei confronti del posseduto degli istituti di conservazione tedeschi. Le cifre, pur nella loro indubbia oggettività, meritano però un’analisi un po’ più approfondita. Dei sessantasei nomi elencati, a fronte di due soli in perfetta parità (quelli del Meiners e del Rochlitz), ben trentasei igurano maggiormente rappresentati in VD 18 – talvolta in maniera cospicua, come nei casi decisamente signiicativi (e prevedibili) di Goethe, di Lessing, dell’Hifland, del Wieland, del Lafontaine, del Basedow e di Rousseau, oltre all’infaticabile Kotzebue – e gli altri ventotto, al contrario, vedono meglio rappresentata la loro produzione nella Schofelbibliothek della regina. Sono principalmente i “minori” e, forse ancor più, le “minori”: l’esempio della Naubert – afiancato da quello della Wobeser e della Smith – potrebbe bastare a fugare ogni dubbio in proposito. Non è inoltre superluo aggiungere alla lista il Cramer, il Campe, il Pezzl, il Demme e Christian Schulz. Altro criterio di indagine, che sembra approdare nella stessa direzione, dimostra che non trovano riscontri, accanto alla Geschichte der französische Revolution del Pahl52, la Nothwendigkeit der Geschichte. Ein Kindergespräch, edita nel 1779; le Unglücksgeschichten zur Warnung für die unerfahrene Jugend in rührenden Beispielen dello Strobl (1788); Aglaia. Eine Philosophie für das schöne Geschlecht, del ’95; Der Vorleser an Toilette der Frauerzim- 52 Titolo con il quale Croce dà inizio alla seconda parte del suo contributo (La biblioteca tedesca di Maria Carolina cit., p. 310). 189 190 Paola Zito mer, apparso nel 1782; l’Aurora in Miniatur, pubblicata giusto dieci anni dopo: testi di puericoltura, di moda, di costume, destinati alla frequente consultazione e in qualche modo efimeri per loro natura. Quanto alla sopravvivenza degli scritti anonimi, alcuni dei quali, in effetti, anonimi non sono53 sebbene appaiano tali dai frontespizi54, la ricerca prosegue sulla falsariga delle annotazioni crociane: la sola pagina introduttiva del contributo al quale si è già fatto spesso riferimento55, ne elenca otto, dei venti complessivamente menzionati. Di ben sei non si rinviene traccia in VD 1856, e degli altri dodici sono reperibili solo cinque57. Il sondaggio, qui incentrato esclusivamente sui romanzi, prosegue sempre sulla scorta delle densissime pagine de «La Critica» che ne elenca quasi un centinaio in totale, di cui oltre la metà appare del tutto priva di riscontro catalograico. A parte qualche titolo presente in altra edizione58, non sono più reperibili due storie risalenti al 1796, Karl und Henriette. Eine wahre Geschichte aus den jetzigen Revolutionkrieg e Heinrich Lamüraille und Henriette Boissy. Ein geheimes Aktenstück; Rudolph von Wandenburg; Adololf von Leonstein oder di Ritterproben; Ritter von Hasenburg und Adele von Lechfeld; Heinrich der Bastard und seine Eltern; Toxa von Toxheim; Hermann von Ulma; Die Ritter von Festenberg; Otto von Schwarzenberg; Der Geisterburg; Der schwarze Mann und die weisse Frau; Die weisse Frau 53 Fra gli altri, è il caso di Hermann von Hartenstein. Scenen aus dem Mittelalter, di Christian Jakob Contessa (Korn, Breslau-Leipzig, 1793 – ig. 5); di Leichtsinn und Grösse. Eine Familiendegemälde, di Karl Steinberg (Gräff, Leipzig, 1795 – ig. 6); di Erenreich Blunt oder Abenteuer eines Friseurs, del Seidel (Severin, Weißenfels, 1795). 54 Era possibile attribuirli ai rispettivi autori già sulla base di repertori cartacei pienamente disponibili in dagli inizi del secolo scorso. Si vedano almeno M. Holzmann, H. Bohatta, Deutscher Anonymen-Lexicon (1501-1850). Aus den Quellen bearbeitet, Gesellschaft der Bibliophilen, Weimar, 1902, e, dei medesimi, Deutscher Pseudonymen-Lexicon. Aus den Quellen bearbeitet, Akademischer Verlag, Wien-Leipzig, 1906, più volte riediti e aggiornati nei decenni successivi. 55 La biblioteca tedesca di Maria Carolina cit., p. 71. 56 Si tratta di Die Saal-Nixe, del 1793; Caspar von Stauffenberg. Eine Sage aus den Grauenvolle Zeiten der Vorwelt, del 1795; Wurzel und Edeltreud. Eine vaterländische Sage der Vorzeit, dello stesso anno; Legenden aus der Geschichte des Mittelalters und der neuen Zeit, del 7996; Die Larvaritter, nach einer Sage aus den Zeiten des Hussiten Kriegs, del 1799; Sagen aus der Zauberwelt, del 1802. 57 Tra i titoli irreperibili, uno dei ben diciassette della Naubert, Amalsunde Königin von Italien oder das Märchen aus Norden, nell’edizione del 1787. 58 Mi limito a segnalare Die Geisterseher. Eine venetianische Geschicte, registrata non nella resa del 1794, ma in quella del ’92, e l’edizione dell’Erich, König von Norden, aus den heidnischen zauberreichen Zeiten von Christi Geburt, Reinicke, Leipzig, 1794, che al Croce risultava privo di note tipograiche. Maria Carolina e la sua Blaue Bibliothek in Neuhaus; Geschichte der Fräulein von Holzbach und des Baron du Plessis; Ferdinand und Karoline; Brief einer befreiten Nonne; Moritz und Luise; Eduard und Banke; Albrecht und Elisa; Heinrich und Karoline e molti altri. E inoltre, senza dubbio assai signiicativa si rivela l’assenza nella banca dati tedesca delle due principali riviste conservate nel fondo, il Berlinisches Archiv der Zeit und ihres Geschmachs e il Leipziger Monatschrift für Damen, oltre a quella di Klio e di quasi le annate di tutte le altre. Soltanto qualche accenno, prima di concludere, sulle cifre relative alla produzione editoriale, anche in questo caso esaminate sulla base di una ristretta campionatura, incentrata sul trentennio 1771-1800: 227 in totale, contro le 83 presenti nella raccolta di Maria Carolina, le edizioni del Weygand; 137 contro 46 quelle del berlinese Maurer; 87 contro 41 quelle del Kümmer; 50 contro 31 quelle del Dyk; 90 contro 31 quelle del Göschen; 119 contro 31 quelle dell’Hoffmann: oltre 200 pure contro 31 quelle del Korn e più 500 contro 22 quelle del Dieterich. Circa un terzo, quindi, il rapporto quantitativo con i primi cinque, una differenza esponenzialmente maggiore con gli ultimi due, le cui stampe sono tra le meno presenti nella collezione reale. Come era, del resto, già ampiamente noto, lungi dal rappresentare una esauriente propaggine della lorida editoria tedesca del secondo Settecento, il fondo si limita a ospitarne una selezione mirata: principalmente letteratura di largo consumo, in prevalenza declinata al femminile, la cui estrema deperibilità si spiega facilmente con l’uso reiterato e intensivo che, alla lunga, inisce col danneggiare irreversibilmente i già fragili supporti, e che quindi, come sempre in casi analoghi, col passare del tempo risulta molto dificilmente reperibile. Gli scaffali palatini preservano dunque dall’oblio numerosissime stampe i cui esemplari altrove non hanno lasciato traccia. E allora, nel suo complesso, la Blaue Bibliothek di Sua Maestà si conferma unica in Italia e senza un autentico corrispettivo anche nelle biblioteche tedesche. Non solo i bibliograi di professione, ma chiunque abbia esperienza di consultazioni catalograiche, cartacee e/o on line, sa bene quanto parziali e provvisori vadano considerati i dati attinti a OPAC e banche date, il cui costante incremento vincola ogni ricerca al destino di work in progress. Tutt’altro che oggettivo e deinitivo, quindi, anche il bilancio tracciato in queste pagine che andrà 191 192 Paola Zito Maria Carolina e la sua Blaue Bibliothek sottoposto in futuro a molteplici ulteriori veriiche. Quanto afiora, però, con chiarezza conferma il giudizio dell’ipercritico Kotzebue, secondo cui niente della peggiore narrativa tedesca degli anni ’80 e ’90 del Settecento mancherebbe nella raccolta di Sua Maestà, e, ancor più, avvalora l’affermazione del Croce, convinto che ogni sorta di curiosi, in cerca di titoli ormai desueti per potersi trovare nelle librerie, troppo logori proprio per essere stati troppo amati, senza difesa per il piccolo formato e la fragile legatura bleu gris, troppo banali e inconsistenti per ambire a un posto nelle biblioteche, possano avere l’opportunità di individuarli esclusivamente tra le collocazioni, napoletane o casertane, della raccolta di Maria Carolina. E, all’interesse di eventuali curiosi, biblioili e bibliomani, si aggiunge la più viva attenzione degli storici in generale, ma – se mi è consentito – soprattutto quella degli storici del libro, dell’editoria e della lettura. Fig. 1 – Christiane Benedikte Eugenie Naubert Hebenstrait, Barbara Blomberg vorgebliche Maitresse Kaiser Karls des Fűnften, Leipzig, 1790, antiporta. Fig. 2 – Christiane Benedikte Eugenie Naubert Hebenstrait, Geschichte Heinrich Courtands,oder selbsgeschafne Leider, Leipzig, 1791, antiporta. 193 194 Paola Zito Fig. 3 – Johann Schwaldopler, Ritter Albrecht von Waldsee. Eine Sage der Vorzeit, Wien, 1800, antiporta. Maria Carolina e la sua Blaue Bibliothek Fig. 4 – Albrecht Ludwig Schubart, Libussa Herzogin von Bőhmen. Eine Geschichte aus den Ritterzeiten, Wien, 1791, antiporta. Fig. 5 – Christian Jakob Contessa, Hermann von Hartenstein. Scenen aus dem Mittelalter, Breslau-Leipzig, 1793, antiporta. Fig. 6 – Karl Steinberg, Leichtsinn und Grösse. Eine Familiendegemälde, Leipzig, 1795, frontespizio con incisione. 195 Gianluca Del Mastro MARIA CAROLINA, GLI SCAVI E LA VILLA DEI PAPIRI DI ERCOLANO Sommario: Ai papiri ercolanesi, scoperti nel 1752 Maria Carolina non prestò particolare attenzione, anzi, appoggiò l’idea di chi volle che i preziosi rotoli restassero a Napoli durante l’arrivo dei Francesi nel 1806. Ma la regina doveva ben conoscere le opere d’arte che venivano alla luce negli scavi: in un medaglione della Biblioteca Palatina della Reggia di Caserta, infatti, il pittore Heinrich Friedrich Füger eseguì, con ogni probabilità su indicazione della regina, una riproduzione del busto del Priapo/Dioniso ritrovato nella Villa dei Papiri di Ercolano. Parole chiave: Maria Carolina d’Austria, Pompei, Ercolano, Papiri Ercolanesi, Heinrich Friedrich Füger. MARIA CAROLINA, THE VILLA AND THE RUINS OF HERCULANEUM PAPYRI abStract: Maria Carolina did not pay particular attention to the Herculaneum papyri, which were discovered in 1752. In fact, she supported the position of those who wanted the precious rolls to remain in Naples during the French occupation in 1806. But the Queen was well acquainted with the masterpieces that came to light during the excavations: the painter Heinrich Füger executed, probably on the advice of the Queen, a reproduction of the bust of Priapus/Dionysus found in the Villa dei Papiri in Herculaneum on a medallion, which is now in the Palatine Library of the Royal Palace of Caserta. KeywordS: Maria Carolina of Austria, Pompeii, Herculaneum, Herculaneum Papyri, Heinrich Friedrich Füger. La regina Maria Amalia di Sassonia seguì attentamente il grande fervore di studi che accompagnò le prime scoperte di Ercolano e, in particolare, la scoperta dei papiri ercolanesi nella enorme Villa che fu esplorata, a più riprese, tra il 1750 e il 17641. In una lettera al ministro Bernardo Tanucci, datata 4 aprile 1757, Rocque Joaquin de Alcubierre, l’ingegnere incaricato delle esplorazioni archeologiche nell’area vesuviana, afferma di aver parlato, nei giardini di Portici, proprio col re e con la regina a cui aveva promesso una Abbreviazioni utilizzate: Aspa: Archivio di Stato di Palermo. 1 Sulla Villa dei Papiri, mi limito a citare il recente volume curato da M. Zarmakoupi, The Villa of the Papyri at Herculaneum. Archaeology, Reception, and Digital Reconstruction, Walter de Gruyter, Berlin-New York, 2010, con ampia bibliograia precedente. 198 Gianluca Del Mastro puntuale registrazione di quanto via via si era scoperto2. La stessa regina amava fermarsi a guardare le operazioni di svolgimento dei papiri nel Museo di Portici, operate con la prodigiosa macchina di Padre Antonio Piaggio. Lo scolopio così scriveva a Giuseppe Vairo il 16 luglio 1790: «...E qui è dove avevamo l’onore di trattenere il Re almeno due volte la settimana, e spesse volte la regina ancora ad osservare lo svolgimento de papiri il che facevano con molta attenzione e piacere»3. La partenza di Carlo per la Spagna nel 1759 fu avvertita come «crudele» da Vanvitelli4 e soprattutto da Padre Piaggio che in una drammatica lettera lamentava lo stato di abbandono del lavoro sui papiri5. Tuttavia il re decise di lasciare a Napoli le opere scoperte e le collezioni farnesiane. In un servizio da dessert donato a Carlo III a Madrid nel 1782 nel gruppo in biscuit è rappresentato il re tra le rovine che idealmente invita il iglio a proseguire l’opera di scavo. Solo nel 1767 Ferdinando aveva raggiunto la maggiore età legale e, come è noto, si preoccupò del matrimonio. Annullate le nozze con l’arciduchessa Giuseppa, programmate con Maria Teresa d’Austria, a causa della morte della giovane, Ferdinando acconsentì a prendere in moglie la sorella quindicenne di Giuseppa, Maria Carolina, o Carlotta come veniva affettuosamente chiamata, della quale aveva visto una miniatura e che sposò per procura a Vienna nel 1768. I primi tempi, accanto a un uomo considerato insulso, assorbito totalmente dalla passione per la caccia e poco dedito agli affari di Stato, furono dificili per la giovane regina. Ferdinando non sarebbe stato né un novello Ercole né un nuovo Alessandro, come 2 Questo documento (Noticia de las alajas antiguas que se han descubierto en las excavaciones de Resina y otras) è stato pubblicato da U. Pannuti, Il Giornale degli scavi di Ercolano (1738-1756), «Atti della Accademia Nazionale dei Lincei», Anno CCCLXXX, Serie VIII, Vol. XXVI/3 (1983), pp. 159-410. Su questi avvenimenti cfr. M. Gigante, Carlo di Borbone e i Papiri Ercolanesi, «Cronache Ercolanesi», 11 (1981), pp. 7-18. 3 La lettera è riportata in F. Longo Auricchio, M. Capasso, Nuove accessioni al dossier Piaggio, in Contributi alla storia della Oficina dei Papiri Ercolanesi, intr. di M. Gigante, «I Quaderni della Biblioteca Nazionale di Napoli», Serie V/2, I Papiri Ercolanesi III, Industria tipograica artistica, Napoli, 1980, pp. 15-59, e in particolare p. 55; cfr. anche M. Gigante, Carlo di Borbone e i Papiri Ercolanesi cit., pp. 12 sgg. 4 In una lettera dell’11 agosto 1759 riportata da F. Strazzullo, Le lettere di L. Vanvitelli della Biblioteca Palatina di Caserta, Congedo editore, Galatina, 1976, II, p. 365. 5 In D. Bassi, Altre lettere inedite del P. Antonio Piaggio e spigolature dalle sue «Memorie», «Archivio storico per le province napoletane», 33 (1908), pp. 277-332, e in particolare p. 307. Sulle traumatiche conseguenze della partenza di Carlo sullo studio delle antichità, cfr. M. Gigante, Carlo di Borbone e i Papiri Ercolanesi cit., pp. 16-17. Maria Carolina, gli scavi e la Villa dei Papiri di Ercolano era stato deinito il padre6. Ma proprio la consapevolezza di vivere in un Regno colmo di tesori d’arte, dovette costituire per la regina un valido antidoto alla iniziale malinconia. La troviamo nei primi tempi dopo il suo spostamento a Napoli, in visita al teatro di Pompei, che in quegli anni veniva portato alla luce7. Fu la stessa Maria Carolina, attraverso una speciica richiesta, a ordinare nel 1777 a Francesco La Vega di consegnare i disegni del teatro di Ercolano che l’architetto aveva realizzato negli anni degli scavi della struttura8. Nel 1768 la coppia reale ricevette la visita dell’imperatore Giuseppe II d’Austria, fratello di Maria Carolina, che, nonostante lo scarso interesse mostrato da Ferdinando, cercò, attraverso il ministro Tanucci che da sempre era stato l’anima della riscoperta delle città sepolte, di visitare i tesori che si andavano disseppellendo. Riusciamo a ricostruire queste visite attraverso il dettagliato diario che Giuseppe inviava alla madre Maria Teresa, sotto forma di lettere. In particolare, il 7 aprile 1768, Giuseppe con la sorella e il cognato, si recò a Pompei, dove Tanucci e La Vega scavarono, in un punto prestabilito, alcune antichità, facendo credere che fossero appena state ritrovate. Ma l’imperatore non cadde nel tranello e si lamentò9. Di quella comitiva facevano parte anche lord Hamilton, ambasciatore della corte inglese a Napoli10 e il conte von Kaunitz, ambasciatore dell’impero asburgico. Giuseppe fu molto risoluto nell’incitare Ferdinando a dedicarsi più decisamente allo 6 Così rispettivamente C.M. Rosini (Dissertationis isagogicae ad Herculanensium Voluminum explanationem pars prima, Napoli, 1797) e O.A. Baiardi (Prodromo delle antichità di Ercolano, Napoli, 1752). 7 Questi episodi sono narrati minuziosamente da E. Corti, Ercolano e Pompei, ed. it., Einaudi, Torino, 1957, pp. 162 sgg. 8 C.C. Parslow, Rediscovering Antiquity. Karl Weber and the Excavation of Herculaneum, Pompeii, and Stabiae, Cambridge University Press, Cambridge, 1995, pp. 260-263. La Vega aveva realizzato sette disegni del teatro (tre planimetrie, tre sezioni trasversali e una pianta dell’alzato) che non furono pubblicati. Diversa la sorte dei disegni del teatro realizzati da Francesco Piranesi, che furono pubblicati nel 1783 nel volume Il teatro di Ercolano. Sui disegni del teatro rimando anche a M. Pagano, I diari di scavo di Pompei, Ercolano e Stabiae di Francesco e Pietro La Vega (1764-1810). Raccolta e studio di documenti inediti, Monograie della Soprintendenza Archeologica di Pompei, 13, «L’Erma» di Bretschneider, Roma, 1997, pp. 91-96. 9 Anche Carlo III lamentava fortemente questa pratica di cui era giunta notizia ino a Madrid. Cfr. M. del Carmen Alonso Rodríguez, Venerdì a Portici. Il Museo Ercolanese nei ricordi di Carlo III, in R. Cantilena, A. Porzio (a cura di), Herculanense Museum. Laboratorio sull’antico nella Reggia di Portici, Electa, Napoli, 2008, pp. 105-114, e in particolare p. 112. 10 Sull’attività di Hamilton a Napoli rimando a C. Knight, Hamilton a Napoli: cultura, svaghi, civiltà di una grande capitale europea, Electa, Napoli, 2003. 199 200 Gianluca Del Mastro scavo riuscendo a strappare al re la promessa che, d’ora innanzi, avrebbe visitato con più frequenza i siti11. Pochi giorni dopo, di fronte allo sterro di una casa di notevoli dimensioni12, il re e la regina presenziarono ai lavori rimanendo sorpresi di fronte alla scoperta di tante ricchezze. Maria Carolina fece personalmente caricare sul suo cocchio gli oggetti più preziosi. Giuseppe incalzò Ferdinando afinché predisponesse più uomini per le operazioni13 e in questo era fortemente sostenuto da Maria Carolina, che non sopportava l’autorità di Bernardo Tanucci che, di fatto, dirigeva gli scavi eseguiti da La Vega14. L’entusiasmo della regina veniva fortemente sottolineato da Giuseppe nel dettagliato rapporto che inviò all’imperatrice il 21 aprile 1769. Ma, nonostante l’interessamento dei due fratelli austriaci, Ferdinando oppose molta resistenza, soprattutto in tema di spese: dal 1770 i preziosi volumi delle Antichità di Ercolano non sarebbero più stati pubblicati a carico della Corona, bensì dell’editore. Ciò fece lievitare il prezzo dei volumi e ne limitò la circolazione. L’allontanamento di Tanucci, tanto desiderato dalla regina, non portò i frutti sperati, e i lavori procedettero ancora più lentamente. Anche la morte di Alcubierre nel 1780, che tanto si era adoperato per portare avanti gli scavi, non giovò alla continuazione dell’impresa, così come furono di non poco impedimento le eruzioni del Vesuvio del 1776 e 1779 che, se non altro, portarono come positiva conseguenza la decisione del re di trasferire le antichità dal gabinetto di Portici al Palazzo degli Studi di Napoli15. Un barlume 11 Erano molto dure le parole su Ferdinando che Giuseppe scriveva a Maria Teresa. In una delle lettere affermava di riscontrare in lui «una vera avversione per qualsiasi innovazione, un’ottusità di spirito, una totale incapacità a rilettere...» e sottolineava «Non sa niente del passato, ben poco del presente e non ha mai pensato che possa esistere un futuro; in una parola: vegeta di giorno in giorno». 12 Si tratta della casa che dall’imperatore prenderà il nome (Casa di Giuseppe II, regio VIII, insula 2, 38, 39). 13 È noto il disappunto di Carlo III da Madrid sui rallentamenti che avevano subito le operazioni di scavo dopo la sua partenza da Napoli. Questa disapprovazione si fece ancora più forte proprio in occasione della visita di Giuseppe II poiché Carlo temeva ingerenze austriache nella gestione degli scavi (si veda in proposito M. del Carmen Alonso Rodriguez, Venerdì a Portici. Il Museo Ercolanese nei ricordi di Carlo III cit., p. 112). 14 Anche per le pressioni di Maria Carolina, Tanucci (che informava puntualmente Carlo III dei progressi degli scavi) fu destituito nel 1776. I diari di scavo di La Vega sono stati pubblicati da M. Pagano, I diari di scavo di Pompei, Ercolano e Stabiae cit. 15 Inizialmente si accennò anche alla Reggia di Caserta come possibile nuovo spazio per accogliere il sempre crescente numero di reperti provenienti dai nuovi scavi. Ferdinando Fuga realizzò il progetto di sistemazione delle antichità nel Pa- Maria Carolina, gli scavi e la Villa dei Papiri di Ercolano di speranza si intravide allora con l’ingresso in scena del principe di Caramanico che consigliò la regina, la quale sempre più cercava nuove forze ed energie per portare avanti i lavori nei siti già aperti. Grazie all’impegno del marchese Domenico Caracciolo, nel 1787 riprendeva vigore l’Accademia Ercolanese, che ormai era stata dimenticata anche dagli almanacchi di corte. Nella resurrezione dell’Accademia ebbe un ruolo non poco importante l’ambasciatore William Hamilton: la sua giovane sposa Emma Lyons, strinse amicizia con la regina che era rimasta conquistata dal suo charme e che condivise con lei la passione per gli scavi. Con la rivoluzione francese e la successiva ondata di tumulti in tutta Europa, gli scavi furono praticamente abbandonati, salvo qualche breve incursione, e, come se non bastasse, una nuova terribile eruzione nel 1794 rallentò ogni tentativo. Nel frattempo, nel 1793, vide la luce il primo tomo degli Herculanesium Voluminum quae supersunt, in cui fu ospitata l’edizione del primo papiro ercolanese (PHerc. 1497) che conserva il IV libro del Περὶ μουσικῆς di Filodemo di Gadara. L’opera è dedicata nell’introduzione, scritta in un latino «togato e gioioso ... dallo stile aulico»16 a «Ferdinando IIII Italico Siculo Hierosolymitano Pio Felici Semper Augusto», ma alla ine della dedica, in cui si ricorda il merito del padre Carlo che di quell’opera era stato primo ispiratore, si fa cenno alla «Augusta coniunx» di Ferdinando17. Nel 1798 fallì miseramente il tentativo di Ferdinando di liberare Roma dalle truppe del generale francese Berthier. Con l’aiuto dell’ammiraglio Nelson, i reali partirono per la Sicilia, portando pochi oggetti preziosi e un piccolo gruppo di opere d’arte selezionate tra tutte quelle ritrovate negli scavi. Tra questi reperti erano anche i papiri ercolanesi, ritrovati tra il 1752 e il 1754 nella celebre villa appartenuta, probabilmente, a Lucio Calpurnio Pisone Cesonino, suocero di Giulio Cesare. Nell’Archivio di Stato di Palermo ho potuto leggere alcuni documenti18 relativi a questo episodio: si parla di 60 casse lazzo dei Regi Studi, ma il trasferimento delle opere avvenne solo a partire dal 1808 con i Francesi e fu completato nel 1822. 16 Così M. Gigante, Calendagosto 1793, in Epicuro e l’Epicureismo nei Papiri Ercolanesi, Istituto Italiano per gli Studi Filosoici, Napoli, 1993, pp. 18-21. 17 Diversamente i volumi delle Antichità di Ercolano, anche dopo la partenza per la Spagna di Carlo, sono tutti dedicati al padre di Ferdinando. Solo l’ultimo volume, uscito nel 1792 (e quindi dopo la morte di Carlo nel 1788) è dedicato a Ferdinando IV. 18 Aspa, Real Segreteria Incartamenti, 5671. I documenti relativi alle antichità trasportate a Palermo, furono ricopiati, più o meno integralmente, molto più tardi (intorno agli anni ’80 del XIX secolo), da Fraccia su incarico di Fiorelli e una copia di 201 202 Gianluca Del Mastro di opere di cui 5 contenevano i papiri ercolanesi che rimasero in deposito a Palermo (e non furono aperte) ino al loro ritorno a Napoli nel gennaio del 180219. Il 23 gennaio 1806 Ferdinando, incalzato dall’esercito francese, riparava per la seconda volta a Palermo. In questa occasione, a differenza della prima, i papiri rimasero a Napoli. Mario Capasso, in un interessante lavoro sulle vicende della papirologia ercolanese in questi anni20, ha cercato di spiegare le cause del mancato trasferimento: forse il re sperava di tornare presto a Napoli o forse i papiri erano considerati meno preziosi di altri oggetti d’arte. Lo studioso si chiede anche se non abbia pesato sulla decisione la fragilità del materiale papiraceo. Basti ricordare che, proprio in questa seconda fuga, la nave che trasportava Maria Carolina rischiò di naufragare con la perdita di gran parte del bagaglio reale e dell’archivio del ministero degli esteri. Certo è che a Napoli si formarono due partiti contrapposti: da una parte il reverendo John Hayter21 (che chiese al ministro plenipotenziario di sua maestà Hugh Elliot di fare pressioni sul re) e lo stesso soprintendente dell’Oficina dei Papiri, il vescovo di Pozzuoli Carlo Maria Rosini, si schierarono a favore del trasferimento dei papiri per motivi ideologici (per l’inglese Hayter mai si sarebbero dovuti lasciare i papiri nelle mani degli odiati francesi) o per paura dei pericoli in cui a Napoli sarebbe potuto incorrere il materiale. Dall’altra parte erano il Segretario di Stato Francesco Seratti, con quello che sarebbe stato il suo successore Luigi de’ Medici che spinsero per evitare un nuovo trasferimento dei papiri, forse anche perché di tendenze ilofrancesi. Sappiamo che Seratti ricevette un forte sostegno proprio da Maria Carolina e, in effetti, i papiri questa seconda volta non furono spostati22. questo incartamento è conservato presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli. 19 Su questi avvenimenti cfr. F. Longo Auricchio, John Hayter nella Oficina dei Papiri Ercolanesi, in Contributi alla Storia dell’Oficina dei Papiri Ercolanesi cit., pp. 159-215, e in particolare p. 164 e nota 16. 20 M. Capasso, La papirologia ercolanese nel decennio francese a Napoli (18061815), in A. Antoni, G. Arrighetti, M.I. Bertagna, D. Delattre (a cura di), Miscellanea Papyrologica Herculanensia, I, Fabrizio Serra editore, Pisa-Roma, 2010, pp. 247270, e in particolare pp. 248 sgg. 21 Su Hayter rimando a F. Longo Auricchio, John Hayter nella Oficina dei Papiri Ercolanesi cit. 22 M. Capasso, La papirologia ercolanese nel decennio francese a Napoli (18061815) cit., p. 251. Lo studioso (ivi, p. 261) scrive: «Di Maria Carolina d’Austria, volitiva ed inluente moglie di Ferdinando IV di Borbone, vengono ricordati maneggi Maria Carolina, gli scavi e la Villa dei Papiri di Ercolano Tutti questi avvenimenti e, in particolare, la presenza di due diversi partiti a Napoli, uno che sosteneva lo spostamento dei papiri a Palermo e un secondo che premeva afinché i rotoli restassero a Napoli, sono ben documentati dal Report che il reverendo John Hayter indirizzò al Principe di Galles nel 1811 in forma epistolare23. Riporto qui il passaggio che ci interessa nella traduzione di Francesca Longo Auricchio: Un ramo era formato da quegli uomini che non avrebbero seguito la Corte in Sicilia. Costoro devono essere stati ansiosi di trattenere a Napoli tutto ciò che era proprietà reale e che avrebbe soddisfatto i loro nuovi padroni e garantito per loro a qualunque livello mezzi di indulgenza o protezione. L’altro ramo consisteva di quelli che erano stati impiegati per questi manoscritti; Rosini, Pietro La Vega, gli svolgitori e i copisti desideravano conservare come di fatto conservano lo stesso impiego sotto i francesi. Ambedue questi rami dello stesso partito, protetti dalla regina, ottennero, a mezzo di Seratti, l’ordine del re di non spostare i manoscritti né i facsimili incisi. A questi motivi bisogna aggiungerne un altro, se posso chiamare l’indifferenza un motivo per abbandonare questi manoscritti. Questa indifferenza circa la letteratura in generale e perciò circa questi manoscritti in personaggi delle due Sicilie è molto rimarchevole24. Come abbiamo visto, Maria Carolina non mostrò grande interesse per i papiri, ma ciononostante possiamo ipotizzare la presenza della regina nell’Oficina dei papiri nel 1782, durante la visita a Napoli dell’ambasciatore marocchino Muhammad ibn Uthmān alMiknāsī. Egli fu accolto con tutti gli onori dal re Ferdinando e dalla stessa Maria Carolina, come si legge nella sua relazione di viaggio conservata in un manoscritto che si trova presso la biblioteca di Rabat25. Come è noto, la regina non amava intrattenere gli ospiti stranieri, ma fece un’eccezione per l’ambasciatore marocchino, il quale, nei suoi tre mesi di permanenza nel Regno, ebbe l’occasione ed intrighi tesi a soddisfare una smisurata ambizione, ma nessun interesse per i papiri». Su questi avvenimenti cfr. anche F. Longo Auricchio, John Hayter nella Oficina dei Papiri Ercolanesi cit., pp. 169 sgg. 23 J. Hayter, A Report upon the Herculaneum Manuscripts in a second Letter addressed, by Permission, to his Royal Highness the Prince Regent, London, 1811. 24 F. Longo Auricchio, John Hayter nella Oficina dei Papiri Ercolanesi cit., pp. 208-210. 25 Cfr. C. Sarnelli Cerqua, La macchina del Piaggio nella descrizione di un ambasciatore marocchino, «Cronache Ercolanesi», 23 (1993), pp. 107 sgg. 203 204 Gianluca Del Mastro di visitare anche l’Oficina dei papiri e di apprezzare il lavoro di Piaggio che gli mostrò la prodigiosa macchina per lo svolgimento dei papiri. Di quella visita l’ambasciatore offre un dettagliato resoconto, parlando dei papiri e soffermandosi sul funzionamento della macchina26. Non possiamo essere certi che a questa visita abbia partecipato anche la regina, ma, visto l’insolito calore con cui accolse l’ospite straniero, non è impossibile che quella mattina a Palazzo anche lei abbia presenziato all’incontro tra l’ambasciatore e lo scolopio. Del resto il rapporto tra la regina e Piaggio è ben attestato da un altro episodio: Maria Carolina inanziò e commissionò a Piaggio il progetto di realizzare una fabbrica delle cosiddette calancà («tele stampate a iorami e igure»27) che lo scolopio intendeva installare nel Reclusorio di S. Antonio, come risulta da una Memoria inviata il 4 aprile 1777 al marchese della Sambuca che, come si è accennato, era succeduto al primo ministro Tanucci28. Un altro elemento, che mi fa piacere riportare in questa sede, dopo l’attenta analisi di Carol Mattusch29, accomuna la regina Maria Carolina alla Villa dei Papiri e ai suoi tesori. Si tratta della riproduzione in un affresco, realizzato in un medaglione della Biblioteca Palatina del Palazzo Reale di Caserta, del busto bronzeo di Priapo/Dioniso designato come Platone proveniente dalla Villa dei Papiri. L’affresco, bianco su grigio, fu disegnato per la regina, 26 L’ambasciatore parla delle strisce di intestino di pecora, utilizzate per permettere al papiro di distendersi senza perdere la forma acquisita durante la carbonizzazione, come di una «tela di un ragno». Allo stesso modo Dominique Vivant Denon, che nel 1777 aveva visitato l’Oficina, affermò che l’operazione dello svolgimento, tramite le membrane essiccate era «aussi dificile qu’à developper sans fracture une toile d’araignée que l’on aurait froissée». Cfr., in proposito, A. Antoni, L’Oficina des Papyrus dans la description de Vivant Denon, «Cronache Ercolanesi», 32 (2002), pp. 321-324, e in particolare pp. 322 sgg. e M. Capasso, Come tele di ragno sgualcite. Dominique Vivant Denon e Jean-François Champollion nell’Oficina dei Papiri Ercolanesi, Graus Editore, Napoli, 2002. 27 Così L. Scarabelli, Vocabolario universale della lingua italiana, Edito a spese di Giuseppe Civelli, Milano, 1878. 28 Cfr. A. Travaglione, Testimonianze su Padre Piaggio, in Epicuro e l’Epicureismo cit., pp. 53-80, e in particolare p. 62. Dell’afidamento di questo progetto da parte della regina dà notizia G.B. Cereseto, in L. Grillo (a cura di), Elogi di liguri illustri, Stabilimento Tipograico Fontana, Torino, 1846, vol. III, pp. 74-83, e in particolare p. 81. Il ritratto di Padre Piaggio di Cereseto è riportato anche da F. Strazzullo, P. Antonio Piaggio e lo svolgimento dei Papiri Ercolanesi, «Memorie dell’Accademia di Archeologia Lettere e Belle Arti in Napoli», XV ( 2002), pp. 25-32, e in particolare p. 29. 29 C.C. Mattusch, The Villa dei Papiri at Herculaneum. Life and Afterlife of a Sculpture Collection, The J. Paul Getty Museum, Los Angeles, 2005, pp. 283-286. Maria Carolina, gli scavi e la Villa dei Papiri di Ercolano che evidentemente dovette concepirne e guidarne la realizzazione, da parte dell’artista austriaco Heinrich Friedrich Füger. Il pittore, nato a Heilbronn l’8 dicembre del 1751, dopo alcuni studi da autodidatta si era trasferito quattordicenne a Stoccarda, dove seguì le lezioni di Nicolas Guibal. Frequentò l’Università di Halle cimentandosi in studi classici e giuridici, ma approfondì lo studio del disegno perfezionando le proprie doti di ritrattista. Lavorò a Lipsia, a Dresda e, inine, a Vienna, dove nel 1774 conobbe personalmente la regina Maria Teresa, madre di Maria Carolina, diventando miniatore uficiale di corte. Su incarico della famiglia imperiale fu a Roma e lì poté ammirare personalmente le opere di Raffaello da cui trasse sicuramente ispirazione per l’opera che richiama iconograicamente La Scuola di Atene e concepita per la parete destra della Biblioteca Palatina della Reggia di Caserta. Il dipinto rafigura il disvelamento di una statua di donna che rappresenta la Verità, la quale solo a pochi viene rivelata. Tra gli astanti, sulla destra, il pittore ha ritratto se stesso e l’amico e collega Anton Raphael Mengs30. Questa rappresentazione iniziatica della conoscenza ha indotto gli studiosi a pensare che l’artista avesse voluto inserire nell’opera alcuni elementi cari alla massoneria. Füger, infatti, fu molto vicino all’ambiente massonico austriaco e in questo avrebbe avuto un sostegno dalla stessa Maria Carolina le cui simpatie massoniche sono ben note e rappresentate, tra l’altro, dalla revoca del divieto di associazione massonica nel Regno di Napoli31. È evi30 Il pittore Mengs fu anche amico di Padre Piaggio, lo scolopio genovese celebre per l’invenzione della macchina per lo svolgimento dei papiri ercolanesi. Sull’interesse di Mengs per le pitture ercolanesi, testimoniato dall’amicizia e dai continui scambi con J.J. Winckelmann, cfr. R. Brilliant, Herculaneum: Archaeological, Art Historical and Cultural Properties, in L. Franchi dell’Orto (a cura di), Ercolano 17381988, 250 anni di ricerca archeologica, Atti del Convegno Internazionale, Ravello-Ercolano-Napoli-Pompei, 30 ottobre – 5 novembre 1988, «L’Erma» di Bretschneider, Roma, 1993, pp. 117-122. 31 Si è molto scritto sulla vicinanza di Maria Carolina agli ambienti massonici. Mi limito a rimandare a M. D’Ayala, I liberi muratori di Napoli nel sec. XVIII, «Archivio Storico per le Province Napoletane», XXII (1897), pp. 404-463, 529-631; XXIII (1898), pp. 49-110, 305-364, 567-604, 743-818. Ricordo anche che in occasione della emanazione dello Statuto di cui Maria Carolina si era fatta promotrice – cfr. N. Verdile (a cura di), L’utopia di Carolina. Il Codice delle leggi leuciane, Regione Campania, Napoli, 2007 – nato per tutelare gli interessi delle donne, all’interno della neonata colonia di San Leucio, molti poeti, dichiaratamente aderenti a logge massoniche, le dedicarono una raccolta di poesie pubblicata dalla stessa Stamperia Reale nel 1789 (Componimenti Poetici per le leggi date alla nuova popolazione di Santo Leucio da Ferdinando IV, Re delle Sicilie P.F.A.). 205 206 Gianluca Del Mastro dente che Füger sottopose a Maria Carolina una serie di soggetti per affrescare, non solo le pareti, ma anche i medaglioni della Biblioteca Palatina che richiamavano lo stesso tema; la scelta del soggetto cadde su un tema, quello del Priapo/Dioniso della Villa dei Papiri, a lungo ritenuto una rafigurazione di Platone, che ebbe molta fortuna. Oltre a una serie di belle riproduzioni in varie misure realizzate già a partire dalla seconda metà del XIX secolo dalla celebre fonderia Chiurazzi32, Mattusch segnala una copia in marmo esposta presso il Grand Hotel Vesuvio di Napoli e una copia in marmo (senza spalle e chitone) presso la biblioteca della chiesa di rito scozzese di Washington. Alle riproduzioni segnalate dalla studiosa aggiungo quella ricordata da Maria Paola Guidobaldi, che ha notato la presenza della statua nella biblioteca della tenuta delle «Dodici Querce» nel ilm Via col Vento (1939)33. Giulio Brevetti REGINA DI QUADRI L'ICONOGRAFIA PITTORICA DI MARIA CAROLINA Sommario: Mai ino a oggi analizzata interamente, l’iconograia pittorica di Maria Carolina appare molto più vivace e interessante di quella maggiormente nota e celebrata della sorella Maria Antonietta, regina di Francia, sia da un punto di vista stilistico, poiché abbraccia linguaggi diversi di paesi differenti, come il tardo barocco napoletano, il rococò francese, il neoclassico tedesco, sia da quello iconograico e iconologico, come testimoniano, ad esempio, la suggestiva presenza dell’Antico, i riferimenti alla maternità – che assumono in alcuni casi multiformi signiicati – e, persino, diffusi sottotesti massonici. Parole chiave: ritratto, potere, Antico, famiglia, maternità. queen of diamondS. the Pictorial iconograPhy of maria carolina abStract: Never entirely analyzed until now, the pictorial iconography of Maria Carolina looks more vivacious and interesting than that of her sister Marie-Antoinette, queen of France, both for its various languages from different countries, as the Neapolitan late baroque, the French rococo, the German neoclassic, and for the iconography and the iconology, as shown by the suggestive presence of the Antique, the allusions to the maternity and even some Masonic references. KeywordS: portrait, power, Antique, family, maternity. 1. Charlotte e Antoine: iconograie parallele di due regine sorelle 32 Sulla famiglia di artisti e fonditori Chiurazzi, cfr. la voce a cura di R. Motta in Dizionario Biograico degli Italiani, 25, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma, 1981, pp. 61-63. 33 M.P. Guidobaldi, La Villa dei Papiri di Ercolano: una sintesi delle conoscenze alla luce delle recenti indagini archeologiche, in Relazioni tenute per la celebrazione del XL anniversario della fondazione del Centro Internazionale per lo Studio dei Papiri Ercolanesi «Marcello Gigante», Macchiaroli, Napoli, 2010, pp. 17-32, e in particolare p. 17. Assurte su due troni di rilievo nello scacchiere europeo della seconda metà del XVIII secolo, le arciduchesse austriache Maria Carolina (1752) e Maria Antonietta (1755) – la tredicesima e la quindicesima dei igli dell’imperatrice Maria Teresa d’Asburgo – hanno segnato le vicende dei paesi a loro destinati. Mai amate dai propri sudditi, considerate distaccate forestiere, entrambe sono state giudicate personalità “negative” dalla storiograia moderna, nemiche della rivoluzione ed estremi simboli dell’ancien régime. Due destini simili, due esistenze parallele, eppure un peso diverso nella storia e nella cultura moderna. Già nel corso del XIX secolo, la igura di Maria Antonietta è stata riletta quale tragica vittima degli eventi e di un sistema più grande di lei, “cattiva” suo malgrado, consegnata al ricordo come 208 Giulio Brevetti Regina di quadri. L'iconograia pittorica di Maria Carolina una sciagurata eroina romantica, ino a divenire, nel corso del Novecento, un simbolo dell’eterno femminino, una sorta di prototipo, di igura archetipica, icona di stile1 ante-litteram, una material girl del ’700, emblema e precorritrice del supericiale, anticipatrice di modelli e miti femminili del XX secolo, passati dal lusso, dalla bellezza e dal successo a una morte tragica e violenta, come Marilyn Monroe o Diana Spencer, altre celebri “bionde” strappate come lei alla vita alla medesima età (tra i 36 e i 37 anni) e consegnate a un’eternità virtuale fatta di immagini, di video, di ricordi e di reliquie. Attorno al suo mito – costantemente alimentato dalla pubblicazione di biograie best seller, romanzi e diari veri o presunti, da mostre monograiche2 e ilm di successo3, così come da bambole, manga e cartoni animati che la rendono popolare anche tra i più giovani – ruota tuttora un grande business, basti pensare al merchandising che la riguarda soltanto a Versailles, sito storico e turistico sapientemente riorganizzato attorno alla sua igura. Niente di tutto questo è toccato a Maria Carolina, meno graziosa e avvenente della sorella, “colpevole” di essere morta a sessantadue anni in casa nella sua Vienna, a causa di un comune colpo apoplettico e non di un ben più suggestivo colpo di mannaia: pochis- sime le biograie, mai nessuna mostra, in letteratura e al cinema dipinta solitamente come una rigida e arcigna sovrana, personaggio di secondo piano nelle vicende amorose di lady Hamilton e di lord Nelson4; persino i neoborbonici le preferiscono altre regine come la santa Maria Cristina di Savoia o l’eroica Maria Soia di Baviera. Pur essendo più colta e intelligente della frivola e supericiale sorella, ma regina di tutta la Francia e per di più in un passaggio cruciale della sua esistenza, le è toccato in sorte un Regno più piccolo e meno importante e ancora oggi viene percepita come personaggio di una storia locale, per giunta meridionale, e non nazionale. Coninata dunque nella settorialità degli studi specialistici, ha subito per decenni l’ostracismo degli storici, a cominciare dai giudizi sferzanti di Croce, che le rimproverava l’invadente presenza e, soprattutto e a buon ragione, di essersi macchiata del sangue dei rivoluzionari del ’99, annullando di fatto i progressi compiuti negli anni di politica illuminata, in particolare in campo culturale e artistico, di cui si era fatta promotrice. Anche la sua iconograia5 risulta solo parzialmente studiata e mai letta e analizzata, sino ad ora, nella sua interezza come e quanto quella di Maria Antonietta6, sventurata in vita ma dall’inarrivabile fortuna critica e visiva dopo la morte. Desidero ringraziare, per il loro cortese aiuto durante le mie ricerche, Eva Maria Baumgartner, Marcello Colloca, Luisa Martorelli, Luciano Pedicini, Xavier Salmon. Un ringraziamento particolare a Rosanna Ciofi, che nella sua carriera ha spesso incrociato la igura di Maria Carolina, a cominciare dagli studi giovanili su Costanzo Angelini, passando per quelli sulla decorazione della Terza Sala della Biblioteca Palatina della Reggia di Caserta, ino alla mostra Casa di Re (2004-2005), da lei curata. 1 Sull’inluenza di Maria Antonietta sulla moda, J. Trey, La mode à la cour de Marie-Antoinette, Gallimard – Château de Versailles, Paris, 2014. 2 La prima grande esposizione attorno alla igura della regina è Marie-Antoinette et son temps, catalogo della mostra (Paris, Galerie Sedelmeyer, 1894), Chamerot et Renouard, Paris, 1894. La più importante per gli studi successivi è stata Marie-Antoinette, Archiduchesse, Dauphine et Reine (Château de Versailles, 16 maggio – 2 novembre 1955), Éditions des Musées Nationaux, Paris, 1955. Più recentemente si ricorda B. de Boysson, X. Salmon (a cura di), Marie-Antoinette à Versailles. Le goût d’une reine, catalogo della mostra (Bordeaux, Musée des arts décoratifs, 21 ottobre 2005 – 30 gennaio 2006), Somogy éditions d’art, Paris, 2005. L’ultima in ordine di tempo, di grande successo, è P. Arizzoli-Clémentel, X. Salmon (a cura di), Marie-Antoinette, catalogo della mostra (Paris, Galeries Nationales du Grand Palais, 15 marzo – 30 giugno 2008), Réunion des musées nationaux, Paris, 2008. 3 Tra i tanti, si ricordano: Marie Antoinette (W.S. Van Dyke, 1938) con Norma Shearer; Si Versailles m’était conté (Sacha Guitry, 1954) con Lana Marconi; Marie-Antoinette reine de France (Jean Delannoy, 1955) con Michèle Morgan; L’Autrichienne (Pierre Granier-Deferre, 1990) con Ute Lemper; La révolution française (Robert Enrico, Richard T. Heffron, 1989) con Jane Seymour; Marie Antoinette (Soia Coppola, 2006) con Kirsten Dunst; Les Adieux à la Reine (Benoît Jacquot, 2012) con Diane Kruger. 4 Si pensi a pellicole quali: Trafalgar (Frank Lloyd, 1929) con Dorothy Cumming; That Hamilton woman (Alexander Korda, 1941) con Norma Drury Boleslavsky; Ferdinando I° re di Napoli (Gianni Franciolini, 1959) con Audrey Mc Donald; Les amours de Lady Hamilton (Christian-Jaque, 1968) con Nadja Tiller; Il resto di niente (Antonietta De Lillo, 2004) con Giulia Weber; Luisa Sanfelice (Paolo e Vittorio Taviani, 2004) con Cecilia Roth. L’unico ilm nel quale compare da protagonista e che offre una ricostruzione, seppur forzata e grottesca, dei preparativi delle nozze, dell’arrivo a Napoli e dei primi tempi alla corte borbonica, è la modesta commedia Ferdinando e Carolina (Lina Wertmüller, 1999) con Gabriella Pession. 5 In effetti, sono soltanto due gli interventi che rilettono sull’immagine in pittura di Maria Carolina. La prima ad occuparsene è stata Stefi Röttgen che, in occasione di un lavoro più complesso sull’iconograia borbonica settecentesca, ancora oggi fondamentale per un primo approccio all’argomento, ha tentato di ricostruire il percorso dei ritratti sino alla ine del XVIII secolo: S. Röttgen, Iconograia borbonica, in R. Causa (a cura di), Civiltà del ’700 a Napoli 1734-1799, catalogo della mostra (Napoli-Caserta, dicembre 1979 – ottobre 1980), Centro Di, Firenze, 1979, II, pp. 387-405, in particolare pp. 402-404. Più recentemente, Imma Cecere si è soffermata sui ritratti settecenteschi più rilevanti: I. Cecere, L’immagine delle regine di Napoli nel Settecento: Maria Amalia e Maria Carolina, in M. Mafrici (a cura di), All’ombra della corte. Donne e potere nella Napoli borbonica (1734-1860), Fridericiana Editrice Universitaria, Napoli, 2010, pp. 191-202, in particolare pp. 194-200. 6 Molto più nutrita la bibliograia sull’immagine di Maria Antonietta, a partire da studi della ine del XIX secolo: A. Leesenberg-Hartrotte, Les portraits de Marie-Antoinette en Autriche et en Allemagne, «Bulletin du bibliophile et du bibliothécaire», mars-avril (1894), pp. 188-195; J. Flammermont, Les portraits de Marie-An- 209 210 Giulio Brevetti Eppure, per sedici anni, l’immagine delle due sorelle è pressoché simile, se non sovrapponibile: alla corte asburgica di Schönbrunn entrambe vengono ritratte, assieme ai fratelli e alle sorelle, dai più grandi nomi della scena europea di metà Settecento. Una serie di dipinti e ritrattini, di miniature e disegni ne testimonia la crescita e la formazione di giovani principesse educate all’arte e alla prospettiva di un matrimonio regale. La prima immagine nella quale Charlotte e Antoine – questi gli affettuosi nomi con cui vengono chiamate – compaiono assieme è l’affollato ritratto di famiglia ambientato sulla terrazza del palazzo di Schönbrunn che il pittore di corte, Martin van Meytens, modiica di anno in anno, in seguito alla nascita di nuovi principini7: nella versione del 1756, conservata a Versailles, le due sorelle appaiono al centro, una nata da pochi mesi, nella culla, l’altra che le posa accanto premurosa (ig. 1). L’opera del pittore di origini svedesi – a cui difetta un accorto uso delle proporzioni, specie nel rapporto tra i due adulti e i più piccoli – è una composizione che guarda ai grandi ritratti di gruppo regali del tempo, in particolare a quello con la famiglia di Filippo V eseguito da Louis-Michel van Loo nel 1743, nove anni prima della versione originaria redatta da van Meytens, oggi all’Hofburg di Innsbruck, da cui mutua una serie di elementi: grandi architetture, apertura sullo sfondo con la veduta del parco reale, tendaggi calanti dall’alto, pose affettate e gesti eloquenti. Se, però, nel quadro borbonico il sovrano era circondato dai igli ormai adulti con i rispettivi coniugi dislocati nei diversi paesi europei, a testimoniare un potere presente e attuale, in quello asburgico Francesco I e Maria Teresa sono posti ai lati della nidiata, nell’atto di presentare quei tanti pargoli da destinare negli anni successivi, con accorte politiche matrimoniali, ad altre corti, “adoperandoli” come vere e proprie pedine nello scacchiere europeo, nella prospettiva dunque di consolidare e accrescere il peso austriaco. Tuttavia, a queste composizioni magniloquenti, destinate per lo più a scopi rappresentativi e “pubblici”, Maria Teresa preferisce toinette, «Gazette des Beaux-Arts», julliet (1897), pp. 5-21; A. Vaulart, H. Bourin, Les portraits de Marie-Antoinette. Étude d’iconographie critique, André Marty, Paris, 1909; M. Jallut, Les peintres et les portraits de Marie-Antoinette, Thèse de l’Ecole du Louvre, 1936; oltre ai cataloghi delle mostre succitate, si ricorda anche X. Salmon, Marie-Antoinette, Images d’un destin, Michel Lafon, Paris, 2005. 7 Martin Van Meytens, L’Empereur François Ier d’Autriche et l’Impératrice Marie Thérèse, olio su tela, 1756. Versailles, Musée national des Châteaux de Versailles et de Trianon. Si veda al riguardo X. Salmon, Marie-Antoinette cit., pp. 28-30. Regina di quadri. L'iconograia pittorica di Maria Carolina opere più intime e “private” che le ricordino le diverse fasi della crescita dei propri igli, a cominciare dalle tante miniature realizzate nel corso di quegli anni da artisti come Eusebius Alphen, Lorenzo Balbi, Antonio Bencini, Johann Christoph Reinsperger8. Operine graziose e tenere, che non hanno altro scopo se non quello di essere ricordi visivi prêts à porter dei principini e che recano il pregio di rappresentare realisticamente e senza iningimenti il loro aspetto isico e il rispettivo carattere: è sorprendente, infatti, scorgervi sguardi, pose, attitudini già in nuce delle due sorelle, spesso ritratte assieme, così come il forte legame tra le due e, in particolare, la premura della più grande nei riguardi della minore. Su questa scia si situano gli splendidi pastelli commissionati nel 1762 da Maria Teresa allo svizzero Jean-Étienne Liotard, a quel tempo molto richiesto nelle corti europee per i suoi ritratti contraddistinti dalla combinazione di una resa realistica dei tratti del viso e di una sobria eleganza compositiva. La felice mano dell’artista ginevrino immortala in maniera fedelissima le isionomie dei sedici igli dell’imperatrice, riuscendo a catturarne psicologie e attitudini: non v’è alcun dubbio che la punta più alta dell’iconograia dei giovani Asburgo, scandagliati nel loro animo e nel loro corpo, sia questa. La decenne Charlotte è ritratta con pochi elementi che ne deiniscono la igura, come lo sguardo altezzoso di quegli occhi grandi e rotondi, le guance gonie, l’ovale irregolare, l’aria distaccata, l’amore per i iori: l’aspetto della futura regina di Napoli è già tutto presente in quest’immagine9 (ig. 2a). Non ha la grazia evidente delle sorelle maggiori, né la malizia e il prematuro fascino della minore, la settenne Antoine, che dimostra già di padroneggiare, persino giocando con una navetta10 (ig. 2b). 8 Sulle miniature asburgiche, conservate in gran parte presso la Präsidentschaftskanzlei dell’Hofburg di Vienna, si veda R. Keil, Die Porträtminiaturen des Hauses Habsburg, Amartis, Wien, 1999. 9 Jean-Étienne Liotard, Portrait de Maria Caroline, archiduchesse d’Autriche, sanguigna, matita, acquerello e pastello su carta, 1762. Genève, Cabinet d’arts graphiques des Musées d’Art et d’Histoire. 10 Jean-Étienne Liotard, Portrait de Maria Antonia, archiduchesse d’Autriche, matita, sanguigna, graite, e acquerello su carta, 1762. Genève, Cabinet d’arts graphiques des Musées d’Art et d’Histoire. Sulle opere, si veda il recente C. Baker, W. Hauptman, M.A. Stevens (a cura di), Jean-Étienne Liotard 1702-1789, catalogo della mostra (Edinburgh, Scottish National Gallery, 4 luglio – 13 settembre 2015; London, Royal Academy of Arts, 24 ottobre 2015 – 31 gennaio 2016), National Galleries of Scotland, Edinburgh, 2015, p. 145, n. 60, e pp. 204-206. 211 212 Giulio Brevetti Negli anni a venire, a questo trionfo di ressemblance isionomica e psicologica seguiranno ritratti più convenzionali e schemi compositivi piuttosto rigidi dei vari van Meytens, Wagenschoen, Weikert e un non precisato Meister der Erzherzoginnenportraits11. Oltre a testimoniare la compitezza, l’educazione artistica e musicale impartita da Maria Teresa ai igli, queste opere introducono idealmente alla lunga galleria iconograica delle due sorelle, che nei loro ritratti futuri non faranno altro che recitare, esibirsi, interpretare di volta in volta il ruolo della promessa sposa, della giovane consorte, della madre, della sovrana colta e alla moda, sostenendo cioè il compito per cui sono state predestinate e preparate. Le iconograie di Maria Carolina e di Maria Antonietta inizieranno a divergere e a correre parallele inevitabilmente a partire dai rispettivi matrimoni con Ferdinando IV (1768) e con il Delino Luigi (1770). Nei primi anni alla corte francese, Maria Antonietta subisce le scelte iconograiche di Luigi XV e soltanto una volta divenuta regina riuscirà ad avere piena voce in capitolo sulla propria immagine, segnata dalla persistente ricerca della ressemblance, come emerge ad esempio in alcune lettere con la madre. Dopo essere stata rafigurata da decine di artisti, dalle diverse capacità e qualità, troverà in Élisabeth Louise Vigée Le Brun colei che meglio potrà soddisfare la sua civetteria in una formidabile unione di preziosismo e magniloquenza: per i ritratti uficiali, la pittrice lavora sulle atmosfere e sul trattamento complessivo della igura della regina, riuscendo a coniugare l’eleganza ricercata di matrice rococò con la resa materica realistica di abiti e tessuti; per quelli di destinazione privata, invece, la “regista” e la “diva” si sbizzarriscono, creando set ad hoc e giocando con pose, abiti e situazioni. Anche Maria Carolina diverrà padrona della propria immagine soltanto alla metà degli anni Settanta, in concomitanza con i cambiamenti politici di cui si fa arteice: secondo, infatti, gli accordi matrimoniali stipulati precedentemente, la regina ha diritto ad entrare nel Consiglio di Stato, e ad avere dunque voce in capitolo sulle scelte politiche, una volta dato alla luce un iglio maschio o, come ricorda prosaicamente il Colletta, «sgravatasi di un principe»12. Quando inalmente nel 1775 dà alla luce, dopo due femmine, 11 Su questo, si rimanda a Porträtgalerie zur Geschichte Österreichs von 1400 bis 1800, Kunsthistorisches Museum, Wien, 1976. 12 P. Colletta, Storia del Reame di Napoli, Libreria Scientiica Editrice, Napoli, 1969, I, p. 230. Regina di quadri. L'iconograia pittorica di Maria Carolina il sospirato erede, Carlo Tito, destinato tuttavia a morire prematuramente tre anni dopo, Maria Carolina, «nella valida età di venticinque anni, avventurosa di molti igli, bella, superba per natura e per grandezza di sua Casa, poté di facile assoggettare il marito, solamente inteso a’ corporali diletti»13. In maniera risoluta, allontana deinitivamente il Tanucci, la cui sostituzione favorisce così il cambiamento di politica, passando da posizioni ilospagnole a quelle iloaustriache, e l’apertura nei confronti del movimento massonico, duramente avversato dal deposto marchese. Il mutamento è anche di ordine culturale e ciò è ampiamente ravvisabile nella produzione della ritrattistica reale. Maria Carolina può inalmente decidere come farsi efigiare, rivolgendosi ad artisti di ben altra sensibilità e di altro talento rispetto a quelli ino ad allora imposti dalla corte napoletana. In effetti, la sua immagine in pittura appare molto più vivace e interessante di quella della regina di Francia, sia da un punto di vista stilistico, poiché abbraccia linguaggi diversi di paesi differenti, come il tardo barocco napoletano, il rococò francese, il neoclassico tedesco, sia da quello iconograico e iconologico, come testimoniano, ad esempio, la suggestiva presenza dell’Antico, i riferimenti alla maternità che assumono in alcuni casi multiformi signiicati e, persino, diffusi sottotesti massonici. Con grande sapienza, entrambe le sorelle fondano dunque il proprio potere sulla politica dell’immagine, adoperando linguaggi artistici colti e internazionali e servendosi di pittori all’avanguardia, ma a differire sono le intenzioni: se la regina di Francia adopera la pittura per soddisfare la propria civettuola natura e imporsi come icona di stile, quella di Napoli la utilizza invece per accrescere ed esaltare il suo peso politico e culturale e soddisfare le ambiziose velleità intellettuali, dimostrando così una consapevolezza maggiore e più matura nell’utilizzo della propria rappresentazione igurativa. 2. I ritratti La galleria dei ritratti di Maria Carolina come regina di Napoli e di Sicilia dura circa quarantasei anni, vale a dire dal 1768, anno del matrimonio con Ferdinando IV, al 1814, anno della morte sopraggiunta a Vienna. Un periodo lungo e travagliato dal punto di vista 13 Ivi, p. 232. 213 214 Giulio Brevetti storico e di grande vivacità da quello artistico: ricostruendo la corretta successione nel tempo delle opere che la rafigurano è infatti possibile osservare non soltanto quanto la regina cambi d’aspetto o meno, ma soprattutto come si modiichino il gusto e il linguaggio pittorico in base a fattori quali la destinazione d’uso, la scelta dell’artista, la moda del tempo. Un’iconograia variegata, dunque, composta da centinaia di ritratti di qualità e linguaggi differenti, copie, derivazioni, varianti, che per tale ragione ha dato seguito a dubbi ed equivoci, così come a errate attribuzioni e a confuse ricostruzioni. La prima incognita riguarda proprio l’identiicazione della prima igurazione di Maria Carolina quale sposa e regina: sono infatti noti diversi ritratti realizzati a ridosso della data di matrimonio e dell’arrivo a Napoli, simili tra loro e sparsi per l’Europa, ritagliati su di un’iconograia comune ma sprovvisti di irma e di data di esecuzione. Come punto di partenza andrebbe perciò considerato l’arazzo irmato da Pietro Duranti e datato 1768, realizzato dalla Real Fabbrica di San Carlo alle Mortelle e presente nel Palacio Real di Madrid14 (ig. 3): sovrastata da due putti che reggono gigli bianchi e da un’aquila, la giovane sovrana poggia il braccio sinistro sul cuscino dove svetta la corona, mentre con la mano destra regge un ventaglio chiuso. Oltre ad alludere alla purezza della fanciulla, i gigli sono un chiaro riferimento alla casata dei Borbone, qui congiunta a quella asburgica tramite la presenza dell’aquila. È presumibile non solo che Duranti abbia ricalcato un precedente ritratto, e cioè il primo rafigurante Maria Carolina regina, ma anche che questo sia stato realizzato dal principale ritrattista della corte napoletana, il vecchio Giuseppe Bonito, come confermerebbe proprio la presenza dei putti, già impiegati dal pittore in altri ritratti di principini borbonici. A sua volta, l’arazzo è probabilmente servito da modello ad Anton Raphael Mengs per realizzare il ritratto di Maria Carolina15 richiesto 14 Pietro Duranti, María Carolina de Nápoles, arazzo, 1768. Madrid, Palacio Real. L’opera, richiesta da Carlo III a Duranti, che aveva tre anni prima realizzato quella con Ferdinando IV, risulta già pronta alla metà del settembre del 1768. Nel 1771 Carlo avrebbe poi acquistato due ritratti ovali dei sovrani di Napoli dipinti da Bonito, probabili ispiratori di Duranti, oggi non reperibili. Su entrambi gli arazzi, si veda P. Benito García, in C. García-Frías Checa, J. Jordán de Urríes y de la Colina (a cura di), El Retrato en las colecciones reales de Patrimonio Nacional, catalogo della mostra (Madrid, Palacio Real, dicembre 2014 – aprile 2015), Patrimonio Nacional, Madrid, 2014, pp. 352-353, nn. 67-68, e anche p. 363. 15 Anton Raphael Mengs, María Carolina de Habsburgo-Lorena, reina de Nápoles, olio su tela, 1768. Madrid, Museo del Prado. Si rimanda soprattutto agli studi di S. Röttgen: Iconograia borbonica cit., pp. 403-404, n. 6; Anton Raphael Mengs, Regina di quadri. L'iconograia pittorica di Maria Carolina da Carlo III (ig. 4), assieme a quello della defunta Maria Giuseppa, precedente e sfortunata promessa sposa di suo iglio Ferdinando e spirata poco prima di partire per Napoli nell’ottobre del 1767. Ispirandosi al ritratto di Maria Luisa di Parma, moglie del futuro Carlo IV, che aveva eseguito nel 1766, l’artista boemo riprende l’ambientazione all’aria aperta, mentre rispetto all’arazzo cambia l’abito azzurro in uno dalle tonalità rosate e ruota la testa della giovane regina verso destra, mutuando la posa del braccio destro, la presenza dei bracciali di perle e del ventaglio chiuso. Realizzato tra il 1768 e il 1769, poco prima cioè della partenza del pittore da Madrid, questo ritratto si presenta come il primo capolavoro dell’iconograia della regina, nel quale risalta la resa dell’abito damascato, dei pizzi e dei merletti, dei guanti, della pelle, nonché la scelta di abbinare i colori tenui del vestito alle tonalità fredde dello sfondo paesaggistico. Al Prado di Madrid è presente anche un ritratto rettangolare16 di ignoto in cui la giovane è rafigurata a mezzo busto con un vestito azzurro (ig. 5): il legame con l’opera di Mengs è del tutto stringente, seppur vi siano differenze come la posizione della testa, resa in maniera quasi speculare, e l’introduzione di fasce a mo’ di bretelle attorno al collo. Potrebbe essere una variante del celebre ritratto, o una versione precedente, ma la pennellata dissimile, evidente soprattutto nella resa dei tessuti dell’abito, induce a ritenere l’opera un modello servito a Mengs per ricopiare i tratti isionomici della regina, e dunque inviato da Vienna o da Napoli a tal scopo. Questo dipinto presenta inoltre fortissime analogie con l’ovale napoletano17 che fa parte di una serie di copie di ritratti madrileni 1728-1779, Hirmer Verlag, München, 1999-2003, I, pp. 237-239. L’opera ha conosciuto, negli ultimi quindici anni, una notevole fortuna ed è stata esposta in molte esposizioni: J.J. Luna Fernández, in The Majesty of Spain. Royal Collections from the Museo del Prado and the Patrimonio Nacional, catalogo della mostra (Jackson, Mississippi Arts Pavilion, 1° marzo – 3 settembre 2001), Jackson The Mississippi Commission for International Cultural Exchange, Inc., 2001, p. 71; I. di Majo, in R. Ciofi (a cura di), Casa di Re. Un secolo di storia alla Reggia di Caserta, 1752-1860, catalogo della mostra (Caserta, Palazzo Reale, 8 dicembre 2004 – 13 marzo 2005), Skira, Milano, 2004, p. 293, n. 3.10; J.J. Luna, in L. Ruiz Gómez (a cura di), El retrato español en el Prado. Del Greco a Goya, catalogo della mostra itinerante (Santiago de Compostela, Toledo, Alicante, Bilbao, marzo 2006 – aprile 2007), Museo Nacional del Prado, Madrid, 2006, p. 158, n. 50. 16 Ignoto, María Carolina de Habsburgo-Lorena, reina de Nápoles, olio su tela, 1768 circa. Madrid, Museo del Prado. Conservato in deposito, il ritratto non ha mai goduto di interesse da parte degli studiosi. 17 Ignoto, Maria Carolina d’Austria, olio su tela, 1769 circa. Napoli, Museo nazionale di Capodimonte. 215 216 Giulio Brevetti dei igli e delle nuore di Carlo eseguiti da Mengs, tutte delle medesime misure (ig. 6): caratterizzata da una particolare aria frivola dal sapore ancora rococò, l’opera napoletana mostra una Maria Carolina radiosa, stretta nel suo abito azzurro, mentre posa maliziosa accanto all’usuale consolle con la corona adagiata su di un cuscino. Ogni elemento, ogni oggetto, ogni gesto qui rafigurato concorre alla creazione della mitologia visiva della giovane austriaca alla conquista del Regno di Napoli: lo sguardo sereno e sicuro di sé, la ricchezza dei gioielli, l’orologio dorato legato alle vesti, il fazzoletto piumato simbolo di purezza e di delicatezza, il vezzoso gioco dei mignoli, uno cinto da un anello, l’altro sollevato graziosamente. Da questo modello sarebbero derivate sia la prima incisione di larga diffusione, realizzata nel 1768, sia una serie di altre versioni più o meno simili18. Nei primi anni a Napoli, l’immagine di Maria Carolina è afidata, oltre che a Bonito, anche all’altro artista di corte, l’emiliano Francesco Liani19, che realizza alcuni ritratti della giovane regina ricalcandoli su quelli che aveva eseguito anni addietro per la sovrana precedente, Maria Amalia di Sassonia, come quello uficiale con la corona20 (ig. 7) o come quello equestre – l’unico noto – nel quale siede “legnosa” sul cavallo21. Se questi ritratti sono caratterizzati dunque da una certa 18 Esistono infatti alcune varianti nelle quali Maria Carolina, sprovvista del monile attorno al collo, indossa un abito simile ma dalle tonalità rossastre: quella del Convento di Santa Chiara a Napoli, attribuita a Bonito ma ritenuta erroneamente rafigurare Maria Amalia di Sassonia; quella ovale del Museum Narodowe di Varsavia, assieme al relativo pendant con Ferdinando IV, probabilmente della stessa mano e ricordato da S. Röttgen, Iconograia borbonica cit., pp. 402-403, n. 3; quella di qualità ben inferiore del Museo Regionale di Messina, in passato ritenuta del Crestadoro e menzionata da G. Musolino, in E. Iachello (a cura di), I Borbone in Sicilia, 1734-1860, catalogo della mostra (Catania, Centro Le Ciminiere, 24 aprile – 7 giugno 1998), Giuseppe Maimone, Catania, 1998, p. 190, n. 24. 19 Sull’attività dell’artista, si ricordano: N. Spinosa, Francesco Liani, pittore emiliano al servizio della corte di Napoli, «Paragone», XXVI, 309 (1975), pp. 38-53; M. Gregori, Liani, ritrattista d’eccezione, ivi, pp. 103-108. 20 Francesco Liani, Ritratto di Maria Carolina d’Austria, olio su tela, 1770 circa. Capua, Museo Campano. Sul dipinto, ritagliato su quello di Maria Amalia di Sassonia e presente nello stesso museo, si ricordano: N. Spinosa, Francesco Liani cit., p. 50; S. Röttgen, Iconograia borbonica cit., p. 403, n. 4; U. Bile, in N. Spinosa (a cura di), Alla corte di Vanvitelli. I Borbone e le arti alla Reggia di Caserta, catalogo della mostra (Caserta, Palazzo Reale, 4 aprile – 6 luglio 2009), Electa, Milano, 2009, pp. 182-183. Sulla presenza di opere del pittore emiliano nel museo capuano, si veda M. Izzo, Francesco Liani nelle collezioni del Museo Campano, Museo provinciale campano, Capua, 2003. 21 Francesco Liani, Ritratto equestre di Maria Carolina d’Austria, olio su tela, 1775 circa. Collezione privata. Il dipinto è stato eseguito in coppia con quello del marito, ma si differenzia da questo per il clima generale: mentre infatti Ferdinando monta un cavallo rampante con una scena di battaglia à la Salvator Rosa sullo Regina di quadri. L'iconograia pittorica di Maria Carolina rigidità delle pose, più esuberante è invece quello a igura intera nel quale la regina appare come un’abbagliante esplosione rosso fuoco, nell’evidente proposito di sorprendere e di meravigliare l’osservatore, in questo caso il re di Spagna, committente dell’opera22: il tema del destinatario lontano è d’altronde evocato dal calamaio e dalla piuma posti sullo scrittoio con specchio, mentre ai piedi della vezzosa igura della regina, l’altrettanto graziosa presenza di una perrita che conferisce maggior brio alla composizione. Di ben altra sensibilità è invece il secondo capolavoro dell’iconograia di Maria Carolina, realizzato, ancora su richiesta di Carlo III, da Mengs, questa volta però dal vivo, essendosi il pittore appositamente recato a Caserta23 alla ine del 1772 (ig. 8): come nel ritratto precedente, egli elude gli attributi del potere – contrariamente al pendant con Ferdinando – concentrandosi quasi totalmente sulla resa della regina appena ventenne ma già dall’aspetto maturo e sicuro di sé; a sfondo, mostrandosi dunque pronto a difendere il suo Regno e a dar prova delle proprie capacità marziali, Maria Carolina è invece rafigurata serenamente al trotto in uno scenario più idilliaco e collinare. Entrambi i ritratti, realizzati sulla scorta di quelli con Carlo e Maria Amalia, tutt’oggi esposti nell’Appartamento Storico del Museo nazionale di Capodimonte, sono stati riconosciuti da Massimo Pisani negli anni Sessanta del Novecento nella quadreria dell’ultimo principe di Roccella, don Gennaro Carafa Cantelmo Stuart: M. Pisani, Ritratti napoletani dal Cinquecento all’Ottocento, Electa Napoli, Napoli, 1996, p. 74, nn. 29-30, igg. pp. 72-73. 22 Francesco Liani, María Carolina de Nápoles, olio su tela, 1771. Madrid, Palacio Real. Sul dipinto, identiicato come opera del Bonito nell’inventario di Aranjuez del 1794, si ricordano: N. Spinosa, Francesco Liani cit., p. 48, nota 3; J. Urrea Fernández, La pintura italiana del siglo XVIII en España, Publicaciones del Departamento de Historia del Arte, Valladolid, 1977, p. 333, tav. CXV n. 2; S. Röttgen, Iconograia borbonica cit., pp. 402-404, n. 5; L. Rocco, in N. Spinosa (a cura di), El Arte de la Corte de Napóles en el siglo XVIII, catalogo della mostra (Madrid, Museo Arqueologico Nacional, 7 marzo – 6 maggio 1990), Ministerio de Cultura, Madrid, 1990, pp. 89-90, n. 36. Più di recente, J. Jordán de Urríes y de la Colina, Retratos de la Casa de Borbón en las colecciones reales de Patrimonio Nacional, in C. García-Frías Checa, J. Jordán de Urríes y de la Colina (a cura di), El Retrato cit., p. 266, ig. 58. L’abito indossato dalla regina è molto simile a quello presente nel ritratto di Giulia Carafa di Roccella realizzato da Gaetano De Simone proprio negli anni Settanta. Si veda M. Pisani, Ritratti napoletani cit., p. 85, n. 40. 23 Anton Raphael Mengs, María Carolina de Nápoles, olio su tela, 1772-1773. Madrid, Museo del Prado. Fondamentali, anche per questo ritratto, gli studi di S. Röttgen: Iconograia borbonica cit., pp. 403-404, n. 7, e Anton Raphael Mengs cit., I, p. 239, n. 166, e II, pp. 325-328. Più recentemente, si ricorda l’esaustivo intervento di J. Jordán de Urríes y de la Colina, in C. García-Frías Checa, J. Jordán de Urríes y de la Colina (a cura di), El Retrato cit., pp. 359-364, n. 71. Ancora una volta l’opera di Mengs suscita grande successo, come testimoniano alcune incisioni da essa ricavate e realizzate nel corso degli anni Settanta, come quella di Raffaello Morghen del 1777: S. Röttgen, Iconograia borbonica cit., pp. 403-404, n. 8. 217 218 Giulio Brevetti distanza di quattro anni, ne rinnova l’immagine, modulandola ancora su toni freddi e producendosi in pezzi virtuosistici, come il nastrino nero attorno al collo e la cordicella con la croce, le striature di pelliccia dell’abito perlaceo, il tendaggio broccato, elementi che rendono l’opera tra le più felici efigi della regina di Napoli, che in futuro si orienterà, per celebrare il proprio potere, agli epigoni del boemo. Passeranno però esattamente dieci anni prima che possa trovarne uno all’altezza nella pittrice tedesca Angelika Kauffmann, scesa nel 1782 da Roma a Napoli per eseguire il grande ritratto della famiglia reale, di cui in seguito si dirà. In tale occasione, realizza un inedito e moderno ritratto24 della regina spingendo, ancor più del suo maestro, l’accento sulle suggestioni classiche: se ancora sono presenti elementi tipici del ritratto uficiale come il tendaggio calante, la corona sul cuscino e il manto di ermellino, è la igura di Maria Carolina ad apparire completamente nuova, insolita rispetto a quelle precedenti, idealizzata e addolcita nei tratti, trasigurata nella posa e nell’abbigliamento in una elegante e saggia nobildonna dell’antica Roma. Alla mano di un altro grande pittore tedesco di stanza alla corte napoletana, Johann Heinrich Wilhelm Tischbein, spetterebbe poi il ritratto25 – certamente tra i migliori della regina ma ancora incomprensibilmente ignoto agli studi – che riprende l’impostazione del dipinto capuano del Liani, come si evince dal diretto confronto 24 Angelika Kauffmann, Bildnis der Königin Maria Karoline von Österreich, Königin von Neapel, Erzherzogin von Österreich, olio su tela, 1782-1783. Bregenz, Vorarlberger Landesmuseum. Sul dipinto, oltre al saggio qui successivo, si vedano: B. Baumgärtel (a cura di), Angelika Kauffmann. Retrospektive, catalogo della mostra (Düsseldorf, Kunstmuseum, 15 dicembre 1998 – 24 gennaio 1999), Hatje, Ostildenr-Ruit, 1998, pp. 280-281, n. 149; I. di Majo, in R. Ciofi (a cura di), Casa di Re cit., p. 292, n. 3.7. 25 Johann Heinrich Wilhelm Tischbein, Ritratto di Maria Carolina d’Austria, olio su tela, 1790 circa. Caserta, Palazzo Reale. Nella Prefazione a J.H.W. Tischbein, Dalla mia vita. Viaggi e soggiorno a Napoli, a cura di M. Novelli Radice, Esi, Napoli, 1992, p. 20, la studiosa assegnava l’opera al pittore tedesco. Il dipinto presenta analogie anche con alcuni ritratti del cugino dell'artista, Johann Friedrich August, come ad esempio quello del duca Carl August von Sachsen-Weimar-Eisenach (1795), conservato alle Kunstsammlungen di Weimar. Comparso nella mostra Gioielli regali del 2005 e attribuito dubitativamente ad Angelika Kauffmann, viene altresì datato non oltre il 1792, per via della ibbia con perle e brillanti che si ipotizza possa essere stata plausibilmente donata alla nuora Maria Clementina, promessa sposa dell’allora duca di Calabria Francesco, come farebbe supporre il ritratto di quest’ultima realizzato tra il 1792 e il 1794, in passato attribuito alla Vigée Le Brun e assegnato poi a Joseph Hickel, in cui adorna l’abito della giovane austriaca. Si veda dunque V. de Martini (a cura di), Gioielli regali. Ori, smalti, coralli e pietre preziose nel Real Palazzo di Caserta tra XVIII e XX secolo, catalogo della mostra (Caserta, Palazzo Reale, 7 giugno – 30 ottobre 2005), Skira, Milano, 2005, p. 139, n. 30. Il successo di questo modello è testimoniato da alcune derivazioni, come ad esempio quella di San Giacomo degli Regina di quadri. L'iconograia pittorica di Maria Carolina di alcuni elementi, come la posa centrale di tre quarti della sovrana, la corona sul cuscino a sinistra, la veduta con le chiome degli alberi sulla destra (ig. 9). Tutto però è oramai riletto in chiave neoclassica: al tendaggio ancora pesantemente barocco, se ne sostituisce uno più chiaro, leggiadro, una sorta di velario; ecco inoltre, sulla sinistra, comparire una grande ara che rimanda all’antichità e che conferisce ancora più pathos all’apparizione della regina; l’abito della stessa sovrana, poi, viene a tramutarsi in una veste più sobria e dal colore perlaceo, come quelle indossate dalle donne dell’antica Roma. Pur utilizzando un modulo compositivo già ampiamente adoperato in passato, il maestro tedesco arriva a rifondare l’immagine della regina, utilizzando un linguaggio più moderno ed eficace per celebrarne il potere, tutto condensato nella gestualità della mano sinistra, anch’essa mutuata dal dipinto di Liani26. Oltre a una linea tedesca, che affonda le radici in una cultura igurativa neoclassica e densa di colti e complessi riferimenti, a segnare l’iconograia della regina è anche – almeno ino agli inizi degli anni Novanta – una tendenza di marca francese, ancora legata a stilemi e a preziosismi rococò, e che predilige un’atmosfera di composta e ovattata tranquillità salottiera, allo scopo di esaltare la rafinatezza e la cultura del soggetto attraverso la sapiente scelta di pose, abiti e dettagli. Questo tipo di produzione è legato al riutilizzo dei medesimi modelli per ritrarre più elementi di una famiglia, e non è infrequente trovare personaggi di corti differenti rafigurati in maniera identica: è questo il caso, ad esempio, del pittore Charles Leclercq, che ritrae Maria Carolina come sua sorella Maria Antonietta e altre nobildonne francesi27. Altre volte, poi, il ritratto Spagnoli, in cui muta la gestualità della regina, ma che sostanzialmente riprende, seppur con minor resa, l’impianto generale, e quella presente presso la Reale Arciconfraternita di San Giuseppe dei Nudi, più tarda, più differente e di minor qualità. 26 Ma se in quello compaiono soltanto due dita allungate verso il basso, un chiaro segno di regalità e di fedeltà alla corona, in questo invece pare di scorgerne tre, tipica allusione alla perfezione, due delle quali, l’indice e il medio, sono rese ancora più in evidenza, con maggior vigore e nettamente staccate tra di loro, tanto da indurre a ipotizzare che sottendano un signiicato “altro”, rimandando alla forma di quel compasso così caro alla simbologia massonica, elemento chiave della libera muratoria, di cui come noto Tischbein fa parte, essendo a capo di una loggia romana. Sui rapporti tra l’artista e la regina, e sugli eventuali riferimenti massonici presenti all’interno delle opere che egli realizza per la corte borbonica, sarà necessario ritornare a occuparsene in altra sede. 27 Sull’artista francese e sulle rappresentazioni-tipo da lui ideate, si veda X. Salmon, Petits portraits de cour et d’amitié : l’exemple de Charles Leclercq (17531821), “Peintre lamand au service de sa majesté, la reine de France”, in Id. (a cura 219 220 Giulio Brevetti di un artista d’oltralpe viene rifatto da uno meridionale, come nel caso di quello che ritrae in maniera convenzionale la regina colta a leggere, realizzato da Lié Louis Perin-Salbreux e ripreso da un pittore di minor talento come Camillo Landini, che ne varia alcuni particolari, come l’aggiunta di guanti e di un medaglione, senza però eguagliarne l’eleganza cromatica e la resa inale28. Un percorso analogo è anche quello relativo al ritratto francese più signiicativo di Maria Carolina, non soltanto per le sue alte qualità stilistiche e formali, ma altresì per le implicazioni storiche e affettive, quello cioè realizzato tra il 1790 e l’anno seguente da Élisabeth Louise Vigée Le Brun, la ritrattista di Maria Antonietta, che, fuggita da Parigi, intraprende un lungo viaggio in Europa, trovando per alcune settimane ospitalità proprio alla corte napoletana, dove ha modo di ritrarre la regina e i suoi quattro igli più grandi29. Le iconograie delle due sorelle vengono così a incrociarsi proprio a causa della rivoluzione francese e per mano della medesima pittrice. Il ritratto che costei esegue è incontrovertibilmente ricalcato sul celebre Marie-Antoinette au livre (ig. 10a) che aveva realizzato appena due anni prima, seppur depauperato dalla fastosa grandeur rococò in favore di una maggiore sobrietà, suggerita dalla posa più meditativa di Maria Carolina30 e dalla contenuta di), De soie et de poudre. Portraits de cour dans l’Europe des lumières, Actes Sud, Versailles, 2003, pp. 176-192, in particolare 190-191 per le immagini di Maria Carolina. 28 Camillo Landini, Ritratto di Maria Carolina d’Austria, olio su tela, 1787. Napoli, Museo nazionale di Capodimonte (l’immagine è riportata nel saggio seguente). Il prototipo di Perin-Salbreux compare nella mostra Marie-Antoinette, Archiduchesse, Dauphine et Reine cit., p. 39, n. 57, e ritenuto rappresentare per l’appunto la regina francese. La donna rafigurata è stata poi riconosciuta come Maria Carolina da A. González-Palacios, in R. Causa (a cura di), Civiltà del ’700 cit., II, pp. 205-206, n. 449, che ha rinvenuto il ritratto in una galleria antiquaria londinese e l’ha messo dunque in relazione con l’opera di Landini. Un’altra versione, di qualità minore, è presente nelle raccolte della iglia di Maria Carolina, Maria Cristina, consorte di Carlo Felice di Savoia: D. Biancolini, E. Gabrielli (a cura di), Il Castello di Agliè. Gli Appartamenti e le Collezioni, CELID, Torino, 2001, pp. 38, 92, n. 148. 29 Sulla presenza della pittrice a Napoli, si veda F. Mazzocca (a cura di), Viaggio in Italia di una donna artista. I “Souvenirs” di Elisabeth Vigée Le Brun 1789-1792, Electa, Milano, 2004, pp. 126-160, e in particolare, per le impressioni sulla regina e sui suoi igli, pp. 138-141, 151-154. 30 La posa della mano sinistra appoggiata al volto, che conferisce un’aria serena e intelligente, verrà in seguito ripresa dalla pittrice per altri ritratti femminili, come quelli di Gräin von Bucquoi (1793) e della contessa Tolstaïa (1796). Si veda in proposito P. Lang, in J. Baillio, X. Salmon (a cura di), Élisabeth Louise Vigée Le Brun, catalogo della mostra (Paris, Grand Palais, Galeries nationales, 23 settembre 2015 – 11 gennaio 2016; New York, The Metropolitan Museum of Art, 9 febbraio – 15 maggio 2016; Ot- Regina di quadri. L'iconograia pittorica di Maria Carolina decorazione neoclassica che si scorge alle sue spalle (ig. 10b). Non è chiaro se il riferimento all’immagine di Maria Antonietta sia stata un’esplicita richiesta della sorella o la personale iniziativa dell’artista di celebrare la regina che la ospita omaggiando indirettamente colei che per molti anni l’ha sostenuta: sta di fatto che tale opera – il cui prototipo originale è andato perduto in un incendio nel 1940 ma di cui sono note diverse repliche31 – segna in maniera considerevole l’immagine di Maria Carolina, come testimoniano d’altronde le numerose miniature da essa ricavate32. Lo strazio di Maria Carolina per la tragica morte dell’adorata sorella, avvenuta nell’ottobre del 1793, non può che passare attraverso una miniatura, l’intima forma espressiva che aveva unito le due donne sin dalla più tenera età nella corte viennese (ig. 11). Ancora una volta33, Charlotte sceglie di farsi ritrarre assieme alla sua Antoine, ma tutto, ora, è mutato tragicamente: alla carne tawa, Musée des Beaux-Arts du Canada, 10 giugno – 12 settembre 2016), Éditions de la Réunion des musées nationaux – Grand Palais, Paris, 2015, p. 253, n. 110, p. 278, n. 125. Va comunque segnalato che, seppur le dita della mano non siano rivolte verso l’alto, la posa adottata parrebbe indirizzare verso un ennesimo segnale massonico. 31 La versione più celebre è quella esposta, assieme alle copie dei quattro ritratti dei igli, al Musée Condé di Chantilly; altre sono presenti a Versailles (a opera di Louis-Charles-Auguste Corder), al museo di Saint-Omer e al Granet di Avignone. Sulle versioni dei ritratti di Maria Carolina e dei igli si veda J.P. Marandel, in The Golden Age of Naples. Art and Civilization under the Bourbons, 1734-1802, catalogo della mostra (Detroit, Detroit Institute of Arts, 11 agosto – 1° novembre 1981; Chicago, Chicago Art Institute, 24 dicembre 1981 – 8 marzo 1982), The Detroit Institute of Arts, Detroit, 1981, I, pp. 164-165, n. 56. Un altro esemplare, di collezione privata, è stato pubblicato da Massimo Pisani, assieme a uno analogo di Ferdinando IV, per i quali ha proposto l’attribuzione al siciliano Antonio Manno e la datazione, almeno per quello di Maria Carolina, attorno al 1788-1789, non tenendo dunque in conto le vicende relative al prototipo andato perduto nel 1940: M. Pisani, Ritratti napoletani cit., pp. 124-125, nn. 90-91. L’esistenza di un’ulteriore versione, in cui al libro si sostituiscono gli attributi del potere, è testimoniata poi da un’immagine conservata nella fototeca della Fondazione Zeri con l’errata attribuzione a Francesco Liani, morto dieci anni prima la realizzazione del prototipo. Il persistere del successo del modello è inoltre confermato dal ritratto della Contessa di Lizzaniello, Eleonora Chiurlia coniugata d’Aflitto, eseguito presumibilmente nei primi decenni del XIX secolo dal pittore Geremia Iacenna e conservato presso la Reale Arciconfraternita di San Giuseppe dei Nudi. 32 La più famosa, che riprende in formato ovale il volto e il busto della regina, è quella del National Maritime Museum di Londra. Altre sono conservate all’Hofburg di Vienna: R. Keil, Die Porträtminiaturen des Hauses Habsburg cit., pp. 139-141. 33 Peter Eduard Stroely, Maria Karolina, acquarello su avorio, post 1793. Wien, Hofburg, Präsidentschaftskanzlei. L’operina fa parte di un gruppo comprendente anche le immagini di Ferdinando IV – ritratto con la mano sinistra nascosta nel petto – e dei igli: R. Keil, Die Porträtminiaturen des Hauses Habsburg cit., p. 142, n. 287. 221 222 Giulio Brevetti bianca e viva della prima, corrisponde il freddo marmo, coperto da un drappo nero, della seconda. Lasciandosi ritrarre con un’ampia gonna su cui sono incisi gigli dorati, Maria Carolina intende ribadire l’omaggio alle casate borboniche di Napoli e di Francia, mentre mostra un cartiglio su cui si legge: Tout ce qui m’entoure appelle la douleur, mais votre souvenir me console. Negli anni successivi, Maria Carolina perderà progressivamente interesse per il ritratto, lasciando il ruolo di protagonista alla cara lady Hamilton, nella quale troverà un doppio artistico, svestendo i panni di primattrice per indossare quelli di regista, di pigmaliona che plasma la sua creatura, divertendosi così a dirigere quella modella e amica così amata, tanto da suscitare addirittura voci di presunti rapporti safici, come molta letteratura e alcune vignette satiriche del tempo ricordano. A questi anni andrebbe ascritta l’unica opera davvero rilevante realizzata da un pittore regnicolo come Costanzo Angelini34 (ig. 12): nel suo tipico stile intimistico, l’artista si focalizza sul primissimo piano di una Maria Carolina assente, che guarda altrove, senza nessun orpello né alcun attributo del potere, se non la geograia del proprio volto, gonio, appesantito. Dopo gli anni della dissimulazione e dell’idealizzazione neoclassica, la regina pare ora ricercare rappresentazioni al limite del crudo35, come 34 Costanzo Angelini, Maria Carolina d’Austria, pastello su carta, 1790 circa. Napoli, Museo nazionale di San Martino. Il primo a sottolineare la presenza di «una intensità affatto inattesa in un ritratto di corte» come quello della «cavallina e scostante regina» è stato Raffaello Causa in Ritratti neoclassici, in A. Caputi, R. Causa, R. Mormone (a cura di), La Galleria dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, Banco di Napoli, Napoli, 1971, pp. 12-14. In seguito, l’opera viene descritta come «l’analisi impietosa che fa il Maestro della vecchiaia, impressa sul pallido volto imbellettato, della Regina» in T. Fittipaldi, R. Ajello (a cura di), Bernardo Tanucci 1698-1783 Celebrazioni nel Secondo Centenario, catalogo della mostra (Napoli, Museo nazionale di San Martino, maggio-settembre 1983; Caserta, Palazzo Reale, ottobre-novembre 1983), Arte Tipograica, Napoli, 1983, n. 148. Più approfonditamente, in merito alla carriera del pittore, si ricordano poi gli interventi di R. Ciofi, Per una storia del Neoclassicismo a Napoli: appunti su Costanzo Angelini, «Arte Illustrata», VII, 59 (1974), p. 382, nota 17, ig. p. 376, e in La Révolution Française et l’Europe 1789-1799. XXe Exposition du Conseil de l’Europe, catalogo della mostra (Paris, Galeries Nationales du Grand Palais, 16 marzo – 26 giugno 1989), Reunion des Musées Nationaux, Paris, 1989, I, pp. 14-15, n. 12. Ancora sull’opera, si veda R. Muzii, in N. Spinosa (a cura di), Civiltà dell’Ottocento. Le arti a Napoli dai Borbone ai Savoia, catalogo della mostra (Napoli, Museo nazionale di Capodimonte; Caserta, Palazzo Reale, 25 ottobre 1997 – 26 aprile 1998), Electa Napoli, Napoli, 1997, I, Le arti igurative, p. 363, n. 16.1. 35 Si ricordi in proposito l’iperrealistica ceroplastica di Josef Müller esposta al Palazzo Reale di Napoli: A. González-Palacios, in R. Causa (a cura di), Civiltà del ’700 cit., II, p. 258, n. 533. Regina di quadri. L'iconograia pittorica di Maria Carolina indica il delicato e al contempo violento pastello di Angelini, che, a distanza di circa quarant’anni da quello di Liotard che la ritraeva bambina già giudiziosa e arguta, sembra idealmente chiuderne la lunga e variegata iconograia. A dare, poi, il colpo di grazia a questo scollamento con la propria rafigurazione artistica, sarà la rivoluzione del ’99, a seguito della quale i più alti interpreti stranieri fuggono via da Napoli, e Maria Carolina perderà progressivamente interesse per le arti e per la promozione della propria immagine. Il secondo esilio palermitano, dovuto alla conquista napoleonica del Regno di Napoli, nulla aggiunge al suo percorso iconograico, che va a terminare, in maniera circolare, al punto di partenza, vale a dire a Vienna e in miniatura, come quella di Adalbert Suchy, considerata l’ultima della regina in vita (ig. 13): il volto stanco, una cufia in testa, il corpo sensibilmente dimagrito, ma gli stessi occhi ieri e implacabili di sempre36. L’8 settembre 1814, a sessantadue anni, ella muore nel castello di Hetzendorf, sola e aflitta per la perdita del Regno, pochi mesi prima che ritorni a suo marito. Eppure, la sua iconograia non è ancora conclusa. Circa dieci anni dopo la morte, suo iglio, Francesco I, afida a un maestro minore come Filippo Marsigli un ritratto della madre (ig. 14a), in cui la donna appare con il suo tipico iero cipiglio all’interno di una scenograia ampiamente utilizzata dai Francesi nei loro anni napoletani: la igura in piedi in un sala stile Impero che si affaccia sul golfo di Napoli, sostanzialmente un inedito per la regina, è l’esplicita derivazione dal modello che Ingres aveva realizzato nel 1814, pochi mesi prima della sconitta murattiana, per il ritratto di Carolina Bonaparte, l’usurpatrice del suo Regno37 (ig. 14b). Uno smacco 36 Adalbert Suchy, La reine Marie-Caroline d’Autriche, reine des Deux-Siciles, miniatura su avorio, 1814. Chantilly, Musée Condé. Su questa e sulle altre miniature presenti all’interno del museo: N. Garnier-Pelle, N. Lemoine-Bouchard, B. Pappe (a cura di), Portraits des maisons royales et imperiales de France et d’Europe. Les miniatures du Musée Condé, catalogo della mostra (Chantilly, Musée Condé, 19 settembre 2007 – 7 gennaio 2008), Samogy, Paris, 2007. 37 Filippo Marsigli, Maria Carolina d’Asburgo, olio su tela, 1825-1826. Caserta, Palazzo Reale. Nel volumetto Cultura e Società del catalogo della mostra Civiltà dell’Ottocento, Stefano Susinno (Napoli e Roma: la formazione artistica nella «capitale universale delle arti», p. 91, nota 35), ricorda che un Ritratto di Carolina realizzato per «commissione di suo iglio Francesco I re delle Due Sicilie» è menzionato nel «Diario di Roma» n. 41, del 23 maggio 1826, p. 4. Ancora in Civiltà dell’Ottocento, ma nel volume Le arti igurative, il dipinto viene citato anche da Linda Martino (Arredi e decorazioni nella reggia di Capodimonte dai Borbone ai Savoia, p. 30), che ricorda 223 224 Giulio Brevetti postumo clamoroso, questo, per la sovrana che in vita è stata attenta e sapiente costruttrice della propria immagine come poche altre, e che una volta defunta viene ricordata con un ritratto ricalcato su quello del nemico che mai avrebbe commissionato né tantomeno approvato. 3. L’Antico Nessuna regina vissuta a cavallo tra XVIII e XIX secolo ha goduto di un’iconograia così profondamente segnata dal contatto con il mondo classico e le sue suggestioni quanto Maria Carolina d’Asburgo-Lorena. Giunta giovanissima da una corte che subiva il fascino estetico e intellettuale dell’Antico senza concretamente toccarlo, in un’altra che ne era costantemente a contatto senza però realmente respirarlo, ne comprende – certamente più del marito Ferdinando e in ugual misura, se non anche di più, del suocero Carlo – il potere evocativo, alimentato dalle scoperte degli scavi di Ercolano e di Pompei, le due città vesuviane che attirano viaggiatori, intellettuali e artisti da tutta Europa, e delle quali detiene simbolicamente le chiavi. Padrona dunque di quel patrimonio storico, artistico e culturale che scuote gli animi e riempie gli occhi, Maria Carolina contribuisce a far divenire la capitale del Regno, ancor più che Roma, il centro della neoclassicità, capace di esportare e veicolare un linguaggio che investe molteplici campi della vita quotidiana del tempo, come la moda, l’abbigliamento, l’architettura, l’arredamento. Il ricorso all’utilizzo di temi e miti della classicità diviene per Maria Carolina necessario anche per l’autocelebrazione e la propaganda della propria immagine. Tuttavia, se come emerso, nei ritratti dipinti l’Antico è soltanto evocato tramite vaghi riferimenti quali colonne, capitelli, are e abiti a esso ispirati, è piuttosto nella decorazione dei palazzi reali e dei luoghi pubblici che l’immagine una precedente collocazione a Capodimonte, e da Paola Giusti (Gioielli e «biscuttieri» a Napoli nell’Ottocento, p. 224 ma con didascalia dell’immagine a p. 223 che riporta Ignoto prima metà del XIX secolo), per la collana di gusto archeologico. In seguito si ricorda che il ritratto viene commissionato nel 1825 assieme a quello di Ferdinando – poi sospeso – e terminato l’anno seguente: C. Napoli, Le Biennali Borboniche. Le Esposizioni di Belle Arti nel Real Museo Borbonico 1826-1859, CatalogArt, Rezzoaglio, 2009, Apparati, p. 32. Sull’esplicita somiglianza con l’opera di Ingres, rimando a G. Brevetti, Tra-Volti dalla Restaurazione. La ritrattistica dei Borbone delle Due Sicilie da Ferdinando I a Francesco II, «teCLa. Temi di Critica e Letteratura artistica», IV, 8 (2013), pp. 36-37: http://www.unipa.it/tecla/rivista/8_rivista_brevetti.php. Regina di quadri. L'iconograia pittorica di Maria Carolina della sovrana viene trasigurata in quella di dee e di igure allegorico-mitologiche, al pari della produzione scultorea e manifatturiera: si pensi, ad esempio, all’Apoteosi affrescata nel 1781 da un pittore di cultura tardo barocca come Pietro Bardellino sulla volta della Biblioteca del Palazzo dei Regi Studi, attuale Sala della Meridiana del Museo Archeologico Nazionale38, per celebrare i sovrani quali protettori delle arti e come arteici della loro rinascita. È in particolare all’interno del Palazzo Reale di Caserta che, tra la ine degli anni Settanta e i primissimi degli Ottanta, nella decorazione e nell’arredamento degli ambienti si registra un cambiamento deciso nel gusto e nel linguaggio, che da forme tardo barocche si aggiornano a tendenze neoclassiche, coinvolgendo anche l’immagine della sovrana, nei cui appartamenti è possibile ancora oggi incontrare, a pochi passi di distanza, due modi differenti di alludere alla sua persona. In un ambiente privato come il Gabinetto da toilette, completamente rivestito da specchiere, non sorprende certo la scelta di affrescare sulla volta la igura di Venere, adornata dalle Grazie, da parte di un artista napoletano di transizione come Fedele Fischetti, che organizza un divertente gioco di rilessi tra la dea della bellezza e la regina39. Al di là però della elegante e briosa corrispondenza tra Venere che inge di specchiarsi e Maria Carolina circondata a sua volta da vere superici rilettenti, l’opera si dimostra ancora formalmente e concettualmente legata a una cultura igurativa di richiamo rococò, in cui il ricorso al mito e al riferimento classico seguita a essere soltanto un pretesto decorativo e a rivestire una funzione meramente frivola e ornamentale40. 38 Pietro Bardellino, Apoteosi di Ferdinando IV di Borbone e di Maria Carolina d’Austria, affresco, 1781. Napoli, Museo Archeologico Nazionale. Sull’opera, e sui modelli preparatori, si veda N. Spinosa, in R. Causa (a cura di), Civiltà del ’700 cit., I, p. 270, nn. 141-142, e Pittura napoletana del Settecento. Dal Rococò al Classicismo, Electa Napoli, Napoli, 1987, pp. 121-124, nn. 160-163. Nello stesso periodo, Bardellino realizza una tela rafigurante Enea al cospetto di Didone, attualmente in collezione privata, nella quale si sarebbero riconosciute le fattezze di Maria Carolina in quelle della regina cartaginese. A tal proposito, si veda M. Izzo, in R. Ciofi (a cura di), Casa di Re cit., pp. 280-281, n. 2.1. 39 Sull’attività di Fischetti nella Reggia, si veda N. Spinosa, Pittura napoletana del Settecento. Dal Rococò al Classicismo cit., p. 137, n. 212. 40 Un altro riferimento alla igura della dea della bellezza è nel Giardino Inglese, dove, sulle sponde del laghetto omonimo, è stata posta la statua di Venere che si bagna, realizzata nel 1762 da Tommaso Solari. Si veda F. Petrelli, in R. Causa (a cura di), Civiltà del ’700 cit. I, p. 124, n. 55. Proprio lì, è inoltre presente la più esplicita manifestazione della compenetrazione della regina con l’Antico, cioè il into 225 226 Giulio Brevetti Se le rotonde e morbide forme ischettiane sono impiegate per soddisfare la vanitas della regina, il passaggio soltanto pochissimi anni dopo ad altre più severe e plastiche, all’interno di un ambiente destinato allo studio e alla cultura, sottende invece un signiicato molto più profondo. Il ciclo di affreschi presente nella Terza Sala della Biblioteca Palatina, commissionato a un artista di ben altra estrazione come il tedesco Heinrich Füger, allievo diretto di Mengs, costituisce per l’appunto il vero e proprio manifesto visivo della politica culturale e artistica di Maria Carolina, il cui complesso programma iconograico, intriso di riferimenti massonici41, è un’esaltazione della conoscenza e dell’erudizione che presenta evidenti richiami alla decorazione raffaellesca delle Stanze vaticane, iltrata dalla cultura neoclassica mengsiana e dominata da virtuose e vigorose igure femminili, tutte alludenti alla sovrana committente: nel primo riquadro42, illustrante una iniziazione massonica, il riferimento a Maria Carolina potrebbe essere rappresentato dalla igura dell’Astronomia, colei che è ritratta mentre svela la Verità; nel secondo43, dalla igura della Poesia; nel terzo44, da quella di Pomona, che offre ai primi uomini l’abbondanza, in compagnia di Apollo e delle Tre Grazie. È però il quarto riquadro45 quello che più degli altri rimanda alla sua persona, a cui allude l’erculea rafigurazione del Regno Criptoportico, acconciato con crepe sul sofitto fatte ad arte e fenditure nelle pareti per creare l’illusione di trovarsi in un vero ambiente d’epoca romana, proprio come quelli che vengono in quel frangente ritrovati alle pendici del Vesuvio. 41 Sugli affreschi della Terza Sala della Biblioteca e sulla loro interpretazione in chiave massonica, si vedano i fondamentali lavori di R. Ciofi: La Cappella Sansevero. Arte barocca e ideologia massonica, Edizioni 10/17, Salerno, 1987, pp. 116-119; Pittura e scultura (1782-1860), in G. Galasso, R. Romeo (a cura di), Storia del Mezzogiorno, XI, Aspetti e problemi del medioevo e dell’età moderna, tomo IV, Editalia, Roma, 1994, pp. 539-543; Al di là di Luigi Vanvitelli: Storia e Storia dell’Arte nella Reggia di Caserta, in J. Capriglione (a cura di), Caserta. La Storia, Paparo, Napoli, 2000, pp. 91-97. Si vedano inoltre: A. Porzio, Gli affreschi di Füger nella Biblioteca Reale di Caserta, in P. Leone de Castris (a cura di), Scritti di storia dell’arte in onore di Raffaello Causa, Electa Napoli, Napoli, 1988, pp. 343-350; R. Pancheri, Heinrich Füger in Italia, in R. Ciofi, G. Petrenga (a cura di), Casa di Re. La Reggia di Caserta fra storia e tutela, Skira, Milano, 2005, pp. 35-42. 42 Heinrich Friederich Füger, Allegoria della Sapienza ilosoica, affresco a tempera e a olio, 1782. Caserta, Palazzo Reale. 43 Heinrich Friederich Füger, Allegoria della conoscenza poetica, affresco a tempera e a olio, 1782. Caserta, Palazzo Reale. 44 Heinrich Friederich Füger, Apollo, Pomona e le Tre Grazie tra i primi uomini, affresco a tempera e a olio, 1782. Caserta, Palazzo Reale. 45 Heinrich Friederich Füger, Il Risorgimento della civiltà, affresco a tempera e a olio, 1782. Caserta, Palazzo Reale. Regina di quadri. L'iconograia pittorica di Maria Carolina che scaccia con il caduceo l’Ignoranza e l’Errore, indicando alle altre Nazioni, che provengono dalla sinistra, quale sia la strada da seguire, quella cioè di far risorgere la civiltà tramite la comprensione e lo studio delle antichità, come d’altronde suggerirebbe l’amorino che in basso incide su una lastra il nome di Cosimo de’ Medici, sotto il cui operato Firenze – qui evocata anche dall’allegoria dell’Arno – rinacque a nuova vita. Il ricorso alla iguratività classica, modellata sulla statuaria antica, non può dunque essere più soltanto una scelta decorativa, ma un mezzo attraverso il quale comunicare il pensiero, oltre che celebrare la persona e l’operato, di una regina che sta dischiudendo al mondo le meraviglie del passato e ponendosi come un modello da seguire. A ribadire il ruolo determinante della sovrana nella rinascita delle Arti nel Regno, attraverso un’altra igurazione mitologico-allegorica, sarà pochi anni dopo il pittore originario di Ferentino Desiderio De Angelis, che in una sala distante pochi passi dalla Biblioteca, all’interno di un riquadro monocromo46 (ig. 15), rafigurerà un’efige ovale di Maria Carolina posta su di un basamento – sul quale sono efigiati una Fama alata che suona la tromba e un’aquila, probabile allusione alla dinastia asburgica, che ghermisce un globo con i gigli borbonici, chiaro riferimento alla casata borbonica – e alla quale rendono omaggio un Genio alato, due solerti putti e l’Allegoria della Pittura, in procinto di completare un ritratto della dea Atena. Un sembiante plastico della regina, ideale per sottolinearne e celebrarne le qualità morali, compare anche in un complesso ritratto realizzato da Tischbein47 delle due primogenite, Maria Teresa e Maria Luisa, in procinto di sposarsi con, rispettivamente, i cugini Francesco e Ferdinando, come suggerisce altresì il tendaggio azzurro che reca incisi i gigli borbonici e le aquile asburgiche (ig. 16). 46 Desiderio De Angelis, Maria Carolina e il Genio della Pittura, intonaco e pittura a guazzo, 1787. Caserta, Palazzo Reale. 47 Johann Heinrich Wilhelm Tischbein, Le iglie di Maria Carolina, olio su tela, 1790. Collezione privata. Firmato e datato sulla base del busto di Maria Carolina (“Guglielmo Tischbein f. 1790”). Sulla scorta di quanto scrive Goethe nella biograia dell’amico Hackert riguardo a una maggiore abilità nel disegno della secondogenita, Maria Luisa, Ippolita di Majo ha ipotizzato che la giovane ritratta sulla sinistra mentre disegna sia appunto costei: I. di Majo, in F. Mazzocca, E. Colle, A. Morandotti, S. Susinno (a cura di), Neoclassicismo in Italia. Da Tiepolo a Canova, catalogo della mostra (Milano, Palazzo Reale, 2 marzo – 28 luglio 2002), Skira, Milano, 2002, p. 485, n. IX.10. Riteniamo invece che ella sia Maria Teresa, non soltanto per ragioni isionomiche e di somiglianza con altri suoi ritratti, ma anche perché essendo la sorella maggiore è più plausibile che a lei sia stato assegnato il compito di eseguire la copia del busto materno. 227 228 Giulio Brevetti Sedute attorno a un elegante e stilizzato tavolino, le due principesse rendono omaggio alla igura dell’augusta madre, rafigurata all’antica nel busto dorato sulla destra: se Maria Teresa è colta nell’atto di studiarne attentamente le fattezze prima di accingersi a farle un ritratto con le tempere poste in uno scatolino sul tavolo, Maria Luisa, con un sorriso malizioso, scruta le reazioni della sorella allo svelamento del busto. In effetti, come ricorda lo stesso Tischbein nelle proprie memorie, durante la permanenza a Napoli egli impartisce lezioni private di disegno alle due principesse: il dipinto dunque a una prima lettura appare come un divertito souvenir visivo di una delle tante sessioni di studio richieste dalla regina all’artista per le proprie iglie, così come anche una dissertazione sullo scambio reciproco tra maestro e allievo48. L’eloquente gesto dello svelamento del busto sembra rimandare a quello analogo della igura sul piedistallo nella scena dell’iniziazione massonica presente nel ciclo pittorico dipinto da Füger nel 1782. In questo caso, però, la Verità svelata riporta le fattezze di Maria Carolina, che rappresenta in tal modo per le proprie iglie, in procinto di sposarsi e di diventare a loro volta regine, un exemplum, il modello da copiare nella vita così come sul foglio. La creazione artistica diviene così metafora di un esempio da seguire, prima ancora che materno, politico e culturale. La tendenza alla rappresentazione all’antica dei sovrani, e in particolare della regina, non è comunque relegata a veicolare messaggi politici o necessariamente a esaltare virtù e pensiero. Talvolta il ricorso alla igurazione classica assume connotati più leggeri, se non addirittura ludici, come nel caso di una interessante scena allegorica in monocromo49, probabilmente concepita come appa48 Si leggano in proposito le parole di Stefano Susinno: «Il “matitatoio”, lo scatolino dei gessetti colorati, la grande cartella su cui poggiano i fogli, danno un’idea precisa dell’impegno e della diligenza della principessa, ma è poi la grazia delle pose, l’evocazione attenta dei tanti rafinati particolari dell’abbigliamento e del mobilio, ino alla trasparenza di quel velo intessuto di stelline d’oro, a restituirci con fedeltà il civile incanto di queste sedute di studio, dove gli artisti possono sentirsi momentaneamente alla pari con i loro coronati pupilli cui impartiscono (e da cui apprendono) lezioni d’eleganza». S. Susinno, Nobili dilettanti a scuola dal Minardi, in G. Gorgone, C. Cannelli (a cura di), Il salotto delle caricature. Acquerelli di Filippo Caetani 1830-1860, «L’Erma» di Bretschneider, Roma, 1999, p. 34. 49 Ignoto, Allegoria con i sovrani, olio su tela su legno sagomato, ine XVIII secolo. Caserta, Palazzo Reale. Incerta l’attribuzione dell’opera: Annalisa Porzio ha proposto il nome di Füger, mentre Anna Maria Romano quello di Giuseppe Cammarano. Si vedano dunque: A. Porzio, Gli affreschi di Füger cit., pp. 346-347; A.M. Romano, in Caserta e la sua Reggia. Il Museo dell’Opera e del Territorio, Electa Napoli, Napoli, Regina di quadri. L'iconograia pittorica di Maria Carolina rato di festa, che presenta i sovrani abbigliati come due antichi romani, Ferdinando nei panni di un generale o di un imperatore che ostenta il proprio potere, Maria Carolina seduta matronale con un ramo d’olivo nelle vesti forse della Pace ma in posizione del tutto subalterna a quella del marito; alle loro spalle, la igura di Atena, la dea della guerra e dell’intelletto (ig. 17). Anche dopo la dura prova del ’99, e la conseguente partenza da Napoli di artisti e studiosi, non cesserà l’interesse per l’Antico. Un disegno attribuito a buon diritto al tedesco Kniep mostra la regina non più nelle vesti di una divinità o di una nobildonna dell’antica Roma, bensì in una tranquilla visita a Pompei50 (ig. 18): seduta all’estrema destra dell’immagine, circondata dai igli e dalla nuora Maria Isabella, assiste impaziente al rinvenimento di oggetti e monili durante uno scavo, mentre attorno studiosi, operai e curiosi popolano la scena. È un documento visivo straordinario, questo, l’istantanea di un momento preciso, la cronaca fedele dell’incontro, del contatto diretto con l’Antico, che riafiora dopo secoli di buio, da parte di una igura determinante per l’affermazione e la circolazione della cultura neoclassica europea. 4. Mater familias La rappresentazione pittorica di Maria Carolina non potrebbe dirsi completa se non fossero prese in considerazione anche le tante immagini che la rafigurano e la celebrano come madre amorevole e genitrice di futuri principi. Nell’arco di ventun anni, la regina dà alla luce diciotto bambini, soltanto sette dei quali raggiungono l’età adulta: tale condizione viene inevitabilmente a incidere nella deinizione della sua iconograia, nella quale ricopre addirittura un ruolo centrale tanto da trascenderne, in alcuni casi, il semplice signiicato per comunicare anche ben altro. 1995, p. 136, n. 125. Altri tipi di igurazione all’antica possono essere ricercati tra le miniature rappresentanti la regina, come ad esempio quella irmata da Landoli, databile alla ine del XVIII secolo e presente al Museo nazionale di San Martino di Napoli: A. González-Palacios, in R. Causa (a cura di), Civiltà del ’700 cit., II, p. 260, n. 536. 50 Christoph Heinrich Kniep, Maria Carolina visita gli scavi di Pompei, penna e acquerello su carta avorio, 1804. Napoli, Collezione privata. Sul disegno, si vedano: M. Causa Picone, in A. Porzio, M. Causa Picone (a cura di), Goethe e i suoi interlocutori, catalogo della mostra (Napoli, Palazzo Reale, dicembre 1983), Gaetano Macchiaroli, Napoli, 1983, p. 171, n. 85; G. Brevetti, Tipi da Tour. La rappresentazione dei viaggiatori in Campania tra Sette e Ottocento, in R. Ciofi, S. Martelli, I. Cecere, G. Brevetti (a cura di), La Campania e il Grand Tour. Immagini, luoghi e racconti di viaggio tra Settecento e Ottocento, «L’Erma» di Bretschneider, Roma, 2015, pp. 433-434. 229 230 Giulio Brevetti Dovrebbe risalire al 1772, l’anno della prima gravidanza e dunque della nascita della prima erede, Maria Teresa, il primo ritratto della regina in vesti materne, realizzato dal idato Bonito51, al ine di mostrare al re Carlo che madre e iglia godano di buona salute (ig. 19). Se l’identiicazione dell’infante è stata più volte dibattuta, così come dunque la data di esecuzione, pare invece non essere mai stata messa in discussione quella della regina, che qui appare notevolmente addolcita e abbellita nei tratti, tanto da indurre a ritenere che la donna rafigurata non sia lei. È comunque da prendere in considerazione anche l’ipotesi che il pittore abbia voluto in qualche modo trasigurare l’immagine della neomadre. Attorno alla metà degli anni Settanta, una serie di miniature viene prodotta per mostrare come cresca la famiglia reale napoletana. La più interessante tra queste, realizzata tra il 1776 e il 1777 da Carlo Marsigli, già al servizio della Real Fabbrica della Porcellana di Napoli nonché in seguito maestro di disegno delle principesse, ritrae i due affettuosi genitori con i loro primi quattro bambini, tre femmine e un maschio: Maria Teresa, Maria Luisa, Carlo Tito e Maria Anna52 (ig. 20). L’immagine della regina è qui debitrice ai primi ritratti, in particolare a quello mengsiano del 1772, da cui riprende il modello dell’abito col iocco e gli orli di visone. L’idillio familiare, suggerito dalle pose aggraziate, dalle vesti eleganti, dalla veduta del Vesuvio sullo sfondo, sarebbe stato interrotto dopo poco 51 Giuseppe Bonito, Retrato de Maria Carolina de Austria con la Infanta Maria Teresa, olio su tela, 1772-1773. Madrid, Museo Cerralbo. Il quadro è stato per la prima volta attribuito a Bonito in J. Cabré, Museo Cerralbo o Museo del Excmo. Sr. Marqués de Cerralbo D. Enrique de Aguilera y Gamboa, «Bolétin de la Sociedad Española de Excursiones», XXXVI (1928), p. 112, e confermato poi in C. Sanz-Pastor, Catálogo del Museo Cerralbo, Dirección General de Bellas Artes, Madrid, 1969, p. 31. Urrea Fernández nel 1977 ha ipotizzato che il bambino ritratto sia Francesco, notando che «la mirada penetrante de las dos iguras y el carácter anecdótico pero oicialmente contenido hace pensar en un obra tardía del artista»: J. Urrea Fernández, La pintura italiana cit., pp. 315-316, tav. XCIX n. 2. Pur concordando sull’attribuzione, Röttgen ritiene invece che l’infante ritratto sia la primogenita Maria Teresa a circa sei mesi: S. Röttgen, Iconograia borbonica cit., p. 405. A sostegno di quest’ultima ipotesi, è, inine, Redín Michaus, che considera questo dipinto un’opera molto tarda di Bonito: G. Redín Michaus, De Bronzino a Giaquinto. Pintura italiana en el Museo Cerralbo, Ministerio de Cultura, Madrid, 2009, pp. 128-131, n. 25. Ma a questo punto perché non ritenere che possa trattarsi invece del primo iglio maschio, Carlo Tito, nato nel 1775? 52 Carlo Marsigli, Ferdinando IV e la famiglia, miniatura su avorio, 1775 circa. Wien, Hofburg. È noto anche un altro esemplare, dello stesso autore, in collezione d’Avalos, in cui l’unica differenza consiste nell’abbigliamento di Ferdinando, ritratto in vesti da caccia. Si veda A. González-Palacios, in Civiltà del ’700 cit., II, p. 259, n. 534, e in N. Spinosa (a cura di), El Arte de la Corte de Napóles cit., p. 274. Regina di quadri. L'iconograia pittorica di Maria Carolina dalla prematura morte dei due bambini più piccoli, “rimpiazzati” immediatamente con altri principini: già nel 1777 sarebbe nato, infatti, il secondo iglio maschio della coppia, Francesco, destinato a prendere il posto del fratello maggiore e a ereditare il trono paterno. Se le miniature vengono realizzate a ripetizione al ine di documentare e al tempo stesso di “rassicurare” il destinatario sulla crescita della famiglia e sulla salute dei suoi componenti, ben altro signiicato ricopre invece il grande ritratto di gruppo commissionato ad Angelika Kauffmann nel 1782 e ultimato, dopo svariate versioni e correzioni, l’anno successivo53 (ig. 21). La famiglia reale è rafigurata all’interno di uno scenario paesaggistico, senza attributi del potere, in congiunzione con la natura e con i resti di un lontano e mitico passato, rappresentati da un’ara e da una grossa urna. Il riferimento diretto è alla grande ritrattistica inglese del secondo Settecento che aveva in Reynolds e in Gainsborough i massimi esponenti, ravvisabile non solo nelle tinte cromatiche calde e pastose, ma nello stesso modello di composizione tipico delle recenti scene di conversazione, spesso immerse proprio in scenari naturalistici. Colpiscono la serenità e la calma olimpica qui ostentate dai due sovrani: Ferdinando è rafigurato come un gentiluomo inglese di passaggio in Italia, in una posa à la page tipica dei ritratti dei viaggiatori del Grand Tour; Maria Carolina siede invece placidamente, rivestendo, all’apparenza, soltanto il ruolo di amorevole madre devota alla propria famiglia, di cui occupa non a caso il centro. Attorno a loro, si riconoscono, da sinistra a destra: la primogenita Maria Teresa, che diletta con il suono della sua arpa; il principe ereditario Francesco, che accarezza affettuoso un cucciolo di levriero; Maria Cristina, che dona alla madre dei iori; Giuseppe Carlo, che sarebbe morto di lì a breve, seduto su di un cuscino; la secondogenita, Maria Luisa, che regge l’ultima arrivata, Maria Amalia54. 53 Angelika Kauffmann, La famiglia di Ferdinando IV, olio su tela, 1783. Napoli, Museo nazionale di Capodimonte. Sul grande quadro, comparso in due fondamentali esposizioni napoletane, si ricordano: F. Bologna, in G. Doria, F. Bologna (a cura di), Mostra del ritratto storico napoletano, catalogo della mostra (Napoli, Palazzo Reale, ottobre-novembre 1954), Ente provinciale per il turismo, Napoli, 1954, p. 55, n. 76; J.P. Marandel, in Civiltà del ’700 cit., I, pp. 314-315, n. 171. Sulla genesi dell’opera, le redazioni precedenti e le varianti, si veda B. Baumgärtel (a cura di), Angelika Kauffmann cit., pp. 278-285. 54 Incerto è il riconoscimento del bambino retto da Maria Luisa. Tra l’avvicendarsi delle nascite e delle morti dei principini e le varie stesure dell’opera sono intercorsi alcuni cambiamenti: in alcune redazioni, nella culla compare un infante, 231 232 Giulio Brevetti L’opera della Kauffmann aggiorna dunque alla nuova sensibilità neoclassica il genere del ritratto reale di gruppo, trasigurato in una vera e propria apoteosi della maternità: committente dell’opera ed entusiasta del risultato inale, Maria Carolina sembra infatti qui riallacciarsi, piuttosto che al ritratto di van Meytens – in cui sua madre Maria Teresa siede, come suo padre, al lato dell’immagine – a quello invece di van Loo, nel quale la nonna di suo marito, Elisabetta Farnese, costituisce il cuore, il centro visivo e concettuale, la vera dominatrice della corte spagnola e dunque anche della sua immagine55. Prima ancora che culturale e artistico, il dipinto della Kauffmann è pertanto un manifesto politico per Maria Carolina, volto a ribadire la centralità del proprio ruolo, e forse ancor più del suo utero, che ha assicurato la continuazione della dinastia, come starebbe a dimostrare l’eloquente gesto della mano sinistra, tesa a indicare la culla regale. È con spirito non dissimile che Jakob Philipp Hackert rafigura i membri della famiglia reale in una scena campestre sulle pareti della tenuta di Carditello attorno al 1791, di cui resta un interessante bozzetto56 (ig. 22). Il Casino, adibito a luogo di allevamento e di attività agricole, diviene in quegli anni, al pari della cittadella ideale di San Leucio, uno dei Siti Reali più importanti dove poter celebrare non soltanto la vita bucolica e agreste, così connaturata alla Terra di Lavoro, ma anche gli affetti familiari, dopo le ripetute morti di alcuni principini. Se la Kauffmann era pervenuta a una tomentre nella versione inale vi è soltanto un drappo viola. Sia Marandel che Baumgärtel sostengono che nella culla originariamente vi fosse il principe Giuseppe, nato nel giugno 1781 e morto nel febbraio 1783, e dunque “cancellato” nella versione deinitiva del 1783. In realtà, però, Maria Amalia sarebbe nata dopo questo fratello, e dunque nella culla ci sarebbe dovuta essere lei, mentre costui sarebbe stato il bambino tra le braccia di Maria Luisa. 55 Su questo celebre ritratto di famiglia, si veda A. Úbeda de los Cobos, Felipe V y el retrato de corte, in M. Morán Turina (a cura di), El arte en la corte de Felipe V, catalogo della mostra (Madrid, Museo Nacional del Prado – Sala de las Alhajas de la Fundación Caja de Madrid – Palacio Real, 29 ottobre 2002 – 26 gennaio 2003), Fundación Caja de Madrid – Patrimonio Nacional – Museo Nacional del Prado, Madrid, 2002, pp. 130-135. 56 Jakob Philipp Hackert, La mietitura a Carditello, olio su tela, 1791. Napoli, Museo nazionale di Capodimonte. Sull’opera si ricorda la scheda di R. Causa, in Id. (a cura di), Civiltà del ’700 cit., I, p. 348, n. 189a. In un documento redatto da Hackert, risulterebbe che autore delle igure sia il suo giovane assistente Giuseppe Cammarano, impegnato anch’egli nella decorazione del Casino. Su questo, si veda C. Nordhoff, in C. de Seta, Hackert, Electa Napoli, Napoli, 2005, pp. 180-181, n. 77, e p. 228, nota 426. Regina di quadri. L'iconograia pittorica di Maria Carolina tale idealizzazione della famiglia adagiata all’interno di una natura sublimata, l’Hackert invece – in un’opera certamente non meno intellettualistica – celebra la vita concreta della campagna dove i reali amano confondersi e giocare con i veri contadini: analogamente, le soavi fattezze della gentildonna ritratta dalla pittrice cedono qui il passo a quelle più terragne di una placida contadina seduta su alcune fascine di grano, fertile e feconda come il territorio che la ospita, quell’agro casertano ove fervono i lavori di raccolta di frumento. Non è però soltanto un gioco, un camuffamento, il suo: se infatti qualche anno prima sua sorella minore si divertiva a recitare la parte della contadinella nel suo hameau all’interno del Petit Trianon, adesso Maria Carolina sperimenta la messa in pratica – o almeno la traduzione visiva – di quelle idee di egualitarismo sociale che perseguiva con le riforme, come nel vicino borgo di San Leucio. E se nel modello kauffmaniano risaltava come mater familias e, per esteso, del popolo, qui invece si compenetra con una qualsiasi madre del popolo. Il duplice ruolo di genitrice e di regina viene sottolineato anche in un ulteriore gruppo di famiglia, questa volta in un interno (ig. 23), strettamente legato al triplice ritratto che Tischbein esegue in occasione delle nozze delle principesse Maria Teresa e Maria Luisa: realizzato da un artista minore gravitante intorno all’orbita del maestro tedesco, ne riprende esplicitamente alcuni particolari, come ad esempio il disegno del pavimento e l’immagine della primogenita nel ritratto esposto alla parete57. Anche la circostanza di realizzazione è collegata a quella dell’opera di Tischbein: la famiglia reale è rafigurata infatti durante i preparativi di matrimonio proprio di Maria Teresa con il cugino, l’arciduca Francesco d’Austria, come dimostrerebbero le loro efigi sullo sfondo; la giovane, circondata dalle sorelle, Maria Cristina e Maria Luisa, reca con sé un cesto di rose; seduta al tavolo, Maria Carolina scrive presumibilmente alla sua corte d’origine, cui è destinata la iglia, in occasione dello scambio dei regali, come indicherebbe la presenza di due pacchetti iniocchettati; sulla destra, Ferdinando e il principe ereditario Francesco posano dando le spalle alla veduta col Vesu- 57 Ignoto, Ferdinand IV roi de Naples et sa famille dans un intérieur, olio su tavola, 1790 circa. Collezione privata. Venduto recentemente da Sotheby’s, presenta analogie anche con la celebre scena della caccia a Persano (Ambasciata Britannica di Roma) che l’artista esegue agli inizi degli anni Novanta. 233 234 Giulio Brevetti vio. Nonostante sia ritratta mentre si rivolge al consorte, anche in questa rappresentazione familiare a occupare il centro della scena è ancora una volta Maria Carolina, fulcro del nucleo domestico e della politica di rafforzamento dinastico, colei che in prima persona predispone e assicura un matrimonio regale ai propri igli. Soltanto pochi anni dopo, questo tipo di rafigurazione viene tragicamente a interrompersi in seguito alla rivoluzione del ’99, e alla derivante fuga dal Regno degli artisti stranieri, in buona parte neoclassici. Non è dunque un caso che a celebrare la riconquista del potere e la sconitta dei giacobini sia un’opera che guarda al passato (ig. 24), annullando in un colpo sia l’atmosfera classicheggiante sia le soluzioni formali di opere come il grande ritratto di gruppo della Kauffmann58: adesso, a capitanare la famiglia reale durante la celeste apparizione, è il sovrano Ferdinando, che si vede restituito lo scettro del potere da igure ultraterrene, mentre Maria Carolina riveste il ruolo subalterno di consorte e di madre premurosa. Come a dire: non è più il tempo di pagani e intellettualistici travestimenti neoclassici, bensì quello di ristabilire l’ordine costituito per diritto divino e di celebrarlo con un linguaggio suggestivo e adeguato al momento. La morte di molti igli, quella tragica dell’adorata sorella Antoine, i violenti fatti del ’99, spingono sempre di più Maria Carolina a trovare rifugio nella famiglia e nei suoi affetti: le ultime immagini che la mostrano assieme ai propri cari sono miniature e disegni prodotti a cavallo dei due secoli, dal sapore borghese e romantico, che restituiscono il calore e l’intimità domestica. Diversamente dalle opere della Kauffmann e di Hackert, segnate da una fasulla e idealizzata serenità familiare dominata dal ruolo materno, e da quella di Manno, in cui si restaura la igura centrale del padre, in queste scenette, invece, la presenza del sovrano non è necessaria, può essere al massimo evocata da un ritratto alla parete. Le gioie della maternità e la complicità familiare paiono dunque essere l’unica consolazione della regina, come nel già citato disegno in cui visita gli scavi di Pompei in compagnia dei igli, o come, ancor di più, in quello che la coglie a scrutare un nido di uccelli – sapiente metafora visiva – tenendo per mano il principe Leopoldo, e assieme 58 Antonio Manno, Ferdinando IV riceve lo scettro a Palermo per la riconquista del Regno di Napoli, olio su tela, 1799. Collezione privata. L’opera è stata pubblicata in M. Pisani, Ritratti napoletani cit., pp. 122-123, n. 89. Regina di quadri. L'iconograia pittorica di Maria Carolina alle iglie immediatamente precedenti, Maria Antonietta e Maria Amalia, futura regina di Francia e probabile autrice dell’opera59 (ig. 25). L’immagine privata – realizzata perché rimanesse tale – di una affettuosa madre di famiglia che osserva incuriosita le meraviglie della natura assieme ai propri igli, è anche quella di una sovrana che si avvia inesorabile al declino e a cedere forzatamente il passo ad altre regine. 59 Maria Amalia di Borbone, Une mère et ses trois enfants trouvant un nid d’oiseaux, acquerello, 1802. Chantilly, Musée Condé. 235 236 Giulio Brevetti Regina di quadri. L'iconograia pittorica di Maria Carolina Fig. 3 – Pietro Duranti, María Carolina de Nápoles. Madrid, Palacio Real. Fig. 4 – Anton Raphael Mengs, María Carolina de Habsburgo-Lorena, reina de Nápoles. Madrid, Museo del Prado. Fig. 5 – Ignoto, María Carolina de Habsburgo-Lorena, reina de Nápoles. Madrid, Museo del Prado. Fig. 6 – Ignoto, Maria Carolina d’Austria. Napoli, Museo nazionale di Capodimonte. © Archivio dell’Arte / Luciano Pedicini. Fig. 1 – Martin Van Meytens, L’Empereur François Ier d’Autriche et l’Impératrice Marie Thérèse. Versailles, Musée national des Châteaux de Versailles et de Trianon. Fig. 2 – Jean-Étienne Liotard, (a) Portrait de Maria Caroline, archiduchesse d’Autriche; (b) Portrait de Maria Antonia, archiduchesse d’Autriche. Genève, Cabinet d’arts graphiques des Musées d’Art et d’Histoire. 237 238 Giulio Brevetti Regina di quadri. L'iconograia pittorica di Maria Carolina Fig. 7 – Francesco Liani, Ritratto di Maria Carolina d’Austria. Capua, Museo Campano. Fig. 8 – Anton Raphael Mengs, María Carolina de Nápoles. Madrid, Museo del Prado. Fig. 9 – Johann Heinrich Wilhelm Tischbein, Ritratto di Maria Carolina d’Austria. Caserta, Palazzo Reale. Fig. 10 – (a) Élisabeth Louise Vigée Le Brun, Marie-Antoinette au livre. Versailles, Musée national des Châteaux de Versailles et de Trianon; (b) da Élisabeth Louise Vigée Le Brun, Marie Caroline, reine de Naples. Chantilly, Musée Condé. 239 240 Giulio Brevetti Regina di quadri. L'iconograia pittorica di Maria Carolina Fig. 11 – Peter Eduard Stroely, Maria Karolina. Vienna, Hofburg, Präsidentschaftskanzlei. Fig. 13 – Adalbert Suchy, La reine Marie-Caroline d’Autriche, reine des Deux-Siciles. Chantilly, Musée Condé. Fig. 12 – Costanzo Angelini, Maria Carolina d’Austria. Napoli, Museo nazionale di San Martino. © Archivio dell’Arte / Luciano Pedicini. Fig. 14 – (a) Filippo Marsigli, Maria Carolina d’Asburgo. Caserta, Palazzo Reale; (b) Jean Auguste Dominique Ingres, Caroline Murat, Queen of Naples. Collezione privata. 241 242 Giulio Brevetti Regina di quadri. L'iconograia pittorica di Maria Carolina Fig. 15 – Desiderio De Angelis, Maria Carolina e il Genio della Pittura. Caserta, Palazzo Reale. Fig. 17 – Ignoto, Allegoria con i sovrani. Caserta, Palazzo Reale. Fig. 16 – Johann Heinrich Wilhelm Tischbein, Le iglie di Maria Carolina. Collezione privata. Fig. 18 – Christoph Heinrich Kniep, Maria Carolina visita gli scavi di Pompei. Napoli, Collezione privata. 243 244 Giulio Brevetti Regina di quadri. L'iconograia pittorica di Maria Carolina Fig. 19 – Giuseppe Bonito, Retrato de Maria Carolina de Austria con la Infanta Maria Teresa. Madrid, Museo Cerralbo. Fig. 20 – Carlo Marsigli, Ferdinando IV e la famiglia. Wien, Hofburg. Fig. 21 – Angelika Kauffmann, La famiglia di Ferdinando IV. Napoli, Museo nazionale di Capodimonte. © Archivio dell’Arte / Luciano Pedicini. Fig. 22 – Jakob Philipp Hackert, La mietitura a Carditello. Napoli, Museo nazionale di Capodimonte. © Archivio dell’Arte / Luciano Pedicini. 245 246 Giulio Brevetti Regina di quadri. L'iconograia pittorica di Maria Carolina Fig. 23 – Ignoto, Ferdinand IV roi de Naples et sa famille dans un intérieur. Collezione privata. Fig. 25 – Maria Amalia di Borbone, Une mère et ses trois enfants trouvant un nid d’oiseaux. Chantilly, Musée Condé. Fig. 24 – Antonio Manno, Ferdinando IV riceve lo scettro a Palermo per la riconquista del Regno di Napoli. Collezione privata. 247 Vega de Martini I GIOIELLI NAPOLETANI ALLA CORTE DI MARIA CAROLINA Sommario: Il contributo è basato sullo studio effettuato in occasione della mostra Gioielli Regali. Ori, smalti, coralli e pietre preziose nel Real Palazzo di Caserta tra XVIII e XX secolo, tenuta presso la Reggia di Caserta dal 7 giugno al 30 ottobre 2005. Attraverso l’osservazione dei ritratti presenti nella pinacoteca del Real Palazzo, viene puntato l’obiettivo sulla variazione di gusto avvenuta a corte nel campo della gioielleria alla ine degli anni Ottanta del secolo XVIII in consonanza con il deciso passaggio dal Rococo al Neoclassico registrato nello stesso periodo per l’arredo e la decorazione della Reggia. Parole chiave: gioielli, ritratti, regalità, gusto. the neaPolitan jewelS at the court of maria carolina abStract: The contribution is based on the study realized on the occasion of the exhibition Gioielli Regali. Ori, smalti, coralli e pietre preziose nel Real Palazzo di Caserta tra XVIII e XX secolo, that has taken place at the Palace of Caserta since June 7 to October 30 2005. Through the observation of the present portraits in the picture gallery of the Royal Palace, the aim puts in the variation of taste happened inside the court, in the ield of the jewelry at the end of the eighties of the 18th century, in agreement with the deinite passage from the Rococo to the Neoclassicism that registered in the same period in the decoration and the furniture of the Royal Palace. KeywordS: jewels, portraits, royalty, taste. In occasione delle nozze tra Maria Carolina con Ferdinando IV di Borbone, nel maggio del 1768, Mengs eseguì a Madrid su committenza dei sovrani spagnoli il ritratto della principessa d’Asburgo, dipinto oggi al Museo del Prado. Assente Maria Carolina a Madrid, il Mengs dovette servirsi di una miniatura a pastello di un artista collocabile entro la cerchia di Liotard come denunciano le nuances dei colori impiegati: «Rosa è l’incarnato perfetto della regina, reso più vivo dal belletto delle guance […]. Stupefacente è la resa materica del vestito, in raso di seta ricoperto da un leggerissimo velo di pizzo argentato, le cui gamme cromatiche sono tutte gio- 250 Vega de Martini cate sui toni del rosa e del grigio, e della preziosità degli inserti»1. Il costume e l’ornamentazione (aigrettes e spilloni tra i capelli, collare snodabile a vari elementi etc…) sono quelli in auge presso tutte le corti europee ino agli anni Ottanta del secolo XVIII. Stesse caratteristiche si ritrovano nel dipinto rafigurante Maria Antonietta d’Asburgo, sorella di Maria Carolina2, sfortunata sposa di Luigi XVI di Francia nel maggio del 1770, appartenente alle collezioni della Reggia di Caserta (ig. 1), erroneamente identiicato dalla critica3 come quello della altrettanto sfortunata promessa sposa di Ferdinando, Maria Giuseppa, altra sorella di Maria Carolina, mai arrivata a Napoli per la celebrazione delle nozze in quanto morta improvvisamente di vaiolo il 15 ottobre del 1767 all’età di 16 anni. Che il quadro casertano sia il ritratto di Maria Antonietta e non di Maria Giuseppa lo dimostra il confronto diretto col dipinto, rafigurante la futura regina di Francia, conservato a Schönbrunn e attribuito alla scuola di Martin van Meytens, datato tra il 1767 e il 1768, di cui il ritratto di Caserta è una chiara replica. Nel dipinto la giovane principessa indossa una aigrette con brillanti a gocce montati “a giorno” (en tremblant) e un collare composto da elementi snodabili e smontabili. Il suo abito è caratterizzato da abbondanti balze multiple delle maniche con applicazioni in pizzo e ricami. Sono acconciature che ritroviamo presso la corte borbonica dell’epoca dove, come in ogni corte europea, gioielli sia maschili – di solito in forma di onoriicenze – che femminili adornavano gli abiti dei sovrani, dei cavalieri e delle dame di corte, principalmente in occasione di cerimonie uficiali. Per i gioielli venivano utilizzate pietre preziose, perle, smalti ma sopratutto diamanti, molto in voga durante tutto il Settecento a causa della loro aumentata disponibilità sui mercati europei, grazie allo sfruttamento delle miniere brasiliane. Non che precedentemente il diamante non fosse usato, ma nel Settecento si registra un incremento del suo utilizzo ed 1 I. di Majo, in R. Ciofi (a cura di), Casa di Re. Un secolo di storia alla Reggia di Caserta, 1752-1860, catalogo della mostra (Caserta, Palazzo Reale, 8 dicembre 2004 – 13 marzo 2005), Skira, Milano, 2004, p. 293, n. 3.10. 2 V. de Martini (a cura di), Gioielli regali. Ori, smalti, coralli e pietre preziose nel Real Palazzo di Caserta tra XVIII e XX secolo, catalogo della mostra (Caserta, Palazzo Reale, 7 giugno – 30 ottobre 2005), Skira, Milano, 2005, p. 139, n. 13. 3 S. Röttgen, Iconograia borbonica, in R. Causa (a cura di), Civiltà del ’700 a Napoli 1734-1799, catalogo della mostra (Napoli-Caserta, dicembre 1979 – ottobre 1980), Centro Di, Firenze, 1979, II, pp. 404-405. I gioielli napoletani alla corte di Maria Carolina inoltre un’importante innovazione tecnologica: il così detto taglio “a brillante”, in sostituzione della vecchia “concia”, che aumenta a dismisura le superici rilettenti. Per rendersi conto di quanto i diamanti fossero in uso presso la corte napoletana, basta fare mente locale ai ritratti dei igli maschi di Carlo di Borbone – Ferdinando e Gabriele, Antonio Pasquale e Francesco Saverio, Carlo e Filippo Pasquale – conservati presso la Reggia di Caserta di mano di Giuseppe Bonito ed eseguiti nel 1759, appena prima della partenza per la Spagna della famiglia reale, nonché a quelli madrileni rafiguranti i rampolli della famiglia reale, oggi al Prado, realizzati da Anton Raphael Mengs agli inizi degli anni Settanta (post 1771). Di questi ultimi sono presenti repliche presso la Reggia di Caserta e allo stesso gruppo di repliche mengsiane appartengono i ritratti di Maria Carolina – oggi in temporaneo deposito a Capodimonte come anche il ritratto di Ferdinando IV –, di Maria Giuseppina (ig. 2), primogenita di Carlo e Maria Amalia di Sassonia, ed inine quello di Maria Luisa Borbone Parma (ig. 3), sposa di Carlo di Borbone, il futuro re di Spagna col nome di Carlo IV. Tutti i ritratti sono contraddistinti da straordinari monili in brillanti – molti dei quali certo dovuti a Michele Lofrano, gioielliere della corte napoletana all’epoca – preziosi come quelli che connotano, in forma di onoriicenze, anche il grande dipinto di Mengs rafigurante Ferdinando Bambino, oggi al Prado, evidentemente antecedente agli altri, e databile tra il 1759 e il 1760 di cui esiste, come è noto, una fedele replica a Capodimonte ed un’altra leggermente variata a Caserta4. In quest’ultima, a differenza del dipinto del Prado e di quello di Capodimonte, il piccolo Ferdinando presenta appuntata sul petto, oltre al Toson d’oro e all’Ordine di San Gennaro, l’onoriicenza del Saint-Esprit5. 4 Del dipinto casertano, più volte citato nella bibliograia specialistica, ci si è occupati anche recentemente nell’ambito del catalogo della mostra Vanvitelli Segreto: cfr. V. de Martini, F. Petrucci (a cura di), Vanvitelli Segreto. I suoi pittori tra Conca e Giaquinto, la Cathedra Petri, catalogo della mostra (Caserta, Palazzo Reale, 4 marzo – 31 ottobre 2014), Gangemi, Roma, 2014, n. 19. 5 Il dipinto casertano è probabilmente databile al 1760, in primo luogo perché la richiesta per l’ottenimento dell’ordine di Saint-Esprit da parte della corte napoletana data al maggio del 1760; inoltre i lineamenti del volto di Ferdinando sono visibilmente più maturi rispetto a quelli del piccolo re del Prado e di Capodimonte. Non è chiaro se il ritratto casertano sia una replica variata da Mengs (ne esiste un’altra identica presso il Museo di San Martino a Napoli), oppure sia una replica del ritratto commissionato da Maria Amalia a Francesco Liani, arrivato in Spagna nell’agosto del 1760 insieme al ritratto di Mengs ed oggi disperso, secondo quanto risulta da alcune lettere intercorse tra Maria Amalia di Sassonia, ormai regina di Spagna, e il Principe di San Nicando, aio del piccolo Ferdinando (le lettere sono pubblicate in 251 252 Vega de Martini Ma torniamo al gruppo dei ritratti mengsiani di Caserta. L’infanta Maria Giuseppina (cfr. ig. 2) è rafigurata con una preziosa parure: un’aigrette di brillanti a gocce montati “a giorno” (en tremblant); un collare composto da elementi snodabili e smontabili con pendente centrale a goccia su supporto di trine; un orecchino (girandole), tipico dell’epoca, costituito da tre pendenti mobili, sostenuti da un motivo a iocco centrale, con le pietre montate “a notte” (ig. 2a). L’infanta indossa inoltre un bracciale (manizza o manina) a più ili di perle e diamanti, con al centro il ritratto di Maria Amalia. Di identica fattura un altro bracciale che Maria Giuseppina reca in mano con la miniatura del padre Carlo (ig. 2b). Singolare è l’orologio attaccato ad una chatelaine (placca con catenine pendenti per sostenere la boccetta di profumo, l’orologio e altri oggetti personali) che fuoriesce appena dalla piega dell’abito. Maria Luisa di Borbone Parma, sposa di Carlo di Borbone, futuro re di Spagna come Carlo IV, indossa la stessa tipologia di gioielli, reca in più sul corsetto a punta bottoni gioiello con brillanti e una spilla a forma di nocca che regge l’Ordine della Croce stellata (cfr. ig. 3). Il suo abito, come quello di Maria Giuseppina, è caratterizzato da abbondanti engageantes, balze multiple delle maniche con applicazioni di pizzo e ricami. Sono gioielli in uso ancora negli anni Settanta del Settecento sia presso la corte, sia presso la nobiltà napoletana. Un’idea di come fossero costruiti ce la forniscono i disegni acquerellati6, conservati all’Archivio di Stato di Napoli, dei gioielli eseguiti da Giovanni Miccione nel 1773 per i Caracciolo di Brienza, un “Concerto” di gioie (la cosidetta parure) in rubini, improntato alla rafinata leggerezza di forme vegetali, costituito da spilloni, aigrette en tremblant (in italiano “penna” o “pennino”, in napoletano “tuppo”), girandoles (orecchini a tre pendenti), collana con pendente, ornamenti da corpetto e vari tipi di agrafes per trattenere le maniche, bracciali e anelli. Per tornare alla gioielleria di corte e al ritratto da Mengs dell’infanta Maria Giuseppina (cfr. ig. 2): va sottolineato che i monili rafigurati sono caratterizzati da un evidente gusto sentimentale e commemorativo. Dunque un esempio precoce (siamo agli inizi degli C. Knight (a cura di), Carteggio San Nicandro - Carlo III. Il periodo della reggenza (1760-1767), Società Napoletana di Storia Patria, Napoli, 2009, I). Va detto però che recentemente sul mercato antiquario genovese è passato un altro dipinto identico a quelli di Caserta e di San Martino, che – notizia riferita ma non veriicata – recava al bordo della consolle la irma di Mengs: cfr. G. Narciso, in V. de Martini, F. Petrucci (a cura di), Vanvitelli Segreto cit., n. 19. 6 Si veda V. de Martini (a cura di), Gioielli regali cit., p. 33. I gioielli napoletani alla corte di Maria Carolina anni Settanta) di una tendenza che si espliciterà particolarmente nell’ultimo ventennio del secolo XVIII e si riproporrà agli inizi del secolo successivo con i Napoleonidi. Sono noti infatti i gioielli regalati da Ferdinando e Carolina a lady Hamilton, alias Emma Hart, moglie dell’ambasciatore britannico presso la corte napoletana ed intima amica dei sovrani: tra questi un ritratto miniato del re contornato di diamanti, una placchetta commemorativa della vittoria di Nelson ad Abukir, con nel recto ciocca dei capelli dell’ammiraglio e nel verso quella del piccolo Alberto di Borbone morto proprio tra le braccia di Emma durante la traversata tra Napoli e la Sicilia, ed inine un braccialetto tessuto con i capelli di Nelson. Lo stesso gusto sentimentale e commemorativo è riscontrabile nel Ritratto di Maria Carolina eseguito nel 1787 da Camillo Landini, oggi al Museo di Capodimonte (ig. 4), contraddistinto da una semplice collana che sostiene un pendantif con il ritratto di Ferdinando incastonato in un giro di diamanti7. Il dipinto è caratterizzato da una nuova e rafinata semplicità: niente aigrettes e spilloni sui capelli ma iori di seta, tessuti morbidi e leggeri e comunque di grande preziosità. Non è un caso, dunque, che al 1783, qualche anno prima, sia databile il grande dipinto con la Famiglia Reale di Ferdinando8, proveniente da Caserta ma oggi a Capodimonte, di Angelika Kauffmann, in stretto contatto con la corte napoletana dal 1782 al 1807: qui in un paesaggio agreste Ferdinando IV, Maria Carolina ed i loro igli, in posa non uficiale, sono vestiti con sobria eleganza. Dello stesso anno l’altro ritratto di Maria Carolina dovuto alla pittrice tedesca, quello oggi a Bregenz (ig. 5): «Carolina seduta di scorcio con un sontuoso abito bianco in cui la Kauffmann da la prova della propria abilità nella resa delle screziature e dei trapassi serici, con il manto regale lasciato cadere dalle spalle con accorta disinvoltura»9. Niente gioielli, solo una ricca bordura al collo, ai polsi e alla cintura; sui capelli un ilo di perle ed un velo leggero. Vengono alla mente le celeberrime mises di lady Hamilton10 descritte da Goethe 7 Ivi, p. 32. Il quadro è copia di un dipinto di Louis Perin-Salbreux, ritrattista delle iglie di Maria Teresa d’Austria. L’unica differenza rispetto all’originale, dipinto cinque anni prima, oltre all’età più matura della sovrana, è data dalla presenza del medaglione miniato di Ferdinando. 8 Si veda R. Ciofi (a cura di), Casa di Re cit., p. 125. 9 I. di Majo, ivi, p. 292, n. 3.7b. 10 Negli anni Ottanta si registra la presenza a Napoli di lady Hamilton: Amy Lyon, tale il suo vero nome, di umili origini, prima amante poi moglie (1791) di Lord Hamilton, divenne presto frequentatrice della corte napoletana ed amica e coni- 253 254 Vega de Martini nei suoi ricordi dall’Italia, completamente ispirate alle antichità di Pompei ed Ercolano. Celebre il racconto della sua visita nel marzo del 1787 nella casa napoletana di lord Hamilton: Il cavalier Hamilton, che risiede qui come ambasciatore inglese, dopo essere stato a lungo un appassionato d’arte e aver ampiamente studiato la natura, ha trovato le massime gioie della natura e dell’arte sommate in una bella fanciulla: una giovane inglese di vent’anni molto avvenente e ben fatta, che tiene presso di sé11. In questo momento Emma è ancora l’amante di Hamilton che la sposerà nel 1791. E Goethe continua: L’ha abbigliata alla greca, con un costume che la veste mirabilmente; ella poi si scioglie la chioma e servendosi di un paio di scialli, continua a mutar pose, gesti ed espressioni, tanto che alla ine par davvero di sognare. Ciò che avrebbero aspirato a creare tante migliaia di artisti lo vediamo come realtà in moto, come sorprendente successione di foto. In piedi, in ginocchio, seduta, sdraiata, seria, triste, maliziosa, sfrenata, contrita, provocante, minacciosa, timorosa e via dicendo. Un’espressione segue a un’altra, e un’altra la sostituisce. Per ciascuna di esse ella sa scegliere e cambiare il drappeggio del velo, e con le stesse stoffe si acconcia in cento modi i capelli. L’anziano cavaliere le regge il lume ed è in costante adorazione davanti alla sua persona. Trova in lei tutte le immagini dell’antichità [...]. Sta di fatto che il divertimento è unico! Ci siamo già godute due di queste serate, e stamattina Tischbein farà il ritratto della bella12. Siamo nel periodo della presenza a corte di Philipp Hackert, che a parere del re Ferdinando «aveva a Napoli una casa sobria ma elegante»13 di gusto già neoclassico che diventa da allora in poi valenza ineludibile per l’arredamento dei siti reali, da Caserta a Carditello. dente di Maria Carolina, nonché l’amante di Orazio Nelson. Dopo la scomparsa del marito e poi dello stesso Nelson, morì in miseria a Calais. 11 J.W. Goethe, Lettera da Caserta in data 16 marzo 1787, in Italianische Reise [1816], ed. italiana (Viaggio in Italia) con la traduzione di E. Castellani, Mondadori, Milano, 2011, pp. 231-232. 12 Ivi, p. 232. Dei tanti ritratti di Emma se ne ricordano tre in particolare: uno, in veste di baccante, attribuito alla Vigée Le Brun, il secondo a George Romney; il terzo potrebbe essere proprio quello dipinto da Tischbein a seguito della visita in casa Hamilton insieme a Goethe. 13 Della permanenza presso la corte borbonica napoletana di Philipp Hackert, dei suoi rapporti con Ferdinando IV e della decisa inluenza che ebbe sul gusto del sovrano, dà ampio conto il Goethe non solo nel suo Italianische Reise del 1816. La precedente citazione è contenuta nella biograia, apparsa nel 1811 presso l’editore I gioielli napoletani alla corte di Maria Carolina Come che sia, nella linea di una nuova semplicità neoclassica si pone un ritratto di Maria Carolina conservato presso la Reggia di Caserta. Maria Carolina è rafigurata a mezzo busto e di tre quarti, convenzionalmente con lo sguardo rivolto all’osservatore, sullo sfondo un’ampia tenda si apre su un paesaggio marino, presumibilmente il golfo di Napoli. La regina sfoggia un sontuoso abito di raso di gusto neoclassico con veli operati a puntini d’oro, una lunga collana di perle, ferma maniche a nastro d’oro con brillanti e smalti e una ibbia gioiello di acciaio brunito impreziosito con perle e brillanti. Non conosciamo il nome dell’autore del dipinto14 ma appare chiaro che suoi punti di riferimento sono i ritratti già citati che Angelika Kauffmann eseguì di Maria Carolina d’Asburgo. Mi si riferisce di una possibile attribuzione al Tischbein del ritratto casertano e non c’è dubbio che anche il pittore tedesco possa essere considerato, al pari della Kauffmann, un valido punto di riferimento per l’opera la cui datazione è molto probabilmente di poco anteriore al 1793, come certiica la vistosa ibbia gioiello che appare alla cintura di Maria Carolina. Proprio in quella data la regina, infatti, divide tra i familiari parte dei suoi gioielli. Tra quelli registrati nell’apprezzo stilato dal gioielliere di corte Matteo Tufarelli15, appare «una guarnizione di cohe e brillante da donare a Maria Clementina mia nuora», identiicabile proprio, come vedremo, con la ibbia che compare nel ritratto casertano di Maria Carolina. Non c’è dubbio inoltre che la ibbia che orna la cintura di Maria Clementina d’Asburgo, ritratta in un dipinto oggi conservato presso il Palazzo Reale di Napoli ma proveniente dalla Reggia di Caserta (ig. 6), sia la medesima di quella sfoggiata da Maria Carolina. Figlia di Leopoldo II imperatore d’Austria e di Maria Ludovica di Borbone Spagna, Maria Clementina, nel 1797 prima moglie di Francesco di Borbone, il primogenito di Ferdinando IV, fu a lui promessa in dal 1791 quando aveva ancora 14 anni. Il suo ritratto – collocabile quindi ad una data successiva al 1793 e presumibilmente anteCotta di Tubingen, che Goethe scrisse sul pittore tedesco, suo intimo amico, rielaborando gli appunti che lo stesso Hackert aveva stesi in forma di diario occasionale e disordinatamente. La prima parte di tale biograia, che riguarda appunto il periodo napoletano del pittore, si trova, tradotta in italiano, in F. Mancini (a cura di), Philipp Hackert alla corte di Napoli (1782-1799), Grimaldi & C., Napoli, 1988. 14 Si veda Gioielli regali cit., p. 139, n. 30. 15 Cfr. Gioie della Regina e Galanterie del re: documenti, catalogo della mostra (Napoli, Palazzo Reale, 4 luglio – 4 ottobre 1991), «Quaderni del Palazzo Reale di Napoli», 3, Arte Tipograica, Napoli, 1991. 255 256 Vega de Martini cedente al 1801, anno della sua morte – attribuito da Ferdinando Bologna16 a Élisabeth Vigée Le Brun, si trova oggi esposto come opera di Hickel presso il Palazzo Reale di Napoli ma proviene dalla Reggia di Caserta17. In ogni modo, quello che caratterizza i due ritratti casertani delle due Asburgo, quello di Maria Carolina e quello di Maria Clementina, è il deciso gusto neoclassico del costume e degli ornamenti dove giocano il ruolo principale la leggerezza dei tessuti e l’estrema e rafinata sobrietà dei gioielli. Un gusto che si affermerà decisamente a Napoli durante il periodo della dominazione francese, durante il regno di Giuseppe Bonaparte prima e di Gioacchino Murat poi. È appena il caso di ricordare il gusto archeologico dei gioielli delle donne di casa Bonaparte, di Carolina Murat in primis, nei tanti dipinti che le ritraggono18, dove viene introdotto tra gli ornamenti un nuovo elemento, il diadema alla greca. Un elemento che verrà riproposto, nel segno di una evidente continuità culturale, in piena Restaurazione borbonica, come documentano due ritratti di Maria Carolina, entrambi facenti parte delle collezioni casertane ed entrambi postumi (l’Asburgo, reduce da Palermo da dove parte il 13 giugno del 1813, muore a Vienna l’8 settembre del 1814): il mezzobusto in alabastro dovuto a Konrad Heinrich Schweickle, artista tedesco già nel 1806 chiamato da Giuseppe Bonaparte a Napoli dove rimase ino al 183019, ed il grande dipinto, cartellinato nell’ambito della pinacoteca della Reggia casertana come opera di Filippo Marsigli, allievo di Wicar20. In quest’ultimo, Maria Carolina, ormai una donna più che matura, è rafigurata 16 Cfr. G. Doria, F. Bologna (a cura di), Mostra del ritratto storico napoletano, catalogo della mostra (Napoli, Palazzo Reale, ottobre-novembre 1954), Ente provinciale per il turismo, Napoli, 1954, pp. 56-57. 17 Cfr. V. de Martini (a cura di), Gioielli regali cit., n. 34. 18 Si segnalano nelle collezioni della Reggia casertana i ritratti di Letizia Bonaparte, madre dell’imperatore, eseguito nel 1810 da Pierre Edmond Martin, replica da un dipinto di Gérard, e quello di Giulia Clary, moglie di Giuseppe Bonaparte, con le iglie Zenaide e Carlotta, e soprattutto di Carolina Murat: cfr. Soprintendenza BAPSAE di Caserta e Benevento (a cura di), Neoclassiche Compostezze. Il gusto per l’antico del Real Palazzo di Caserta, catalogo della mostra (Caserta, Palazzo Reale, 21 dicembre 2011 – 25 marzo 2012), «Siti reali e territorio: storia, restauro, valorizzazione», n.s., 1 (2012), nn. 34, 36. 19 Cfr. P. Viola, ivi, n. 9. 20 Il dipinto è pubblicato però come di autore ignoto in N. Spinosa (a cura di), Civiltà dell’Ottocento. Le arti a Napoli dai Borbone ai Savoia, catalogo della mostra (Napoli, Museo di Capodimonte; Caserta, Palazzo Reale, 25 ottobre 1997 – 26 aprile 1998), Electa Napoli, Napoli, 1997, I, p. 223. I gioielli napoletani alla corte di Maria Carolina sullo sfondo del golfo di Napoli e del Vesuvio visto dal Palazzo Reale: a tutta igura, ingioiellata e coronata da un diadema di gusto archeologico in ametiste, zafiri e brillanti, insignita dai simboli del potere dinastico (visibilissimo il trono). Se il dipinto è di Filippo Marsigli (1790-1868), non può che considerarsi postumo e commissionato evidentemente come chiaro manifesto del ritorno sul trono delle Due Sicilie della dinastia borbonica. 257 258 Vega de Martini I gioielli napoletani alla corte di Maria Carolina Fig. 3 – da Anton Raphael Mengs, Maria Luisa di Borbone Parma. Caserta, Palazzo Reale. Fig. 4 – Camillo Landini, Ritratto di Maria Carolina d’Austria. Napoli, Museo nazionale di Capodimonte. Fig. 5 – Angelika Kauffmann, Bildnis der Königin Maria Karoline von Österreich, Königin von Neapel, Erzherzogin von Österreich. Bregenz, Vorarlberger Landesmuseum. Fig. 6 – Élisabeth Louise Vigée Le Brun, Maria Clementina d’Asburgo. Napoli, Palazzo Reale (in deposito da Reggia di Caserta). Fig. 1 – da Martin van Meytens, Maria Antonia d’Asburgo, part. Caserta, Palazzo Reale. Fig. 2 – da Anton Raphael Mengs, Maria Giuseppina di Borbone, part. dell’orecchino (a) e del bracciale (b). Caserta, Palazzo Reale. 259 Eva Baumgartner RICORDI DELLA REGINA DI SICILIA A VIENNA Sommario: Il punto di partenza sarà il cosiddetto monumento di famiglia nel parco di Schönbrunn, commissionato da Maria Carolina e ora in gran parte dimenticato. Mentre la posizione e l’iscrizione fanno riferimento all’infanzia dell’arciduchessa, la data di ediicazione ricorda gli eventi politici del periodo napoleonico e gli ultimi anni della regina a Vienna. Sulla base di fonti inedite dell’Archivio di Stato e della collezione graica del Museo dell’Albertina a Vienna, verranno presentati nuovi aspetti che faranno luce su entrambe queste fasi della vita della regina. Parole chiave: monumento, infanzia, disegni, ricordi, esequie. MEMORIES OF THE QUEEN OF SICILY IN VIENNA abStract: The starting point is the today’s largely forgotten so called family-monument commissioned by Maria Carolina, which was erected within the grounds of the Palace of Schönbrunn. Whereas the location and inscription refer to the childhood of the Archduchess, the date of the construction points towards the political occurrences of the Napoleonic era and also the inal years of the queen’s life in Vienna. By reference to the until now unpublished sources of the House- Court- and State archives as well as the graphic collections of the Albertina in Vienna, these sources not only reveal new aspects but also shed light on both these chapters of her life. KeywordS: family-monument, childhood, drawings, memories, exequies. In Austria gli storici e gli storici dell’arte non mostrano quasi alcun interesse per la tredicesima iglia di Maria Teresa, Maria Carolina. Egon Caesar Conte Corti si dedicò per la prima volta in modo dettagliato alla sua vita nel 19501. Grazie alle sue ricerche negli archivi di Vienna, Monaco e Londra, questa pubblicazione viene considerata ancora oggi un’opera di interesse fondamentale. Solo nel 2014 Friederike Hausmann si dedicò nuovamente alla “Sovrana nel paradiso dei diavoli”, facendo però ricorso principal- Abbreviazioni utilizzate: Hhsaw: Haus-, Hof- und Staatsarchiv in Wien, Austria; Omea: Obersthofmeisteramt. 1 E.C. Conte Corti, Ich, eine Tochter Maria Theresias. Ein Lebensbild der Königin Marie Karoline von Neapel, Verlag F. Bruckmann, München, 1950. 262 Eva Baumgartner mente alle conclusioni di Corti2. Nel castello di Schönbrunn, la residenza estiva di allora degli Asburgo, si trovano diversi quadri che ci ricordano la iglia della grande imperatrice, famosa per la sua testardaggine e forza di volontà. Questi, come anche i numerosi quadri dei suoi fratelli, servivano come presentazione dimostrativa dell’abbondanza di igli, che per la vincente politica di matrimonio può essere interpretata come strumento politico. In quest’ottica sono da considerare anche i due busti nella piccola galleria, che rafigurano Maria Antonietta e di fronte Maria Carolina, con rappresentazione dei suoi igli in rilievo sul piedistallo3. Sotto tutt’altro aspetto è da considerare il cosiddetto Monumento di famiglia sul lato est dei giardini di Schönbrunn (ig. 1). Maria Carolina fece erigere questo monumento nel 1802 da Franz Thaler (1759-1817). L’opera, composta da un pilastro di granito coronato da un vaso di bronzo, riporta sul lato anteriore un medaglione in bassorilievo, con cinque busti allineati uno dietro l’altro, rafiguranti i ritratti della regina e dei suoi quattro igli (Maria Cristina di 21 anni, Maria Amalia di 18, Maria Antonia di 16 e Leopoldo di 10). Nell’originale si vede un particolare inora non menzionato: il piccolo Leopoldo porta una spilla con un ritratto maschile, che rappresenta probabilmente suo padre Ferdinando IV. Ciò corrisponderebbe anche alla deinizione del monumento di “famiglia”, dedicato alla madre di Maria Carolina, come indica l’iscrizione sul retro: Der kindlichen Zärtlichkeit für die unsterbliche Maria Theresia, der Liebe zum theuren Vaterlande, der frohen Rückerinnerung an die Freude der sorgenfreyen Jugend, widmet dieses ländliche Denkmal auf dem Platze, den sie einst als Kind plegte, nun in dem Kreise ihrer Kinder, Maria Carolina Königin beyder Sicilien, bey ihrer Anwesenheit im Jahr MDCCCII4. Negli archivi di arte igurativa dell’Accademia, come anche nel Haus-, Hof- und Staatsarchiv di Vienna, non sono state trovate fonti riguardo a questo incarico. Franz Thaler, dal 1786 all’Acca2 F. Hausmann, Herrscherin im Paradies der Teufel: Maria Carolina, Königin von Neapel, Beck, München, 2014. 3 L’opera di Charles François van Poucke, rafigurante Maria Carolina, viene terminata nel 1776, mentre quella di Joseph Fernande, che ritrae Maria Antonietta, nel 1779. 4 «All’infantile tenerezza per l’immortale Maria Theresia, all’amore della cara patria, ai felici ricordi delle gioie della spensierata gioventù, dedica questo monumento rurale sul luogo che una volta frequentava da bambina, ora in compagnia dei suoi igli, Maria Carolina Regina delle Due Sicilie, in sua presenza nell’anno MDCCCII». Ricordi della regina di Sicilia a Vienna demia delle arti igurative di Vienna, era un allievo di Franz Anton Zauner (1746-1822), che a Schönbrunn partecipò anche al programma delle sculture del Grande Parterre. Il monumento oggi poco considerato e spesso sconosciuto, spicca chiaramente nell’attuale allestimento del giardino. Mentre le trentadue statue erette alla ine del Settecento nel vicino Parterre rimandano alle più importanti virtù dei sovrani, e quindi servono a celebrare simbolicamente i regnanti, questo tipo di monumento di famiglia potrebbe corrispondere invece a una nuova ilosoia di vita, che rispecchia il patrimonio ideologico di Jean-Jacques Rousseau. Nel suo romanzo Julie ou la Nouvelle Héloïse ou Lettres de deux amants habitants d’une petite ville au pied des Alpes, pubblicato la prima volta nel 1761, Rousseau descrive il giardino come uno spettacolo della natura, dove l’uomo può ritrovare le origini del proprio Io, la sua naturalità (ig. 2). Queste idee, realizzate nell’allestimento dei giardini all’inglese, per esempio a Wörlitz, le troviamo qui sia come iscrizione, che in forma di vaso coronante. Il motivo dell’urna chiusa serve probabilmente quale espressione dei ricordi racchiusi là dentro per sempre. Thaler per la realizzazione si ispira anche alle opere del suo maestro. Nel parco del castello di Bad Vöslau, Bassa Austria, Zauner utilizza già questo tipo, e accanto al vaso chiuso, il piedistallo rappresenta simbolicamente i iumi principali dei quattro continenti5. L’insolita collocazione del monumento nella zona del Grande Parterre, invece che nella zona sud, che corrisponde già all’aspetto dei giardini inglesi, ha un signiicato semantico. Come dice l’iscrizione, era il luogo che la regina «frequentava da bambina». Maria Carolina, educata insieme a sua sorella più piccola di tre anni Maria Antonia, passava spesso del tempo in questo luogo, nelle cui immediate vicinanze esistevano ancora nell’Ottocento piccole coltivazioni di verdure e frutta dei igli della famiglia imperiale. Probabilmente anche quelli della regina hanno provato il giardinaggio in questo luogo durante il loro soggiorno a Schönbrunn. Su ordine di Maria Carolina, in ricordo dei quattro igli, dovevano essere allestiti intorno al piedistallo quattro aiuole di iori, solo con rose, nontiscordardime, e il cosiddetto iore del pensiero (viola tricolor)6. 5 Su Zauner e le sue opere si veda anche B. Hagen, Antike in Wien. Die Akademie und der Klassizismus um 1800, Philipp von Zabern, Mainz am Rhein, 2002. 6 Beschreibung des Kaiserlichen Lustschlosses Schönbrunn und des nahe beindlichen Gartens, aus dem Jahre 1805, Joseph Oehler, Wien, 1805, I, p. 62. 263 264 Eva Baumgartner Ai ricordi dell’infanzia della regina apparteneva sicuramente anche l’incentivazione al disegno e alla pittura che trasmise ai propri igli. Anche in questo ambito, negli studi recenti, viene messo in risalto solo il talento della iglia preferita di Maria Teresa, Maria Cristina (1742-1798), le cui opere sono conservate sia a Schönbrunn che nella collezione graica dell’Albertina. Nella cosiddetta “Cartellina dei dilettanti”, ivi conservata, si trovano tra i numerosi disegni, anche i lavori di Maria Carolina, realizzati all’età di dodici anni (ig. 3). Ugualmente non considerate dagli storici, nell’archivio della Fideikommission della Biblioteca Nazionale Austriaca, si trovano alcune incisioni in rame che, stando alla irma, furono realizzate proprio da Maria Carolina (igg. 4-6). Queste “opere d’arte” erano una prova dell’eccellente istruzione e dei talenti individuali dei igli della famiglia imperiale e vennero molto apprezzate come regali in famiglia7. Mentre i igli di Maria Teresa disegnavano usando come modello principalmente sia i maestri olandesi, sia ritratti dei fratelli come espressione artistica, Maria Carolina, per i propri igli, ricorreva alle lezioni d’arte professionali. Fece venire alla corte di Napoli Angelika Kauffmann (1741-1807) ed Élisabeth Louise Vigée Le Brun (1755-1842), che ha realizzato anche i ritratti dei igli per le candidature di matrimonio. Il retroscena storico del soggiorno del 1802 riportato sul monumento è, come noto, meno romantico. Vienna servì come rifugio alla regina scacciata dai Francesi e a numerosi altri discendenti di Maria Teresa, durante le guerre napoleoniche8. Nella letteratura viene indicato solitamente il 1802 o il 1803 come data della collocazione del monumento. Secondo la descrizione dell’Imperiale castello di Schönbrunn e dell’adiacente giardino, dell’anno 1805, il monumento venne però eretto solo in quel periodo9. Ironia della sorte, se si considera che a dicembre dello stesso anno Napoleone occupò Vienna e si installò a Schönbrunn. 7 Si veda K. Merkel, Der guten Mutter... dem besten Vater. Eigene Zeichnungen als Geschenke in der Familie der Habsburger, «Wiener Jahrbuch für Kunstgeschichte», Bundesdenkmalamt Österreich und Institut für Kunstgeschichte der Universität Wien, LIX (2011), pp. 153-185. 8 Come il iglio più giovane di Maria Teresa, Maximilian Franz, arcivescovo e principe elettore di Colonia, e Maria Elisabeth, che dovette lasciare Innsbruck dopo l’annessione bavarese del Tirolo. 9 «Das zweyte ist das Familienmonument welches Maria Karolina, Königin von Neapel und Sizilien errichten lässt. Es ist bereits fertig und wird demnächst ausgestellt werden […]». Beschreibung cit., p. 62. Ricordi della regina di Sicilia a Vienna Maria Carolina cercò di organizzare a Vienna l’aiuto politico e militare per il suo paese contro Napoleone, e avviare per le sue iglie ulteriori matrimoni asburgici con i fratelli più giovani dell’imperatore. Entrambe le cose vennero respinte proprio dall’imperatore Francesco I, suo nipote e genero. Nuovamente nel 1814, dopo la sua cacciata forzata dalla Sicilia, Maria Carolina cercò il sostegno degli Asburgo. L’imperatore aveva a quell’epoca concluso un patto di guerra contro Napoleone con Gioacchino Murat, a condizione che ad esso venisse assicurato il trono napoletano. L’arrivo della sua ex suocera a Vienna, mise l’imperatore in una situazione imbarazzante. Le fonti nel Haus-, Hof-, Staatsarchiv, confermano i tentativi di Francesco I di tenere lontano Maria Carolina da Vienna. Doveva rimanere inizialmente a Bratislava, dove nel gennaio 1814 alloggiò con suo iglio Leopoldo e un piccolo seguito, nel palazzo della famiglia del principe Pálffy, che fu sede della ambasciata austriaca. La spesa stimata di 5659,42 f., per i necessari mobili, materassi, cuscini, federe e simili, venne respinta dalla Camera Aulica su indicazione dell’imperatore, secondo il quale «la Regina di Sicilia deve vivere a proprie spese negli stati austriaci, e dunque, per essa, non devono essere addebitate alcune spese all’erario»10. Maria Carolina non si fece dissuadere dai suoi piani di raggiungere Vienna e trovò sostegno da parte dell’imperatrice Maria Ludovica, la terza moglie dell’imperatore. Il 2 febbraio 1814 l’imperatrice ordinò che «per le poche persone della Suite, che hanno accompagnato qui Sua Maestà la Regina di Sicilia, venga fornito dalla Corte, il vitto e alloggio durante la sua permanenza»11. Inoltre l’imperatrice andò incontro a Maria Carolina e il suo seguito, e la accompagnò in un appartamento preparato per gli ospiti nell’ediicio della Cancelleria di Corte. L’imperatore ne fu informato dal suo Maestro di Corte, principe Ferdinand Trauttmannsdorf (1749-1827), che in modo diplomatico riuscì a fargli cambiare idea: nella sua lettera, il principe richiama l’attenzione sulla «svantaggiosa impressione sul pubblico» per via del comportamento dell’imperatore verso una parente così stretta, che in città aveva già «dato adito a diverse dicerie indecenti»12. Hhsaw, Omea, 1814, K. 200, fol. 22. Ibidem. 12 «Allergnädigster Herr, Durch die durch den Grafen v. Ugarte und auch durch den Commandanten Ruffo erhaltene Nachricht, daß Ihre Majestät die Königin von Sizilien Dienstag den 1. in Wolkersdorf eintreffen, dort über Nacht blei10 11 265 266 Eva Baumgartner Per non “dar noia” all’imperatore, Maria Carolina afittò un appartamento in città nel febbraio del 1814, più precisamente, secondo i rapporti contemporanei, nel Palazzo Starhemberg sulla Piazza dei Minoriti13. Joseph Rossi menziona la casa d’abitazione di Sua Maestà la Regina di Sicilia, in occasione delle decorazioni festive del centro di Vienna, per il ritorno dell’imperatore da Parigi nel giugno del 1814. La ine della guerra e la felicità per l’esilio di Napoleone vennero celebrate a Vienna con archi di trionfo e facciate decorate. Ogni tanto si trovavano, davanti alle facciate, grandi impalcature con parti architettoniche, che presentavano l’ediicio in modo completamente diverso14, compreso il Palazzo Starhemberg. L’incisione ben, und Mittwoch den 2ten Vormittags in Wien ankommen würden, haben Ihre Majestät die Kaiserin beschlossen, derselben bis an den Tabor entgegen zu reisen, und die Königin in die für dieselbe bereitete Wohnung in dem Hofkanzleygebäude einzuführen. Wirklich ist auch die Ankunft der Königin und des königl. Prinzen nebst der hier gehorsamst angeschlossenen sehr kleinen Suite für zwischen 12 und 1 Uhr erfolgt, worauf sodann dieselbe und der königl. Prinz bei Ihrer Majestät der Kaiserin in Gesellschaft der Herren Erzherzoge kaiserlichen Hoheiten Brüder Eurer Majestät das Mittagsmahl eingenommen hatten. Nach Eurer Majestät früheren Befehl hat zwar die Königin in den österreichischen Staaten sich selbst zu verplegen, und soll diesfalls keine Auslage ab Aerario gemacht werden, dieser Befehl wurde auch plichtmässig in seinem ganzen Umfange befolgt, nur scheint es mir Eurer Majestät allerhöchste Willensäußerung nicht seyn zu können, daß die kaum aus 17 bis 18 Personen bestehende Suite der Königin sich während der kurzen Dauer Ihres Aufenthaltes in Wien, wo Ihre Majestät die Königin sich für Ihre hohe Person, als Gast in der k.k. Burg beindet, selbst verplege, und dies um so weniger, da nach der mir bekannt gewordenen Einleitung des Geschäftsträgers Ihrer Majestät der Königin die Spesen dieser Suite von dem Traiteur in der k.k. Burg wollten gebracht und sogar in eine Hofküche gebracht werden, welches äußerst unschicksam wäre, und auch schon wirklich zu verschiedenen unanständigen Reden Anlaß gegeben hat. Aus dieser Ursache, und wegen des unvortheilhaften Eindruckes im Publikum, daß die gewünschten Rücksichten gegen die Königin, als eine so nahen Verwandten des hohen Hauses Eurer Majestät außer Sicht gelassen würden, während die kürzlich hier gewesenen fremden Prinzessinen v. Rußland mit aller Auszeichnung behandelt wurden, habe ich und zwar mit der Gutheißung Ihrer Majestät der Kaiserin die Einleitung getroffen, daß diese kleine in der Burg bewohnte Suite während der kurzen Zeit ihres hiesigen Aufenthaltes vom Hofe aus vorgelegt wird, über welche an sich unbedeutende Auslage ich mir Eurer Majestät gnädigster Genehmigung in der Überzeugung erbitte, Eurer Majestät allerhöchste Willensmeinung dadurch entsprochen zu haben, […]». Ibidem. 13 Hhsaw, Familienkorrespondenz, in E.C. Conte Corti, Ich, eine Tochter Maria Theresias cit., p. 695; «Frankfurter Ober-Post-Amts-Zeitung» 1814; J. Rossi, Denkbuch für Fuerst und Vaterland, Wallishausser, Wien, 1814, I, p. 67. Secondo la descrizione di Rossi si deve trattare della casa accanto al Palazzo che nel 1848 venne rasa a suolo per via del nuovo allestimento della Piazza dei Minoriti. 14 Si veda anche S. Grabner, Das Volk als Stimmungsträger und der Einzug Franz’ I. im Juni 1814, in A. Husslein-Arco, S. Grabner, W. Telesko (a cura di), Europa in Wien. Der Wiener Kongress 1814/15, catalogo della mostra (Wien, Räumen des Unteren Belvedere und der Orangerie, 20 febbraio – 21 giugno 2015), Hirmer Verlag, München, 2015, pp. 143-153. Ricordi della regina di Sicilia a Vienna in rame di Joseph Strnadt, pubblicata dopo la morte della regina, mostra la decorazione del suo ediicio, testimoniando dunque il sostegno all’esaltazione dell’imperatore e anche la felicità per la ine di Napoleone (ig. 7). Sul cornicione principale c’era una balaustra decorata con quattro vasi con fuochi multicolore che facevano da illuminazione. Il centro della facciata mostrava l’immagine dell’imperatore con le igure allegoriche della Vittoria e della Pace. Sopra al ritratto era collocata una Fama volante con una ghirlanda di iori. Sulla targa posta sopra al cornicione principale vi era scritto: Hoch lebe Franz, unser Kaiser! Der Großmütige, als Frankreichs Retter! Der Wohltätige, als Europas Friedensengel! Der Liebenswürdige, als Österreichs Vater!15 Trauttmannsdorf sostenne con successo anche il desiderio di Maria Carolina di poter passare l’estate del 1814 al Castello Hetzendorf (ig. 8), dato che l’imperatore le aveva riiutato il soggiorno a Schönbrunn16. Questo castello, che oggi ospita la scuola di moda, era in possesso degli Asburgo dal 1743. Maria Teresa incaricò Nicolaus Pacassi dell’ampliamento del Palazzo, che nel 1715 era stato modiicato da Johann Lucas Hildebrandt. All’interno gli affreschi di Carlo Carlone nella grande sala dei ricevimenti ricordano ancora lo splendore dell’arredamento di allora. Sotto l’imperatore Francesco ci furono dei tentativi da parte dell’uficio del Maestro di Corte di rinnovare le stanze. Secondo le fonti d’archivio, nell’anno 1800 vennero fatti dei preventivi per mobili di mogano o noce e rivestimenti in taffetà. L’imperatore declinò le proposte per motivi di costi con le seguenti parole: «L’arredamento nel castello di Hetzendorf non deve essere né sontuoso, né costoso, ma solo decente, e l’organizzazione economica la lascio a Lei»17. Inine le stanze vennero arredate con carta da parati e mobili in ciliegio, alcuni dei quali, come i letti, vennero presi dall’ex Palazzo Augarten e restaurati. Per il soggiorno della regina di Sicilia non vennero fatte modiiche nell’arredamento, così che dovette passare gli ultimi mesi della sua vita circondata dal gusto di suo nipote che corrispondeva al Biedermeier. 15 16 17 J. Rossi, Denkbuch cit., p. 67. Hhsaw, Omea, 1814, K. 205, fol. 190-255. Hhsaw, Omea, 1800, Nr. 80, K. 86, fol. 198r. 267 268 Eva Baumgartner Ricordi della regina di Sicilia a Vienna Nella notte tra il 7 e l’8 settembre 1814 Maria Carolina morì a causa di un ictus. Secondo il suo testamento bisognava rinunciare a ogni tipo di sfarzo18. Tuttavia questo desiderio venne preso troppo alla lettera e si rinunciò a ogni pietà. Gli atti del cerimoniale riportano «che il corpo venne trasportato, più di ventiquattro ore dopo, su una lettiga a dorso di mulo in città e seppellito per il momento nella cappella di corte»19. Anche il desiderio «che il mio corpo non venga imbalsamato o aperto» non venne rispettato20. Il 10 settembre si celebrò il funerale del cuore e delle interiora, seguito da benedizione degli stessi, e alle ore 5 ebbe luogo il solenne funerale21. Solitamente quando un personaggio reale moriva, venivano osservate quattro settimane di lutto profondo e due di semilutto. Per la morte di Maria Carolina, invece, in considerazione dell’imminente Congresso di Vienna, vi fu una riduzione a tre settimane di lutto profondo e a tre di semilutto22. Anche dopo la morte, questo grande personaggio degli Asburgo divenne vittima della politica e cadde nell’oblio, nella sua Vienna. Fig. 1 – Franz Thaler, Familiendenkmal, 1802. Wien, Schloss Schönbrunn. 18 19 20 21 22 E.C. Conte Corti, Ich, eine Tochter Maria Theresias cit., p. 706. Hhsaw, Neuere Zeremonialakten, 1814, K. 20, fol. 112r. E.C. Conte Corti, Ich, eine Tochter Maria Theresias cit., p. 706. Hhsaw, Neuere Zeremonialakten, 1814, K. 20, fol. 112r. Ibidem. Fig. 2 – Frontespizio da J.J. Rousseau, Julie ou la Nouvelle Héloise, 1761. Fig. 3 – Maria Carolina, Disegno a matita. Wien, Albertina (Inv. 13677). 269 270 Eva Baumgartner Fig. 4 – Maria Carolina, incisione. Wien, Österreichische Nationalbibliothek, Fideikommission (Inv. Pk477_36°). Ricordi della regina di Sicilia a Vienna Fig. 5 – Maria Carolina, incisione. Wien, Österreichische Nationalbibliothek, Fideikommission (Inv. Pk477_036b). Fig. 6 – Maria Carolina, incisione. Wien, Österreichische Nationalbibliothek, Fideikommission (Inv. Pk477_036d). Fig. 7 – Beleuchtung des Wohnpallastes wail Ihro Majëstat der Königin von Sizilien (da Joseph Rossi, Denkbuch für Fürst und Vaterland, vol. I, 1814, p. 167). Fig. 8 – Lorenz Janscha (disegno), Johann Ziegler (incisione), Vue du Château de Plaisance à Hetzendorf, 1800 circa. Wien, Österreichische Nationalbibliothek (Inv. Pb207586F55). 271 GLI AUTORI Eva Baumgartner [email protected] Si è laureata in Storia dell’Arte presso l’Università di Vienna, studiando in particolare Venezia nel Sei e Settecento. È autrice di alcuni saggi che vertono soprattutto sul restauro per il dipartimento scientiico del castello di Schönbrunn, pubblicati nel 2012 in Schloß Schönbrunn 20 Jahre Denkmalplege 1992-2012. Si occupa delle relazioni tra Venezia e Austria nell’Ottocento, e ha pubblicato inora Leopoldo Cicognara e la tutela del patrimonio artistico veneziano (Venezia, 2012), Rilessioni sulle vicende conservative di opere d’arte a Venezia durante la seconda dominazione austriaca (Roma, 2013), L’imperatore Ferdinando I d’Asburgo a Venezia. Note su cinque dipinti riscoperti (Venezia, 2014). Giulio Brevetti [email protected] Storico dell’arte, assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Lettere e Beni Culturali della Seconda Università degli Studi di Napoli. Si occupa prevalentemente di iconograia e di rappresentazione del potere: ha infatti pubblicato diversi saggi sulla ritrattistica borbonica e murattiana, non trascurando tuttavia quella garibaldina. Ha collaborato all’allestimento, e ai relativi cataloghi, delle esposizioni Da Sud. Le radici meridionali dell’unità nazionale (Napoli, 2011-2012) e A passo di carica. Murat re di Napoli (Napoli, 2015). Ha curato, assieme ad altri, il volume La Campania e il Grand Tour. Immagini, luoghi e racconti di viaggio (Roma, 2015), nel quale ha presentato uno studio sulla fortuna visiva dell’immagine del viaggiatore in territorio campano. Attualmente sta lavorando a una monograia sulle mostre d’argomento risorgimentale. Giuseppe Cirillo [email protected] Professore Ordinario di Storia Moderna presso il Dipartimento di Scienze Politiche J. Monnet della Seconda Università degli Studi di Napoli. Si occupa di Storia degli Antichi Stati italiani e di Storia 274 Gli Autori dell’Europa nell’Età Moderna. È il direttore del COSME (Centro Osservatorio sul Mezzogiorno d’Europa della Seconda Università degli Studi di Napoli e del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e per il Turismo). È il responsabile scientiico della Collana del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e per il Turismo, “Alle origini di Minerva trionfante”. Coordina un gruppo di ricercatori europei (italiani, francesi e spagnoli) di diverse discipline (umanisti ed ingegneri informatici) che studia i problemi legati alla digitalizzazione, messa in rete, e ricerca semantica dei grandi archivi europei “cartacei” e digitali. Su questi percorsi scientiici è il responsabile di alcuni progetti inanziati con fondi Por-Ferst, Horizon 2020, che hanno prodotto prototipi di ricerca semantica, utilizzati in ambito italiano ed europeo, sui grandi archivi storici dei Borbone d’Europa. Tra i suoi volumi: Virtù cavalleresca ed antichità di lignaggio. La Real Camera di S. Chiara e le nobiltà del Regno di Napoli nell’età moderna (Roma, 2013); Spazi contesi. Camera della Sommaria, baronaggio, città e costruzione dell’apparato territoriale del Regno di Napoli (sec. XV-XVIII), vol. I, Università e feudi, (Milano, 2011), vol. II, Evoluzione del sistema amministrativo e governi cittadini (Milano, 2011). Francesco Cotticelli [email protected] Insegna Discipline dello Spettacolo presso il Dipartimento di Lettere e Beni Culturali della Seconda Università degli Studi di Napoli. Si è occupato a lungo di Commedia dell’Arte e di temi teatrali sei-settecenteschi, con particolare riferimento a Napoli. Ha pubblicato, tra l’altro, i volumi: Le istituzioni musicali a Napoli durante il Viceregno austriaco (1707-1734) (Napoli, 1993), «Onesto divertimento, ed allegria de' popoli» (Milano, 1996), The Commedia dell’Arte in Naples. A Bilingual Edition of the 176 Casamarciano Scenarios = La Commedia dell’Arte a Napoli. Edizione bilingue dei 176 Scenari Casamarciano (New York-London, 2001), Dell’arte rappresentativa premeditata, ed all’improvviso (edizione bilingue del trattato di Andrea Perrucci del 1699, New York-London, 2008). Cura anche una Storia della musica e dello spettacolo a Napoli, di cui nel 2009 è apparso il primo volume, dedicato al Settecento. Gli Autori Gianluca Del Mastro [email protected] Ricercatore confermato in Papirologia presso l’Università "Federico II". Si occupa prevalentemente della storia, della conservazione e dell’edizione dei papiri ercolanesi, e ha pubblicato anche testi greco-egizi letterari e documentari. Si dedica alla storia del libro antico, ma non tralascia lo studio delle nuove tecnologie applicate allo studio dei testi classici. In quest’ambito dirige il progetto Chartes. Catalogo dei Papiri Ercolanesi ( www.chartes.it ). Ha pubblicato una monograia sulle subscriptiones dei papiri ercolanesi (Titoli e annotazioni bibliologiche nei papiri greci di Ercolano, Napoli 2014). Vega de Martini [email protected] Storico dell’arte, già funzionario del Ministero Beni e Attività Culturali. Ha coordinato le attività di recupero del patrimonio d’arte in Campania dopo il terremoto del 1980, ha diretto la Certosa di San Lorenzo in Padula dal 1981 al 1999 e poi per brevi periodi la Reggia di Caserta. Ha ideato e curato una lunga serie di mostre in Italia e all’estero su tematiche inerenti la cultura artistica del territorio e i rapporti Spagna-Napoli tra Seicento e Settecento. Tra gli ultimi lavori, i cataloghi di mostre tenute alla Reggia di Caserta su Antonio Joli (Napoli-Roma, 2012) e sui Farnese (Napoli, 2013), nonché sulla ricostruzione della quadreria di Carditello (Roma, 2014). Paologiovanni Maione [email protected] Docente di Storia della Musica e Storia ed Estetica Musicale presso il Conservatorio di Musica San Pietro a Majella di Napoli, ricercatore dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosoici di Napoli, consulente per le attività musicologiche del Centro di Musica Antica “Pietà de’ Turchini” di Napoli, membro del Comitato Scientiico della Fondazione Pergolesi-Spontini di Jesi e del Da Ponte Research Center di Vienna. È stato professore a contratto di Musicologia e Storia della Musica presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”. Dal 1998 al 2003 è stato nel comitato direttivo della Rivista Italiana di Musicologia e dal 2004 al 2009 è stato membro 275 276 Gli Autori del consiglio direttivo della Società Italiana di Musicologia come responsabile del settore “convegni” mentre dal 2010 è nel comitato consultivo dello stesso settore. Ha pubblicato e curato diversi volumi tra cui «Onesto divertimento, ed allegria de’ popoli». Materiali per una storia dello spettacolo a Napoli nel primo Settecento (Milano, 1996) e «Studi pergolesiani. Pergolesi Studies», 9 (2015), con cdrom allegato (Spoglio delle polizze bancarie di interesse teatrale e musicale reperite nei giornali di cassa dell’Archivio del Banco di Napoli per gli anni 1726-1737). Elisa Novi Chavarria [email protected] Docente di Storia Moderna presso il Dipartimento di Scienze Umane Sociali e della Formazione dell’Università degli Studi del Molise. È socio corrispondente dell’Accademia Pontaniana nella classe di storia, archeologia e ilologia e membro del Comitato Scientiico del Consorzio Interuniversitario “Civiltà del Mediterraneo” con sede presso il Dipartimento di Filosoia dell’Università di Napoli “Federico II”. Fa parte del Comitato Scientiico delle riviste «Nuova rivista storica» e «Pedralbes». I suoi interessi di studio e di ricerca vertono essenzialmente sulla storia sociale e delle istituzioni politiche ed ecclesiastiche nell’Europa della prima età moderna sui cui temi ha pubblicato monograie e diversi saggi su riviste e volumi collettanei, tra cui Sacro pubblico e privato. Donne nei secoli XV-XVIII (Napoli, 2009); The Space of Women, in T. Astarita (Ed.), A Companion to Early Modern Naples (Leiden-Boston, 2013); Corte e viceré, in Il Regno di Napoli nell’età di Filippo IV (1621-1665), a cura di G. Brancaccio e A. Musi (Milano, 2014). Da ultimo ha curato la raccolta di saggi su Ecclesiastici al servizio del re tra Italia e Spagna (secc. XVI-XVIII) per la rivista «Dimensioni e problemi della ricerca storica», 2 (2015). Giulio Sodano [email protected] Insegna Storia moderna, Storia d’Europa e Storia del Mezzogiorno presso il Dipartimento di Lettere e Beni Culturali della Seconda Università degli Studi di Napoli. I suoi più importanti studi nel passato hanno fatto riferimento all’analisi dei meccanismi del- Gli Autori la costruzione della santità canonizzata: si ricordano al riguardo i volumi Modelli e selezione del santo moderno. Periferia napoletana e centro romano (Napoli, 2002) e Il miracolo nel Mezzogiorno d’Italia dell’età moderna tra Santi, Madonne, guaritrici e medici (Napoli, 2010). I suoi interessi più recenti sono relativi alla storia delle grandi famiglie aristocratiche napoletane nella loro proiezione internazionale e a quella della regalità tra XVII e XVIII secolo: tra i suoi ultimi lavori, Da baroni del Regno a Grandi di Spagna. Gli Acquaviva d’Atri: vita aristocratica e ambizioni politiche (Napoli, 2012), Memorie di famiglia. Il libro dei Foschi: comportamenti demograici e sociali di una famiglia meridionale del ceto intermedio (1594-1963) (Napoli, 2014), e il saggio Le aristocrazie napoletane, in Il Regno di Napoli nell’età di Filippo IV (1621-1665), a cura di A. Musi e G. Brancaccio (Milano, 2014). Paola Zito [email protected] Docente di discipline del libro e del documento presso il Dipartimento di Lettere e Beni Culturali della Seconda Università degli Studi di Napoli. Da oltre trent’anni si occupa di storia del libro e dell’editoria di antico regime, con particolare attenzione al rapporto tra produzione libraria ereticale e censura: al riguardo è autrice di varie monograie, tra cui si segnalano Granelli di senapa all’Indice (Pisa-Roma, 2008) e L’esagono imperfetto (Pisa-Roma, 2012). Nella sua sfera di ricerca rientra, fra l’altro, l’impatto del paratesto librario sulla complessa fenomenologia della lettura in età moderna. 277 INDICE DEI NOMI Sovrani, regine, regine consorti e titolari di Stato, principi e principesse di case reali sono riportati nell’indice secondo il nome di battesimo. Acton, H., VII Acton, John Francis Edward, 22, 157 Afferri, Giuseppe, 67 Ago, R., 16, 169 Aguado, Francisco, 83 Aguiari, Lucrezia, 66 Ajello, R., 30, 102, 111, 114, 123, 128, 149, 222 al-Miknāsī Muhammad ibn Uthmān, 203 Alberto di Borbone, principe di Napoli e Sicilia, 253 Albrech, Johann Friedrich Ernst, 181, 185 Alcalá Zamora, J., 82 Alieri, F., 83 Alfonso V, detto il Magnanimo, re d’Aragona e di Napoli, 107, 135 Alfonzetti, B., 154 Aliaga, Luís, 83 Algarotti, Francesco, 35 Alphen, Eusebius, 211 Àlvarez-Ossorio Alvariño, A., 137 Ammirato, Scipione, VI Andreini, Giovanni Battista, 146 Andria, M., 173, 175, 176, 184 Andries, L., 169 Andùjar Castillo, F., 137, 138, 139 Angelini, Costanzo, 208, 222-223, 240 Anna Stuart, regina d’Inghilterra, 14, 23 Antoni, A., 202, 204 Antonino, B., 168 Antonio Pasquale di Borbone, principe di Napoli e Sicilia, 251 Aquilar, Vincenzo, conte di, 56 Arcangeli, L., 15, 16 Ardito, C., 147 Arena, F., 26 Ariosto, Ludovico, 179 280 Indice dei nomi Indice dei nomi Arizzoli-Clémentel, P., 208 Arouet, François-Marie vedi Voltaire Arrighetti, G., 202 Artola, M., 139 Ascarelli, A., 63 Assante, F., 98 Astigarraga, J., 142 Augusto I Wettin, re di Polonia, II duca di Sassonia, 24 Bacon, Francis, 177 Badinter, E., 26 Baillio, J., 220 Baker, C., 211 Balbi, Lorenzo, 211 Banchi, Cosimo, 60 Banti, Brigida, Barbara di Braganza, regina di Spagna, 20, 22, 24 Barbier, F., 172 Barbieri, Niccolò, 146 Bardellino, Pietro, 225 Basedow, Johann Bernhard, 187, 189 Bassi, D., 198 Bassi, Pietro, 152 Basso Bassi, Giambattista, 66 Baumgart, Wolfgang, 181 Baumgärtel, B., 218, 231, 232 Baumgartner, E. M., VII, 208 Beccadelli, Giuseppe, marchese della Sambuca, 204 Beccari, Filippo, 60 Beccaria, Cesare, 34 Becker, Wilhelm Gottfried, 182 Belenguer, E., 82 Bellavitis, A., 30, 31, 38 Beltrán Moya, J. L., 82 Bély, L., VIII, 19 Benaiteau, M., 12, 41 Bencini, Antonio, 211 Benigni, Giuseppe, 66 Benigno, F., 38, 39 Benito García, P., 214 Bertagna, M. I., 202 Bertati, Giovanni, 161-162 Berthier, Louis Alexandre, 201 Bertuch, Friedrich Justin, 167 Bianchi, Francesco, 152 Biancolini, D., 220 Bibiena, Antonio, 58 Bile, U., 216 Bireley, R., 82 Biskup, T., 19 Bled, J.-P., 79 Blom, H., 170 Boccaccio, Giovanni, 179 Bohatta H., 190 Bollème, G., 169 Bologna, F., 231, 256 Bonaparte, Carlotta, 256 Bonaparte, Zenaide, 256 Bonito, Giuseppe, 214-217, 230, 244, 251 Botta, Carlo, 29 Bourin, H., 210 Boutier, J., 92 Brambilla, E., 5, 6, 7, 11, 33 Bretzner, Christoph Friedrich, 182, 185 Brevetti, G., VII, 224, 229 Bridenthal, R., 9 Brilliant, R., 205 Broggio, P., 82, 83 Bucquoi, Maria Theresia von, contessa, 220 Buganza, Giovanni Battista, 58 Burattelli, C., 146 Burgada, G., 175 Burke, P., 5, 12 Cabré, J., 230 Cafiero, M., 19 Caio Giulio Cesare, 201 Caira Lumetti, R., 161 Calvi, G., 4, 6, 8, 9, 10, 11, 13, 18, 19, 20, 31, 84 Cammarano, Giuseppe, 228, 232 281 282 Indice dei nomi Campbell Orr, C.,19, 20, 24, 26, 84 Campe, Johann Heinrich, 182, 185, 189 Campolongo, Emanuele, 90 Cancellieri, Gennaro, 78 Cancila, O., 141 Cannelli, C., 228 Cantilena, R., 199 Cantone, G., 156 Cantù, C., 78 Cantù, F., 19, 21 Capasso, M., 198, 202, 204 Capece Galeota, Nicola, 76 Capece Zurlo, Giuseppe Maria, 87 Capobianco, G. F., 126, 128 Capobianco, L., 4, 9 Capone, Pietro, 66-67 Capriglione, J., 226 Caputi, A., 222 Caraccioli, Louis Antoine de, 188 Caracciolo, Domenico, marchese, 135, 149, 162, 201 Carafa Cantelmo Stuart, Gennaro, principe di Roccella, 217 Carafa, Diomede, conte di Maddaloni, VI Carafa, Giulia, duchessa di Cassano Serra, 217 Carl August von Sachsen-Weimar-Eisenach, duca, 218 Carlo d’Angiò, re di Napoli, 106 Carlo II d’Asburgo, re di Spagna, 23, 25, 84, 107, 137 Carlo IV di Borbone, re di Spagna, 215, 251-252 Carlo V d’Asburgo, imperatore, 28, 107, 137 Carlo di Borbone, VII re di Napoli, III re di Spagna, 22, 28, 76, 78, 84-85, 102-105, 114, 117, 122, 136, 139-142, 146, 148, 198-201, 213-217, 224, 230, 251-252 Carlo Felice di Savoia, re di Sardegna, 220 Carlo Tito di Borbone, duca di Calabria, 213, 230 Carlone, Carlo, 267 Carolina Brandeburgo-Ansbach, regina d’Inghilterra, 23 Carolina Matilde di Hannover, regina di Danimarca, 20 Carolina Murat vedi Maria Carolina Bonaparte Casaccia, Antonio, 63, 154, 161 Casaccia, Filippo, 63 Casaccia, Giuseppe, 63 Indice dei nomi Casanova, C., VI, 15, 17-18, 21, 84 Casti, Giovanni Battista, 60 Caterina I, imperatrice di Russia, 24 Caterina II, imperatrice di Russia, 20, 24, 35 Cattaneo, Domenico, principe di San Nicandro, 252 Causa, R., 209, 220, 222, 225, 226, 229, 232, 250 Causa Picone, M., 229 Cavallo, G., 168 Cavanna, A., 102, 127, 128 Cazzaniga, G. M., 91 Cecchini, Pier Maria, 146 Cecere, I., 209, 229 Celano, Carlo, 87 Cereseto, G. B., 204 Cernigliaro, A., 102, 111 Cerulli, Domenico, 93-96 Chacón, F., 81 Chartier, R., 168, 169, 170 Chemotti, S., 26, 29 Chiari, Pietro, 34 Chiosi, E., 92, 132 Chiurlia, Eleonora, contessa di Lizzaniello, 221 Chodowiecki, Daniel Nikolaus, 181 Christian-Jaque, 209 Christiane Eberhardine Brandeburgo-Bayruth, duchessa di Sassonia, 24 Cianciulli, M., 128, 131, 135 Cicognani, Giuseppe, 58 Cimarosa, Domenico, 147, 149, 153, 160-162 Ciofi, R., VIII, 173, 208, 215, 218, 222, 225, 226, 229, 250, 253 Circello, Carlo, marchese di Somma, 45, 162 Cirillo, Domenico, 91 Cirillo, G., VII, 100, 101, 103, 110, 124, 125, 126, 127, 129, 132, 133, 140, 141 Cirillo Giuseppe, 91 Claudius, Gottfried Christoph, 185 Cocenti, Domenico, 90 Cocozza, V., 93 Colle, E., 227 Colletta, Pietro, 30, 212 Collin, F., 4, 9, 32 283 284 Indice dei nomi Indice dei nomi Colloca, Marcello, 208 Coltellini, Celeste, 157 Colturato, A., 66 Columbro, M., 147 Condorcet, de Caritat Nicolas, marchese di, 35, 36, 177 Conte Corti, E. C., 45, 87, 149, 155, 164, 261, 266, 268 Contessa, Johann Jakob, 190, 195 Contini, A., 19 Coppola, Soia, 208 Corder, Louis-Charles-Auguste, 221 Cornelio, Tommaso, 128 Correa Ballester, J., 137, 139 Cortés Peña, A. L., 82 Cosandey, F., 19, 20, 23, 27, 31 Cosimo de’ Medici, 227 Cotticelli, F., VII, 63, 147, 148, 152, 154, 156, 161 Cramer, Karl Gottlieb, 185, 189 Cranz, August Friedrich, 187 Criscuolo, V., 85 Cristiano VII, re di Danimarca, 20 Croce, B., 45, 62, 63, 147, 149, 167, 175, 176, 182, 183, 189, 190, 192, 209 Crumpe-Casnabet, M., 35, 36 Crusius, Siegfried Lebrecht, 183 Cumming, Dorothy, 209 Cuoco, Vincenzo, 29 Cusumano, N., 89 D’Amelia, M., 19, 26 Damiani Brigonzi, Giuseppe, 60 D’Andrea, F., 128 d’Aquino, Francesco Maria Venanzio, principe di Caramanico, 201 Dauphin, C., 9 d’Auria, E., 146 D’Avenia, F., 141 Davis, W., 76 D’Ayala, M., 205 D’Cruze, S., 6, 12, 16 de Alcubierre, Rocque Joaquin, 197, 200 de Amicis, Anna, 48 De Angelis, Desiderio, 227, 242 de Boysson, B., 208 De Certeau, M., 179 De Cosmi, Giovanni Agostino, 90 De Filippis, F., 63, 147, 174 de Fonseca Pimentel, Eleonora, 29 Delannoy, Jean, 208 Delattre, D., 202 Del Bagno, I., 113 del Carmen Alonso Rodríguez, M., 199, 200 Delcourt, T., 169 Delico, Melchiorre, 35 Delille, G., 136 De Lillo, Antonietta, 209 Del Mastro, Gianluca, VII del Moro, Giuseppe, 59 del Pezzo, Nicola, 63 Del Pozzo, L., 87 del Rosso, Zanobi Filippo, 61 De Maio, R., 81 De Marco, Carlo, 159 Demarco, D., 98 de Martini, V., VII, 218, 250, 251, 252, 256 de’ Medici, Luigi, 202 de Mezzo, Pietro, 58 Demme, Hermann Christoph Godfried, 186, 189 De Nitto, G., 173, 174 de Paula von Lamberg-Sprinzenstein, Anton, 94 d’Epinay, Louise, 154 Derrida, J., 8 de Seta, C., 232 De Simone, Gaetano, 217 Detti, T., 9 Di Cori, P., 5 Di Dato, G., 147 Dieterich, Johann Christian, 191 Di Falco, A., 108 Di Gennaro, Domenico, conte di Cantalupo, 131 di Majo, I., 215, 218, 227, 250, 253 Doria, G., 231, 256 Dotoli, G., 169, 171 285 286 Indice dei nomi Drury Boleslavsky, Norma, 209 Dubet, A., 137, 138, 139, 142 Duby, G., 4, 11, 12, 14, 35, 36, 38 Duindam, J., 18 Dunst, Kirsten, 208 Dupré, Eleonora, 156 Durach, Johann Baptist, 186 Duranti, Pietro, 214, 237 Dyk, Johann Gottfried, 183, 191 Eckhartshausen, Karl von, 185 Ehrmann, Theophil Friedrich, 188 Eleonora di Neuburg, imperatrice, 26, 28 Elisabeth Wilhelmine von Württemberg, arciduchessa d’Austria, 149 Elisabetta Farnese, regina di Spagna, 20-21, 24, 28, 232 Elisabetta I Tudor, regina d’Inghilterra, 14, 35 Elliot, Hugh, 202 Engel, Johann Jakob, 186 Enrico, Robert, 208 Erler, M. C., 31 Esposito, M., 156 Essich, Johann Georg, 188 Esterhazy, Franz, 157 Eugenia de Montijo, imperatrice di Francia, 37 Fabian, B., 171 Fabiani, Michele, 157 Fabris, Elena, 67 Fabris, Luca, 66-67 Fago, Pasquale, 65 Fanzago, Cosimo, 65 Farge, A., 4, 9 Fassina, M., 80 Fazio, I., 5, 7, 9, 12, 13 Federico II, re di Prussia, 18 Federico II di Svevia, imperatore, 106, 109 Fenzi, Filippo, 51 Ferdinando d’Asburgo-Este, arciduca, 53-54 Ferdinando III d’Asburgo-Lorena, granduca di Toscana, 227 Indice dei nomi Ferdinando di Borbone, IV re di Napoli e I delle Due Sicilie, 20, 28, 49, 53, 68-69, 76, 80, 89, 97, 103, 105, 117, 122, 136, 142, 148, 150, 159161, 164, 173, 175-176, 198-205, 209, 212-217, 224-225, 229-234, 244-246, 249-256, 262 Ferlan, C., 83 Ferrante, L., 14, 16 Ferrone, S., 146 Ferrone, V., 32, 37, 41, 91, 101 Fichte, Johann Gottlieb, 177 Filangieri, Gaetano, 90-91, 112, 132 Filippi Pepe, Francesco, 92 Filippini, N. M., 26 Filippini, O., 82 Filippo II d’Asburgo, re di Spagna, V, 107 Filippo III d’Asburgo, re di Spagna, 21, 83 Filippo IV d’Asburgo, re di Spagna, 82-83, 107 Filippo di Borbone, duca di Parma, 22 Filippo V di Borbone, re di Spagna, 22-23, 28, 103, 136-138, 141, 210 Filippo Pasquale di Borbone, principe di Napoli e Sicilia, 251 Filodemo di Gadara, 201 Finamore, G., 87 Findlen, P., 33 Finocchietti di Foulon, Giuseppe Ranieri, conte, 47-48, 50 Fiore, A., 147 Fiorelli, Giuseppe, 201 Fiorelli, V., 88 Fiorillo, Silvio, 146 Fischer, Christian August, 188 Fischetti, Fedele, 225 Fittipaldi, T., 222 Fiume, G., 26 Formica, M., 154 Foscari, G., 127 Fouquet, C., 26 Fraccia, Giovanni, 201 Fragnito, G., 82 Fraisse, G., 30 Francesco I d’Asburgo-Lorena, imperatore, 148-149, 227, 233, 265, 267 Francesco I di Borbone, re delle due Sicilie, 218, 223, 230-231, 233, 255 Francesco Saverio di Borbone, principe di Napoli e Sicilia, 251 287 288 Indice dei nomi Francesco Stefano di Lorena, imperatore, granduca di Toscana, 28, 210 Franchi, Simone, 92 Franchi dell’Orto, L., 205 Franciolini, Gianni, 209 Francovich, C., 91 Frugoni, A., 79 Fuga, Ferdinando, 200 Füger, Heinrich Friedrich, 197, 205-206, 226, 228 Funke, Philip, 177 Furet, F., 37 Gabriele di Borbone, principe di Napoli e Sicilia, 251 Gabrielli, Caterina, 48-49 Gabrielli, E., 220 Gaglione, M., 17 Gainsborough, Thomas, 231 Galasso, G., 10, 14, 17, 91, 102, 105, 107, 127, 132, 141, 226 Galeari, Fabrizio vedi Gallari, Fabrizio Galeari, Gaspare vedi Gallari, Gaspare Galiani, Ferdinando, 154 Gallari, Fabrizio, 47 Gallari, Gaspare, 47 Gallo, Marzio Mastrilli, marchese di, 45, 162 García-Frías Checa, C., 214, 217 García García, B. J., 83, 137 García Trobat, P., 137, 139 Garnier-Pelle, N., 223 Garve, Christian, 187 Gassmann, Florian, 55 Genette, G., 168 Genovesi, Antonio, 91, 98-105, 122, 130-134, 136, 142 Gerning, Johann Isaac von, 173, 175 Gérard, François, 256 Gersiner, incisore, 181 Gervasio, Agostino, 77-78 Gialdroni, G., 150 Giannattasio, Mario, 45 Gianturco, C., 45 Giard, L., 82 Giarrizzo, G., 90, 91, 123 Indice dei nomi Gigante, M., 198, 201, 206 Gioacchino Murat, re di Napoli, 37, 256, 265 Giorgio II di Hannover, re d’Inghilterra, 23 Giovanna I d’Angiò, regina di Napoli, 107 Girelli, Antonia, 58 Gisi, L. M., 172 Giuffrida, A., 141 Giulia Clery, regina di Napoli, 256 Giuliana Maria Brunswick-Lüneburg, regina di Danimarca, 20 Giuseppe I d’Asburgo, imperatore, 26, 28 Giuseppe II d’Asburgo-Lorena, imperatore, 70, 78, 199-200 Giuseppe Carlo di Borbone, principe di Napoli e Sicilia, 231-232 Giusti, P., 224 Giustiniani, Lorenzo, 88, 93 Gleich, Joseph Alois, 187 Godineau, D., 34, 35, 36, 40, 41 Goethe, Johann Wolfgang von, 179, 188, 189, 227, 229, 253-255 Goldoni, Carlo, 152 Goldsmith, Oliver, 179 Gómez Rivero, Ricardo, 84 Gonzáles Encisoy, A., 137 González Antón, L., 139 González-Palacios, A., 220, 222, 229, 230 Goodman, D., 33 Goodmann, K. R., 181 Gorani, Giuseppe, 29 Gorgone, G., 228 Göschen, Georg Joachim, 183, 191 Gottecher, Tommaso, 86 Gottsmann, Andreas, VIII Gozzi, Gaspare, 179 Gräff, Heinrich, 181, 183, 190 Granier-Deferre, Pierre, 208 Greco, F. C., 147, 156 Gregori, M., 216 Grendler, Paul F., 169 Groppi, A., 7 Grossatesta, Gaetano, 67 Grosse, Karl von, 182, 185, 190, 195 Grossi, P., 102 289 290 Indice dei nomi Indice dei nomi Guadagni, Gaetano, 47-48 Guarini, L., 81 Guasti, N., 104 Guerra Medici, M. T., 24, 31, 37 Guglielmina di Brunswick-Lüneburg, imperatrice, 26 Guibal, Nicolas, 205 Guidobaldi, M. P., 206 Guillamón Álvarez, F.J., 137 Guitry, Sacha, 208 Gürther, Anton Bernhard, 75-80, 85-94, 96 Gurtler, Giuseppe, 89 Haase-Dubosc, D., 30 Habermas, J., 30, 37-38 Hackert, Jakob Philipp, 227, 232-234, 245, 254-255 Hadamowsky, F., 163 Hadrava, Norbert, 150 Hall, Daniel, 179 Haller, Richard, 83 Hamilton, Emma, 45, 201, 209, 222, 253-254 Hamilton, William Douglas, 94, 199, 201, 254 Hanham, A., 24 Hardenberg, Georg Friedrich Philip vedi Novalis Hart, Emma vedi Hamilton, Emma Hartknoch, Johann Friedrich, 183 Hasse, Johann Adolf, 49 Hauptman, W., 211 Hausmann, F., 149, 261, 262 Hayter, John, 202-203 Heffron, Richard T., 208 Heinse, Gottlob Heinrich, 181, 185 Helfert, Joseph Alexander von, 45 Helvétius, Claude-Audrien, 35-36 Herder, Johann Gottfried, 179, 186 Herzelles, Christine Trazegnies, marchesa di, 78 Hickel, Joseph, 218, 256 Hildebrandt, Johann Lucas, 171, 267 Hoffmann, Benjamin Gottlob, 183, 191 Holzmann, M., 190, 191 Howell, M., 31 Huber, Ludwig Ferdinand, 187 Hughes, L., 24 Hume, David, 177 Iacenna, Geremia, 221 Iachello, E., 216 Ifland, August Wilhelm, 182, 185 Ingrao, C. W., 26 Ingres, Jean Auguste Dominique, 223-224, 241 Innocenzo X, papa, 19 Isabella I, regina di Castiglia, V Isabella di Borbone-Parma, imperatrice consorte, 78 Izzo, M., 216, 225 Jacobäer, Friedrich Gotthold, 183 Jacobson Schutte, A., 5, 6, 7, 11, 33 Jacquot, Benoît, 208 Jallut, M., 210 Jannidis, Fotis, 172 Jarvis, S. C., 181 Jaurès, Jean, 35 Joli, Antonio, 66 Jommelli, Niccolò, 67, 152 Jordán de Urríes y de la Colina, J., 214, 217 Juan José de Austria, 83 Julia, D., 168 Jünger, Johann Friedrich, 187 Juratic, S., 172 Kamen, H., 139 Kant, Immanuel, 177 Kauffmann, Angelika, 218, 231-232, 234, 245, 253, 255, 259, 264 Kaunitz, Ernst von, conte, 68-69, 73 Kaunitz-Rietberg, Wenzel Anton von, 199 Keil, R., 211, 221 Kelly-Gadol, J., 9, 16, 33 Kirshner, J., 4 Kleist, Heinrich von, 179 Knibiehler, Y., 26 Kniep, Christoph Heinrich, 229, 243 291 292 Indice dei nomi Indice dei nomi Knight, C., 199, 252 Koonz, C., 9 Korda, Alexander, 209 Korn, Wilhelm Gottlieb, 190-191 Koselleck, R., 37 Kotzebue, August von, 173, 175, 182, 185, 189, 192 Kowalesky, M., 31 Kruger, Diane, 208 Krüger, Renate, 181 Kümmer, Paul Gotthelf, 174, 183, 191 Küpper, Peter, 181 Lacour, Louis, 178 Lacour-Gayet, M., 45, 149 Lafontaine, August Henri Julien, 186, 189 La Fontaine, Jean de, 168 Lambardi, Francesco, 60 Lancellotti, Carmine, 28 Landes, J. B., 30, 32, 34, 38, 39, 40 Landini, Camillo, 220, 253, 259 Landoli, D., 146, 229 Lang, P., 220 La Rocca, M. C., 26, 29 La Roche, Sophie von, 181 Lascaris, Giorgio, 62 Lauer, G., 172 La Vega, Francesco, 199-200 La Vega, Pietro, 199, 203 Leclerc, M. D., 170 Leclercq, Charles, 219 Leesenberg-Hartrotte, A., 209 Lemoine-Bouchard, N., 223 Lemos, Pedro Fernández de Castro y Andrade, II conte di, 114, 127 Lemper, Ute, 208 Leone de Castris, P., 226 Leonetti, S., 173 Leopoldo I d’Asburgo, imperatore, 25-26, 28 Leopoldo II d’Asburgo-Lorena, granduca di Toscana, imperatore, 55, 61, 148-149, 163, 255 Leopoldo di Borbone, principe di Salerno, 234, 262, 265 Le Picq, Charles, 152 Lerchenfeld, Adele von, 54, 174 Lerma, Francisco Gómez de Sandoval y Rojas, duca di, 83 Lessing, Gotthold Ephraim, 182, 188-189 Liani, Francesco, 216-221, 238, 251 Liotard, Jean-Étienne, 211, 223, 236, 250 Lloyd, Frank, 209 Locke, John, 177 Lomonaco, Francesco, 29 Longano, Francesco, 88 Longo Auricchio, F., 198, 202, 203 Loop, Jaan, 172 López Arandia, M. A., 82, 84 López-Cordón Cortezo, M. V., 21 López Díaz, M., 138 Lorenzi, Giovanni Battista, 63, 161 Lozano Navarro, J. J., 82, 83 Lucchini, Antonio Maria, 152 Lucio Calpurnio Pisone Cesonino, 201 Luigi IX, re di Francia, 21 Luigi XIV di Borbone, re di Francia, 24 Luigi XV di Borbone, re di Francia, 23, 212 Luigi XVI di Borbone, re di Francia, 157, 178, 212, 250 Luise, F., 90 Luna Fernández, J. J., 215 Lyons, Emma vedi Hamilton, Emma Mafrici, M., 17, 21, 22, 28, 29, 99, 149, 209 Maidalchini, Olimpia, 19 Maintenon, Françoise d’Aubigné, madame de, 24 Maione, P., VII, 45, 63, 147, 152, 154, 156, 161 Mandrou, R., 169 Mangini, M., 63 Mangione, D., 172 Manguel, A., 169 Manno, Antonio, 221, 234, 246 Maraçal Lourenço, M. P., 20 Marandel, J., 221, 231, 232 Marconi, Lara, 208 Margherita d’Austria, regina di Spagna, 21, 83 293 294 Indice dei nomi Margherita di Provenza, regina di Francia, 21 Maria Amalia di Borbone, regina di Francia, 231-232, 235, 247, 262 Maria Amalia Wettin, regina di Napoli, regina di Spagna, 22, 28, 46, 85, 197, 209, 216-217, 251-252 Maria Anna d’Asburgo, regina di Portogallo, 85 Maria Anna di Borbone, principessa di Napoli e Sicilia, 230 Maria Antonia di Borbone, principessa delle Asturie, 262-263 Maria Antonietta d’Asburgo-Lorena, regina di Francia, VI, 29, 178, 207212, 219-221, 234-236, 239, 250, 258, 262 Maria Carolina Bonaparte, regina di Napoli, 37, 174, 223, 241, 256 Maria Carolina d’Asburgo-Lorena, regina di Napoli e Sicilia, I, VI-VIII, 20, 22, 28-29, 43, 45-46, 49-51, 53-58, 64-69, 75-80, 85-86, 89-94, 97, 145, 148-150, 159, 163, 167, 173-178, 182, 184-185, 189-193, 198205, 207-247, 249-256, 259, 261-270 Maria Clementina d’Asburgo-Lorena, arciduchessa d’Austria, 218, 255256, 259 Maria Cristina d’Asburgo-Lorena, duchessa di Teschen, 264 Maria Cristina di Borbone, regina di Sardegna, VII, 220, 231, 233, 262 Maria Cristina di Savoia, regina delle Due Sicilie, 209 Maria de’ Medici, regina di Francia, 22 Maria Francesca Isabella di Savoia, regina di Portogallo, 84 Maria Giuseppa d’Asburgo-Lorena, arciduchessa d’Austria, 47, 49, 215, 250 Maria Giuseppina di Borbone, infanta di Spagna, 251-252, 258 Maria Leczinska, regina di Francia, 23 Maria Ludovica d’Asburgo-Este, imperatrice consorte, 265 Maria Ludovica di Borbone, imperatrice consorte, 255 Maria Luisa d’Asburgo-Lorena, imperatrice di Francia, 37 Maria Luisa di Borbone, imperatrice consorte, 227-228, 230-233 Maria Luisa di Borbone, regina di Spagna, 215, 251-252, 259 Maria Luisa di Savoia, regina di Spagna, 23 Marianna di Neuburg, regina di Spagna, 22 Maria Soia di Neuburg, regina di Portogallo, 84 Maria Soia Wittelsbach, regina delle Due Sicilie, 209 Maria Teresa d’Asburgo, imperatrice, VI-VII, 23, 28, 35, 43, 49, 76-79, 87, 145, 173, 198-200, 205, 207, 210-212, 232, 253, 261, 264, 267 Maria Teresa d’Asburgo, infanta di Spagna, imperatrice consorte, 25 Maria Teresa di Borbone, imperatrice consorte, 148-151, 227-228, 230233, 244 Marin, B., 92 Marino, J. A., 110 Indice dei nomi Marino, M., 147 Mariveaux, Pierre de, 179 Markovits, R., 154 Marques, J. F., 82 Marsigli, Carlo, 230, 244 Marsigli, Filippo, 223, 241, 256-257 Martelli, S., 99, 229 Martin, H.-J., 170 Martin, L., 181 Martin, Pierre Edmond, 256 Martinelli, Tristano, 146 Martínez Millán, J., 20, 81, 83, 84 Martino, L., 223 Martorelli, Luisa, 208 Marx, Karl, 37 Mascilli Migliorini, L., VIII Masse, I., 169 Matthews-Greco, S. F., 16 Mattusch, C., 204, 206 Maurer, Friedrich, 191 Mauro, I., 84 Mautone, T., 147 Mazzacane, A., 128 Mazzocca, F., 220, 227 Mc Donald, Audrey, 209 Medina, Maria, 162 Meier, A., 182 Meier, H. J., 181 Meiners, Christoph, 187, 189 Meißner, August Gottlieb, 186 Meister der Erzherzoginnenportraits, 212 Meister, Leonhard, 186 Melchionne, M., 147 Mellace, R., 49 Melzi, G., 90 Mengs, Anton Raphael, 205, 214-217, 226, 237-238, 249, 251-252, 258-259 Mericoffe, Charles, 157 Merlotti, Andrea, 66 Messberger, R., 33, 34, 35 Metastasio, Trapassi Pietro, detto, 44, 49, 58, 149, 156, 160-161 295 296 Indice dei nomi Indice dei nomi Miccione, Giovanni, 252 Michel Angelo da Rossiglione, 85 Michelangelo di San Francesco, 79 Mienci, Daniella, 58 Migazzi, Cristoforo, 77 Milone, Isabella, 79 Milton, John, 179 Mincuzzi, R., 76, 77 Minois, G., 81 Misiti, M. C., 173 Monanni, Angelo, detto Manzuolino, 66-67 Mondoli Bossarelli, A., 45 Monroe, Marilyn, 208 Montalegre, José Joaquín, marchese di Salas, 22 Montesquieu, Charles-Louis de Secondat, barone di, 177 Morandotti, A., 227 Morán Turina, M., 232 More, Thomas, 153 Morelli, F., 142 Morelli, Maddalena, 59 Morgan, Michèle, 208 Moritz, Karl Philip, 180, 188, 191 Mormone, R., 222 Morton, A., 46 Moser, Friedrich Karl, 187 Motta, R., 206 Müller, Heinrich, 181 Müller, Johann Gottwerth, 182, 185 Müller, Josef, 222 Münch, Johann Gottlieb, 188 Muñoz Fernández, A., 21 Muñoz Rodriguez, J. D., 137 Münst, Nilo, 85-86 Münter, Friedrick, 91 Muratori, Ludovico Antonio, 130 Murgia, G., 81 Musi, A., 8, 14, 88, 101, 126 Musolino, G., 216 Muzii, R., 222 Mysliweček, Joseph, 152 Napoleone I Bonaparte, imperatore di Francia, 37, 264-267 Napoleone III Bonaparte, imperatore di Francia, 37 Napoli, C., 224 Napoli Signorelli, Pietro, 154 Naubert Hebenstreit, Christiane Benedikte Eugenie, 181, 185, 189-190, 193 Negredo del Cerro, F., 82 Nelson, Horatio, 201, 209, 253-254 Niemeyer, August Hermann, 186 Nithard, Johann Eberhard, 83 Nitsch, Paul Friedrich Achatius, 186 Nobile, E., 175 Noel, C. C., 24 Nordhoff, C., 232 Normante y Carcavilla, Lorenzo, 104 Noto, M. A., 88 Novalis, 179 Novelli Radice, M., 218 Novi Chavarria, E., VII, 11, 17, 79, 81, 88, 90 Novo Zaballos, J. R., 83 Olivares, Guzmán y Pimentel Gaspar, conte-duca di, 82-83 Ortiz, M., 175 Oudot, Nicolas, 169, 177, 180 Paganini Beccari, Elena, 60 Pagano, Mario, 91 Pagano, M., 199, 200 Pahl, Johann Gottfried von, 189 Paisiello, Giovanni, 63, 66, 153, 157, 160-161, 164 Palazzi, M., 6, 7, 10, 12, 14, 16 Palermo, D., 141 Pálffy, Karl, 265 Palma, N., 92 Palmieri, Giuseppe, 116-117, 131-132, 135 Palmieri, P., 79 Palomba, Giuseppe, 153 Pancheri, R., 226 Panichi, N.,170 Pannuti, U., 198 Paoli, M. P., 92, 168 297 298 Indice dei nomi Indice dei nomi Papagna, E., 85, 93, 141 Pappe, B., 223 Parinet, E., 169 Parini, Giuseppe, 179 Paullain de la Barre, François, 36 Pazzaglia, Salvatore, 60 Pedicini, Luciano, 208, 237, 240, 245 Pelizzari, M. R., 8, 12, 29, 99 Perin-Salbreux, Lié Louis, 220, 253 Perrot, M., 4, 11, 12, 14, 35, 36, 38 Pession, Gabriella, 209 Petrarca, C., 147 Petrelli, F., 225 Petrenga, G., 226 Petrucci, A., 168 Petrucci, F., 251, 252 Peyronel, S., 15, 16 Pezzl, Johann, 182, 185, 189 Piaggio, Antonio, 198, 203-205 Piccinelli, G. M., 140 Piccinelli Vezian, Maria, 50, 58 Piccinni, Nicolò, 160 Pietro III d’Aragona, re d’Aragona e di Sicilia, 107 Pietro degli Onofri, 79 Pietro Romanov, zar di Russia, detto il Grande, 24, 92 Pilati, R., 102 Pisani, M., 217, 221, 234 Placanica, A., 99, 135 Platone, 204, 206 Plebani, T., 7, 33 Poirier, Roger, 172 Pomata, G., 12, 14, 16, 38 Pompadour, Jeanne Antoinette Poisson, madame de, 24, 170 Pontano, Giovanni, VI Poppe, G., 152 Poppea, 29 Porciani, I., 6, 7, 10, 12 Portillo, J. M., 142 Porzio, A., 176, 199, 226, 228, 229 Postigliola, A., 146 Potenza, Pasquale, 58 Poutrin, I., 19, 21, 83, 84 Prévost, Antoine François, 179 Prota-Giurleo, U., 147 Puggioni, R., 148 Pütter, Johann Stephan, 188 Raaff, Anton, 66 Radicchi, P., 45 Raff, Georg Christian, 187 Rao, A., 22, 91, 92, 99, 101, 114, 117, 123, 131, 135 Rapp, Andreas, 172 Rebmann, Andreas Georg Friedrich, 182, 185 Recca, C., 28, 29, 45, 76, 79, 80, 91, 149, 150, 151, 152, 176 Redín Michaud, G., 230 Reinsperger, Johann Christoph, 211 Remer, Julius Augustus, 187 Renata di Valois, duchessa di Ferrara, 20 Renée Baernstein, P., 11 Reynolds, Joshua, 231 Ribaldi, Giuseppe vedi Tibaldi, Giuseppe Rice, J. A., 149, 150, 163 Rich, A. C., 26 Richter, Johann Paul Friderich, 182, 186 Riha, Karl, 181 Ricuperati, G., 14, 32, 33, 123 Rivero Rodríguez, M., 81, 83 Rocco, Gregorio, 79 Rocco, L., 217 Roche, D., 32, 37, 41 Rochlitz, Friedrich, 188, 189 Romano, A., 92 Romano, A. M., 228 Romano, A. S., 78 Romeo, R., 81, 132, 226 Romney, George, 254 Rosa, Mario, 77 Rosa, Salvatore, 216 Rosini, Carlo Maria, 199, 202-203 299 300 Indice dei nomi Indice dei nomi Rossi, Domenico, 152 Rossi, Joseph, 266-267, 271 Rossi, P., 175 Roth, Cecilia, 209 Röttgen, S., 209, 214, 216, 217, 230, 250 Rousseau, Jean Jacques, 35-36, 177, 179, 187, 189, 263, 269 Ruffo, Fabrizio, 164, 265 Ruiz Gómez, L., 215 Ruiz Ibáñez, J. J., 142 Rurale, F., 81, 83 Rusconi, R., 11 Russo, C., 10, 17 Russo, F. P., 156, 160 Sacchini, Antonio, 67 Sala Di Felice, E., 44, 148, 161 Saliceti, A., 92 Salmon, X., 208, 210, 219, 220 Salomoni, Giuseppe, 66 Salzmann, Christian Gottholf, 187 Sánchez, M. S., 83 Sanfelice, Luisa, 209 Sannia Nowé, L., 148 Sanseverino, Filippo, 89 Santa Elisabetta, Antonio Montaperti e Massa, duca di, 53, 55 Santoro, M., 168, 171 Sanz-Pastor, C., 230 Sarnelli Cerqua, C., 203 Sartori, C., 56, 58, 63, 67, 152 Saurer, E., 30, 34 Sauvy, A., 172 Scala, Flaminio, 146 Scarabelli, L., 204 Schaub, M. K., 21 Schiller, Friedrich, 179 Schilling, Friedrich Gustav, 187 Schipa, M., 149 Schlenkert, Friedrich Christian, 186 Schreiber, Alois Wilhelm, 186 Schubart, Albrecht Ludwig, 194 Schubert, incisore e disegnatore, 181 Schulz, Christian, 186, 189 Schulz, Friedrich, 188 Schulz, Johann Christoph Friedrich, 186 Schuster, Joseph, 152 Schwaldopler, Johann, 194 Schwarz, S., 146 Schweickle, Konrad Heinrich, 256 Schwickert, Engelhar Benjamin, 183 Scott, J. W., 5, 6, 8, 12, 13, 15 Scotti, Antonio, 175 Seidel, Gottlieb, 186, 190 Seller, F., 152, 156 Seratti, Francesco, 202, 203 Serrano Martín, E., 82 Severin, Friedrich, 183 Seymour, Jane, 208 Shakespeare, William, 179 Shearer, Norma, 208 Sigismondo da Venezia, 85 Sigu, V., 172 Simonetti, S., 114, 128, 131 Sintenis, Christoph Friedrich, 182, 185 Sivéry, G., 21 Smith, Charlotte, 181, 186, 189 Sodano, Giulio, VI Soderini, Gasparo, 80 Soia Alexandrina Romanov, 24 Solari, Tommaso, 225 Solzi, Adamo, 58 Sommer-Mathis, A., 47, 49, 146 Sotomayor, Antonio de, 82 Speciali, Gerlando, 67 Spencer, Diana, 208 Spiess, Christian Heinrich, 188 Spinelli, R., 19, 84 Spinosa, N., 216, 217, 222, 225, 230, 256 Stampa, Giovanni Giorgio, 50 Stasi, Michele, 90 Steinberg, Karl, 190, 195 301 302 Indice dei nomi Indice dei nomi Stella, P., 88 Sterkel, Giovanni Francesco, 152 Sterzinger, Joseph, 89 Stevens, M. A., 211 Stolz, Michael, 172 Stracchini, Giuseppe, 60 Strazzullo, F., 198, 204 Strnadt, Joseph, 267 Strobl, Johann Baptist, 189 Stroely, Peter Eduard, 221, 240 Suardi, Felicita, 58 Suchy, Adalbert, 223, 241 Susinno, S., 223, 227, 228 Tamussino, U., 45, 149 Tanucci, Bernardo, 22, 28, 47-48, 50, 56, 58-59, 62, 68, 76-78, 103, 111, 123-124, 135, 141, 149, 197, 199-200, 204, 213, 222 Tauber, Elisabetta, 50, 67 Taviani, Paolo, 209 Taviani, Vittorio, 209 Tavoni, M. G., 168 Terzoli, M. A., 168 Thaler, Franz, 262-263, 269 Thebaud, F., 12 Thilo, Friedrich Theophil, 188 Thomas, A. L., 26 Tibaldi, Giuseppe, 50 Tieck, Ludwig, 186 Tiepolo, Luigi, 56 Tiller, Nadja, 209 Tischbein, Johann Friedrich August, 218 Tischbein, Johann Heinrich Wilhelm, 218-219, 227-228, 233, 239, 242, 254-255 Tolstoy, Anna Ivanovna, contessa, 220 Tomás y Valiente, F., 137 Tonarelli, Lorenzo, 58 Tondo, L., 93 Tonioli, Girolamo, 161 Torcellan, G., 90 Tore, G., 81 Torres Sánchez, R., 137 Tortarolo, E., 33, 36, 39 Toschi, Giovanni, 66 Traetta, Tommaso, 58 Trampus, A., 91 Trauttmannsdorf, Ferdinand, principe, 265, 267 Travaglione, A., 204 Traversier, M., 151, 152 Tresoldi, L., 45, 76, 173 Trey, J., 208 Tufano, L., 66 Tufarelli, Matteo, 255 Úbeda de los Cobos, A., 232 Urrea Fernández, J., 217, 230 Vairo, Giuseppe, 198 Valentini, M., 80 Valerio, A., 10, 17 Valletta, Nicola, 91 Van Dyke, W. S., 208 van Loo, Louis-Michel, 210, 232 van Meytens, Martin, 210, 212, 232, 236, 250, 258 Vanvitelli, Luigi, 198 Varry, D., 172 Vaucelles, Louis de, 82 Vaulart, A., 210 Vecchi, A., 151, 153 Ventimiglia, Salvatore, 90 Venturi, F., 90, 123 Verdile, N., 150, 205 Verga, M., 100 Veroli, Giacomo, 60 Versteegen, G., 81 Viennot Rivage, E., 30 Viganò, Onorato, 162-163 Viganò, Salvatore, 162-163 Vigée Le Brun, Élisabeth Louise, 212, 218, 220, 239, 254, 256, 259, 264 Villaume, Peter, 187 Viola, C., 146 303 304 Indice dei nomi Viola, P., 256 Visceglia, M. A., VI, 16, 18, 30, 81, 84 Vittorio Amedeo II, duca di Savoia, 23 Vivant Denon, Dominique, 204 Vivenzio, Giovanni, 155 Vivenzio, Nicola, 128, 131 Volpi, Domenico, 55 Voltaire, François-Marie Arouet detto, 155, 177 Voss, editore-libraio, 183 Voss, Christian Daniel, 187 Voss, S., 152 Vovelle, M., 34, 41 Vulpius, Christian August, 182, 185 Wächter, Leoonhard, 187 Wallishauser, Johann Gottfried von, 188 Watanabe-O’Kelly, H., 24, 46 Weber, Giulia, 209 Weil, M.-H., 45, 162 Weisse, Christian Felix, 186 Weygand, editore-libraio, 183, 191 Weyland, Christoph Philip, 183 Wicar, Jean-Baptiste, 256 Wieland, Christoph Martin, 182, 187, 189 Winckelmann, Johann Joachim, 177, 205 Wobeser, Wilhelmine Caroline von, 181, 187, 189 Wunder, H., 31 Zambeccari, Giovanni, conte, 47-48, 50, 56, 58-59, 62, 68 Zarmakoupi, M., 197 Zarri, G., 6, 10, 11, 16 Zauner, Franz Anton, 263 Zemon Davis, N., 4, 5, 14, 15, 20, 31 Zinanni, A., 146 INDICE DEL VOLUME Introduzione di Giulio Sodano e Giulio Brevetti Donne e potere: la monarchia femminile nel XVIII secolo di Giulio Sodano V 3 L’ammirazione dei popoli per l’ostensione della “virtuosa” Maria Carolina (Vienna - Napoli 1768) di Paologiovanni Maione 43 Il confessore della regina di Elisa Novi Chavarria 75 I nuovi assetti istituzionali del Regno di Napoli nel periodo di Maria Carolina e di Ferdinando IV di Giuseppe Cirillo 97 Notizie teatrali e musicali nelle lettere di Maria Carolina alla iglia Maria Teresa di Francesco Cotticelli 145 Maria Carolina e la sua Blaue Bibliothek di Paola Zito 167 Maria Carolina, gli scavi e la Villa dei Papiri di Ercolano di Gianluca Del Mastro 197 Regina di quadri. L’iconograia pittorica di Maria Carolina di Giulio Brevetti 207 I gioielli napoletani alla corte di Maria Carolina di Vega de Martini 249 Ricordi della regina di Sicilia a Vienna di Eva Baumgartner 261 Gli Autori 273 Indice dei nomi 279 Graica e impaginazione angelo marrone, valeria Patti, valentina tuSa Stampa fotograPh S.r.l. - Palermo per conto di New Digital Frontiers Novembre 2016