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Magenta, altrove. Una ballata ferroviaria

2013, Rivista Italiana Di Filosofia Analitica Junior

I binari filano dritti come le code dei gatti, girano rettamente senza che il vagone si curvi. Alcuni lo fanno cauti, come per timore di cambiare idea all'ultimo istante, per la moglie a casa o i pensieri altrove. Altri lo fanno decisi, hanno una sorta di autostima che permette loro di non pensare alle conseguenze. Certi treni danno la nausea a chi, mal seduto, proteso al vetro, s'aspetta di svoltare. «Ha forse già curvato?» chiede l'impaziente, «non me ne sono accorto?» ribadisce preoccupato. Pochi gli rispondono, perché il treno è un affare galante, che solo gli amanti di un rischio sottile possono comprendere e quindi godere. Certo è, che un treno non curva, che un binario curva di rado, che di vagoni ricurvi non ne ricordo. Così accade che ogni volta che salgo, controllo il convoglio, domando, questiono, ritardo più che posso il momento del salto. E quando sorpasso la fessura buia, taglio retto tra la terra e il treno, lo faccio con la certezza che lascio le storture del mondo per la durezza di un cammino diritto. L'abbandono è la mente, e il suo moto è oscillante, ogni volta difforme, ogni donna è diversa. Sai l'amore a che serve se non sei un uomo galante? A far dei tuoi cocci un vaso di pianti.

Rivista Italiana di Filosofia Analitica Junior 4:1 (2013) ISSN 2037-4445 CC http://www.rifanalitica.it Patrocinata dalla Società Italiana di Filosofia Analitica M AGENTA , ALTROVE U NA BALLATA FERROVIARIA Carolina Crespi I binari filano dritti come le code dei gatti, girano rettamente senza che il vagone si curvi. Alcuni lo fanno cauti, come per timore di cambiare idea all’ultimo istante, per la moglie a casa o i pensieri altrove. Altri lo fanno decisi, hanno una sorta di autostima che permette loro di non pensare alle conseguenze. Certi treni danno la nausea a chi, mal seduto, proteso al vetro, s’aspetta di svoltare. «Ha forse già curvato?» chiede l’impaziente, «non me ne sono accorto?» ribadisce preoccupato. Pochi gli rispondono, perché il treno è un affare galante, che solo gli amanti di un rischio sottile possono comprendere e quindi godere. Certo è, che un treno non curva, che un binario curva di rado, che di vagoni ricurvi non ne ricordo. Così accade che ogni volta che salgo, controllo il convoglio, domando, questiono, ritardo più che posso il momento del salto. E quando sorpasso la fessura buia, taglio retto tra la terra e il treno, lo faccio con la certezza che lascio le storture del mondo per la durezza di un cammino diritto. L’abbandono è la mente, e il suo moto è oscillante, ogni volta difforme, ogni donna è diversa. Sai l’amore a che serve se non sei un uomo galante? A far dei tuoi cocci un vaso di pianti. «Poniamo che il sale non si chiami in quel modo perché siamo prima di Aristotele.» «Aha.» «Ecco, quel sale è lo stesso sale che ora chiami sale oppure no? Voglio dire, il cloruro di sodio restava cloruro di sodio anche quando nessuno lo chiamava così?» «Possibile.» «Ecco, vedi. Quel sale è la Verità.» «No Tia, non sono d’accordo. Qual è il contesto di riferimento di ciò che chiami sale? È l’accordo della comunità scientifica che fa del sale il sale, non la semplice esistenza di un elemento che qualcuno ha casualmente cominciato a chiamare sale.» «Aspetta. Stai confondendo le cose, Giamma. Una cosa è il valore di verità logico, una cosa è il vero, l’esistente.» «Confondendo un cazzo, Tia. Se il sale è sale, è perché qualcuno ha deciso che il salgemma che si estrae dalle cave va chiamato in quel modo.» «Tra l’altro si estrae facendo bollire l’acqua salata, ma lasciamo perdere.» «Fai venire voglia di litigare.» «Chi, io? Giamma lo sai che cos’è il relativismo etico? Lo sai che quelli che ragionano come te arrivano a giustificare l’infibulazione in Somalia? Perché se i parametri del contesto sono C \ 2013 Carolina Crespi. Pubblicato in Italia. Alcuni diritti C OPYRIGHT. CC BY: $ riservati. A UTORE. Carolina Crespi. [email protected]. Rivista Italiana di Filosofia Analitica Junior 4:1 (2013) 88 accettati a sistema, allora le conseguenze sono necessarie e la logica è salva. Però si tagliano i genitali alle persone. Guarda cosa mi tocca dire, dai dammi il biglietto e facciamola finita.» «Ah, questa poi. Bravo Tia. Stiamo discutendo e tu tiri fuori il lavoro. L’Autorità. Sei proprio figlio dell’era di Berlusconi. Quello che conta è farsi valere.» «Il contesto lo richiede. Sbrigati. Mi aspettano altre sette carrozze, oltre alla tua.» «Un contesto dietro l’altro.» «No, è sempre lo stesso. Io, al lavoro, sul Milano-Torino.» Sul treno ci si scruta a vicenda, si crede di imparare scrutando e che non sia necessario parlarsi davvero. Così, dopo un’ora di chiacchiere fitte, vorresti sdraiarla su una superficie piana, reggerle il viso che il collo ubriaco fatica a sostenere, e tacere per tutto il tempo che manca. Succede, a volte succede, che sia lei a ricominciare a parlare, ma questa volta lo fa con malizia e senza convinzione. Lo fa perché sa che tu vorresti non lo facesse, lo fa per ingannare l’attesa, per sapere cosa ha compreso di te senza che tu glielo debba svelare. Mentre lo fa ti attende e, se t’attardi a giocare con lei, d’improvviso si spegne, si chiude. Si secca per la tua inerzia, appoggia gli occhi umidi al vetro e aspetta che il mondo storto si raddrizzi guardandolo. «Certo. E che succede se il biglietto non te lo mostro, perché il contesto nostro è quello di una discussione, e non quello di un lavoro del cazzo su un treno del cazzo?» «Un biglietto valido è valido anche mentre stiamo zitti, e io faccio il mio lavoro. Suvvia Giamma, fammi vedere il biglietto.» «Se lo vuoi vedere, vuol dire che sai che esiste.» «Cosa cosa? Il fatto che io conosca il biglietto basta a giustificarne l’esistenza? La conoscenza è esistenza? Cristo, dove stiamo finendo.» «Mi scusi. . . » chiesi dapprima con fare balordo. Sul treno, d’altronde, ho tutto il tempo del mondo. Lo chiesi ridendo, poi lo chiesi serioso. Ma chi non ha tempo non è certo risponda. «Scusi, controllore. . . » lo dissi col titolo della professione. Dottore, ingegnere, professore. . . controllore! «Ebbene signore, mi scusi. . . son stanco» d’alzare la mano come fossi nel banco. Accanto, mi vede, lo sono da tempo. La prego, mi scusi, vorrei essere franco. «Vedi Giamma, se in ogni contesto esistono parametri propri che definiscono il valore di verità, la conoscenza è esistenza, allora la conoscenza è contestuale.» «No. Allora la conoscenza definisce il valore di verità.» «Senta, ho bisogno di lei. Devo fare il biglietto. Scendo a Magenta.» «Tranquillo, lasci stare. Scenda pure a Magenta.» «Grazie! Anche lei di Magenta?» «Le sembra? Dico, le sembro uno di Magenta?» «Non so, ecco, io. . . devo averla già vista su Cronaca Oggi.» «Mi permetta. Non ho capito. Che roba è Cronaca Oggi?» «Oh, una testata, un quotidiano nostro del magentino, di Robecchetto.» «E che aspetto aveva il signor controllore su Cronaca Oggi? Lo stesso di ora?» Anche l’amico s’è messo di mezzo. «Sa, non ricordo, era in una foto di gruppo». Vorrei salutare, inchinarmi ed uscire ma il garbuglio è stringente, l’atmosfera pesante. «Per cortesia, finiamola qui. Non sono di Magenta, né sono stato su un qualche giornale. Può limitarsi a constatare che sono io, in carne ed ossa, davanti a lei, senza dovermi spiattellare su una foto, con tutti i problemi di esistenza che le immagini si portano dietro? Mi faccia vedere il biglietto.» Rivista Italiana di Filosofia Analitica Junior 4:1 (2013) 89 «Signore, le dissi, devo farlo sul treno, scendo a Magenta.» Un controllore che non ascolta è la curva peggiore che il treno può offrire. «Il convoglio non ferma a Magenta.» «Ma come! E da quando?» «Lo chieda al ragazzo qui seduto se la fermata di Magenta esiste o meno. Io ho da fare.» «In effetti non conoscevo questa, come dice. . . » «Magenta» m’arrendo. Ho il viso scavato del mezzogiorno. Ho fame, ho sete, ho i bisogni dell’ansia. «Sì, ecco, Magenta. Per me non esiste. Ma se lei la conosce non deve preoccuparsi.» «Dice?» Oggi l’inverno del nostro scontento diventa gloria nel sole di York, i segni del trionfo sulle tempie di Riccardo. Mio Dio, mio Dio, ho mai dubitato? «Se la conosce esiste. Arrivederci.» «Grazie. Ci conto» e m’appronto all’uscita. Il cuore ritorna al suo posto, a far da biscotto tra l’anima e il corpo. Una curva diritta rappezza il vagone, uno scossone deciso e poi si rallenta. Ed ecco, son desto, la stazione è Magenta. Le storture talvolta sono quello che manca. Rivista Italiana di Filosofia Analitica Junior 4:1 (2013) 90 A proposito dell’autore C AROLINA C RESPI è nata a Busto Arsizio (VA) nel 1985 e ha studiato filosofia a Milano. Collabora con la rivista Follelfo e con la Cooperativa Sociale Elaborando. A dicembre 2012 è uscita con NoReply una sua raccolta di racconti dal titolo Il futuro è pieno di fiori. Info: http://opzioniavariate.wordpress.com.