STUDI
STORICI
RIVISTA TRIMESTRALE
DELL’ISTITUTO GRAMSCI
2
APRILE-GIUGNO 2012 ANNO 53
Carocci editore
Comitato di direzione
Francesco Barbagallo (direttore), Andrea Giardina, Luisa Mangoni, Giovanni Miccoli,
Giuseppe Petralia, Adriano Prosperi, Anna Maria Rao, Leonardo Rapone (condirettore),
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Comitato scientifico
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Bravo, Catherine Brice, Innocenzo Cervelli, Michele Ciliberto, Christopher J.H. Duggan,
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Elio Lo Cascio, Fiamma Lussana, Luigi Masella, Guido Melis, Giovanni Muto,
Claudio Natoli, Ottavia Niccoli, Gabriella Piccinni, Silvio Pons, Giuseppe Ricuperati,
María José Rodríguez-Salgado, Donald Sassoon, John Scheid, Luciano Segreto,
Francesco Somaini, Gert Sørensen, Teodoro Tagliaferri, Pierluigi Totaro, Giuseppe Vacca,
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Direttore responsabile
Francesco Barbagallo
Redazione
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Finito di stampare nell’agosto 2012 dalla Litografia Varo, San Giuliano Terme (Pisa)
Associato all’USPI – Unione stampa periodica italiana
SOMMARIO
259
La recente storiografia italiana attraverso le riviste
263
279
317
351
Arnaldo Marcone, L’antichità e il tardoantico
Maria Antonietta Visceglia, L’età moderna
Leonardo Rapone, L’età contemporanea
Rolando Minuti, Le riviste storiche «on-line»
Interventi
369
375
382
Andrea Giardina
Massimo Firpo
Francesco Benigno
Ricerche
391
421
Pietro Giammellaro, Biagio Pace e la Sicilia antica
Paola S. Salvatori, Liturgie immaginate: Giacomo Boni e la romanità
fascista
Il presente come storia
439
José Manuel Azcona, Matteo Re, Dalla guerriglia a un governo democratico in Uruguay. Come i Tupamaros sono arrivati al potere
Note critiche
461
Salvatore Minolfi, Vent’anni dopo: la «restaurazione imperfetta»
487
English Summaries
L’ETà MODERNA
Maria Antonietta Visceglia
Premessa. Lo scorso anno la Società italiana per la storia dell’età moderna (Sisem) ha avviato un importante lavoro di ricognizione delle riviste che ha avuto
poi come esito un documento conclusivo inviato all’Anvur, che ne ha tenuto
conto nell’ambito della attuale fase di «decollo» delle procedure di valutazione
della ricerca1. Non intendo entrare nel merito di questo lungo iter ma solo fare
riferimento alla prima tappa di esso, cioè all’inchiesta iniziale effettuata dalla
Sisem che offre una fotografia del panorama storiografico italiano cosí come
si è venuto configurando attraverso le riviste. Va premesso che questa prima
inchiesta non intendeva effettuare un censimento delle riviste «di storia moderna» visto che, come si chiarisce nella relazione della commissione leggibile
nel sito della società – «non esistono riviste italiane il cui titolo contenga una
dicitura specifica che permetta di riferire il periodico esclusivamente alla storia
moderna; né nelle bibliografie nazionali (Sbn, Acnp) e internazionali (Dewey)
sono in uso criteri di classificazione che prevedano la categoria «storia moderna»2 nell’accezione disciplinare. Essa piuttosto si proponeva di «includere
nella lista tutte le riviste storiche, o di altre discipline, nelle quali compaiano
contributi che presentino un diretto interesse per la ricerca a campo storicoumanistico»3. Come dire misurare attraverso le riviste il raggio entro il quale
si colloca, mantenendo aperta una prospettiva largamente interdisciplinare, la
La Commissione Sisem che ha operato sulle riviste è diretta da Guido Abbattista (Università di Trieste) e in questa fase iniziale è stata composta da Pietro Adamo (Università di
Torino), Elena Bonora (Università di Parma), Andrea Zannini (Università di Udine). Le
fonti dell’inchiesta sono: 1) una lista di circa 1.500 titoli di riviste storiche compilata dal
dipartimento di Storia dell’Università di Torino; 2) una lista di alcune centinaia di titoli
di riviste storiche redatta a cura della Giunta storica nazionale; 3) il Catalogo italiano dei
periodici; 4) l’Opac Sbn. Ringrazio Guido Abbattista con il quale mi sono consultata nel
redigere la premessa di questo scritto.
2
G. Abbattista, E. Bonora, P. Adamo, A. Zannini, Premessa a Riviste Italiane di Storia
Moderna. Lista, a cura della Commissione Sisem per la valutazione, in www.stmoderna.it.
3
Ibidem.
1
280 Maria Antonietta Visceglia
pubblicazione di articoli che concernono quella che per convenzione storiografia chiamiamo «età moderna».
Con questo criterio è stata compilata una lista di oltre 400 periodici attivi: se
da questo numero defalchiamo le riviste che dichiaratamente risultano essere
organo di altre discipline, come ad esempio la «Rivista geografica italiana» o
la «Rivista di archeologia» o gli «Studi di letteratura francese», assottigliamo la
lista solo di una diecina di titoli. Si tratta quindi comunque di un dato quantitativamente molto alto, in certo senso sconcertante per la dispersione di energie e risorse che esso implica ma anche coerente con una realtà, come quella
italiana, assolutamente policentrica e molto attenta alla difesa delle tradizioni
di un panorama di «centri di studio», frantumato ma anche ricco e vivace.
Volendo, infatti, di questo corpus di riviste individuare una tipologia, possiamo
anzitutto dire che prevalgono le pubblicazioni che si riferiscono a istituzioni
universitarie (gli «Annali di facoltà» o le riviste di dipartimento sono, ad esempio, 40 titoli) o scientifiche, nella loro variegata articolazione di accademie, di
istituti storici che agiscono sia a livello nazionale (come l’Accademia dei Lincei
o l’Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea) che decentrato.
In questo ambito, assolutamente prevalente da un punto di vista quantitativo
è la presenza di riviste che insistono su un territorio come organi di accademie
o delle deputazioni di storia patria o di società storiche locali4 (ad esempio, i
bollettini dei centri-studi cittadini).
Ci sembra dunque da queste considerazioni iniziali che i primi caratteri che
possiamo attribuire alla produzione storiografica italiana attraverso le riviste,
stando ai dati quantitativi, sia da un lato il suo pervasivo accademismo e dall’altro il perdurare del legame originario con istituzioni nate dopo l’Unità (a
parte il «periodico precursore», cioè l’«Archivio storico italiano», 1844)5, per
l’edificazione con un movimento dal centro alla periferia e dalla periferia al
centro, attraverso le deputazioni appunto, di un canone storico nazionale.
Meno numerose le riviste tematicamente specialistiche e tra queste ultime
prevalenti quelle di storia religiosa: diciassette le riviste curate dalle differenti
famiglie religiose (dall’«Analecta Augustiniana» e dall’«Archivum historicum
Societatis Iesu» agli «Studi storici dell’ordine dei Servi di Maria», passando
per le «Ricerche storiche salesiane» o per «Memorie domenicane») alle quali
bisogna aggiungere le quattro riviste delle università ecclesiastiche (la Gregoriana, la Lateranense, la Facoltà Teologica dei Minori Conventuali, la Salesiana)
e ancora altre diciassette riviste di storia religiosa per un totale di trentotto
riviste.
4
A. Bartoli Langeli, Le riviste storiche locali 1947-1978 (dalla «Bibliografia Storica Nazionale»), in «Quaderni storici», XVIII, 1983, n. 54, pp. 1069-1082.
5
I. Porciani, L’Archivio Storico Italiano. Organizzazione della ricerca e egemonia moderata nel
Risorgimento, Firenze, Olschki, 1979, e la recensione di E. Sestan, L’«Archivio Storico Italiano»
nell’età del Risorgimento, in «Rivista storica italiana», XCIII, 1981, n. 1, pp. 49-54.
281 L’età moderna
A fronte di queste cifre sette riviste di storia economica (tra cui il «Journal of
European Economic History» dal 1972) o del pensiero economico, sei riviste
di storia della scienza – tra cui «Nuncius», attiva dal 1986 ma preesistente
con il titolo di «Annali dell’Istituto e Museo di storia della scienza di Firenze»
(1976-1985), «Physis. International Journal of History of Science» dal 1959,
«Galileiana: Journal of Galilean Studies» dal 2004 e la «Rivista di storia della
medicina» dal 1957 –, quattro di storia delle istituzioni educative, due riviste di
storia dell’agricultura, due di storia urbana, una di demografia storica («Popolazione e società», che con questo titolo continua dal 2000 il «Bollettino della
Società italiana di demografia storica» che aveva intrapreso le sue pubblicazioni
dal 1979). Solo due anche le riviste di storia di genere: «Genesis» (la rivista
della Società italiana delle storiche attiva per i tipi di Viella dal 2002) e «Storia
delle donne» (presso Firenze University Press dal 2005). Tra le riviste dedicate
esclusivamente alla storia della storiografia ricordiamo almeno «Storia della
storiografia» (organo della Commissione internazionale di storia della storiografia del Comitato internazionale di scienze storiche, pubblicata da Jaca Book
dal 1982 e dal 2012 da Fabrizio Serra editore) e «Storiografia», che con questo
titolo dal 1997 subentra alla «Rivista di storia della storiografia moderna» (Pisa,
1980-1996). Diverse da quest’ultime, benché di taglio storiografico, riviste
che possiamo considerare generaliste come «Cheiron», il cui sottotitolo recita
appunto «Materiali e strumenti di aggiornamento storiografico» (pubblicata
dal 1983), e «Storica», che nasce nel 1995 ad opera di un gruppo di storici
che, dando vita ad una nuova rivista, sceglieva la formula – come si legge nella
presentazione – non di offrire saggi di ricerca, né discussioni di teoria e storia
della storiografia, ma «interventi sui modelli interpretativi prevalenti a partire
dalla analisi delle loro concrete applicazioni»6.
Poche riviste insistono su cronologie ristrette: contengono la dizione «Rinascimento» undici riviste (delle quali due in lingua inglese), tre riviste vertono
come esplicita il loro titolo sulla tarda età moderna: cioè «Studi settecenteschi»
(Napoli, Bibliopolis, 1981), la «Rivista di studi napoleonici» (dal 1965 quale
organo del Centro nazionale di studi napoleonici) e la «Rivista napoleonica:
Revue Napoléonienne» (dal 2000). Un riferimento esplicito all’Europa è nelle intitolazioni di sole due riviste: «Europa Orientalis», «Frontiera d’Europa»
(Napoli, 1995), mentre ha richiamato nel suo titolo il progetto tematico che
la anima la rivista «Mediterranea. Ricerche storiche» (Palermo dal 2004).
Poche infine anche le recenti riviste on line tra cui «Cromohs: cyber review of
modern historiography» (dal 1995), «Storia e futuro: rivista di storia e storiografia» (dal 2002) e «Giornale di storia» (dal 2009).
Se facciamo astrazione, non per la loro minore rilevanza ma per ritagliarci
un campo, dalle riviste emanazione di istituzioni accademiche, locali o mar-
6
Vedi «Storica», I, 1995, n. 1, pp. 7-9.
282 Maria Antonietta Visceglia
catamente tematiche, constatiamo la scarsa numerosità delle riviste storiche
«generaliste» significative degli orientamenti della storiografia italiana e al
contempo della storiografia internazionale. Tra esse abbiamo scelto in questa
rassegna – auspicando in altra sede un confronto piú ampio che tenga conto
anche delle altre riviste – di selezionarne quattro, cioè «Rivista storica italiana»,
«Studi storici», «Quaderni storici», «Società e storia»7.
Come è noto, la piú antica fra esse è «la Rivista storica italiana», fondata
nel 1884 da Costanzo Rinaudo8, in una temperie politica nazionale ancora
risorgimentale e in una fase di professionalizzazione del mestiere di storico in
un «generale» movimento europeo di creazione di riviste storiche nazionali.
Pluralismo storiografico ed erudizione attenta ma aperta caratterizzeranno sin
dall’inizio il nuovo periodo. A Rinaudo, professore di storia generale alla Scuola di Guerra, tipico esponente di quella che è stata definita l’histoire bataille,
stigmatizzato da Antonio Gramsci come «compilatore pedestre e lautamente
stipendiato di abborracciature pedestri» («Sotto la Mole», 8 gennaio 1917),
giudizio che non concerneva affatto la rivista, succederanno nel 1922 Pietro
Egidi e poi nel dopoguerra, dopo cinque anni di interruzione, Federico Chabod che in certo modo la fa rinascere nel 1948 9, Franco Venturi (1960-1994)10,
Emilio Gabba (1995-2005), Giuseppe Ricuperati.
Alla «Rivista storica italiana» si affiancò nel 1917 la «Nuova rivista storica»,
fondata da Corrado Barbagallo che annoverava tra i suoi primi collaboratori
– tutti anagraficamente abbastanza giovani – Ettore Rota, Gino Luzzatto (che
7
Farò uso nel corso di queste pagine delle seguenti sigle: Rsi («Rivista storica italiana»); Ss
(«Studi storici»); Qs («Quaderni storici»); Ses («Società e storia»).
8
Cfr. A. Baldan, Dalla storiografia di tendenza all’erudizione «etica»: la «Rivista storica
italiana» di Costanzo Rinaudo (1884-1922), in «Annali dell’Istituto storico italo-germanico
in Trento», II, 1976, pp. 337-398, e su questo saggio che dava una lettura molto «ideologica»
dei primi cinquant’anni di vita della rivista cfr. G. Busino, All’epoca di Costanzo Rinaudo,
in «Rsi», XC, 1978, n. 4, pp. 855-858. Queste pagine apparvero nella sezione «Storici e
storia» commemorando anche i novant’anni della rivista dalla sua fondazione e i trent’anni
«da quando Federico Chabod le ridiede vita dopo la seconda guerra mondiale».
9
Nell’immediato dopoguerra il Comitato direttivo era composto oltre che da Federico
Chabod, da Delio Cantimori, Giorgio Falco, Walter Maturi, Arnaldo Momigliano e Carlo
Morandi. Sestan subentrò a Morandi morto nel 1950. Per un giudizio sugli undici volumi
apparsi durante la direzione Chabod rinvio al profilo di F. Venturi, inserito nella rubrica
precedentemente citata: F. Venturi, Profilo di Federico Chabod, in «Rsi», XC, 1978, n. 4, pp.
859-877. Su Sestan e la rivista cfr. F. Venturi, Ernesto Sestan e la «Rivista storica italiana».
(Un inedito), in «Rsi», CVIII, 1996, n. 2-3, pp. 502-506.
10
Per una ampia analisi del mutamento intervenuto nella rivista con la direzione venturiana
rinvio a G. Ricuperati, La Rivista storica italiana e la direzione di F. Venturi: un insegnamento
cosmopolitico, in G. Ricuperati e L. Guerci, a cura di, Il coraggio della ragione: Franco Venturi
intellettuale e storico cosmopolita, Torino, Fondazione Luigi Einaudi, 1998, pp. 243-308.
Cfr. anche A. Viarengo, L’assunzione della direzione della «Rivista storica italiana» da parte
di F. Venturi, in «Rsi», n. CXVI, 2004, n. 2, pp. 493-527.
283 L’età moderna
ne resse poi le sorti dal 1930 al 1963), Antonio Anzillotti, Rodolfo Mondolfo: una rivista importante che esordiva in un momento cruciale della storia
mondiale con un programma molto ambizioso di rifiuto della storiografia
positivistica e di richiamo alla «interpretazione e intelligenza dei fatti sociali,
specialmente di quelli politici, nel senso piú alto e piú comprensivo della parola»11. La rivista andò effettivamente assumendo una linea sua peculiare che la
distinse dalle altre, scegliendo, pur in un intenso dialogo con la filosofia e con
la cultura tedesca, di dare spazio a ricerche innovative come quelle di Luzzatto
sulla storia economica delle città italiani e sugli «albori» del capitalismo o quelle
di Giuseppe Pardi sulla demografia urbana o di Giuseppe Prato sulle specificità
della storia economica del Piemonte. «Nume tutelare del gruppo redazionale»
del periodico fu – come ebbe a scrivere Giuseppe Martini, a cinquant’anni
dalla fondazione della rivista, in un saggio di bilancio – Gaetano Salvemini12.
Non stupisce che, pur nelle temperie del fascismo, la «Nuova rivista storica»
divenisse, come è stato rilevato, uno spazio culturale aperto allo studio della
rivoluzione francese e alla collaborazione con la storiografia d’oltralpe13.
Molto piú giovane «Studi storici», fondata nel 1959 all’interno di un progetto politico di superamento della crisi della storiografia marxista degli anni
Cinquanta – che peraltro in quegli anni andava esaurendo alcune esperienze
(vedi «Movimento operaio», «Società») – e di verifica storiografica dei nodi
dell’analisi gramsciana. Come Gastone Manacorda, che della rivista era stato
il primo direttore, avrebbe ricostruito nell’Indice dei primi venticinque anni
del periodico, «Studi storici» nacque come trimestrale dell’Istituto Gramsci
che era parte della struttura del Comitato centrale del Pci14 e che soltanto nel
1984 si trasformò in fondazione.
La Redazione, Il nostro programma, in «Nuova rivista storica», I, 1917, n. 1, p. 2, e ancora,
chiarendo che non si trattava, in un panorama già affollato, di far posto a una nuova rivista
ma a una nuova proposta: «Il nostro programma vuol essere un po’ diverso da quello comune
alle altre riviste storiche […]. Noi crediamo fermamente che quella forma di attività intellettuale, che si dice storia, non possa sottrarsi ad alcun contatto con la restante vita e cultura.
Storia è riviviscenza e rappresentazione di tutte le forme del fatto sociale. Nulla quindi per
noi di piú biasimevole degli scarsi rapporti che la nostra storiografia mantiene con quelle
discipline che ne costituiscono quasi la sostanza stessa, e che sono in grado di darle la visione
e l’intelligenza delle forze operanti nella società umana: l’economia, il diritto, la religione, la
geografia, la letteratura, la filosofia…» (ivi, passim). Su Barbagallo cfr. W. Maturi, Corrado
Barbagallo, in «Rsi», LIV, 1952, pp. 460-462. Sulla rivista: A. Casali, Storici italiani fra le
due guerre. La «Nuova rivista storica» (1917-1943), Napoli, Guida, 1980.
12
G. Martini, Cinquant’anni, in «Nuova rivista storica», LI, 1967, n. 1-2, pp. 1-14. Gli
indici della rivista relativi al periodo 1917-1966 furono pubblicati nel 1977.
13
A.M. Rao, Lumi Riforme Rivoluzione. Percorsi storiografici, Roma, Edizioni di storia e
letteratura, 2011, pp. 123-145.
14
G. Manacorda, Nascita di una rivista di tendenza, in «Ss», Indice 1959-1984, a cura di
G. Bruno e A. Vittoria, premessa di F. Barbagallo, 1985, p. X. Sugli avvicendamenti negli
11
284 Maria Antonietta Visceglia
Il quadrimestrale «Quaderni storici delle Marche» – questo il titolo originario
dei successivi «Quaderni storici» – uscí per la prima volta nel 1966 (siamo
all’indomani del Congresso internazionale di scienze storiche tenutosi a Vienna)15 ad Ancona presso l’istituto di Economia con in apertura il celebre saggio di Fernand Braudel sulla lunga durata pubblicato per la prima volta nelle
«Annales» nel 195816.
Ancora piú giovane «Società e storia» che intraprende le sue pubblicazioni
come rivista trimestrale nel 1978.
1. Periodizzazione. Precisiamo che in questa relazione faremo riferimento alle
quattro riviste indicate per l’ultimo trentennio a partire dal 1978 fino ad oggi.
Questa periodizzazione può essere giustificata considerando gli anni Settanta
una fase particolarmente intensa di riflessione sulla storiografia e in particolare di ripensamento di oggetti e metodi della modernistica. Intanto all’interno dello stesso panorama delle riviste si assisteva ad un riposizionamento
di alcune di esse o ad un significativo arricchimento dei contenuti. Nel 1970
i «Quaderni storici delle Marche» uscivano col nuovo titolo di «Quaderni
storici» con una Nota al lettore di Alberto Caracciolo e Pasquale Villani che
motivavano il mutamento del titolo con «l’ampliamento dell’area di ricerca»
e con il rinnovamento della redazione. In quattro paginette i due condirettori
ribadivano la scelta metodologica non solo di aprire ai rapporti interdisciplinari
con economia, sociologia, demografia, diritto, ma anche di privilegiare analisi
e comparazioni tra diverse situazioni italiane e tra situazioni italiane e non, e
centrando sulla età moderna ma in una prospettiva di lungo periodo, l’unica
considerata idonea a cogliere i fenomeni profondi della vita sociale di un paese
come l’Italia17. Seguiranno i numeri 20 e 22 di «Quaderni storici» con un signi-
organi direttivi della rivista fino all’attuale direzione assunta da Francesco Barbagallo nel
1983, dopo le dimissioni di Rosario Villari che aveva coadiuvato Manacorda nel Comitato
direttivo dal 1964 e che la aveva quindi diretta, insieme ad altri studiosi dal 1967 al 1973 e
come direttore dal 1975 al 1983: cfr. B. Garzarelli, Nota introduttiva, in Indice 1985-2009,
a cura di B. Garzarelli e A. Höbel, premessa di F. Barbagallo, 2010, pp. IX-XI.
15
Al dibattito sul XII Congresso faceva riferimento A. Caracciolo nel suo articolo di
apertura di «Qs», Dell’«acculturation» e di alcuni nuovi indirizzi di ricerca, I, 1966, n. 1,
pp. 49-57.
16
F. Braudel, Storia e Scienze Sociali: il «lungo periodo», ivi, pp. 5-48.
17
A.C., P.V., Al Lettore, in «Qs», I, 1970, n. 5, pp. 5-8. «Da queste considerazioni discendono alcune caratteristiche di lavoro alle quali i Qs – una volta fissato il loro interesse preminente sulla storia delle strutture e realtà sociali proprie del passaggio al mondo moderno
– intendono informarsi: analisi e comparazione di situazioni diverse all’interno d’Italia o
fuori; arco temporale lungo che pur centrato sulla classica “età moderna” non disdegni né la
storia contemporanea né i richiami al Medioevo; richiesta insistita di rapporti interdisciplinari verso economisti, sociologi, giuristi, demografi, geografi ecc.; allestimento di fascicoli
il piú possibile omogenei, nel senso che ruotino intorno ad un nucleo monografico».
285 L’età moderna
ficativo dibattito sugli studi di storia contemporanea nel quale Ernesto Galli
della Loggia, Raffaele Romanelli, Roberto Vivarelli replicarono a Caracciolo
e Villani che avevano parlato di «cronachismo» e «filologismo» come limiti
di studi contemporaneistici che non superavano l’ambito politico/partitico.
Non ci proponiamo di ripercorrere quella discussione, ma ci pare interessante
sottolineare che nello stesso numero (22, gennaio-aprile 1973) venisse tradotto
l’articolo di Eric Hobsbawm, From Social History to the History of Society18: un
contributo fondamentale per comprendere non solo la centralità dell’opzione
«storia sociale» nella cultura storiografica italiana degli anni Settanta ma anche
le ambiguità dell’etichetta in questione. Hobsbawm sottolineava come l’espressione «storia sociale» fosse nell’uso che se ne faceva non solo riferito alla storia
dei poveri, degli emarginati, ecc., ma anche alla storia della vita quotidiana,
o usato congiuntamente a quella di «storia economica» e, in questo caso, «la
componente economica della combinazione era largamente prevalente»19.
Aggiungeva lo storico inglese: «La storia sociale non potrà mai essere una specializzazione come quella economica o altre, dato che il suo oggetto non può
essere isolato»20. Spiegava con questa e con altre ragioni la sua preferenza per
la dizione «storia della società», della quale individuava un modello operativo:
«Partendo dall’ambiente materiale e storico, si passa alle forze e alle tecniche
produttive (con la demografia collocata in qualche posizione intermedia), alla
struttura economica che ne consegue e ai relativi rapporti sociali. A ciò può
far seguito l’analisi delle istituzioni e dell’immagine e del funzionamento della
società che sono alla base di quelle istituzioni»21. Questo era il piano di lavoro
che Hobsbawm offriva alla discussione per una «storia della società ancora in
costruzione».
Il riferimento al saggio dello storico inglese tradotto in «Quaderni storici» negli anni in cui la rivista apriva una riflessione critica sul suo profilo ci è parso
pertinente anche per introdurre il manifesto programmatico con il quale nel
1978 veniva fondata «Società e storia», ad opera di studiosi che si collocavano
essenzialmente tra Milano (Franco della Peruta, Giorgio Chittolini, Carlo Capra, Luigi Faccini) e Pisa (Mario Mirri, Mario Rosa, Franco Bonelli). Si legge
nell’editoriale del primo numero:
Il titolo che abbiamo scelto per questa rivista sembra contenere un riferimento alla storia sociale: in realtà non è un caso che si sia deciso di preferire piuttosto una espressione
come «Società e storia». Diciamo subito quindi, che noi intendiamo fare piuttosto storia della società e con questo non riteniamo di coltivare una disciplina a sé stante, una
E.J. Hobsbawm, Dalla storia sociale alla storia della società, in «Qs», IV, 1973, n. 22,
pp. 49-86.
19
Ivi, p. 51.
20
Ivi, p. 56.
21
Ivi, p. 67.
18
286 Maria Antonietta Visceglia
branca specialistica della storia allo stesso titolo della storia economica o della storia
religiosa, ma semplicemente un tipo di ricerca storica che tenda a ricondurre all’unità
di un processo globale tutte le linee e tendenze di sviluppo individuabili attraverso
le diverse ricerche specialistiche. È significativo che in questa direzione si muovano
studiosi di formazione cosí diversa come Eric Hobsbawm e Otto Brunner…22.
A questa enunciazione seguivano una chiara presa di distanza rispetto sia alla
storiografia etico-politica sia a «quel particolare tipo di storiografia marxista
che in Italia ne ha preso il posto, soprattutto nel settore contemporaneistico,
rinnovando gli oggetti assai piú che i metodi di ricerca», e anche l’espressione
di un certo disagio rispetto alla lunga durata, ai lunghi cicli agrari, all’impostazione neo-malthusiana.
Se consideriamo questi dibattiti possiamo fondatamente considerare gli anni
Settanta un momento periodizzante: la fase del distanziamento della modernistica da una storiografia ideologica all’interno di un processo di scomposizione
del rapporto politica-ricerca storica. Questa divaricazione, come analizzava
Luigi Masella in un penetrante saggio pubblicato nel 1979 per i tipi della De
Donato dal titolo Passato e presente del dibattito storiografico. Storici marxisti e
mutamenti della società italiana (1955-1970), si traduceva in una sempre piú
marcata dicotomia tra storia moderna e contemporanea23; a livello storiografico ad essa non era estraneo, come abbiamo già accennato, il complesso rapporto della storiografia italiana con le altre storiografie europee e con il modello
allora egemone delle «Annales» (le «Annales» post-braudeliane). Non è un caso
che proprio alla fine degli anni Settanta appaiano contemporaneamente due
volumi ad opera di autori di indirizzi tra loro diversi che si propongono di fare
il punto sulla storiografia francese e sulle sue proposte: ci riferiamo a La nascita
della Storia sociale in Francia. Dalla Comune alle Annales di Luciano Allegra e
Angelo Torre (Torino, Fondazione Luigi Einaudi, 1977) e a Storiografia francese
di ieri e di oggi di Marina Cedronio, Furio Diaz e Carla Russo (Napoli, Guida,
1977) con introduzione di Mario Del Treppo.
Altra precisazione preliminare concerne il modo di intendere i confini cronologici dell’epoca storica di riferimento: un tema enorme, che meriterebbe da
solo un convegno, giacché le ripartizioni si sono andate definendo in precisi
momenti del processo di formazione della storia come scienza e disciplina e
hanno registrato slittamenti e problematizzazioni. L’insoddisfazione verso la
tradizionale ripartizione 1492-1815 è abbastanza diffusa tra i modernisti e
anche la consapevolezza dell’urgenza di aprire un dibattito sul primo Ottocento fino all’Unità. Qui proporremo comunque un’ampia età moderna dalla
seconda metà del Quattrocento alla prima metà dell’Ottocento intendendo sia
Vedi «Società e storia», I, 1978, n. 1, pp. 5-7.
L. Masella, Passato e presente nel dibattito storiografico. Storici marxisti e mutamenti della
società italiana (1955-1970), Bari, De Donato, 1979, p. LXVIII.
22
23
287 L’età moderna
la fase «iniziale» (la seconda metà del XV sec.) sia quella «terminale» (la prima
metà del XIX secolo) come terreno condiviso rispettivamente con medievisti e
contemporaneisti, intreccio che può essere una risorsa preziosa per uno scambio piú attivo con le discipline storiche contigue, anche se l’Ottocento appare
rispetto al fenomeno della «novecentizzazione» della storia contemporanea un
periodo sempre meno praticato dai contemporaneisti.
2. Architettura dei periodici. Inizieremo il nostro breve esame comparativo tra
le quattro riviste selezionate cominciando, come hanno suggerito attraverso
la proposta di una precisa griglia di analisi gli organizzatori dell’incontro, dal
confronto della loro struttura, segnalando anche eventuali cambiamenti intervenuti nel corso del trentennio considerato. La «Rivista storica italiana» presenta una struttura molto articolata: si apre con alcuni articoli di ricerca senza
che questa sezione abbia necessariamente una intitolatura (ha comunque un
titolo quando ha un carattere monografico)24, una sezione «Studi e ricerche»,
una «Problemi e discussioni» e anche «Rassegne», «Storici e storia», che contiene puntuali e vivaci profili individuali italiani e stranieri (Luigi Salvatorelli,
Nino Valeri, Henry Guerlac, Eric Cochrane, Witold Kula, Ernst Kantorowicz,
Rosario Romeo, Giovanni Tabacco, Alessandro Galante Garrone…), «Appunti
e documenti» e un’ampia rubrica di recensioni.
Non tutte queste sezioni ricorrono in ogni numero ma esse costituiscono in
generale il ventaglio con cui la rivista propone il suo materiale. Vi sono, naturalmente, numeri o sezioni di numeri dedicati a storici impegnati nella rivista
in occasione della loro scomparsa: cosí il secondo numero del 1988 ad Arnaldo
Momigliano, il 2-3 del 1996 a Franco Venturi, guida della rivista per un lungo
periodo, al quale si dedicherà ancora nel decennale della morte un’ampia sezione del terzo numero del 2004 con un prolungamento nel 2005/1, gli interventi
su Marino Berengo nel 2001/3, su Angelo Ara e su Giorgio Spini nel 2007.
24
Nel decennio 1978-1987 abbiamo registrato due sezioni monografiche (XCV, 1983, n.
3, sulla storiografia dei Paesi Bassi, e XCVI, 1984, n. 3, Problemi di religione romana). Nel
decennio 1988-1997 nessun titolo monografico (a parte il CVIII, 1996, n. 2-3, su Franco
Venturi). Nel decennio 1998-2007 si ricorre otto volte all’approccio monografico: il numero
su Pubblica opinione e intellettuali dall’antichità all’Illuminismo, (CX, 1998, 1); una sezione
sull’opera di Arnold H.L. Heeren nel CXI, 1999, 3; il CXII, 2000, 2 su Il monumento: arte
e storia; il CXIV, 2002, 3, su Catastrofi naturali, rivoluzioni, eventi epocali nella scansione
della storia antica; il CXV, 2003, 2: Imperi e regioni di frontiera (1870-1918); il CXVI,
2004, 3: Franco Venturi (1994-2004). In Memoriam; il CXVII, 2005, 1: Alle origini della
Compagnia di Gesú; il CXVII, 2005, 3: L’iconografia come problema storiografico (con un
prolungamento nel CXVIII, 2006, 2). Nell’ultimo triennio registriamo nel CXX, 2008,
2, una sezione monografica intitolata Nuovi sguardi sul libertinismo europeo e nello stesso
anno (n. 3) Gli storici e l’archivio dell’Inquisizione; nel CXXI, 2009, 1: Confini e frontiere
come problema storiografico; nel CXXII, 2010, 2: Frammenti di una storia del mondo. «Risorgimento latino-americano».
288 Maria Antonietta Visceglia
Non molto distante la struttura esterna di «Studi storici» articolata in «Ricerche», «Rassegne», «Opinioni e dibattiti», «Cronache», «Note critiche». Riflette
piú direttamente il carattere militante della rivista una rubrica come «Il presente come storia»25. Il taglio monografico appare piú frequente in «Studi storici»
rispetto alla «Rivista storica italiana»: dal 1978 all’87 abbiamo registrato nove
sezioni monografiche delle quali due di storia moderna26; tredici dal 1988 al
1997 delle quali cinque di storia moderna27; e ancora tredici dal 1998 al 2007
Ci sembra significativo riportare a titolo di esempio alcuni contenuti di questa rubrica: A.
Guerra, Qualche riflessione sul ’56 ungherese, in «Studi storici», XX, 1979, 1, pp. 111-128; S.
Cohen, Riformismo e conservatorismo in Unione sovietica,1953-1979, XX, 1979, 3, pp. 565584; P. Spriano, Le riflessioni dei comunisti italiani sulle società dell’Est e il «socialismo reale»,
XXIII, 1982, 1, pp. 51-74; F. Barbagallo, Potere politico ed economia assistita nel Mezzogiorno
repubblicano, XXX, 1989, 1, pp. 43-52; N. Tranfaglia, Sulle cause e sui misteri del terrorismo
in Italia, XXX, 1989, 3, pp. 565-578; A. Agosti, Tradizione comunista e «modernizzazione». A
proposito di un intervento su Togliatti, XXXII, 1991, 2, pp. 275-286; F. Barbagallo, G. Bruno,
Problemi dello sviluppo e ceto politico nel Mezzogiorno di fine Novecento, XXXVI, 1995, 1,
pp. 233-242; M. Massari, Segreto e potere nella Sacra Corona unita, XXXVIII, 1997, 4, pp.
1031-1050; F. Barbagallo, Il doppio Stato, il doppio terrorismo, il caso Moro, XLII, 2001, 1,
pp. 127-138; Id., Franco de Felice e il progetto della «Storia dell’Italia repubblicana», XLII,
2001, 2, pp. 339-366; Id., Il mondo dopo il 1989, XLVII, 1, 2006, pp. 109-114; A. Brazzoduro, Una storia di Stato? Leggi, memoriali, religione civile, conflitto, XLVII, 2006, 2, pp.
405-422; B. Schimmelpfenning, L’incoronazione papale nel tardo Medioevo, con uno sguardo
all’«inaugurazione» di Benedetto XVI, XLVII, 2006, 4, pp. 959-976; S. Minolfi, Ideologie
imperiali e nuovi sistemi di relazioni mondiali, XLVIII, 2007, 3, pp. 711-732.
26
Cioè: nel XX, 1979, 3, Il Dibattito sulle origini del capitalismo; nel XXIV, 1983, 3-4, per
il centenario di Marx, Karl Marx 1883-1983; nel XXV, 1984, 1, Louis Gernet e l’antropologia
della Grecia antica; nel XXV, 1984, 2, I periodici d’Ancien Régime come problema storiografico; nel quarto fascicolo dello stesso anno, Sacrificio, organizzazione del cosmo, dinamica
sociale; nel XXVI, 1985, 1, Classe operaia e organizzazione del lavoro; nel secondo fascicolo
dello stesso anno, Economia monastica: i Cistercensi e le campagne; nel XXVII, 1986, III,
Giustizia e reati sessuali nel Medioevo, e nel XXVIII, 1987, 4, Industria elettrica e movimenti
di capitali in Europa.
27
Cioè: nel XXIX, 1988, 2, Istituzioni giudiziarie, criminalità e storia; nel XXX, 1989, 4,
La Rivoluzione Francese e l’Italia; nel XXXI, 1990, 1, una sezione monografica di Contributi
alla storia del PCI (1945-1956); i fascicoli secondo e terzo del XXXIII, 1992, 1892-1992. Il
Movimento socialista e lo sviluppo in Italia; nel XXXIV, 1993, il fascicolo 2-3 su Storia russa
e storia sovietica nella «Perestrojka»; il fasc. 4 dello stesso anno su Delio Cantimori. Gli eretici
del Cinquecento e la crisi europea tra le due guerre; nel XXXV, 1994, 4, la sezione monografica
su La seta a Milano nel Quattrocento; nel XXXVI, 1995, 1, La storiografia spagnola dal secolo
d’oro alla Rivoluzione liberale; nel XXXVII, 1996, 1, Italia, Europa, America. L’integrazione
internazionale dell’economia italiana (1945-1963); nel XXXVII, 1996, 2, Il tempo di Federico
II; nel XXXVIII, 1997, 1, Per il centenario di Jacob Burckhardt; nel XXXVIII, 1997, 3, Nel
ricordo di Franco de Felice e nel XXXVIII, 1997, 4, Pubblico e privato nella storia americana
novecentesca.
25
289 L’età moderna
delle quali solo una di storia moderna28. In questo ultimo decennio «Studi
storici» dedica solo un numero monografico alla modernistica, quello sulle
insorgenze, dal momento che «Guerra santa e guerra giusta» (2002/3), un tema
che pure si prestava ad un forte apporto dei modernisti, ha un approccio antichista e «Società e nazione nella Russia moderna e contemporanea» ha solo due
contributi di modernisti. Infine, al contrario, tre sono i numeri monografici
degli ultimi due anni, dei quali uno di storia moderna.
«Quaderni storici» adotta programmaticamente o una corposa sezione monografica o due meno ampie all’interno di una struttura che può essere articolata
anche in «Ricerche», «Discussioni e letture», «Aggiornamenti», «Ricerche e
fonti», «Storie d’oggi». Quest’ultima rubrica, dedicata (citiamo rapsodicamente) a temi quali i programmi universitari di storia (1979), il mercato del libro
di storia (1980), la diffusione estera delle riviste di storia italiane (1981), il
finanziamento della ricerca storica (1982, 1984, 1986), i dottorati di ricerca
(1983), i concorsi universitari (tra fine anni Ottanta e primi anni Novanta),
i settori scientifico-disciplinari di storia (1995), è andata rarefacendosi nella
seconda metà degli anni Novanta e nel primo decennio del 2000. Registriamo
infatti solo tre interventi nel 2001 (n. 106), nel 2005 (n. 119), nel 2009 (nel
n. 132 su Barbarossa e la lega Nord).
Infine «Società e storia» scandisce i suoi contributi in una sezione miscellanea
di ricerca, in una sezione «Orientamenti e dibattiti», e in «Beni culturali e
organizzazione della ricerca». Quest’ultima rubrica – che è anche una delle caratteristiche della rivista nel suo primo decennio – rispecchia una realtà accademica precisa quale era il Dipartimento di storia e scienze della documentazione
dell’Università di Milano e piú in generale è significativa di come il problema
del funzionamento di archivi e biblioteche e dello stato del patrimonio artistico
fosse già allarmante alla fine degli anni Settanta (la rubrica «Beni culturali» nasceva dalla volontà di farne uno strumento di denuncia delle condizioni spesso
drammatiche in Italia del lavoro scientifico e didattico), anche se forse era difficilmente prevedibile il ritmo con il quale sarebbe ulteriormente peggiorato fino
al punto in cui siamo. La rubrica «Beni culturali» concerne fonti soprattutto
28
Cioè: nel XXXIX, 1998, 2, Le insorgenze popolari nell’Italia rivoluzionaria e napoleonica; nel fasc. 4 sempre del 1998, Doppia lealtà e doppio stato nella storia della Repubblica;
nel XL, 1999, 2, I cistercensi nell’Italia delle città; nel XLI, 2000, 1, Tra passato e presente.
L’impegno di Jean-Pierre Vernant; nello stesso anno il fascicolo terzo: Ebrei italiani, memoria
e antisemitismo, e nel fasc. 4, Vita religiosa e società tra XII e XIII secolo; nel XLIII, 2001, 3,
Società e nazione nella Russia moderna e contemporanea, e nel fasc. 4 dello stesso anno: L’Italia
repubblicana negli anni Settanta; nel XLIII, 2002, 3, Guerra santa e guerra giusta dal mondo
antico alla prima età moderna; nel XLIV, 2003, 3-4, Gastone Manacorda: storia e politica; nel
XLV, 2004, 1, Gli spazi del tardo antico; nel XLVI, 2005, 1, Tecnocrazia e zona grigia: Iri,
Ice e Deltec nella ricostruzione degli aiuti postbellici in Italia (1943-1950); nel XLVII, 2006,
2, Ricordo di Pierre Vidal-Naquet. Ricostruzioni di una Repubblica.
290 Maria Antonietta Visceglia
relative ai temi «nuovi» di storia sociale che la rivista si propone di trattare,
come storia della medicina e della psichiatria, ma dà anche notizie su depositi
archivistici interessanti e poco noti (ad esempio archivi di società industriali,
archivi di famiglia, archivi di comuni), offre rassegne e puntualizzazioni sulla
legislazione relativa ai beni archivistici. Si fa comunque piú sporadica nella
seconda metà degli anni Novanta (segnaliamo tuttavia due interventi di Andrea Del Col nei numeri 75 e 76 del 1997 sulle fonti inquisitoriali) quando
compare una nuova rubrica, il «Mestiere di storico». La formula monografica è
adottata abbastanza tardi da «Società e storia», cioè nell’ultimo decennio29, ma
dobbiamo aggiungere che la rubrica «Orientamenti e dibattiti» assume spesso
la configurazione di una discussione a piú voci intorno a un tema storiografico
o ad un’opera di grande rilevanza.
In conclusione, appare comune alle riviste analizzate l’esigenza di equilibrare
ricerche e bilanci storiografici, aggiornamenti e interventi puntuali su temi che
concernono l’organizzazione e la pratica della ricerca: la formula monografica,
che è una scelta originaria di «Quaderni storici» , pare imporsi maggiormente
negli ultimi anni anche se non in modo generalizzato. Un altro carattere comune alle riviste è l’attenzione (soprattutto nel crinale tra gli anni Ottanta e
Novanta) alla politica di reclutamento accademico, alle questioni dell’insegnamento e dell’uso della storia che ha un notevole spazio, soprattutto ad opera di
Giuseppe Ricuperati, anche sulla «Rivista storica italiana».
Due parole sulle recensioni, vocabolo che sembra ricoprire forme molto varie
di intervento. La «Rivista storica italiana» dedica un’ampia sezione finale a recensioni puntuali, in media (è un calcolo impressionistico) quattro cartelle per
volumi di storia dall’età antica all’età contemporanea, ma recensioni piú comparative e problematizzanti possono essere inserite nella rubrica «Rassegne» o
diventare saggi importanti nella sezione iniziale della rivista, come il lungo articolo di A. De Maddalena, Vespri e mattutino in una società preindustriale. Un
saggio fondamentale sulla Lombardia spagnuola e qualche divagazione feudalistica
(1981/3), che è un ripensamento di un tema nodale della modernistica attraverso la discussione del libro di Domenico Sella uscito in inglese nel 1979.
«Quaderni storici» non fa recensioni, analizza però alcuni libri nella rubrica
«Discussioni», a volte a piú voci: cosí il libro di Marzio Barbagli sulla famiglia
in Italia è discusso nel 1986 da Giovanni Levi, Carlo Gatti, Angiolina Arru;
Christianity in the West di John Bossy è commentato da Adriano Prosperi e
Angelo Torre30. Nel 1988 c’è un dibattito sulla Storia moderna di Prato aperto
dagli interventi di Giovanni Levi e Luciano Allegra e seguito da quelli di EleVedi «Ses»: n. 90 (2000): Le fondazioni culturali in Italia origini storiche e primi sviluppi
istituzionali, a cura di G. Gemelli; n. 106 (2004): Risorgimento italiano e religioni politiche,
a cura di S. Levis Sullam; n. 112 (2006): Periferie e spazi periferici nella città europea del
Medioevo e dell’età Contemporanea, secoli XIV-XIX, a cura di P. Lanaro e G.M. Varanini.
30
A. Prosperi, A. Torre, Discussioni, in «Qs», 1987, n. 66, pp. 961-986.
29
291 L’età moderna
na Fasano-Guarini e Enrico Stumpo, nel 1995 ritroviamo la discussione del
libro di Edward Muir su faida e vendetta nel Friuli della prima età moderna,
nel 1996 quella sul volume di Jaime Contreras y Contreras su Sotos contra
Riquelmes, nel 1998 è discusso Genealogie incredibili di Roberto Bizzocchi,
nel 1999 Tribunali della coscienza di Adriano Prosperi, nel 2007 il volume su
Leone l’Africano di Natalie Zemon Davis, nel 2010 il libro di Sandra Cavallo
Artisans of the Body in Early Modern Italy. Una peculiarità di «Quaderni storici»
sono infine le «pagine azzurre» rapide ma utili notizie di congressi, descrizioni
di cantieri di lavoro e di iniziative in itinere.
Anche «Studi storici» non fa recensioni tradizionali ma note critiche che non
hanno un taglio descrittivo ma problematico e comparativo.
«Società e storia» inserisce nella rubrica «Orientamenti e dibattiti» la discussione di volumi particolarmente significativi a volte anche a piú voci: cosí
nel 1980 Paolo Malanima, Cesare Mozzarelli e Claudio Donati discutono il
volume degli Annali Einaudi dal feudalesimo al capitalismo e nel 1988 Sofia
Boesch Gaiano, Gigliola Fragnito, Roberto Bizzocchi e Dino Pastine il volume
IX degli stessi Annali su Chiesa e potere politico. Nello stesso anno è oggetto
di dibattito attraverso la rivista il volume relativo alla Toscana della Storia
d’Italia. Le regioni dopo l’Unità (uscito nel 1986) e parallelamente nel 1990 la
rivista prende la stessa iniziativa per la storia della Puglia. Nel 1995 una parte
consistente del volume 97 è dedicato alla discussione dei volumi di Edoardo
Grendi (Il Cervo e la Repubblica, 1993) e di Osvaldo Raggio (Faide e parentele,
1990) nell’ambito piú generale della revisione della categoria di Stato moderno
attraverso l’approccio microstorico. Nel 1994 si pubblica un dossier intorno a
The Family Romance of the French Revolution (University of California Press,
1992), nel 1998 si discutono il libro di Alberto M. Banti Storia della borghesia
italiana e i Tribunali della coscienza di Adriano Prosperi, nel 1999 Gian Maria
Varanini, Paola Lanaro e Giovanni Chiodi intervengono sul volume di Claudio
Povolo, L’intrigo dell’onore, nel n. 92 del 2001 si discute L’Europa delle Città di
Marino Berengo, nel n. 93 vi sono due interventi di Michel Vovelle e Marco
Meriggi su Specchi della Rivoluzione di Franco Benigno e nel n. 94 un ampio
dibattito su Daniel Roche, Ville promise mobilité et accueil à Paris du XVIe au
XIXe siècle (Fayard, 2000). Nel 2002 il volume di Carlo Capra I progressi della
Ragione. Vita di Pietro Verri è discusso da Marcello Verga, Bartolo Anglani e
Giuseppe Ricuperati. Nel 2010, n. 127, una ampia sezione «Orientamenti
e dibattiti» è dedicata al tema emigrazione-immigrazione. Questa rubrica,
certamente vivace, appare dunque seguire nel corso del tempo anche una
linea precisa: la storia regionale, urbana, dell’emigrazione sono i temi ricorrenti, in coerenza, come vedremo tra poco, con le linee generali della
rivista.
Questi cenni sono solo descrittivi e certamente insufficienti. Resta da interrogarsi se le riviste italiane abbiano o meno consentito attraverso lo strumento
delle recensioni non solo di poter seguire i percorsi della storiografia italiana
292 Maria Antonietta Visceglia
nei loro esiti fattuali, ma anche di discuterne criticamente le implicazioni teoriche e gli approcci metodologici gerarchizzando in certo modo, attraverso
le recensioni, i prodotti storiografici. Un’altra questione concerne la capacità
attraverso le recensioni di rendere conto della produzione straniera e con quali
criteri: una risposta implicherebbe però uno spoglio sistematico delle recensioni dei libri che ci auguriamo possa essere compiuta ma che non è al momento
disponibile.
3. Cronologie. Dal nostro punto di vista si tratta di rispondere alla domanda:
quale spazio si ritaglia la storia moderna in queste riviste generaliste? È impossibile fare calcoli statistici di estrema precisione per la stessa ambiguità e non rigida definizione della cronologia che corrisponde alla «storia moderna», ma con
una ragionevole approssimazione possiamo dire per la «Rivista storica italiana»
che nel primo decennio considerato 1978-1987 circa il 60% dei contributi è
di storia o di storiografia modernistica, percentuale che ritorna nel decennio
successivo e si riduce leggermente (57%) nel decennio 1998-2007. Ricordiamo
che nella direzione della rivista negli anni Ottanta prevalevano gli storici modernisti (Aldo De Maddalena, Furio Diaz, Giuseppe Galasso, Ernesto Sestan,
Giorgio Spini, Franco Venturi, Angelo Ventura, Giuseppe Giarrizzo), anche
se è difficile dare una definizione cosí «stretta» a storici come Sestan, Galasso,
Spini, Giarrizzo31. Facendo riferimento allo stesso calcolo per «Studi storici»
constatiamo che gli articoli di storia moderna rappresentano il 30,52% degli
articoli (escluse le recensioni) pubblicati dalla rivista nel decennio 1978-1987,
la medesima percentuale è del 25,49% nel decennio successivo e del 28,11%
nel 1998-2007. In «Società e storia» gli articoli di storia moderna sono il 58%
del materiale pubblicato nel 1978-87, il 42% nel 1988-1997, il 52,78 % nel
1998-2007. Piú complicato sarebbe questo calcolo per «Quaderni storici» per
il taglio monografico e trasversale che la contraddistingue. Può essere però utile
richiamare quanto a questo proposito scrivevano nel 1999 in occasione dei
«Cento numeri» da un lato uno dei fondatori della rivista, Alberto Caracciolo,
dall’altro un osservatore esterno e prestigioso come Chris Wickham. Nelle ultime pagine del suo bilancio intitolato La prima generazione, ragionando sulle
scelte epocali (intendiamo di periodo) della rivista, Caracciolo ricordava come
nell’81 si giunse a decidere la nascita di uno specifico gruppo medievistico
che divenne importante nel profilo della rivista ma quest’opzione di apertura
verso il Medioevo, e d’altro lato la ricorrenza nei numeri di temi di storia
contemporanea, non mutarono la centralità della modernistica, rammentando come nel corso degli anni Ottanta «su undici direttori ben otto [fossero]
31
All’indomani della scomparsa di Franco Venturi la direzione della rivista era composta
da G. Arnaldi, P. Cammarosano, L. Cracco-Ruggini, A. De Maddalena, F. Diaz, E. Gabba,
G. Galasso, G. Giarrizzo, G. Ricuperati, G. Spini, L. Valiani, A. Ventura, R. Vivarelli.
293 L’età moderna
docenti di storia moderna» e come la predilezione di «Quaderni storici» per
la modernistica andasse intesa in senso «sostanziale» e non «nominalistico».
Spiegava Caracciolo:
Dunque il prius modernistico al quale «Quaderni storici» si rivolge non riguarda le
partizioni epocali classiche, scolastiche a cominciare dal fatale 1492 e dal discrimine
che la vulgata usa fissare appunto tra il Medioevo e l’età moderna. Anzi, discioglie
molte barriere artificiose nella visione di un blocco di lungo periodo confluendo nel
medesimo risultato che suggeriscono le opzioni di storia sociale32.
Torna il nodo della storia sociale, sul quale abbiamo già richiamato l’attenzione, ma restiamo per un attimo alla «vocazione epocale» della rivista che anche
Chris Wickham riconosceva senza esitazioni: «Quaderni storici è sempre stata
una rivista di modernisti che guarda avanti verso la storia contemporanea
piuttosto che all’indietro»33.
In conclusione se dovessimo classificare le quattro riviste in base al «tasso di
modernistica» dovremmo porre ai primi ranghi «Quaderni storici» e «Rivista
storica italiana», seguite da «Società e storia» e da «Studi storici». Ma rendiamo
piú pertinenti queste osservazioni meramente quantitative con una analisi dei
temi, dei metodi e degli ambiti spaziali delle ricerche publicate nel periodo
ultratrentennale considerato.
4. Tematiche, approcci metodologici, concezioni storiografiche e ambiti spaziali.
Dare indicazioni secondo quanto indicato nella griglia preparata dagli organizzatori per le relazioni del seminario sull’articolazione tematica degli articoli
è possibile a patto di considerare che la distinzione tra storia dell’economia e
della società, della cultura, della politica e, dobbiamo aggiungere, della religione, non è sempre agevole per le valenze diverse che si attribuiscono nelle storiografie a seconda degli ambienti e dei periodi a dizioni come «storia sociale»
o «storia culturale» (del resto il significato di queste etichette è stato esso stesso
oggetto di accaniti dibattiti) e per il carattere trasversale di molti contributi.
Diamo quindi solo una grossolana semplificazione se diciamo che la storia
economico-sociale prevale in modo anche quantitativamente molto evidente
nei «Quaderni storici», seguita dalla storia culturale, dalla storia religiosa e da
ultimo dalla storia politica. Il dato della prevalenza della storia economicosociale è schiacciante anche per «Società e storia», poco controbilanciato dai
contributi di storia politica e storia religiosa. Piú composita l’articolazione
tematica delle due riviste piú risalenti (sebbene in modo assai disuguale) nel
tempo, cioè «Studi storici» e «Rivista storica italiana». Ma invece di dare indicazioni che possono apparire impressionistiche su questa materia scivolosa
32
33
A. Caracciolo, La prima generazione, in «Qs», 1999, n. 100, pp. 13-30.
C. Wickham, Una testimonianza, ivi, pp. 49-58.
294 Maria Antonietta Visceglia
riteniamo piú utile integrare le osservazioni sulla articolazione tematica a un
discorso un po’ piú generale sui progetti scientifici e sull’approccio metodologico delle riviste.
Quale fosse la fisionomia storiografica della «Rivista storica italiana» negli
anni della lunga direzione venturiana è un tema che già è stato oggetto di
molti contributi specifici da parte di storici che sono oggi alla guida di quella
rivista34: esauritasi la stagione piú strettamente legata a «Giustizia e libertà» con
l’opera su Radicati, la direzione della «Rivista storica» coincise con l’impegno
nella collana sugli Illuministi Italiani e con l’impresa di Settecento riformatore:
un grande progetto di ricostruzione «cosmopolita» di percorsi di uomini e di
idee, selezionati come attori e risorsa di un linguaggio opposto al relativismo in
quanto linguaggio dei diritti della libertà, della tolleranza e della democrazia35.
Nella ricerca concreta questo ha significato la ricostruzione (spesso con grande
erudizione), di percorsi di individui, di storie di traduzioni, influenze, recezioni
di libri e idee attraverso l’Europa e fuori di essa con una predilezione alla fase
compresa tra la crisi della coscienza europea e i Lumi. Ha significato anche
l’apertura di precisi cantieri di ricerca come quello sulla scrittura e l’alfabetizzazione36 o sulla censura di Stato37 o sulla divulgazione scientifica38.
Sul piano spaziale questo approccio non poteva non tradursi in una grande
apertura. Storia italiana e storia europea ed extraeuropea si equilibrano negli
indici delle annate: tra gli anni Settanta e Ottanta i temi di storia non italiaRicuperati, La Rivista storica italiana e la direzione di F. Venturi, cit.; E. Tortarolo, La
rivolta e le riforme: appunti per una biografia intellettuale di F. Venturi, in G. Recuperati,
a cura di, La reinvenzione dei Lumi: percorsi storiografici del Novecento, Firenze, Olschki,
2000, pp. 171-199.
35
Cfr. G. Ricuperati, Categoria e identità: Franco Venturi ed il concetto di Illuminismo, in
«Rsi», CVIII, 1996, pp. 550-648, e F. Diaz, Il Settecento di Franco Venturi: dalla storia dell’illuminismo alla storia del mondo, ivi, pp. 649-677. A dieci anni dalla morte di Venturi è quasi
manifesto di sintesi e di progetto l’intervento di G. Ricuperati, Universalismi, appartenenza,
identità: un bilancio possibile, in «Rsi», CXVI, 2004, n. 3, pp. 716-766.
36
M. Roggero, L’istruzione di base in Piemonte tra Antico Regime e rivoluzione, in «Rsi»,
CII, 1990, n. 1, pp. 24-52; Id., L’alfabeto e le orazioni. L’istruzione di base nel Piemonte nel
primo Ottocento, in «Rsi», CIII, 1991, n. 3, pp. 739-787; E. Chiosi, Intellettuali e plebe il
problema dell’Istruzione elementare nel Settecento napoletano, in «Rsi», C, 1988, n. 1, pp. 155175. In una prospettiva differente Alfabetismo e cultura scritta, a cura di A. Bartoli Langeli
e A. Petrucci, in «Qs», 1978, n. 38; cfr. anche D. Marchesini, Sposi e scolari. Sottoscrizioni
matrimoniali e alfabetismo tra Sette e Ottocento, in «Qs», 1983, n. 53, pp. 601-624, e H.J.
Graff, Gli studi di storia dell’alfabetizzazione: alla terza generazione, in «Qs», 1987, n. 64,
pp. 203-222.
37
L. Braida, L’affermazione della censura di stato in Piemonte dall’editto del 1648 alle costituzioni per l’Università del 1772, in «Rsi», CII, 1990, n. 3, pp. 717-795.
38
P. Delpiano, Per una storia della divulgazione scientifica nel Piemonte del Settecento: il
«Giornale scientifico, letterario e delle arti» (1789-1790), in «Rsi», CVII, 1995, n. 1, pp.
29-67.
34
295 L’età moderna
na ricorrenti concernono da un lato un filone di storia delle idee legate alla
rivoluzione inglese e americana, dall’altro la storia di alcune aree dell’Europa
dell’est: Polonia (l’attenzione alla storiografia polacca è stata altissima in Italia
in quegli anni ed è un interesse che unisce le differenti riviste) e soprattutto
Russia, in coerenza con l’esperienza storiografica di Franco Venturi. Nel corso
degli anni Ottanta, la collaborazione alla rivista di Marcello Carmagnani si
traduce in un’attenzione alla storia dell’America Latina, in particolare ai temi
della configurazione oligarchica delle élites di quei paesi e alle esperienze rivoluzionarie di cui furono teatro. Questo interesse per la storia latino-americana
è andato rarefacendosi e con la morte di Venturi anche quello per la storia
russa si è attenuato, mentre non è mai venuto meno quello per la storia della
circolazione europea delle idee e degli uomini soprattutto nell’età dei Lumi e
della Rivoluzione.
Nonostante questa forte impronta «illuministica e cosmopolita», destinata a
segnare profondamente gli studi italiani sul Settecento39, il ventaglio tematico
dei contributi della «Rivista storica italiana» si articola anche in altre direzioni.
Per effetto forse pure della presenza di Aldo De Maddalena nella direzione, la
storia economica tra la seconda metà degli anni Settanta e la prima metà degli
anni Ottanta non è affatto una cenerentola anche per la qualità dei contributi
che la rivista accoglie. Carlo Poni vi pubblica infatti nel 1976 All’origine del
sistema di fabbrica: tecnologia e organizzazione produttiva dei mulini da seta nell’Italia settentrionale (sec. XVII-XVIII), un saggio che aprí nuove piste di ricerca
su un settore trainante dell’economia italiana d’Ancien régime quale il setificio;
lo stesso De Maddalena nel ’77 inserisce nella «Rivista storica italiana» il saggio
A Milano nei secoli XVI e XVII: da ricchezza reale a ricchezza nominale? e nel
1981 la già citata discussione sul libro di Domenico Sella, un vero spartiacque
quest’ultimo volume nella storiografia sul Seicento. Nel 1978 Marta Petrusewicz era intervenuta proprio sul dibattito sulla crisi del Seicento vista dalla
Polonia in un numero in cui la rubrica rassegne si apriva con un intervento di
Ruggiero Romano sulla storia dei prezzi. Nel 1982 John Marino anticipava in
un articolo gli esiti della sua lunga e pionieristica indagine sul sistema della pastorizia nel Regno di Napoli e sulla centralità di esso negli equilibri ambientali
ed economici del Mezzogiorno. Dopo questo saggio bisogna però attendere
il 1989 per trovare il contributo di Antonio Calabria Finanzieri genovesi nel
Regno di Napoli nel Cinquecento. La tendenza è comunque quella della rarefaHa molto sottolineato la centralità del magistero di Venturi nella costruzione del «canone» del Settecento riformatore, evidenziando allo stesso tempo come, anche attraverso
la «Rivista storica italiana», «gli studi sul XVIII secolo si costituissero in campo specifico in
seno alla storia moderna»: M. Verga, Le XVIIIe siècle en Italie: le «Settecento» réformateur?, in
«Revue d’histoire moderne et contemporaine» (numero monografico su Pouvoirs et societé
en Italie XVIe-XXe siècles), XLV, 1998, n. 1, pp. 89-116, in particolare p. 108. Un giudizio
piú sfumato in Rao, Lumi Riforme Rivoluzione, cit., pp. 3-48.
39
296 Maria Antonietta Visceglia
zione di articoli di storia economica che si fanno sempre piú sporadici40, una
tendenza peraltro generale nella storiografia italiana e internazionale.
Migliore la tenuta della storia politica che appare presente con continuità
lungo tutto l’arco del trentennio considerato. Fra i tardi anni Settanta e gli
anni Ottanta, nel 1977 Elena Fasano pubblica il suo importante saggio su
potere centrale e comunità soggette nel Granducato di Cosimo I, nel 1978
Giuseppe Galasso l’articolo su Camillo Tutini fra politica e storiografia, nel
1980 Franco Angiolini le sue «osservazioni» su diplomazia e politica dell’Italia
non spagnola nell’età di Filippo II dove per la prima volta si offrono spunti per
un’ interpretazione delle relazioni internazionali nel secondo Cinquecento non
schiacciata sulla categoria di egemonia spagnola, nel 1982 Angelo Ventura sull’amministrazione della giustizia nella Repubblica veneta, nel 1986 Pier Luigi
Rovito presenta la sua interpretazione costituzionale della rivoluzione napoletana del 1647, nel 1987 Sergio Zamperetti scrive sui corpi territoriali veneti e
nel 1988 Alessandro Pastore sul governo della peste a Roma e a Genova. Poi un
addensarsi di ricerche agli inizi degli anni Novanta: tre titoli nel 199041, uno
nel 199142, cinque nel 199243, quattro nel 199344, con una presenza costante
di contributi sul rapporto centro-periferia, sulle carriere militari, sul funziona-
D. Biaggiani, Tra crisi commerciali e interventi istituzionali: le vicende del porto di Livorno
nella tarda età medicea (1714-1730), in «Rsi», CIV, 1992, n. 3, pp. 678-729; E. Grendi,
Gli asientos dei Balbi e il conte di Villalvilla, ivi, CVI, 1994, n. 3, pp. 565-621; M. Amato,
Il decentramento dell’economia mediterranea, il caso di Milano fra crisi e riconversione, ivi, pp.
622-650; S. Ciriacono, Economie urbane e industria rurale nell’Italia del Cinque e Seicento:
riconversione o stagnazione?, ivi, CXIII, 2001, n. 1, pp. 5-35; F. Boldizzoni, Malattie monetarie
e governo della moneta nell’Italia padana (1550-1650), ivi, CXVI, 2004, n. 2, pp. 321-355;
Id., La rivoluzione dei prezzi rivisitata: moneta ed economia reale in Alta Italia (1550-1630),
ivi, CXVII, 2005, n. 3, pp. 1002-1049.
41
R. Fubini, Dalla rappresentanza sociale alla rappresentanza politica: alcune osservazioni
sull'evoluzione politico-costituzionale di Firenze nel Rinascimento, in «Rsi», CII, 1990, n.
2, pp. 279-301; G.G. Ortu, Centralismo e autonomia nella Sardegna di Filippo III, ivi, pp.
302-339; E. Stumpo, Tra mito, leggenda e realtà storica: la tradizione militare sabauda da
Emanuele Filiberto a Carlo Alberto, ivi, pp. 560-587.
42
R. Ajello, I filosofi e la regina. Il governo delle Due Sicilie da Tanucci a Caracciolo (17761786), in «Rsi», CIII, 1991, n. 2, pp. 398-454.
43
A. Mattone, La cessione del Regno di Sardegna dal trattato di Utrecht alla presa di possesso
sabauda (1713-1720), in «Rsi», CIV, 1992, n. 1, pp. 5-89; S. Landi, Scrivere per il Principe.
La carriera di Domenico Stratico in Toscana (1761-1776), ivi, pp. 90-154; M. Rizzo, Centro
spagnolo e periferia lombarda nell’impero asburgico tra Cinque e Seicento, ivi, CIV, 1992, n.
2, pp. 315-348; G. Ricuperati, L’avvenimento e la storia: le rivolte del luglio 1797 nella crisi
dello Stato sabaudo, ivi, pp. 349-424; R. Crahay: Dalla «République» di Jean Bodin alla
«Synopsis» di Johann Angelius Werdenhagen (1635). Un rinnovamento dei concetti religiosi
e politici, ivi, CIV, 1992, n. 3, pp. 629-677.
44
R. Faggionato, La fine di una utopia. Contributo alla storia della massoneria nella Russia
di Caterina II, in «Rsi», CV, 1993, n. 1, pp. 36-179; R. Fubini, Lega italica e ‘politica del40
297 L’età moderna
riato, ma piú concentrati (con eccezioni naturalmente)45 rispetto ai primi anni
Settanta sulla tarda età moderna e con un taglio meno istituzionalista.
Dobbiamo invece constatare un trend di crescita se consideriamo lo spazio che
la storia religiosa si ritaglia sulla rivista: nei pochi articoli di storia religiosa fra i
tardi anni Settanta e gli anni Ottanta predominano gli eretici italiani secondo
il modulo cantimoriano: nel 1978 il saggio di Adriano Prosperi su Girolamo
Negri e gli echi della condanna di Serveto, nel 1982 quello di Alessandro Pastore su Pietro Panfili, siniscalco alla corte di Urbino, legato da molteplici fili
ai personaggi dell’evangelismo italiano. Nell’81 un saggio di Massimo Firpo
e Dario Marcatto descrive un cantiere di ricerca allora in corso e ancora oggi
vivo relativo alla liquidazione all’inizio della seconda metà del Cinquecento di
quelle figure che, sullo sfondo dell’età di Carlo V e della sua politica religiosa,
avevano disegnato un’opzione religiosa alternativa, quella degli spirituali, poi
appiattita dall’Inquisizione ad eresia46. Inquisizione romana e storia religiosa
del Cinquecento, anche se non esauriscono il ventaglio dei contributi, dedicati
anche ad altri aspetti della storia religiosa come si vede dai molti titoli ai quali
potremmo fare riferimento47, diventano uno dei fili rossi della storiografia
l’equilibrio’ all’avvento di Lorenzo de’ Medici al potere, ivi, CV, 1993, n. 3, pp. 373-410; D.
Ligresti, L’organizzazione militare del Regno di Sicilia (1575-1635), ivi, pp. 647-678.
45
Sulla prima età moderna: G. Galasso, Le relazioni internazionali nell’età moderna (secoli
XV-XVIII), in «Rsi», CXI, 1999, n. 1, pp. 5-36; M. Olivari, Cultura politica castigliana,
Portogallo e Impero fra Cinquecento e Seicento, ivi, CXIII, 2001, n. 2, pp 369-396; dello
stesso autore sul pensiero politico spagnolo cfr. Fuente Ovejuna e il pensiero politico spagnolo
del primo Seicento, ivi, XCV, 1983, n. 2, pp. 332-349; M. Caricchio, Giles Calvert, John
Saltmarsh e la costruzione del profeta rivoluzionario durante la Rivoluzione inglese, ivi, CXV,
2003, n. 1, pp. 57-111; M.F. Leuzzi, L’oratoria funeraria nel Cinquecento. Le composizioni
di Benedetto Varchi nei loro aspetti culturali e politici, ivi, CXVIII, 2006, n. 2, pp. 351-393;
D. Maffi, Il potere delle armi. La monarchia spagnola e i suoi eserciti (1635-1700): una rivisitazione del mito della decadenza, ivi, pp. 394-445; I. Melani, «Per non vi far un volume».
Andrea Navagero, gli «amici tutti» e la costruzione di un «Viaggio»: testi, contesti, mentalità,
ivi, CXIX, 2007, n. 2, pp. 515-604; M. Formica, Giochi di specchi. Dinamiche identitarie e
rappresentazioni del Turco nella cultura italiana del Cinquecento, ivi, CXX, 2008, n. 1, pp. 553; R. Mazzei, L’elezione del 1573 e le prime storie di Polonia pubblicate in Francia, ivi, CXX,
2008, n. 2, pp. 459-502; L. Scalisi, In omnibus ego. Luigi Guglielmo Moncada (1614-1672),
ivi, pp. 503-568; M. Formica, Viaggiatori italiani nell’impero Ottomano tra Rinascimento e
crisi della coscienza europea, ivi, CXXII, 2010, n. 3, pp. 911-950.
46
M. Firpo, D. Marcatto, Il primo processo inquisitoriale contro il cardinal Giovanni Morone
(1552-1553), in «Rsi», XCIII, 1981, n. 1, pp. 71-142; M. Firpo, Filippo II, Paolo IV e il
processo inquisitoriale del cardinal Giovanni Morone, ivi, XCV, 1983, n. 1, pp. 5-62.
47
Ad esempio, in «Rsi»: L. Szczucki, Antitrinitari nell’Europa orientale, XCI, 1979, n. 1,
pp. 158-169 (un’ampia nota critica sul libro di Massimo Firpo del 1977 su Szymon Budny,
Niccolò Paruta e Iacopo Paleologo); C. Bianco, La comunità di «fratelli» nel movimento
ereticale modenese del ’500, XCI, 1979, n. 3-4, pp. 621-679; J.C. Garavaglia, I gesuiti del
Paraguay: utopia e realtà, XCIII, 1981, n. 2, pp. 269-314; P. Simoncelli, Inquisizione romana
298 Maria Antonietta Visceglia
religiosa proposta dalla «Rivista storica italiana» come dimostrano i saggi di
Paolo Simoncelli, Inquisizione romana e riforma in Italia (1988/1), di Guido
Dall’Olio sui rapporti tra la Congregazione del Sant’Uffizio e gli inquisitori
bolognesi a fine Cinquecento (1993/1), di Stefania Pastore sulla correctio fraterna e l’Inquisizione spagnola (2001/3), o il numero monografico del 2005/1
Alle origini della Compagnia di Gesú, o anche la sezione dedicata nel 2008/3
agli storici e l’archivio dell’Inquisizione nella quale la relazione di Elena Bonora
presenta un primo efficace bilancio su cosa abbia rappresentato per questi studi
l’apertura dell’Archivio del Sant’Uffizio, e da ultimo il saggio di Rita Mazzei
che attraverso la figura del letterato ferrarese Antonio Maria Nigrisoli riprende
uno dei temi cari alla rivista: quello dei rapporti dell’Italia dell’età del Rinascimento e della Riforma con la Polonia come crocevia di popoli e individui48.
Un filone nuovo per le tradizioni della «Rivista storica italiana» è rappresentato
dall’iconografia come problema storiografico, come recita la sezione monografica del numero 3 del 2005 prolungata l’anno successivo nel n. 3/2006:
un segno di un’apertura a un altro tipo di storia culturale in consonanza con
orientamenti che si stavano ormai decisamente affermando come centrali nella
storiografia internazionale?49
Se la tradizione della «Rivista storica italiana» in una certa misura risente dei
problemi storiografici attribuibili anche alla sua maggiore profondità genealogica che la collega alla storia di un lungo Novecento, le radici di «Studi storici»,
come abbiamo detto, sono nella crisi del 1955-56, nella riflessione in margine
al X Congresso internazionale di studi storici (Roma, 1955), nella presa di
distanza dalla storiografia quantitativa, considerata di tipo sociologico, e nella
individuazione dell’analisi dei meccanismi di sviluppo della società italiana di
e riforma in Italia, C, 1988, n. 1, pp. 5-125; E. Novi Chiavarria, Ideologia e comportamenti
familiari nei predicatori italiani tra Cinque e Settecento. Tematiche e modelli, C, 1988, n. 3,
pp. 679-723; S. Cabibbo, «Ignoratio Scripturarum, ignoratio Christi est». Tradizione e pratica
delle Scritture nei testi monastici femminili del XVII secolo, CI, 1989, n. 1, pp. 85-124; G.
Fragnito, Le corti cardinalizie nella Roma del Cinquecento, CVI, 1994, n. 1, pp. 5-41; E.
Brambilla, Battesimo e diritti civili dalla Riforma protestante al Giuseppinismo, CIX, 1997, n.
2, pp. 602-627; S. Calonaci, «Accordar lo spirito col mondo». Il cardinal Ferdinando de Medici a
Roma durante i pontificati di Pio V e Gregorio XIII, CXII, 2000, n. 1, pp. 5-74; C. Cristellon,
L’ufficio del giudice: mediazione, inquisizione e confessione nei processi matrimoniali veneziani
(1420-1532), CXV, 2003, n. 3, pp. 851-898; V. Lavenia, Giurare al Sant’Uffizio. Sarpi,
l’Inquisizione e un conflitto nella Repubblica di Venezia, CXVIII, 2006, n. 1, pp. 7-50.
48
R. Mazzei, All’origine dell’immagine di Cracovia come città dell’esilio. Il ferrarese Antonio
Maria Nigrisoli alla corte di Bona Sforza (1550-1555), in «Rsi», CXXIII, 2011, n. 2, pp.
461-509.
49
Cfr. L’iconografia come problema storiografico, in «Rsi», CXVII, 2005, n. 3, pp. 825-1001;
Iconografia tra storia e filosofia, ivi, CXVIII, 2006, n. 2, pp. 530-659, e nel fascicolo terzo
dello stesso anno Ancora su iconografia e storia, pp. 912-932.
299 L’età moderna
ieri e di oggi come tema privilegiato anche se non unico della ricerca storica50.
Rispetto al dibattito allora in atto era in qualche modo ineludibile che il nodo
con cui confrontarsi fosse «la verifica storiografica del carattere rivoluzionario
del processo di accumulazione capitalistica e della conseguente rivoluzione
industriale»51, e la riproposizione nelle pagine della rivista all’inizio degli anni
Sessanta di saggi di Maurice Dobb e Pierre Vilar intendeva offrire anche allo
storico strumentazioni per l’analisi teorica. Per quanto attiene alle implicazioni
sulla modernistica di questo progetto va detto che esso si tradusse in un salto
cronologico all’indietro che portò a individuare nel Seicento il tempo della
rottura, il clivage della transizione, diversificata nello spazio europeo, dall’assetto economico-sociale di tipo feudale a quello capitalistico52. L’aggancio con
le altre storiografie avveniva su questa lunghezza d’onda. Sono la storiografia
anglosassone della crisi generale del Seicento – soprattutto Eric Hobsbawm – il
riferimento maggiore della rivista ma anche la storiografia polacca (A. Maczak
e W. Kula), la cui teoria del sistema feudale diventa un riferimento per indagare
anche la feudalità meridionale53. Negli anni Settanta lo schema teorico di I.
Wallerstein54 con la triplice classificazione periferia-semiperiferia-centro offre
strumenti aggiuntivi per leggere la disuguale crisi del Seicento nello spazio
mondiale dell’alba del capitalismo: anche se l’Italia mal si collocava nello spazio
di una compatta periferizzazione e piuttosto, per la disuguaglianza delle sue
economie regionali, in quelli di una ambigua semiperiferia. Non meraviglia
quindi che fino al 1983-84, continuando una linea già intrapresa negli anni
Sessanta, terreno di elezione dei contributi modernistici su «Studi storici» siano
la crisi del Seicento e parallelamente i fenomeni rivoluzionari innescati da quella crisi sia nell’area mediterranea (Italia e Spagna)55 sia, per contrapposizione,
Masella, Passato e presente nel dibattito storiografico, cit., pp. XXIX e XLV.
Ivi, p. L.
52
Cfr. Dopo Dobb e Sweezy: il dibattito sulle origini del capitalismo, in «Ss», XX, 1979, n. 2,
con interventi di A. Lepre, Per la ricomposizione dell’interpretazione marxista delle origini del
capitalismo, pp. 257-286, e P. Malanima, Espansione e declino: economia e società tra Cinque
e Seicento, pp. 287-316; e anche Il dibattito sulle origini del capitalismo, ivi, XX, 1979, n. 3,
con interventi di E. Guaita, Wallerstein e la formazione del sistema capitalistico, pp. 493-504,
e O. Di Simplicio, Espansione e declino tra Cinquecento e Seicento, pp. 505-512.
53
A. Lepre, La crisi del XVII secolo nel Mezzogiorno d’Italia, in «Ss», XXII, 1981, n. 1, pp.
51-78.
54
Interventi di I. Wallerstein, La crisi del XVII secolo e il sistema mondiale dell’economia
europea, in «Ss», XIX, 1978, n. 2, pp. 299-308; Id., Braudel, le «Annales» e la storiografia
contemporanea, ivi, XXI, 1980, n. 1, pp. 5-18; Id., Marx e il sottosviluppo, ivi, XXIV, 1983,
n. 3-4, pp. 457-474.
55
B. Anatra, Rivolte e rivoluzione nella Spagna del Cinquecento, in «Ss», XVII, 1976, n. 1,
pp. 117-128; R. Villari, La Spagna, l’Italia e l’assolutismo, ivi, XVIII, 1977, n. 4, pp. 5-22; O.
Di Simplicio, Rivolte e transizione, ivi, XXI, 1980, n. 3, pp. 527-538; R. Villari, Appunti sul
50
51
300 Maria Antonietta Visceglia
in Inghilterra alla quale si presta però un’attenzione minore56. La decadenza
economica italiana si intersecava con le condizioni politiche della penisola, in
uno schema che vedeva nel Rinascimento la fine dei valori e idee di «libertà»
e «patria», per cui la crisi italiana del Seicento si riconnetteva ad un’altra crisi
profonda e insidiosa, morale e politica, quella dell’Italia cinquecentesca57: uno
schema, nei suoi esiti, non molto diverso da quello desanctisiano che implicava
una lettura precisa della storia d’Italia fino all’Ottocento. Rispetto a quelle
letture della vicenda economica italiana in età moderna, possiamo chiederci
quanto l’aver accolto da parte di Bartolomé Yun Casalilla la proposta di curatela dell’importante numero programmato nel 2009/3 su La storia economica
delle società dell’Europa preindustriale, rappresenti un intento revisionista o
almeno di problematizzazione e rilancio di una tematica cosí cruciale nell’identità culturale della rivista. Ma torniamo agli anni Ottanta.
Nel corso degli anni Ottanta, mentre la storia antica ci pare assuma un ruolo
maggiore nell’impianto della rivista, per la modernistica il primato del Seicento
come ambito cronologico preferenziale è andato sciogliendosi58 a vantaggio del
Settecento, secolo comunque cruciale già nell’approccio originario di «Studi
storici», come fase del processo di formazione della borghesia sette-ottocentesca e come punto di partenza del processo di unificazione nazionale. Gli studi
sul Settecento che la rivista propone nel corso degli anni Ottanta concernono
Seicento, ivi, XXIII, 1982, n. 4, pp. 739-752; P. Messina, Giuseppe Donzelli e la rivoluzione
napoletana del 1647-1648, ivi, XXVIII, 1987, n. 1, pp. 183-202.
56
P. Messina, La rivoluzione inglese e la storiografia italiana del Seicento, in «Ss», XXV,
1984, n. 3, pp. 725-746; G. Montroni, Aristocrazia fondiaria e modelli di trasferimento
della ricchezza in Inghilterra tra XVII e XIX secolo: lo «strict settlement», ivi, XXX, 1989, n.
3, pp. 579-602.
57
C. Vivanti, La crisi del Cinquecento: una svolta nella storia d’Italia?, in «Ss», XXX, 1989,
n. 1, pp. 5-24.
58
Naturalmente registriamo comunque contributi significativi sulla storia del Seicento
ma non piú in stretto rifermento alla tematiche transizione/decadenza e rivolte: G. Doria,
Investimenti della nobiltà genovese nell’edilizia di prestigio (1530-1630), in «Ss», XXVII,
1986, n. 1, pp. 5-56; G. Pagano de Devitiis, Il Mediterraneo nel XVII secolo: l’espansione
commerciale inglese e l’Italia, ivi, pp. 109-148; E. Stumpo, Guerra ed economia: spese e guadagni militari nel Piemonte del Seicento, in «Ss», XXVII, 2, 1986, pp. 371-396; P. Piasenza,
Un modello d’ordine nello scontro di fazioni: parlamento e polizia a Parigi nella prima metà
del Seicento, ivi, XXIX, 1988, n. 4, pp. 993-1028; V. Frajese, Note su Machiavelli, editoria
e cultura nell’Italia del Rinascimento e della Controriforma, ivi, XXXVIII, 1997, n. 1, pp.
135-156; G. Cengiarotti, Note sulla concezione della storia in età barocca: i casi di Comenio e
di James Harrington, ivi, XL, 1999, n. 1, pp. 279-300; S. Villani, Donne quacchere nel XVII
secolo, ivi, XL, 1999, n. 2, pp. 585-612; L. Addante, Campanella e Machiavelli: indagine su
un caso di dissimulazione, ivi, XLV, 2003, n. 3, pp. 726-750; R. Villari, Napoli 1647. Giulio
Genoino dal governo all’esilio, ivi, XLVII, 2006, n. 4, pp. 901-958; T. Preste, Il goticismo: un
mito per la costruzione dell’identità svedese (1611-1682), ivi, XLIX, 2008, n. 2, pp. 473-522;
C. Vivanti, I «due governi del mondo» negli scritti di Sarpi, ivi, XLI, 2010, n. 1, pp. 73-90.
301 L’età moderna
invece piuttosto la storia politica e culturale, l’importanza della riorganizzazione delle istituzioni militari negli Stati settecenteschi, il triennio giacobino
come fase cruciale della storia italiana sia nella sua cultura e nelle sue pratiche
repubblicane che nel fenomeno delle insorgenze popolari59.
Alla luce di quanto detto e confortati dall’analisi degli indici, in «Studi storici»
è agevole riconoscere tre direzioni al di fuori d’Italia alla cui storia la rivista
ha riservato e riserva regolarmente spazio: per l’età moderna la Spagna (vedi
l’importante numero 1995/1 curato da Anna Maria Rao e Giovanni Muto su
La storiografia spagnola dal «secolo d’oro» alla «rivoluzione liberale»)60, la Francia settecentesca e soprattutto rivoluzionaria, la Russia ma nel lungo periodo,
vertendo il fuoco dell’interesse piuttosto sulla Russia sovietica.
La predilezione per ribelli secenteschi e rivoluzionari giacobini si intreccia
talvolta negli anni Ottanta e Novanta all’attenzione per le figure del dissenso
Cfr. il numero monografico I periodici d’«Ancien Régime» come problema storiografico,
in «Ss», XXV, 1984, n. 2, pp. 279-568; G. Ricuperati, La storiografia italiana sul Settecento
nell’ultimo ventennio, ivi, XXVII, 1986, n. 4, pp. 753-804; A.M. Rao, Esercito e società a
Napoli nelle riforme del secondo Settecento, ivi, XXVIII, 1987, n. 3, pp. 623-678; M. Formica,
Tra semantica e politica: il concetto di popolo nel giacobinismo italiano (1796-1799), ivi, pp.
699-722. Cfr. anche il numero monografico La Rivoluzione francese e l’Italia, in «Ss», XXX,
1989, n. 4, pp. 775-1031; E. Di Rienzo, Morellet et Sieyès, nobili, proprietari e organizzazione
del potere nella rivoluzione, ivi, XXXI, 1990, n. 2, pp. 457-480; M. Formica, I rapporti tra
i Borbone di Francia e la Santa Sede sulla questione di Avignone e del Contado Venassimo, ivi,
XXXI, 1990, n. 4, pp. 1017-1040; A.M. Rao, La rivoluzione francese e la scoperta della politica, ivi, XXXVI, 1995, n. 1, pp. 163-215; P. Villani, Agenti e diplomatici francesi in Italia
durante la rivoluzione. Eymar e la sua missione a Genova (1793), ivi, XXXVI, 1995, n. 4, pp.
957-976; E. Di Rienzo, «Ieri in Francia, oggi in Italia». Neogiacobinismo e questione italiana
nei manoscritti di Marc-Antoine Jullien de Paris (1796-1801), ivi, XXXVII, 1996, n. 2, pp.
593-628; A.M. Rao, Mezzogiorno e rivoluzione: trent’anni di storiografia, ivi, XXXVII, 1996,
n. 4, pp. 981-1042; P. Villani, Rivoluzione e diplomazia: la prima missione di Reinhard in
Italia (1793), ivi, XXXIX, 1998, n. 3, pp. 631-644; E. Di Rienzo, Giustizia e lotta politica
in Francia nei manoscritti di Marc-Antoine Jullien de Paris (1794-96), ivi, pp. 645-674; V.
Ferrone, L’Illuminismo italiano e la rivoluzione napoletana del 1799, in «Ss», XL, 1999, n.
4, pp. 993-1008; E. Di Rienzo, Neogiacobinismo e movimento democratico nelle rivoluzioni
d’Italia (1796-1815), ivi, XLI, 2000, n. 2, pp. 403-432; P. Villani, François Cacault decano
dei diplomatici francesi in Italia durante la rivoluzione, ivi, XLII, 2001, n. 2, pp. 461-501;
D. Armando, La feudalità nello Stato pontificio alla fine del Settecento, ivi, XLV, 2004, n.
3, pp. 751-784; P. Palmieri, Gli sposi della libertà. Il sacramento del matrimonio durante la
rivoluzione napoletana del 1799, ivi, XLVII, 2006, n. 2, pp. 577-586; P. Villani, L’amaro
declino di un riformatore napoletano, Giuseppe Maria Galanti, ivi, XLVIII, 2007, n. 1, pp.
107-126; D. Carnevale, La riforma delle esequie a Napoli nel decennio francese, ivi, XLIX,
2008, n. 2, pp. 523-552; V. Granata, Non solo Mme de Staël: «femmes auteurs» e censura
libraria nella Francia di Bonaparte, ivi, XLIX, 2008, n. 4, pp. 1105-1148.
60
Ma anche L. D’Ascia, Fadrique Furió Ceriol fra Erasmo e Machiavelli, in «Ss», XL, 1999,
n. 2, pp. 551-584, e Id., Fadrique Furió Ceriol consigliere del principe nella Spagna di Filippo
II, ivi, XL, 1999, n. 4, pp. 1037-1086.
59
302 Maria Antonietta Visceglia
religioso61 e all’esigenza di riflessione sulla esperienza storiografica cantimoriana come mostra il taglio dato al numero monografico su Delio Cantimori
pubblicato nel 199362. Tra gli anni Novanta e il primo decennio del 2000 le
ricerche di storia religiosa si intensificano anche nelle pagine di questa rivista
e concernono temi come la libertà di coscienza, l’anticlericalismo, i processi di
stregoneria, le minoranze nei paesi passati alla riforma, le aeree di confine tra
luteranesimo, calvinismo, libertinismo. Su queste grandi questioni, come su
quelli della censura, dei nessi tra lotta politica e religione, il Seicento torna a
recuperare il terreno perduto63.
61
M. Firpo, Juan de Valdés e l'evangelismo italiano. Appunti e problemi di una ricerca in
corso, in «Ss», XXVI, 1985, n. 4, pp. 733-754.
62
Vedi Delio Cantimori gli eretici del Cinquecento e la crisi europea tra le due guerre, in «Ss»,
XXXIV, 1993, n. 4, pp. 727-828, anche in occasione della pubblicazione dei volumi cantimoriani Eretici italiani del Cinquecento e altri scritti, a cura di A. Prosperi, Torino Einaudi,
1991, e di Politica e storia contemporanea. Scritti 1927-1942, a cura di L. Mangoni, Torino,
Einaudi, 1992. In apertura del fascicolo si ricordava il richiamo che il primo direttore di
«Studi storici», Gastone Manacorda, aveva inserito nel primo numero della stessa rivista a
Delio Cantimori e al rapporto tra distacco e impegno nel lavoro dello storico, aggiungendo
che quelle indicazioni metodologiche «rimangono tuttora un punto fermo per la rivista».
Sulla corrispondenza tra Manacorda e Cantimori rinviamo all’ampio saggio di A. Vittoria,
Il Pci, le riviste e l’amicizia. La corrispondenza fra Gastone Manacorda e Delio Cantimori, in
«Ss», XLIV, 2003, n. 3-4, pp. 745-888.
63
Facciamo riferimento in ordine cronologico a: L. Bianchi, A. Foa, Un’Europa libertina
nel XVII secolo?, in «Ss», XXII, 1981, n. 3, pp. 535-552; L. Bianchi, Il libertinismo in Italia
nel XVII secolo: aspetti e problemi, ivi, XXV, 1984, n. 3, pp. 659-678; V. Lavenia, «Cauda
tu seras pendu». Lotta politica ed esorcismo nel Piemonte di Vittorio Amedeo I (1634), ivi,
XXXVII, 1996, n. 2, pp. 541-592; V. Frajese, Riforma e antiriforma nella storia dei volgarizzamenti biblici, ivi, XXXIX, 1998, n. 2, pp. 23-40; Id., Campanella a Sant’Elmo nell’estate
1606: due documenti inediti e alcune considerazioni, ivi, XL, 1999, n. 1, pp. 263-278; S.
Villani, Donne quacchere nel XVII secolo, ivi, XL, 1999, n. 2, pp. 585-612; O. Di Simplicio,
L’Inquisizione a Siena. I processi di stregoneria (1580-1721), ivi, XL, 1999, n. 4, pp. 10871102; M. Firpo, Politica imperiale e vita religiosa in Italia nell’età di Carlo V, ivi, XLII, 2001,
n. 2, pp. 245-262; S. Tutino, «Liberty of conscience in religion». Ricerche sul cattolicesimo
moderato nell’Inghilterra di Elisabetta, ivi, pp. 431-460; F. Barbierato, Luterani, calvinisti,
libertini. Dissidenza religiosa a Venezia nel secondo Seicento, ivi, XLVI, 2005, n. 3, pp. 797844; A. Prosperi, L’Immacolata a Siviglia e la fondazione sacra della monarchia spagnola, ivi,
XLVII, 2006, n. 2, pp. 481-510; M. Firpo, Ripensando Paolo Sarpi, ivi, XLVII, 2006, n. 4,
pp. 993-1002; Id., Calvino e la riforma radicale: le opere contro nicodemisti, anabattisti e
libertini (1544-1545), ivi, XLVIII, 2007, n. 1, pp. 97-106; G. Marcocci, Questioni di stile.
Gastão de Abrunhosa contro l’Inquisizione portoghese (1602-1607), ivi, XLVIII, 2007, n. 3,
pp. 779-816; S. Villani, Conversione e famiglia in due testi letterari italiani del Seicento, ivi,
XLIX, 2008, n. 4, pp. 1039-1062; M. Mancino, Governare la criminalità degli ecclesiastici
nell’Italia del primo Cinquecento: il caso di Napoli e della Campania, ivi, L, 2009, n. 1, pp.
101-130; V. Lavenia, Dare a Cesare quel che è di Cesare? Fiscalità e chiesa cattolica in epoca
moderna, ivi, LI, 2010, n. 1, pp. 137-154; G. Romeo, Confessione dei peccati e confessori
nell’età della Controriforma: cosa dire del Seicento?, ivi, LI, 2010, n. 4, pp. 967-1002.
303 L’età moderna
Accomunano «Rivista storica italiana» e «Studi storici» non solo i molti autori
ricorrenti che scrivono su entrambe le riviste, la continua tesa riflessione sulla
realtà e i modi di esercizio del mestiere di storico, la diffidenza per i revisionismi ma anche molti dibattiti che corrono trasversali tra le varie riviste. Per
accennare piú concretamente ad essi dobbiamo però riprendere il nodo della
storia sociale e ritornare su «Quaderni storici» e «Società e storia».
Nata all’interno di un approccio di storia regionale64, la vicenda di «Quaderni
storici» è l’esito della travolgente fortuna della storia sociale nell’Italia degli
anni Settanta e anche la prova delle innegabili difficoltà e contraddizioni di
questa prospettiva concepita inizialmente come analisi economico-sociale di
un modello e delle sue variabili e poi approdata ad una «stagione di esperimenti»65. La fine degli anni Settanta vede la coesistenza nella rivista di numeri
monografici importanti e significativi delle diverse anime della «storia sociale»
che albergano nella rivista: il numero su Notabili e funzionari nell’età napoleonica a cura di Pasquale Villani (n. 37, 1978), quello sulla Religione delle classi
popolari a cura di Carlo Ginzburg (n. 41, 1979), quello sulla nascita dell’opinione pubblica in Inghilterra (n. 42, 1979) – un numero significativo anche
per la tempestività con la quale introduce la nozione di opinione pubblica nel
dibattito storiografico italiano66 (la traduzione italiana di Habermas, ed. or.
1962, è del 1971). Poi appaiono Aziende e produzione agraria nel Mezzogiorno
(n. 43, aprile 1980, a cura di P. Villani e A. Massafra), molto influenzato dalle
contemporanee analisi francesi e polacche sui cicli produttivi/aziende contadine/signorie feudali, e Parto e maternità: momenti della biografia femminile
(n. 44, 1980, a cura di L. Accati, V. Malher, G. Pomata) progettato con una
impostazione marcatamente antropologica.
Questo ultimo numero è anche importante per la seconda sezione monografica
in esso contenuta: Fonti criminali e storia sociale, nella quale Edoardo Grendi,
introducendo una non casuale rassegna di contributi di storici italiani e stranieri, apriva la rivista allo studio della «storia criminale» che diventava uno dei
S. Anselmi, R. Paci, E. Sori, Il contributo di Alberto Caracciolo alla storiografia regionale
delle Marche, in «Qs», 1996, n. 91, pp. 5-10.
65
L’espressione è di Paolo Macry, ma facciamo qui riferimento a F. Benigno, Gli affanni
della memoria. Un momento di riflessione nella storiografia italiana?, in «Storica», 2005, n.
33, pp. 97-117.
66
Jürgen Habermas pubblica Strukturwandel der Öffentlichkeit nel 1962. L’opera fu tradotta
in italiano con il titolo Storia e critica dell’opinione pubblica dalla casa editrice Laterza nel
1971, in francese (L’espace public. Archéologie de la publicité comme dimension constitutive de
la societé bourgeoise) nel 1978 e in inglese solo nel 1989. Sulla applicabilità della categoria
di «opinione pubblica» alla prima età moderna, cfr. G. Ciappelli, Comunicazione politica e
opinione pubblica nel Rinascimento: esempi e considerazioni, in «Annali dell’Istituto storico
italo-germanico in Trento», XXIII, 2007, pp. 27-57.
64
304 Maria Antonietta Visceglia
fili rossi della «storia sociale» praticata da «Quaderni storici»67 fino e oltre il numero monografico del dicembre 1987 (n. 66) intitolato ancora Fonti criminali
e storia sociale. Quest’ultimo era introdotto da una ulteriore breve premessa di
Grendi che precisava la «linea» della rivista sulla storia della criminalità, non
intesa genericamente come tematica della devianza, né come «storia quantitativa dei crimini e del singolo crimine nel tempo», né come storia degli istituti
giuridico-amministrativi. Grendi rivendicava invece un trattamento tematico
e non seriale delle fonti giudiziarie e il possibile apporto di queste fonti «sul
terreno ancora debolmente scandito in senso storiografico dei rapporti privati
(fra sessi, gruppi d’età ecc…)»68. Questa proposta provocava la pacata e riflessiva reazione di Mario Sbriccoli nelle pagine di «Studi storici», a margine di un
numero monografico della stessa rivista intitolato Istituzioni giudiziarie, criminalità e storia (1988/2). Il richiamo di Sbriccoli era ai rischi del trattamento
episodico delle fonti giudiziarie e alla considerazione della «storia criminale»
come «storia degli apparati complessi della giustizia penale» e al ruolo del
diritto penale «come fonte primaria della storia criminale»69: esso era colto da
E. Grendi che replicava nell’aprile 199070. Quel dibattito fu significativo non
solo per il modo franco e scientificamente esemplare con il quale due importanti studiosi si confrontarono attraverso le pagine delle due riviste ma anche
perché è rimasto punto di riferimento ineludibile sul tema. Va altresí detto che
nel ventennio successivo gli studi sulla «giustizia», anche se quelli pubblicati
in saggi e articoli nei periodici che qui esaminiamo non sono numerosissimi,
hanno rappresentato una linea centrale della modernista italiana collocandosi
Scriveva Grendi: «“Quaderni storici” ha chiesto ad alcuni studiosi stranieri una serie di
messe a punto dei lavori e delle ricerche di “storia criminale” dei loro paesi […] L’intenzione
è quella di incoraggiare anche in Italia lo studio delle fonti criminali. “Quaderni storici”
intende ospitare non soltanto studi specifici, ma anche brevi discussioni di lavori, segnalazioni ragionate di ricerche in corso, relazioni problematiche di gruppi locali di interesse
che hanno iniziato la perlustrazione di queste fonti» (E. Grendi, Per lo studio della storia
criminale, in «Qs», 1980, n. 44, p. 580).
68
E. Grendi, Premessa, in «Qs», 1987, n. 66, pp. 695-700. Cfr. anche Diritti di proprietà, a
cura di R. Ago, in «Qs», 1995, n. 88, pp. 3-260; Gestione dei patrimoni e diritti delle donne,
a cura di A. Arru, ivi, 1998, n. 98, pp. 269-481; Procedure di giustizia, a cura di R. Ago e
S. Cerutti, ivi, 1999, n. 101, pp. 307-561.
69
M. Sbriccoli, Fonti giudiziarie e fonti giuridiche. Riflessioni sulla fase attuale degli studi
di storia del crimine e della giustizia criminale, in «Ss», XXIX, 1988, n. 2, pp. 491-502.
Scriveva Sbriccoli: «Le azioni punite penalmente, prese per sé, o all’interno di episodi, spazi
e momenti puntuali, se valutate al di fuori della loro relazione con il funzionamento degli
apparati repressivi, rivestono rilevanza di interesse assai tenui […]. È anche a questo che
pensavo, alludendo all’inizio a qualche segno di stanchezza che pure è possibile cogliere negli
studi che si vanno facendo in Italia sul crimine e sulla giustizia criminale» (ivi, p. 495).
70
E. Grendi, Sulla «storia criminale»: risposta a Mario Sbriccoli, in «Qs», 1990, n. 73, pp.
269-275.
67
305 L’età moderna
in un ventaglio frastagliato di approcci. «Quaderni storici» è rimasta abbastanza fedele alla linea grendiana di attenzione all’uso della fonte criminale come
fonte integrativa per lo studio di particolari gruppi sociali, alla molteplicità
delle giurisdizioni criminali e alla conseguente conflittualità giudiziaria anche
con una costante attenzione alla storiografia giuridica iberica di B. Clavero e
A. Hespanha71. Il tema delle risoluzioni infragiudiziare ha intanto guadagnato sempre maggiore spazio nelle ricerche anche per l’impulso che è venuto
in questa direzione ancora da Mario Sbriccoli, da Marco Bellabarba e per la
storia medievale da Andrea Zorzi72. Un discorso a parte meriterebbe il grande
cantiere aperto da Paolo Prodi sin dagli anni Settanta sul rapporto tra teologia
e diritto che ha avuto come frutti maturi i due volumi prodiani del 1992 del
2000 e che ha ispirato molti studi apparsi sugli «Annali dell’Istituto storico
italo-germanico in Trento»73. D’altra parte gli studi sull’Inquisizione hanno
assunto un approccio diverso che prescinde dalla storia del tribunale come
apparato di giustizia se si escludono pochi contributi in questa direzione74.
71
Cfr. Diritti di proprietà, a cura di R. Ago, in «Qs», 1995, n. 88, pp. 3-260; Gestione dei
patrimoni e diritti delle donne, a cura di A. Arru, ivi, 1998, n. 98, pp. 269-481; Procedure
di giustizia, a cura di R. Ago e S. Cerutti, ivi, 1999, n. 101, pp. 307-561; R. Rosolino, «Un
negozio non passabile in coscienza»: un caso giudiziario di usura a Corleone nel 1619, ivi, 2002,
n. 111, pp. 581-615; A. Groppi, Il teatro della giustizia. Donne colpevoli e opinione pubblica
nell’Italia liberale, ivi, pp. 649-679.
72
Faccio riferimento a M. Bellarbarba, G. Schwerhoff, A. Zorzi, a cura di, Criminalità e
giustizia in Germania e in Italia. Pratiche giudiziarie e linguaggi giuridici tra tardo medioevo ed
età moderna, Bologna, Il Mulino-Duncker & Humblot, 2001; M. Bellabarba, Informazioni
e fatti.Casi di storia del processo penale nell’Italia centro-settentrionale, in «Storica», 2001, n.
20-21, pp. 155-175. Sulla giustizia negoziata e le pratiche di pacificazione rinvio agli studi
di Ottavia Niccoli: in particolare, Rinuncia, pace, perdono. Rituali di pacificazione nella
prima età moderna, in «Ss», XL, 1999, pp. 219-261; alla sua lettura critica di Peace in PostReformation di J. Bossy (Cambridge, 1998) nella nota Giustizia, pace, perdono. A proposito
del libro di John Bossy, in «Storica», 2003, 25-26, pp. 195-207, e al volume Perdonare. Idee,
pratiche, rituali in Italia tra Cinque e Seicento, Roma-Bari, Laterza, 2007, dedicato proprio
a Mario Sbriccoli.
73
P. Prodi, Il sacramento del potere. Il giuramento politico nella storia costituzionale dell’Occidente, Bologna, Il Mulino, 1992 ; Id., Dal pluralismo dei fori al moderno dualismo tra coscienza
e diritto, Bologna, Il Mulino, 2000. Sul tema del rapporto colpa teologica-colpa giuridica,
cfr. i molti saggi di M. Turrini fra cui: «Culpa theologica» e «culpa iuridica»: il foro interno
all’inizio dell’età moderna, in «Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento», XII,
1986, pp. 147-168; Id., Ordine politico e coscienze nel Seicento in area cattolica, ivi, XXVII,
2001, pp. 391-414. Su questi temi: V. Lavenia, L’infamia e il perdono. Tributi, pene e confessione nella teologia morale della prima età moderna, Bologna, Il Mulino, 2004.
74
Vorrei ricordare in questo senso gli studi di uno studioso recentemente scomparso: cfr.
V. Sciuti Russi, Inquisizione, politica e giustizia nella Sicilia di Filippo II, in «Rsi», CXI,
1999, n. 1, pp. 37-64, e nella stessa direzione anche I. Fosi, La giustizia del papa. Sudditi e
tribunali nello Stato Pontificio in età moderna, Roma-Bari, Laterza, 2007.
306 Maria Antonietta Visceglia
Ma torniamo a «Quaderni storici». Negli anni Ottanta la critica dall’interno
alla storia sociale «tradizionale» che presuppone le categorie della morfologia
sociale approda nei «Quaderni storici» alla tormentata e polivalente proposta
della microstoria (la fondazione della collana Einaudi diretta da Carlo Ginzburg e Giovanni Levi data al 1980) che può essere considerata l’apporto piú
importante di questa rivista al dibattito storiografico della seconda metà del
secolo scorso. La proposta microstorica è di derivazione anglosassone: inglese
e nordamericana. Carlo Ginzburg scriverà nel 1994 di aver inteso per la prima
volta parlare di microstoria da Giovanni Levi nel 1977-7875. Di fatto tra 1976
e 1977 Edoardo Grendi lancia la sua proposta metodologica microanalitica
che matura in un rapporto dialogico assai complesso con l’antropologia anglosassone e la storia sociale thompsoniana76 nelle pagine della rivista77: essa
circoscrive il terreno di ricerca a individui, a gruppi, a comunità precise ma a
questa riduzione di scala fa corrispondere una moltiplicazione delle fonti di
riferimento con l’ambizione di cogliere la complessità o al limite la totalità dei
contesti sociali nei quali sono coinvolti gli attori. La proposta microstorica è
riformulata da Ginzburg e Poni in Il nome e il come: scambio ineguale e mercato
storiografico78 e anima l’impostazione del volume monografico su Villaggi. Studi
di antropologia storica, curato da Giovanni Levi (46/1981). Questo numero
contiene tra gli altri saggi quello di Grendi su Il sistema politico di una comunità
ligure: Cervo tra Cinquecento e Seicento (pp. 92-129), che ribalta l’ottica della
storia politica tradizionale mirando a ricostruire il conflitto attraverso il sistema delle relazioni interpersonali delle élites locali e la trama delle mediazioni
e degli scontri per il controllo delle risorse. Negli anni Ottanta, in un dialogo
75
C. Ginzburg, Microstoria, due o tre cose che so di lei, in «Qs», 1994, n. 86, pp. 511-576.
Ginzburg precisava come il primo a usare la parola fosse stato l’americano George Stewart
in un libro del 1959 sulla battaglia di Gettysburg (1863); poi nel ’68 la usò Luis González y
González in uno studio su un minuscolo villaggio messicano; anche Braudel avrebbe usato
il termine ma in negativo.
76
E. Grendi, E.P. Thompson e la «cultura plebea», in «Qs», 1994, n. 85, pp. 235-256, dove
The Making of the English Working Class è letta come «una pluridecennale raccolta di storie-casi: consuetudini agrarie locali, agitazioni contro il carovita, ‘rough music’ (charivari),
vendita delle mogli e altri usi collettivi» (p. 236). L’edizione inglese del libro di Thompson è
del 1963. Esso fu tradotto in italiano nel 1969 col titolo Rivoluzione industriale e classe operaia
in Inghilterra e solo nel 1988 in francese (La formation de la classe ouvrière anglaise).
77
E. Grendi, Prefazione a Famiglia e comunità, in «Qs», 1976, n. 33, pp. 881-891; Id.,
Micro-analisi e storia sociale, ivi, 1977, n. 35, pp. 506-520.
78
C. Ginzburg, C. Poni, Il nome e il come: scambio ineguale e mercato storiografico, in «Qs»,
1979, n. 40, pp. 181-190; vedi anche Azienda agraria e microstoria, a cura di C. Poni, ivi,
1978, n. 39, pp. 801-805, dove l’approccio micro guardava però anche alle grandi inchieste
francesi come quella diretta da E. Le Roy Ladurie e J. Goy, i cui risultati furono poi raccolti
in Les fluctuations du produit de la dîme. Conjoncture décimale et domaniale de la fin du Moyen
Âge au XVIIIe siècle, Paris-La Haye, Ecole Pratique des Hautes Etudes-Mouton, 1972.
307 L’età moderna
intenso con l’antropologia politica, si propone quindi un modello di analisi in
cui allo studio delle strutture politico-istituzionali dello Stato e delle comunità
si sostituisce l’analisi delle «solidarietà conflittuali», dei modi attraverso i quali
individui e gruppi «manipolano» le norme, del gioco dei poteri informali e
delle reti normative «altre» rispetto al potere formale. Con lo stesso approccio,
volto a cogliere le «specifiche interdipendenze tra società locali e istituzioni
statali» era impostato il n. 63 (dicembre 1986), Conflitti locali e idiomi politici
(a cura di S. Lombardini, O. Raggio e A. Torre). Sarà però solo alla metà degli
anni Novanta79 che «Società e storia» discuterà questa impostazione in una
vivace tavola rotonda che mostrava la netta contrapposizione tra la storia politico/amministrativa centrata sulla crescita e concentrazione dei poteri statuali
e la proposta etnografica della microstoria grendiana.
Non è nostro compito ripercorrere le complesse vicende della microstoria o
meglio delle microstorie al plurale, essendo il paradigma indiziario di Carlo
Ginzburg una proposta diversa rispetto a quella di Edoardo Grendi come lo
stesso storico genovese non mancava di ricordare problematizzando nel 1994,
in una densa nota dal titolo interrogativo Ripensare la microstoria?, la differenze tra la microstoria della contestualizzazione sociale centrata sulle pratiche
che costruiscono i rapporti sociali e quella della contestualizzazione culturale,
influenzata dall’antropologia simbolica80. Ci limitiamo a osservare come essa
fosse accolta con troppa diffidenza dalla storiografia italiana, pur essendo diventata il maggior articolo di esportazione di quest’ultima e come fosse poco
studiata in Italia anche come opzione storiografica81.
Gli anni Novanta rappresentano comunque una svolta nella storia della rivista
con la ristrutturazione nel 1990 della direzione che passa da undici condirettori
(Alberto Caracciolo, Carlo Ginzburg, Edoardo Grendi, Giovanni Levi, Michele
Luzzatti, Paolo Macry, Adriano Prosperi, Raffaele Romanelli, Pasquale Villani)
a venti condirettori (gli storici precedenti meno Levi, Prosperi e Romanelli ma
Stato e società locale: una discussione, in «Ses», n. 67, gennaio-marzo 1995. Erano intanto
apparsi di E. Grendi, Il Cervo e la repubblica. Il modello ligure d’antico regime, Torino, Einaudi,
1993; Id., Storia di una storia locale: perché in Liguria (e in Italia) non abbiamo avuto una
«local history», in «Qs», 1993, n. 82, pp. 141-198; O. Raggio, Faide e parentele: lo Stato
genovese visto dalla Fontanabuona, Torino, Einaudi, 1990.
80
E. Grendi, Ripensare la microstoria?, in «Qs», n. 86, 1994, pp. 539-549. Sulla «maggiore
prossimità» dell’approccio di Carlo Ginzburg all’antropologia interpretativa di Clifford
Geertz rispetto alla fredda recezione di quest’ultimo da parte dei microstorici «sociali»,
cfr. G. G. Iggers, Historiography in the Twentieth Century. From Scientific Objectivity to the
Postmodern Challenge, Hanover-London, Wesleyan University Press, 1997, pp. 108-112.
81
F. Benigno, Gli affanni della memoria. Un momento di riflessione nella storiografia italiana?, in «Storica», 2005, n. 33. Una utile discussione a piú voci sulla microstoria è il volume
Giochi di scala: la microstoria alla prova dell’esperienza, a cura di J. Revel, Roma, Viella, 2006.
Questo volume pubblica alcuni dei saggi di Jeux d’échelles. La micro-analyse à l’experience,
Paris, 1996, integrandoli con altri piú recenti.
79
308 Maria Antonietta Visceglia
con l’ingresso di Carmine Ampolo, Enrico Artifoni, Osvaldo Raggio, Biagio
Salvemini, Angelo Torre) e di sette storiche (Renata Ago, Angiolina Arru, Sofia
Boesch Gajano, Simona Cerutti, Giovanna Fiume, Gabriella Gribaudi, Gianna
Pomata), ingresso quest’ultimo significativo, come è esplicitato nell’annuncio
del cambiamento, del riconoscimento di un ruolo maggiore della gender history
nella progettualità del periodico82.
Gli anni Novanta sono però anche una fase di bilanci e di non sempre pacifiche
«rese dei conti». I decenni precedenti a livello della storiografia internazionale
erano stati marcati dal cultural turn e dallo spostamento progressivo di molti
studiosi dalla storia sociale alla storia culturale. Uno slittamento – che seguí,
cronologicamente almeno, la svolta ermeneutica indotta anche dagli scritti di
pensatori francesi quali Roland Barthes, Jacques Derrida e dalla pubblicazionemanifesto del linguistic turn da parte di Hayden White (Metahistory apparve
nel 1973) – che ebbe percorsi specifici nei differenti ambienti europei. In
Francia, rifacendosi al Michel de Certeau di L’invention du quotidien (1980) e
alla sociologia di Pierre Bourdieu ma anche alla «scoperta» di Norbert Elias e
comunque in un fitto intreccio di scambi internazionali, Roger Chartier, liquidando il filone di «storia della mentalità», riformulava gli obiettivi e i metodi
della storia sociale ponendo al centro di quest’ultima lo studio delle rappresentazioni, dei loro usi e delle loro appropriazioni83. A questa prospettiva reagiva
dalle pagine di «Quaderni storici» Angelo Torre e, paventando «il rischio di una
Vedi infatti Verginità, a cura di G. Fiume e L. Scaraffia, in «Qs», 1990, n. 75; Maschile
e femminile, a cura di R. Ago e A. Arru, ivi, 1992, n. 79; Fratello/Sorella, a cura di A. Arru e
S. Boesch Gajano, ivi, 1993, n. 83; Costruire la parentela. Donne e uomini nella definizione
dei legami familiari, a cura di R. Ago, M. Palazzi e G. Pomata, ivi, 1994, n. 86; Diritti di
proprietà, a cura di R. Ago, in «Qs», 1995, n. 88.
83
R. Chartier, Le monde comme représentation, in «Annales ESC», 1989, pp. 1505-1520 ;
Id, Cultural History. Between Practices and Representations, Cambridge, Polity Press, 1988;
Id., La rappresentazione del sociale. Saggi di storia culturale, Torino, Bollati Boringhieri, 1989;
Id., Au bord de la falaise. L’histoire entre certitudes and inquiétude, Paris, Albin Michel, 1998.
Su questo percorso cfr. Ph. Poirrier, La storia culturale in Francia, in La storia culturale:
una svolta della storiografia mondiale?, a cura di Ph. Porrier e A. Arcangeli, postfazione di
R. Chartier, Verona, QuiEdit, 2010 (ed. or. 2008), pp. 85-110. Per la storiografia inglese
Peter Burke considera gli anni compresi tra il 1983 – l’anno della apparizione di Immagined Communities di Benedict Anderson (tr. it. 1996) e di The Invention of Tradition, la
raccolta di saggi curata da Eric Hobsbawm e Terence Ranger, tradotta in italiano nel 2002
– e il 1987-88 (The embarrassment of Riches di Simon Schama che Mondadori tradurrà nel
1993 è del 1987 e The Body and Society di Peter Brown, tradotto da Einaudi nel 2010, è del
1988) le date simboliche della transizione tra due «ere storiografiche». Della «nuova era»
sarebbero espressione i quattro libri sopracitati (P. Burke, «Niente cultura, siamo inglesi»: la
storia culturale in Gran Bretagna prima e dopo il cultural turn, in La storia culturale: una svolta
della storiografia mondiale?, cit., pp. 137-160). Sulla svolta culturalista degli anni Ottanta e
sulle prospettive della «storia sociale» oggi, cfr. P. Joyce, What is the social in social history?,
in «Past and Present», 2010, n. 206, pp. 213-248.
82
309 L’età moderna
storia che sussuma le pratiche all’interno delle rappresentazioni e che rinunci
all’incrocio delle fonti documentarie», intravvedeva la possibilità di cadere in
una nuova forma di «idealismo» in cui i documenti studiati solo nelle loro logiche di produzione diventavano «testi»84. Chartier rifiutava queste osservazioni
che definiva «malfondate e pretestuose» e ricordava le critiche che aveva egli
stesso rivolto a Hayden White85. Al di là di questa polemica, significativa degli
interrogativi con cui alla fine del secolo scorso si confrontava la storiografia, la
storia «culturale» si affermava nel crinale tra i due millenni anche in Italia come
studio dei rituali, delle pratiche della lettura e della scrittura, della costruzione
delle identità individuali e familiari86.
Rispetto a «Quaderni storici», meno tormentato negli stessi decenni è stato
l’itinerario all’interno della «storia della società» della rivista «Società e storia». La storia della società praticata da quest’ultima seguiva filoni diversi ma
intrecciati e tutti molto significativi degli interessi della modernistica italiana
degli ultimi decenni. Anzitutto la rivista si impegnava tra la fine degli anni
Settanta e gli anni Ottanta in una riflessione sulle istituzioni politiche nell’Italia dei piccoli Stati «autonomi» e delle compagini territoriali passate nella
prima età moderna nella monarchia composita spagnola. Gli studi di Giorgio
Chittolini sulla formazione dello Stato regionale87, la rigorosa ricerca di Elena
Fasano Guarini sulla Toscana di Cosimo I mostravano una «terza via» tra una
visione storiografica che attribuiva precoci caratteri di modernità alle politiche di accentramento e di costruzione di apparati burocratici perseguite nel
Cinquecento e quella che dava una lettura della «crisi italiana» anche come
originaria e ineliminabile «incapacità di farsi Stato». Seguendo la lezione di
Marino Berengo, Elena Fasano indicava un ampio campo d’indagine nel quale
la storia degli Stati italiani del Cinquecento appariva «segnata da riforme che
investono il campo della giustizia, dell’organizzazione militare, della fiscalità,
dell’amministrazione periferica» ma anche da «una pluralità di centri di poA. Torre, Percorsi della pratica. 1966-1995, in «Qs», 1995, n. 90, pp. 799-829.
R. Chartier, Rappresentazione della pratica, pratica della rappresentazione, in «Qs», 1996, n.
92, pp. 487-493. La presa di posizione rispetto a White alla quale fa riferimento Chartier in
queste pagine è: R. Chartier, Quatre questions à Hayden White, in «Storia della Storiografia»,
1993, n. 24, pp. 133-142. L’intero numero, con il titolo Hayden White’s Metahistory twenty
years after, è dedicato all’impatto di questa opera sulla teoria e pratica della storia.
86
Per una rassegna di questi temi con riferimenti, oltre che a Ginzburg, ai lavori di storici
quali A. Petrucci, G. Fragnito, O. Niccoli, S. Seidel Menchi, A. Prosperi, R. Bizzocchi, G.
Ricci, M. Infelise, M. Roggero, F. Barbierato e G. Signorotto: cfr. A. Arcangeli, La storia
culturale in Italia, in La storia culturale: una svolta della storiografia mondiale?, cit., pp.
161-182 .
87
L’espressione «stato regionale» fu usata da Giorgio Chittolini nel 1975 in un contributo
sull’ordinamento territoriale del dominio fiorentino nel Quattrocento. Fondamentale su
questa categoria la raccolta di saggi dello stesso G. Chittolini, La formazione dello stato
regionale e le istituzioni del contado, Torino, Einaudi, 1979.
84
85
310 Maria Antonietta Visceglia
tere», dalla «frammentarietà del diritto», dalle forme di resistenza88. Questa
mossa prospettiva di storia istituzionale della società si sposava per altro bene
con ricerche che, anche slargando la prospettiva cronologica fino al Settecento,
ricostruivano la concreta fisionomia dei gruppi sociali – anzitutto la nobiltà e i
patriziati, grande cantiere della storiografia di quei decenni89, ma anche le figure degli amministratori90 – e che precisavano attraverso ricerche su patrimoni
e rendita91 la base economica e materiale della ricchezza dei ceti privilegiati.
Una linea di ricerca quest’ultima che sembra illanguidirsi nel corso degli anni
Novanta e nell’ultimo decennio, a parte interventi che però privilegiano, al-
88
E. Fasano Guarini, Gli Stati dell’Italia centro-settentrionale tra quattro e cinquecento:
continuità e trasformazioni, in «Ses», 1983, n. 21, pp. 617-640 (in particolare p. 637); vedi
anche F. Angiolini, Politica, società e organizzazione militare nel principato mediceo: a proposito
di una «Memoria» di Cosimo I, ivi, 1986, n. 31, pp. 1-52; Id., Dai segretari alle «segreterie»:
uomini e apparati di governo nella Toscana medicea (metà XVI secolo-metà XVII secolo), ivi,
1992, n. 58, pp. 701-728; M. Folin, Il sistema politico estense fra mutamenti e persistenze
(secoli XV-XVIII), ivi, 1997, n. 77, pp. 505-550; G. Chittolini, Poteri urbani e poteri feudalisignorili nelle campagne dell’Italia centro-settentrionale fra tardo medioevo e prima età moderna,
ivi, 1998, n. 81, pp. 473-510; Id., Ascesa e declino di «piccoli stati signorili» (Italia centrosettentrionale, metà trecento-inizi cinquecento), ivi, 2008, n. 121, pp. 473-498.
89
F. Pino, Patriziato e decurionato a Milano nel secolo XVIII, in «Ses», 1979, n. 5, pp. 339378; A. Spagnoletti, Le aggregazioni alla nobiltà nelle università di Terra di Bari nel XVIII
secolo, ivi, 1980, n. 7, pp. 35-60; W. Barberis, Continuità aristocratica e tradizione militare
nel Piemonte sabaudo, ivi, 1981, n. 13, pp. 529-592; A. Spagnoletti, Forme di autocoscienza
e vita nobiliare: il caso della Puglia barese, ivi, 1983, n. 19, pp. 49-76; J. Boutier, I Libri
d’oro del Granducato di Toscana (1750-1860). Alcune riflessioni su una fonte di storia sociale,
ivi, 1988, n. 42, pp. 953-966.
90
C. Mozzarelli, Strutture sociali e formazioni statuali a Milano e Napoli tra cinquecento
e settecento, in «Ses», n. 3, 1978, pp. 431-463; Id., Corte e amministrazione nel Principato
gonzaghesco, ivi, 1982, n. 16, pp. 245-262; G. Muto, Una struttura periferica del governo
del Mezzogiorno spagnolo: i percettori provinciali, ivi, 1983, n. 19, pp. 1-36; A. Spagnoletti,
Il governo del feudo. Aspetti della giurisdizione baronale nelle università meridionali nel XVIII
secolo, ivi, 1992, n. 55, pp. 61-80; L. Covino, Funzioni feudali e governo del territorio nella
seconda metà del settecento: Salvatore Pignatelli di Strongoli (1730-1792), ivi, 1998, n. 81,
pp. 511-546.
91
F. Angiolini, Le basi economiche del potere aristocratico nell’Italia centro-settentrionale tra
XVI e XVIII secolo, in «Ses», 1978, n. 2, pp. 317-332; E. Roveda, Il patrimonio fondiario
dei Trivulzio principi di Mesocco tra la fine del cinquecento e gli inizi del seicento, ivi, 1979,
n. 6, pp. 667-682; M.A. Visceglia, Rendita feudale e agricoltura in Puglia nella età moderna
(XVI-XVIII secolo), ivi, 1980, n. 9, pp. 527-560; M. Benaiteau, La rendita feudale nel Regno
di Napoli attraverso i relevi: il Principato Ultra (1550-1806), ivi, pp. 561-612; A. Moroni, Le
ricchezze dei Corsini. Struttura patrimoniale e vicende familiari tra sette e ottocento, ivi, 1986,
n. 32, pp. 255-292; P. Malanima, L’economia dei nobili a Firenze nei secoli XVII e XVIII, ivi,
1991, n. 54, pp. 829-848; V. Pinchera, I Salviati: un patrimonio tra Toscana e Stato Pontificio
nel XVIII secolo, ivi, pp. 849-868; M. Sacchi, «Alla ferrata solita della loggia dei mercati». Il
mercato dei feudi in Lombardia (1680-1700), ivi, 2004, n. 103, pp. 51-96.
311 L’età moderna
meno alcuni di essi, piú che l’approccio economico al tema nobiltà, quello del
mestiere delle armi abbracciato da singoli o da dinastie, in consonanza con il
maggiore spazio che la storia militare è andata negli ultimi anni guadagnando
nella modernistica riformulando approcci e domande rispetto alla tradizionale
storia militare92.
È coerente a questa impostazione anche la linea di studi di storia religiosa
che la rivista, soprattutto per l’impulso dato in questa direzione da Mario
Rosa, da Elena Brambilla e da Gaetano Greco, predilige almeno nel suo primo
decennio: storia delle istituzioni ecclesiastiche, del loro concreto insediarsi
sul territorio, dell’amministrazione della proprietà ecclesiastica, della fiscalità,
della Chiesa ma anche della formazione del clero e dell’assistenza93. Il modulo
degli «eretici» trova poco spazio in «Società e storia», per contro le ricerche sulle
strutture inquisitoriali e sulle politiche censorie non sono estranee alla rivista
e anzi si sono conquistate recentemente una presenza crescente e possono, alA. Barbero, Rituali e onore nobiliare a Saluzzo fra quattro e cinquecento, in «Ses», 2001,
n. 91, pp. 1-10; D. Maffi, Soldatino dell’impero. Biografia di un aristocratico lombardo del
seicento: Sigismondo Sfondrati marchese di Montafia, ivi, 2007, n. 116, pp. 255-272; E.
Papagna, Avversari, nemici... anzi parenti. I rapporti tra famiglie della nobiltà napoletana
nella prima età moderna, ivi, pp. 273-292; A. Buono, Guerra, élites locali e monarchia nella
Lombardia del seicento. Per un’interpretazione in chiave di compromesso d'interessi, ivi, 2009,
n. 123, pp. 3-30; E. Papagna, La nobiltà nel Mezzogiorno durante il decennio francese, ivi,
pp. 31-56; A. Spagnoletti, Le dinastie italiane e la guerra delle Fiandre, ivi, 2009, n. 125,
pp. 423-444; D. Maffi, Blandire e premiare. Cavalieri milanesi di Santiago (1560-1700), ivi,
2010, n. 127, pp. 1-27. Importante il confronto su L’esperienza militare nell’età napoleonica,
con interventi di P. del Negro, A. Ferraresi, S. Levati, ivi , 2009, n. 124.
93
M. Rosa, Chiesa, idee sui poveri e assistenza in Ita!ia dal cinque al settecento, in «Ses»,
1980, n. 10, pp. 775-806; G. Greco, Ecclesiastici e benefici in Pisa alla fine dell’antico regime,
ivi, 1980, n. 8, pp. 299-338; E. Brambilla, Società ecclesiastica e società civlle: aspetti della
formazione del clero dal cinquecento alla Restaurazione, ivi, 1981, n. 12, pp. 299-366; Id, Per
una storia materiale delle istituzioni ecclesiastiche, ivi, 1984, n. 24, pp. 395-450; G. Greco,
Ordinazioni sacre e istituzioni ecclesiastiche in età moderna, ivi, 1983, n. 21, pp. 667-686;
A. Gardi, La fiscalità pontificia tra medioevo ed età moderna, ivi, 1986, n. 33, pp. 509-558;
M. Rosa, La «scarsella di Nostro Signore»: aspetti della fiscalità spirituale pontificia nell'età
moderna, ivi, 1987, n. 38, pp. 817-846; A. Molho,«Tamquam vere mortua». Le professioni
religiose femminili nella Firenze del tardo medioevo, ivi, 1989, n. 43, pp. 1-44; F. Rurale,
I gesuiti a Milano in età moderna. Amministrazione e finanze, ivi, 1989, n. 45, pp. 567618; M. Moroni, Reti di relazioni, rapporti di patronage, enfiteusi e benefici ecclesiastici:
l’ascesa dei Prosperi nella Marca pontificia del settecento, ivi, 1998, n. 82, pp. 745-766; G.
Chittolini, Società urbana, chiesa cittadina e religione in Italia alla fine del quattrocento,
ivi, 2000, n. 87, pp. 1-18; M. Faggioli, La disciplina di nomina dei vescovi prima e dopo
il Concilio di Trento, ivi, 2001, n. 92, pp. 221-256; A. Ferrarese, «Quia ubi non est ordo,
ibi est confusio». Gian Matteo Giberti e la ristrutturazione della proprietà ecclesiastica nella
diocesi di Verona (1524-1543), ivi, 2004, n. 103, pp. 1-50; G. Alfani, Dalle pratiche alla
norma: il Concilio di Trento e la riforma del padrinato in una prospettiva di lungo periodo,
ivi, 2005, n. 108, pp. 251-282.
92
312 Maria Antonietta Visceglia
meno alcune di esse, per la loro impostazione ascriversi al quel filone di «storia
culturale» al quale abbiamo appena fatto riferimento94.
Se queste linee contraddistinguono abbastanza la rivista, ancora maggiore è la
caratterizzazione che le imprimono le ricerche sulla storia urbana95 nelle sue
molte declinazioni, come storia dei mestieri e delle professioni96, delle strutture
sanitarie97, dei poveri assistiti e dei vagabondi98, ma anche come storia dello
S. Peyronel Rambaldi, Podestà e inquisitori nella montagna modenese. Riorganizzazione
inquisitoriale e resistenze locali (1570-1590), in «Ses», 1991, n. 52, pp. 297-328; V. Frajese,
Le licenze di lettura tra vescovi ed inquisitori. Aspetti della politica dell’Indice dopo il 1596,
ivi, 2000, n. 86, pp. 767-819; F. Barbierato, Dissenso religioso, discussione politica e mercato
dell’informazione a Venezia fra seicento e settecento, ivi, 2003, n. 102, pp. 707-758; L. Braida,
Mercato editoriale e dissenso religioso nella riflessione storiografica. Le raccolte epistolari cinquecentesche, ivi, 2003, n. 100-101, pp. 273-292; R. Savelli, Allo scrittoio del censore. Fonti
a stampa per la storia dell’espurgazione dei libri di diritto in Italia tra cinque e seicento, ivi,
pp. 293-330; P. Delpiano, Letteratura all’Indice. Per una storia della censura ecclesiastica
nel settecento, ivi, 2004, n. 105, pp. 487-530; E. Rebellato, Il miraggio dell’espurgazione.
L'indice di Guanzelli del 1607, ivi, 2008, n. 122, pp. 715-742.
95
L. Frattarelli Fischer, Livorno città nuova: 1574-1609, in «Ses», 1989, n. 46, pp. 873-894;
G. Chittolini, «Quasi città». Borghi e terre in area lombarda nel tardo medioevo, ivi, 1990,
n. 47, pp. 3-26; F. Benigno, La questione della capitale: lotta politica e rappresentanza degli
interessi nella Sicilia del seicento, ivi, pp. 27-64.
96
A.L. Forti Messina, La «disciplina degli operai» in Lombardia dopo la soppressione delle
corporazioni (1787-1796), in «Ses», 1978, n. 3, pp. 481-500; S. Adorni-Braccesi, Maestri
e scuole nella Repubblica di Lucca tra Riforma e Controriforma, ivi, 1986, n. 33, pp. 559594; G. Bigatti, Il corpo di acque e strade tra età napoleonica e Restaurazione (1806-1848).
Reclutamento, selezione e carriere degli ingegneri, ivi, 1992, n. 56, pp. 267-298; A. Carrino,
Gruppi sociali e mestiere nel Mezzogiorno di età moderna: i «massari» in un centro cerealicolo
di Terra d’Otranto (Mesagne: secoli XVI-XVIII), ivi, 1993, n. 60, pp. 231-278; S. Levati,
Negozianti e società a Milano tra ancien régime e restaurazione, ivi, 1993, n. 61, pp. 503-550;
G. Albergoni, Potere, istituzioni e mestieri letterari nella Milano della Restaurazione: alcune
considerazioni su una ricerca in corso, ivi, 2001, n. 94, pp. 679-724; G. Monestarolo, Una
chiusa élite? I negozianti-banchieri di Torino attraverso i censimenti fiscali (1734-1797), ivi,
2006, n. 113, pp. 469-518; L. Carnelos, La corporazione e gli esterni: stampatori e librai a
Venezia tra norma e contraffazione (secoli XVI-XVIII), ivi, 2010, n. 130, pp. 657-688.
97
M. Del Lungo, Aspetti dell’organizzazione sanitaria nella Genova del settecento: la cura
delle malattie veneree, in «Ses», 1983, n. 22, pp. 769-802; A.L. Forti Messina, I medici
condotti e la professione del medico nell’Ottocento, ivi, 1984, n. 23, pp. 101-162; G. Prontera,
Medici, medicine e riforme nella Firenze della seconda metà del Settecento, ivi, 1984, n. 26,
pp. 783-820; N.M. Filippini, «Il corpo violato». La pratica del taglio cesareo nell’Italia del
primo ottocento, ivi, 1988, n. 40, pp. 295-334.
98
G. Ricci, Povertà, vergogna e povertà vergognosa, in «Ses», 1979, n. 5, pp. 305-338; S.
Russo, Potere pubblico e carità privata. L’assistenza ai poveri a Lucca tra XVI e XVII secolo, ivi,
1984, n. 23, pp. 45-80; D. Lombardi, L’Ospedale dei mendicanti nella Firenze del seicento.
«Da inutile serraglio dei mendici a conservatorio e casa di forza per le donne», ivi, 1984, n.
24, pp. 289-313; F. Meneghetti Casarin, La repressione dei vagabondi alla fine del XVIII
secolo: il caso della Repubblica di Venezia, ivi, 1982, n. 18, pp. 781-830.
94
313 L’età moderna
spazio che gravita intorno alla città, dei «quadri territoriali», della genesi delle
regioni economiche, un tema – quest’ultimo – trasversale tra età moderna
e contemporanea che, in concomitanza con le iniziative editoriali di storie
regionali, la rivista ha seguito, come abbiamo già accennato, con assiduità e
rigore critico99.
Un cenno particolare merita l’importanza su «Società e storia» del dibattito
sulla sericoltura e l’industria serica100 nella formazione in Italia di «regioni economiche» interstatuali: un nodo di grande rilevanza al quale hanno dedicato
studi anche le altre riviste alle quali facciamo riferimento e che si è intrecciato
alle ricerche sulla protoindustria sull’onda della fortuna del modello formulato da F. Mendels e dal gruppo di Gottinga (Peter Kriedte, Hans Medick)
che Carlo Poni propone alla storiografia italiana all’indomani del Congresso
di storia economica di Budapest del 1982101. Il fatto che la protoindustria
rurale fosse compatibile con diverse formazioni economico-sociali dal tardo
medioevo all’avvento del capitalismo industriale permetteva una rilettura assai
interessante del rapporto città-campagna nell’Italia moderna nelle sue molte
varianti e sfumava il topos della decadenza e dell’anomalia italiana che tanti
affanni aveva causato agli storici.
5. Conclusioni. È difficile da questo primo bilancio – che dovrebbe allargarsi a
tutta la produzione storiografica attraverso le riviste – trarre giudizi generali.
Potremmo certamente dire con una qualche fondatezza che, laddove i progetti
B. Salvemini, Quadri territoriali e mercato internazionale: Terra di Bari nell’età della
Restaurazione, in «Ses», 1982, n. 18, pp. 831-876; P. Malanima, La formazione di una regione economica: la Toscana nei secoli XII-XV, ivi, 1983, n. 20, pp. 229-270; R. Pazzagli, La
circolazione delle merci nella Toscana moderna. Strade, vie d’acqua, porti e passi di barca nel
bacino dell’Arno, ivi, 2003, n. 99, pp. 1-30; Periferie e spazi periferici nella città europea del
medioevo e dell’età moderna (sec. XIV-XIX): le trasformazioni indotte dall’economia, a cura di
P. Lanaro e G.M. Varanini, ivi, 2006, n. 112 (numero monografico).
100
Sulla seta, oltre l’articolo già citato di C. Poni in «Rsi», 1976, cfr. dello stesso autore,
Misura contro misura: come il filo di seta divenne sottile e rotondo, in «Qs», 1981, n. 47, pp.
385-422; C. Zanier, La sericultura europea di fronte alla sfida asiatica: la ricerche di tecniche e
pratiche estremo-orientali (1825-1850), in «Ses», 1988, n. 39, pp. 23-52; L’importanza della
seta, in «Qs», 1990, n. 73 (sezione monografica con articoli di Claudio Zanier, Giuliana
Biagioli, Carlo Poni, Flavio Crippa); R. Tolaini, Cambiamenti tecnologici nell’industria serica: la trattura nella prima metà dell’Ottocento. Casi e problemi, in «Ses», 1994, n. 66, pp.
741-810; La seta a Milano nel Quattrocento, sezione monografica di «Ss», XXXV, 1994, n.
4; I. Fusco, La trattura della seta in Calabria: rinnovamento tecnologico e crescita tra sette e
ottocento, in «Ses», 2005, n. 109, pp. 503-540.
101
Sulla protoindustria: Protoindustria, a cura di C. Poni, in «Qs», 1983, n. 52; L. Cafagna,
Protoindustria o transizione in bilico? (A proposito della prima onda della industrializzazione
italiana), ivi, 1983, n. 54, pp. 971-984; Forme protoindustriali, a cura di C. Poni, ivi, 1985,
n. 59; F. Battistini, Un esempio di protoindustria: le prime fasi della produzione di seta nelle
campagne lucchesi del settecento, in «Ses», 1988, n. 41, pp. 535-558.
99
314 Maria Antonietta Visceglia
editoriali delle singole riviste erano molto piú decisi e riconoscibili ancora
negli ultimi decenni del secolo scorso, oggi ci appaiono molto meno distinti.
Una conclusione condivisibile dell’analisi che abbiamo condotto ci porterebbe
anche ad affermare che la produzione storiografica delle riviste conferma l’idea
di una crisi della storia sociale e il prevalere di un trend storiografico segnato
dalla straripante presenza della storia religiosa. Inoltre, pur restando fedeli alle
proprie «tradizioni», le quattro riviste storiche che abbiamo qui brevemente
analizzato hanno negli ultimi anni mostrato una piú marcata attenzione ai
modi nuovi di declinare la storia culturale – penso ancora ai saggi sull’uso
delle immagini come fonti storiche – versante sul quale vertono molti libri
recenti oltre che saggi102 – o ai temi del collezionismo, del mercato dell’arte,
dei consumi culturali che ritornano con frequenza nelle pagine dei «Quaderni
storici»103, o a quelli dei rituali104, delle rappresentazioni legate alle dinamiche
identitarie105, alla percezione delle frontiere106, alla esplorazione di territori
A. Prosperi, Giustizia bendata. Percorsi storici di un’immagine, Torino, Einaudi, 2008;
M. Firpo, Storie di immagini e immagini di storia. Studi di iconografia cinquecentesca, Roma,
Edizioni di storia e letteratura, 2010; O. Niccoli, Vedere con gli occhi del cuore. All’origine
del potere delle immagini, Roma-Bari, Laterza, 2011.
103
Cfr. Storia e musica. Fonti, consumi e committenze, a cura di A. Morelli, in «Qs», 1997,
n. 95; Committenza artistica femminile, a cura di S.F. Matthews-Greco e Gabriella Zarri,
ivi, 2000, n. 104; Consumi culturali nell’Italia moderna, a cura di R. Ago e O. Raggio, ivi,
2004, n. 115; Mercanti di quadri, a cura di L. Spezzaferro, ivi, 2004, n. 116.
104
Cfr. il numero di «Società e storia» curato da S. Levis Sullam su Risorgimento italiano e religioni politiche, 2004, n. 106; G. Vitale, Simbologia del potere e politica nella Napoli aragonese,
in «Ss», XLIV, 2003, n. 1, pp. 111-151; A. Prosperi, L’Immacolata a Siviglia e la fondazione
sacra della monarchia spagnola, ivi, XLVII, 2006, n. 2, pp. 481-510; B. Schimmelpfenning,
L’incoronazione papale nel tardo Medioevo, con uno sguardo all’«inaugurazione» di Benedetto
XVI, ivi, XLVII, 2006, n. 4, pp. 959-976; D. Carnevale, La riforma delle esequie a Napoli
nel decennio francese, ivi, XLIX, 2008, n. 2, pp. 523-552; M. Formica, Giochi di specchi.
Dinamiche identitarie e rappresentazioni Italia del Turco nella cultura italiana del Cinquecento,
in «Rsi», CXX, 2008, n. 1, pp. 5-53; R. Minuti, Comparativismo e idolatrie orientali nelle
«Cérémonies religieuses» di Bernard e Picard, ivi, CXXI, 2009, n. 3, pp. 1028-1072.
105
W. Vernon Harris, Quando e come l’Italia divenne per la prima volta Italia? Un saggio
sulla politica dell’identità, in «Ss», XLVIII, 2007, n. 2, pp. 301-322 (che si riferisce al mondo
antico); G. Cengiarotti, Politica malinconica. Note sul simbolismo imperiale, ivi, XLIX, 2008,
n. 4, pp. 1001-1037; S. Villani, Conversione e famiglia in due testi letterari del Seicento, ivi,
pp. 1039-1062.
106
Cfr. Impero e regiorni di frontiere (1879-1918), in «Rsi», CXV, 2003, n. 2; Confini e
frontiere come problema storiografico, ivi, CXXI, 2009, n. 1, e i volumi su questi temi editi
dal gruppo di ricerca «Frontiere: ceti, territori, culture nell’Italia moderna», coordinato da
Alessandro Pastore, fra cui: C. Donati, a cura di, Alle frontiere della Lombardia. Politica,
guerra e religione nell’età moderna, Milano, Franco Angeli, 2006; A. Pastore, a cura di, Confini
e frontiere nell’età moderna. Un confronto tra discipline, Milano, Franco Angeli, 2007; E.
Fasano Guarini, P. Volpini, a cura di, Frontiere di terra frontiere di mare. La Toscana moderna
nello spazio mediterraneo, Milano, Franco Angeli, 2008.
102
315 L’età moderna
storiografici di confine come il rapporto medicina-teologia e piú in generale il
ricorso alla «scienza» in età moderna107, o allo studio dell’uso dell’informazione
nei processi decisionali dell’economia108. Non è infine un caso che su questi
temi la sensibilità da subito manifestata da una rivista «piú giovane» come
«Storica» sia stata forse piú alta109.
Il problema di fondo in una rassegna della produzione storiografica non può
essere però soltanto quello dell’individuazione delle linee di ricerca e della misura del loro raccordo con la storiografia internazionale, ma deve essere anche
quello di tentare di comprendere dove va la storia come disciplina e sapere.
Da quest’ultimo punto di vista gli effetti della crisi epistemologica degli ultimi
decenni del secolo scorso sono stati devastanti.
Certamente da quasi un ventennio, un malessere diffuso rispetto allo statuto
scientifico della propria disciplina pervade gli storici. Nel 1994 in «Quaderni
storici» Carmine Ampolo curava un numero monografico che s’intitolava La
prova che si apriva con un articolo di C. Ginzburg dal titolo Aristotele, la storia, la prova110, un brillante frammento dove si dimostrava come nel pensiero
aristotelico non trovasse riscontro la contrapposizione tra retorica e prova, e
come anzi la prova fosse il nocciolo razionale della retorica. L’argomentazione
aveva come obiettivo polemico la riduzione della storia a discorso, «il cavallo
di battaglia» di quel filone antipositivista che riducendo la storia a retorica, a
testo, aveva finito con creare uno scarto insostenibile tra storia e verità. Nello
stesso anno nelle pagine di «Studi storici» Vincenzo Ferrone, Massimo Firpo,
Giuseppe Ricuperati ed Edoardo Tortarolo lamentavano la crisi di identità
complessiva del mestiere di storico attribuibile alla «ipotesi narratologica» e alla
«riduzione della conoscibilità del passato»111, ma anche ai troppi sperimentalismi nei quali la dimensione innovativa tutta giocata sul piano metodologico
non aveva corrisposto «la capacità di intercettare le grandi questioni della storiografia nazionale»112. L’anno successivo (1995), l’editoriale con cui «Storica»
Cfr. Ricerche e problemi di storia della scienza, in «Ss», XXX, 1989, n. 2; Guarigioni
mirabili: medicina e teologia tra XV e XIX secolo, a cura di G. Fiume, in «Qs», 2003, n. 112;
Oggetti di scienza, a cura di F. Favino, ivi, 2009, n. 130; Normale/patologico, sano/malato dal
medioevo al contemporaneo, a cura di L. Berlivet e M.P. Donato, ivi, 2011, n. 136.
108
Informazioni e scelte economiche, a cura di W. Kaiser e B. Salvemini, in «Qs», 2007, n.
124.
109
Per citare solo alcuni contributi sui temi sopra enunciati: M. Fantoni, Il potere delle
immagini. Riflessioni su iconografia e potere nell’Italia del Rinascimento, in «Storica», 1995,
n. 3, pp. 43-72; M. Battini, Destra/Sinistra. Linguaggi politici e idiomi culturali, ivi, 1996,
n. 4, pp. 39-81; F. Benigno, Simboli della politica. Lo strano caso del berretto della libertà,
ivi, 2009, n. 43-44-45, pp. 59-81.
110
C. Ginzburg, Aristotele, la storia, la prova, in «Qs», 1994, n. 85, pp. 5-17.
111
V. Ferrone, M. Firpo, G. Ricuperati, E. Tortarolo, Vita civile e storiografia. Contributo
per una discussione, in «Ss», XXXV, 1994, n. 1, pp. 91-98.
112
Ivi, p. 95.
107
316 Maria Antonietta Visceglia
si presentava per la prima volta al pubblico conteneva un appello contro la
frantumazione ma anche l’assunzione degli interrogativi che un orizzonte totalmente nuovo, caratterizzato dalla crisi dei paradigmi nazionali, dal risorgere
di sensi multipli di identità, dal mutamento profondo del comunicare, poneva
allo storico113. Nel 2003 nelle pagine di «Società e storia», Giorgio Chittolini
in un articolo appassionante (Un paese lontano) riproponeva radicalmente le
nuove incertezze sulla ricostruzione storica del passato114. Nel 2009 «Storica»
usciva con un numero triplo nella cui presentazione, a distanza di quindici
anni dalla sua fondazione, si ammetteva di aver sottovalutato «la mutazione
istituzionale» allora già avviata nel senso della scomposizione della dimensione
istituzionale della ricerca e la profondità del processo di declino delle storiografie nazionali115. L’iniziativa della Fondazione Istituto Gramsci crediamo si
ponga nel solco di tutte queste riflessioni.
Vedi «Storica», 1995, n. 1, pp. 7-9.
G. Chittolini, Un paese lontano, in «Ses», 2003, n. 100-101, pp. 331-354.
115
«La scala istituzionale della ricerca tende a cambiare, a crescere, a scomporsi insieme,
col chiaro effetto di una moltiplicazione delle sedi nelle quali si studia e si pubblica, nonché
di una crescente inflazione dei materiali presentati come “scientifici”. Questi processi portano inevitabilmente a nuove gerarchizzazioni delle istituzioni, dei luoghi di formazione e,
naturalmente delle riviste e delle sedi editoriali, che erano appena percepibili fino a pochi
anni fa e che ora sembrano rivelare un loro raggio di estensione dilatato dell’integrazione
europea e “mondiale”. Il declino delle storiografie nazionali è implicito in tutto questo
(specie se vissuto in Italia) e impone uno specifico sforzo di riflessione» (in «Storica», 2009,
n. 43-44-45).
113
114