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Maria Antonietta Visceglia

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STUDI STORICI RIVISTA TRIMESTRALE DELL’ISTITUTO GRAMSCI 2 APRILE-GIUGNO 2012 ANNO 53 Carocci editore Comitato di direzione Francesco Barbagallo (direttore), Andrea Giardina, Luisa Mangoni, Giovanni Miccoli, Giuseppe Petralia, Adriano Prosperi, Anna Maria Rao, Leonardo Rapone (condirettore), Nicola Tranfaglia, Giovanni Vitolo, Albertina Vittoria Comitato scientifico Tommaso Baris, Giulia Barone, Giuseppe Barone, Emanuele Bernardi, Gian Mario Bravo, Catherine Brice, Innocenzo Cervelli, Michele Ciliberto, Christopher J.H. Duggan, Vera von Falkenhausen, Roberto Finzi, Gianluca Fiocco, Massimo Firpo, Mario Liverani, Elio Lo Cascio, Fiamma Lussana, Luigi Masella, Guido Melis, Giovanni Muto, Claudio Natoli, Ottavia Niccoli, Gabriella Piccinni, Silvio Pons, Giuseppe Ricuperati, María José Rodríguez-Salgado, Donald Sassoon, John Scheid, Luciano Segreto, Francesco Somaini, Gert Sørensen, Teodoro Tagliaferri, Pierluigi Totaro, Giuseppe Vacca, Guido Verucci, Rosario Villari, Corrado Vivanti, Renato Zangheri Direttore responsabile Francesco Barbagallo Redazione Benedetta Garzarelli (responsabile), Alexander Höbel Per la selezione dei contributi da pubblicare la direzione della rivista segue il metodo della revisione tra pari basata sull’anonimato, avvalendosi dei componenti del Comitato scientifico e di esperti esterni. I contributi vanno inviati in formato word all’indirizzo e-mail della redazione. Direzione e redazione: Fondazione Istituto Gramsci onlus, via Portuense 95, 00153 Roma, tel. 06 83901670, fax 06 45530230, e-mail: [email protected] http://www.fondazionegramsci.org Amministrazione: Carocci editore spa, corso Vittorio Emanuele II 229, 00186 Roma Ufficio riviste (per abbonamenti): corso Vittorio Emanuele II 229, 00186 Roma, tel. 06 42818417, fax 06 42747931, e-mail: [email protected] Abbonamento 2012: Italia € 58,00 (singoli), € 64,00 (biblioteche e istituzioni); estero € 76,00; un fascicolo € 20,00; fascicolo arretrato € 21,00 tramite ccp 77228005 o assegno bancario intestato a Carocci editore spa Fotocomposizione: Coop. Sociale Sinnos, via dei Foscari 18, 00162 Roma Stampa: Litografia Varo, San Giuliano Terme, Pisa Distribuzione in libreria: Messaggerie libri spa, via G. Verdi 8, 20090 Assago (Mi) tel. 02 457741, fax 02 45701032 Autorizzazione del tribunale di Roma n. 6733, 10-2-1959 Finito di stampare nell’agosto 2012 dalla Litografia Varo, San Giuliano Terme (Pisa) Associato all’USPI – Unione stampa periodica italiana SOMMARIO 259 La recente storiografia italiana attraverso le riviste 263 279 317 351 Arnaldo Marcone, L’antichità e il tardoantico Maria Antonietta Visceglia, L’età moderna Leonardo Rapone, L’età contemporanea Rolando Minuti, Le riviste storiche «on-line» Interventi 369 375 382 Andrea Giardina Massimo Firpo Francesco Benigno Ricerche 391 421 Pietro Giammellaro, Biagio Pace e la Sicilia antica Paola S. Salvatori, Liturgie immaginate: Giacomo Boni e la romanità fascista Il presente come storia 439 José Manuel Azcona, Matteo Re, Dalla guerriglia a un governo democratico in Uruguay. Come i Tupamaros sono arrivati al potere Note critiche 461 Salvatore Minolfi, Vent’anni dopo: la «restaurazione imperfetta» 487 English Summaries L’ETà MODERNA Maria Antonietta Visceglia Premessa. Lo scorso anno la Società italiana per la storia dell’età moderna (Sisem) ha avviato un importante lavoro di ricognizione delle riviste che ha avuto poi come esito un documento conclusivo inviato all’Anvur, che ne ha tenuto conto nell’ambito della attuale fase di «decollo» delle procedure di valutazione della ricerca1. Non intendo entrare nel merito di questo lungo iter ma solo fare riferimento alla prima tappa di esso, cioè all’inchiesta iniziale effettuata dalla Sisem che offre una fotografia del panorama storiografico italiano cosí come si è venuto configurando attraverso le riviste. Va premesso che questa prima inchiesta non intendeva effettuare un censimento delle riviste «di storia moderna» visto che, come si chiarisce nella relazione della commissione leggibile nel sito della società – «non esistono riviste italiane il cui titolo contenga una dicitura specifica che permetta di riferire il periodico esclusivamente alla storia moderna; né nelle bibliografie nazionali (Sbn, Acnp) e internazionali (Dewey) sono in uso criteri di classificazione che prevedano la categoria «storia moderna»2 nell’accezione disciplinare. Essa piuttosto si proponeva di «includere nella lista tutte le riviste storiche, o di altre discipline, nelle quali compaiano contributi che presentino un diretto interesse per la ricerca a campo storicoumanistico»3. Come dire misurare attraverso le riviste il raggio entro il quale si colloca, mantenendo aperta una prospettiva largamente interdisciplinare, la La Commissione Sisem che ha operato sulle riviste è diretta da Guido Abbattista (Università di Trieste) e in questa fase iniziale è stata composta da Pietro Adamo (Università di Torino), Elena Bonora (Università di Parma), Andrea Zannini (Università di Udine). Le fonti dell’inchiesta sono: 1) una lista di circa 1.500 titoli di riviste storiche compilata dal dipartimento di Storia dell’Università di Torino; 2) una lista di alcune centinaia di titoli di riviste storiche redatta a cura della Giunta storica nazionale; 3) il Catalogo italiano dei periodici; 4) l’Opac Sbn. Ringrazio Guido Abbattista con il quale mi sono consultata nel redigere la premessa di questo scritto. 2 G. Abbattista, E. Bonora, P. Adamo, A. Zannini, Premessa a Riviste Italiane di Storia Moderna. Lista, a cura della Commissione Sisem per la valutazione, in www.stmoderna.it. 3 Ibidem. 1 280 Maria Antonietta Visceglia pubblicazione di articoli che concernono quella che per convenzione storiografia chiamiamo «età moderna». Con questo criterio è stata compilata una lista di oltre 400 periodici attivi: se da questo numero defalchiamo le riviste che dichiaratamente risultano essere organo di altre discipline, come ad esempio la «Rivista geografica italiana» o la «Rivista di archeologia» o gli «Studi di letteratura francese», assottigliamo la lista solo di una diecina di titoli. Si tratta quindi comunque di un dato quantitativamente molto alto, in certo senso sconcertante per la dispersione di energie e risorse che esso implica ma anche coerente con una realtà, come quella italiana, assolutamente policentrica e molto attenta alla difesa delle tradizioni di un panorama di «centri di studio», frantumato ma anche ricco e vivace. Volendo, infatti, di questo corpus di riviste individuare una tipologia, possiamo anzitutto dire che prevalgono le pubblicazioni che si riferiscono a istituzioni universitarie (gli «Annali di facoltà» o le riviste di dipartimento sono, ad esempio, 40 titoli) o scientifiche, nella loro variegata articolazione di accademie, di istituti storici che agiscono sia a livello nazionale (come l’Accademia dei Lincei o l’Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea) che decentrato. In questo ambito, assolutamente prevalente da un punto di vista quantitativo è la presenza di riviste che insistono su un territorio come organi di accademie o delle deputazioni di storia patria o di società storiche locali4 (ad esempio, i bollettini dei centri-studi cittadini). Ci sembra dunque da queste considerazioni iniziali che i primi caratteri che possiamo attribuire alla produzione storiografica italiana attraverso le riviste, stando ai dati quantitativi, sia da un lato il suo pervasivo accademismo e dall’altro il perdurare del legame originario con istituzioni nate dopo l’Unità (a parte il «periodico precursore», cioè l’«Archivio storico italiano», 1844)5, per l’edificazione con un movimento dal centro alla periferia e dalla periferia al centro, attraverso le deputazioni appunto, di un canone storico nazionale. Meno numerose le riviste tematicamente specialistiche e tra queste ultime prevalenti quelle di storia religiosa: diciassette le riviste curate dalle differenti famiglie religiose (dall’«Analecta Augustiniana» e dall’«Archivum historicum Societatis Iesu» agli «Studi storici dell’ordine dei Servi di Maria», passando per le «Ricerche storiche salesiane» o per «Memorie domenicane») alle quali bisogna aggiungere le quattro riviste delle università ecclesiastiche (la Gregoriana, la Lateranense, la Facoltà Teologica dei Minori Conventuali, la Salesiana) e ancora altre diciassette riviste di storia religiosa per un totale di trentotto riviste. 4 A. Bartoli Langeli, Le riviste storiche locali 1947-1978 (dalla «Bibliografia Storica Nazionale»), in «Quaderni storici», XVIII, 1983, n. 54, pp. 1069-1082. 5 I. Porciani, L’Archivio Storico Italiano. Organizzazione della ricerca e egemonia moderata nel Risorgimento, Firenze, Olschki, 1979, e la recensione di E. Sestan, L’«Archivio Storico Italiano» nell’età del Risorgimento, in «Rivista storica italiana», XCIII, 1981, n. 1, pp. 49-54. 281 L’età moderna A fronte di queste cifre sette riviste di storia economica (tra cui il «Journal of European Economic History» dal 1972) o del pensiero economico, sei riviste di storia della scienza – tra cui «Nuncius», attiva dal 1986 ma preesistente con il titolo di «Annali dell’Istituto e Museo di storia della scienza di Firenze» (1976-1985), «Physis. International Journal of History of Science» dal 1959, «Galileiana: Journal of Galilean Studies» dal 2004 e la «Rivista di storia della medicina» dal 1957 –, quattro di storia delle istituzioni educative, due riviste di storia dell’agricultura, due di storia urbana, una di demografia storica («Popolazione e società», che con questo titolo continua dal 2000 il «Bollettino della Società italiana di demografia storica» che aveva intrapreso le sue pubblicazioni dal 1979). Solo due anche le riviste di storia di genere: «Genesis» (la rivista della Società italiana delle storiche attiva per i tipi di Viella dal 2002) e «Storia delle donne» (presso Firenze University Press dal 2005). Tra le riviste dedicate esclusivamente alla storia della storiografia ricordiamo almeno «Storia della storiografia» (organo della Commissione internazionale di storia della storiografia del Comitato internazionale di scienze storiche, pubblicata da Jaca Book dal 1982 e dal 2012 da Fabrizio Serra editore) e «Storiografia», che con questo titolo dal 1997 subentra alla «Rivista di storia della storiografia moderna» (Pisa, 1980-1996). Diverse da quest’ultime, benché di taglio storiografico, riviste che possiamo considerare generaliste come «Cheiron», il cui sottotitolo recita appunto «Materiali e strumenti di aggiornamento storiografico» (pubblicata dal 1983), e «Storica», che nasce nel 1995 ad opera di un gruppo di storici che, dando vita ad una nuova rivista, sceglieva la formula – come si legge nella presentazione – non di offrire saggi di ricerca, né discussioni di teoria e storia della storiografia, ma «interventi sui modelli interpretativi prevalenti a partire dalla analisi delle loro concrete applicazioni»6. Poche riviste insistono su cronologie ristrette: contengono la dizione «Rinascimento» undici riviste (delle quali due in lingua inglese), tre riviste vertono come esplicita il loro titolo sulla tarda età moderna: cioè «Studi settecenteschi» (Napoli, Bibliopolis, 1981), la «Rivista di studi napoleonici» (dal 1965 quale organo del Centro nazionale di studi napoleonici) e la «Rivista napoleonica: Revue Napoléonienne» (dal 2000). Un riferimento esplicito all’Europa è nelle intitolazioni di sole due riviste: «Europa Orientalis», «Frontiera d’Europa» (Napoli, 1995), mentre ha richiamato nel suo titolo il progetto tematico che la anima la rivista «Mediterranea. Ricerche storiche» (Palermo dal 2004). Poche infine anche le recenti riviste on line tra cui «Cromohs: cyber review of modern historiography» (dal 1995), «Storia e futuro: rivista di storia e storiografia» (dal 2002) e «Giornale di storia» (dal 2009). Se facciamo astrazione, non per la loro minore rilevanza ma per ritagliarci un campo, dalle riviste emanazione di istituzioni accademiche, locali o mar- 6 Vedi «Storica», I, 1995, n. 1, pp. 7-9. 282 Maria Antonietta Visceglia catamente tematiche, constatiamo la scarsa numerosità delle riviste storiche «generaliste» significative degli orientamenti della storiografia italiana e al contempo della storiografia internazionale. Tra esse abbiamo scelto in questa rassegna – auspicando in altra sede un confronto piú ampio che tenga conto anche delle altre riviste – di selezionarne quattro, cioè «Rivista storica italiana», «Studi storici», «Quaderni storici», «Società e storia»7. Come è noto, la piú antica fra esse è «la Rivista storica italiana», fondata nel 1884 da Costanzo Rinaudo8, in una temperie politica nazionale ancora risorgimentale e in una fase di professionalizzazione del mestiere di storico in un «generale» movimento europeo di creazione di riviste storiche nazionali. Pluralismo storiografico ed erudizione attenta ma aperta caratterizzeranno sin dall’inizio il nuovo periodo. A Rinaudo, professore di storia generale alla Scuola di Guerra, tipico esponente di quella che è stata definita l’histoire bataille, stigmatizzato da Antonio Gramsci come «compilatore pedestre e lautamente stipendiato di abborracciature pedestri» («Sotto la Mole», 8 gennaio 1917), giudizio che non concerneva affatto la rivista, succederanno nel 1922 Pietro Egidi e poi nel dopoguerra, dopo cinque anni di interruzione, Federico Chabod che in certo modo la fa rinascere nel 1948 9, Franco Venturi (1960-1994)10, Emilio Gabba (1995-2005), Giuseppe Ricuperati. Alla «Rivista storica italiana» si affiancò nel 1917 la «Nuova rivista storica», fondata da Corrado Barbagallo che annoverava tra i suoi primi collaboratori – tutti anagraficamente abbastanza giovani – Ettore Rota, Gino Luzzatto (che 7 Farò uso nel corso di queste pagine delle seguenti sigle: Rsi («Rivista storica italiana»); Ss («Studi storici»); Qs («Quaderni storici»); Ses («Società e storia»). 8 Cfr. A. Baldan, Dalla storiografia di tendenza all’erudizione «etica»: la «Rivista storica italiana» di Costanzo Rinaudo (1884-1922), in «Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento», II, 1976, pp. 337-398, e su questo saggio che dava una lettura molto «ideologica» dei primi cinquant’anni di vita della rivista cfr. G. Busino, All’epoca di Costanzo Rinaudo, in «Rsi», XC, 1978, n. 4, pp. 855-858. Queste pagine apparvero nella sezione «Storici e storia» commemorando anche i novant’anni della rivista dalla sua fondazione e i trent’anni «da quando Federico Chabod le ridiede vita dopo la seconda guerra mondiale». 9 Nell’immediato dopoguerra il Comitato direttivo era composto oltre che da Federico Chabod, da Delio Cantimori, Giorgio Falco, Walter Maturi, Arnaldo Momigliano e Carlo Morandi. Sestan subentrò a Morandi morto nel 1950. Per un giudizio sugli undici volumi apparsi durante la direzione Chabod rinvio al profilo di F. Venturi, inserito nella rubrica precedentemente citata: F. Venturi, Profilo di Federico Chabod, in «Rsi», XC, 1978, n. 4, pp. 859-877. Su Sestan e la rivista cfr. F. Venturi, Ernesto Sestan e la «Rivista storica italiana». (Un inedito), in «Rsi», CVIII, 1996, n. 2-3, pp. 502-506. 10 Per una ampia analisi del mutamento intervenuto nella rivista con la direzione venturiana rinvio a G. Ricuperati, La Rivista storica italiana e la direzione di F. Venturi: un insegnamento cosmopolitico, in G. Ricuperati e L. Guerci, a cura di, Il coraggio della ragione: Franco Venturi intellettuale e storico cosmopolita, Torino, Fondazione Luigi Einaudi, 1998, pp. 243-308. Cfr. anche A. Viarengo, L’assunzione della direzione della «Rivista storica italiana» da parte di F. Venturi, in «Rsi», n. CXVI, 2004, n. 2, pp. 493-527. 283 L’età moderna ne resse poi le sorti dal 1930 al 1963), Antonio Anzillotti, Rodolfo Mondolfo: una rivista importante che esordiva in un momento cruciale della storia mondiale con un programma molto ambizioso di rifiuto della storiografia positivistica e di richiamo alla «interpretazione e intelligenza dei fatti sociali, specialmente di quelli politici, nel senso piú alto e piú comprensivo della parola»11. La rivista andò effettivamente assumendo una linea sua peculiare che la distinse dalle altre, scegliendo, pur in un intenso dialogo con la filosofia e con la cultura tedesca, di dare spazio a ricerche innovative come quelle di Luzzatto sulla storia economica delle città italiani e sugli «albori» del capitalismo o quelle di Giuseppe Pardi sulla demografia urbana o di Giuseppe Prato sulle specificità della storia economica del Piemonte. «Nume tutelare del gruppo redazionale» del periodico fu – come ebbe a scrivere Giuseppe Martini, a cinquant’anni dalla fondazione della rivista, in un saggio di bilancio – Gaetano Salvemini12. Non stupisce che, pur nelle temperie del fascismo, la «Nuova rivista storica» divenisse, come è stato rilevato, uno spazio culturale aperto allo studio della rivoluzione francese e alla collaborazione con la storiografia d’oltralpe13. Molto piú giovane «Studi storici», fondata nel 1959 all’interno di un progetto politico di superamento della crisi della storiografia marxista degli anni Cinquanta – che peraltro in quegli anni andava esaurendo alcune esperienze (vedi «Movimento operaio», «Società») – e di verifica storiografica dei nodi dell’analisi gramsciana. Come Gastone Manacorda, che della rivista era stato il primo direttore, avrebbe ricostruito nell’Indice dei primi venticinque anni del periodico, «Studi storici» nacque come trimestrale dell’Istituto Gramsci che era parte della struttura del Comitato centrale del Pci14 e che soltanto nel 1984 si trasformò in fondazione. La Redazione, Il nostro programma, in «Nuova rivista storica», I, 1917, n. 1, p. 2, e ancora, chiarendo che non si trattava, in un panorama già affollato, di far posto a una nuova rivista ma a una nuova proposta: «Il nostro programma vuol essere un po’ diverso da quello comune alle altre riviste storiche […]. Noi crediamo fermamente che quella forma di attività intellettuale, che si dice storia, non possa sottrarsi ad alcun contatto con la restante vita e cultura. Storia è riviviscenza e rappresentazione di tutte le forme del fatto sociale. Nulla quindi per noi di piú biasimevole degli scarsi rapporti che la nostra storiografia mantiene con quelle discipline che ne costituiscono quasi la sostanza stessa, e che sono in grado di darle la visione e l’intelligenza delle forze operanti nella società umana: l’economia, il diritto, la religione, la geografia, la letteratura, la filosofia…» (ivi, passim). Su Barbagallo cfr. W. Maturi, Corrado Barbagallo, in «Rsi», LIV, 1952, pp. 460-462. Sulla rivista: A. Casali, Storici italiani fra le due guerre. La «Nuova rivista storica» (1917-1943), Napoli, Guida, 1980. 12 G. Martini, Cinquant’anni, in «Nuova rivista storica», LI, 1967, n. 1-2, pp. 1-14. Gli indici della rivista relativi al periodo 1917-1966 furono pubblicati nel 1977. 13 A.M. Rao, Lumi Riforme Rivoluzione. Percorsi storiografici, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2011, pp. 123-145. 14 G. Manacorda, Nascita di una rivista di tendenza, in «Ss», Indice 1959-1984, a cura di G. Bruno e A. Vittoria, premessa di F. Barbagallo, 1985, p. X. Sugli avvicendamenti negli 11 284 Maria Antonietta Visceglia Il quadrimestrale «Quaderni storici delle Marche» – questo il titolo originario dei successivi «Quaderni storici» – uscí per la prima volta nel 1966 (siamo all’indomani del Congresso internazionale di scienze storiche tenutosi a Vienna)15 ad Ancona presso l’istituto di Economia con in apertura il celebre saggio di Fernand Braudel sulla lunga durata pubblicato per la prima volta nelle «Annales» nel 195816. Ancora piú giovane «Società e storia» che intraprende le sue pubblicazioni come rivista trimestrale nel 1978. 1. Periodizzazione. Precisiamo che in questa relazione faremo riferimento alle quattro riviste indicate per l’ultimo trentennio a partire dal 1978 fino ad oggi. Questa periodizzazione può essere giustificata considerando gli anni Settanta una fase particolarmente intensa di riflessione sulla storiografia e in particolare di ripensamento di oggetti e metodi della modernistica. Intanto all’interno dello stesso panorama delle riviste si assisteva ad un riposizionamento di alcune di esse o ad un significativo arricchimento dei contenuti. Nel 1970 i «Quaderni storici delle Marche» uscivano col nuovo titolo di «Quaderni storici» con una Nota al lettore di Alberto Caracciolo e Pasquale Villani che motivavano il mutamento del titolo con «l’ampliamento dell’area di ricerca» e con il rinnovamento della redazione. In quattro paginette i due condirettori ribadivano la scelta metodologica non solo di aprire ai rapporti interdisciplinari con economia, sociologia, demografia, diritto, ma anche di privilegiare analisi e comparazioni tra diverse situazioni italiane e tra situazioni italiane e non, e centrando sulla età moderna ma in una prospettiva di lungo periodo, l’unica considerata idonea a cogliere i fenomeni profondi della vita sociale di un paese come l’Italia17. Seguiranno i numeri 20 e 22 di «Quaderni storici» con un signi- organi direttivi della rivista fino all’attuale direzione assunta da Francesco Barbagallo nel 1983, dopo le dimissioni di Rosario Villari che aveva coadiuvato Manacorda nel Comitato direttivo dal 1964 e che la aveva quindi diretta, insieme ad altri studiosi dal 1967 al 1973 e come direttore dal 1975 al 1983: cfr. B. Garzarelli, Nota introduttiva, in Indice 1985-2009, a cura di B. Garzarelli e A. Höbel, premessa di F. Barbagallo, 2010, pp. IX-XI. 15 Al dibattito sul XII Congresso faceva riferimento A. Caracciolo nel suo articolo di apertura di «Qs», Dell’«acculturation» e di alcuni nuovi indirizzi di ricerca, I, 1966, n. 1, pp. 49-57. 16 F. Braudel, Storia e Scienze Sociali: il «lungo periodo», ivi, pp. 5-48. 17 A.C., P.V., Al Lettore, in «Qs», I, 1970, n. 5, pp. 5-8. «Da queste considerazioni discendono alcune caratteristiche di lavoro alle quali i Qs – una volta fissato il loro interesse preminente sulla storia delle strutture e realtà sociali proprie del passaggio al mondo moderno – intendono informarsi: analisi e comparazione di situazioni diverse all’interno d’Italia o fuori; arco temporale lungo che pur centrato sulla classica “età moderna” non disdegni né la storia contemporanea né i richiami al Medioevo; richiesta insistita di rapporti interdisciplinari verso economisti, sociologi, giuristi, demografi, geografi ecc.; allestimento di fascicoli il piú possibile omogenei, nel senso che ruotino intorno ad un nucleo monografico». 285 L’età moderna ficativo dibattito sugli studi di storia contemporanea nel quale Ernesto Galli della Loggia, Raffaele Romanelli, Roberto Vivarelli replicarono a Caracciolo e Villani che avevano parlato di «cronachismo» e «filologismo» come limiti di studi contemporaneistici che non superavano l’ambito politico/partitico. Non ci proponiamo di ripercorrere quella discussione, ma ci pare interessante sottolineare che nello stesso numero (22, gennaio-aprile 1973) venisse tradotto l’articolo di Eric Hobsbawm, From Social History to the History of Society18: un contributo fondamentale per comprendere non solo la centralità dell’opzione «storia sociale» nella cultura storiografica italiana degli anni Settanta ma anche le ambiguità dell’etichetta in questione. Hobsbawm sottolineava come l’espressione «storia sociale» fosse nell’uso che se ne faceva non solo riferito alla storia dei poveri, degli emarginati, ecc., ma anche alla storia della vita quotidiana, o usato congiuntamente a quella di «storia economica» e, in questo caso, «la componente economica della combinazione era largamente prevalente»19. Aggiungeva lo storico inglese: «La storia sociale non potrà mai essere una specializzazione come quella economica o altre, dato che il suo oggetto non può essere isolato»20. Spiegava con questa e con altre ragioni la sua preferenza per la dizione «storia della società», della quale individuava un modello operativo: «Partendo dall’ambiente materiale e storico, si passa alle forze e alle tecniche produttive (con la demografia collocata in qualche posizione intermedia), alla struttura economica che ne consegue e ai relativi rapporti sociali. A ciò può far seguito l’analisi delle istituzioni e dell’immagine e del funzionamento della società che sono alla base di quelle istituzioni»21. Questo era il piano di lavoro che Hobsbawm offriva alla discussione per una «storia della società ancora in costruzione». Il riferimento al saggio dello storico inglese tradotto in «Quaderni storici» negli anni in cui la rivista apriva una riflessione critica sul suo profilo ci è parso pertinente anche per introdurre il manifesto programmatico con il quale nel 1978 veniva fondata «Società e storia», ad opera di studiosi che si collocavano essenzialmente tra Milano (Franco della Peruta, Giorgio Chittolini, Carlo Capra, Luigi Faccini) e Pisa (Mario Mirri, Mario Rosa, Franco Bonelli). Si legge nell’editoriale del primo numero: Il titolo che abbiamo scelto per questa rivista sembra contenere un riferimento alla storia sociale: in realtà non è un caso che si sia deciso di preferire piuttosto una espressione come «Società e storia». Diciamo subito quindi, che noi intendiamo fare piuttosto storia della società e con questo non riteniamo di coltivare una disciplina a sé stante, una E.J. Hobsbawm, Dalla storia sociale alla storia della società, in «Qs», IV, 1973, n. 22, pp. 49-86. 19 Ivi, p. 51. 20 Ivi, p. 56. 21 Ivi, p. 67. 18 286 Maria Antonietta Visceglia branca specialistica della storia allo stesso titolo della storia economica o della storia religiosa, ma semplicemente un tipo di ricerca storica che tenda a ricondurre all’unità di un processo globale tutte le linee e tendenze di sviluppo individuabili attraverso le diverse ricerche specialistiche. È significativo che in questa direzione si muovano studiosi di formazione cosí diversa come Eric Hobsbawm e Otto Brunner…22. A questa enunciazione seguivano una chiara presa di distanza rispetto sia alla storiografia etico-politica sia a «quel particolare tipo di storiografia marxista che in Italia ne ha preso il posto, soprattutto nel settore contemporaneistico, rinnovando gli oggetti assai piú che i metodi di ricerca», e anche l’espressione di un certo disagio rispetto alla lunga durata, ai lunghi cicli agrari, all’impostazione neo-malthusiana. Se consideriamo questi dibattiti possiamo fondatamente considerare gli anni Settanta un momento periodizzante: la fase del distanziamento della modernistica da una storiografia ideologica all’interno di un processo di scomposizione del rapporto politica-ricerca storica. Questa divaricazione, come analizzava Luigi Masella in un penetrante saggio pubblicato nel 1979 per i tipi della De Donato dal titolo Passato e presente del dibattito storiografico. Storici marxisti e mutamenti della società italiana (1955-1970), si traduceva in una sempre piú marcata dicotomia tra storia moderna e contemporanea23; a livello storiografico ad essa non era estraneo, come abbiamo già accennato, il complesso rapporto della storiografia italiana con le altre storiografie europee e con il modello allora egemone delle «Annales» (le «Annales» post-braudeliane). Non è un caso che proprio alla fine degli anni Settanta appaiano contemporaneamente due volumi ad opera di autori di indirizzi tra loro diversi che si propongono di fare il punto sulla storiografia francese e sulle sue proposte: ci riferiamo a La nascita della Storia sociale in Francia. Dalla Comune alle Annales di Luciano Allegra e Angelo Torre (Torino, Fondazione Luigi Einaudi, 1977) e a Storiografia francese di ieri e di oggi di Marina Cedronio, Furio Diaz e Carla Russo (Napoli, Guida, 1977) con introduzione di Mario Del Treppo. Altra precisazione preliminare concerne il modo di intendere i confini cronologici dell’epoca storica di riferimento: un tema enorme, che meriterebbe da solo un convegno, giacché le ripartizioni si sono andate definendo in precisi momenti del processo di formazione della storia come scienza e disciplina e hanno registrato slittamenti e problematizzazioni. L’insoddisfazione verso la tradizionale ripartizione 1492-1815 è abbastanza diffusa tra i modernisti e anche la consapevolezza dell’urgenza di aprire un dibattito sul primo Ottocento fino all’Unità. Qui proporremo comunque un’ampia età moderna dalla seconda metà del Quattrocento alla prima metà dell’Ottocento intendendo sia Vedi «Società e storia», I, 1978, n. 1, pp. 5-7. L. Masella, Passato e presente nel dibattito storiografico. Storici marxisti e mutamenti della società italiana (1955-1970), Bari, De Donato, 1979, p. LXVIII. 22 23 287 L’età moderna la fase «iniziale» (la seconda metà del XV sec.) sia quella «terminale» (la prima metà del XIX secolo) come terreno condiviso rispettivamente con medievisti e contemporaneisti, intreccio che può essere una risorsa preziosa per uno scambio piú attivo con le discipline storiche contigue, anche se l’Ottocento appare rispetto al fenomeno della «novecentizzazione» della storia contemporanea un periodo sempre meno praticato dai contemporaneisti. 2. Architettura dei periodici. Inizieremo il nostro breve esame comparativo tra le quattro riviste selezionate cominciando, come hanno suggerito attraverso la proposta di una precisa griglia di analisi gli organizzatori dell’incontro, dal confronto della loro struttura, segnalando anche eventuali cambiamenti intervenuti nel corso del trentennio considerato. La «Rivista storica italiana» presenta una struttura molto articolata: si apre con alcuni articoli di ricerca senza che questa sezione abbia necessariamente una intitolatura (ha comunque un titolo quando ha un carattere monografico)24, una sezione «Studi e ricerche», una «Problemi e discussioni» e anche «Rassegne», «Storici e storia», che contiene puntuali e vivaci profili individuali italiani e stranieri (Luigi Salvatorelli, Nino Valeri, Henry Guerlac, Eric Cochrane, Witold Kula, Ernst Kantorowicz, Rosario Romeo, Giovanni Tabacco, Alessandro Galante Garrone…), «Appunti e documenti» e un’ampia rubrica di recensioni. Non tutte queste sezioni ricorrono in ogni numero ma esse costituiscono in generale il ventaglio con cui la rivista propone il suo materiale. Vi sono, naturalmente, numeri o sezioni di numeri dedicati a storici impegnati nella rivista in occasione della loro scomparsa: cosí il secondo numero del 1988 ad Arnaldo Momigliano, il 2-3 del 1996 a Franco Venturi, guida della rivista per un lungo periodo, al quale si dedicherà ancora nel decennale della morte un’ampia sezione del terzo numero del 2004 con un prolungamento nel 2005/1, gli interventi su Marino Berengo nel 2001/3, su Angelo Ara e su Giorgio Spini nel 2007. 24 Nel decennio 1978-1987 abbiamo registrato due sezioni monografiche (XCV, 1983, n. 3, sulla storiografia dei Paesi Bassi, e XCVI, 1984, n. 3, Problemi di religione romana). Nel decennio 1988-1997 nessun titolo monografico (a parte il CVIII, 1996, n. 2-3, su Franco Venturi). Nel decennio 1998-2007 si ricorre otto volte all’approccio monografico: il numero su Pubblica opinione e intellettuali dall’antichità all’Illuminismo, (CX, 1998, 1); una sezione sull’opera di Arnold H.L. Heeren nel CXI, 1999, 3; il CXII, 2000, 2 su Il monumento: arte e storia; il CXIV, 2002, 3, su Catastrofi naturali, rivoluzioni, eventi epocali nella scansione della storia antica; il CXV, 2003, 2: Imperi e regioni di frontiera (1870-1918); il CXVI, 2004, 3: Franco Venturi (1994-2004). In Memoriam; il CXVII, 2005, 1: Alle origini della Compagnia di Gesú; il CXVII, 2005, 3: L’iconografia come problema storiografico (con un prolungamento nel CXVIII, 2006, 2). Nell’ultimo triennio registriamo nel CXX, 2008, 2, una sezione monografica intitolata Nuovi sguardi sul libertinismo europeo e nello stesso anno (n. 3) Gli storici e l’archivio dell’Inquisizione; nel CXXI, 2009, 1: Confini e frontiere come problema storiografico; nel CXXII, 2010, 2: Frammenti di una storia del mondo. «Risorgimento latino-americano». 288 Maria Antonietta Visceglia Non molto distante la struttura esterna di «Studi storici» articolata in «Ricerche», «Rassegne», «Opinioni e dibattiti», «Cronache», «Note critiche». Riflette piú direttamente il carattere militante della rivista una rubrica come «Il presente come storia»25. Il taglio monografico appare piú frequente in «Studi storici» rispetto alla «Rivista storica italiana»: dal 1978 all’87 abbiamo registrato nove sezioni monografiche delle quali due di storia moderna26; tredici dal 1988 al 1997 delle quali cinque di storia moderna27; e ancora tredici dal 1998 al 2007 Ci sembra significativo riportare a titolo di esempio alcuni contenuti di questa rubrica: A. Guerra, Qualche riflessione sul ’56 ungherese, in «Studi storici», XX, 1979, 1, pp. 111-128; S. Cohen, Riformismo e conservatorismo in Unione sovietica,1953-1979, XX, 1979, 3, pp. 565584; P. Spriano, Le riflessioni dei comunisti italiani sulle società dell’Est e il «socialismo reale», XXIII, 1982, 1, pp. 51-74; F. Barbagallo, Potere politico ed economia assistita nel Mezzogiorno repubblicano, XXX, 1989, 1, pp. 43-52; N. Tranfaglia, Sulle cause e sui misteri del terrorismo in Italia, XXX, 1989, 3, pp. 565-578; A. Agosti, Tradizione comunista e «modernizzazione». A proposito di un intervento su Togliatti, XXXII, 1991, 2, pp. 275-286; F. Barbagallo, G. Bruno, Problemi dello sviluppo e ceto politico nel Mezzogiorno di fine Novecento, XXXVI, 1995, 1, pp. 233-242; M. Massari, Segreto e potere nella Sacra Corona unita, XXXVIII, 1997, 4, pp. 1031-1050; F. Barbagallo, Il doppio Stato, il doppio terrorismo, il caso Moro, XLII, 2001, 1, pp. 127-138; Id., Franco de Felice e il progetto della «Storia dell’Italia repubblicana», XLII, 2001, 2, pp. 339-366; Id., Il mondo dopo il 1989, XLVII, 1, 2006, pp. 109-114; A. Brazzoduro, Una storia di Stato? Leggi, memoriali, religione civile, conflitto, XLVII, 2006, 2, pp. 405-422; B. Schimmelpfenning, L’incoronazione papale nel tardo Medioevo, con uno sguardo all’«inaugurazione» di Benedetto XVI, XLVII, 2006, 4, pp. 959-976; S. Minolfi, Ideologie imperiali e nuovi sistemi di relazioni mondiali, XLVIII, 2007, 3, pp. 711-732. 26 Cioè: nel XX, 1979, 3, Il Dibattito sulle origini del capitalismo; nel XXIV, 1983, 3-4, per il centenario di Marx, Karl Marx 1883-1983; nel XXV, 1984, 1, Louis Gernet e l’antropologia della Grecia antica; nel XXV, 1984, 2, I periodici d’Ancien Régime come problema storiografico; nel quarto fascicolo dello stesso anno, Sacrificio, organizzazione del cosmo, dinamica sociale; nel XXVI, 1985, 1, Classe operaia e organizzazione del lavoro; nel secondo fascicolo dello stesso anno, Economia monastica: i Cistercensi e le campagne; nel XXVII, 1986, III, Giustizia e reati sessuali nel Medioevo, e nel XXVIII, 1987, 4, Industria elettrica e movimenti di capitali in Europa. 27 Cioè: nel XXIX, 1988, 2, Istituzioni giudiziarie, criminalità e storia; nel XXX, 1989, 4, La Rivoluzione Francese e l’Italia; nel XXXI, 1990, 1, una sezione monografica di Contributi alla storia del PCI (1945-1956); i fascicoli secondo e terzo del XXXIII, 1992, 1892-1992. Il Movimento socialista e lo sviluppo in Italia; nel XXXIV, 1993, il fascicolo 2-3 su Storia russa e storia sovietica nella «Perestrojka»; il fasc. 4 dello stesso anno su Delio Cantimori. Gli eretici del Cinquecento e la crisi europea tra le due guerre; nel XXXV, 1994, 4, la sezione monografica su La seta a Milano nel Quattrocento; nel XXXVI, 1995, 1, La storiografia spagnola dal secolo d’oro alla Rivoluzione liberale; nel XXXVII, 1996, 1, Italia, Europa, America. L’integrazione internazionale dell’economia italiana (1945-1963); nel XXXVII, 1996, 2, Il tempo di Federico II; nel XXXVIII, 1997, 1, Per il centenario di Jacob Burckhardt; nel XXXVIII, 1997, 3, Nel ricordo di Franco de Felice e nel XXXVIII, 1997, 4, Pubblico e privato nella storia americana novecentesca. 25 289 L’età moderna delle quali solo una di storia moderna28. In questo ultimo decennio «Studi storici» dedica solo un numero monografico alla modernistica, quello sulle insorgenze, dal momento che «Guerra santa e guerra giusta» (2002/3), un tema che pure si prestava ad un forte apporto dei modernisti, ha un approccio antichista e «Società e nazione nella Russia moderna e contemporanea» ha solo due contributi di modernisti. Infine, al contrario, tre sono i numeri monografici degli ultimi due anni, dei quali uno di storia moderna. «Quaderni storici» adotta programmaticamente o una corposa sezione monografica o due meno ampie all’interno di una struttura che può essere articolata anche in «Ricerche», «Discussioni e letture», «Aggiornamenti», «Ricerche e fonti», «Storie d’oggi». Quest’ultima rubrica, dedicata (citiamo rapsodicamente) a temi quali i programmi universitari di storia (1979), il mercato del libro di storia (1980), la diffusione estera delle riviste di storia italiane (1981), il finanziamento della ricerca storica (1982, 1984, 1986), i dottorati di ricerca (1983), i concorsi universitari (tra fine anni Ottanta e primi anni Novanta), i settori scientifico-disciplinari di storia (1995), è andata rarefacendosi nella seconda metà degli anni Novanta e nel primo decennio del 2000. Registriamo infatti solo tre interventi nel 2001 (n. 106), nel 2005 (n. 119), nel 2009 (nel n. 132 su Barbarossa e la lega Nord). Infine «Società e storia» scandisce i suoi contributi in una sezione miscellanea di ricerca, in una sezione «Orientamenti e dibattiti», e in «Beni culturali e organizzazione della ricerca». Quest’ultima rubrica – che è anche una delle caratteristiche della rivista nel suo primo decennio – rispecchia una realtà accademica precisa quale era il Dipartimento di storia e scienze della documentazione dell’Università di Milano e piú in generale è significativa di come il problema del funzionamento di archivi e biblioteche e dello stato del patrimonio artistico fosse già allarmante alla fine degli anni Settanta (la rubrica «Beni culturali» nasceva dalla volontà di farne uno strumento di denuncia delle condizioni spesso drammatiche in Italia del lavoro scientifico e didattico), anche se forse era difficilmente prevedibile il ritmo con il quale sarebbe ulteriormente peggiorato fino al punto in cui siamo. La rubrica «Beni culturali» concerne fonti soprattutto 28 Cioè: nel XXXIX, 1998, 2, Le insorgenze popolari nell’Italia rivoluzionaria e napoleonica; nel fasc. 4 sempre del 1998, Doppia lealtà e doppio stato nella storia della Repubblica; nel XL, 1999, 2, I cistercensi nell’Italia delle città; nel XLI, 2000, 1, Tra passato e presente. L’impegno di Jean-Pierre Vernant; nello stesso anno il fascicolo terzo: Ebrei italiani, memoria e antisemitismo, e nel fasc. 4, Vita religiosa e società tra XII e XIII secolo; nel XLIII, 2001, 3, Società e nazione nella Russia moderna e contemporanea, e nel fasc. 4 dello stesso anno: L’Italia repubblicana negli anni Settanta; nel XLIII, 2002, 3, Guerra santa e guerra giusta dal mondo antico alla prima età moderna; nel XLIV, 2003, 3-4, Gastone Manacorda: storia e politica; nel XLV, 2004, 1, Gli spazi del tardo antico; nel XLVI, 2005, 1, Tecnocrazia e zona grigia: Iri, Ice e Deltec nella ricostruzione degli aiuti postbellici in Italia (1943-1950); nel XLVII, 2006, 2, Ricordo di Pierre Vidal-Naquet. Ricostruzioni di una Repubblica. 290 Maria Antonietta Visceglia relative ai temi «nuovi» di storia sociale che la rivista si propone di trattare, come storia della medicina e della psichiatria, ma dà anche notizie su depositi archivistici interessanti e poco noti (ad esempio archivi di società industriali, archivi di famiglia, archivi di comuni), offre rassegne e puntualizzazioni sulla legislazione relativa ai beni archivistici. Si fa comunque piú sporadica nella seconda metà degli anni Novanta (segnaliamo tuttavia due interventi di Andrea Del Col nei numeri 75 e 76 del 1997 sulle fonti inquisitoriali) quando compare una nuova rubrica, il «Mestiere di storico». La formula monografica è adottata abbastanza tardi da «Società e storia», cioè nell’ultimo decennio29, ma dobbiamo aggiungere che la rubrica «Orientamenti e dibattiti» assume spesso la configurazione di una discussione a piú voci intorno a un tema storiografico o ad un’opera di grande rilevanza. In conclusione, appare comune alle riviste analizzate l’esigenza di equilibrare ricerche e bilanci storiografici, aggiornamenti e interventi puntuali su temi che concernono l’organizzazione e la pratica della ricerca: la formula monografica, che è una scelta originaria di «Quaderni storici» , pare imporsi maggiormente negli ultimi anni anche se non in modo generalizzato. Un altro carattere comune alle riviste è l’attenzione (soprattutto nel crinale tra gli anni Ottanta e Novanta) alla politica di reclutamento accademico, alle questioni dell’insegnamento e dell’uso della storia che ha un notevole spazio, soprattutto ad opera di Giuseppe Ricuperati, anche sulla «Rivista storica italiana». Due parole sulle recensioni, vocabolo che sembra ricoprire forme molto varie di intervento. La «Rivista storica italiana» dedica un’ampia sezione finale a recensioni puntuali, in media (è un calcolo impressionistico) quattro cartelle per volumi di storia dall’età antica all’età contemporanea, ma recensioni piú comparative e problematizzanti possono essere inserite nella rubrica «Rassegne» o diventare saggi importanti nella sezione iniziale della rivista, come il lungo articolo di A. De Maddalena, Vespri e mattutino in una società preindustriale. Un saggio fondamentale sulla Lombardia spagnuola e qualche divagazione feudalistica (1981/3), che è un ripensamento di un tema nodale della modernistica attraverso la discussione del libro di Domenico Sella uscito in inglese nel 1979. «Quaderni storici» non fa recensioni, analizza però alcuni libri nella rubrica «Discussioni», a volte a piú voci: cosí il libro di Marzio Barbagli sulla famiglia in Italia è discusso nel 1986 da Giovanni Levi, Carlo Gatti, Angiolina Arru; Christianity in the West di John Bossy è commentato da Adriano Prosperi e Angelo Torre30. Nel 1988 c’è un dibattito sulla Storia moderna di Prato aperto dagli interventi di Giovanni Levi e Luciano Allegra e seguito da quelli di EleVedi «Ses»: n. 90 (2000): Le fondazioni culturali in Italia origini storiche e primi sviluppi istituzionali, a cura di G. Gemelli; n. 106 (2004): Risorgimento italiano e religioni politiche, a cura di S. Levis Sullam; n. 112 (2006): Periferie e spazi periferici nella città europea del Medioevo e dell’età Contemporanea, secoli XIV-XIX, a cura di P. Lanaro e G.M. Varanini. 30 A. Prosperi, A. Torre, Discussioni, in «Qs», 1987, n. 66, pp. 961-986. 29 291 L’età moderna na Fasano-Guarini e Enrico Stumpo, nel 1995 ritroviamo la discussione del libro di Edward Muir su faida e vendetta nel Friuli della prima età moderna, nel 1996 quella sul volume di Jaime Contreras y Contreras su Sotos contra Riquelmes, nel 1998 è discusso Genealogie incredibili di Roberto Bizzocchi, nel 1999 Tribunali della coscienza di Adriano Prosperi, nel 2007 il volume su Leone l’Africano di Natalie Zemon Davis, nel 2010 il libro di Sandra Cavallo Artisans of the Body in Early Modern Italy. Una peculiarità di «Quaderni storici» sono infine le «pagine azzurre» rapide ma utili notizie di congressi, descrizioni di cantieri di lavoro e di iniziative in itinere. Anche «Studi storici» non fa recensioni tradizionali ma note critiche che non hanno un taglio descrittivo ma problematico e comparativo. «Società e storia» inserisce nella rubrica «Orientamenti e dibattiti» la discussione di volumi particolarmente significativi a volte anche a piú voci: cosí nel 1980 Paolo Malanima, Cesare Mozzarelli e Claudio Donati discutono il volume degli Annali Einaudi dal feudalesimo al capitalismo e nel 1988 Sofia Boesch Gaiano, Gigliola Fragnito, Roberto Bizzocchi e Dino Pastine il volume IX degli stessi Annali su Chiesa e potere politico. Nello stesso anno è oggetto di dibattito attraverso la rivista il volume relativo alla Toscana della Storia d’Italia. Le regioni dopo l’Unità (uscito nel 1986) e parallelamente nel 1990 la rivista prende la stessa iniziativa per la storia della Puglia. Nel 1995 una parte consistente del volume 97 è dedicato alla discussione dei volumi di Edoardo Grendi (Il Cervo e la Repubblica, 1993) e di Osvaldo Raggio (Faide e parentele, 1990) nell’ambito piú generale della revisione della categoria di Stato moderno attraverso l’approccio microstorico. Nel 1994 si pubblica un dossier intorno a The Family Romance of the French Revolution (University of California Press, 1992), nel 1998 si discutono il libro di Alberto M. Banti Storia della borghesia italiana e i Tribunali della coscienza di Adriano Prosperi, nel 1999 Gian Maria Varanini, Paola Lanaro e Giovanni Chiodi intervengono sul volume di Claudio Povolo, L’intrigo dell’onore, nel n. 92 del 2001 si discute L’Europa delle Città di Marino Berengo, nel n. 93 vi sono due interventi di Michel Vovelle e Marco Meriggi su Specchi della Rivoluzione di Franco Benigno e nel n. 94 un ampio dibattito su Daniel Roche, Ville promise mobilité et accueil à Paris du XVIe au XIXe siècle (Fayard, 2000). Nel 2002 il volume di Carlo Capra I progressi della Ragione. Vita di Pietro Verri è discusso da Marcello Verga, Bartolo Anglani e Giuseppe Ricuperati. Nel 2010, n. 127, una ampia sezione «Orientamenti e dibattiti» è dedicata al tema emigrazione-immigrazione. Questa rubrica, certamente vivace, appare dunque seguire nel corso del tempo anche una linea precisa: la storia regionale, urbana, dell’emigrazione sono i temi ricorrenti, in coerenza, come vedremo tra poco, con le linee generali della rivista. Questi cenni sono solo descrittivi e certamente insufficienti. Resta da interrogarsi se le riviste italiane abbiano o meno consentito attraverso lo strumento delle recensioni non solo di poter seguire i percorsi della storiografia italiana 292 Maria Antonietta Visceglia nei loro esiti fattuali, ma anche di discuterne criticamente le implicazioni teoriche e gli approcci metodologici gerarchizzando in certo modo, attraverso le recensioni, i prodotti storiografici. Un’altra questione concerne la capacità attraverso le recensioni di rendere conto della produzione straniera e con quali criteri: una risposta implicherebbe però uno spoglio sistematico delle recensioni dei libri che ci auguriamo possa essere compiuta ma che non è al momento disponibile. 3. Cronologie. Dal nostro punto di vista si tratta di rispondere alla domanda: quale spazio si ritaglia la storia moderna in queste riviste generaliste? È impossibile fare calcoli statistici di estrema precisione per la stessa ambiguità e non rigida definizione della cronologia che corrisponde alla «storia moderna», ma con una ragionevole approssimazione possiamo dire per la «Rivista storica italiana» che nel primo decennio considerato 1978-1987 circa il 60% dei contributi è di storia o di storiografia modernistica, percentuale che ritorna nel decennio successivo e si riduce leggermente (57%) nel decennio 1998-2007. Ricordiamo che nella direzione della rivista negli anni Ottanta prevalevano gli storici modernisti (Aldo De Maddalena, Furio Diaz, Giuseppe Galasso, Ernesto Sestan, Giorgio Spini, Franco Venturi, Angelo Ventura, Giuseppe Giarrizzo), anche se è difficile dare una definizione cosí «stretta» a storici come Sestan, Galasso, Spini, Giarrizzo31. Facendo riferimento allo stesso calcolo per «Studi storici» constatiamo che gli articoli di storia moderna rappresentano il 30,52% degli articoli (escluse le recensioni) pubblicati dalla rivista nel decennio 1978-1987, la medesima percentuale è del 25,49% nel decennio successivo e del 28,11% nel 1998-2007. In «Società e storia» gli articoli di storia moderna sono il 58% del materiale pubblicato nel 1978-87, il 42% nel 1988-1997, il 52,78 % nel 1998-2007. Piú complicato sarebbe questo calcolo per «Quaderni storici» per il taglio monografico e trasversale che la contraddistingue. Può essere però utile richiamare quanto a questo proposito scrivevano nel 1999 in occasione dei «Cento numeri» da un lato uno dei fondatori della rivista, Alberto Caracciolo, dall’altro un osservatore esterno e prestigioso come Chris Wickham. Nelle ultime pagine del suo bilancio intitolato La prima generazione, ragionando sulle scelte epocali (intendiamo di periodo) della rivista, Caracciolo ricordava come nell’81 si giunse a decidere la nascita di uno specifico gruppo medievistico che divenne importante nel profilo della rivista ma quest’opzione di apertura verso il Medioevo, e d’altro lato la ricorrenza nei numeri di temi di storia contemporanea, non mutarono la centralità della modernistica, rammentando come nel corso degli anni Ottanta «su undici direttori ben otto [fossero] 31 All’indomani della scomparsa di Franco Venturi la direzione della rivista era composta da G. Arnaldi, P. Cammarosano, L. Cracco-Ruggini, A. De Maddalena, F. Diaz, E. Gabba, G. Galasso, G. Giarrizzo, G. Ricuperati, G. Spini, L. Valiani, A. Ventura, R. Vivarelli. 293 L’età moderna docenti di storia moderna» e come la predilezione di «Quaderni storici» per la modernistica andasse intesa in senso «sostanziale» e non «nominalistico». Spiegava Caracciolo: Dunque il prius modernistico al quale «Quaderni storici» si rivolge non riguarda le partizioni epocali classiche, scolastiche a cominciare dal fatale 1492 e dal discrimine che la vulgata usa fissare appunto tra il Medioevo e l’età moderna. Anzi, discioglie molte barriere artificiose nella visione di un blocco di lungo periodo confluendo nel medesimo risultato che suggeriscono le opzioni di storia sociale32. Torna il nodo della storia sociale, sul quale abbiamo già richiamato l’attenzione, ma restiamo per un attimo alla «vocazione epocale» della rivista che anche Chris Wickham riconosceva senza esitazioni: «Quaderni storici è sempre stata una rivista di modernisti che guarda avanti verso la storia contemporanea piuttosto che all’indietro»33. In conclusione se dovessimo classificare le quattro riviste in base al «tasso di modernistica» dovremmo porre ai primi ranghi «Quaderni storici» e «Rivista storica italiana», seguite da «Società e storia» e da «Studi storici». Ma rendiamo piú pertinenti queste osservazioni meramente quantitative con una analisi dei temi, dei metodi e degli ambiti spaziali delle ricerche publicate nel periodo ultratrentennale considerato. 4. Tematiche, approcci metodologici, concezioni storiografiche e ambiti spaziali. Dare indicazioni secondo quanto indicato nella griglia preparata dagli organizzatori per le relazioni del seminario sull’articolazione tematica degli articoli è possibile a patto di considerare che la distinzione tra storia dell’economia e della società, della cultura, della politica e, dobbiamo aggiungere, della religione, non è sempre agevole per le valenze diverse che si attribuiscono nelle storiografie a seconda degli ambienti e dei periodi a dizioni come «storia sociale» o «storia culturale» (del resto il significato di queste etichette è stato esso stesso oggetto di accaniti dibattiti) e per il carattere trasversale di molti contributi. Diamo quindi solo una grossolana semplificazione se diciamo che la storia economico-sociale prevale in modo anche quantitativamente molto evidente nei «Quaderni storici», seguita dalla storia culturale, dalla storia religiosa e da ultimo dalla storia politica. Il dato della prevalenza della storia economicosociale è schiacciante anche per «Società e storia», poco controbilanciato dai contributi di storia politica e storia religiosa. Piú composita l’articolazione tematica delle due riviste piú risalenti (sebbene in modo assai disuguale) nel tempo, cioè «Studi storici» e «Rivista storica italiana». Ma invece di dare indicazioni che possono apparire impressionistiche su questa materia scivolosa 32 33 A. Caracciolo, La prima generazione, in «Qs», 1999, n. 100, pp. 13-30. C. Wickham, Una testimonianza, ivi, pp. 49-58. 294 Maria Antonietta Visceglia riteniamo piú utile integrare le osservazioni sulla articolazione tematica a un discorso un po’ piú generale sui progetti scientifici e sull’approccio metodologico delle riviste. Quale fosse la fisionomia storiografica della «Rivista storica italiana» negli anni della lunga direzione venturiana è un tema che già è stato oggetto di molti contributi specifici da parte di storici che sono oggi alla guida di quella rivista34: esauritasi la stagione piú strettamente legata a «Giustizia e libertà» con l’opera su Radicati, la direzione della «Rivista storica» coincise con l’impegno nella collana sugli Illuministi Italiani e con l’impresa di Settecento riformatore: un grande progetto di ricostruzione «cosmopolita» di percorsi di uomini e di idee, selezionati come attori e risorsa di un linguaggio opposto al relativismo in quanto linguaggio dei diritti della libertà, della tolleranza e della democrazia35. Nella ricerca concreta questo ha significato la ricostruzione (spesso con grande erudizione), di percorsi di individui, di storie di traduzioni, influenze, recezioni di libri e idee attraverso l’Europa e fuori di essa con una predilezione alla fase compresa tra la crisi della coscienza europea e i Lumi. Ha significato anche l’apertura di precisi cantieri di ricerca come quello sulla scrittura e l’alfabetizzazione36 o sulla censura di Stato37 o sulla divulgazione scientifica38. Sul piano spaziale questo approccio non poteva non tradursi in una grande apertura. Storia italiana e storia europea ed extraeuropea si equilibrano negli indici delle annate: tra gli anni Settanta e Ottanta i temi di storia non italiaRicuperati, La Rivista storica italiana e la direzione di F. Venturi, cit.; E. Tortarolo, La rivolta e le riforme: appunti per una biografia intellettuale di F. Venturi, in G. Recuperati, a cura di, La reinvenzione dei Lumi: percorsi storiografici del Novecento, Firenze, Olschki, 2000, pp. 171-199. 35 Cfr. G. Ricuperati, Categoria e identità: Franco Venturi ed il concetto di Illuminismo, in «Rsi», CVIII, 1996, pp. 550-648, e F. Diaz, Il Settecento di Franco Venturi: dalla storia dell’illuminismo alla storia del mondo, ivi, pp. 649-677. A dieci anni dalla morte di Venturi è quasi manifesto di sintesi e di progetto l’intervento di G. Ricuperati, Universalismi, appartenenza, identità: un bilancio possibile, in «Rsi», CXVI, 2004, n. 3, pp. 716-766. 36 M. Roggero, L’istruzione di base in Piemonte tra Antico Regime e rivoluzione, in «Rsi», CII, 1990, n. 1, pp. 24-52; Id., L’alfabeto e le orazioni. L’istruzione di base nel Piemonte nel primo Ottocento, in «Rsi», CIII, 1991, n. 3, pp. 739-787; E. Chiosi, Intellettuali e plebe il problema dell’Istruzione elementare nel Settecento napoletano, in «Rsi», C, 1988, n. 1, pp. 155175. In una prospettiva differente Alfabetismo e cultura scritta, a cura di A. Bartoli Langeli e A. Petrucci, in «Qs», 1978, n. 38; cfr. anche D. Marchesini, Sposi e scolari. Sottoscrizioni matrimoniali e alfabetismo tra Sette e Ottocento, in «Qs», 1983, n. 53, pp. 601-624, e H.J. Graff, Gli studi di storia dell’alfabetizzazione: alla terza generazione, in «Qs», 1987, n. 64, pp. 203-222. 37 L. Braida, L’affermazione della censura di stato in Piemonte dall’editto del 1648 alle costituzioni per l’Università del 1772, in «Rsi», CII, 1990, n. 3, pp. 717-795. 38 P. Delpiano, Per una storia della divulgazione scientifica nel Piemonte del Settecento: il «Giornale scientifico, letterario e delle arti» (1789-1790), in «Rsi», CVII, 1995, n. 1, pp. 29-67. 34 295 L’età moderna na ricorrenti concernono da un lato un filone di storia delle idee legate alla rivoluzione inglese e americana, dall’altro la storia di alcune aree dell’Europa dell’est: Polonia (l’attenzione alla storiografia polacca è stata altissima in Italia in quegli anni ed è un interesse che unisce le differenti riviste) e soprattutto Russia, in coerenza con l’esperienza storiografica di Franco Venturi. Nel corso degli anni Ottanta, la collaborazione alla rivista di Marcello Carmagnani si traduce in un’attenzione alla storia dell’America Latina, in particolare ai temi della configurazione oligarchica delle élites di quei paesi e alle esperienze rivoluzionarie di cui furono teatro. Questo interesse per la storia latino-americana è andato rarefacendosi e con la morte di Venturi anche quello per la storia russa si è attenuato, mentre non è mai venuto meno quello per la storia della circolazione europea delle idee e degli uomini soprattutto nell’età dei Lumi e della Rivoluzione. Nonostante questa forte impronta «illuministica e cosmopolita», destinata a segnare profondamente gli studi italiani sul Settecento39, il ventaglio tematico dei contributi della «Rivista storica italiana» si articola anche in altre direzioni. Per effetto forse pure della presenza di Aldo De Maddalena nella direzione, la storia economica tra la seconda metà degli anni Settanta e la prima metà degli anni Ottanta non è affatto una cenerentola anche per la qualità dei contributi che la rivista accoglie. Carlo Poni vi pubblica infatti nel 1976 All’origine del sistema di fabbrica: tecnologia e organizzazione produttiva dei mulini da seta nell’Italia settentrionale (sec. XVII-XVIII), un saggio che aprí nuove piste di ricerca su un settore trainante dell’economia italiana d’Ancien régime quale il setificio; lo stesso De Maddalena nel ’77 inserisce nella «Rivista storica italiana» il saggio A Milano nei secoli XVI e XVII: da ricchezza reale a ricchezza nominale? e nel 1981 la già citata discussione sul libro di Domenico Sella, un vero spartiacque quest’ultimo volume nella storiografia sul Seicento. Nel 1978 Marta Petrusewicz era intervenuta proprio sul dibattito sulla crisi del Seicento vista dalla Polonia in un numero in cui la rubrica rassegne si apriva con un intervento di Ruggiero Romano sulla storia dei prezzi. Nel 1982 John Marino anticipava in un articolo gli esiti della sua lunga e pionieristica indagine sul sistema della pastorizia nel Regno di Napoli e sulla centralità di esso negli equilibri ambientali ed economici del Mezzogiorno. Dopo questo saggio bisogna però attendere il 1989 per trovare il contributo di Antonio Calabria Finanzieri genovesi nel Regno di Napoli nel Cinquecento. La tendenza è comunque quella della rarefaHa molto sottolineato la centralità del magistero di Venturi nella costruzione del «canone» del Settecento riformatore, evidenziando allo stesso tempo come, anche attraverso la «Rivista storica italiana», «gli studi sul XVIII secolo si costituissero in campo specifico in seno alla storia moderna»: M. Verga, Le XVIIIe siècle en Italie: le «Settecento» réformateur?, in «Revue d’histoire moderne et contemporaine» (numero monografico su Pouvoirs et societé en Italie XVIe-XXe siècles), XLV, 1998, n. 1, pp. 89-116, in particolare p. 108. Un giudizio piú sfumato in Rao, Lumi Riforme Rivoluzione, cit., pp. 3-48. 39 296 Maria Antonietta Visceglia zione di articoli di storia economica che si fanno sempre piú sporadici40, una tendenza peraltro generale nella storiografia italiana e internazionale. Migliore la tenuta della storia politica che appare presente con continuità lungo tutto l’arco del trentennio considerato. Fra i tardi anni Settanta e gli anni Ottanta, nel 1977 Elena Fasano pubblica il suo importante saggio su potere centrale e comunità soggette nel Granducato di Cosimo I, nel 1978 Giuseppe Galasso l’articolo su Camillo Tutini fra politica e storiografia, nel 1980 Franco Angiolini le sue «osservazioni» su diplomazia e politica dell’Italia non spagnola nell’età di Filippo II dove per la prima volta si offrono spunti per un’ interpretazione delle relazioni internazionali nel secondo Cinquecento non schiacciata sulla categoria di egemonia spagnola, nel 1982 Angelo Ventura sull’amministrazione della giustizia nella Repubblica veneta, nel 1986 Pier Luigi Rovito presenta la sua interpretazione costituzionale della rivoluzione napoletana del 1647, nel 1987 Sergio Zamperetti scrive sui corpi territoriali veneti e nel 1988 Alessandro Pastore sul governo della peste a Roma e a Genova. Poi un addensarsi di ricerche agli inizi degli anni Novanta: tre titoli nel 199041, uno nel 199142, cinque nel 199243, quattro nel 199344, con una presenza costante di contributi sul rapporto centro-periferia, sulle carriere militari, sul funziona- D. Biaggiani, Tra crisi commerciali e interventi istituzionali: le vicende del porto di Livorno nella tarda età medicea (1714-1730), in «Rsi», CIV, 1992, n. 3, pp. 678-729; E. Grendi, Gli asientos dei Balbi e il conte di Villalvilla, ivi, CVI, 1994, n. 3, pp. 565-621; M. Amato, Il decentramento dell’economia mediterranea, il caso di Milano fra crisi e riconversione, ivi, pp. 622-650; S. Ciriacono, Economie urbane e industria rurale nell’Italia del Cinque e Seicento: riconversione o stagnazione?, ivi, CXIII, 2001, n. 1, pp. 5-35; F. Boldizzoni, Malattie monetarie e governo della moneta nell’Italia padana (1550-1650), ivi, CXVI, 2004, n. 2, pp. 321-355; Id., La rivoluzione dei prezzi rivisitata: moneta ed economia reale in Alta Italia (1550-1630), ivi, CXVII, 2005, n. 3, pp. 1002-1049. 41 R. Fubini, Dalla rappresentanza sociale alla rappresentanza politica: alcune osservazioni sull'evoluzione politico-costituzionale di Firenze nel Rinascimento, in «Rsi», CII, 1990, n. 2, pp. 279-301; G.G. Ortu, Centralismo e autonomia nella Sardegna di Filippo III, ivi, pp. 302-339; E. Stumpo, Tra mito, leggenda e realtà storica: la tradizione militare sabauda da Emanuele Filiberto a Carlo Alberto, ivi, pp. 560-587. 42 R. Ajello, I filosofi e la regina. Il governo delle Due Sicilie da Tanucci a Caracciolo (17761786), in «Rsi», CIII, 1991, n. 2, pp. 398-454. 43 A. Mattone, La cessione del Regno di Sardegna dal trattato di Utrecht alla presa di possesso sabauda (1713-1720), in «Rsi», CIV, 1992, n. 1, pp. 5-89; S. Landi, Scrivere per il Principe. La carriera di Domenico Stratico in Toscana (1761-1776), ivi, pp. 90-154; M. Rizzo, Centro spagnolo e periferia lombarda nell’impero asburgico tra Cinque e Seicento, ivi, CIV, 1992, n. 2, pp. 315-348; G. Ricuperati, L’avvenimento e la storia: le rivolte del luglio 1797 nella crisi dello Stato sabaudo, ivi, pp. 349-424; R. Crahay: Dalla «République» di Jean Bodin alla «Synopsis» di Johann Angelius Werdenhagen (1635). Un rinnovamento dei concetti religiosi e politici, ivi, CIV, 1992, n. 3, pp. 629-677. 44 R. Faggionato, La fine di una utopia. Contributo alla storia della massoneria nella Russia di Caterina II, in «Rsi», CV, 1993, n. 1, pp. 36-179; R. Fubini, Lega italica e ‘politica del40 297 L’età moderna riato, ma piú concentrati (con eccezioni naturalmente)45 rispetto ai primi anni Settanta sulla tarda età moderna e con un taglio meno istituzionalista. Dobbiamo invece constatare un trend di crescita se consideriamo lo spazio che la storia religiosa si ritaglia sulla rivista: nei pochi articoli di storia religiosa fra i tardi anni Settanta e gli anni Ottanta predominano gli eretici italiani secondo il modulo cantimoriano: nel 1978 il saggio di Adriano Prosperi su Girolamo Negri e gli echi della condanna di Serveto, nel 1982 quello di Alessandro Pastore su Pietro Panfili, siniscalco alla corte di Urbino, legato da molteplici fili ai personaggi dell’evangelismo italiano. Nell’81 un saggio di Massimo Firpo e Dario Marcatto descrive un cantiere di ricerca allora in corso e ancora oggi vivo relativo alla liquidazione all’inizio della seconda metà del Cinquecento di quelle figure che, sullo sfondo dell’età di Carlo V e della sua politica religiosa, avevano disegnato un’opzione religiosa alternativa, quella degli spirituali, poi appiattita dall’Inquisizione ad eresia46. Inquisizione romana e storia religiosa del Cinquecento, anche se non esauriscono il ventaglio dei contributi, dedicati anche ad altri aspetti della storia religiosa come si vede dai molti titoli ai quali potremmo fare riferimento47, diventano uno dei fili rossi della storiografia l’equilibrio’ all’avvento di Lorenzo de’ Medici al potere, ivi, CV, 1993, n. 3, pp. 373-410; D. Ligresti, L’organizzazione militare del Regno di Sicilia (1575-1635), ivi, pp. 647-678. 45 Sulla prima età moderna: G. Galasso, Le relazioni internazionali nell’età moderna (secoli XV-XVIII), in «Rsi», CXI, 1999, n. 1, pp. 5-36; M. Olivari, Cultura politica castigliana, Portogallo e Impero fra Cinquecento e Seicento, ivi, CXIII, 2001, n. 2, pp 369-396; dello stesso autore sul pensiero politico spagnolo cfr. Fuente Ovejuna e il pensiero politico spagnolo del primo Seicento, ivi, XCV, 1983, n. 2, pp. 332-349; M. Caricchio, Giles Calvert, John Saltmarsh e la costruzione del profeta rivoluzionario durante la Rivoluzione inglese, ivi, CXV, 2003, n. 1, pp. 57-111; M.F. Leuzzi, L’oratoria funeraria nel Cinquecento. Le composizioni di Benedetto Varchi nei loro aspetti culturali e politici, ivi, CXVIII, 2006, n. 2, pp. 351-393; D. Maffi, Il potere delle armi. La monarchia spagnola e i suoi eserciti (1635-1700): una rivisitazione del mito della decadenza, ivi, pp. 394-445; I. Melani, «Per non vi far un volume». Andrea Navagero, gli «amici tutti» e la costruzione di un «Viaggio»: testi, contesti, mentalità, ivi, CXIX, 2007, n. 2, pp. 515-604; M. Formica, Giochi di specchi. Dinamiche identitarie e rappresentazioni del Turco nella cultura italiana del Cinquecento, ivi, CXX, 2008, n. 1, pp. 553; R. Mazzei, L’elezione del 1573 e le prime storie di Polonia pubblicate in Francia, ivi, CXX, 2008, n. 2, pp. 459-502; L. Scalisi, In omnibus ego. Luigi Guglielmo Moncada (1614-1672), ivi, pp. 503-568; M. Formica, Viaggiatori italiani nell’impero Ottomano tra Rinascimento e crisi della coscienza europea, ivi, CXXII, 2010, n. 3, pp. 911-950. 46 M. Firpo, D. Marcatto, Il primo processo inquisitoriale contro il cardinal Giovanni Morone (1552-1553), in «Rsi», XCIII, 1981, n. 1, pp. 71-142; M. Firpo, Filippo II, Paolo IV e il processo inquisitoriale del cardinal Giovanni Morone, ivi, XCV, 1983, n. 1, pp. 5-62. 47 Ad esempio, in «Rsi»: L. Szczucki, Antitrinitari nell’Europa orientale, XCI, 1979, n. 1, pp. 158-169 (un’ampia nota critica sul libro di Massimo Firpo del 1977 su Szymon Budny, Niccolò Paruta e Iacopo Paleologo); C. Bianco, La comunità di «fratelli» nel movimento ereticale modenese del ’500, XCI, 1979, n. 3-4, pp. 621-679; J.C. Garavaglia, I gesuiti del Paraguay: utopia e realtà, XCIII, 1981, n. 2, pp. 269-314; P. Simoncelli, Inquisizione romana 298 Maria Antonietta Visceglia religiosa proposta dalla «Rivista storica italiana» come dimostrano i saggi di Paolo Simoncelli, Inquisizione romana e riforma in Italia (1988/1), di Guido Dall’Olio sui rapporti tra la Congregazione del Sant’Uffizio e gli inquisitori bolognesi a fine Cinquecento (1993/1), di Stefania Pastore sulla correctio fraterna e l’Inquisizione spagnola (2001/3), o il numero monografico del 2005/1 Alle origini della Compagnia di Gesú, o anche la sezione dedicata nel 2008/3 agli storici e l’archivio dell’Inquisizione nella quale la relazione di Elena Bonora presenta un primo efficace bilancio su cosa abbia rappresentato per questi studi l’apertura dell’Archivio del Sant’Uffizio, e da ultimo il saggio di Rita Mazzei che attraverso la figura del letterato ferrarese Antonio Maria Nigrisoli riprende uno dei temi cari alla rivista: quello dei rapporti dell’Italia dell’età del Rinascimento e della Riforma con la Polonia come crocevia di popoli e individui48. Un filone nuovo per le tradizioni della «Rivista storica italiana» è rappresentato dall’iconografia come problema storiografico, come recita la sezione monografica del numero 3 del 2005 prolungata l’anno successivo nel n. 3/2006: un segno di un’apertura a un altro tipo di storia culturale in consonanza con orientamenti che si stavano ormai decisamente affermando come centrali nella storiografia internazionale?49 Se la tradizione della «Rivista storica italiana» in una certa misura risente dei problemi storiografici attribuibili anche alla sua maggiore profondità genealogica che la collega alla storia di un lungo Novecento, le radici di «Studi storici», come abbiamo detto, sono nella crisi del 1955-56, nella riflessione in margine al X Congresso internazionale di studi storici (Roma, 1955), nella presa di distanza dalla storiografia quantitativa, considerata di tipo sociologico, e nella individuazione dell’analisi dei meccanismi di sviluppo della società italiana di e riforma in Italia, C, 1988, n. 1, pp. 5-125; E. Novi Chiavarria, Ideologia e comportamenti familiari nei predicatori italiani tra Cinque e Settecento. Tematiche e modelli, C, 1988, n. 3, pp. 679-723; S. Cabibbo, «Ignoratio Scripturarum, ignoratio Christi est». Tradizione e pratica delle Scritture nei testi monastici femminili del XVII secolo, CI, 1989, n. 1, pp. 85-124; G. Fragnito, Le corti cardinalizie nella Roma del Cinquecento, CVI, 1994, n. 1, pp. 5-41; E. Brambilla, Battesimo e diritti civili dalla Riforma protestante al Giuseppinismo, CIX, 1997, n. 2, pp. 602-627; S. Calonaci, «Accordar lo spirito col mondo». Il cardinal Ferdinando de Medici a Roma durante i pontificati di Pio V e Gregorio XIII, CXII, 2000, n. 1, pp. 5-74; C. Cristellon, L’ufficio del giudice: mediazione, inquisizione e confessione nei processi matrimoniali veneziani (1420-1532), CXV, 2003, n. 3, pp. 851-898; V. Lavenia, Giurare al Sant’Uffizio. Sarpi, l’Inquisizione e un conflitto nella Repubblica di Venezia, CXVIII, 2006, n. 1, pp. 7-50. 48 R. Mazzei, All’origine dell’immagine di Cracovia come città dell’esilio. Il ferrarese Antonio Maria Nigrisoli alla corte di Bona Sforza (1550-1555), in «Rsi», CXXIII, 2011, n. 2, pp. 461-509. 49 Cfr. L’iconografia come problema storiografico, in «Rsi», CXVII, 2005, n. 3, pp. 825-1001; Iconografia tra storia e filosofia, ivi, CXVIII, 2006, n. 2, pp. 530-659, e nel fascicolo terzo dello stesso anno Ancora su iconografia e storia, pp. 912-932. 299 L’età moderna ieri e di oggi come tema privilegiato anche se non unico della ricerca storica50. Rispetto al dibattito allora in atto era in qualche modo ineludibile che il nodo con cui confrontarsi fosse «la verifica storiografica del carattere rivoluzionario del processo di accumulazione capitalistica e della conseguente rivoluzione industriale»51, e la riproposizione nelle pagine della rivista all’inizio degli anni Sessanta di saggi di Maurice Dobb e Pierre Vilar intendeva offrire anche allo storico strumentazioni per l’analisi teorica. Per quanto attiene alle implicazioni sulla modernistica di questo progetto va detto che esso si tradusse in un salto cronologico all’indietro che portò a individuare nel Seicento il tempo della rottura, il clivage della transizione, diversificata nello spazio europeo, dall’assetto economico-sociale di tipo feudale a quello capitalistico52. L’aggancio con le altre storiografie avveniva su questa lunghezza d’onda. Sono la storiografia anglosassone della crisi generale del Seicento – soprattutto Eric Hobsbawm – il riferimento maggiore della rivista ma anche la storiografia polacca (A. Maczak e W. Kula), la cui teoria del sistema feudale diventa un riferimento per indagare anche la feudalità meridionale53. Negli anni Settanta lo schema teorico di I. Wallerstein54 con la triplice classificazione periferia-semiperiferia-centro offre strumenti aggiuntivi per leggere la disuguale crisi del Seicento nello spazio mondiale dell’alba del capitalismo: anche se l’Italia mal si collocava nello spazio di una compatta periferizzazione e piuttosto, per la disuguaglianza delle sue economie regionali, in quelli di una ambigua semiperiferia. Non meraviglia quindi che fino al 1983-84, continuando una linea già intrapresa negli anni Sessanta, terreno di elezione dei contributi modernistici su «Studi storici» siano la crisi del Seicento e parallelamente i fenomeni rivoluzionari innescati da quella crisi sia nell’area mediterranea (Italia e Spagna)55 sia, per contrapposizione, Masella, Passato e presente nel dibattito storiografico, cit., pp. XXIX e XLV. Ivi, p. L. 52 Cfr. Dopo Dobb e Sweezy: il dibattito sulle origini del capitalismo, in «Ss», XX, 1979, n. 2, con interventi di A. Lepre, Per la ricomposizione dell’interpretazione marxista delle origini del capitalismo, pp. 257-286, e P. Malanima, Espansione e declino: economia e società tra Cinque e Seicento, pp. 287-316; e anche Il dibattito sulle origini del capitalismo, ivi, XX, 1979, n. 3, con interventi di E. Guaita, Wallerstein e la formazione del sistema capitalistico, pp. 493-504, e O. Di Simplicio, Espansione e declino tra Cinquecento e Seicento, pp. 505-512. 53 A. Lepre, La crisi del XVII secolo nel Mezzogiorno d’Italia, in «Ss», XXII, 1981, n. 1, pp. 51-78. 54 Interventi di I. Wallerstein, La crisi del XVII secolo e il sistema mondiale dell’economia europea, in «Ss», XIX, 1978, n. 2, pp. 299-308; Id., Braudel, le «Annales» e la storiografia contemporanea, ivi, XXI, 1980, n. 1, pp. 5-18; Id., Marx e il sottosviluppo, ivi, XXIV, 1983, n. 3-4, pp. 457-474. 55 B. Anatra, Rivolte e rivoluzione nella Spagna del Cinquecento, in «Ss», XVII, 1976, n. 1, pp. 117-128; R. Villari, La Spagna, l’Italia e l’assolutismo, ivi, XVIII, 1977, n. 4, pp. 5-22; O. Di Simplicio, Rivolte e transizione, ivi, XXI, 1980, n. 3, pp. 527-538; R. Villari, Appunti sul 50 51 300 Maria Antonietta Visceglia in Inghilterra alla quale si presta però un’attenzione minore56. La decadenza economica italiana si intersecava con le condizioni politiche della penisola, in uno schema che vedeva nel Rinascimento la fine dei valori e idee di «libertà» e «patria», per cui la crisi italiana del Seicento si riconnetteva ad un’altra crisi profonda e insidiosa, morale e politica, quella dell’Italia cinquecentesca57: uno schema, nei suoi esiti, non molto diverso da quello desanctisiano che implicava una lettura precisa della storia d’Italia fino all’Ottocento. Rispetto a quelle letture della vicenda economica italiana in età moderna, possiamo chiederci quanto l’aver accolto da parte di Bartolomé Yun Casalilla la proposta di curatela dell’importante numero programmato nel 2009/3 su La storia economica delle società dell’Europa preindustriale, rappresenti un intento revisionista o almeno di problematizzazione e rilancio di una tematica cosí cruciale nell’identità culturale della rivista. Ma torniamo agli anni Ottanta. Nel corso degli anni Ottanta, mentre la storia antica ci pare assuma un ruolo maggiore nell’impianto della rivista, per la modernistica il primato del Seicento come ambito cronologico preferenziale è andato sciogliendosi58 a vantaggio del Settecento, secolo comunque cruciale già nell’approccio originario di «Studi storici», come fase del processo di formazione della borghesia sette-ottocentesca e come punto di partenza del processo di unificazione nazionale. Gli studi sul Settecento che la rivista propone nel corso degli anni Ottanta concernono Seicento, ivi, XXIII, 1982, n. 4, pp. 739-752; P. Messina, Giuseppe Donzelli e la rivoluzione napoletana del 1647-1648, ivi, XXVIII, 1987, n. 1, pp. 183-202. 56 P. Messina, La rivoluzione inglese e la storiografia italiana del Seicento, in «Ss», XXV, 1984, n. 3, pp. 725-746; G. Montroni, Aristocrazia fondiaria e modelli di trasferimento della ricchezza in Inghilterra tra XVII e XIX secolo: lo «strict settlement», ivi, XXX, 1989, n. 3, pp. 579-602. 57 C. Vivanti, La crisi del Cinquecento: una svolta nella storia d’Italia?, in «Ss», XXX, 1989, n. 1, pp. 5-24. 58 Naturalmente registriamo comunque contributi significativi sulla storia del Seicento ma non piú in stretto rifermento alla tematiche transizione/decadenza e rivolte: G. Doria, Investimenti della nobiltà genovese nell’edilizia di prestigio (1530-1630), in «Ss», XXVII, 1986, n. 1, pp. 5-56; G. Pagano de Devitiis, Il Mediterraneo nel XVII secolo: l’espansione commerciale inglese e l’Italia, ivi, pp. 109-148; E. Stumpo, Guerra ed economia: spese e guadagni militari nel Piemonte del Seicento, in «Ss», XXVII, 2, 1986, pp. 371-396; P. Piasenza, Un modello d’ordine nello scontro di fazioni: parlamento e polizia a Parigi nella prima metà del Seicento, ivi, XXIX, 1988, n. 4, pp. 993-1028; V. Frajese, Note su Machiavelli, editoria e cultura nell’Italia del Rinascimento e della Controriforma, ivi, XXXVIII, 1997, n. 1, pp. 135-156; G. Cengiarotti, Note sulla concezione della storia in età barocca: i casi di Comenio e di James Harrington, ivi, XL, 1999, n. 1, pp. 279-300; S. Villani, Donne quacchere nel XVII secolo, ivi, XL, 1999, n. 2, pp. 585-612; L. Addante, Campanella e Machiavelli: indagine su un caso di dissimulazione, ivi, XLV, 2003, n. 3, pp. 726-750; R. Villari, Napoli 1647. Giulio Genoino dal governo all’esilio, ivi, XLVII, 2006, n. 4, pp. 901-958; T. Preste, Il goticismo: un mito per la costruzione dell’identità svedese (1611-1682), ivi, XLIX, 2008, n. 2, pp. 473-522; C. Vivanti, I «due governi del mondo» negli scritti di Sarpi, ivi, XLI, 2010, n. 1, pp. 73-90. 301 L’età moderna invece piuttosto la storia politica e culturale, l’importanza della riorganizzazione delle istituzioni militari negli Stati settecenteschi, il triennio giacobino come fase cruciale della storia italiana sia nella sua cultura e nelle sue pratiche repubblicane che nel fenomeno delle insorgenze popolari59. Alla luce di quanto detto e confortati dall’analisi degli indici, in «Studi storici» è agevole riconoscere tre direzioni al di fuori d’Italia alla cui storia la rivista ha riservato e riserva regolarmente spazio: per l’età moderna la Spagna (vedi l’importante numero 1995/1 curato da Anna Maria Rao e Giovanni Muto su La storiografia spagnola dal «secolo d’oro» alla «rivoluzione liberale»)60, la Francia settecentesca e soprattutto rivoluzionaria, la Russia ma nel lungo periodo, vertendo il fuoco dell’interesse piuttosto sulla Russia sovietica. La predilezione per ribelli secenteschi e rivoluzionari giacobini si intreccia talvolta negli anni Ottanta e Novanta all’attenzione per le figure del dissenso Cfr. il numero monografico I periodici d’«Ancien Régime» come problema storiografico, in «Ss», XXV, 1984, n. 2, pp. 279-568; G. Ricuperati, La storiografia italiana sul Settecento nell’ultimo ventennio, ivi, XXVII, 1986, n. 4, pp. 753-804; A.M. Rao, Esercito e società a Napoli nelle riforme del secondo Settecento, ivi, XXVIII, 1987, n. 3, pp. 623-678; M. Formica, Tra semantica e politica: il concetto di popolo nel giacobinismo italiano (1796-1799), ivi, pp. 699-722. Cfr. anche il numero monografico La Rivoluzione francese e l’Italia, in «Ss», XXX, 1989, n. 4, pp. 775-1031; E. Di Rienzo, Morellet et Sieyès, nobili, proprietari e organizzazione del potere nella rivoluzione, ivi, XXXI, 1990, n. 2, pp. 457-480; M. Formica, I rapporti tra i Borbone di Francia e la Santa Sede sulla questione di Avignone e del Contado Venassimo, ivi, XXXI, 1990, n. 4, pp. 1017-1040; A.M. Rao, La rivoluzione francese e la scoperta della politica, ivi, XXXVI, 1995, n. 1, pp. 163-215; P. Villani, Agenti e diplomatici francesi in Italia durante la rivoluzione. Eymar e la sua missione a Genova (1793), ivi, XXXVI, 1995, n. 4, pp. 957-976; E. Di Rienzo, «Ieri in Francia, oggi in Italia». Neogiacobinismo e questione italiana nei manoscritti di Marc-Antoine Jullien de Paris (1796-1801), ivi, XXXVII, 1996, n. 2, pp. 593-628; A.M. Rao, Mezzogiorno e rivoluzione: trent’anni di storiografia, ivi, XXXVII, 1996, n. 4, pp. 981-1042; P. Villani, Rivoluzione e diplomazia: la prima missione di Reinhard in Italia (1793), ivi, XXXIX, 1998, n. 3, pp. 631-644; E. Di Rienzo, Giustizia e lotta politica in Francia nei manoscritti di Marc-Antoine Jullien de Paris (1794-96), ivi, pp. 645-674; V. Ferrone, L’Illuminismo italiano e la rivoluzione napoletana del 1799, in «Ss», XL, 1999, n. 4, pp. 993-1008; E. Di Rienzo, Neogiacobinismo e movimento democratico nelle rivoluzioni d’Italia (1796-1815), ivi, XLI, 2000, n. 2, pp. 403-432; P. Villani, François Cacault decano dei diplomatici francesi in Italia durante la rivoluzione, ivi, XLII, 2001, n. 2, pp. 461-501; D. Armando, La feudalità nello Stato pontificio alla fine del Settecento, ivi, XLV, 2004, n. 3, pp. 751-784; P. Palmieri, Gli sposi della libertà. Il sacramento del matrimonio durante la rivoluzione napoletana del 1799, ivi, XLVII, 2006, n. 2, pp. 577-586; P. Villani, L’amaro declino di un riformatore napoletano, Giuseppe Maria Galanti, ivi, XLVIII, 2007, n. 1, pp. 107-126; D. Carnevale, La riforma delle esequie a Napoli nel decennio francese, ivi, XLIX, 2008, n. 2, pp. 523-552; V. Granata, Non solo Mme de Staël: «femmes auteurs» e censura libraria nella Francia di Bonaparte, ivi, XLIX, 2008, n. 4, pp. 1105-1148. 60 Ma anche L. D’Ascia, Fadrique Furió Ceriol fra Erasmo e Machiavelli, in «Ss», XL, 1999, n. 2, pp. 551-584, e Id., Fadrique Furió Ceriol consigliere del principe nella Spagna di Filippo II, ivi, XL, 1999, n. 4, pp. 1037-1086. 59 302 Maria Antonietta Visceglia religioso61 e all’esigenza di riflessione sulla esperienza storiografica cantimoriana come mostra il taglio dato al numero monografico su Delio Cantimori pubblicato nel 199362. Tra gli anni Novanta e il primo decennio del 2000 le ricerche di storia religiosa si intensificano anche nelle pagine di questa rivista e concernono temi come la libertà di coscienza, l’anticlericalismo, i processi di stregoneria, le minoranze nei paesi passati alla riforma, le aeree di confine tra luteranesimo, calvinismo, libertinismo. Su queste grandi questioni, come su quelli della censura, dei nessi tra lotta politica e religione, il Seicento torna a recuperare il terreno perduto63. 61 M. Firpo, Juan de Valdés e l'evangelismo italiano. Appunti e problemi di una ricerca in corso, in «Ss», XXVI, 1985, n. 4, pp. 733-754. 62 Vedi Delio Cantimori gli eretici del Cinquecento e la crisi europea tra le due guerre, in «Ss», XXXIV, 1993, n. 4, pp. 727-828, anche in occasione della pubblicazione dei volumi cantimoriani Eretici italiani del Cinquecento e altri scritti, a cura di A. Prosperi, Torino Einaudi, 1991, e di Politica e storia contemporanea. Scritti 1927-1942, a cura di L. Mangoni, Torino, Einaudi, 1992. In apertura del fascicolo si ricordava il richiamo che il primo direttore di «Studi storici», Gastone Manacorda, aveva inserito nel primo numero della stessa rivista a Delio Cantimori e al rapporto tra distacco e impegno nel lavoro dello storico, aggiungendo che quelle indicazioni metodologiche «rimangono tuttora un punto fermo per la rivista». Sulla corrispondenza tra Manacorda e Cantimori rinviamo all’ampio saggio di A. Vittoria, Il Pci, le riviste e l’amicizia. La corrispondenza fra Gastone Manacorda e Delio Cantimori, in «Ss», XLIV, 2003, n. 3-4, pp. 745-888. 63 Facciamo riferimento in ordine cronologico a: L. Bianchi, A. Foa, Un’Europa libertina nel XVII secolo?, in «Ss», XXII, 1981, n. 3, pp. 535-552; L. Bianchi, Il libertinismo in Italia nel XVII secolo: aspetti e problemi, ivi, XXV, 1984, n. 3, pp. 659-678; V. Lavenia, «Cauda tu seras pendu». Lotta politica ed esorcismo nel Piemonte di Vittorio Amedeo I (1634), ivi, XXXVII, 1996, n. 2, pp. 541-592; V. Frajese, Riforma e antiriforma nella storia dei volgarizzamenti biblici, ivi, XXXIX, 1998, n. 2, pp. 23-40; Id., Campanella a Sant’Elmo nell’estate 1606: due documenti inediti e alcune considerazioni, ivi, XL, 1999, n. 1, pp. 263-278; S. Villani, Donne quacchere nel XVII secolo, ivi, XL, 1999, n. 2, pp. 585-612; O. Di Simplicio, L’Inquisizione a Siena. I processi di stregoneria (1580-1721), ivi, XL, 1999, n. 4, pp. 10871102; M. Firpo, Politica imperiale e vita religiosa in Italia nell’età di Carlo V, ivi, XLII, 2001, n. 2, pp. 245-262; S. Tutino, «Liberty of conscience in religion». Ricerche sul cattolicesimo moderato nell’Inghilterra di Elisabetta, ivi, pp. 431-460; F. Barbierato, Luterani, calvinisti, libertini. Dissidenza religiosa a Venezia nel secondo Seicento, ivi, XLVI, 2005, n. 3, pp. 797844; A. Prosperi, L’Immacolata a Siviglia e la fondazione sacra della monarchia spagnola, ivi, XLVII, 2006, n. 2, pp. 481-510; M. Firpo, Ripensando Paolo Sarpi, ivi, XLVII, 2006, n. 4, pp. 993-1002; Id., Calvino e la riforma radicale: le opere contro nicodemisti, anabattisti e libertini (1544-1545), ivi, XLVIII, 2007, n. 1, pp. 97-106; G. Marcocci, Questioni di stile. Gastão de Abrunhosa contro l’Inquisizione portoghese (1602-1607), ivi, XLVIII, 2007, n. 3, pp. 779-816; S. Villani, Conversione e famiglia in due testi letterari italiani del Seicento, ivi, XLIX, 2008, n. 4, pp. 1039-1062; M. Mancino, Governare la criminalità degli ecclesiastici nell’Italia del primo Cinquecento: il caso di Napoli e della Campania, ivi, L, 2009, n. 1, pp. 101-130; V. Lavenia, Dare a Cesare quel che è di Cesare? Fiscalità e chiesa cattolica in epoca moderna, ivi, LI, 2010, n. 1, pp. 137-154; G. Romeo, Confessione dei peccati e confessori nell’età della Controriforma: cosa dire del Seicento?, ivi, LI, 2010, n. 4, pp. 967-1002. 303 L’età moderna Accomunano «Rivista storica italiana» e «Studi storici» non solo i molti autori ricorrenti che scrivono su entrambe le riviste, la continua tesa riflessione sulla realtà e i modi di esercizio del mestiere di storico, la diffidenza per i revisionismi ma anche molti dibattiti che corrono trasversali tra le varie riviste. Per accennare piú concretamente ad essi dobbiamo però riprendere il nodo della storia sociale e ritornare su «Quaderni storici» e «Società e storia». Nata all’interno di un approccio di storia regionale64, la vicenda di «Quaderni storici» è l’esito della travolgente fortuna della storia sociale nell’Italia degli anni Settanta e anche la prova delle innegabili difficoltà e contraddizioni di questa prospettiva concepita inizialmente come analisi economico-sociale di un modello e delle sue variabili e poi approdata ad una «stagione di esperimenti»65. La fine degli anni Settanta vede la coesistenza nella rivista di numeri monografici importanti e significativi delle diverse anime della «storia sociale» che albergano nella rivista: il numero su Notabili e funzionari nell’età napoleonica a cura di Pasquale Villani (n. 37, 1978), quello sulla Religione delle classi popolari a cura di Carlo Ginzburg (n. 41, 1979), quello sulla nascita dell’opinione pubblica in Inghilterra (n. 42, 1979) – un numero significativo anche per la tempestività con la quale introduce la nozione di opinione pubblica nel dibattito storiografico italiano66 (la traduzione italiana di Habermas, ed. or. 1962, è del 1971). Poi appaiono Aziende e produzione agraria nel Mezzogiorno (n. 43, aprile 1980, a cura di P. Villani e A. Massafra), molto influenzato dalle contemporanee analisi francesi e polacche sui cicli produttivi/aziende contadine/signorie feudali, e Parto e maternità: momenti della biografia femminile (n. 44, 1980, a cura di L. Accati, V. Malher, G. Pomata) progettato con una impostazione marcatamente antropologica. Questo ultimo numero è anche importante per la seconda sezione monografica in esso contenuta: Fonti criminali e storia sociale, nella quale Edoardo Grendi, introducendo una non casuale rassegna di contributi di storici italiani e stranieri, apriva la rivista allo studio della «storia criminale» che diventava uno dei S. Anselmi, R. Paci, E. Sori, Il contributo di Alberto Caracciolo alla storiografia regionale delle Marche, in «Qs», 1996, n. 91, pp. 5-10. 65 L’espressione è di Paolo Macry, ma facciamo qui riferimento a F. Benigno, Gli affanni della memoria. Un momento di riflessione nella storiografia italiana?, in «Storica», 2005, n. 33, pp. 97-117. 66 Jürgen Habermas pubblica Strukturwandel der Öffentlichkeit nel 1962. L’opera fu tradotta in italiano con il titolo Storia e critica dell’opinione pubblica dalla casa editrice Laterza nel 1971, in francese (L’espace public. Archéologie de la publicité comme dimension constitutive de la societé bourgeoise) nel 1978 e in inglese solo nel 1989. Sulla applicabilità della categoria di «opinione pubblica» alla prima età moderna, cfr. G. Ciappelli, Comunicazione politica e opinione pubblica nel Rinascimento: esempi e considerazioni, in «Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento», XXIII, 2007, pp. 27-57. 64 304 Maria Antonietta Visceglia fili rossi della «storia sociale» praticata da «Quaderni storici»67 fino e oltre il numero monografico del dicembre 1987 (n. 66) intitolato ancora Fonti criminali e storia sociale. Quest’ultimo era introdotto da una ulteriore breve premessa di Grendi che precisava la «linea» della rivista sulla storia della criminalità, non intesa genericamente come tematica della devianza, né come «storia quantitativa dei crimini e del singolo crimine nel tempo», né come storia degli istituti giuridico-amministrativi. Grendi rivendicava invece un trattamento tematico e non seriale delle fonti giudiziarie e il possibile apporto di queste fonti «sul terreno ancora debolmente scandito in senso storiografico dei rapporti privati (fra sessi, gruppi d’età ecc…)»68. Questa proposta provocava la pacata e riflessiva reazione di Mario Sbriccoli nelle pagine di «Studi storici», a margine di un numero monografico della stessa rivista intitolato Istituzioni giudiziarie, criminalità e storia (1988/2). Il richiamo di Sbriccoli era ai rischi del trattamento episodico delle fonti giudiziarie e alla considerazione della «storia criminale» come «storia degli apparati complessi della giustizia penale» e al ruolo del diritto penale «come fonte primaria della storia criminale»69: esso era colto da E. Grendi che replicava nell’aprile 199070. Quel dibattito fu significativo non solo per il modo franco e scientificamente esemplare con il quale due importanti studiosi si confrontarono attraverso le pagine delle due riviste ma anche perché è rimasto punto di riferimento ineludibile sul tema. Va altresí detto che nel ventennio successivo gli studi sulla «giustizia», anche se quelli pubblicati in saggi e articoli nei periodici che qui esaminiamo non sono numerosissimi, hanno rappresentato una linea centrale della modernista italiana collocandosi Scriveva Grendi: «“Quaderni storici” ha chiesto ad alcuni studiosi stranieri una serie di messe a punto dei lavori e delle ricerche di “storia criminale” dei loro paesi […] L’intenzione è quella di incoraggiare anche in Italia lo studio delle fonti criminali. “Quaderni storici” intende ospitare non soltanto studi specifici, ma anche brevi discussioni di lavori, segnalazioni ragionate di ricerche in corso, relazioni problematiche di gruppi locali di interesse che hanno iniziato la perlustrazione di queste fonti» (E. Grendi, Per lo studio della storia criminale, in «Qs», 1980, n. 44, p. 580). 68 E. Grendi, Premessa, in «Qs», 1987, n. 66, pp. 695-700. Cfr. anche Diritti di proprietà, a cura di R. Ago, in «Qs», 1995, n. 88, pp. 3-260; Gestione dei patrimoni e diritti delle donne, a cura di A. Arru, ivi, 1998, n. 98, pp. 269-481; Procedure di giustizia, a cura di R. Ago e S. Cerutti, ivi, 1999, n. 101, pp. 307-561. 69 M. Sbriccoli, Fonti giudiziarie e fonti giuridiche. Riflessioni sulla fase attuale degli studi di storia del crimine e della giustizia criminale, in «Ss», XXIX, 1988, n. 2, pp. 491-502. Scriveva Sbriccoli: «Le azioni punite penalmente, prese per sé, o all’interno di episodi, spazi e momenti puntuali, se valutate al di fuori della loro relazione con il funzionamento degli apparati repressivi, rivestono rilevanza di interesse assai tenui […]. È anche a questo che pensavo, alludendo all’inizio a qualche segno di stanchezza che pure è possibile cogliere negli studi che si vanno facendo in Italia sul crimine e sulla giustizia criminale» (ivi, p. 495). 70 E. Grendi, Sulla «storia criminale»: risposta a Mario Sbriccoli, in «Qs», 1990, n. 73, pp. 269-275. 67 305 L’età moderna in un ventaglio frastagliato di approcci. «Quaderni storici» è rimasta abbastanza fedele alla linea grendiana di attenzione all’uso della fonte criminale come fonte integrativa per lo studio di particolari gruppi sociali, alla molteplicità delle giurisdizioni criminali e alla conseguente conflittualità giudiziaria anche con una costante attenzione alla storiografia giuridica iberica di B. Clavero e A. Hespanha71. Il tema delle risoluzioni infragiudiziare ha intanto guadagnato sempre maggiore spazio nelle ricerche anche per l’impulso che è venuto in questa direzione ancora da Mario Sbriccoli, da Marco Bellabarba e per la storia medievale da Andrea Zorzi72. Un discorso a parte meriterebbe il grande cantiere aperto da Paolo Prodi sin dagli anni Settanta sul rapporto tra teologia e diritto che ha avuto come frutti maturi i due volumi prodiani del 1992 del 2000 e che ha ispirato molti studi apparsi sugli «Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento»73. D’altra parte gli studi sull’Inquisizione hanno assunto un approccio diverso che prescinde dalla storia del tribunale come apparato di giustizia se si escludono pochi contributi in questa direzione74. 71 Cfr. Diritti di proprietà, a cura di R. Ago, in «Qs», 1995, n. 88, pp. 3-260; Gestione dei patrimoni e diritti delle donne, a cura di A. Arru, ivi, 1998, n. 98, pp. 269-481; Procedure di giustizia, a cura di R. Ago e S. Cerutti, ivi, 1999, n. 101, pp. 307-561; R. Rosolino, «Un negozio non passabile in coscienza»: un caso giudiziario di usura a Corleone nel 1619, ivi, 2002, n. 111, pp. 581-615; A. Groppi, Il teatro della giustizia. Donne colpevoli e opinione pubblica nell’Italia liberale, ivi, pp. 649-679. 72 Faccio riferimento a M. Bellarbarba, G. Schwerhoff, A. Zorzi, a cura di, Criminalità e giustizia in Germania e in Italia. Pratiche giudiziarie e linguaggi giuridici tra tardo medioevo ed età moderna, Bologna, Il Mulino-Duncker & Humblot, 2001; M. Bellabarba, Informazioni e fatti.Casi di storia del processo penale nell’Italia centro-settentrionale, in «Storica», 2001, n. 20-21, pp. 155-175. Sulla giustizia negoziata e le pratiche di pacificazione rinvio agli studi di Ottavia Niccoli: in particolare, Rinuncia, pace, perdono. Rituali di pacificazione nella prima età moderna, in «Ss», XL, 1999, pp. 219-261; alla sua lettura critica di Peace in PostReformation di J. Bossy (Cambridge, 1998) nella nota Giustizia, pace, perdono. A proposito del libro di John Bossy, in «Storica», 2003, 25-26, pp. 195-207, e al volume Perdonare. Idee, pratiche, rituali in Italia tra Cinque e Seicento, Roma-Bari, Laterza, 2007, dedicato proprio a Mario Sbriccoli. 73 P. Prodi, Il sacramento del potere. Il giuramento politico nella storia costituzionale dell’Occidente, Bologna, Il Mulino, 1992 ; Id., Dal pluralismo dei fori al moderno dualismo tra coscienza e diritto, Bologna, Il Mulino, 2000. Sul tema del rapporto colpa teologica-colpa giuridica, cfr. i molti saggi di M. Turrini fra cui: «Culpa theologica» e «culpa iuridica»: il foro interno all’inizio dell’età moderna, in «Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento», XII, 1986, pp. 147-168; Id., Ordine politico e coscienze nel Seicento in area cattolica, ivi, XXVII, 2001, pp. 391-414. Su questi temi: V. Lavenia, L’infamia e il perdono. Tributi, pene e confessione nella teologia morale della prima età moderna, Bologna, Il Mulino, 2004. 74 Vorrei ricordare in questo senso gli studi di uno studioso recentemente scomparso: cfr. V. Sciuti Russi, Inquisizione, politica e giustizia nella Sicilia di Filippo II, in «Rsi», CXI, 1999, n. 1, pp. 37-64, e nella stessa direzione anche I. Fosi, La giustizia del papa. Sudditi e tribunali nello Stato Pontificio in età moderna, Roma-Bari, Laterza, 2007. 306 Maria Antonietta Visceglia Ma torniamo a «Quaderni storici». Negli anni Ottanta la critica dall’interno alla storia sociale «tradizionale» che presuppone le categorie della morfologia sociale approda nei «Quaderni storici» alla tormentata e polivalente proposta della microstoria (la fondazione della collana Einaudi diretta da Carlo Ginzburg e Giovanni Levi data al 1980) che può essere considerata l’apporto piú importante di questa rivista al dibattito storiografico della seconda metà del secolo scorso. La proposta microstorica è di derivazione anglosassone: inglese e nordamericana. Carlo Ginzburg scriverà nel 1994 di aver inteso per la prima volta parlare di microstoria da Giovanni Levi nel 1977-7875. Di fatto tra 1976 e 1977 Edoardo Grendi lancia la sua proposta metodologica microanalitica che matura in un rapporto dialogico assai complesso con l’antropologia anglosassone e la storia sociale thompsoniana76 nelle pagine della rivista77: essa circoscrive il terreno di ricerca a individui, a gruppi, a comunità precise ma a questa riduzione di scala fa corrispondere una moltiplicazione delle fonti di riferimento con l’ambizione di cogliere la complessità o al limite la totalità dei contesti sociali nei quali sono coinvolti gli attori. La proposta microstorica è riformulata da Ginzburg e Poni in Il nome e il come: scambio ineguale e mercato storiografico78 e anima l’impostazione del volume monografico su Villaggi. Studi di antropologia storica, curato da Giovanni Levi (46/1981). Questo numero contiene tra gli altri saggi quello di Grendi su Il sistema politico di una comunità ligure: Cervo tra Cinquecento e Seicento (pp. 92-129), che ribalta l’ottica della storia politica tradizionale mirando a ricostruire il conflitto attraverso il sistema delle relazioni interpersonali delle élites locali e la trama delle mediazioni e degli scontri per il controllo delle risorse. Negli anni Ottanta, in un dialogo 75 C. Ginzburg, Microstoria, due o tre cose che so di lei, in «Qs», 1994, n. 86, pp. 511-576. Ginzburg precisava come il primo a usare la parola fosse stato l’americano George Stewart in un libro del 1959 sulla battaglia di Gettysburg (1863); poi nel ’68 la usò Luis González y González in uno studio su un minuscolo villaggio messicano; anche Braudel avrebbe usato il termine ma in negativo. 76 E. Grendi, E.P. Thompson e la «cultura plebea», in «Qs», 1994, n. 85, pp. 235-256, dove The Making of the English Working Class è letta come «una pluridecennale raccolta di storie-casi: consuetudini agrarie locali, agitazioni contro il carovita, ‘rough music’ (charivari), vendita delle mogli e altri usi collettivi» (p. 236). L’edizione inglese del libro di Thompson è del 1963. Esso fu tradotto in italiano nel 1969 col titolo Rivoluzione industriale e classe operaia in Inghilterra e solo nel 1988 in francese (La formation de la classe ouvrière anglaise). 77 E. Grendi, Prefazione a Famiglia e comunità, in «Qs», 1976, n. 33, pp. 881-891; Id., Micro-analisi e storia sociale, ivi, 1977, n. 35, pp. 506-520. 78 C. Ginzburg, C. Poni, Il nome e il come: scambio ineguale e mercato storiografico, in «Qs», 1979, n. 40, pp. 181-190; vedi anche Azienda agraria e microstoria, a cura di C. Poni, ivi, 1978, n. 39, pp. 801-805, dove l’approccio micro guardava però anche alle grandi inchieste francesi come quella diretta da E. Le Roy Ladurie e J. Goy, i cui risultati furono poi raccolti in Les fluctuations du produit de la dîme. Conjoncture décimale et domaniale de la fin du Moyen Âge au XVIIIe siècle, Paris-La Haye, Ecole Pratique des Hautes Etudes-Mouton, 1972. 307 L’età moderna intenso con l’antropologia politica, si propone quindi un modello di analisi in cui allo studio delle strutture politico-istituzionali dello Stato e delle comunità si sostituisce l’analisi delle «solidarietà conflittuali», dei modi attraverso i quali individui e gruppi «manipolano» le norme, del gioco dei poteri informali e delle reti normative «altre» rispetto al potere formale. Con lo stesso approccio, volto a cogliere le «specifiche interdipendenze tra società locali e istituzioni statali» era impostato il n. 63 (dicembre 1986), Conflitti locali e idiomi politici (a cura di S. Lombardini, O. Raggio e A. Torre). Sarà però solo alla metà degli anni Novanta79 che «Società e storia» discuterà questa impostazione in una vivace tavola rotonda che mostrava la netta contrapposizione tra la storia politico/amministrativa centrata sulla crescita e concentrazione dei poteri statuali e la proposta etnografica della microstoria grendiana. Non è nostro compito ripercorrere le complesse vicende della microstoria o meglio delle microstorie al plurale, essendo il paradigma indiziario di Carlo Ginzburg una proposta diversa rispetto a quella di Edoardo Grendi come lo stesso storico genovese non mancava di ricordare problematizzando nel 1994, in una densa nota dal titolo interrogativo Ripensare la microstoria?, la differenze tra la microstoria della contestualizzazione sociale centrata sulle pratiche che costruiscono i rapporti sociali e quella della contestualizzazione culturale, influenzata dall’antropologia simbolica80. Ci limitiamo a osservare come essa fosse accolta con troppa diffidenza dalla storiografia italiana, pur essendo diventata il maggior articolo di esportazione di quest’ultima e come fosse poco studiata in Italia anche come opzione storiografica81. Gli anni Novanta rappresentano comunque una svolta nella storia della rivista con la ristrutturazione nel 1990 della direzione che passa da undici condirettori (Alberto Caracciolo, Carlo Ginzburg, Edoardo Grendi, Giovanni Levi, Michele Luzzatti, Paolo Macry, Adriano Prosperi, Raffaele Romanelli, Pasquale Villani) a venti condirettori (gli storici precedenti meno Levi, Prosperi e Romanelli ma Stato e società locale: una discussione, in «Ses», n. 67, gennaio-marzo 1995. Erano intanto apparsi di E. Grendi, Il Cervo e la repubblica. Il modello ligure d’antico regime, Torino, Einaudi, 1993; Id., Storia di una storia locale: perché in Liguria (e in Italia) non abbiamo avuto una «local history», in «Qs», 1993, n. 82, pp. 141-198; O. Raggio, Faide e parentele: lo Stato genovese visto dalla Fontanabuona, Torino, Einaudi, 1990. 80 E. Grendi, Ripensare la microstoria?, in «Qs», n. 86, 1994, pp. 539-549. Sulla «maggiore prossimità» dell’approccio di Carlo Ginzburg all’antropologia interpretativa di Clifford Geertz rispetto alla fredda recezione di quest’ultimo da parte dei microstorici «sociali», cfr. G. G. Iggers, Historiography in the Twentieth Century. From Scientific Objectivity to the Postmodern Challenge, Hanover-London, Wesleyan University Press, 1997, pp. 108-112. 81 F. Benigno, Gli affanni della memoria. Un momento di riflessione nella storiografia italiana?, in «Storica», 2005, n. 33. Una utile discussione a piú voci sulla microstoria è il volume Giochi di scala: la microstoria alla prova dell’esperienza, a cura di J. Revel, Roma, Viella, 2006. Questo volume pubblica alcuni dei saggi di Jeux d’échelles. La micro-analyse à l’experience, Paris, 1996, integrandoli con altri piú recenti. 79 308 Maria Antonietta Visceglia con l’ingresso di Carmine Ampolo, Enrico Artifoni, Osvaldo Raggio, Biagio Salvemini, Angelo Torre) e di sette storiche (Renata Ago, Angiolina Arru, Sofia Boesch Gajano, Simona Cerutti, Giovanna Fiume, Gabriella Gribaudi, Gianna Pomata), ingresso quest’ultimo significativo, come è esplicitato nell’annuncio del cambiamento, del riconoscimento di un ruolo maggiore della gender history nella progettualità del periodico82. Gli anni Novanta sono però anche una fase di bilanci e di non sempre pacifiche «rese dei conti». I decenni precedenti a livello della storiografia internazionale erano stati marcati dal cultural turn e dallo spostamento progressivo di molti studiosi dalla storia sociale alla storia culturale. Uno slittamento – che seguí, cronologicamente almeno, la svolta ermeneutica indotta anche dagli scritti di pensatori francesi quali Roland Barthes, Jacques Derrida e dalla pubblicazionemanifesto del linguistic turn da parte di Hayden White (Metahistory apparve nel 1973) – che ebbe percorsi specifici nei differenti ambienti europei. In Francia, rifacendosi al Michel de Certeau di L’invention du quotidien (1980) e alla sociologia di Pierre Bourdieu ma anche alla «scoperta» di Norbert Elias e comunque in un fitto intreccio di scambi internazionali, Roger Chartier, liquidando il filone di «storia della mentalità», riformulava gli obiettivi e i metodi della storia sociale ponendo al centro di quest’ultima lo studio delle rappresentazioni, dei loro usi e delle loro appropriazioni83. A questa prospettiva reagiva dalle pagine di «Quaderni storici» Angelo Torre e, paventando «il rischio di una Vedi infatti Verginità, a cura di G. Fiume e L. Scaraffia, in «Qs», 1990, n. 75; Maschile e femminile, a cura di R. Ago e A. Arru, ivi, 1992, n. 79; Fratello/Sorella, a cura di A. Arru e S. Boesch Gajano, ivi, 1993, n. 83; Costruire la parentela. Donne e uomini nella definizione dei legami familiari, a cura di R. Ago, M. Palazzi e G. Pomata, ivi, 1994, n. 86; Diritti di proprietà, a cura di R. Ago, in «Qs», 1995, n. 88. 83 R. Chartier, Le monde comme représentation, in «Annales ESC», 1989, pp. 1505-1520 ; Id, Cultural History. Between Practices and Representations, Cambridge, Polity Press, 1988; Id., La rappresentazione del sociale. Saggi di storia culturale, Torino, Bollati Boringhieri, 1989; Id., Au bord de la falaise. L’histoire entre certitudes and inquiétude, Paris, Albin Michel, 1998. Su questo percorso cfr. Ph. Poirrier, La storia culturale in Francia, in La storia culturale: una svolta della storiografia mondiale?, a cura di Ph. Porrier e A. Arcangeli, postfazione di R. Chartier, Verona, QuiEdit, 2010 (ed. or. 2008), pp. 85-110. Per la storiografia inglese Peter Burke considera gli anni compresi tra il 1983 – l’anno della apparizione di Immagined Communities di Benedict Anderson (tr. it. 1996) e di The Invention of Tradition, la raccolta di saggi curata da Eric Hobsbawm e Terence Ranger, tradotta in italiano nel 2002 – e il 1987-88 (The embarrassment of Riches di Simon Schama che Mondadori tradurrà nel 1993 è del 1987 e The Body and Society di Peter Brown, tradotto da Einaudi nel 2010, è del 1988) le date simboliche della transizione tra due «ere storiografiche». Della «nuova era» sarebbero espressione i quattro libri sopracitati (P. Burke, «Niente cultura, siamo inglesi»: la storia culturale in Gran Bretagna prima e dopo il cultural turn, in La storia culturale: una svolta della storiografia mondiale?, cit., pp. 137-160). Sulla svolta culturalista degli anni Ottanta e sulle prospettive della «storia sociale» oggi, cfr. P. Joyce, What is the social in social history?, in «Past and Present», 2010, n. 206, pp. 213-248. 82 309 L’età moderna storia che sussuma le pratiche all’interno delle rappresentazioni e che rinunci all’incrocio delle fonti documentarie», intravvedeva la possibilità di cadere in una nuova forma di «idealismo» in cui i documenti studiati solo nelle loro logiche di produzione diventavano «testi»84. Chartier rifiutava queste osservazioni che definiva «malfondate e pretestuose» e ricordava le critiche che aveva egli stesso rivolto a Hayden White85. Al di là di questa polemica, significativa degli interrogativi con cui alla fine del secolo scorso si confrontava la storiografia, la storia «culturale» si affermava nel crinale tra i due millenni anche in Italia come studio dei rituali, delle pratiche della lettura e della scrittura, della costruzione delle identità individuali e familiari86. Rispetto a «Quaderni storici», meno tormentato negli stessi decenni è stato l’itinerario all’interno della «storia della società» della rivista «Società e storia». La storia della società praticata da quest’ultima seguiva filoni diversi ma intrecciati e tutti molto significativi degli interessi della modernistica italiana degli ultimi decenni. Anzitutto la rivista si impegnava tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta in una riflessione sulle istituzioni politiche nell’Italia dei piccoli Stati «autonomi» e delle compagini territoriali passate nella prima età moderna nella monarchia composita spagnola. Gli studi di Giorgio Chittolini sulla formazione dello Stato regionale87, la rigorosa ricerca di Elena Fasano Guarini sulla Toscana di Cosimo I mostravano una «terza via» tra una visione storiografica che attribuiva precoci caratteri di modernità alle politiche di accentramento e di costruzione di apparati burocratici perseguite nel Cinquecento e quella che dava una lettura della «crisi italiana» anche come originaria e ineliminabile «incapacità di farsi Stato». Seguendo la lezione di Marino Berengo, Elena Fasano indicava un ampio campo d’indagine nel quale la storia degli Stati italiani del Cinquecento appariva «segnata da riforme che investono il campo della giustizia, dell’organizzazione militare, della fiscalità, dell’amministrazione periferica» ma anche da «una pluralità di centri di poA. Torre, Percorsi della pratica. 1966-1995, in «Qs», 1995, n. 90, pp. 799-829. R. Chartier, Rappresentazione della pratica, pratica della rappresentazione, in «Qs», 1996, n. 92, pp. 487-493. La presa di posizione rispetto a White alla quale fa riferimento Chartier in queste pagine è: R. Chartier, Quatre questions à Hayden White, in «Storia della Storiografia», 1993, n. 24, pp. 133-142. L’intero numero, con il titolo Hayden White’s Metahistory twenty years after, è dedicato all’impatto di questa opera sulla teoria e pratica della storia. 86 Per una rassegna di questi temi con riferimenti, oltre che a Ginzburg, ai lavori di storici quali A. Petrucci, G. Fragnito, O. Niccoli, S. Seidel Menchi, A. Prosperi, R. Bizzocchi, G. Ricci, M. Infelise, M. Roggero, F. Barbierato e G. Signorotto: cfr. A. Arcangeli, La storia culturale in Italia, in La storia culturale: una svolta della storiografia mondiale?, cit., pp. 161-182 . 87 L’espressione «stato regionale» fu usata da Giorgio Chittolini nel 1975 in un contributo sull’ordinamento territoriale del dominio fiorentino nel Quattrocento. Fondamentale su questa categoria la raccolta di saggi dello stesso G. Chittolini, La formazione dello stato regionale e le istituzioni del contado, Torino, Einaudi, 1979. 84 85 310 Maria Antonietta Visceglia tere», dalla «frammentarietà del diritto», dalle forme di resistenza88. Questa mossa prospettiva di storia istituzionale della società si sposava per altro bene con ricerche che, anche slargando la prospettiva cronologica fino al Settecento, ricostruivano la concreta fisionomia dei gruppi sociali – anzitutto la nobiltà e i patriziati, grande cantiere della storiografia di quei decenni89, ma anche le figure degli amministratori90 – e che precisavano attraverso ricerche su patrimoni e rendita91 la base economica e materiale della ricchezza dei ceti privilegiati. Una linea di ricerca quest’ultima che sembra illanguidirsi nel corso degli anni Novanta e nell’ultimo decennio, a parte interventi che però privilegiano, al- 88 E. Fasano Guarini, Gli Stati dell’Italia centro-settentrionale tra quattro e cinquecento: continuità e trasformazioni, in «Ses», 1983, n. 21, pp. 617-640 (in particolare p. 637); vedi anche F. Angiolini, Politica, società e organizzazione militare nel principato mediceo: a proposito di una «Memoria» di Cosimo I, ivi, 1986, n. 31, pp. 1-52; Id., Dai segretari alle «segreterie»: uomini e apparati di governo nella Toscana medicea (metà XVI secolo-metà XVII secolo), ivi, 1992, n. 58, pp. 701-728; M. Folin, Il sistema politico estense fra mutamenti e persistenze (secoli XV-XVIII), ivi, 1997, n. 77, pp. 505-550; G. Chittolini, Poteri urbani e poteri feudalisignorili nelle campagne dell’Italia centro-settentrionale fra tardo medioevo e prima età moderna, ivi, 1998, n. 81, pp. 473-510; Id., Ascesa e declino di «piccoli stati signorili» (Italia centrosettentrionale, metà trecento-inizi cinquecento), ivi, 2008, n. 121, pp. 473-498. 89 F. Pino, Patriziato e decurionato a Milano nel secolo XVIII, in «Ses», 1979, n. 5, pp. 339378; A. Spagnoletti, Le aggregazioni alla nobiltà nelle università di Terra di Bari nel XVIII secolo, ivi, 1980, n. 7, pp. 35-60; W. Barberis, Continuità aristocratica e tradizione militare nel Piemonte sabaudo, ivi, 1981, n. 13, pp. 529-592; A. Spagnoletti, Forme di autocoscienza e vita nobiliare: il caso della Puglia barese, ivi, 1983, n. 19, pp. 49-76; J. Boutier, I Libri d’oro del Granducato di Toscana (1750-1860). Alcune riflessioni su una fonte di storia sociale, ivi, 1988, n. 42, pp. 953-966. 90 C. Mozzarelli, Strutture sociali e formazioni statuali a Milano e Napoli tra cinquecento e settecento, in «Ses», n. 3, 1978, pp. 431-463; Id., Corte e amministrazione nel Principato gonzaghesco, ivi, 1982, n. 16, pp. 245-262; G. Muto, Una struttura periferica del governo del Mezzogiorno spagnolo: i percettori provinciali, ivi, 1983, n. 19, pp. 1-36; A. Spagnoletti, Il governo del feudo. Aspetti della giurisdizione baronale nelle università meridionali nel XVIII secolo, ivi, 1992, n. 55, pp. 61-80; L. Covino, Funzioni feudali e governo del territorio nella seconda metà del settecento: Salvatore Pignatelli di Strongoli (1730-1792), ivi, 1998, n. 81, pp. 511-546. 91 F. Angiolini, Le basi economiche del potere aristocratico nell’Italia centro-settentrionale tra XVI e XVIII secolo, in «Ses», 1978, n. 2, pp. 317-332; E. Roveda, Il patrimonio fondiario dei Trivulzio principi di Mesocco tra la fine del cinquecento e gli inizi del seicento, ivi, 1979, n. 6, pp. 667-682; M.A. Visceglia, Rendita feudale e agricoltura in Puglia nella età moderna (XVI-XVIII secolo), ivi, 1980, n. 9, pp. 527-560; M. Benaiteau, La rendita feudale nel Regno di Napoli attraverso i relevi: il Principato Ultra (1550-1806), ivi, pp. 561-612; A. Moroni, Le ricchezze dei Corsini. Struttura patrimoniale e vicende familiari tra sette e ottocento, ivi, 1986, n. 32, pp. 255-292; P. Malanima, L’economia dei nobili a Firenze nei secoli XVII e XVIII, ivi, 1991, n. 54, pp. 829-848; V. Pinchera, I Salviati: un patrimonio tra Toscana e Stato Pontificio nel XVIII secolo, ivi, pp. 849-868; M. Sacchi, «Alla ferrata solita della loggia dei mercati». Il mercato dei feudi in Lombardia (1680-1700), ivi, 2004, n. 103, pp. 51-96. 311 L’età moderna meno alcuni di essi, piú che l’approccio economico al tema nobiltà, quello del mestiere delle armi abbracciato da singoli o da dinastie, in consonanza con il maggiore spazio che la storia militare è andata negli ultimi anni guadagnando nella modernistica riformulando approcci e domande rispetto alla tradizionale storia militare92. È coerente a questa impostazione anche la linea di studi di storia religiosa che la rivista, soprattutto per l’impulso dato in questa direzione da Mario Rosa, da Elena Brambilla e da Gaetano Greco, predilige almeno nel suo primo decennio: storia delle istituzioni ecclesiastiche, del loro concreto insediarsi sul territorio, dell’amministrazione della proprietà ecclesiastica, della fiscalità, della Chiesa ma anche della formazione del clero e dell’assistenza93. Il modulo degli «eretici» trova poco spazio in «Società e storia», per contro le ricerche sulle strutture inquisitoriali e sulle politiche censorie non sono estranee alla rivista e anzi si sono conquistate recentemente una presenza crescente e possono, alA. Barbero, Rituali e onore nobiliare a Saluzzo fra quattro e cinquecento, in «Ses», 2001, n. 91, pp. 1-10; D. Maffi, Soldatino dell’impero. Biografia di un aristocratico lombardo del seicento: Sigismondo Sfondrati marchese di Montafia, ivi, 2007, n. 116, pp. 255-272; E. Papagna, Avversari, nemici... anzi parenti. I rapporti tra famiglie della nobiltà napoletana nella prima età moderna, ivi, pp. 273-292; A. Buono, Guerra, élites locali e monarchia nella Lombardia del seicento. Per un’interpretazione in chiave di compromesso d'interessi, ivi, 2009, n. 123, pp. 3-30; E. Papagna, La nobiltà nel Mezzogiorno durante il decennio francese, ivi, pp. 31-56; A. Spagnoletti, Le dinastie italiane e la guerra delle Fiandre, ivi, 2009, n. 125, pp. 423-444; D. Maffi, Blandire e premiare. Cavalieri milanesi di Santiago (1560-1700), ivi, 2010, n. 127, pp. 1-27. Importante il confronto su L’esperienza militare nell’età napoleonica, con interventi di P. del Negro, A. Ferraresi, S. Levati, ivi , 2009, n. 124. 93 M. Rosa, Chiesa, idee sui poveri e assistenza in Ita!ia dal cinque al settecento, in «Ses», 1980, n. 10, pp. 775-806; G. Greco, Ecclesiastici e benefici in Pisa alla fine dell’antico regime, ivi, 1980, n. 8, pp. 299-338; E. Brambilla, Società ecclesiastica e società civlle: aspetti della formazione del clero dal cinquecento alla Restaurazione, ivi, 1981, n. 12, pp. 299-366; Id, Per una storia materiale delle istituzioni ecclesiastiche, ivi, 1984, n. 24, pp. 395-450; G. Greco, Ordinazioni sacre e istituzioni ecclesiastiche in età moderna, ivi, 1983, n. 21, pp. 667-686; A. Gardi, La fiscalità pontificia tra medioevo ed età moderna, ivi, 1986, n. 33, pp. 509-558; M. Rosa, La «scarsella di Nostro Signore»: aspetti della fiscalità spirituale pontificia nell'età moderna, ivi, 1987, n. 38, pp. 817-846; A. Molho,«Tamquam vere mortua». Le professioni religiose femminili nella Firenze del tardo medioevo, ivi, 1989, n. 43, pp. 1-44; F. Rurale, I gesuiti a Milano in età moderna. Amministrazione e finanze, ivi, 1989, n. 45, pp. 567618; M. Moroni, Reti di relazioni, rapporti di patronage, enfiteusi e benefici ecclesiastici: l’ascesa dei Prosperi nella Marca pontificia del settecento, ivi, 1998, n. 82, pp. 745-766; G. Chittolini, Società urbana, chiesa cittadina e religione in Italia alla fine del quattrocento, ivi, 2000, n. 87, pp. 1-18; M. Faggioli, La disciplina di nomina dei vescovi prima e dopo il Concilio di Trento, ivi, 2001, n. 92, pp. 221-256; A. Ferrarese, «Quia ubi non est ordo, ibi est confusio». Gian Matteo Giberti e la ristrutturazione della proprietà ecclesiastica nella diocesi di Verona (1524-1543), ivi, 2004, n. 103, pp. 1-50; G. Alfani, Dalle pratiche alla norma: il Concilio di Trento e la riforma del padrinato in una prospettiva di lungo periodo, ivi, 2005, n. 108, pp. 251-282. 92 312 Maria Antonietta Visceglia meno alcune di esse, per la loro impostazione ascriversi al quel filone di «storia culturale» al quale abbiamo appena fatto riferimento94. Se queste linee contraddistinguono abbastanza la rivista, ancora maggiore è la caratterizzazione che le imprimono le ricerche sulla storia urbana95 nelle sue molte declinazioni, come storia dei mestieri e delle professioni96, delle strutture sanitarie97, dei poveri assistiti e dei vagabondi98, ma anche come storia dello S. Peyronel Rambaldi, Podestà e inquisitori nella montagna modenese. Riorganizzazione inquisitoriale e resistenze locali (1570-1590), in «Ses», 1991, n. 52, pp. 297-328; V. Frajese, Le licenze di lettura tra vescovi ed inquisitori. Aspetti della politica dell’Indice dopo il 1596, ivi, 2000, n. 86, pp. 767-819; F. Barbierato, Dissenso religioso, discussione politica e mercato dell’informazione a Venezia fra seicento e settecento, ivi, 2003, n. 102, pp. 707-758; L. Braida, Mercato editoriale e dissenso religioso nella riflessione storiografica. Le raccolte epistolari cinquecentesche, ivi, 2003, n. 100-101, pp. 273-292; R. Savelli, Allo scrittoio del censore. Fonti a stampa per la storia dell’espurgazione dei libri di diritto in Italia tra cinque e seicento, ivi, pp. 293-330; P. Delpiano, Letteratura all’Indice. Per una storia della censura ecclesiastica nel settecento, ivi, 2004, n. 105, pp. 487-530; E. Rebellato, Il miraggio dell’espurgazione. L'indice di Guanzelli del 1607, ivi, 2008, n. 122, pp. 715-742. 95 L. Frattarelli Fischer, Livorno città nuova: 1574-1609, in «Ses», 1989, n. 46, pp. 873-894; G. Chittolini, «Quasi città». Borghi e terre in area lombarda nel tardo medioevo, ivi, 1990, n. 47, pp. 3-26; F. Benigno, La questione della capitale: lotta politica e rappresentanza degli interessi nella Sicilia del seicento, ivi, pp. 27-64. 96 A.L. Forti Messina, La «disciplina degli operai» in Lombardia dopo la soppressione delle corporazioni (1787-1796), in «Ses», 1978, n. 3, pp. 481-500; S. Adorni-Braccesi, Maestri e scuole nella Repubblica di Lucca tra Riforma e Controriforma, ivi, 1986, n. 33, pp. 559594; G. Bigatti, Il corpo di acque e strade tra età napoleonica e Restaurazione (1806-1848). Reclutamento, selezione e carriere degli ingegneri, ivi, 1992, n. 56, pp. 267-298; A. Carrino, Gruppi sociali e mestiere nel Mezzogiorno di età moderna: i «massari» in un centro cerealicolo di Terra d’Otranto (Mesagne: secoli XVI-XVIII), ivi, 1993, n. 60, pp. 231-278; S. Levati, Negozianti e società a Milano tra ancien régime e restaurazione, ivi, 1993, n. 61, pp. 503-550; G. Albergoni, Potere, istituzioni e mestieri letterari nella Milano della Restaurazione: alcune considerazioni su una ricerca in corso, ivi, 2001, n. 94, pp. 679-724; G. Monestarolo, Una chiusa élite? I negozianti-banchieri di Torino attraverso i censimenti fiscali (1734-1797), ivi, 2006, n. 113, pp. 469-518; L. Carnelos, La corporazione e gli esterni: stampatori e librai a Venezia tra norma e contraffazione (secoli XVI-XVIII), ivi, 2010, n. 130, pp. 657-688. 97 M. Del Lungo, Aspetti dell’organizzazione sanitaria nella Genova del settecento: la cura delle malattie veneree, in «Ses», 1983, n. 22, pp. 769-802; A.L. Forti Messina, I medici condotti e la professione del medico nell’Ottocento, ivi, 1984, n. 23, pp. 101-162; G. Prontera, Medici, medicine e riforme nella Firenze della seconda metà del Settecento, ivi, 1984, n. 26, pp. 783-820; N.M. Filippini, «Il corpo violato». La pratica del taglio cesareo nell’Italia del primo ottocento, ivi, 1988, n. 40, pp. 295-334. 98 G. Ricci, Povertà, vergogna e povertà vergognosa, in «Ses», 1979, n. 5, pp. 305-338; S. Russo, Potere pubblico e carità privata. L’assistenza ai poveri a Lucca tra XVI e XVII secolo, ivi, 1984, n. 23, pp. 45-80; D. Lombardi, L’Ospedale dei mendicanti nella Firenze del seicento. «Da inutile serraglio dei mendici a conservatorio e casa di forza per le donne», ivi, 1984, n. 24, pp. 289-313; F. Meneghetti Casarin, La repressione dei vagabondi alla fine del XVIII secolo: il caso della Repubblica di Venezia, ivi, 1982, n. 18, pp. 781-830. 94 313 L’età moderna spazio che gravita intorno alla città, dei «quadri territoriali», della genesi delle regioni economiche, un tema – quest’ultimo – trasversale tra età moderna e contemporanea che, in concomitanza con le iniziative editoriali di storie regionali, la rivista ha seguito, come abbiamo già accennato, con assiduità e rigore critico99. Un cenno particolare merita l’importanza su «Società e storia» del dibattito sulla sericoltura e l’industria serica100 nella formazione in Italia di «regioni economiche» interstatuali: un nodo di grande rilevanza al quale hanno dedicato studi anche le altre riviste alle quali facciamo riferimento e che si è intrecciato alle ricerche sulla protoindustria sull’onda della fortuna del modello formulato da F. Mendels e dal gruppo di Gottinga (Peter Kriedte, Hans Medick) che Carlo Poni propone alla storiografia italiana all’indomani del Congresso di storia economica di Budapest del 1982101. Il fatto che la protoindustria rurale fosse compatibile con diverse formazioni economico-sociali dal tardo medioevo all’avvento del capitalismo industriale permetteva una rilettura assai interessante del rapporto città-campagna nell’Italia moderna nelle sue molte varianti e sfumava il topos della decadenza e dell’anomalia italiana che tanti affanni aveva causato agli storici. 5. Conclusioni. È difficile da questo primo bilancio – che dovrebbe allargarsi a tutta la produzione storiografica attraverso le riviste – trarre giudizi generali. Potremmo certamente dire con una qualche fondatezza che, laddove i progetti B. Salvemini, Quadri territoriali e mercato internazionale: Terra di Bari nell’età della Restaurazione, in «Ses», 1982, n. 18, pp. 831-876; P. Malanima, La formazione di una regione economica: la Toscana nei secoli XII-XV, ivi, 1983, n. 20, pp. 229-270; R. Pazzagli, La circolazione delle merci nella Toscana moderna. Strade, vie d’acqua, porti e passi di barca nel bacino dell’Arno, ivi, 2003, n. 99, pp. 1-30; Periferie e spazi periferici nella città europea del medioevo e dell’età moderna (sec. XIV-XIX): le trasformazioni indotte dall’economia, a cura di P. Lanaro e G.M. Varanini, ivi, 2006, n. 112 (numero monografico). 100 Sulla seta, oltre l’articolo già citato di C. Poni in «Rsi», 1976, cfr. dello stesso autore, Misura contro misura: come il filo di seta divenne sottile e rotondo, in «Qs», 1981, n. 47, pp. 385-422; C. Zanier, La sericultura europea di fronte alla sfida asiatica: la ricerche di tecniche e pratiche estremo-orientali (1825-1850), in «Ses», 1988, n. 39, pp. 23-52; L’importanza della seta, in «Qs», 1990, n. 73 (sezione monografica con articoli di Claudio Zanier, Giuliana Biagioli, Carlo Poni, Flavio Crippa); R. Tolaini, Cambiamenti tecnologici nell’industria serica: la trattura nella prima metà dell’Ottocento. Casi e problemi, in «Ses», 1994, n. 66, pp. 741-810; La seta a Milano nel Quattrocento, sezione monografica di «Ss», XXXV, 1994, n. 4; I. Fusco, La trattura della seta in Calabria: rinnovamento tecnologico e crescita tra sette e ottocento, in «Ses», 2005, n. 109, pp. 503-540. 101 Sulla protoindustria: Protoindustria, a cura di C. Poni, in «Qs», 1983, n. 52; L. Cafagna, Protoindustria o transizione in bilico? (A proposito della prima onda della industrializzazione italiana), ivi, 1983, n. 54, pp. 971-984; Forme protoindustriali, a cura di C. Poni, ivi, 1985, n. 59; F. Battistini, Un esempio di protoindustria: le prime fasi della produzione di seta nelle campagne lucchesi del settecento, in «Ses», 1988, n. 41, pp. 535-558. 99 314 Maria Antonietta Visceglia editoriali delle singole riviste erano molto piú decisi e riconoscibili ancora negli ultimi decenni del secolo scorso, oggi ci appaiono molto meno distinti. Una conclusione condivisibile dell’analisi che abbiamo condotto ci porterebbe anche ad affermare che la produzione storiografica delle riviste conferma l’idea di una crisi della storia sociale e il prevalere di un trend storiografico segnato dalla straripante presenza della storia religiosa. Inoltre, pur restando fedeli alle proprie «tradizioni», le quattro riviste storiche che abbiamo qui brevemente analizzato hanno negli ultimi anni mostrato una piú marcata attenzione ai modi nuovi di declinare la storia culturale – penso ancora ai saggi sull’uso delle immagini come fonti storiche – versante sul quale vertono molti libri recenti oltre che saggi102 – o ai temi del collezionismo, del mercato dell’arte, dei consumi culturali che ritornano con frequenza nelle pagine dei «Quaderni storici»103, o a quelli dei rituali104, delle rappresentazioni legate alle dinamiche identitarie105, alla percezione delle frontiere106, alla esplorazione di territori A. Prosperi, Giustizia bendata. Percorsi storici di un’immagine, Torino, Einaudi, 2008; M. Firpo, Storie di immagini e immagini di storia. Studi di iconografia cinquecentesca, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2010; O. Niccoli, Vedere con gli occhi del cuore. All’origine del potere delle immagini, Roma-Bari, Laterza, 2011. 103 Cfr. Storia e musica. Fonti, consumi e committenze, a cura di A. Morelli, in «Qs», 1997, n. 95; Committenza artistica femminile, a cura di S.F. Matthews-Greco e Gabriella Zarri, ivi, 2000, n. 104; Consumi culturali nell’Italia moderna, a cura di R. Ago e O. Raggio, ivi, 2004, n. 115; Mercanti di quadri, a cura di L. Spezzaferro, ivi, 2004, n. 116. 104 Cfr. il numero di «Società e storia» curato da S. Levis Sullam su Risorgimento italiano e religioni politiche, 2004, n. 106; G. Vitale, Simbologia del potere e politica nella Napoli aragonese, in «Ss», XLIV, 2003, n. 1, pp. 111-151; A. Prosperi, L’Immacolata a Siviglia e la fondazione sacra della monarchia spagnola, ivi, XLVII, 2006, n. 2, pp. 481-510; B. Schimmelpfenning, L’incoronazione papale nel tardo Medioevo, con uno sguardo all’«inaugurazione» di Benedetto XVI, ivi, XLVII, 2006, n. 4, pp. 959-976; D. Carnevale, La riforma delle esequie a Napoli nel decennio francese, ivi, XLIX, 2008, n. 2, pp. 523-552; M. Formica, Giochi di specchi. Dinamiche identitarie e rappresentazioni Italia del Turco nella cultura italiana del Cinquecento, in «Rsi», CXX, 2008, n. 1, pp. 5-53; R. Minuti, Comparativismo e idolatrie orientali nelle «Cérémonies religieuses» di Bernard e Picard, ivi, CXXI, 2009, n. 3, pp. 1028-1072. 105 W. Vernon Harris, Quando e come l’Italia divenne per la prima volta Italia? Un saggio sulla politica dell’identità, in «Ss», XLVIII, 2007, n. 2, pp. 301-322 (che si riferisce al mondo antico); G. Cengiarotti, Politica malinconica. Note sul simbolismo imperiale, ivi, XLIX, 2008, n. 4, pp. 1001-1037; S. Villani, Conversione e famiglia in due testi letterari del Seicento, ivi, pp. 1039-1062. 106 Cfr. Impero e regiorni di frontiere (1879-1918), in «Rsi», CXV, 2003, n. 2; Confini e frontiere come problema storiografico, ivi, CXXI, 2009, n. 1, e i volumi su questi temi editi dal gruppo di ricerca «Frontiere: ceti, territori, culture nell’Italia moderna», coordinato da Alessandro Pastore, fra cui: C. Donati, a cura di, Alle frontiere della Lombardia. Politica, guerra e religione nell’età moderna, Milano, Franco Angeli, 2006; A. Pastore, a cura di, Confini e frontiere nell’età moderna. Un confronto tra discipline, Milano, Franco Angeli, 2007; E. Fasano Guarini, P. Volpini, a cura di, Frontiere di terra frontiere di mare. La Toscana moderna nello spazio mediterraneo, Milano, Franco Angeli, 2008. 102 315 L’età moderna storiografici di confine come il rapporto medicina-teologia e piú in generale il ricorso alla «scienza» in età moderna107, o allo studio dell’uso dell’informazione nei processi decisionali dell’economia108. Non è infine un caso che su questi temi la sensibilità da subito manifestata da una rivista «piú giovane» come «Storica» sia stata forse piú alta109. Il problema di fondo in una rassegna della produzione storiografica non può essere però soltanto quello dell’individuazione delle linee di ricerca e della misura del loro raccordo con la storiografia internazionale, ma deve essere anche quello di tentare di comprendere dove va la storia come disciplina e sapere. Da quest’ultimo punto di vista gli effetti della crisi epistemologica degli ultimi decenni del secolo scorso sono stati devastanti. Certamente da quasi un ventennio, un malessere diffuso rispetto allo statuto scientifico della propria disciplina pervade gli storici. Nel 1994 in «Quaderni storici» Carmine Ampolo curava un numero monografico che s’intitolava La prova che si apriva con un articolo di C. Ginzburg dal titolo Aristotele, la storia, la prova110, un brillante frammento dove si dimostrava come nel pensiero aristotelico non trovasse riscontro la contrapposizione tra retorica e prova, e come anzi la prova fosse il nocciolo razionale della retorica. L’argomentazione aveva come obiettivo polemico la riduzione della storia a discorso, «il cavallo di battaglia» di quel filone antipositivista che riducendo la storia a retorica, a testo, aveva finito con creare uno scarto insostenibile tra storia e verità. Nello stesso anno nelle pagine di «Studi storici» Vincenzo Ferrone, Massimo Firpo, Giuseppe Ricuperati ed Edoardo Tortarolo lamentavano la crisi di identità complessiva del mestiere di storico attribuibile alla «ipotesi narratologica» e alla «riduzione della conoscibilità del passato»111, ma anche ai troppi sperimentalismi nei quali la dimensione innovativa tutta giocata sul piano metodologico non aveva corrisposto «la capacità di intercettare le grandi questioni della storiografia nazionale»112. L’anno successivo (1995), l’editoriale con cui «Storica» Cfr. Ricerche e problemi di storia della scienza, in «Ss», XXX, 1989, n. 2; Guarigioni mirabili: medicina e teologia tra XV e XIX secolo, a cura di G. Fiume, in «Qs», 2003, n. 112; Oggetti di scienza, a cura di F. Favino, ivi, 2009, n. 130; Normale/patologico, sano/malato dal medioevo al contemporaneo, a cura di L. Berlivet e M.P. Donato, ivi, 2011, n. 136. 108 Informazioni e scelte economiche, a cura di W. Kaiser e B. Salvemini, in «Qs», 2007, n. 124. 109 Per citare solo alcuni contributi sui temi sopra enunciati: M. Fantoni, Il potere delle immagini. Riflessioni su iconografia e potere nell’Italia del Rinascimento, in «Storica», 1995, n. 3, pp. 43-72; M. Battini, Destra/Sinistra. Linguaggi politici e idiomi culturali, ivi, 1996, n. 4, pp. 39-81; F. Benigno, Simboli della politica. Lo strano caso del berretto della libertà, ivi, 2009, n. 43-44-45, pp. 59-81. 110 C. Ginzburg, Aristotele, la storia, la prova, in «Qs», 1994, n. 85, pp. 5-17. 111 V. Ferrone, M. Firpo, G. Ricuperati, E. Tortarolo, Vita civile e storiografia. Contributo per una discussione, in «Ss», XXXV, 1994, n. 1, pp. 91-98. 112 Ivi, p. 95. 107 316 Maria Antonietta Visceglia si presentava per la prima volta al pubblico conteneva un appello contro la frantumazione ma anche l’assunzione degli interrogativi che un orizzonte totalmente nuovo, caratterizzato dalla crisi dei paradigmi nazionali, dal risorgere di sensi multipli di identità, dal mutamento profondo del comunicare, poneva allo storico113. Nel 2003 nelle pagine di «Società e storia», Giorgio Chittolini in un articolo appassionante (Un paese lontano) riproponeva radicalmente le nuove incertezze sulla ricostruzione storica del passato114. Nel 2009 «Storica» usciva con un numero triplo nella cui presentazione, a distanza di quindici anni dalla sua fondazione, si ammetteva di aver sottovalutato «la mutazione istituzionale» allora già avviata nel senso della scomposizione della dimensione istituzionale della ricerca e la profondità del processo di declino delle storiografie nazionali115. L’iniziativa della Fondazione Istituto Gramsci crediamo si ponga nel solco di tutte queste riflessioni. Vedi «Storica», 1995, n. 1, pp. 7-9. G. Chittolini, Un paese lontano, in «Ses», 2003, n. 100-101, pp. 331-354. 115 «La scala istituzionale della ricerca tende a cambiare, a crescere, a scomporsi insieme, col chiaro effetto di una moltiplicazione delle sedi nelle quali si studia e si pubblica, nonché di una crescente inflazione dei materiali presentati come “scientifici”. Questi processi portano inevitabilmente a nuove gerarchizzazioni delle istituzioni, dei luoghi di formazione e, naturalmente delle riviste e delle sedi editoriali, che erano appena percepibili fino a pochi anni fa e che ora sembrano rivelare un loro raggio di estensione dilatato dell’integrazione europea e “mondiale”. Il declino delle storiografie nazionali è implicito in tutto questo (specie se vissuto in Italia) e impone uno specifico sforzo di riflessione» (in «Storica», 2009, n. 43-44-45). 113 114